Metamorfosi di Macron, crisi dell’asse franco-tedesco, e frantumazione dello spazio politico europeo, di ROBERTO IANNUZZI

Qui sotto un interessante articolo  di Roberto Iannuzzi. Di pari importanza il documento finale espresso da un consesso di cicisbei, il Consiglio Europeo, riunitosi il 21 e 22 marzo scorso. Leggetelo. Se si deve etichettarlo, lo si potrebbe definire surreale ed avventurista. Gioca in maniera infantile sulle emozioni di una narrazione consunta fondata sui presunti rapimenti di popolazioni e bambini, massacri di civili e intenzioni di dominio militare continentale da parte dei russi per motivare alla guerra un popolo europeo inesistente. Percepisce in maniera vaga che uno scontro cercato con la Russia ha bisogno del seguito di un popolo e che occorrono anni per creare il clima giusto a dispetto della dura realtà dei fatti e del tempo che incalza più velocemente della percezione e della narrazione delle élites dominanti. Blatera della costruzione di uno strumento militare europeo e di un conseguente complesso militare-industriale che garantiscano autonomia politica ed indipendenza in un quadro paradossale di dipendenza ed assoggettamento alla Alleanza Atlantica e per il quale occorreranno lustri, ammesso e non concesso che vi sia la volontà politica dei principali paesi europei. Ai tempi lunghi dei quali si percepisce la necessità corrisponde una politica di provocazioni estreme che non fa che accelerare le probabilità di un conflitto aperto in tempi rapidi. Non sono solo le provocazioni di Macron in Ucraina e a Odessa, ma anche quanto sta succedendo in Caucaso tra Armenia, Georgia e Azerbajan, con la partecipazione attiva anche di Stoltenberg, e negli ..Stan confinanti con la Russia e la Cina in Asia Centrale. La dirigenza europea e dei paesi europei sta perdendo ogni cautela e sta rinnegando i già precari ed ipocriti principi che hanno guidato la sua politica solo pochi lustri fa. Sta forzando l’adesione di nuovi paesi alla Unione fomentando la divisione interna su basi etniche e religiose dei loro popoli. Lo si vede in Bosnia-Erzegovina, in Moldova, in Georgia come nel recente passato nei paesi baltici e in Ucraina. Sta accogliendo nel proprio seno il seme del conflitto militare e della guerra civile. Sono élites che stanno annaspando e si stanno dibattendo perché stanno cadendo nella doppia trappola di un possibile rivolgimento della dirigenza statunitense e di una pesante sconfitta militare sul campo ucraino. Elites schiave della loro cecità e sicumera, espressioni del loro ultradecennale assoggettamento politico statunitense e invischiate sino ai capelli nelle loro miserabili pratiche lobbistiche scisse dai contesti nazionali. Da qui l’ostinazione nelle loro politiche cosiddette ambientalistiche e agricole, tra le varie, che pretendono di conciliare le aperture liberiste all’Ucraina con l’ambientalismo basato sulla morte di decine di migliaia di aziende agricole; di una parte consistente, quindi, della loro passata base di consenso. La loro possibilità di sopravvivenza consiste nell’alzare continuamente la posta e, con essa, l’azzardo. Non sottovalutiamoli! Hanno ancora tante disponibilità e risorse e sempre meno scrupoli. La Russia, la sua attuale dirigenza, non sono i nostri nemici! Non rimane tuttavia che un filo di speranza: il divario tra atti concreti da una parte e dichiarazioni roboanti e propositi dall’altra: la Germania di Scholz è silenziosa e sorniona, ma si rivela il maggior contributore europeo di armi e denaro al’Ucraina; Macron e Meloni, Francia e Italia, i più chiassosi, ma poco fattivi nella fattispecie. Ci sta però pensando Macron a colmare il divario. Durante la seconda guerra mondiale l’azzardo di Mussolini, meglio fondato dell’attuale, sappiamo come andato a finire; l’attuale delle dirigenze europee rischia un esito ben più catastrofico. L’epilogo insomma di un ciclo iniziato nel 1914. Giuseppe Germinario

Metamorfosi di Macron, crisi dell’asse franco-tedesco, e frantumazione dello spazio politico europeo

Le bellicose dichiarazioni del presidente francese sono il sintomo di una profonda crisi delle leadership europee, non la riposta a una reale minaccia russa.

Scholz, Tusk e Macron all’incontro del cosiddetto Triangolo di Weimar, a Berlino (Screenshot)

Quella che a fine febbraio era apparsa a molti come una boutade del presidente francese Emmanuel Macron (“l’invio di truppe occidentali in Ucraina non può essere escluso”), si è trasformata con il passare dei giorni nel cavallo di battaglia del capo dell’Eliseo.

