L’Europa è stata il principale campo di battaglia della Guerra Fredda. La NATO ha adottato una strategia difensiva perché non vedeva alcun valore nella conquista dell’Europa orientale e della Russia occidentale. I sovietici, tuttavia, avevano interesse a garantire la penisola europea per proteggere la sua frontiera occidentale e sfruttare la tecnologia e le capacità navali dell’Europa occidentale. Mosca però non potrebbe mai lanciare un attacco. I suoi satelliti occidentali erano imprevedibili. La lunga linea logistica necessaria per supportare un’offensiva corazzata era incerta e vulnerabile agli attacchi aerei. Inoltre, i sovietici non sapevano cosa esattamente avrebbe innescato una risposta nucleare americana. Rischiare uno scambio nucleare non valeva alcun vantaggio possibile che si potesse ottenere da un’offensiva su vasta scala. Quindi, per oltre 40 anni, c’è stata una situazione di stallo in Europa.
I sovietici hanno sostenuto costi che non potevano essere sostenuti poiché limitavano lo sviluppo economico. Né potevano modificare la loro posizione militare senza conseguenze politiche significative in patria o nell’Europa orientale. Così si sono mossi per integrare la loro posizione in Europa con una strategia di indiretto. Il fulcro di questa strategia era creare minacce a basso costo per il potere americano a cui gli Stati Uniti dovevano rispondere e che costringessero gli Stati Uniti a disperdere le forze e invitare a contraccolpi politici.
Il primo grande esempio fu la Corea, dove i sovietici incoraggiarono sia l’invasione del sud che, in seguito, il coinvolgimento cinese. Ci sono stati molti calcoli sull’invasione della Corea del Sud da parte di Russia e Cina, ma alla fine ha creato un problema per gli Stati Uniti: se avesse rifiutato il combattimento, la sua credibilità tra gli alleati sarebbe stata persa, e se si fosse impegnato in un combattimento, avrebbe deviare le forze su un campo di battaglia in cui aveva poco interesse oltre a difendere la propria credibilità. La guerra di Corea ha effettivamente sottratto risorse all’Europa e ha sollevato dubbi sul giudizio e sulla capacità di Washington di rafforzarsi di fronte a un attacco sovietico. La guerra costò al presidente Harry Truman una grande popolarità, costringendolo a non candidarsi nel 1952 e aiutando a incoraggiare l’indebolimento della fiducia maccartista nel governo.
La Corea era l’essenza dell’attacco indiretto. Il costo per i sovietici era basso, le conseguenze politiche e psicologiche alte. Non aveva lo scopo di spezzare il potere americano, ma di indebolirlo e diffonderlo.
I sovietici crearono molti problemi indiretti per gli Stati Uniti in Africa, America Latina e, soprattutto, Vietnam. La parola d’ordine negli Stati Uniti era credibilità, e quella era la forza che costringeva gli Stati Uniti in Vietnam: cedere il Vietnam del Sud avrebbe indebolito la credibilità degli Stati Uniti in Europa, il principale teatro delle operazioni. Quindi i sovietici, insieme alla Cina, fornirono materiale ai nordvietnamiti nel tentativo di indebolire gli Stati Uniti
Gli americani hanno affrontato insurrezioni o regimi sostenuti dai sovietici in tutto il mondo. Hanno anche affrontato gruppi terroristici sostenuti dai sovietici in Europa e altrove. L’intelligence statunitense è stata costretta a una posizione globale piuttosto che mantenere un focus laser sui sovietici. Le azioni degli Stati Uniti in questi paesi hanno portato a fallimenti umilianti e successi catastrofici, in cui il costo politico ha ampiamente superato la minaccia. I sovietici rimasero in una posizione statica nella principale area di combattimento mentre si assumevano rischi minimi per portare gli Stati Uniti fuori posizione nella battaglia principale. Alla fine non sono riusciti a trasformare l’indiretto in una strategia vincente, ma hanno impedito agli Stati Uniti di concentrare le proprie forze direttamente su di loro.
I cinesi ei russi sono entrambi in questa posizione oggi. La marina cinese è con le spalle al muro nella costa orientale della Cina e in una serie di nazioni a poche centinaia di miglia di distanza. Deve sfondare, ma ha poco spazio di manovra, indipendentemente dall’hardware che ha costruito. I cinesi possono o non possono avere successo, ma il risultato è troppo importante perché una nazione rischi la sconfitta.
I russi stanno lottando per riconquistare i confini che avevano più o meno detenuto dal 18° e 19° secolo. Minacciare nuovi territori è una cosa. Cercare di recuperare il territorio perduto è un altro, soprattutto quando il territorio è vasto, come va dall’Ucraina all’Asia centrale. Ciò che è stato perso in un anno impiegherà generazioni a riprendersi. È più vulnerabile di quanto sembri. Ha perso così tanto che riconquistare l’Europa dell’Est è un sogno e deve resistere ai tentativi americani di contenerla sulla sua linea attuale.
Quando una forza principale non può essere applicata con sicurezza, è necessaria una strategia indiretta. Si è parlato di un’alleanza russo-cinese. È difficile immaginare come i due paesi possano coordinare le loro forze armate, e un’alleanza economica non ha alcun significato data la debolezza economica russa e il potere della Cina. Ma un’alleanza è molto concepibile: un’alleanza segreta intesa a deviare e diffondere il principale nemico di entrambi, gli Stati Uniti, e quindi ridurre la pressione di Washington su di loro.
Cina e Russia non sono mai state particolarmente vicine e infatti erano nemiche negli anni ’60. Tuttavia, hanno collaborato alle guerre di Corea e Vietnam, l’ultima delle quali ha danneggiato gli Stati Uniti. La collaborazione non è stata decisiva nel futuro a lungo termine di nessuno dei due paesi, ma ha liberato alcune pressioni occidentali e creato alcune opportunità. Hanno avuto una certa esperienza nella guerra indiretta contro gli Stati Uniti.
Con questo tipo di esperienza nella guerra indiretta, ci sono molte aree in cui uno o entrambi potrebbero agire. I cinesi hanno una strategia economica progettata per legare i destinatari degli investimenti alle relazioni politiche con la Cina. Il difetto inerente a questa strategia è stato riscontrato dagli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale, quando i regimi sponsorizzati dai sovietici hanno semplicemente nazionalizzato le risorse statunitensi. Gli interessi degli Stati Uniti avevano molte risorse ed erano pesantemente investiti a Cuba, per esempio. Ma la proprietà è un pezzo di carta che può essere rapidamente abolito con l’arrivo delle truppe. Quindi la Cina può “possedere” il Canale di Panama, ma lo fa senza l’obiezione di Washington. Se mai si oppone, un battaglione di Marines può cambiare tutto.
Quello che i cinesi ei russi devono fare è creare insurrezioni politico-militari e governi sparsi in tutto il mondo nella speranza che gli Stati Uniti, mantenendo un’alleanza contro Cina e Russia, possano essere costretti a rispondere. Più vicini agli Stati Uniti, maggiore è la necessità di rispondere. Ecco perché l’America Latina era un terreno fertile per i sovietici. Se gli Stati Uniti prevengono, iniziano ad accumulare costi militari e politici. In caso contrario, il pericolo sono enormi costi politici.
Una strategia dell’indiretto è una strategia dell’opportunismo. Squadre di intelligence sono inserite in luoghi che sono già ostili agli Stati Uniti La chiave è creare così tante minacce percepite e incognite che l’intelligence statunitense è costretta a contrastare, ma contrastarle tutte è quasi impossibile anche se fosse politicamente accettabile.
I cinesi ei russi affrontano lo stesso problema in linea di principio. Le opzioni militari convenzionali contro gli Stati Uniti potrebbero funzionare, ma c’è una reale possibilità che non lo facciano, e nessuno dei due può permettersi le conseguenze interne del fallimento. Non riescono a trovare accordi soddisfacenti con gli americani e sono quindi lasciati con una posizione strategica di cui gli Stati Uniti potrebbero trarre vantaggio. Questo scenario deve essere evitato, quindi una strategia indiretta è ovvia. La strategia economica cinese va bene a breve termine, ma è molto vulnerabile ai cambiamenti di governo. La creazione di stati antiamericani è fondamentale. Una strategia indiretta è più prudente, e Russia e Cina sono nazioni prudenti. Devono esserlo.
LOGICA DEL MULTIPOLARE. [Post-articolo di geopolitica teorico-pratica] Il sistema multipolare ovvero una compresenza di più potenze in uno stesso contesto, dovrebbe ritenersi la norma delle relazioni internazionali quando lo stato del contesto è normale ovvero pacifico e non speciale cioè bellico. Poiché però proveniamo da una storia in cui il mondo era meno globale, più gerarchico, meno denso e più bellico, il formato ci sembrerà nuovo ed inedito e quindi poco conosciuto. Cerchiamo quindi di conoscerlo meglio.
Abbiamo quattro novità di contesto oggi. Il mondo ha triplicato la sua popolazione ed il numero degli stati negli ultimi settanta anni, il mondo è quindi più denso, molto più denso ed affollato che in precedenza, il che porta una maggior complessità nel problema della convivenza.
La seconda novità è che il mondo è e sarà sempre più globale. Col termine “globale” s’intende il venirsi a formare di un meta-sistema-mondo. Un contesto “mondo” c’è stato, almeno per noi occidentali, dal Cinquecento, ma nel corso del tempo su fino alla grande estensione dell’Impero britannico, poi le due prime (forse ultime?) guerre “mondiali” ed infine col processo di infrastrutturazione interna a base di scambi economici e non solo ed in ragione della maggior densità interna, il “mondo” è oggi “il” contesto generale madre per ogni altro sotto-contesto particolare.
