Meloni in Cina: piano Mattei globale?

Meloni in Cina: piano Mattei globale?

Cina: dove Giorgia Meloni si trovava per la sua prima visita ufficiale da quando è diventata Presidente del Consiglio.

Un viaggio carico di significati, che arriva dopo l’abbandono della tanto discussa Via della Seta.

Ma non illudiamoci: questo non è un ritorno al passato, bensì un tentativo di riscrivere le regole del gioco. Nulla è scontato in geopolitica.

Meloni porta con sé una delegazione d’imprenditori italiani, rappresentanti di quelle oltre 1.600 aziende che in Cina hanno piantato radici. Un esercito economico che ora chiede nuove garanzie, nuovi spazi di manovra. E la premier lo sa bene, il Paese passa da questi asset. Italia che quest’anno cresce ancora più di Francia e Germania e soprattutto a livello di export surclassa Parigi e Berlino.

Il suo obiettivo dichiarato? Rilanciare quel partenariato strategico globale voluto da Berlusconi nel lontano 2004. Una mossa astuta e complessa, che mira a compensare la fine della Via della Seta senza perdere la faccia. Ma attenzione: questo non è un gioco per principianti.
I numeri parlano chiaro, e sono impietosi. Gli investimenti cinesi in Italia sono circa un terzo di quelli italiani in Cina. Un divario che grida vendetta, che Meloni stessa ha definito come qualcosa da “colmare nel modo giusto”. Ma quale sarebbe questo modo giusto?

La risposta sembra essere il nuovo Piano triennale d’Azione, firmato durante questa visita.

Un documento che tocca punti cruciali:
– Investimenti
– Tutela della proprietà intellettuale e delle indicazioni geografiche
– Agricoltura e sicurezza alimentare
– Ricerca e formazione
– Ambiente
– Cultura e turismo
– Contrasto della criminalità organizzata

Un elenco ambizioso, non c’è che dire. Ma quanto di tutto ciò si tradurrà in azioni concrete? Quanto peserà davvero sulla bilancia dei rapporti Italia-Cina?

Meloni parla di “relazioni commerciali equilibrate e reciprocamente vantaggiose”, di “parità di condizioni” e “concorrenza leale”. Parole nobili, certo, ma che devono essere seguite da un forte campo legislativo, la potenza economica cinese non scherza.

Non dimentichiamo che l’adesione dell’Italia alla Via della Seta, firmata dal governo Conte, fu vista come un tradimento dagli alleati occidentali. Una mossa che non portò i vantaggi sperati: le esportazioni italiane non crebbero come previsto, mentre quelle cinesi in Italia aumentarono notevolmente. Fu un patto al contrario, estremamente deleterio per l’immagine dell’Italia che pago un dazio doppio: porte chiuse o quasi in Occidente, chiuse in Asia (nel patto infatti non erano previste aree di scambio commerciale da far gestire all’Italia, nonostante il nostro Paese sia, ad esempio, molto presente nelle Filippine).

Ora Meloni si trova a dover ricucire queste relazioni incrinate, a dover trovare un nuovo equilibrio. Da una parte, deve proteggere gli interessi delle aziende italiane in Cina. Dall’altra, deve rassicurare l’Occidente sulla distanza dell’Italia da Pechino, in un momento in cui la diffidenza verso i prodotti cinesi è alle stelle.

Il premier cinese Li Qiang parla ancora dello “spirito della Via della Seta”. Ma quale spirito? Quello di un’espansione economica che rischia di trasformarsi in egemonia?

Il nuovo piano triennale toccherà diversi aspetti dei rapporti economici e politici tra Italia e Cina. Si parla di investimenti, di tutela della proprietà intellettuale, di agricoltura e sicurezza alimentare. Si menzionano ricerca e formazione, ambiente, cultura e turismo. Persino il contrasto alla criminalità organizzata trova spazio in questo documento.

Ma la domanda rimane: sarà sufficiente? Sarà in grado questo piano di raddrizzare decenni di squilibri? Di garantire davvero quella “parità di condizioni” di cui parla Meloni?

La verità è che ci troviamo di fronte ad una partita complessa, dove ogni mossa può avere conseguenze imprevedibili. L’Italia si muove su un terreno scivoloso, tra la necessità di preservare i propri interessi economici e l’esigenza di non alienarsi gli alleati occidentali.
Meloni può anche parlare di “nuova fase” e di “rilancio della cooperazione”. Ma la realtà è che l’Italia si trova in una posizione di debolezza, costretta a un difficile gioco di equilibrismo diplomatico ed economico, con una deterrenza militare non sufficiente ed una Ue insensibile all’espansionismo economico italiano in Asia. Del resto furono Parigi e Berlino i veri interlocutori di Pechino in Europa.

Solo il tempo ci dirà se questa strategia pagherà. Se il nuovo Piano triennale di Azione sarà davvero in grado di riequilibrare i rapporti tra Italia e Cina, o se rimarrà lettera morta come tanti altri accordi internazionali.

Una cosa è certa: in questo grande scacchiere della geopolitica mondiale, l’Italia rischia ancora una volta di essere più pedina che giocatore. E Giorgia Meloni, che lo voglia o no, si trova ora a dover dimostrare di essere all’altezza di una sfida che va ben oltre i confini nazionali.

“Sono molto contenta di essere qui per il primo viaggio ufficiale di questo governo”, aveva dichiarato Meloni all’inizio della visita, “a dimostrazione della volontà di iniziare una fase nuova, di rilanciare la nostra cooperazione bilaterale nell’anno in cui ricorre il ventesimo anniversario della nostra partnership strategica globale”. Parole che suonavano come un tentativo di voltare pagina, di ridefinire le regole del gioco.

Nel mentre quello che sembra un “Piano Mattei globale” prende forma, l’Italia punta al Sahel (che ad oggi è in mano cinese e russa, forse il vero scopo della visita di Meloni è avere mani libere in Africa) per questioni energetiche e di geostrategia (la Francia è fuori dal 2023). Sahel ed Africa Equatoriale sono a forte trazione russa (Mosca ha fatto imbufalire Macron proprio per averlo estromesso, tanto che ora è in bilico anche il Franco Coloniale) e cinese (soprattutto a livello d’infrastrutture). L’Italia (dopo aver parlato con gli Usa) si è posta in Cina come nazione-ponte tra Brics e Occidente, per parlo però serve avere buoni rapporti con Pechino, che in questo momento sorregge le potenze orientali. Stesso gioco degli Usa, che però non riescono più ad incidere in alcune zone del mondo, in altre si sono ritirati ed in altre ancora “appaltano” terzi.

Il viaggio di Meloni in Cina ha quindi avuto un obiettivo primario ben lontano da quello narrato dai maggiori media: un ruolo di primo piano nell’Africa delle materie prime (che però abbiamo scoperto d’avere anche in Italia). I prossimi mesi risulteranno decisivi, soprattutto dopo l’elezione del nuovo presidente Usa avremo un “effetto farfalla” geopolitico che investirà gli schieramenti in gioco.