In un’agguerrita intervista televisiva in prima serata, lo scorso 14 marzo, Macron ha rincarato la dose. Descrivendo ancora una volta il conflitto ucraino in termini esistenziali (“Se la Russia dovesse vincere, le vite dei francesi cambierebbero”, “Non avremmo più sicurezza in Europa”), il presidente francese ha ribadito che l’Occidente non dovrebbe permettere alla Russia di vincere.

Spiegando che tutte le precedenti linee rosse sono state oltrepassate dall’Occidente in Ucraina (inviando missili e altri sistemi d’arma che inizialmente si riteneva impensabile fornire a Kiev), egli ha lasciato intendere che neanche l’invio di soldati dovrebbe essere considerato un tabù (in effetti, militari occidentali sono già in Ucraina).

Ambiguità strategica

Chiarendo che non sarà mai la Francia a prendere l’iniziativa militare attaccando i russi in territorio ucraino, il presidente francese ha mantenuto una voluta ambiguità sull’effettiva possibilità di inviare truppe e sugli eventuali obiettivi di una simile missione, definendola “ambiguità strategica”.

Egli ha sottolineato di nuovo questi concetti in un’intervista al quotidiano Le Parisien, di ritorno da una riunione del cosiddetto Triangolo di Weimar (che raggruppa Germania, Francia e Polonia) a Berlino.

“Nostro dovere è prepararci a tutti gli scenari”, ha detto Macron, chiarendo che:

“Forse a un certo punto – non lo voglio, non sarò io a prendere l’iniziativa – sarà necessario avere operazioni sul terreno, qualunque esse siano, per contrastare le forze russe. La forza della Francia è che possiamo farlo”.

Pochi giorni dopo, è apparso un editoriale su Le Monde, a firma del capo di Stato maggiore dell’esercito francese, generale  Pierre Schill, eloquentemente intitolato “L’esercito francese è pronto”.

Nell’articolo, Schill scriveva che “contrariamente alle aspirazioni pacifiche dei paesi europei, i conflitti che stanno prendendo piede ai margini del nostro continente testimoniano non tanto di un ritorno della guerra, quanto della sua permanenza come modalità accettata di risoluzione dei conflitti”.

Sulla base di questo singolare assioma, il generale dichiarava che la Francia ha la capacità di dispiegare una divisione di 20.000 soldati in 30 giorni, ed è in grado di comandare un corpo d’armata di 60.000 uomini eventualmente forniti da paesi alleati.

Scenari di intervento

Cosa potrebbero fare le forze francesi in Ucraina lo ha spiegato, ancora una volta in un programma televisivo, il colonnello Vincent Arbaretier. Esse potrebbero schierarsi lungo il fiume Dniepr che separa l’Ucraina orientale da quella occidentale, prefigurando quindi un possibile tentativo di partizione del paese.

La seconda ipotesi prospettata è che le truppe vengano dispiegate lungo il confine con la Bielorussia, sostanzialmente per difendere Kiev da un possibile attacco da nord. Una terza possibilità, non citata dal colonnello, è che esse vengano poste a difesa di Odessa (la Francia ha già alcune truppe e carri armati Leclerc schierati in Romania).

Infine un’ultima opzione, forse la più realistica, è che i francesi vengano utilizzati per svolgere compiti logistici nelle retrovie, liberando un equivalente numero di soldati ucraini che potrebbe così andare a combattere al fronte.

In tutti questi scenari, un intervento francese (eventualmente perfino alla testa di un contingente composto da militari di altri paesi) appare tutt’altro che sufficiente a cambiare le sorti del conflitto, se si pensa che il recentemente licenziato comandante dell’esercito ucraino Valery Zaluzhny aveva stimato in 500.000 uomini il fabbisogno delle forze armate di Kiev per resistere alla Russia.

Un simile dispiegamento si preannuncia anche estremamente rischioso. Esperti militari francesi hanno ammonito che, a causa della scarsità di equipaggiamento e munizioni, in un eventuale scontro diretto con i russi tale contingente avrebbe un’autonomia di qualche mese al massimo, probabilmente meno.

Alla luce dell’ipotesi ventilata da Macron, un ufficiale delle forze armate francesi avrebbe commentato che “non dobbiamo illuderci, di fronte ai russi siamo un esercito di majorette”.

Deterrenza nucleare?

E’ interessante notare che, ipotizzando il dispiegamento di soldati in Ucraina, sia Macron che commentatori militari come Arbaretier, hanno sottolineato l’aspetto “dissuasivo”, ovvero l’effetto deterrente, che esso avrebbe sostanzialmente sulla base del fatto che la Francia è una potenza nucleare.