Le gerarchie-mondo hanno visto gli europei dominare fino al XX secolo con colonie ed imperi, poi il sistema europeo è collassato con due conflitti cataclismatici ed il sistema dominante europeo ha lasciato il posto ad una galassia occidentale che ruotava intorno agli Stati Uniti d’America. Sia per compattare la galassia usando l’identità negativa (noi siamo … in quanto contro …), sia per oggettiva concorrenza tra modelli ambiziosi (la società-mercato vs la società-politica, liberale la prima, comunista la seconda) dove per “ambiziosi” s’intende con sguardo espansivo con ambizioni egemoniche, s’è venuto a formare un contesto detto “bipolare”. Non lo era in effetti, già dagli anni ’50 si viene a formare una terza galassia, quella dei paesi non allineati ad uno dei due poli, ma né questa galassia poteva dirsi un polo, né era competitiva con gli altri due mostrando una sua omogeneità interna (era anch’essa una identità negativa), né il nostro sguardo si interessava più di tanto del mondo in quanto tale, “mondo” era per noi la porzione che ci riguardava. Ma era pur sempre una eccedenza della semplificazione bipolare. Negli anni ’90, implode il polo sovietico ed inizia una nuova fase di globalizzazione infrastrutturale (Internet), commerciale (WTO) e finanziaria. Nel frattempo, si anima l’Asia (“l’eccedenza bipolare”) con la crescita del sub-sistema multipolare del Sud-Est asiatico, la potente crescita cinese seguita ad una certa distanza da quella indiana. Oggi e sempre più in futuro, la distanza di potenza tra vertice e base del sistema-mondo tenderà ad accorciarsi in un processo sistemico naturale di auto-omogeneizzazione relativa (dalla Grande divergenza alla Grande convergenza). Questo intendiamo per “meno gerarchico” ovviamente in senso relativo. E’ proprio la dinamica di questo terzo punto, sommata alle alte due, a determinare l’ineluttabilità della forma multipolare.
Infine, dato un mondo ormai pienamente ed irreversibilmente multipolare, l’intonazione delle relazioni interne sarà ovviamente conflittuale dato che parliamo di sistemi umani e non di atomi o molecole o branchi, stormi, banchi di animali non pienamente intenzionali, ma con un invisibile limite all’uso della forza diretta, almeno tra poli. Conflittuale e cooperativo sarebbe più preciso dire, a seconda di temi, tempi, contesti particolari. Il limite all’utilizzo della forza almeno tra poli è dato sia dal limite involontariamente posto dalle armi nucleari (M.A.D.), sia dalla non convenienza a disordinare pesantemente lo stesso contesto mondo da cui ormai dipendiamo tutti, volenti o nolenti. Quest’ultima condizione, negli “occidentali”, è più cogente per gli europei che abitano un promontorio dell’Eurasia, che per gli anglosassoni che da tradizione abitano isole (britanniche, australi, continentali nel caso nord-americano). Da cui una obiettiva divergenza di interessi tra i due occidenti.
Ecco quindi il contesto multipolare per la prima volta davvero a dimensione mondo, un mondo molto denso, in cui è meno facile ordinare con una asciutta gerarchia semplificata, la cui regola interna è competere e cooperare con un sempre più improbabile (per quanto sempre possibile poiché l’umano è sì intenzionale ma non per questo si è emancipato del tutto dalla stupidità intrinseca) possibile ricorso allo strumento usato sempre ed ovunque in cinquemila anni di storia società complesse: la guerra diretta tra concorrenti. Quattro belle novità, sul piano storico che dovrebbero esser assunte su quello teorico.
Non sempre, agli umani, capitano periodi storici con salti di novità così importanti e radicali, stante che per capire il mondo non possiamo, almeno inizialmente, far altro che volgerci indietro per capire dall’esperienza passata come si svolgerà il futuro. Se questo ricorso all’indietro per prevedere il davanti è tipico della nostra tradizione mentale, il meccanismo fallisce quando si è la fortuna o sfortuna di capitare in periodi di così pronunciata discontinuità. Vedi il “tacchino induttivista” di B. Russell. Infatti, da ciò che si legge in ambito “esperto” o in ambito “dilettante” quanto a geopolitica, sembra che molti abbiamo una grossa difficoltà a comprendere la natura del mondo multipolare. Il discorso pubblico vede ancora riproposti concetti inadatti come “dominio o egemonia sul mondo”, “guerra fredda”, “terza guerra mondiale” (per fortuna ora un po’ meno, sino a qualche anno fa era un tema che andava molto soprattutto tra i tendenti alla paranoia esistenziale), legge ferree delle talassocrazie o il fatidico centro egemonico del capitalismo, tutti concetti pescati nell’indietro e quindi poco adatti a comprendere il davanti.
Tutto ciò ci serviva anche come premessa per commentare l’esito del primo giorno del summit europeo a 27 che si tiene a Bruxelles. A notte inoltrata e dopo essersi piacevolmente unitamente intrattenuti sull’omofobia di Orban, i 27 si sono spaccati sull’ipotesi di un vertice UE-Russia avanzata con grande intenzione da Francia-Germania (e per quel che conta cioè poco, l’Italia). Contrarissimi sia i paesi dell’Est, sia quelli del Nord propriamente detto (Olanda e Svezia), questi ultimi preoccupati anche dal fatto che tema sul tavolo dell’eventuale nuovo dialogo con Mosca ci sarebbe l’Artico, ma anche per via del fatto che da sempre hanno “special relation” con l’UK. UK che ovviamente è contrarissima a questa ipotesi di nuove aperture verso Mosca ed infatti giusto l’altro giorno hanno mandato una barchetta in acque russo-ucraine sperando di poter provocare qualche incidente che invalidasse ogni velleità europea di dialogo euro-russo. La disciplina stessa “geopolitica” inizia in pieno dominio dell’impero britannico con un geografo inglese preoccupato del fatto che si potesse venire a creare nell’Heartland un sistema egemone, lì dove gli “isolani” diverrebbero fatalmente “isolati” ovvero periferici.
Si può immaginare che questa apertura franco-tedesca sia stata moneta di scambio tra USA ed il bipolo egemone nel sistema UE, come compensazione per i nuovi divieti di relazione diretta con la Cina. Moneta data o pretesa o implicitamente dovuta secondo i due europei. Concessa o tollerata dagli USA sia per dar seguito dal vertice Biden-Putin (con Biden che dall’iniziale “di senno sfuggito”: criminale! è stato consigliato a passare a più miti consigli), sia perché poi manovrando appunto i paesi dell’est o i nordici molta sabbia può esser messa negli ingranaggi delle relazioni internazionali del quadrante, se dovessero prendere una piega non conforme ai desideri dell’egemone del sistema occidentale.
Di per sé non è ancora successo niente, ma c’è molto movimento. Sembra si avveri il desiderio o profezia di Kissinger verso un grande ritorno della diplomazia e del resto Kissinger pare uno dei pochi che capisce la natura dell’argomento. Il summit si è concluso con l’aperta bocciatura della proposta franco-tedesca, c’è da giurare che i due non molleranno ed in vario modo porteranno comunque avanti l’intenzione, c’è da dar per scontato che UK-vari paesi europei con dietro gli USA troveranno altri mille modi per sabotare tale intenzione. Non è ancora fattivamente successo nulla nelle relazioni con la Cina che, al netto della semplificata rappresentazione del problema cinese che si dà qui da noi, è di fatto un sistema massivo inscritto in un continente che non può esimersi dall’averlo come centro gravitazionale ineliminabile, lì dove tra l’altro risiede il 60% dell’umanità ovvero l’Asia. La Russia sta a guardare solida delle sue nuove relazioni asiatiche pur sapendo tutti noi molto bene quanto, storicamente e culturalmente, la Russia stessa si ritenga parte orientale dell’Europa e non parte occidentale dell’Asia.
Quindi al di là delle chiacchiere e dei proclami, tutti sanno che questo è il nuovo gioco di tutti i giochi. Biden che segue il buonsenso geopolitico di provare a spacchettare o quantomeno allentare l’asse Russia-Cina, Merkel-Macron che potrebbero rallentare i rapporti coi cinesi se gli si dà sfogo in Russia, Putin che da tutto ciò quanto a terza forza è colui che, potenzialmente, potrebbe trarre il maggior vantaggio dal nuovo mondo multipolare bilanciandosi un po’ di qua ed in po’ di là secondo convenienza. Stante che se il mondo nuovo si dice “multipolare” non è solo perché il primo girone di potenza passa da due a tre-quattro, ma anche perché ci saranno India, Giappone, Corea, Indonesia, Pakistan, Turchia, petro-monarchie, Egitto, Brasile e molti altri che parteciperanno al nuovo gioco sebbene in più limitate aree locali. Ma il mondo nuovo sarà così, multistrato e più complesso.
Quando scrissi il mio libro sul mondo multipolare, scoprii che nel reparto relazioni internazionali dello staff elettorale di Trump c’erano cinque consulenti. Nell staff di Biden in campagna elettorale e poi oggi nel governo pare ce ne siano cinquemila, se ho ben letto. Questa differenza di grana con cui si osservano i fatti del mondo per poi influenzarli, dice quanto inedito e complesso è il mondo multipolare. Una complessità necessaria che molti farebbero meglio a studiare di più e meglio piuttosto che far finta di capire cos’è il nuovo gioco geopolitico pensando che ciò che è stato, sarà di nuovo e per sempre. Lascerei quindi agli archivi Tucidide, che pure amiamo tutti molto, e cercherei di sintonizzarci sul mondo del XXI secolo che con il Peloponneso del V secolo a.C. ha poche analogie strutturali.