di Marco Pugliese

Piano d’azione per il rafforzamento del Partenariato
Strategico Globale Cina-Italia (2024-2027)
In occasione del 20° anniversario del Partenariato Strategico
Globale tra Cina e Italia, il 28 luglio, 2024, si è svolto a Pechino
un incontro tra il Primo Ministro della Repubblica Popolare
Cinese Li Qiang e il Presidente del Consiglio dei Ministri della
Repubblica Italiana Giorgia Meloni. Le due parti hanno
concordato che le relazioni Cina-Italia hanno raggiunto negli
ultimi anni importanti risultati di cooperazione e godono di un
positivo momento di sviluppo, testimoniato anche dal successo
dell’incontro tra il Presidente Xi Jinping e il Presidente del
Consiglio Giorgia Meloni durante il Vertice G20 di Bali nel 2022
e di quello fra i Capi di Governo delle due Nazioni al Vertice G20
di Nuova Delhi nel 2023.
Italia e Cina intendono mantenere lo slancio delle loro
relazioni bilaterali, anche nello spirito della antica Via della Seta
che da millenni, a partire dalle antiche rotte commerciali, incarna
l’apertura al dialogo e la reciproca conoscenza fra civiltà orientale
e occidentale, e promuoverne lo sviluppo ad un livello più elevato,
perseverando nella pace e nella cooperazione. In tale contesto, le
due parti hanno ribadito la volontà di rafforzare la fiducia
reciproca e di mantenere gli scambi di alto livello istituzionale
sulla base del rispetto dei principi della sovranità e dell’integrità
territoriale. Riconfermano l’impegno a prevedere un incontro
annuale tra i due Primi Ministri, con modalità flessibile, e
concordano di attuare il presente Piano d’azione, di rafforzare il
coordinamento delle loro rispettive strategie di sviluppo e di
approfondire la cooperazione in vari campi rafforzando gli
scambi culturali e tra le rispettive società civili e sviluppando
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pienamente il potenziale del Partenariato Strategico Globale.
Le parti esprimono apprezzamento per lo svolgimento del
24mo Vertice Cina-Ue il 7 dicembre 2023, che ha costituito
l’occasione per promuovere la fiducia reciproca, rafforzare la
cooperazione bilaterale e intensificare il coordinamento
multilaterale, con l’obiettivo di favorire lo sviluppo di relazioni
stabili, costruttive, reciprocamente vantaggiose e di portata
globale tra Cina e Ue. Le parti sostengono la prosecuzione e
l’intensificazione dei dialoghi di alto livello Cina-Ue nei settori
strategico, economico-commerciale, ambientale, digitale e dei
rapporti tra le società civili, affrontando congiuntamente, con uno
spirito aperto e collaborativo, sfide globali come il cambiamento
climatico e la transizione energetica, la salute pubblica, la
sicurezza e la pace internazionali e la stabilità. Le parti
continuano inoltre a sostenere il dialogo Ue-Cina in materia di
diritti umani, in uno spirito di reciproco rispetto.
Le parti riconoscono l’importanza che Cina e Ue si
impegnino per rendere le relazioni commerciali bilaterali più
certe, prevedibili, equilibrate e reciprocamente vantaggiose ed a
tal fine intendono continuare a lavorare per assicurare parità di
condizioni per le rispettive aziende.
Le parti ribadiscono altresì l’importanza che l’Ue e la Cina
osservino le regole dell’OMC e i principi di mercato, aderiscano
al commercio libero, alla concorrenza leale, all’apertura e alla
cooperazione, si oppongano al protezionismo e all’unilateralismo,
gestendo gli attriti commerciali attraverso il dialogo e la
consultazione, in conformità ai meccanismi previsti dall’OMC.
Cina e Italia intendono intensificare ulteriormente lo
scambio di vedute e il coordinamento sui temi multilaterali,
nonché promuovere una migliore coesione della comunità
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internazionale per rispondere a tali sfide globali nei fori
appropriati. Si impegnano a valorizzare e sostenere il ruolo di
primo piano svolto dal G20 nel migliorare la governance
economica globale, supportando anche il suo funzionamento
nell’affrontare le sfide globali. Continueranno inoltre a
promuovere un efficace contributo del G20 alla stabilità e alla
fluidità delle catene di approvvigionamento globali, alla ripresa
dell’economia mondiale e alla promozione di una crescita stabile
e sostenibile. Le parti ribadiscono il loro sostegno al ruolo
centrale delle Nazioni Unite nel sistema multilaterale globale,
sulla base del rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite,
riconoscendone altresì il contributo positivo alla promozione
della pace, dei diritti umani e dello sviluppo sostenibile, e
continueranno a rafforzare la loro collaborazione riguardo alla
riforma del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per
renderlo più democratico, efficiente, trasparente, ed inclusivo. Le
parti sono disposte a rafforzare il coordinamento in tale ambito e
ad assicurare un contributo sostanziale all’attuazione degli
obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite per il 2030.
Le parti convengono di dare priorità alla cooperazione nei
seguenti settori: 1) commercio e investimenti; 2) finanziario; 3)
innovazione scientifica e tecnologica, istruzione; 4) sviluppo
verde e sostenibile; 5) medico-sanitario; 6) rapporti culturali e
scambi people-to-people.
1. Collaborazione economico-commerciale e investimenti
Sistema commerciale multilaterale. Le parti sostengono
un sistema commerciale multilaterale basato sulle regole, libero,
equo, aperto, trasparente, inclusivo e non discriminatorio, con
l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) al suo centro.
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Le parti sostengono il processo di riforma dell’OMC, compreso
il ripristino della piena operatività del meccanismo di risoluzione
delle controversie, il rafforzamento del ruolo deliberativo e il
rilancio della funzione negoziale dell’OMC. Inoltre le parti
ribadiscono la necessità di rafforzare la resilienza e la stabilità
delle catene del valore e di approvvigionamento globali. Le due
parti accolgono i risultati raggiunti in occasione della 13°
conferenza ministeriale dell’OMC, e continueranno a lavorare
insieme al conseguimento di risultati positivi nell’ambito della 14°
conferenza ministeriale dell’Organizzazione. Promuovono una
globalizzazione economica aperta, inclusiva, equilibrata e a
beneficio di tutti, la liberalizzazione e la facilitazione del
commercio e degli investimenti. Le parti si impegnano a
rafforzare le discussioni sull’agevolazione degli investimenti, sul
commercio digitale, nonché sul tema commercio-ambiente.
Promozione commerciale e investimenti. Le parti
concordano sull’importanza di intensificare e riequilibrare gli
scambi commerciali, esplorare il potenziale del commercio
bilaterale e continuare ad incentivare i flussi di investimento nei
due sensi, in un contesto trasparente e a parità di condizioni.
Sottolineano la necessità di rafforzare ulteriormente il ruolo della
Commissione Economica Mista per favorire la cooperazione
imprenditoriale e il dialogo sulle rispettive politiche economiche
nell’ambito di tale meccanismo. Le due parti concordano anche di
valorizzare il ruolo innovativo e complementare del Business
Forum Italia-Cina, volto a fornire una piattaforma per
promuovere gli scambi tra governi e imprese e favorire lo
sviluppo economico e commerciale bilaterale.
Le parti continueranno a sostenere il lavoro del Consiglio
Cinese per la Promozione del Commercio Internazionale
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(CCPIT), dell’Agenzia ICE e dei loro uffici di rappresentanza a
favore della promozione del commercio e degli investimenti, in
conformità con le loro funzioni. Si impegnano a continuare a
discutere in modo costruttivo della questione dello status degli
uffici dell’Agenzia ICE in Cina.
In questo spirito, forniranno il necessario supporto alle
attività svolte in Italia dalla Camera di Commercio Cinese e in
Cina dalla Camera di Commercio Italiana, sostenendo il ruolo
degli enti di promozione del commercio e degli investimenti e
delle associazioni imprenditoriali dei due Paesi nel rafforzamento
del dialogo e della cooperazione, nella prevenzione dei rischi e
nella risoluzione delle controversie.
Le parti annettono inoltre grande rilevanza allo sviluppo
delle fiere internazionali che hanno luogo in Italia e in Cina e
continueranno a promuovere la partecipazione delle proprie
aziende, riconoscendo le manifestazioni fieristiche come un
volano cruciale per l’internazionalizzazione dei rispettivi mercati
e per la promozione dell’interscambio commerciale bilaterale.
Accesso al mercato. Le parti concordano sulla necessità di
garantire reciprocamente un migliore accesso al mercato e
un’effettiva parità di condizioni tra gli operatori economici, e di
promuovere congiuntamente lo sviluppo equilibrato e stabile del
commercio bilaterale, sfruttandone appieno il potenziale. Le parti
continueranno a collaborare per eliminare gradualmente le
barriere non tariffarie che ostacolano indebitamente il commercio
e offrire un ambiente imprenditoriale e di investimento aperto,
equo, trasparente e non discriminatorio affinché le rispettive
imprese possano investire e svolgere attività commerciali.
Concordano inoltre di sfruttare appieno il ruolo del gruppo di
lavoro per la collaborazione sugli investimenti e di approfondire
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la collaborazione tra Cina e Italia sugli investimenti nello
sviluppo verde e in altri settori, lavorando per un maggiore
sviluppo degli investimenti fra i due Paesi, anche attraverso la
discussione di specifici progetti di comune interesse.
Crescita sostenibile. Le parti concordano sull’importanza
di conciliare la crescita e lo sviluppo economico con gli obiettivi
globali della transizione energetica ed ecologica, in linea con gli
ambiziosi impegni assunti da entrambe le Nazioni. Intendono a
tal fine incrementare le collaborazioni nel settore delle energie
rinnovabili e delle tecnologie ad esse associate.
Proprietà intellettuale. Le parti riconoscono che la
proprietà intellettuale svolge un ruolo importante per supportare
la competitività delle imprese e i processi di innovazione,
convengono di rafforzare ulteriormente gli scambi e la
cooperazione in tale ambito, con l’obiettivo di fornire servizi più
efficienti e convenienti per le entità innovative nei due paesi e
assicurare la tutela della proprietà intellettuale per le imprese di
entrambe le parti, con particolare attenzione alle esigenze delle
piccole e medie imprese e delle start-up. In questo spirito, le parti
si impegnano ad avviare un meccanismo di dialogo bilaterale fra
le competenti Autorità sul tema della tutela della proprietà
intellettuale, finalizzato alla condivisione di informazioni sulle
rispettive politiche settoriali e migliori pratiche e alla facilitazione
degli scambi riguardo ad eventuali criticità o problematiche di
particolare rilevanza.
Indicazioni geografiche (IG). Le parti esprimono la
volontà di collaborare ulteriormente nel campo delle indicazioni
geografiche, convenendo di rafforzare lo scambio di informazioni
e la cooperazione nel quadro dell’Accordo sulle Indicazioni
Geografiche tra Cina e Unione Europea. Accolgono con favore
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l’adozione di due Protocolli d’Intesa volti a rafforzare la
cooperazione per la tutela delle Indicazioni Geografiche e a
facilitare scambi di informazioni, expertise ed eventi congiunti di
promozione in materia.
E-commerce. Nell’ambito dell’e-commerce fra i due Paesi,
le parti concordano di migliorare ulteriormente le capacità delle
piccole e medie imprese di proporsi nelle piattaforme di ecommerce e promuovere i prodotti nazionali assicurando la
necessaria assistenza alla tutela delle indicazioni geografiche e
della proprietà intellettuale. Le parti sono disposte a rafforzare
ulteriormente il dialogo e la cooperazione nella logistica, al fine
di migliorare la qualità e la tempestività del servizio e
promuovere lo sviluppo dell’E-commerce tra i due Paesi.
Agricoltura. Le parti concordano di approfondire la
cooperazione tra i due Paesi in ambito agricolo, anche favorendo
gli scambi di personale, con particolare attenzione al commercio
agroalimentare, allo sviluppo delle aree rurali, alla ricerca e allo
sviluppo tecnologico. Le parti si impegnano a continuare nel
negoziato dei protocolli per l’esportazione di prodotti
agroalimentari con l’obiettivo di favorire l’accesso dei prodotti al
mercato.
Cooperazione sulla sicurezza alimentare. Le parti
intendono rafforzare gli scambi e la cooperazione sulla
regolamentazione della sicurezza alimentare ed esprimono
apprezzamento per la sottoscrizione del Piano d’Azione (2024-
2026) tra l’Amministrazione Statale per la Regolamentazione del
Mercato della Repubblica Popolare Cinese e il Ministero della
Salute della Repubblica Italiana.
Collaborazione nei mercati terzi. Sulla base del
memorandum d’intesa sulla cooperazione nei mercati terzi
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sottoscritto nel 2018, le parti continueranno a offrire sostegno agli
elenchi di progetti prioritari concordati e a supportare le rispettive
aziende che intendono realizzare progetti di cooperazione in Paesi
terzi.
2. Cooperazione economica e settore finanziario
Le parti sostengono lo svolgimento a rotazione del Dialogo
Finanziario tra i Ministri delle Finanze dei due paesi, intendono
approfondire la comunicazione e la cooperazione nei settori della
politica macroeconomica, della governance globale e delle
finanze, continuando ad ampliare le relazioni economiche e
finanziarie sino-italiane.
Le parti condividono l’interesse a sfruttare appieno il
potenziale di cooperazione in materia di investimenti di
portafoglio e ad incoraggiare varie forme di cooperazione, con
particolare riferimento al commercio, all’industria dei servizi e
alla protezione e sviluppo del patrimonio culturale.
Le parti riconoscono l’importanza della Banca Asiatica di
Investimento per le Infrastrutture (AIIB) e delle altre banche
multilaterali di sviluppo nel sostegno agli investimenti in
infrastrutture e connettività e nella promozione di uno sviluppo
sostenibile.
Le parti sono disposte a sostenere la cooperazione e gli
scambi tra gli istituti di credito e di investimento e del relativo
personale. Nel rispetto dei requisiti legali e relativi regolamenti
di vigilanza dei due Paesi, le parti supportano – a condizione di
reciprocità – la creazione di nuove banche e istituti finanziari e
filiali nei rispettivi Paesi e lo svolgimento delle relative attività.
Finanza verde. Le parti esprimono interesse a rafforzare la
cooperazione finanziaria per accelerare la transizione verde,
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facilitare una maggiore aderenza delle rispettive istituzioni
finanziarie ai principi internazionali per la finanza sostenibile, e
promuovere i finanziamenti delle istituzioni finanziarie
internazionali per il contrasto ai cambiamenti climatici e per
ridurre la perdita di biodiversità, nel quadro dei principi
concordati a livello internazionale e nell’ambito della G20
Sustainable Finance Roadmap.
Supervisione dell’audit. Sulla base del rispetto reciproco
della sovranità e delle rispettive leggi e regolamenti interni, le
parti esploreranno la possibilità di negoziare e firmare accordi
bilaterali di cooperazione per la supervisione dell’audit.
Industria. Le parti attribuiscono grande importanza agli
scambi e alla cooperazione nel settore dell’industria e sono
disponibili ad approfondire la cooperazione nei settori di maggior
rilievo per lo sviluppo dell’economia digitale. Esprimono
apprezzamento per la firma del Memorandum d’intesa sulla
cooperazione industriale tra i due Paesi.
3. Innovazione scientifica e tecnologica, istruzione
Le parti sottolineano l’importanza dell’innovazione
scientifica e tecnologica per promuovere lo sviluppo economico
e sociale e valutano con apprezzamento i risultati della
cooperazione bilaterale nel campo dell’innovazione scientifica e
tecnologica, sostengono lo svolgimento con cadenza annuale
della “Settimana Italia-Cina della Scienza, della Tecnologia e
dell’Innovazione”, anche quale occasione per favorire incontri
regolari tra i Ministri competenti per l’innovazione scientifica e
tecnologica.
Concordano sull’opportunità di rafforzare ulteriormente il
ruolo della Commissione mista Cina-Italia per la cooperazione
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scientifica e tecnologica e la cooperazione nella ricerca congiunta
in aree di comune interesse, oltre che sull’importanza di attuare
progetti di formazione superiore congiunti su specifici ambiti
quali ambiente, energia, ricerca polare e sviluppo sostenibile.
Ricerca scientifica. Le parti intendono continuare a creare
condizioni favorevoli per gli scambi di ricercatori in ambito
scientifico e d’istruzione e a facilitare la nascita di nuove
opportunità per la formazione congiunta di talenti di alto livello e
la ricerca scientifica che coinvolgano le rispettive università e gli
istituti di ricerca. Proseguiranno l’attuazione del Programma
esecutivo fra il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione
Internazionale e il Ministero della Scienza e Tecnologia cinese, e
della Dichiarazione Congiunta per la cooperazione scientifica e
tecnologica fra il Ministero degli Affari Esteri e della
Cooperazione Internazionale e la National Natural Science
Foundation of China (NSFC). Le parti continueranno a
promuovere la cooperazione per la manifattura avanzata, le
tecnologie aeronautiche verdi e altri settori di comune interesse.
Le parti concordano sull’opportunità di rafforzare la
cooperazione in ambito polare, soprattutto nell’area del Mare di
Ross in Antartide dove è situata la Stazione di Ricerca italiana
“Mario Zucchelli” e la Stazione di Ricerca cinese “Qin Ling”.
Le parti intendono continuare a collaborare, tanto in ambito
bilaterale, quanto a livello multilaterale, nel settore “mari e oceani”
e in quello afferente alla protezione della biodiversità.
Spazio. Le parti riconoscono l’importanza della
cooperazione nel campo spaziale, anche per affrontare sfide
globali quali il cambiamento climatico, la protezione dagli
asteroidi e la gestione dei detriti spaziali, e concordano
sull’importanza di confrontarsi in materia con particolare
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riferimento alla collaborazione in atto tra la China National Space
Administration (CNSA) e l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI). Le
parti riconoscono l’importanza del Memorandum d’Intesa sulla
cooperazione per il monitoraggio elettromagnetico del satellite
CSES-02 in vista del lancio nel 2024, e della cooperazione nella
missione di esplorazione degli asteroidi TianWen 2.
Istruzione e rapporti accademici. Le parti concordano di
continuare a rafforzare gli scambi e la cooperazione nel campo
dell’istruzione e della formazione superiore, universitaria e
artistico-musicale, ed esprimono apprezzamento per la firma del
«Programma esecutivo di collaborazione nell’ambito
dell’istruzione tra il Ministero dell’Istruzione Cinese e il
Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale
italiano (2024-2027)». Intendono discutere sull’istituzione del
meccanismo di consultazione periodica tra Ministri
dell’Istruzione, incoraggiano le università dei due Paesi ad
organizzare il Forum dei Rettori delle Università Cina-Italia in
Cina e a rafforzare la cooperazione tra le università dei due Paesi
nella coltivazione di talenti, nella co-organizzazione di corsi
universitari e nella ricerca scientifica congiunta. Concordano di
tenere consultazioni periodiche tra esperti sull’istruzione dei due
Paesi. Sostengono inoltre l’ulteriore espansione degli scambi
reciproci di studenti e studiosi e continueranno a promuovere
l’insegnamento della lingua cinese in Italia e della lingua italiana
in Cina, e a discutere l’introduzione futura dell’italiano negli
esami cinesi. Le parti intendono rafforzare ulteriormente la
cooperazione nel campo dell’istruzione professionale, che
consente di formare tecnici specializzati di alto livello.
4. Sviluppo verde e sostenibile
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Le parti ribadiscono la loro volontà di rafforzare la
cooperazione nell’attuazione della «Convenzione Quadro delle
Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici» e dell’«Accordo di
Parigi», riconoscendo gli ambiziosi obiettivi e le importanti
misure concrete già adottate nei rispettivi Paesi.
Le parti esprimono apprezzamento per lo svolgimento del
primo Global Stocktake alla COP28 di Dubai e ribadiscono
l’obiettivo dell’«Accordo di Parigi» di contenere l’aumento della
temperatura globale ben al di sotto di 2°C rispetto ai livelli
preindustriali e di proseguire gli sforzi per limitare l’aumento
della temperatura a 1.5°C al di sopra dei livelli pre-industriali,
riconoscendo che ciò possa ridurre significativamente i rischi e
gli impatti dei cambiamenti climatici. Nel contempo sottolineano
l’importanza di intraprendere con urgenza azioni di sostegno per
il raggiungimento di tale scopo. A tal fine, le parti concordano di
lavorare insieme per contribuire agli obiettivi globali identificati
al fine di attuare una transizione energetica che consenta di
superare il ricorso ai combustibili fossili giusta, ordinata ed equa,
con particolare attenzione agli sforzi per triplicare l’energia
rinnovabile installata a livello globale e raddoppiare il tasso
medio annuo a livello globale di miglioramento dell’efficienza
energetica entro il 2030.
Le parti concordano di promuovere la cooperazione in settori
quali le politiche e le tecnologie di protezione ambientale, le
materie prime e le tecnologie per l’energia pulita, l’efficienza
energetica, la risposta ai cambiamenti climatici, la conservazione
della biodiversità, l’economia circolare e il capacity-building, e
intendono promuovere congiuntamente la formazione sinoitaliana nell’ambito della protezione dell’ambiente, del contrasto
al cambiamento climatico, dell’abbattimento delle emissioni di
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gas serra e dello sviluppo sostenibile, con particolare attenzione
alle giovani generazioni. Le parti concordano sulla necessità di
continuare ad agire per raggiungere gli obiettivi dell’Agenda 2030
delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile e sono pronte a
cooperare nei relativi settori correlati.
5. Cooperazione medico-sanitaria
Le parti intendono promuovere lo sviluppo di contatti tra gli
istituti di ricerca medica e le organizzazioni professionali
sanitarie dei rispettivi Paesi, nonché a rafforzare gli scambi di
personale e la cooperazione pratica nei settori della prevenzione,
del trattamento e della riabilitazione delle malattie croniche
(come i tumori e le malattie cardiovascolari), della formazione
del personale sanitario, della gestione ospedaliera, della salute
digitale e della telemedicina, della prevenzione e del controllo
delle malattie infettive e della risposta alle emergenze sanitarie,
dell’assistenza sanitaria di base e della medicina generale, nonché
della salute degli anziani.
Le parti intendono rafforzare la cooperazione nell’ambito del
Piano d’azione per la cooperazione sanitaria 2024-2026 e del
“Memorandum di Intesa tra il Ministero della Salute della
Repubblica Italiana e l’Agenzia Italiana del Farmaco e
l’Amministrazione Nazionale dei Prodotti Sanitari della
Repubblica Popolare Cinese sulla collaborazione normativa in
materia di medicinali, dispositivi medici e cosmetici”. Sono
altresì disposte a rafforzare ulteriormente la cooperazione nella
supervisione dei prodotti farmaceutici.
Le parti sostengono il ruolo centrale delle Nazioni Unite e
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità nella salvaguardia
della salute globale e sono pronte a collaborare per promuovere il
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rafforzamento della governance della salute pubblica globale.
6. Rapporti culturali, scambi people-to-people,
patrimonio culturale e collaborazione nel contrasto a
criminalità e nella gestione delle calamità naturali.
Collaborazione culturale. Le due parti convengono
sull’importanza di rafforzare la cooperazione tra le istituzioni
culturali al fine di promuovere la conoscenza reciproca tra le due
civiltà e lo sviluppo di collaborazioni nella creatività
contemporanea. In occasione del 700° anniversario della morte di
Marco Polo, grande promotore della conoscenza reciproca e del
dialogo tra le civiltà italiana e cinese, le parti rinnovano
l’intenzione di dare ulteriore slancio alle relazioni culturali tra le
due Nazioni, dopo il successo dell’Anno della Cultura e del
Turismo Cina-Italia nel 2022. Concordano di lavorare insieme per
accrescere la cooperazione tra musei, siti archeologici, archivi,
teatri d’opera e orchestre sinfoniche, e per sviluppare i rapporti tra
le rispettive accademie d’arte e scuole di musica.
A tal fine, concordano di firmare al più presto un nuovo
protocollo esecutivo della cooperazione culturale tra i due
Governi, che includa anche il settore dell’editoria. Italia e Cina
collaboreranno inoltre alla realizzazione di eventi culturali che
rendano omaggio alla figura di Marco Polo e al suo ruolo nella
storia delle relazioni bilaterali.
Le due parti continueranno a sostenere il ruolo positivo
svolto dal Forum culturale sino-italiano, quale importante
piattaforma di dialogo e cooperazione tra le rispettive istituzioni
culturali e turistiche.
Le parti riconoscono l’importanza della collaborazione nel
campo del cinema-audiovisivo e favoriranno la diffusione delle
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opere cinematografiche e audiovisive della controparte sul
proprio territorio, la partecipazione di artisti ed operatori del
settore ai rispettivi festival del cinema e la collaborazione tra le
due industrie cinematografiche e audiovisive. Concordano inoltre
di accelerare la negoziazione dell’accordo sulle co-produzioni
cinematografiche.
Tutela del patrimonio culturale. Italia e Cina continueranno
a lavorare insieme per intensificare la cooperazione tra musei,
istituti archeologici e siti di patrimonio e altre istituzioni culturali
e museali. Incoraggeranno la cooperazione nei settori della lotta
al traffico illecito di reperti archeologici e del recupero e
restituzione degli stessi, della loro conservazione e restauro, dei
progetti congiunti e della organizzazione di mostre sui
ritrovamenti archeologici.
Si impegnano a promuovere la collaborazione nella tutela e
conservazione del patrimonio culturale materiale e immateriale,
anche attraverso la condivisione di esperienze nel settore
dell’innovazione tecnologica.
Concordano di sviluppare la collaborazione nell’ambito
dell’educazione, della formazione e della ricerca applicata al
patrimonio culturale, favorendo lo scambio di informazioni ed
esperienze nonché organizzando convegni su temi di comune
interesse.
Gemellaggi. Le parti convengono sull’importanza della piena
attuazione del progetto di gemellaggio tra la Cina e l’Italia sui siti
del patrimonio mondiale dell’UNESCO e sono disposte a
promuovere attivamente i gemellaggi tra i siti del Patrimonio
Mondiale dei due Paesi, dando impulso ai nuovi gemellaggi tra il
Palazzo d’Estate di Pechino e Villa Adriana e Villa d’Este a Tivoli,
in Italia, e tra i Giardini Classici di Suzhou e Venezia e la sua
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laguna.
Turismo. Le parti ribadiscono l’importanza del turismo nel
migliorare la comprensione reciproca tra i due popoli e nel
promuovere la ripresa economica post-pandemia. Concordano di
promuovere la crescita sostenibile di alta qualità dei flussi
turistici tra i due Paesi, anche attraverso l’organizzazione di
iniziative di promozione turistica, e la cooperazione tra gli enti e
le industrie del turismo, continuando anche a lavorare,
nell’ambito dei rispettivi quadri normativi, per migliorare
l’efficienza delle procedure in materia di rilascio dei visti.
Nell’ambito delle iniziative finalizzate al rilancio del
turismo, si impegnano a sostenere le rispettive compagnie aeree
al fine di incrementare ulteriormente i collegamenti aerei diretti,
anche attraverso l’ampliamento dei punti di destinazione nei due
Paesi.
Patenti di guida. Le parti confermano il reciproco interesse
a proseguire il negoziato per un accordo sul riconoscimento
reciproco delle patenti di guida.
Sport. La Cina sostiene l’organizzazione da parte dell’Italia
delle Olimpiadi e Paralimpiadi invernali di Milano-Cortina
D’Ampezzo del 2026 e le parti sono disposte a cogliere questa
occasione per approfondire ulteriormente la cooperazione nel
settore sportivo. Incoraggiano in questo contesto i rispettivi
dipartimenti ed organizzazioni sportive a rafforzare i contatti e
sviluppare la loro collaborazione, anche nei preparativi per le
Olimpiadi invernali.
Contrasto a criminalità organizzata. Le parti sono
disposte a rafforzare ulteriormente gli scambi e la cooperazione
nei settori della lotta contro le sostanze stupefacenti, le frodi (sia
nelle telecomunicazioni che in rete), i reati economici e finanziari,
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l’immigrazione clandestina e la criminalità organizzata
transnazionale.
Cooperazione sulla gestione delle calamità. Le due parti
intendono rafforzare la cooperazione nei settori della prevenzione
e mitigazione delle catastrofi e del soccorso in caso di emergenza,
nonché lavorare congiuntamente per migliorare le capacità di
gestione delle catastrofi.
7. Comitato Governativo Cina-Italia
Le parti riconfermano l’importanza del lavoro del Comitato
Governativo Cina-Italia, in raccordo con gli altri meccanismi di
collaborazione e coordinamento bilaterale, ai fini della
realizzazione degli obiettivi previsti dal presente Piano d’azione.

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Complicità, di Andrea Zhok

L’abbraccio di solidarietà di Conte a Speranza, con a fianco una plaudente Elli Schlein, in occasione dell’approvazione della Commissione d’inchiesta sulla gestione pandemica, è una delle scene più ributtanti viste in parlamento da lungo tempo. Un promemoria che ogni voto a sinistra nel presente contesto è un voto non semplicemente buttato, ma a diretto sostegno dell’ipocrisia, della malafede, della peggiore umanità.
Il tema della strategia pandemica è stato soppiantato, come è giusto che sia, da altri problemi più urgenti; e Dio solo sa se di problemi non abbondiamo.
Tuttavia questi personaggi, e chi vi ha dato credito, devono sapere che il senso di ricatto e minaccia vissuto negli anni della pandemia non se ne andrà mai. Quel senso di ricatto e minaccia prodotto dalle stesse “istituzioni democratiche” che avrebbero dovuto tutelare la popolazione e che invece sono state la principale causa di un disastro sanitario senza precedenti.
Lo so che ancora molti, moltissimi, non hanno capito (né voluto capire) cosa sia successo. Se la sono cavata e tanto basta. E adesso che – come ampiamente segnalato a suo tempo – ci troviamo con un servizio sanitario nazionale tracollato e de facto privatizzato, fanno spallucce, e sperano di cavarsela ancora.
Dalla riduzione dei posti letto prima della pandemia, alla mancanza di implementazione di un piano pandemico aggiornato, alla rinuncia forzosa alle terapie domiciliari, al criminale protocollo “tachipirina + vigile attesa”, alle sanzioni ai medici che cercavano di curare, ai lockdown indiscriminati con promesse di ristori risultati ridicoli, all’imposizione indiscriminata e scriteriata di inoculazioni sperimentali, ai ricatti progressivi e crescenti, sul lavoro, sui mezzi pubblici, all’università, per l’accesso agli uffici pubblici, all’omertà indotta sugli effetti avversi, alle campagne di demonizzazione dei renitenti, ai contratti di fornitura secretati, al fiume di soldi pubblici passati direttamente nelle casse delle case farmaceutiche senza toccare il servizio pubblico, tutto questo e molto altro c’è in quell’abbraccio di solidarietà tra complici.
Qualunque sia l’esito della commissione d’inchiesta – rispetto a cui le aspettative non sono alte – sappiate che comunque non dimenticheremo e che alla giustizia, se non a quella giudiziaria almeno a quella storica, arriveremo.

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Sulla crisi politica italiana, di Antonia Colibasanu

Una rappresentazione realistica, a momenti tratteggiata un po’ troppo schematicamente, utile soprattutto a comprendere come viene vista l’Italia dallo sguardo esterno di importanti osservatori geopolitici. Dall’esterno è per altro difficile discernere la realtà delle posizioni politiche dalla accesa retorica della contrapposizione che affligge il sistema politico italiano. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Anche i luoghi più isolati sono preoccupati per l’economia globale.

Durante una conferenza in una scuola estiva europea in Lombardia, in Italia, sulla ricostruzione dell’Europa dopo la crisi, ho visitato Premana. Vicino al Lago di Como, adagiato tra le montagne, è uno dei piccoli paesi dove la strada finisce e il bosco prende il sopravvento. Premana è circondata da pini e castagni che dal fondovalle salgono fino agli alpeggi utilizzati nei mesi estivi. È completamente isolato. La ripida strada per Premana non la collega ad un altro paese ma termina invece nella montagna.

Questo aiuta a spiegare la storia della città. I Celti la insediarono nel 400 aC, poi fu conquistata dai Romani, interessati al suo minerale di ferro, che avrebbero usato per fabbricare armi. Durante la seconda guerra mondiale Premana fu la principale base operativa del movimento partigiano italiano di resistenza contro le forze fasciste della zona. Ma con il passare dei tempi, una cosa rimane la stessa: la geografia protegge i Premanesi dall’esterno. Questo ha permesso loro di diventare dei metalmeccanici piuttosto famosi. Nell’antichità fabbricavano armi. Nella modernità producono forbici, coltelli e tutti i tipi di utensili da taglio.

Ma con ferro e acciaio non più prodotti localmente, né tantomeno prodotti in Europa, del resto, le imprese locali dipendono dalla catena di approvvigionamento globale. Quando ho visitato il più importante produttore di forbici della zona, il problema più urgente dei dirigenti è stato la limitata fornitura di acciaio, insieme all’aumento dei costi energetici. Questa non è una situazione esclusiva di Premana, ovviamente, ma la crisi politica in corso in Italia è destinata a peggiorare le cose.

Populismo

Il crollo del governo di unità nazionale dell’Italia arriva quando la Banca Centrale Europea ha effettuato il suo primo aumento dei tassi di interesse in 11 anni. Come altri stati indebitati della zona euro, l’Italia ha cercato di ridurre la propria vulnerabilità all’aumento dei tassi di interesse e al panico del mercato facendo uso di un credito relativamente a buon mercato per ricostruire la propria economia. Anche nella regione relativamente ricca della vicina Lombardia, le imprese locali stanno approfittando del programma di sussidi statali, che si basa essenzialmente sull’indebitamento statale per finanziare le proprie attività.

La crisi politica ha tutto a che fare con i problemi economici dell’Italia. Il capitolo più recente è iniziato il 14 luglio, quando il Movimento 5 Stelle, membro della coalizione di governo, ha bloccato l’approvazione di una legge intesa a fornire un quadro per i consumatori di energia alle prese con l’aumento dei costi. Il leader del partito Giuseppe Conte ha tenuto in ostaggio il disegno di legge, chiedendo diverse concessioni politiche al presidente del Consiglio Mario Draghi in cambio della collaborazione del suo partito. Draghi ha esitato e, dopo quasi una settimana di discussioni politiche, il governo italiano è crollato il 19 luglio. Ad eccezione del Partito Democratico, tutti i principali partner della coalizione di Draghi hanno snobbato un voto di fiducia al quale aveva chiamato per cercare di porre fine alle divisioni e rinnovare la loro litigiosa alleanza.

Anche se l’Italia è riuscita negli ultimi anni ad allungare le scadenze del debito, la vita media del debito italiano, intorno ai sette anni, è ancora inferiore a quella del 2010 – e solo marginalmente superiore a quella del 2012, quando l’eurozona si è ripresa dal sua crisi del debito. Ciò rende l’Italia relativamente vulnerabile, considerando che non ha ancora raggiunto i livelli di crisi pre-pandemia/2011, rendendola dipendente dalle politiche della BCE e dalla stabilità politica interna. È difficile dire quanto di un aumento dei costi di finanziamento l’Italia possa sopportare in questo ambiente.