E se siete intellettualmente interessati dalla geopolitica, consiglierei anche di controllare le vostre preferenze emotivo-ideologiche che vi fanno ora amici appassionati ora nemici irriducibili dei cinesi, dei russi, degli americani, dei franco-tedeschi etc. . L’avalutatività weberiana è un miraggio, convengo, ma insomma, c’è modo e modo di farsi condizionare dalle nostre preferenze ideologiche. Anche se capisco che giocare a capire la geopolitica è più divertente che cercare di capirla davvero.
Cambiano le modalità nel corso dei decenni, ma la natura conflittuale dei rapporti tra israeliani e palestinesi rimane senza soluzione di continuità. Ci sono state occupazioni di terre, opportunismi e tradimenti, conflitti endemici e confronti drammatici dietro una solidarietà di facciata ed una aperta ostilità. La gran parte delle scelte politiche, una volta consolidato lo Stato di Israele, non hanno certo preparato ad una soluzione che non sia una tregua. Il problema essenziale è che sino a quando la realtà politica ed istituzionale palestinese non troverà una corrispondenza accettabile con quella socioeconomica difficilmente potrà sorgere un attore sufficientemente autorevole da poter sostenere uno scontro politico e geopolitico così aspro con la necessaria autonomia e una chiarezza di obbiettivi che renda possibile alla obbligata convivenza nella vita quotidiana quella politica ed istituzionale capace di dare espressione ad un popolo. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
Il 21 giugno ha risposto a stretto giro di posta l’ambasciatore russo a Roma, Sergey Razov. Qui sotto il testo della lettera aperta:
Stimato Direttore,
ha richiamato la nostra attenzione l’ampio articolo intitolato “Bergamo, virus, spie e vaccini” pubblicato sul Suo quotidiano il 20 giugno, in cui il giornale ripercorre i fatti di marzo-aprile 2020, quando un gruppo di medici virologi ed esperti disinfettatori russi ha operato nel Nord Italia.
Tre righe e mezzo dell’articolo contengono l’ammissione che “i soldati russi a Bergamo hanno fornito assistenza concreta, curando decine di pazienti, durante le ore più buie della storia recente e disinfettando decine di centri per anziani”. Le restanti quasi 500 sono una congerie di invenzioni sul contenuto reale di quella che sarebbe stata una missione militare dell’intelligence russa nello spirito delle “guerre ibride”, “una campagna di disinformazione e propaganda”, con addirittura elementi della “competizione per riscrivere la mappa geopolitica del pianeta”. Tentare un’analisi dettagliata di tutta questa serie di invenzioni sarebbe una perdita di tempo. Prendiamo in considerazione solo alcuni fatti.
Ricordo bene come un anno fa questo stesso giornale e un certo numero di altri media italiani cercò, senza alcuna prova, di individuare la natura spionistica della nostra missione che avrebbe tentato di ottenere informazioni sulle strutture militari italiane e della NATO a Bergamo e Brescia, dove erano impegnati i nostri specialisti. I chiarimenti in merito al fatto che quelle aree erano state individuate dalle autorità italiane sono stati semplicemente ignorati. C’è voluto più di un anno perché gli autori di “La Repubblica” ammettessero finalmente quello che era ovvio e cioè che le strutture militari italiane e della NATO, come è risultato, non erano l’obiettivo della nostra missione umanitaria (pare non siano avvezzi a scusarsi per la palese disinformazione, attivamente diffusa nella primavera del 2020).
Ma, come si dice, ciò che è storto non si può raddrizzare (Ecclesiaste 1:15). Ora gli scrittori di “La Repubblica” ci attribuiscono la colpa di aver inviato in Italia i nostri migliori medici virologi ed epidemiologi, dotati di grande esperienza (è vero, ne abbiamo orgogliosamente parlato fin dall’inizio), di aver utilizzato sul posto un moderno laboratorio mobile, che avrebbe analizzato “la struttura genetica del virus e inviato i dati a Mosca con il sistema satellitare di comunicazione criptata”. Sì, anche allora abbiamo parlato di questo laboratorio mobile che era impegnato esclusivamente nel monitoraggio della salute del contingente, nella messa a punto delle metodiche e delle dosi di protezione immunitaria, nell’analisi PCR e nella genotipizzazione. (A proposito, effettivamente abbiamo registrato casi di infezione da coronavirus tra i nostri militari che hanno lavorato nelle zone più pericolose d’Italia). Di quali altri compiti e possibilità nascoste di questo laboratorio possono parlare gli autori, se loro stessi ammettono che nessun estraneo ha potuto accedervi.
Poi, l’affermazione forse più ridicola e sacrilega dell’articolo: “il vaccino Sputnik V è nato dal virus italiano”. (I russi hanno rubato il COVID italiano?!) Gli autori cercano di tracciare un legame causale e temporale diretto tra il lavoro della nostra missione e l’invenzione del vaccino russo. E cioè: i dati clinici acquisiti in Italia “con un’operazione di spionaggio” avrebbero permesso ai nostri specialisti di produrre un vaccino nel più breve tempo possibile. I conti non tornano. Fonti sanitarie e militari in Italia – dice il giornale – confermano che “i russi non erano autorizzati a portare campioni e provette fuori dagli ospedali dove curavano i pazienti”. Inoltre, la Russia ha iniziato a testare lo Sputnik V su volontari già a giugno e ad agosto questo vaccino è stato il primo al mondo ad essere certificato. È chiaro anche a un profano che l’invenzione del vaccino non poteva che essere il risultato di molti anni di ricerca su altre malattie virali.
È assolutamente ovvio che il lavoro eroico dei nostri militari in Italia, durato ben 46 giorni, ha fornito una certa esperienza nella comprensione del pericolo di questa malattia, della velocità e delle peculiarità della diffusione dell’infezione, arrivata in Russia, com’è noto, tre o quattro settimane dopo l’Italia. E questa esperienza è stata debitamente utilizzata per sviluppare le nostre misure contro la pandemia. Ma dove sarebbe qui il crimine?! Si tratta di un percorso di collaborazione assolutamente naturale e generalmente accettato, che peraltro prosegue ancora oggi. Al momento, l’Istituto Spallanzani di Roma sta conducendo studi clinici scientificamente importanti sul vaccino Sputnik V con la partecipazione di specialisti russi. Altre prove sono previste nell’ambito del rispettivo Memorandum di cooperazione firmato nell’aprile di quest’anno. Se il giornale Repubblica dedicasse anche solo un centesimo del suo voluminoso materiale a tale lavoro comune, volto a combattere l’epidemia, a nostro parere offrirebbe un servizio migliore e più interessante ai lettori dell’autorevole quotidiano.
E infine, un’ultima cosa. Gli autori definiscono Bergamo “un campo di prova per nuovi conflitti ibridi”. Noi invece partiamo dall’assunto che questo è il luogo in cui al popolo italiano in difficoltà i vertici e il popolo della Russia hanno disinteressatamente dato una mano. Qui sta la principale divergenza con la redazione del giornale, la cui politica provoca la nostra reazione a questo genere di informazioni.
L’Ambasciatore della Russia in Italia
21.06.2021
L’articolo è un concentrato di rara intensità di infantilismo meschino e vile in un panorama giornalistico che certamente non brilla per serietà e fondatezza di analisi.
L’ambasciatore ha avuto buon gioco quindi nel replicare con ferma diplomazia, senza neppure infierire.
Non ce n’era del resto bisogno.
Su quali comportamenti e intenzioni hanno avuto da recriminare i nostri segugi colti da sospetta crisi olfattiva?
A denti stretti hanno dovuto ammettere che lo scopo reale della missione sanitaria russa non era lo spionaggio delle installazioni militari o quantomeno non ci sono elementi sufficienti a suffragare l’ipotesi; sempre che non si possano considerare tali le inevitabili sbirciatine dai finestrini nel lungo viaggio di avvicinamento a Bergamo. Il bersaglio era però ancora più importante: catturare la Covid italiana, portarsela in Russia e carpirne i segreti; sperimentare sul campo le proprie procedure di gestione di una pandemia e di guerra batteriologica, analizzare quelle adottate da un paese occidentale, verificare l’andamento epidemiologico e patologico della sindrome. Come spiegarsi altrimenti il livello così alto e specialistico e la natura militare dei protagonisti, in particolare la loro provenienza dai laboratori chimico-biologici militari? L’accusa velata era di ricondurre il loro interesse alla logica della guerra batteriologica più che alla finalità umanitaria; accusa velata, ma strumentale e maldestra vista la analoga attività svolta da tanti laboratori americani, francesi ed inglesi civili e militari sparsi nei propri paesi e nel mondo. I missionari in colbacco del resto non hanno sentito ragioni nel condividere i dati acquisiti, la sofisticata strumentazione in possesso con gli ospitanti così smarriti in tanto tragico caos. Hanno così ingannato “Giuseppi” e l’intera compagine governativa, piombando come falchi su di un paese smarrito, prendendo alla sprovvista i custodi della sicurezza del paese, carpendo i segreti del mostriciattolo per ricavarne un efficace vaccino in colpevole anticipo rispetto agli amici occidentali, per trarne insegnamenti utili nella gestione ormai prossima a venire della pandemia nel loro paese.
Il senso di privazione che pervade i nostri due segugi è evidente, ammirevole, ma tardivo. In un quotidiano che per trenta anni ha sostenuto attivamente e con entusiasmo, pur in buona compagnia, la spoliazione e la privazione di beni del proprio paese, ai pochi giornalai di buon cuore non è rimasto che aggrapparsi al poco che è rimasto in Italia, difendendolo a denti stretti. In quel poco è rimasto evidentemente la Covid 19 italiana. I tapini non si sono accorti per altro di dare involontariamente ragione ai rivali cinesi i quali, per nascondere le proprie magagne, hanno cominciato a vendere nel mondo l’insinuazione dei virus nazionali, compreso quello tricolore.
L’angoscia da privazione non fa che fissare i pregiudizi e impedire di porre correttamente le domande e soprattutto di porle alle persone giuste.
Hanno accusato i russi di strumentalizzare a fini geopolitici e di propaganda il loro intervento; li hanno incriminati di lesa maestà per aver tentato di scombussolare l’Unione Europea; si sono risentiti, colti da un malinteso orgoglio nazionale, per i loro giudizi sferzanti sulla gestione italiana della pandemia.
Hanno dimenticato in buona sostanza di essere dei giornalisti e di porre le giuste domande:
come mai non ha funzionato la solidarietà europea nei momenti più acuti della crisi pandemica?
Da dove arriva l’ostracismo al vaccino russo e il fallimento della ricerca scientifica europea?
Come mai le implicazioni e il conflitto geopolitici hanno riguardato non solo i paesi dichiarati ostili (Russia e Cina), ma anche quelli “fratelli ed amici”?
Come mai il Governo e il paese si è affidato alla improbabile coppia costituita da un manager-finanziere di terza fila (Arcuri) e da un contabile della Protezione Civile (Borrelli), con la consulenza esclusiva di virologi impegnati più che altro ad apparire sugli schermi, piuttosto che ad una struttura composta da esperti di logistica, igienisti, manager della salute nella quale i militari avrebbero dovuto avere un ruolo di primo piano e non di serventi tuttofare?
Come mai il Governo non è stato in grado di concordare le modalità di intervento e di scambio delle informazioni con tutti gli interlocutori internazionali, oltre che con russi e cinesi? Anni fa ad un alto ufficiale americano fu chiesto come mai tante basi erano state spostate dalla Germania in Italia. Da buon anglosassone la risposta fu lapidaria: “in Germania per muoversi occorre compilare protocolli di almeno dieci pagine, in Italia una telefonata.”
Come mai si sono omesse le analisi epidemiologiche e diagnostiche che accelerassero l’individuazione dei decorsi e la definizione di terapie efficaci?
Come mai è quasi completamente saltata quella medicina di base e preventiva sulla quale dovrebbe fondarsi il sistema sanitario nazionale, stando almeno alle dichiarazioni fondative di principio come pure è rimasto impolverato il piano di emergenza nazionale?
Come mai in una situazione di grave emergenza non si è risolto rapidamente il disordine istituzionale e lo si è piuttosto strumentalizzato per scaricarsi reciprocamente le responsabilità della cattiva gestione della crisi?
Le giuste domande, ma alle persone giuste: al ceto politico italico, alla sua classe dirigente e ai suoi quadri amministrativi, agli alleati o sedicenti tali piuttosto che alla missione russa rea di aver fatto quello che avrebbero dovuto fare tutti. Le cui giuste risposte avrebbero probabilmente consentito di non pietire interventi esterni a scatola chiusa e di non porre alla radice il problema.
Si sa purtroppo che l’orgoglio nazionale serve a suscitare le migliori energie di un paese, ma anche, spesso e volentieri, a coprire le peggiori magagne e speculazioni.
La soluzione non può arrivare da segugi di tal fatta. Sono parte in causa di una categoria a pieno titolo corresponsabile di una gestione fatta e condizionata da allarmismo, disinformazione, schizofrenia, superficialità e irresponsabilità. Una gestione che ha ridotto l’emersione di un problema serio ad una manipolazione inquietante senza una soluzione di continuità prevedibile in una emergenza senza fine. Un vero e proprio ossimoro. Mario Draghi è arrivato a risolvere alcuni dei problemi posti. Probabilmente ci riuscirà, ma non sarà la gran parte del paese a giovarsi del risultato. Lo abbiamo intravisto negli ultimi due vertici mondiali del G7 e della NATO sui quali continueremo a soffermarci.
Ai due segugi, dal cuore ingrato e dall’indole meschina, non rimane che replicare a loro volta a due semplici domande: a chi, a quale pifferaio devono rispondere dei loro sproloqui infantili e mal posti? Non certo ai lettori, vista la crescente disaffezione. Siete voi stessi agenti terminali di una guerra ibrida?
Nonostante tutto, la Turchia di Erdogan si conferma importante e utile agli Stati Uniti di Biden. Ecco perché. L’analisi di Giuseppe Gagliano
Nonostante il presidente turco sia stato definito un autocrate da Biden, e nonostante il fatto che le istituzioni americane abbiano definito l’eliminazione degli armeni come un vero e proprio genocidio, l’incontro a Bruxelles si è concluso con un’affermazione tutt’altro che sorprendente da parte del presidente turco, affermazione secondo la quale con gli Stati Uniti non ci sono problemi che non possono essere risolti. Proprio lo stesso presidente americano d’altronde ha confermato che l’incontro col suo omologo turco è stato produttivo.
Nonostante il ruolo sempre più assertivo da parte della Turchia in Medio Oriente, nonostante l’opposizione di Ankara al sostegno degli Stati Uniti ai combattenti curdi in Siria e, infine, nonostante gli Usa abbiamo penalizzato la Turchia per l’acquisto del sistema di difesa missilistica S-400 della Russia, pare che fra i due leader sia tornato il sereno. Sarà forse per le virtù taumaturgiche della democrazia americana? O forse più realisticamente per interesse di realpolitik?
COSA FA LA TURCHIA PER GLI STATI UNITI
A cosa stiamo alludendo esattamente? Si fa riferimento alla possibilità che la Turchia possa mantenere una presenza militare in Afghanistan grazie al sostegno logistico e finanziario degli Stati Uniti; si fa riferimento al fatto naturalmente che la Turchia ha anche un ruolo potenziale da svolgere nella più ampia strategia di Biden di radunare alleati per opporsi all’influenza di Cina e Russia, nonostante il fatto che Erdogan abbia concluso un nuovo accordo di scambio di valuta da 3,6 miliardi di dollari con Pechino.
Ma stiamo anche alludendo al fatto che la Turchia è un avversario della Russia nello scacchiere siriano e libico, dove infatti i droni e le difese aeree turche sono stati fondamentali per respingere gli alleati della Russia.
Ma stiamo infine alludendo anche al fatto che la Turchia si è schierata con l’Ucraina sostenendo quindi gli Usa in funzione anti russa.
In definitiva, se la politica del presidente turco può apparire ondivaga e contraddittoria, in realtà le scelte di politica estera del presidente turco sono state sempre improntate a una vera e propria spregiudicatezza e a un calcolo politico volto a tutelare esclusivamente non solo gli interessi della Turchia e della sua proiezione di potenza, ma spesso anche gli interessi di quella ristretta oligarchia che ruota intorno al presidente turco.
APPARENZE E SOSTANZA
Quindi, al di là delle apparenze – spesso frutto di calcoli elettorali -, la sostanza delle relazioni tra America e Turchia segue le stesse linee di forza di quelle di Trump. Come d’altronde quelle con l’altro autocrate, e cioè con Mohammed bin Salman.
Nulla di sorprendente dal punto di vista storico: a conclusione della Seconda guerra mondiale – e soprattutto durante la guerra fredda – le democrazie hanno sempre avuto bisogno, per ragioni geopolitiche e geoeconomiche (leggi petrolio e non solo…), dei sistemi autocratici, sia che fossero in Medioriente, in Africa o in America latina.
Forse bisognerebbe spiegarlo anche ai vari autori dei numerosi manualetti di educazione civica diffusi nelle scuole superiori… oltre che al Miur.
E DOPO CHE SI FA? [Post lungo e denso] In Globotica, Baldwin osserva tre forze, più una, pressorie sull’istituzione sociale moderna del lavoro.
Della globalizzazione sappiamo: concorrenza da posizioni asimmetriche, delocalizzazioni, deregolazioni. Si sarebbe forse dovuto aggiungere la finanziarizzazione poiché la continua richiesta di profitto in tempi nei quali la vivacità produttiva ristagna in occidente ormai da parecchio, ha portato e porta ad una pressione sui costi d’impresa che fatalmente diventano costo del lavoro e costi di ricerca. Il paradosso perverso è che attaccando il capitale umano e quello cognitivo (io normalmente non userei l’espressione “capitale umano” che trovo assai volgare, ma nel discorso pubblico tocca a volte accettare gli standard in corso per intendersi), si rinforzano le ragioni che limitano l’ulteriore sviluppo aziendale che è alimentato dagli investimenti. Se gli investimenti vanno a profitto …
A ciò si aggiunge la conversione di lavoro umano con lavoro macchina (hard e soft). Tale conversione è spinta dalla stessa global-finanziarizzazione, nel senso che per competere ad armi semi-pari con concorrenti dal costo del lavoro (diretto ed indiretto) complessivamente più basso ed a (quasi) parità di qualità tecnica di performance, non rimane che agire proprio sul costo del lavoro. Ed è indubbio che il costo macchina sia di molto inferiore al costo dell’umano. Ad un certo punto Baldwin cita in modo sottilmente sprezzante l’ex segretario al Tesoro Steve Mnuchin che ancora nel 2017, a domanda su quanto l’IA erode ed avrebbe eroso lavoro umano, rispondeva che l’eventualità si sarebbe semmai presentata nell’arco di cinquanta, forse cento anni. Questo negazionismo protettivo delle nuove forze di mercato agisce da tempo sostenendo l’insostenibile e ricorrendo a ragionamenti fideistici che solo la diffusa confusione mentale permette di non notare.