La crisi politica, tuttavia, aiuterà i partiti populisti nella loro campagna per le prossime elezioni. Populismo e movimenti anti-establishment possono essere in aumento in tutta Europa, ma l’Italia ne ha già avuto una buona dose. Se il clima socio-economico dei primi anni 2010 ha dato il via a questi partiti, il clima attuale li costringerà a diventare competitivi. Il Movimento 5 Stelle, ad esempio, ha avuto una performance impressionante durante le elezioni del 2018, così come la Lega.

Questi sono i due maggiori partiti anti-establishment ad aver aderito al Pd e a Forza Italia in un governo di unità presieduto da Draghi. Tuttavia, così facendo, hanno offuscato la loro reputazione di linea dura facendo il tipo di compromesso richiesto dalla governance della coalizione. E Fratelli d’Italia, partito di estrema destra anti-establishment guidato da Giorgia Meloni che non si è unito alla coalizione, ne sta raccogliendo i frutti. Fratelli d’Italia è entrato a malapena in parlamento nel 2018 con il solo 4,3% dei voti, ma attualmente controlla circa il 6% dei seggi, mentre nell’ultimo sondaggio vanta il 22,8% di consenso. In confronto, il Movimento 5 Stelle è sceso dal 35,9% delle elezioni del 2018 al 18% del controllo del parlamento, con il 10,8% di sostegno nei sondaggi. La Lega ha mantenuto un controllo del 20 per cento del parlamento, ma il suo sostegno pubblico è sceso al 14%.

Composizione della Camera dei Deputati italiana
(clicca per ingrandire)

Composizione del Senato italiano
(clicca per ingrandire)

Con solo due partiti che navigano appena al di sopra del 20 per cento, Fratelli d’Italia, di impronta antiestablishment e il Partito Democratico, di centrosinistra, è difficile vedere come le prossime elezioni stabilizzeranno il paese a lungo termine, soprattutto perché ci sono così tante questioni urgenti che le parti non possono mettersi d’accordo, nemmeno tra le proprie fila. La Lega e il Movimento 5 Stelle sono stati accusati di sostenere le politiche della Russia in Europa, mentre Fratelli d’Italia ha preso una posizione decisa a favore dell’Ucraina nonostante la sua posizione conservatrice su altre questioni. Fratelli d’Italia è anche generalmente considerato euroscettico, ma ha in qualche modo temperato le sue opinioni, poiché gli italiani sembrano accogliere favorevolmente i fondi dell’UE per la ripresa della pandemia. Anche così, è improbabile che Fratelli d’Italia voglia collaborare con il Partito Democratico di centrosinistra, l’unico partito che detiene apertamente posizioni filo-occidentali.

Pessimismo

C’è, tuttavia, la possibilità che la corsa alle nuove elezioni possa stabilizzare le cose a breve termine. Con il gabinetto di Draghi che diventava sempre più litigioso alla luce delle imminenti elezioni, c’era stata una crescente opposizione a importanti riforme che dovevano essere rinviate. Prima del 19 luglio si è dovuto rimandare tutto a maggio 2023; ora è tutto da tenere sotto controllo fino a fine settembre. Il governo provvisorio dovrebbe essere in grado di farlo e lavorare sul bilancio 2023, che dovrà essere approvato nei prossimi mesi. Se nulla di grave scuoterà l’economia mondiale, l’economia italiana resterà relativamente stabile. E poiché le elezioni potrebbero non portare alla luce una chiara coalizione di governo per un po’, il governo provvisorio potrebbe resistere fino al nuovo anno.

Tuttavia, le persone con cui ho parlato in Lombardia erano pessimiste sul futuro. In quanto regione più prospera d’Italia – e quindi più importante quando si tratta di riscossione delle tasse – la Lombardia spera che i soldi provenienti dal fondo di risanamento della pandemia dell’UE continuino ad arrivare. L’Italia è il principale destinatario del fondo, con 191 miliardi di euro (195 miliardi di dollari) in sovvenzioni e prestiti. La prima tranche di quasi 25 miliardi di euro è stata pagata a maggio, ma la seconda tranche è legata a una serie di riforme che coinvolgono l’economia e la giustizia, oltre al digitale e alle tecnologie verdi. Molte aziende hanno visto l’invio dei fondi per la ripresa dell’UE come un’opportunità per le loro operazioni di sopravvivenza alle complesse sfide economiche che devono affrontare e speravano che il governo di Draghi potesse accelerare le riforme.

Il crollo del governo è visto da molti come un rischio elevato per la capacità dell’Italia di attuare effettivamente le riforme. Ma le montagne che proteggono gran parte della Lombardia possono anche far sì che le imprese qui trascurino il fatto che non è solo l’Italia che potrebbe essere in ritardo per attuare le riforme necessarie; il mondo intero sta lottando per comprendere le sfide poste dalle attuali realtà economiche. È naturale che gli Stati membri dell’UE debbano lottare con le riforme stabilite nei piani di ripresa post-pandemia; qualcosa che potrebbe innescare sfide e modifiche all’interno delle regole dell’UE, comprese quelle relative al debito e alla spesa. Resta da vedere se tali cambiamenti indeboliranno o rafforzeranno l’UE.

https://geopoliticalfutures.com/on-italys-political-crisis/

LA DIS-INTEGRAZIONE DELLE STELLE, di Teodoro Klitsche de la Grange

LA DIS-INTEGRAZIONE DELLE STELLE

Le ultime vicende del Movimento 5 stelle, ridotto, da quel che risulta, a meno di un quarto dei suffragi conseguiti nel 2018 e afflitto da una continua emorragia di parlamentari (ormai rimasti a circa la metà degli eletti alle ultime politiche) in tutte le forme (dimissioni, scissioni, allontanamenti, ecc.), induce a fare qualche considerazione, che non ha l’ambizione di essere esauriente, ma piuttosto di evidenziarne (qualche) concausa. Questo partendo da alcune regolarità e costanti della politica. A cominciare da Machiavelli, il quale, nel Principe, scrive delle difficoltà dei principi “nuovi”, che più per fortuna che per virtù hanno ottenuto il potere “non sanno e non possano tenere quel grado: non sanno, perché, se non è uomo di grande ingegno e virtù, non è ragionevole che, sendo sempre vissuto in privata fortuna, sappi comandare; non possano, perché non hanno forze che gli possino essere amiche e fedeli”. E che i governanti 5 Stelle fossero degli inesperti era vanto degli stessi ed occasione d’ironia dei loro (tanti) avversari. Parimenti è vero che nella loro ascesa al potere vi sia stata più fortuna che virtù, perché insistere sulla crisi che attanagliava e attanaglia l’Italia, governata da una classe dirigente decadente, è facile: si attacca chi è poco difendibile.

La lunga serie di “no” esibiti dal movimento prima del 2018 era corroborato dalla contraria opinione e pratica delle élite, le quali né autorevoli né legittime proprio per tali loro qualità asseveravano a contrario i “no”, spesso contraddittori o ingiustificati, dei grillini. Ma tale vantaggio è venuto meno – più che altro si è ridotto – una volta andati al governo: la necessità di scelte ha costretto a ridimensionare radicalmente il dissenso, e quindi il consenso che ne conseguiva.

Ma in particolare occorre valutare il giudizio di Machiavelli sulla “forze amiche e fedeli” che (non) sostengono il principe nuovo (e “fortunato”). Il genio di Machiavelli individua così i limiti dei politici – e governanti – improvvisati, spinti su dalle circostanze, più che da una reale capacità e applicazione, nell’ “inesperienza” e nella mancanza di “seguito” da intendersi nel senso weberiano del rapporto tra capo e “fedeli” (“forze amiche e fedeli”)”.

E tra le forze amiche e fedeli occorre distinguere due categorie: gli aiutanti, cioè i collaboratori del vertice politico, e gli elettori. All’uopo può servire quanto sosteneva, per gli Stati, ma applicabile (in larga parte) a tutti i gruppi politici, un acuto giurista come Rudolf Smend. Questi sosteneva “l’integrazione è un processo di vita fondamentale per ogni formazione sociale nel senso più lato. Questa, in prima analisi, consiste nella produzione o formazione di unità o totalità a partire dagli elementi singoli, cosicché l’unità ottenuta è qualcosa di più della somma delle parti unificate”, ogni gruppo politico realizza necessariamente attraverso l’unione delle volontà dei componenti, l’integrazione; la quale, secondo Smend, può distinguersi in materiale, funzionale o personale; e in genere è, in proporzione diversa tra loro, tutte e tre le cose insieme. Se si riscontra la rilevanza e l’esistenza delle suddette forme d’integrazione nel M5S, se ne avverte la carenza.

L’integrazione personale è quella suscitata dalla forte considerazione della personalità del capo. Ma a concedere che il capo fosse uno (è dubbio) è chiaro che il M5S ne ha cambiati diversi, da Casaleggio a Di Maio, da Crimi (??) a Conte. Fermo sullo sfondo Grillo.

Al contrario di Forza Italia, fondata sul forte (un tempo) richiamo aggregante di Berlusconi e della sua storia di successo, nessuno dei “capi” 5S ha costituito un forte elemento di integrazione personale.

Né è migliore l’impressione che si può ricavare dall’integrazione funzionale, la quale consiste nelle attività e procedure di partecipazione alla decisione – e alla direzione – politica: elezioni, referendum, congressi, manifestazioni, assemblee “Nella vita di ogni struttura le procedure di decisione e discussione sono – come scriveva Smend – prevalentemente indirizzate alla formazione della volontà comune: così il gruppo realizza la propria unità come unità di volontà, indirizzata a scopi comuni… la partecipazione, anche meramente consultiva, al processo decisionale permette sia di sondare gli umori della base sia, soprattutto, di coinvolgerla nella decisione e nell’azione”. Nei partiti “tradizionali” con prevalente organizzazione territoriale (per lo più a carattere democratico) sono l’elezione dei dirigenti e la discussione nei vari organi a rivestire il ruolo maggiore.

Nel movimento si è parlato spesso di piattaforma digitale, d’iscritti, , ma a parte la non chiarezza del tutto, è sicuro che:

  1. a) le procedure suddette sono da millenni di competenza di assemblee: dall’Agorà ateniese ai Soviet della rivoluzione d’ottobre, a decidere era un insieme di partecipanti riunito collettivamente, e non un singolo davanti ad un computer.
  2. b) Per quanto ci riguarda c’è l’interrogativo: può produrre – e quanta – integrazione nel gruppo un iscritto che a casa sua decida se Caio deve fare il Ministro e Sempronio l’assessore? Probabilmente se il giudizio è rispettato qualche effetto integrativo lo può avere, ma assai modesto rispetto alla decisione in praesentia. In secondo luogo diverse sentenze hanno giudicato non democratiche o poco democratiche norme e pratiche interne del M5S. Non è il caso di insistervi, ma occorre prenderne atto.

Infine l’integrazione materiale, intesa come fede comune in determinate idee e valori, in una visione condivisa del mondo. Ma il cartello di “no” del M5S serviva bene ad identificare il nemico ma assai male a fidelizzare l’amico. Oltretutto una volta al governo è stato costretto a compiere scelte destinate a scontentare parte dei “no”. Ancor più se a partire dal governo Conte bis, il M5S si alleava col PD, maggiore espressione dell’establishment destinatario dei “no”.

Se è vero quanto scriveva Smend, che l’unità politica è un processo, un divenire dinamico (Schmitt) realizzata in un’unione di volontà, non c’è da stupirsi che l’unione di volontà non vi sia né tra vertice e base né all’interno del vertice. Con la conseguenza di scissioni, dimissioni, ecc. Dei vecchi partiti ideologici della Prima Repubblica si è detto tutto il male possibile (e anche di più) ma fenomeni di decomposizione erano eccezionali e limitati per lo più a reali differenze ideali e politiche, come quelle tra seconda e terza internazionale.

Ma se il “collante” delle idee è tenue o inesistente, l’unione di volontà non si realizza o se si realizza lo è in modo debole e transitorio. Non era solo la disciplina a generare il partito “classico”, fino all’ “Ordine dei Portaspada” di Stalin, ma ancor di più la comunanza di ideali (ed obiettivi).

Attorno a quel che resta del M5S si aggirano i (soliti) megafoni delle élite. Con la logica che li contraddistingue qualcuno proclama la crisi del populismo basandosi sull’equazione Populista=M5S ergo crisi dei M5S=crisi dei populisti. Dimenticando che, a parte quel che succede all’estero, dal 2018 (al più tardi) l’elettorato anti establishment italiano è largamente e costantemente superiore al 50% dei suffragi espressi e che la crisi del M5S non ha giovato ai partiti di regime (PD in primis) ma ha solo trasferito gran parte dell’elettorato anti-élite ad altri due partiti anti-establishment come la Lega e FdI.

Onde il calo del M5S non è dovuto al tramonto del populismo, ma, in larga parte, al dissolversi dell’ “unione di volontà” tra vertice e base elettorale e l’evaporazione a tous azimouts dell’(irrisolta e tenue) identità del movimento.

Teodoro Klitsche de la Grange

 

 

LA TEMPESTA PERFETTA, di Marco Giuliani

LA TEMPESTA PERFETTA

Debito pubblico, inflazione, guerra: Draghi a casa, la parola ora passerà ai cittadini

 

Come era prevedibile, non da ora, Draghi è andato K.O. dopo una strisciante instabilità provocata da una serie di politiche improvvide, avventate, telecomandate sovente da Biden e dai falchi sparsi presso le sedi Nato e UE. Ma soprattutto, dopo aver relegato in secondo piano gli interessi di tutti quegli italiani, quelle imprese e quei soggetti più deboli (come i giovanissimi e gli anziani) che non riescono più a sopportare i contraccolpi di una crisi sistemica e di un potere d’acquisto che è crollato di almeno il 20%. La stessa percentuale dell’aumento dei beni primari, degli alimenti, dei carburanti e persino – udite udite – dei prodotti per gli animali. Una tendenza, per fortuna al momento in stand-by, che ha portato l’Italia sull’orlo dell’autoflagellazione economica. Una tempesta perfetta.