Ma Baldwin pone sopra queste due pressioni note una terza. Se la prima “Grande trasformazione” svuotò le campagne e riempì le industrie e se la seconda iniziata negli ultimi decenni del secolo scorso, svuotò -qui in Occidente- le industrie e riempì i servizi, sono proprio i servizi oggi sotto attacco. Attacco dalla diffusione e progresso dell’IA (si pensi all’autoapprendimento) che tende a pareggiare la performance umana in molti casi ed un nuovo attacco su cui si sofferma in modo particolare. Si tratta di una particolare, nuova performance, dell’IA nel superare le barriere linguistiche per via della diffusione di traduttori istantanei, di scrittura ma anche di voce.
Si segnalano infatti almeno una dozzina di portali che offrono collaborazioni free-lance localizzate in tutto il mondo. Il free-lance on line costa pochissimo poiché localizzato in India, Pakistan, Bangladesh o altrove in Asia, è flessibilissimo, è estremamente competente poiché in genere si è formato in Occidente, è a contratto limitato ad una singola performance, lavora anche in anti-orario (quando qui si dorme). Questa figura, che va dal call-center all’ingegnere progettista, è stata sino ad oggi limitata dalla conoscenza dell’inglese, circa un miliardo di potenziali. Ma i nuovi sistemi anti-Babele, ora allargano il fenomeno ad un una platea di più miliardi di potenziali.
Si pensava quindi che i servizi fatti da esseri umani per esseri umani fossero protetti poiché i primi processi di recente globalizzazione riguardavano mani, non menti. Invece non lo sono, e per via dei progressi diretti di IA che pareggiano le prestazioni umane con vantaggio di costo, e per via di alcuni specifici progressi della stessa categoria che però mettono in contatto offerta locale con domanda a basso costo, entrambe umane, potenzialmente globale. Da cui il termine “globotica”.
Queste le tre pressioni. La “più una” è data dal discorso che qui abbiamo molte volte citato, preso dallo storico dell’economia R.J.Gordon a proposito della fine dello “special century” (1870-1970). Secondo il Gordon, le cui tesi sono sostanzialmente alla base delle fosche previsioni di “stagnazione secolare” di Summers-Krugman, abbiamo alle spalle un eccezionale ed irripetibile parentesi poietico-creativa a base tecno-scientifica. Meccanica, meccanica a vapore, elettricità, chimica, telecomunicazioni, intrattenimento, nello “special century” queste sono state innovazioni catastrofiche (che rivoltano la forma) che hanno dato luogo a sviluppi successivi di cascate e cascate di innovazioni di processo e di prodotto. Dopo gli anni ’70, negli ultimi cinquanta anni quindi mezzo secolo, c’è solo il digitale-informatico. Il quale, tra l’altro, va in genere più in sostituzione che in innovazione profonda. Fra un po’ avremo accesso all’intera libreria di ogni musica mai prodotta con chip sottocutaneo ed auricolari miniaturizzati impiantati direttamente nei padiglioni auricolari, ma insomma, si tratta pure sempre della radicale innovazione iniziale della “musica riprodotta in assenza dell’emittente” che risale ai primi grammofoni. O come nel caso delle automobili, l’innovazione radicale sarebbe il teletrasporto non l’auto elettrica che si guida da sola.
La tesi di Gordon è interessante perché storicizza un fenomeno che qui chiamiamo economia moderna (scienza-tecnica-capitale) in luogo del più usato “capitalismo”. Lo colloca cioè nel tempo ricordando che, come ogni altro fenomeno storico, si va incontro all’inesorabile regola dei rendimenti decrescenti, il “meglio” è andato.
Infine e relativamente a tutte e tre più una delle pressioni sul lavoro, necessario cardine del contratto sociale moderno, il tutto mostra due caratteristiche: 1) l’enorme dilatazione degli spazi per la quale ormai ed irreversibilmente il mercato è il mondo (anche quello del lavoro in forme dirette ed indirette); 2) l’incredibile velocità temporale delle trasformazioni che ormai non viaggiano più al ritmo del secolo o dei decenni, ma degli anni. Adattare istituzioni sociali umane e mentalità a questa velocità e dimensione del cambiamento è un grosso problema. Ed è “il” problema politico e sociale principale della nostra fase storica.
Baldwin non lo fa, ma come nel caso della finanziarizzazione da accoppiare strutturalmente alla globalizzazione, vi sono altri problemi incidenti. Dai limiti di compatibilità tra fare economico umano entropico e secondo principio della termodinamica nonché difficile equilibrio con il sistema complesso naturale (clima, ambiente, ecologie, biodiversità etc.), alla riduzione vistosa di potenza tra Occidente e resto del mondo che sta producendo la nuova “Grande convergenza” (sempre un libro di Baldwin che riprende la Grande divergenza di Pomeranz).
Ci si potrebbe poi aggiungere la ormai stanca e sempre meno sostenibile perversione in termini di teoria dei bisogni tra quelli materiali, quelli relazionali e quelli posizionali per cui i primi che erano il regno della necessità sono inondati da superfluità (ci dobbiamo muovere sì, ma del monopattino elettrico possiamo francamente fare a meno senza gravi turbamenti). I secondi -invece- sono negati e pervertiti portandoli a diventare interni ai terzi. Ad esempio “hai voglia di parlare con qualcuno?” come abbiamo fatto per centinaia di migliaia, forse milioni, di anni? Arriverà Cortana o Siri Existential, il tuo amico o amica che ti conosce meglio di quanto tu conosci te stesso (coi Sette Sapienti che si agitano nelle tombe, ma anche Confucio). Questa macchina è stanca anche lei e i numeri della epidemia di depressione certificata a dati WHO, sommata a quelli della criminalità, tossicodipendenze, alcolismo, disordini mentali (ansia, ad esempio) che alimentano Big Pharma e molte professioni mediche, ne danno numero-peso-misura obiettiva. Il bisogno -condizione di possibilità- per la soddisfazione di ogni altro ovvero il tempo, è la moneta di scambio per il reddito senza il quale non vivi. Quindi non hai tempo per te, per il tuo partner, per i figli, per gli amici, per l’auto-coltivazione fisica, psichica e culturale e quindi i bisogni relazionali sono programmaticamente frustrati per alimentare l’acquisto di succedanei ovvero beni posizionali. Comprati vendendo la tua libertà di gestite il tuo tempo umano.
Il pilone delle forme moderne di vita associata, il lavoro, tende a sgretolarsi, Aggredito qui da noi da globalizzazione, finanziarizzazione, avanzamenti IA diretti ed indiretti come nel caso della nuova globotica, limiti della fisica termodinamica e della chimica, riduzione di potenza geopolitica quindi geoeconomica, rendimenti decrescenti dell’innovazione, contrazione demografica (con invecchiamento medio), stanchezza della macchina perverti-bisogni.
Piena occupazione? Orario di lavoro? Salario di cittadinanza? Mi sa che anche a livello di elaborazione teorica, anche critica, c’è da farci sopra una riflessione più complessa. Si tratta di immaginare un nuovo tipo di contratto sociale, lottare per questo in senso strategico e non limitarsi alla difesa giapponese delle ultime trincee di un mondo che sta semplicemente svanendo nel flusso sempre cangiante del corso storico. Dovremmo tornare a nuotare nella storia, ma molti abituati alle dinamiche di terra moderna, sembra abbiamo perso la facoltà natatoria. Iscriversi in piscina o rimettersi a studiare?
Planck diceva cha la scienza progredisce ad ogni funerale, nel senso che poiché ciò che pensiamo è il senso della nostra identità che non cambiamo facilmente, debbono scomparire purtroppo i fisici portatori di una certa mentalità affinché si crei lo spazio per farne emergere di nuove, adeguate ai tempi, perché i tempi cambiano, sempre. Quest’ultima, è l’unica legge della storia e noi, in fondo, siamo solo precarie concrezioni storiche che fanno finta non esista il tempo perché il tempo allude alla morte.
(Del libro di Baldwin sono solo a metà, ma mi stimolava il ragionamento)
Nonostante le politiche economiche restrittive della Cina, a causa dell’aumento dei prezzi di alcune materie prime, energia e materiali hanno sovraperformato nel 2021. Louis Gave è qui per riflettere sulle possibilità indotte da questa sovraperformance e sugli scenari che gli investitori dovranno affrontare in queste circostanze. Lo scenario che ritiene il più probabile è quello di un boom inflazionistico.
Come ha sottolineato il mio collega Thomas Gatley, l’impennata del tasso di inflazione dei prezzi alla produzione in Cina, che ha raggiunto il livello più alto in 13 anni (9%) a maggio, è quasi interamente attribuibile al recente aumento dei prezzi dell’acciaio e dell’energia (cfr. Un altro tipo di inflazione ). Non sorprende che i politici cinesi non siano contenti di questi prezzi in rialzo. Da gennaio, la Cina è stata l’unica grande economia ad aver inasprito le politiche monetarie, fiscali e normative. Tuttavia, finora, le sue nuove restrizioni non sono riuscite a far deragliare il mercato rialzista delle materie prime, al punto che Pechino sta ora valutando di controllare i prezzi.
Negli ultimi due decenni, la Cina è stata generalmente il più grande acquirente di quasi tutte le materie prime. Per gli investitori, ciò significa che quando la Cina si sta stringendo e i politici cinesi hanno nel mirino i prezzi delle materie prime, ha senso ridurre l’esposizione alle materie prime.
Il commercio di uccisioni
Tuttavia, finora quest’anno questa semplice regola non ha funzionato. Coloro che hanno visto la condanna a morte dell’ex presidente Huarong Lai Xiaomin il 29 gennaio come un segno che Pechino intendeva raffreddare l’economia (l’esecuzione di finanzieri corrotti è un segnale forte per i banchieri nazionali, che devono rallentare il ritmo di crescita dei prestiti), e che hanno deciso di ridurre l’esposizione alle materie prime, quest’anno hanno perso i settori più performanti.
Energia e materiali hanno sovraperformato nonostante la stretta cinese
L’impressionante sovraperformance delle materie prime, nonostante l’inasprimento della politica cinese, suggerisce tre possibilità.
1. I mercati delle materie prime hanno corso. L’argomento è semplice. Quest’anno era ancora prevedibile un forte rimbalzo del PIL nominale (vedi Il boom del 2021 ). Ma una volta che il rimbalzo immediato avrà fatto il suo corso, le traiettorie economiche torneranno alle loro tendenze a lungo termine. E queste tendenze a lungo termine non sono molto eccitanti. In questa visione del mondo, la recente inversione dei prezzi di una serie di materie prime chiave, tra cui rame e legno, è un presagio di cose a venire.
2. Questa volta è diverso. Il ciclo attuale e la ripresa economica globale in corso sono diversi da quelli del 2002-2003, 2008-2009 o addirittura del 2015-2016. Mai prima d’ora la Federal Reserve statunitense ha iniettato liquidità nel sistema finanziario quando la crescita del PIL nominale era a due cifre e i deficit gemelli statunitensi si aggiravano intorno al 20% del PIL. Certo, la Cina si sta stringendo. Ma questo leggero inasprimento è facilmente controbilanciato dalla possibilità di una forte crescita statunitense, un rimbalzo della domanda finale europea, la ripresa di altri mercati emergenti e la debolezza del dollaro USA.
3. Si tratta di vincoli di fornitura. L’attuale aumento dei prezzi ha meno a che fare con la previsione della domanda futura – sia dalla Cina, dagli Stati Uniti, dall’Europa o dai mercati emergenti – che con un’offerta insufficiente. I catastrofici ritorni sugli investimenti in materie prime nel periodo 2012-20, insieme all’enfasi odierna sugli investimenti rispettosi dell’ambiente, fanno sì che la maggior parte dei grandi investitori si sia allontanata dalle industrie estrattive. E nei mercati delle materie prime, una carenza di nuovi investimenti di solito si traduce in prezzi più alti (che a loro volta incoraggiano gli investimenti, aumentano la produzione e, in definitiva, abbassano i prezzi, e così via e così via).
L’equazione dell’energia
La scelta di uno di questi tre scenari determinerà in larga misura se l’attuale aumento dell’inflazione è temporaneo o se, quando le economie riapriranno completamente, l’inflazione si rivelerà più persistente del previsto.I politici lo sperano (vedi Q&A sul dibattito inflazione/deflazione ). Nel determinare quale scenario ha più probabilità di essere corretto, la direzione dei prezzi dell’energia sarà decisiva. Questo per un semplice motivo: l’energia rappresenta generalmente tra un quarto e la metà del costo di estrazione, produzione e commercializzazione di un prodotto di base, sia esso alimentare, di acciaio o di metalli preziosi. Pertanto, l’aumento dei costi energetici ha quasi sempre un impatto sul mercato delle materie prime in generale. Oggi, i prezzi dell’energia sono a un punto chiave (vedi Le possibilità del petrolio in rialzo ). Nel 2021, era facile sostenere che gli investimenti in energia erano insufficienti per soddisfare la domanda in un mondo in forte espansione (vedi I tre prezzi chiave: il petrolio ). Al contrario, l’argomento ribassista per i prezzi dell’energia era che se gli investimenti del settore privato negli idrocarburi fossero stati probabilmente insufficienti, i governi in Europa, Stati Uniti, Cina e altrove avrebbero promesso di iniettare centinaia di miliardi di dollari USA nel finanziamento di una transizione verso “l’energia verde”. ”. Abbiamo così assistito a una divergenza senza precedenti tra i corsi azionari delle società di energia verde e quelli dei produttori di idrocarburi (vedi Manie finanziarie: la follia dell’auto elettrica ). Quest’anno, tuttavia, la divergenza si è ridotta.
Le fauci del coccodrillo iniziano a chiudersi?
Tutto ciò lascia agli investitori tre possibili scenari:
1. I governi spendono una fortuna in energia verde e queste enormi somme stanno dando i loro frutti. I prezzi del petrolio raggiungono rapidamente il picco, si invertono e scompaiono gradualmente nell’indifferenza economica. In questo scenario, il mondo ritornerebbe a un boom deflazionistico. I titoli in crescita dovrebbero sovraperformare.
2. I governi spendono una fortuna in energia verde, ma queste enormi somme si rivelano improduttive e l’economia mondiale rimane legata all’industria petrolifera. In questo scenario, i paesi che hanno sprecato capitale in una transizione energetica fallita vedono le loro valute diminuire e l’inflazione accelerare (per pagare gli investimenti sbagliati). Il mondo si avvia verso un boom inflazionistico, in cui il principale freno all’attività non è più il tasso di interesse, ma il costo dell’energia. Il rischio per gli investitori azionari non è più che le guardie obbligazionarie aumentino il costo del finanziamento e spingano le economie al collasso deflazionistico. Piuttosto, il rischio è che i “vigilanti delle materie prime” facciano salire il prezzo del petrolio e spingano le economie in una spirale inflazionistica. In un mondo del genere, le miniere di petrolio e d’oro stanno iniziando a sostituire i titoli di stato come asset anti-fragili scelti per proteggere i portafogli.
3. Gli investimenti del governo nella transizione energetica non sono all’altezza delle promesse fatte al culmine della crisi Covid. I prezzi dell’energia continuano a salire, ma gli aumenti sono contenuti dal ritorno di capitali privati al settore mentre diminuiscono i timori di concorrenza governativa. In uno scenario del genere, i titoli di rendimento continuano a sovraperformare, ma è probabile che le mosse relative siano meno estreme.
Come i lettori potrebbero sapere, ho passato l’ultimo anno sostenendo che il secondo scenario è più probabile. Tuttavia, mentre le probabilità di successo per lo Scenario 1 sembrano ancora piuttosto lunghe, nelle ultime settimane le probabilità di successo per lo Scenario 3 sembrano essere diminuite.
In primo luogo, questo è dovuto al fatto che la politica statunitense ha portato alla riduzione del piano di investimenti infrastrutturali del presidente Joe Biden. In secondo luogo, l’inasprimento fiscale cinese potrebbe portare a una moderazione nella spesa per investimenti, soprattutto nelle energie alternative. Terzo, e forse il più importante, è perché la notizia che la Russia inizierà a pompare gas naturale attraverso il gasdotto Nord Stream 2 in pochi mesi promette di risolvere il dilemma energetico della Germania.
Se la Germania può ora accedere a gas russo abbondante e a buon mercato, i politici tedeschi continueranno a sostenere una spesa gigantesca di energia verde a livello dell’Unione europea? Solo poche settimane fa, la risposta avrebbe potuto essere “sì”. Ma con il Partito dei Verdi tedesco che sembra aver raggiunto l’apice nei sondaggi d’opinione e resta indietro rispetto ai democristiani più conservatori fiscalmente, si può mettere in discussione l’impegno della Germania – e quindi dell’Europa – a favore di massicci investimenti in energia verde.
Sette giorni di incontri, dal G7 all’assemblea della NATO, per finire con il vertice con Putin. Tre incontri, tre stati d’animo differenti, tre posture diverse di una stessa presidenza americana, ma con un convitato di pietra: Xi Jinping. Semplici accomodamenti in situazioni diverse o il segno di una schizofrenia destinata a rendere sempre meno credibile ed autorevole la presidenza di Biden e l’ambizione egemonica degli Stati Uniti?_Buon ascolto, Giuseppe Germinario
Qui sotto alcune considerazioni, come sempre interessanti, di Bernard Lugan riguardanti l’annuncio “sorprendente” circa i destini dell’operazione “Barkhane” in Mali e nell’Africa subsahariana. Vanno sottolineati a corollario degli argomenti dell’autore due elementi che più coinvolgono l’Italia. La decisione arriva a pochi mesi dall’invio di un contingente italiano nella regione a sostegno di “Barkhane”; la motivazione dell’invio è legata ufficialmente alla necessità di bloccare e controllare i flussi migratori in partenza da quell’area. Ai lettori l’onere di un giudizio sulla “tempestività” e sul “respiro strategico” di una tale partecipazione. Contemporaneamente all’ipotesi di ritiro delle truppe francesi, si registra una presenza sempre più importante di forze militari russe a sostegno di buona parte dei regimi e di fazioni non solo di quell’area africana. Una forza che si aggiunge alle presenze americana, cinese, indiana e turca. Presenza per altro che suggella un ritorno nel continente della Russia, sufficiente a puntellare, ma non a creare stabili aree di influenza. Germinario Giuseppe
Prendendo come pretesto il colpo di stato del colonnello Assimi Goïta in Mali, Emmanuel Macron ha deciso di “trasformare”, in realtà si dovrebbe leggere “smantellare” Barkhane [1].