Ma qual è stata la condizione scatenante il crollo del governo dopo giorni di fibrillazioni, malumori e la spinta di un’inflazione galoppante che, come mezzo secolo fa, era il tempo della Guerra dello Yom-Kippur, sta poco a poco raggiungendo il 10% in termini percentuali? Certo la pandemia, certo la crisi internazionale, ma in primo luogo è stata la diplomazia italiana a sacrificare i bisogni della sua popolazione pur di obbedire agli ordini di Washington e di Bruxelles, le quali hanno scelto una politica iperaggressiva verso tutti quei paesi – in primis la Russia e la Cina – che ritengono estranei al loro sistema, al loro universo moralista e alla presunta superiorità ideale fondata esclusivamente su una mitologia costruita a tavolino in nome del liberismo più smaccato e globalizzante. Draghi e il suo esecutivo hanno scelto la guerra, non la pace. E lo hanno fatto all’insegna del “costi quel che costi”, spendendo miliardi e miliardi in armi, inasprendo sanzioni che agli Usa fanno il solletico e per cui l’unica vittima, ahimè, è divenuta la stessa Europa. Ne sa qualcosa la Germania, anche Lei ai limiti della crisi strutturale. Si è giunti a tanto, si suppone (ma è una supposizione più che fondata), per tutta una serie di interessi che nulla hanno a che fare con i doveri e i diritti di chi questo governo aveva l’onere di rappresentare e tutelare.

Draghi è un uomo-Nato, un uomo-Usa, e benché forte di un Parlamento sino a poche ore fa asservito tout-court e di un sistema mediatico (in buona parte di proprietà degli Agnelli-Elkann) per il 90% letteralmente prono ai capricci dell’esecutivo, non era nel modo più assoluto in grado di amministrare il soggetto Italia in un momento del genere. Perché un paese, ricordiamo ancora, fondamentalmente pacifista, ha urgente necessità di riforme che affrontino i temi sociali, l’evasione fiscale, la malasanità, i problemi della ricerca, della scuola e delle università, non soltanto i tornaconti di chi vuole mettere in un angolo le cosiddette “grandi autocrazie” planetarie per assorbirle negli ingranaggi delle proprie regole.

Il Parlamento italiano, ridotto ormai a un ufficio di ratifica e timbri, da almeno due anni a questa parte non ha rappresentato affatto la maggioranza dei cittadini e ciò per cui i partiti e i suoi delegati, dopo il 2019, NON vennero scelti. Ha preferito, Pd in testa, spendere soldi per acquistare missili Stinger da spedire agli ucraini anziché investire per risanare le strutture ospedaliere più malandate del Meridione. Ha fatto le veci NON del piccolo artigiano che rischia di fallire perché non riesce a sostenere i costi della sua impresa, dell’operaio in cassa integrazione con famiglia o dei lavoratori costretti a dimezzare la spesa al supermercato perché i prezzi lievitano, ma si è preoccupato di far tacere il dissenso, della moneta unica, dei grandi gruppi di potere, dei mezzi di produzione militare, dei diktat imposti da Bruxelles e dalla Casa Bianca. Mostrando, al cospetto della crisi, la stessa sensibilità di un elefante dentro un negozio di vetri di Murano. D’altra parte, chi proviene dalle scuole della Federal Reserve e della Goldman Sachs, come avrebbe potuto? Come sarebbe stato possibile trasformare i grandi banchieri da tecnici regolatori del capitalismo in gestori politici di crisi che loro stessi – per tenere il passo con i sistemi monetari intercontinentali – contribuirono a generare? Ma tu vagli a spiegare che non è il caso, se Dio vuole, di comprare materiali energetici da altri dittatori pagandoli il doppio, pur di fare un torto a Putin e obbedire agli ordini di nonno Biden.

Per fermare lo scempio della guerra ibrida intrapresa da Palazzo Chigi non sono bastati neanche, cosa sino a poco tempo fa impensabile, gli appelli disperati di un Papa che anzi, è stato ridicolizzato (e talvolta vilipeso) a mezzo stampa dai megafoni stonati degli atlantisti nostrani più agguerriti. Gli stessi personaggi – scrivani, portaborse e burocrati strampalati – che hanno contribuito a escludere i cittadini russi, in quanto russi, dalle manifestazioni musicali, culturali e sportive. Già, lo sport; il valore più sano (insieme allo studio) che una società liberale e moderna dovrebbe trasmettere alla sua comunità, ma che invece è stato vilmente utilizzato per creare nuovi motivi di scontro interculturale e politico. Il tutto, all’insegna del quod bellum iustum est.

Non sarebbero certo bastati (vero, Draghi?) un paio di bonus da 200 € per risolvere in modo strutturale una serie di gravissime falle di sistema provocate da quarant’anni di malagestione della cosa pubblica. Non è il caso di aggiungere altro. Ora si ricomincia, palla al centro.

 

MG

 

BIBLIOGRAFIA & SITOGRAFIA

 

Army Command and General Staff College,  Fort Leavenworth, Kansas, 1996 –

G.W. Gawrich, The 1973 Arab-Israeli War. The Albatross of Decisive Victory, Combat Studies Institute, U.S.

Sky TG24, edizione del 21/07/2022 –

Televideo Rai del 21/07/2022, pp. 120-130 –

www.manageritalia.it

www.ilpensierostorico.com

 

 

 

 

 

“NON CE NE SIAMO DIMENTICATI”. Sul discorso del presidente Putin del 27 aprile 2022, di Roberto Buffagni

NON CE NE SIAMO DIMENTICATI”. Sul discorso del presidente Putin del 27 aprile 2022.

 

Il discorso del presidente Putin al “Consiglio dei legislatori” del 27 aprile1 segue immediatamente le dichiarazioni del Ministro della Difesa e del Segretario di Stato americani a Kiev2, che individuano come obiettivo strategico “rendere la Russia incapace di ripetere un’aggressione come quella all’Ucraina“; e la riunione della NATO a Ramstein, con le dichiarazioni del presidente Biden, secondo il quale ci troviamo in un frangente storico analogo al crollo dell’URSS3.

Le dichiarazioni ufficiali americane chiariscono che l’obiettivo strategico statunitense è la distruzione dell’integrità politico-territoriale della Russia, una frammentazione della Federazione russa sul modello jugoslavo analoga a quella che seguì il collasso dell’URSS. Infatti, solo così è possibile “rendere la Russia incapace di ripetere un’aggressione come quella all’Ucraina“. Finché la Russia resta politicamente coesa, essa resterà una grande potenza, che sarà SEMPRE in grado di muovere guerra ad altri paesi. Non lo sarebbe più soltanto quando fosse disgregata in entità politiche troppo piccole e deboli per designare autonomamente un nemico.

Ovviamente, su questa base è assolutamente impossibile ogni trattativa tra Ucraina e Russia, tra paesi occidentali e Russia. Le dichiarazioni ufficiali americane risultano infatti in una chiara minaccia esistenziale per la Russia.

Il discorso del Presidente Putin ne prende atto, e reagisce con fermezza, chiarendo che la Russia è disposta a opporvisi con tutti i mezzi a sua disposizione, e si richiama all’esperienza storica del suo paese:

Non abbiamo dimenticato i barbari piani dei nazisti per il popolo sovietico: scacciarlo. Ricordate, vero? Volevano costringere chi ne fosse in grado a lavorare come schiavi, a fare un lavoro servile, costretti in schiavitù. Chi venisse ritenuto superfluo, andava inviato oltre gli Urali o al Nord, per estinguervisi. Questo progetto è documentato, documentato storicamente. Noi non ce ne siamo dimenticati.

Ricordiamo anche come gli stati occidentali hanno incoraggiato terroristi e criminali nel Caucaso settentrionale nei primi anni ’90 e 2000, come hanno sfruttato i problemi del nostro passato, problemi reali, ingiustizie del passato nei confronti di interi popoli, compresi i popoli del Caucaso. Ma non lo hanno fatto per renderci migliori, nient’affatto. Hanno fatto tutto questo per riportare nel nostro presente i problemi del passato, per incoraggiare atteggiamenti separatisti nel nostro paese, e finalmente dividerlo e distruggerlo. Ecco perché hanno fatto tutto questo. Volevano ricacciarci nell’arretratezza. Molti hanno cercato di fare lo stesso con la Russia, in tutte le epoche.

[…] “Consentitemi di sottolinearlo ancora una volta: se qualcuno intende intervenire dall’esterno e creare una minaccia strategica per la Russia per noi inaccettabile, deve sapere che i nostri attacchi di rappresaglia saranno fulminei. Ne abbiamo gli strumenti, strumenti di cui nessun altro, oggi, può disporre. Non ci limiteremo a minacciare; li useremo, se necessario. E voglio che tutti lo sappiano: tutte le decisioni necessarie, su questo punto, sono già state prese.”

Da quanto sopra risulta che la Russia si dispone a combattere con tutte le sue forze per la propria sopravvivenza, e che è pronta a compiere gli stessi – spaventosi – sacrifici che l’hanno salvata dalla distruzione sia nella Seconda Guerra Mondiale (27 milioni di morti), sia nel più lontano passato, ad esempio contro l’invasione delle forze di coalizione europee guidate dalla Francia napoleonica.

Il 30 maggio 1962, alla Camera dei Lord, il Maresciallo Bernard Montgomery, Viscount El Alamein, disse: “Rule 1, on page 1 of the book of war, is: ‘Do not march on Moscow’.

L’Italia sta per partecipare a una guerra che si propone lo scopo di distruggere la Russia senza darsi neppure la pena di dibatterne in Parlamento. Per il bene dell’Italia, è necessario che tutti gli italiani protestino con la massima fermezza, in tutti i modi possibili e legali, contro questa decisione politica che coinvolge loro e i loro figli in una avventura bellica sciagurata.

2 “We want to see Russia weakened to the point where it can’t do things like invade Ukraine.” (Ministro della Difesa Austin) https://www.pbs.org/newshour/world/blinken-austin-return-from-visit-to-ukraine-say-russia-is-failing-in-war-efforts

Mario Draghi, la parabola di un funzionario_di Giuseppe Germinario

Per oltre un anno hanno invocato l’arrivo del redentore a rimedio dello sfacelo provocato con tanta buona volontà da Conte e dai suoi apostoli.

Il suo annuncio aveva sollevato gli animi dell’universo, o quasi, dei peccatori dal cuore fibrillante e penitente.

Il comun sentire suggeriva che il suo prestigio, le sue entrature nel ristretto mondo dei veri decisori avrebbero riportato all’istante il Bel Paese nel cerchio magico dei forgiatori dei destini del mondo; se non proprio tra i commensali, almeno nella stanza di servizio, quella adibita ai sussurri e alle suppliche con qualche fondata speranza di essere accolti.

Il suo avvento trionfale, la sua acclamazione simboleggiava la realizzazione sorprendente, quasi miracolistica, delle aspettative unanimi, ma sino all’attimo precedente discordanti. Un branco di animali rissosi ricondotti dal buon pastore docilmente all’ovile come pecorelle smarrite, pur con qualche bizza bonariamente tollerata per dar sfogo ad intemperanze e smarrimenti identitari. Persino le rade pecorelle rimaste fuori dal recinto a brucare in solitudine i cespugli selvatici non riescono a sfuggire all’attrazione, pronte a seguire sia pure a distanza l’itinerario tracciato dal guardiano.

Lo hanno ritenuto, ancora in parte lo ritengono, il Grande Timoniere in grado di riparare la nave e condurla nel porto più sicuro con tutti gli onori e qualche onere. Si sta rivelando rapidamente in realtà il timone dalla rotta rigidamente prestabilita dal timone automatico, guidato da un software nemmeno tanto sofisticato e flessibile; più prosaicamente una ruota da timone trafitta e bloccata nella direzione da una barra a prescindere dai flutti, dagli ostacoli e dalle correnti.

Sulle doti di coraggio ed intraprendenza del sedicente timoniere è sufficiente la narrazione espressa dalla immagine; non ci sarebbe molto altro di sostanziale da aggiungere.

Sul punto di arrivo della sua missione questa redazione non ha nutrito il minimo dubbio; altrettanto sulla rotta e gli strumenti che avrebbe utilizzato per raggiungerlo. Qualche spiraglio il sottoscritto, dimentico delle stilettate del buon Cossiga, aveva lasciato aperto sulla capacità e possibilità del capitano, o sedicente tale, di rappezzare la nave ed ammorbidire quantomeno le modalità di espressione della propria fedeltà.

Su questo al contrario Mario Draghi ha rivelato nei vari ambiti, piuttosto, i limiti e gli impacci propri di un grigio travèt piuttosto che la sagacia e l’intraprendenza di un condottiero.

Osserviamo nel più ampio spettro possibile le modalità, le finalità e gli strumenti di azione adottati dal nostro in questi quattordici mesi di governo.

Nelle dinamiche geopolitiche europee Mario Draghi è una delle pedine, nemmeno la più importante, certamente una delle più solerti, che deve assolvere al compito di neutralizzare e ricondurre al verbo atlantista le pulsioni autonome, per quanto timide e dettate dalla situazione politica interna piuttosto che dalle ambizioni del ceto politico al governo, di Francia e Germania; deve inoltre coordinare e guidare in questo senso l’azione dei paesi mediterranei, in particolare di Portogallo, Spagna e Grecia. La recente conferenza congiunta con questi paesi mediterranei e la fretta con la quale si vorrebbe giungere alla costituzione dell’esercito europeo, a prescindere dalla costruzione di un complesso industriale, logistico e di comunicazione militare adeguati sono l’indizio di questa intenzione. In questo Mario Draghi, di suo, ha contribuito ad accentuare lo straniamento dell’Italia dalle vicende della Libia, così cruciali per il nostro paese; ha azzerato ogni ruolo di possibile mediazione nel conflitto russo-ucraino esponendosi platealmente più di altri europei, in compagnia di paesi baltici, Svezia, Polonia e Gran Bretagna, il pieno e fattivo sostegno al governo dell’attore nel pieno delle sue funzioni, Zelensky. Analogo fervore e coerenza ha dimostrato nell’applicare la politica di sanzioni alla Russia, in questo superando nella solerzia addirittura Stati Uniti e Gran Bretagna in diversi ambiti; ha rivelato il proprio zelo rusticano, in questo assecondato egregiamente dal valletto Giggino e dal curiale Enrico, apostrofando fuori tempo massimo Erdogan e continuando nella fustigazione personale di Putin. Ha ricevuto in cambio il riconoscimento di Zelensky a che l’Italia sieda in buona compagnia con i peggiori fomentatori al tavolo come garante della futura neutralità ucraina. Un riconoscimento che sa di polpetta avvelenata in caso di accordo solo parziale con i russi sulle nuove frontiere e sullo status ucraino; comunque l’ennesimo impegno dell’Italia in uno scacchiere lontano dai suoi effettivi interessi strategici. Lo ha attraversato sorprendentemente un piccolo sussulto, chiedendo sommessamente ai propri superiori considerazione per la particolare dipendenza del paese dal gas e dal petrolio russi. Una preghiera durata il lasso di un respiro; giusto il tempo di un paio di articoli minatori di richiamo personale apparsi sulla stampa americana. Per il resto Supermario ci sta abituando soavemente e surrettiziamente, con gelida nonchalance, all’inevitabilità di un conflitto armato con la Russia o in alternativa di una politica sanzionatoria foriera di austerità e soprattutto di drammatico dissesto economico e sociale di un paese già colpito dalla furia catastrofista che ha pervaso la crisi pandemica e l’approccio ambientalista.