Eppure, il colpo di stato dell’ex comandante delle forze speciali maliane è stato, al contrario, un’opportunità di pace. Avendo per le sue funzioni un giusto apprezzamento delle realtà sul terreno, questo Minianka, ramo minoritario del grande ensemble Senufo, non ha controversie storiche, né con i Tuareg, né con i Peul, i due popoli all’origine del conflitto [2] . Potrebbe quindi aprire una discussione di pace correggendo quattro grandi errori commessi dai decisori parigini dal 2020, errori che hanno impedito a Barkhane di esprimere tutto il suo potenziale.
1) Nel 2020 si è intensificata la lotta all’ultimo sangue che oppone l’EIGS ( Stato Islamico nel Grande Sahara ) all’AQIM ( Al-Quaïda per il Maghreb Islamico ).
L’EIGS, che è attaccato a Daesh, mira a creare in tutta la BSS (Sahelo-Saharan Band), un vasto califfato transetnico che sostituisca e includa gli attuali Stati. Dal canto suo, AQIM è l’emanazione locale di ampie frazioni dei due grandi popoli all’origine del conflitto, ovvero i Tuareg e i Peul, i cui capi locali, i Tuareg Iyad Ag Ghali e i Peul Ahmadou Koufa, non sostengono la distruzione degli attuali stati del Sahel.
Tuttavia, contrariamente a quanto proponevano gli ufficiali militari francesi, i decisori parigini non sono stati in grado di sfruttare questa opportunità politico-militare.
2) Il 3 giugno 2020, la morte dell’algerino Abdelmalek Droukdal, leader di Al-Quaïda per tutto il Nord Africa e per la banda saheliana, abbattuto dall’esercito francese su intelligence algerina, ha conferito la propria autonomia ai Tuareg Iyad ag Ghali e il Peul Ahmadou Koufa, liberandoli da ogni soggezione esterna. Poiché gli “emiri algerini” che avevano a lungo guidato Al-Qaeda nel BSS erano stati uccisi uno dopo l’altro da Barkhane, l’eliminazione di Abdelmalek Droukdal segnò così la fine di un periodo, al-Qaeda nel BSS. da stranieri, da “arabi”, ma da gente “regionale”.
Tuttavia, Parigi non ha voluto vedere che questi ultimi avevano un approccio politico regionale, che le loro richieste erano prima di tutto risorgive radicate nei loro popoli, e che il “trattamento” delle due frazioni jihadiste meritava quindi approcci diversi.
3) In questo nuovo contesto, un primo colpo di stato militare avvenuto in Mali nell’agosto 2020. Ha permesso di aprire negoziati tra Bamako e Iyad Ag Ghali, che ha ulcerato Parigi ma ha ulteriormente amplificato la guerra tra i due movimenti jihadisti .
Per la Francia, quindi, l’operazione è stata del tutto redditizia perché le avrebbe consentito di chiudere il fronte nord per concentrare le proprie risorse su altre regioni. Per questo, il 24 ottobre 2020, ho pubblicato un comunicato stampa dal titolo “Mali: serve il cambio di paradigma”.
Tuttavia, ancora una volta, Parigi non ha preso la misura di questo cambio di contesto, continuando a parlare indiscriminatamente di una lotta globale al terrorismo.
4) Mentre la liquidazione di Droukdel aveva permesso di portare alla ribalta dirigenti, certo islamisti, ma di tendenza etno-islamista, chiusi nei loro postulati, e non vedendo decisamente che esistesse un’opportunità insieme politica e militare di cogliere, i decisori parigini rifiutarono categoricamente qualsiasi dialogo con Iyad ag Ghali. Al contrario, il presidente Macron ha dichiarato di aver dato a Barkhane l’obiettivo di liquidarlo e il 10 novembre 2020, Bag Ag Moussa, il suo luogotenente è stato ucciso mentre, per diversi mesi, i funzionari francesi sul campo avevano evitato di attaccare troppo direttamente il movimento di Iyad ag Ghali.
Contro ciò che raccomandavano i vertici militari di Barkhane, Parigi insisteva quindi in una strategia “americana”, “digitando” indiscriminatamente il GAT (Gruppi armati terroristici), e rifiutando qualsiasi approccio “bene” … “francese”. …
Questi gravi errori, basati su un ostinato rifiuto di Parigi di tener conto delle realtà sul campo, per quanto ben percepiti dalla forza di Barkhane, portarono quindi a un vicolo cieco in cui la Francia entrò metodicamente. Il presidente Macron spera di uscirne annunciando l’inizio di una partenza… e una successione “internazionale” e “africana”.
Speriamo che questo disimpegno non porti a massacri su larga scala che saranno poi imputati alla Francia. Non dimentichiamo che se il genocidio in Ruanda è avvenuto dal 6 aprile 1994, è perché, su richiesta del generale Kagame, Parigi aveva ritirato l’esercito francese nell’autunno del 1993 affinché potesse essere sostituito da un esercito dell’ONU volapük che, rintanato nelle sue baracche, è rimasto passivo di fronte alle stragi… Ma è vero che il grottesco rapporto “Duclert” tanto caro al presidente Macron e al generale Kagame non cita questo “dettaglio”…
[1] L’operazione Barkhane sarà esaminata nel numero di luglio di Real Africa.
I semiconduttori rappresentano la principale sfida tecnologica per gli anni a venire. Sono essenziali per lo sviluppo della tecnologia digitale e dell’industria, e quindi dell’economia. La Cina è in ritardo rispetto a Stati Uniti e Taiwan. Catturare il mercato dei semiconduttori è quindi una sfida importante per la sovranità dei paesi.
Conflitti traduzione di un articolo di Dan Wang originariamente pubblicato sul sito Gavekal
5- Il futuro
In risposta alle pressioni degli Stati Uniti, la Cina ha intensificato il suo impegno per migliorare la capacità tecnologica della sua industria dei chip. Negli ultimi tre anni, Xi Jinping ha regolarmente commentato la necessità di fare progressi nelle “tecnologie dei punti di collo di bottiglia”, creare “catene di approvvigionamento sicure e controllabili” e sviluppare la capacità di fare “R&S indigeno”. La Conferenza Centrale del Lavoro Economico, tenutasi a dicembre 2020, ha dichiarato per la prima volta la scienza e la tecnologia al centro dell’attività economica nel 2021. Continua il flusso di specifiche politiche di sostegno: ad agosto 2020, il Consiglio di Stato ha annunciato che avrebbe eliminato l’imposta sulle società sui fabbricati avanzati per 10 anni e tariffe esenti su vari articoli di importazione. E ora il governo offre un’assicurazione ai fabbri per proteggerli da apparecchiature o materiali difettosi da fornitori cinesi.
Anche i fondi scorrono liberamente, e non solo i fondi di orientamento controllati dallo Stato. I segnali del governo hanno chiarito che le industrie tecnologiche sono una priorità nazionale, facendo precipitare i mercati azionari. SMIC ha raccolto 6,6 miliardi di dollari quando è stata quotata in borsa a Shanghai nel luglio 2020 e i settori tecnologici ufficialmente designati “strategici” rappresentano ora circa il 40% del totale dei nuovi finanziamenti alle società quotate in borsa. Non si tratta solo di semiconduttori, ma probabilmente non c’è mai stato un momento migliore per le aziende di circuiti integrati per attingere agli appalti pubblici. Secondo Credit Suisse, le società quotate cinesi senza una fabbrica negoziano con rapporti P/E di 60-90,
Non mancano quindi volontà politica e finanziamenti nella ricerca della sovranità cinese sui semiconduttori. Quali sono le possibilità di successo? Il trucco sta nel trovare la giusta definizione del termine “successo”. La completa autosufficienza è una fantasia, per la Cina o per qualsiasi altro paese, data la complessità della catena del valore dei semiconduttori. Ci vorranno molti anni prima che la Cina possa liberarsi dalla sua dipendenza dagli strumenti e dal software degli Stati Uniti. È improbabile che le aziende cinesi diventino leader del settore come TSMC, Samsung o Intel nel prossimo futuro, se mai lo saranno. Ma è probabile che alcune aziende cinesi diventino attori globali credibili in diversi segmenti nei prossimi 5-10 anni. E il ritmo dell’innovazione cinese potrebbe accelerare perché le aziende imprenditoriali, minacciate dalle sanzioni statunitensi, hanno adottato il programma di sovranità dei semiconduttori del governo.
È facile contare gli ostacoli. I semiconduttori sono semplicemente più difficili delle aree in cui la Cina ha ottenuto buoni risultati, come le apparecchiature per le telecomunicazioni mobili e i treni ad alta velocità. I progressi nel campo dei chip sono incrementali ed è impossibile fare il salto copiando o ridisegnando un piccolo numero di prodotti. La padronanza di un nuovo passaggio richiede la padronanza di tutti i passaggi precedenti e gran parte di questa padronanza deriva dalla conoscenza del processo radicata nell’esperienza di migliaia di ingegneri, acquisita in milioni di ore di formazione.
L’aritmetica della produzione di chip è spietata. Errori di progettazione o fabbricazione potrebbero non essere scoperti fino alla fine del processo di fabbricazione, dopo milioni di dollari di investimenti. Ogni fase del processo di fabbricazione deve essere completata quasi alla perfezione, altrimenti la resa dei trucioli utilizzabili sarà inaccettabilmente bassa.
L’ambiente imprenditoriale cinese non è noto per la sua pazienza. Gli imprenditori cinesi di chip si lamentano della mentalità di arricchirsi rapidamente della maggior parte degli investitori, che si aspettano di essere ripagati in due o tre anni, e non della lentezza della graduale padronanza delle tecnologie di base. I migliori ingegneri preferiscono lavorare per aziende più redditizie come Tencent o ByteDance , mentre molti ricercatori e professori lavorano per le start-up invece di perseguire la ricerca e lo sviluppo di base.
La portata e la natura dei finanziamenti pubblici possono creare l’illusione che ci sia una corsia preferenziale per il successo e portare a investimenti eccessivi in strutture fisiche a scapito della conoscenza. Wei Shaojun, un eminente professore alla Tsinghua University e consulente del governo per i semiconduttori, ha criticato pubblicamente il Fondo nazionale per i circuiti integrati per aver finanziato principalmente gli acquisti di attrezzature. Suggerisce di spendere di più per la ricerca.
Tuttavia, diversi fattori favoriscono i produttori di chip cinesi. In primo luogo, la legge di Moore potrebbe raggiungere i suoi limiti, sia perché enormi investimenti in tecnologia avanzata non sono più commercialmente redditizi, sia perché potrebbero esserci limiti fisici alla produzione di chip al di sotto del nodo a 2 nm, che richiederebbe il controllo dei materiali a livello del singolo atomo. Per questi motivi, l’International Technology Roadmap for Semiconductors – la previsione tecnica di consenso per l’industria globale – ha deciso nel 2016 di non tentare più di tracciare obiettivi oltre il 2030. Se i leader del settore colpiscono una tecnologia a muro, le aziende cinesi avranno più spazio per recuperare .
Man mano che il settore matura, molte funzionalità cinesi saranno sufficienti per la maggior parte dei casi d’uso. I principali clienti per i chip 5nm più avanzati sono smartphone e PC, settori che hanno visto anni consecutivi di calo delle vendite. Tra le aree di crescita più interessanti ci sono i chip specializzati che aziende come Amazon producono per i server o Google per l’elaborazione dell’intelligenza artificiale. Questi chip sono spesso realizzati in nodi all’avanguardia come 14 nm. Oggi, le aziende cinesi possono realizzare i chip non sofisticati che entrano in prodotti di largo consumo come forni a microonde e carte di credito. Se, come prevedono gli evangelisti del 5G,
La Cina produce già gran parte dell’elettronica mondiale, che fornirà la base della domanda per questo tipo di attività di volume. I marchi cinesi producono circa il 40% degli smartphone del mondo , oltre un quarto delle vendite globali di PC e la maggior parte dei veicoli elettrici. Dominano i mercati di tutti i tipi di elettrodomestici, dai condizionatori d’aria ai televisori. Le aziende cinesi potrebbero già occupare posizioni di primo piano in alcuni prodotti del futuro, come veicoli autonomi e attrezzature per smart city.
E nonostante un governo statunitense ostile, le aziende cinesi di microchip possono ancora costruire relazioni stabili con i fornitori statunitensi. L’industria statunitense dei semiconduttori ha sfruttato le tensioni tra Stati Uniti e Cina per spingere per una maggiore assistenza governativa, ma non ha aderito all’agenda per paralizzare i produttori cinesi. I produttori di chip e hardware con sede negli Stati Uniti continuano a cercare licenze di esportazione per le loro vendite in Cina e la stragrande maggioranza di loro viene concessa.
Inoltre, la maggior parte delle restrizioni sulle esportazioni statunitensi si applica solo agli articoli prodotti negli Stati Uniti, offrendo alle aziende la flessibilità di rifornire i clienti cinesi da fabbriche situate all’estero. Il CEO di KLA-Tencor ha suggerito che la società potrebbe utilizzare gli impianti di produzione in Israele e Singapore per vendere alle società cinesi; e Lam Research hanno annunciato nel 2020 che amplierà la produzione in Malesia, forse anche nel tentativo di soddisfare la domanda cinese. Questa tendenza all’offshoring sarà difficile da invertire, soprattutto perché in molti segmenti i concorrenti europei e asiatici sono pronti a riprendere le vendite che le società statunitensi stanno abbandonando a causa delle pressioni politiche.
Un’altra strada aperta alle aziende cinesi di chip è l’uso di tecnologie di proprietà intellettuale open source di base, che generalmente non sono soggette a controlli sulle esportazioni perché (come i brevetti e gli articoli scientifici) sono pubblicate. . Nel mondo dei chip, RISC-V è un’architettura open source che compete con le tecnologie proprietarie di ARM. Le aziende cinesi, guidate da Alibaba, hanno iniziato a utilizzare e migliorare RISC-V.
Infine, e questo è un punto cruciale, le sanzioni statunitensi potrebbero aver danneggiato, ma hanno anche allineato gli interessi delle aziende tecnologiche cinesi con l’obiettivo dell’autosufficienza del governo. In passato, le aziende tecnologiche cinesi hanno spesso resistito alle pressioni di Pechino per acquistare componenti locali o utilizzare standard locali perché volevano competere nei mercati globali. Un telefono Huawei, ad esempio, utilizza all’incirca la stessa proporzione di componenti cinesi di un iPhone, ad eccezione del processore, progettato dalle due società. Ma oggi, diverse grandi aziende tecnologiche cinesi stanno affrontando una qualche forma di sanzione da parte degli Stati Uniti e molti altri temono di finire in una lista nera incompresa.
L’impatto più diretto di questo sviluppo è che Huawei e SMIC stanno aumentando i loro acquisti di design, chip e componenti domestici. Le piccole aziende di circuiti integrati che in precedenza non avrebbero potuto sognare di vendere a Huawei sono ora qualificate come fornitori. La sponsorizzazione di queste grandi aziende significa che questi fornitori possono migliorare più velocemente di quanto farebbero altrimenti, grazie alla fornitura di denaro e conoscenze tecniche da parte di fornitori esigenti.
Notevoli margini di miglioramento
Insomma, l’industria cinese dei semiconduttori ha ancora ampi margini di recupero tecnologico, anche se non riesce mai ad essere all’avanguardia del progresso; e l’opposizione politica di Washington non sarà sufficiente a compensare la crescente domanda da parte delle aziende cinesi di chip che le aziende statunitensi potrebbero non fornire più. In due segmenti, design e memoria, le basi per il progresso sono già poste. L’industria cinese del design senza fabbriche è in forte espansione, soprattutto nelle applicazioni mobili. L’unità HiSilicon di Huawei ha riunito un team di progettazione d’élite che sarà in grado di stimolare l’innovazione in altre aziende, anche se Huawei è irrimediabilmente paralizzata. Le aziende di design cinesi potrebbero iniziare a competere più attivamente con aziende come Qualcomm e Broadcom. Entrambi i produttori di memorie YMTC e CXMT sono credibili e non sembrano essere nel mirino degli Stati Uniti. Hanno buone possibilità di conquistare quote di mercato significative entro tre-cinque anni, a discapito degli operatori coreani in essere.
Anche alcuni altri segmenti offrono possibilità di vincita. Nel settore delle fonderie, la pura forza degli investimenti pubblici consentirà probabilmente a SMIC e ad altri di rimanere in gioco, anche se le dinamiche di mercato e i controlli tecnologici statunitensi li tengono costantemente a pochi passi dai leader mondiali. Se le aziende di design cinesi si comportano bene, aiuterà anche le fonderie cinesi. Alcune altre tecnologie mature, come i chip analogici, dove l’innovazione è meno problematica, dovrebbero vedere intensificarsi la concorrenza cinese nei prossimi anni. E le aziende cinesi hanno la possibilità di diventare più importanti nella produzione di materie prime (come wafer, gas e prodotti chimici) utilizzate nei chip.
È molto più difficile vedere le aziende cinesi salire rapidamente alla ribalta nei chip generici di fascia alta realizzati da Intel e Nvidia, che sono difficili da produrre e mostrano effetti di blocco del software. Potrebbe volerci ancora più tempo prima che la Cina inizi a produrre le proprie apparecchiature di produzione di semiconduttori, poiché queste macchine utilizzano sia la scienza profonda che il software avanzato.
Le implicazioni più ampie di un’industria cinese dei chip molto più grande e prospera saranno miste. Alcuni degli operatori storici coreani, giapponesi, europei e americani perderanno quote di mercato, ma il processo sarà graduale. Si prevede che la capacità globale crescerà ben oltre la domanda ora che Cina, Stati Uniti e persino Europa concordano di aver bisogno di una maggiore produzione nazionale di semiconduttori per motivi di sicurezza. Il lato positivo è che ci saranno meno possibilità di carenza di chip come quelle che attualmente colpiscono il mondo. Il rovescio della medaglia è che le società con le prestazioni peggiori rimarranno sul posto e il ritmo dell’innovazione dei semiconduttori probabilmente rallenterà, perché gli attuali leader tecnologici dovranno dividere il mercato con aziende cinesi meno motivate dalla redditività. Man mano che la tecnologia matura e l’industria è sempre più guidata da considerazioni politiche, ci sono sempre meno possibilità che i semiconduttori continuino a consentire gli sbalorditivi progressi tecnologici di cui abbiamo goduto negli anni degli ultimi decenni.