Ben inteso il nostro ha saputo servire il calice amaro con argomenti insolitamente “sovranisti” per un uomo nutrito di valori agli antipodi. Sulle scelte energetiche ha riesumato il termine di “indipendenza”, ma solo per specificare che trattasi di indipendenza dalla Russia ed omettere il fatto che si arriverebbe in realtà a dipendere ulteriormente da una cerchia più ristretta di fornitori altrettanto e più rapaci, a cominciare dagli Stati Uniti; ha ripescato il termine diversificazione, un ossimoro per un globalista di tal fatta, quando in realtà l’eliminazione di un fornitore così importante conduce sulla strada opposta e per di più pescando in aree geopolitiche particolarmente instabili nelle quali l’Italia per altro riveste un ruolo del tutto insignificante.

I recenti viaggi in Algeria e in altri due paesi africani sono poco più di una cortina fumogena tesa a nascondere l’inattendibilità delle quantità di forniture promesse, per altro ridotte rispetto al fabbisogno nazionale e la divaricazione dei tempi rispetto all’urgenza imposta dalla propria sudditanza geopolitica agli statunitensi. L’Algeria, come è noto, paese per altro instabile politicamente, dispone di riserve in via di esaurimento rispetto alle potenzialità di altri paesi e soprattutto contese da numerosi concorrenti altrettanto assetati e meglio bardati. Riguardo alle forniture di GLN è sufficiente lanciare uno sguardo distratto sui costi esorbitanti di estrazione e di gestione delle infrastrutture di trasporto ed immissione per farsi un idea del dissesto a cui stiamo andando rapidamente incontro. Se a questo si aggiunge il furore dogmatico con il quale si è puntato sulla produzione di energia da fonti rinnovabili con tecnologie ancora sperimentali, comunque in buona misura inquinanti e non in grado di garantire continuità di fornitura e sostituibilità significativa delle fonti fossili, ecco che la strada verso il dissesto e la decrescita infelice è ormai ripida ed inarrestabile ovviamente coperta dall’aura della fedeltà europeista e del miraggio di un mondo bucolico scevro da fonti fossili e da energia nucleare della quale l’Italia deteneva sino a pochi decenni fa ottime capacità tecnologiche. Non solo ripida ed inarrestabile, anche di fatto irreversibile, almeno per lunghi lustri, data la mole e i tempi di attuazione richiesti dagli investimenti per dirottare i flussi verso sbocchi alternativi.

Come al solito, per leggere correttamente i termini della questione posti in Italia, bisogna curiosare sulla stampa e negli ambienti diplomatici all’estero. Nella fattispecie ci ha pensato l’ineffabile Victoria Nuland, rediviva sottosegretaria di stato statunitense, da sempre impegnata a fomentare il bellicismo e a coltivare i propri affari in Ucraina, a mettere nero su bianco i puntini sulle “i”. Raccomandiamo i lettori di scrutare attentamente la sua recente intervista sul quotidiano greco ekathimerinhttp://italiaeilmondo.com/2022/04/17/victoria-nuland-in-k-si-al-gnl-no-agli-oleodotti-nel-mediterraneo/

disponibile su questo nostro link assieme ad altri articoli importanti sull’argomento, in particolare per quanto dice su “Eastmed”. Ne risulta in sintesi la assoluta irrilevanza e scontata accondiscendenza dell’Italia rispetto alle priorità statunitensi rivolte alla Turchia, alla Germania, all’Europa Orientale e Settentrionale, giunte sino all’estremo sacrificio economico e strutturale del nostro paese.

Lungi dal porgere il petto in nome dell’interesse nazionale, il nostro se l’è cavata con un laconico ed inquietante “se ne può discutere”.

Tutto sommato, però, visti gli antefatti e il suo passato, in questi ambiti non ci si sarebbe potuto aspettare niente di diverso da quest’uomo, se non qualche asprezza ed qualche impaccio di troppo.

La vera sorpresa, mi si perdoni l’enfasi, riguarda e riguarderà ancor più in futuro i due piani operativi per i quali il nostro è stato invocato ed accolto trionfalmente: la gestione della crisi pandemica e la realizzazione del PNRR.

Una sorpresa particolarmente amara per il nostro paese e promettente per lui.

Segno che i destini di successo, gloria e riconoscenza personali non coincidono necessariamente con quelli del paese al quale presuntivamente si appartiene. Nella fattispecie tutto lascia intendere che siano inversamente proporzionali.

LA CRISI PANDEMICA

La conferma di personaggi a dir poco così improbabili, come il ministro Speranza e il commissario Arcuri, figli prediletti del cerchio magico, ormai decadente, direi penoso di Massimo Dalema, non lasciava presagire nulla di buono. La nomina del Generale Figliuolo è stato il vero colpo d’ala nella gestione della pandemia; ne ha rivelato nel tempo i limiti circoscritti e nel contempo indiscriminati dell’azione antipandemica rispetto ad altre finalità inconfessabili di manipolazione e controllo della società emerse via via in maniera sempre più evidente. Un baraccone costruito in realtà su un unico e rischioso obbiettivo, proprio per la sua unilateralità e preclusione di alternative ed interventi complementari: la vaccinazione di massa. Un rimedio dagli effetti annunciati miracolosi, in realtà solo parzialmente efficace. Una costruzione che in qualche maniera ha retto mediaticamente; che continuerà a reggere, anche se in maniera sempre più precaria, almeno sino a quando non saranno disponibili ed effettivamente di pubblico dominio i risultati esposti nelle 55.000 (cinquantacinquemila) pagine del documento appositamente prodotto dalla apposita Commissione, istituita ovviamente dal Congresso Americano.

Sta di fatto che la campagna vaccinale è riuscita soprattutto a nascondere l’incapacità e la aleatoria volontà di Governo e pubblica amministrazione ad agire selettivamente secondo categorie ed aree diversificate di rischio, con uno spettro ben più ampio di interventi seguendo un approccio multirischio più flessibile ed articolato, ma decisamente meno invasivo.

Ne abbiamo parlato e scritto più volte in questo sito sin dai primi giorni della crisi pandemica.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti e lo sarà ancora di più nel futuro prossimo: il dissesto e la precarizzazione di interi settori economici e intere categorie sociali; la gestione inquietante, manipolatoria e totalitaria dell’informazione e dei provvedimenti, strumentale ad altri fini di potere e controllo, così lesta ad essere attribuita e additata a paesi come la Cina, ma negletta in casa propria.

Da qui la vergognosa caccia all’untore, sostenuta e alimentata dall’intero sistema mediatico, ai danni di qualsiasi voce critica, a prescindere dalla fondatezza degli argomenti, le aperte e protratte discriminazioni tese a nascondere e a sopperire alla inefficacia e controproducenza di provvedimenti generalizzati di chiusura e limitazione e al prevedibile saccheggio di risorse del quale si incomincia ad intravedere ormai la reale dimensione. I risultati sono sotto gli occhi di tutti, almeno per chi vuol vedere. La stessa diffusione e patogenicità, letalità del virus non ha subito limitazioni rispetto a paesi dalle politiche più lassiste e flessibili.

Il sospetto, più che fondato, è che la crisi pandemica sia stata nel tempo l’occasione e il pretesto per sperimentare ed introdurre modalità e tecniche di manipolazione proprie di una condizione conflittuale e bellicista più generale e complessa, propria di una fase multipolare della quale gli Stati Uniti faticano e non intendono prendere atto. In questo contesto si inserisce ancora una volta l’azione specie mediatica, particolarmente maldestra, del nostro Supermario entro un baraccone mediatico parossistico, costruito con lo strepitìo di affermazioni e controaffermazioni dallo scarso fondamento scientifico e logico.

IL PNRR

Anche del PNRR abbiamo scritto con dovizia, almeno sino ad un anno fa. L’argomento avrebbe meritato ben altra attenzione nel tempo sia perché è stato il principale cavallo di battaglia che ha consentito l’ingresso di Mario Draghi nell’agone politico, sia per le grandi aspettative di sviluppo e riorganizzazione socioeconomica create ad arte intorno ad esso, sia per le finalità reali, ma celate, per le quali in realtà è stato rifilato, agognato e varato. Anche noi, purtroppo, a causa soprattutto della scarsità di forze disponibili, siamo caduti nella trappola della univocità dei temi imposti in questi ultimi due anni, nella fattispecie la crisi pandemica, dal quale è scaturito per altro il PNRR e la crisi poi del conflitto in Ucraina.

Dubbi perniciosi sulla effettiva efficacia del piano, almeno rispetto agli obbiettivi conclamati, iniziano ad insinuarsi anche in settori cruciali dell’establishment e dei centri amministrativi.

Altrettanto preoccupati, iniziano ad emergere giudici sulla organicità del piano, sulla definizione delle priorità e delle finalità, sull’approccio unilaterale che ignora i fattori multirischio che ne potrebbero inficiare l’esito, sulla capacità di realizzazione dei progetti da parte della macchina amministrativa, specie degli enti locali e sulla effettiva consistenza aggiuntiva dei fondi rispetto ai programmi di spesa di investimento previsti e non attuati in questi ultimi decenni.

Sono nodi dai quali il nostro Supermario riuscirà probabilmente a sfuggire, non sappiamo ancora con quale eleganza, visti i tempi di realizzazione previsti dal PNRR e vista la fretta sempre più evidente del nostro nel cercare gratificazioni alternative, possibilmenteal di fuori di questo “pauvre pays”; così povero, ma così irriconoscenteverso i propri geni.

Non è possibile in questo articolo ritornare analiticamente sulle varie parti del PNRR, né sono in grado al momento di affrontare nei dettagli le caratteristiche del piano.

È possibile comunque ribadire alcuni giudizi di fondo, già espressi per altro con più autorevolezza, ma con eccessiva cautela, da fonti ben più accreditate.

https://www.radioradicale.it/scheda/660186/pnrr-e-fondi-strutturali-2021-2027-il-paese-alla-prova-dellintegrazione-per-evitare-lo

https://www.radioradicale.it/scheda/661208/pnrr-scelte-di-sistema-per-la-ripartenza-scenari-e-valutazioni-sugli-strumenti

  • I fondi sono in gran parte sostitutivi di altri finanziamenti giacenti da tempo ed inutilizzati; la gran parte dei finanziamenti sono prestiti da restituire con una pesante ipoteca nel caso ad essi non dovesse corrispondere un sufficiente livello di sviluppo e crescita economica

  • i progetti, specie quelli propri degli enti locali, in gran parte sono riesumati

  • l’insieme dei progetti si sta rivelando una sommatoria avulsa da priorità, gerarchie, coordinamento ed inserimento in un progetto e modello di organizzazione sociale coerente ed efficace

  • la macchina tecnico-amministrativa, pur con gli interventi ventilati, non sembra in grado di formulare e seguire adeguatamente i progetti

  • manca esplicitamente quantomeno l’ambizione, esplicitata al contrario da Francia e Germania, di acquisire una capacità tecnologica autonoma, necessaria alla garanzia di acquisizione, protezione e manipolazione di dati e comandi indispensabili a gestire con sicurezza la circolazione dei flussi informatici e digitali. L’unico impegno riguarda l’intervento nella Pubblica Amministrazione e nella trasformazione digitale delle imprese in un quadro di indirizzo e controllo delle filiere determinato da altri, soprattutto da altri paesi

  • mancano progetti concreti consistenti di formazione di piattaforme industriali che integrino le attività di ricerca pura, applicata e di finalizzazione del prodotto senza i quali l’attività di ricerca in Italia, pur asfittica, anche se in realtà più significativa nella realtà chiusa delle piccole aziende di quanto mostrino i dati ufficiali, tende assumersi più i rischi che le potenzialità di realizzazione di profitto e sviluppo

  • mancano consistenti risorse finanziarie nazionali indispensabili, tali da curare specifici ambiti produttivi ed organizzativi e da aggirare i vincoli e le limitazioni al varo di nuove iniziative imposti dalle normative europee in materia di concorrenza

Ci sarebbero altri aspetti importanti da segnalare.

Sta di fatto che l’inerzia del processo di attuazione del piano tenderà a realizzare soprattutto alcuni progetti di entità strategica come la logistica e la rete di dati a danno di altri, secondo una logica per così dire apparentemente neutra, la quale porterà ad accentuare in realtà, in assenza di pesanti correttivi, ulteriormente i processi di polarizzazione della struttura socioeconomica europea e di periferizzazione ulteriore della struttura industriale italiana piuttosto che ad un riequilibrio delle dinamiche. Non solo! Ancora più importante, ad assecondare quei progetti logistici più compatibili con le strategie di integrazione militare della NATO e americane.

Una tematica ben presente da sempre in numerose sedi europee, ma quasi del tutto assente ancora in Italia. In perfetta linea purtroppo con la retorica ed il lirismo legato al tema del mancato utilizzo dei fondi strutturali piuttosto che ad un esame disincantato della loro funzione.

Non è il solo aspetto critico del piano.

Ne rimane un altro a segnare la continuità storica di ogni ambizione di riforma dello Stato e dei suoi apparati con precedenti nefasti.

La logica emergenziale, insita anche nel PNRR, che ha portato regolarmente alla creazione di apparati e centri di potere, inizialmente destinati a trasformare, coordinare e sostituire i precedenti e che in realtà si sono sovrapposti e sono entrati in competizione con essi sino ad arrivare e probabilmente a peggiorare in futuro il disordine istituzionale ed amministrativo e la competizione distruttiva e paralizzante tra centri di potere, sempre più spesso dipendenti e diretti da centri esterni.

Un disordine al quale la fede tecnocratica e positivista sulle magnifiche sorti e progressive delle nuove tecnologie difficilmente riuscirà a porre rimedio. Di esempi ne abbiamo ormai visti a iosa.

Il PNRR rappresenta solo l’ultimo strumento, l’occasione giusta al momento giusto, per rafforzare ulteriormente il processo di integrazione e subordinazione della formazione sociale ed economica italiana attraverso vincoli e dinamiche naturali e difficilmente reversibili al quale si sono prestate di buon grado quasi tutte le forze politiche e i gruppi di interessi ansiosi di partecipare ai frutti tanto attraenti nell’immediato, quanto tossici per la società nel futuro, di quel banchetto.

Frutti, per altro, già messi in forse dalle conseguenze destabilizzanti dell’attuale crisi geopolitica.

Attribuire a Mario Draghi la responsabilità esclusiva di tutto questo sarebbe fuorviante e ingeneroso. Una sopravvalutazione, soprattutto, del valore della persona.

Sono processi innescati ormai da oltre quarant’anni e culminati, nella prima fase, con Tangentopoli, la dismissione di un apparato pubblico industriale per altro in netta decadenza nella sua gran parte e un degrado e la letterale sparizione delle capacità tecnico-amministrative legate alla soppressione repentina di agenzie ed apparati pubblici negli anni ‘90.

EPILOGO

Mario Draghi ha seguito questa onda, ne è stato tra i tanti, l’artefice importante sin dagli albori; ci ha costruito sopra una brillante carriera.

Non ha evidentemente concluso la sua opera.

Quello che sta succedendo alla Tim-Telecom, con la possibile conciliazione e spartizione tra americani e francesi, alle Alleanze Generali, nella strategica industria di base italiana, a cominciare dall’acciaio, sono il compimento di questo processo drammatico e nefasto per il paese.

La legge sulla concorrenza dovrebbe essere infine la cornice adeguata per assecondare organicamente queste scelte e il compimento dell’opera.

A guardare gli ultimi documenti significativi prodotti dal Governo, in particolare il DEF e le note al DEF, colpisce l’assordante silenzio in materia di intervento e politiche attive di intervento nell’industria, di obbiettivi di ricostruzione consapevole delle filiere interrotte ed incrinate dalla crisi della globalizzazione, almeno nelle forme sin qui conosciute, di gestione in prima persona almeno di parte delle dinamiche fondamentali.

Una sequela di incentivi generali e di interventi assistenziali dal carattere meramente redistributivo, teso ad accontentare questuanti e ceto politico di bassa lega, ma che dissangueranno ulteriormente il paese e lo distoglieranno dalle questioni cruciali che si stanno affrontando in modo succedaneo e truffaldino.

La stessa protrazione di provvedimenti, quali l’agevolazione del 110% negli interventi di edilizia residenziale rappresentano una distorsione gigantesca in un settore complementare, ma cruciale, tale da saturare e distorcere l’offerta lavorativa ed imprenditoriale, determinare una levitazione enorme dei prezzi di fatto a carico dello Stato per il momento e dei privati nel futuro prossimo e distorcere l’attività dell’intero settore, specie quello legato all’edilizia industriale.

La possibilità di un contraccolpo, quindi, molto difficilmente riassorbibile. Specie se concomitante con la crisi pandemica e con i riflessi della crisi geopolitica in atto.

Su questo si è inserito da par suo, ancora una volta, il contributofattivo e subdolo di Mario Draghi.

Tirando fuori il solito tema, fondato per la verità, ma creato dalla farraginosità e superficialità dei sistemi di controllo, della corruzione ha soppresso il fattore più significativo e positivo di quel provvedimento, assecondando presumibilmente le sollecitazioni discrete ma efficaci della Commissione Europea o di lobby particolari in essa presenti: la circolarità di quei titoli, di fatto una moneta locale.

Mario Draghi ha trovato una strada spianata davanti a sé, grazie anche alla complicità del sistema associazionistico e lobbistico.

Alcune, come Confindustria, istituzionalmente incapaci per la loro composizione, di affrontare e proporre indirizzi di sviluppo, conversione ed aquisizione di potenza di una formazione socio-politica. Altre, come le confederazioni sindacali, incapaci di affermare e confermare appunto il proprio ruolo confederale ed una visione politica di insieme, quantomeno tentata in tempi lontani, che potesse prospettare una forma di sviluppo e di coesione sociale tale da offrire alle rivendicazioni la forma di diritti e doveri compatibili con un determinato assetto produttivo e sociale coeso e dinamico piuttosto che la caratteristica di una difesa distributiva di tipo sempre più difensivo e corporativo del tutto sterile. Un aspettativa evidentemente illusoria con un gruppo dirigente sindacale sin troppo legato alla matrice progressista ed europeista dell’attuale ceto politico e ad una visione sterilmente movimentista abbagliata dalla suggestione compassionevole di masse informi, per altro politicamente inesistenti quanto facilmente manipolabili, piuttosto che dalla partecipazione cosciente dei settori più professionalizzati, antico reale nocciolo duro del passato glorioso dei sindacati e dei partiti di massa organizzati.

Non sappiamo se la piega presa dal paese abbia assunto una direzione definitiva; lo temiamo. In qualche maniera sappiamo cosa servirebbe, ma non siamo in grado, almeno per ora, di contribuire a produrne le condizioni.

Sarebbe già tanto far comprendere che la fortuna personale di un personaggio con un tale passato e di tal fatta non coincide con quella di un paese e della sua popolazione; ne è agli antipodi, ma è quello che vogliono farci credere.

Con le dovute cautele, prima se ne andrà, meglio sarà per la nazione.

Ciarpame mediatico, di Giuseppe Germinario

Il quotidiano “la Repubblica” del 20 giugno scorso ha pubblicato da pagina 45 un lungo articolo, a nome di Gianluca di Feo e Floriana Bulfon, dal titolo “Bergamo_virus, spie e vaccini”. L’articolo è purtroppo disponibile solo a pagamento e non può, quindi, essere riprodotto integralmente alla fonte https://www.repubblica.it/esteri/2021/06/17/news/bergamo_virus_spie_e_vaccini-306329555/?ref=RHTP-BH-I295744712-P13-S4-T1 , ma disponibile comunque integralmente su https://www.msn.com/it-it/notizie/mondo/bergamo-virus-spie-e-vaccini/ar-AAL7nOl?li=BBqg6Qc

Il 21 giugno ha risposto a stretto giro di posta l’ambasciatore russo a Roma, Sergey Razov. Qui sotto il testo della lettera aperta:

Stimato Direttore,

ha richiamato la nostra attenzione l’ampio articolo intitolato “Bergamo, virus, spie e vaccini” pubblicato sul Suo quotidiano il 20 giugno, in cui il giornale ripercorre i fatti di marzo-aprile 2020, quando un gruppo di medici virologi ed esperti disinfettatori russi ha operato nel Nord Italia.

Tre righe e mezzo dell’articolo contengono l’ammissione che “i soldati russi a Bergamo hanno fornito assistenza concreta, curando decine di pazienti, durante le ore più buie della storia recente e disinfettando decine di centri per anziani”. Le restanti quasi 500 sono una congerie di invenzioni sul contenuto reale di quella che sarebbe stata una missione militare dell’intelligence russa nello spirito delle “guerre ibride”, “una campagna di disinformazione e propaganda”, con addirittura elementi della “competizione per riscrivere la mappa geopolitica del pianeta”. Tentare un’analisi dettagliata di tutta questa serie di invenzioni sarebbe una perdita di tempo. Prendiamo in considerazione solo alcuni fatti.

Ricordo bene come un anno fa questo stesso giornale e un certo numero di altri media italiani cercò, senza alcuna prova, di individuare la natura spionistica della nostra missione che avrebbe tentato di ottenere informazioni sulle strutture militari italiane e della NATO a Bergamo e Brescia, dove erano impegnati i nostri specialisti. I chiarimenti in merito al fatto che quelle aree erano state individuate dalle autorità italiane sono stati semplicemente ignorati. C’è voluto più di un anno perché gli autori di “La Repubblica” ammettessero finalmente quello che era ovvio e cioè che le strutture militari italiane e della NATO, come è risultato, non erano l’obiettivo della nostra missione umanitaria (pare non siano avvezzi a scusarsi per la palese disinformazione, attivamente diffusa nella primavera del 2020).

Ma, come si dice, ciò che è storto non si può raddrizzare (Ecclesiaste 1:15). Ora gli scrittori di “La Repubblica” ci attribuiscono la colpa di aver inviato in Italia i nostri migliori medici virologi ed epidemiologi, dotati di grande esperienza (è vero, ne abbiamo orgogliosamente parlato fin dall’inizio), di aver utilizzato sul posto un moderno laboratorio mobile, che avrebbe analizzato “la struttura genetica del virus e inviato i dati a Mosca con il sistema satellitare di comunicazione criptata”. Sì, anche allora abbiamo parlato di questo laboratorio mobile che era impegnato esclusivamente nel monitoraggio della salute del contingente, nella messa a punto delle metodiche e delle dosi di protezione immunitaria, nell’analisi PCR e nella genotipizzazione. (A proposito, effettivamente abbiamo registrato casi di infezione da coronavirus tra i nostri militari che hanno lavorato nelle zone più pericolose d’Italia). Di quali altri compiti e possibilità nascoste di questo laboratorio possono parlare gli autori, se loro stessi ammettono che nessun estraneo ha potuto accedervi.

Poi, l’affermazione forse più ridicola e sacrilega dell’articolo: “il vaccino Sputnik V è nato dal virus italiano”. (I russi hanno rubato il COVID italiano?!) Gli autori cercano di tracciare un legame causale e temporale diretto tra il lavoro della nostra missione e l’invenzione del vaccino russo. E cioè: i dati clinici acquisiti in Italia “con un’operazione di spionaggio” avrebbero permesso ai nostri specialisti di produrre un vaccino nel più breve tempo possibile. I conti non tornano. Fonti sanitarie e militari in Italia – dice il giornale – confermano che “i russi non erano autorizzati a portare campioni e provette fuori dagli ospedali dove curavano i pazienti”. Inoltre, la Russia ha iniziato a testare lo Sputnik V su volontari già a giugno e ad agosto questo vaccino è stato il primo al mondo ad essere certificato. È chiaro anche a un profano che l’invenzione del vaccino non poteva che essere il risultato di molti anni di ricerca su altre malattie virali.

È assolutamente ovvio che il lavoro eroico dei nostri militari in Italia, durato ben 46 giorni, ha fornito una certa esperienza nella comprensione del pericolo di questa malattia, della velocità e delle peculiarità della diffusione dell’infezione, arrivata in Russia, com’è noto, tre o quattro settimane dopo l’Italia. E questa esperienza è stata debitamente utilizzata per sviluppare le nostre misure contro la pandemia. Ma dove sarebbe qui il crimine?! Si tratta di un percorso di collaborazione assolutamente naturale e generalmente accettato, che peraltro prosegue ancora oggi. Al momento, l’Istituto Spallanzani di Roma sta conducendo studi clinici scientificamente importanti sul vaccino Sputnik V con la partecipazione di specialisti russi. Altre prove sono previste nell’ambito del rispettivo Memorandum di cooperazione firmato nell’aprile di quest’anno. Se il giornale Repubblica dedicasse anche solo un centesimo del suo voluminoso materiale a tale lavoro comune, volto a combattere l’epidemia, a nostro parere offrirebbe un servizio migliore e più interessante ai lettori dell’autorevole quotidiano.

E infine, un’ultima cosa. Gli autori definiscono Bergamo “un campo di prova per nuovi conflitti ibridi”. Noi invece partiamo dall’assunto che questo è il luogo in cui al popolo italiano in difficoltà i vertici e il popolo della Russia hanno disinteressatamente dato una mano. Qui sta la principale divergenza con la redazione del giornale, la cui politica provoca la nostra reazione a questo genere di informazioni.

L’Ambasciatore della Russia in Italia

21.06.2021

L’articolo è un concentrato di rara intensità di infantilismo meschino e vile in un panorama giornalistico che certamente non brilla per serietà e fondatezza di analisi.

L’ambasciatore ha avuto buon gioco quindi nel replicare con ferma diplomazia, senza neppure infierire.

Non ce n’era del resto bisogno.

Su quali comportamenti e intenzioni hanno avuto da recriminare i nostri segugi colti da sospetta crisi olfattiva?

A denti stretti hanno dovuto ammettere che lo scopo reale della missione sanitaria russa non era lo spionaggio delle installazioni militari o quantomeno non ci sono elementi sufficienti a suffragare l’ipotesi; sempre che non si possano considerare tali le inevitabili sbirciatine dai finestrini nel lungo viaggio di avvicinamento a Bergamo. Il bersaglio era però ancora più importante: catturare la Covid italiana, portarsela in Russia e carpirne i segreti; sperimentare sul campo le proprie procedure di gestione di una pandemia e di guerra batteriologica, analizzare quelle adottate da un paese occidentale, verificare l’andamento epidemiologico e patologico della sindrome. Come spiegarsi altrimenti il livello così alto e specialistico e la natura militare dei protagonisti, in particolare la loro provenienza dai laboratori chimico-biologici militari? L’accusa velata era di ricondurre il loro interesse alla logica della guerra batteriologica più che alla finalità umanitaria; accusa velata, ma strumentale e maldestra vista la analoga attività svolta da tanti laboratori americani, francesi ed inglesi civili e militari sparsi nei propri paesi e nel mondo. I missionari in colbacco del resto non hanno sentito ragioni nel condividere i dati acquisiti, la sofisticata strumentazione in possesso con gli ospitanti così smarriti in tanto tragico caos. Hanno così ingannato “Giuseppi” e l’intera compagine governativa, piombando come falchi su di un paese smarrito, prendendo alla sprovvista i custodi della sicurezza del paese, carpendo i segreti del mostriciattolo per ricavarne un efficace vaccino in colpevole anticipo rispetto agli amici occidentali, per trarne insegnamenti utili nella gestione ormai prossima a venire della pandemia nel loro paese.

Il senso di privazione che pervade i nostri due segugi è evidente, ammirevole, ma tardivo. In un quotidiano che per trenta anni ha sostenuto attivamente e con entusiasmo, pur in buona compagnia, la spoliazione e la privazione di beni del proprio paese, ai pochi giornalai di buon cuore non è rimasto che aggrapparsi al poco che è rimasto in Italia, difendendolo a denti stretti. In quel poco è rimasto evidentemente la Covid 19 italiana. I tapini non si sono accorti per altro di dare involontariamente ragione ai rivali cinesi i quali, per nascondere le proprie magagne, hanno cominciato a vendere nel mondo l’insinuazione dei virus nazionali, compreso quello tricolore.

L’angoscia da privazione non fa che fissare i pregiudizi e impedire di porre correttamente le domande e soprattutto di porle alle persone giuste.

Hanno accusato i russi di strumentalizzare a fini geopolitici e di propaganda il loro intervento; li hanno incriminati di lesa maestà per aver tentato di scombussolare l’Unione Europea; si sono risentiti, colti da un malinteso orgoglio nazionale, per i loro giudizi sferzanti sulla gestione italiana della pandemia.

Hanno dimenticato in buona sostanza di essere dei giornalisti e di porre le giuste domande:

  • come mai non ha funzionato la solidarietà europea nei momenti più acuti della crisi pandemica?

  • Da dove arriva l’ostracismo al vaccino russo e il fallimento della ricerca scientifica europea?

  • Come mai le implicazioni e il conflitto geopolitici hanno riguardato non solo i paesi dichiarati ostili (Russia e Cina), ma anche quelli “fratelli ed amici”?

  • Come mai il Governo e il paese si è affidato alla improbabile coppia costituita da un manager-finanziere di terza fila (Arcuri) e da un contabile della Protezione Civile (Borrelli), con la consulenza esclusiva di virologi impegnati più che altro ad apparire sugli schermi, piuttosto che ad una struttura composta da esperti di logistica, igienisti, manager della salute nella quale i militari avrebbero dovuto avere un ruolo di primo piano e non di serventi tuttofare?

  • Come mai il Governo non è stato in grado di concordare le modalità di intervento e di scambio delle informazioni con tutti gli interlocutori internazionali, oltre che con russi e cinesi? Anni fa ad un alto ufficiale americano fu chiesto come mai tante basi erano state spostate dalla Germania in Italia. Da buon anglosassone la risposta fu lapidaria: “in Germania per muoversi occorre compilare protocolli di almeno dieci pagine, in Italia una telefonata.”

  • Come mai si sono omesse le analisi epidemiologiche e diagnostiche che accelerassero l’individuazione dei decorsi e la definizione di terapie efficaci?

  • Come mai è quasi completamente saltata quella medicina di base e preventiva sulla quale dovrebbe fondarsi il sistema sanitario nazionale, stando almeno alle dichiarazioni fondative di principio come pure è rimasto impolverato il piano di emergenza nazionale?

  • Come mai in una situazione di grave emergenza non si è risolto rapidamente il disordine istituzionale e lo si è piuttosto strumentalizzato per scaricarsi reciprocamente le responsabilità della cattiva gestione della crisi?

Le giuste domande, ma alle persone giuste: al ceto politico italico, alla sua classe dirigente e ai suoi quadri amministrativi, agli alleati o sedicenti tali piuttosto che alla missione russa rea di aver fatto quello che avrebbero dovuto fare tutti. Le cui giuste risposte avrebbero probabilmente consentito di non pietire interventi esterni a scatola chiusa e di non porre alla radice il problema.

Si sa purtroppo che l’orgoglio nazionale serve a suscitare le migliori energie di un paese, ma anche, spesso e volentieri, a coprire le peggiori magagne e speculazioni.

La soluzione non può arrivare da segugi di tal fatta. Sono parte in causa di una categoria a pieno titolo corresponsabile di una gestione fatta e condizionata da allarmismo, disinformazione, schizofrenia, superficialità e irresponsabilità. Una gestione che ha ridotto l’emersione di un problema serio ad una manipolazione inquietante senza una soluzione di continuità prevedibile in una emergenza senza fine. Un vero e proprio ossimoro. Mario Draghi è arrivato a risolvere alcuni dei problemi posti. Probabilmente ci riuscirà, ma non sarà la gran parte del paese a giovarsi del risultato. Lo abbiamo intravisto negli ultimi due vertici mondiali del G7 e della NATO sui quali continueremo a soffermarci.

Ai due segugi, dal cuore ingrato e dall’indole meschina, non rimane che replicare a loro volta a due semplici domande: a chi, a quale pifferaio devono rispondere dei loro sproloqui infantili e mal posti? Non certo ai lettori, vista la crescente disaffezione. Siete voi stessi agenti terminali di una guerra ibrida?

Libia, la situazione attuale_di Bernard Lugan

I Governi italiani, in particolare i Governi “Giuseppi”, con il noto “Giggino” esperto in affari internazionali, hanno assecondato con la loro inettitudine questa dinamica, consentendo l’ingresso anche della Turchia nello scenario libico, non ostante le reticenze iniziali all’intervento. Porte aperte a un nuovo interlocutore, tra i tanti (troppi), in grado di giocare nell’affollato crocevia energetico del Mediterraneo e di manipolare l’attività delle gang mafiose dedite al traffico migratorio, ma senza avere le risorse politiche e finanziarie della Germania necessarie a rabbonire le inquietudini_Giuseppe Germinario

Il 29 maggio 2018, su iniziativa del presidente Macron, e nel tentativo di riparare le terribili conseguenze della guerra geopoliticamente ingiustificabile che il presidente Sarkozy ha dichiarato al Colonnello Gheddafi, si è tenuto a Parigi un vertice sulla Libia. Questa iniziativa fallì perché, partendo ancora una volta dalla realtà, questo vertice è persistito nei due principali errori del passato:

1) Le tribù, le uniche vere forze politiche del paesi, sono state escluse.
2) L’unica soluzione proposta era ancora una volta un’agenda elettorale. Come dire parole al vento in quanto nuove elezioni non regolerebbero la questione libica rispetto a quelle del 7 luglio 2012 e del 20 febbraio 2014. Semplicemente perché la soluzione sta nella ricostituzione delle alleanze tribali dislocate dalla guerra intrapresa contro il colonnello
Gheddafi e non dalle elezioni.
Da qui l’impasse politica. Nel 2016, Vladimir Putin aveva imposto un nuovo paradigma basato sul vero equilibrio di potere. Ha aperto un nuovo scenario diplomatico con, in conclusione, il viaggio del generale Haftar [1] fatto a Mosca il 27-28 novembre 2016 e in occasione del quale il presidente Putin gli ha concesso ufficialmente il sostegno russo. L’uomo con il quale la diplomazia dell’UE si era rifiutata di parlare direttamente, diventato poi dall’oggi al domani essenziale …
Tuttavia, il generale Haftar era il maestro del Cirenaica e Tobruk, l’unico porto in acque profonde tra Alessandria e Mers-el-Kebir. Aveva l’unica forza militare del paese. Stava controllando l’85% delle riserve petrolifere della Libia, il 70% del gas, 5 dei suoi 6 terminali petroliferi e 4 delle sue 5 raffinerie. Tutto il crocevia petrolifero attraverso il quale viene esportato il 60% del petrolio libico era in suo potere.
Inoltre, aveva il sostegno della confederazione tribale di Cirenaica e delle tribù di Gheddafi di Tripolitania[2].

Con il supporto russo, tre possibilità gli si offrivano:
1) Il tentativo di conquistare tutta la Libia e l’eliminazione delle molteplici milizie gangsterislamiche che affliggono il paese.
2) Un santuario della sola Cirenaica, preludio di una partizione di fatto tra Tripolitania e
Cirenaica.
3) La costituzione di un governo nazionale in cui sarebbe stato l’uomo forte.
Ha scelto la prima opzione, ma non è riuscito a prendere Tripoli avendo il “governo di unità nazionale ”(GUN) presieduto dal signor Fayez el-Sarraj, insediato dall’Occidente, ma privo di una forza militare autonoma, fatto appello alla Turchia.
Se il maresciallo Haftar non è riuscito a prendere Tripoli, nonostante i massicci aiuti ricevuti da Egitto ed Emirati Arabi Uniti, è perché non disponeva di fanteria contro le forze speciali Turche. Inoltre, le milizie di Zintan, delle quali contava il sostegno, si sono radunate a favore dei turco-tripoliti.
La Russia, che non ha mai impegnato il suo esercito al fianco del generale Haftar probabilmente per non aprire un nuovo fronte con la Turchia, ha però tracciato una linea rossa a quest’ultima santuarizzando il fronte ad ovest di Sirte.
La domanda quindi sorge semplicemente:
– Essendo la Turchia militarmente impegnata a fianco del GNA, il generale Haftar non prenderà Tripoli.
– La Russia santuarizza la Cirenaica, quindi il GNA non prevarrà a Bengasi.

Conclusione: le trattative possono quindi riprendere. Ma su basi diverse da quelle irrealistiche, perché solo elettorali, della “comunità internazionale”.
In questo modo, in un certo senso, ci muoveremmo verso un ampio federalismo. Resta da risolvere il problema della condivisione degli idrocarburi che, vista la posizione geografica dei giacimenti, consentirebbe di trovare facilmente un equilibrio territoriale.

[1] Il generale Khalifa Haftar della tribù Ferjany la cui roccaforte è la città di Sirte, luogo di nascita del colonnello Gheddafi, fu, con quest’ultimo, uno degli autori del colpo di stato militare che rovesciò re Idriss nel 1969. Se in seguito litigava con il colonnello, d’altra parte non recise mai i legami con la sua tribù; fattore che lo colloca al centro di una strategica alchimia tribale situata all’incrocio della Cirenaica e della Tripolitania.
[2] Per tutto ciò che riguarda le tribù della Libia e le loro alleanze, vedi il mio libro Storia della Libia dalle origini ai giorni nostri.

Grazie ai buoni rapporti che il colonnello Gheddafi intratteneva con il Presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi, erano stati presi accordi molto concreti e la Libia ne controllava le coste.
Il dramma di Lampedusa e del Mezzogiorno si spiega con il fatto che la Libia è in piena anarchia, con il paese imploso che in feudi tribali e con milizie i cui leader hanno preso il controllo del traffico della rotta trans-sahariana, compresa quella dei migranti. L’imbuto libico che è quindi il culmine delle principali rotte africane di immigrazione clandestina dall’Africa sud-sahariana, dal Corno e dalle regioni del Vicino Oriente, si è riversata nell’Italia meridionale a partire dalla guerra che ha rovesciato il colonnello Gheddafi.
Qui siamo direttamente immersi nel Camp des Saints di Jean Raspail. Questo libro profetico che risale al 1973, descrive il crollo delle società occidentali sotto lo sbarco di migliaia di immigrati clandestini arrivati ​​su navi spazzatura. Clandestino davanti al quale tutte le istituzioni crollarono a causa dell’etno-masochismo delle “élite” europee piene di sentimentalismo, sentimento che ha avuto la precedenza sulla ragione e persino sugli istinti vitali.

Plus d’informations sur le blog de Bernard Lugan.

LA BISCIA NEL CESTO DEI SERPENTI, di Antonio de Martini

LA BISCIA NEL CESTO DEI SERPENTI
La scelta di Mario Draghi, un impiegato di prim’ordine, ha molto in comune con l’avvento di Berlusconi al potere.
Al suo arrivo il Cavaliere miliardario suscitò grandi aspettative e così pure Draghi.
L’italiano medio si disse irragionevolmente: “ ha fatto tanti soldi e farà arricchire anche noi”.
Il sogno si rivelò follia e il risveglio fu amaro.
In questo caso, ci siamo detti “ ha tanta esperienza e grinta che metterà le cose a posto in quattro e quattr’otto. Bravo Mattarella ! non ce lo facevo. Ha perso la pazienza e capito la situazione.”
La grinta si è rivelata un pio desiderio nostro.
Temo che la delusione e l’illusione siano di pari intensità, salvo un effetto prestigio internazionale che svanirà presto.
Mi spiego.
L’uomo ha preparazione e prestigio, ma non ha saputo imporsi e – come molti che hanno vissuto all’estero- temo che non conosca i suoi compatrioti.
Si è illuso d’essere coadiuvato ed ha accettato uomini e promesse dei boiardi che lo logoreranno lodandolo.
Mattarella – vorrei tanto sbagliarmi- lo ha chiamato per fare solo da tesoriere dei fondi “ recovery” e basta.
Ha fatto appello al luminare per fare un clisterino all’agonizzante.
Alla pattuglietta di fidi che gestiranno con rigore questi ultimi fondi ha aggiunto le indicazioni dei partiti secondo le consuetudini del manuale Cencelli ripescando tra “colleghi” universitari e posatori di fibbra ottica.
Pensa davvero che la Cartabìa possa impugnare l’accetta necessaria nel covo dei serpenti di via Arenula? Ha dato esagerata attenzione alla fiducia e da per scontata l’esecuzione delle sue idee….
Pensa davvero che la fibbra ottica in Aspromonte farà miracoli e sarà messa in opera dai boy scout?
Anche un paio di anni prima della rivoluzione in Francia, fu chiamato il banchiere ginevrino Necker col mandato di guardare solo i conti.
Attesa messianica che durò poco.
Lo richiamarono poi quando era ormai troppo tardi.
Mi ero illuso che avrebbe riformato l’Italia ma – a giudicare dalla compagine ministeriale distillata con l’alambicco temo che abbia fatto una insalata russa con majonese scaduta.
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