Questa osservazione è legata al concetto di “ambiguità strategica”, ovvero di incertezza, su cui il presidente francese si è volutamente soffermato. L’idea di incertezza è alla base del pensiero strategico francese relativo alla deterrenza, uno dei cui architetti è il generale André Beaufre, che ne scrisse diffusamente negli anni ’60 del secolo scorso.

Sostanzialmente, in base a questa teoria, per un paese come la Francia, che non dispone di un vasto arsenale come quello degli Stati Uniti, per dissuadere un avversario vi è un solo elemento di un certo valore: l’incertezza. Essa è “il fattore essenziale della deterrenza”.

Beaufre, naturalmente, faceva riferimento alla deterrenza nucleare, non alla possibilità di inviare un contingente militare in un conflitto alla periferia dell’Europa. Ma il fatto che la Francia sia una potenza atomica implica che il dispiegamento di forze francesi non sia, in linea di principio, slegato dalla dimensione nucleare.

Tuttavia, è estremamente pertinente a questo proposito l’osservazione fatta dal capo di Stato maggiore Schill nel citato editoriale su Le Monde, secondo la quale la deterrenza nucleare “non è una garanzia universale” perché non protegge dai conflitti che rimangono “sotto la soglia degli interessi vitali”.

Un conflitto non esistenziale

Checché ne dica Macron, il conflitto ucraino non ha una dimensione esistenziale per la Francia, mentre Mosca ha già ampiamente dimostrato che ce l’ha per la Russia.

Se il Cremlino è disposto a rischiare un conflitto nucleare pur di impedire che la NATO si insedi (seppur non ufficialmente, concretamente) in Ucraina, nessun paese occidentale correrebbe questo rischio per ottenere un simile risultato, che evidentemente non è esistenziale per l’Occidente.

E’ questa la ragione per cui Kiev avrebbe dovuto negoziare fin dall’inizio uno status di neutralità, e per cui ora dovrebbe negoziare con Mosca il prima possibile, per salvaguardare al massimo ciò che resta della sua integrità territoriale.

Ed è questa la ragione per cui una coalizione di paesi “volenterosi” che dovesse dispiegare un contingente in Ucraina non avrebbe alcuna reale copertura al di là della propria (esigua) capacità di difesa. Né una forza francese né una forza di coalizione in Ucraina sarebbero coperte dall’articolo 5 della NATO.

E, nel caso di un’escalation di tensione in Europa derivante da uno scontro fra queste forze e truppe russe in Ucraina, gli USA non avrebbero alcun obbligo di intervenire né tantomeno di assicurare il loro ombrello atomico, perfino qualora le tensioni dovessero giungere a lambire la soglia nucleare in Europa.

Il conflitto ucraino ha altresì dimostrato che né la Francia, né l’Occidente in generale, sono attrezzati per affrontare una guerra di logoramento. La dottrina strategica occidentale, che ha puntato tutto su conflitti rapidi e decisivi, ha portato i nostri paesi a non essere preparati per questo tipo di confronto bellico, osserva uno studio del britannico Royal United Services Institute (RUSI).

L’industria bellica europea non è perciò in grado di competere con quella russa per capacità produttiva, e non lo sarà per anni.

Da quanto detto, segue che un intervento come quello prospettato dal presidente francese avrebbe uno scarso potere dissuasivo nei confronti di Mosca, a fronte di gravi rischi per chi volesse implementarlo.

La proposta francese, dunque, è solo un pericoloso bluff, o (più probabilmente) nasconde altre motivazioni.

La trasformazione di Macron

Per comprenderle, sarà utile ripercorrere rapidamente le tappe della “metamorfosi” di Macron, da leader europeo incline al dialogo con Mosca a implacabile avversario del Cremlino, convinto che la Russia rappresenti una minaccia non solo per l’Ucraina, ma per la sicurezza dell’intera Europa.

Fin dal suo ingresso all’Eliseo nel 2017, il presidente francese aveva segnalato la propria intenzione di stringere una partnership con Mosca, invitando il suo omologo russo Vladimir Putin al palazzo di Versailles, ex residenza dei re di Francia.

Per Macron, la Russia faceva parte di un’Europa che si estendeva da Lisbona a Vladivostok.

Perfino dopo lo scoppio del conflitto ucraino nel febbraio 2022, il leader francese aveva sostenuto la necessità di mantenere aperto un canale di dialogo con Putin, affermando che non bisognava “umiliare la Russia”, e aveva parlato in diverse occasioni con il capo del Cremlino.

La conversione di Macron ebbe inizio il 1 giugno 2023 allorché, rivolgendosi alla platea del GLOBSEC Forum di Bratislava, in Slovacchia, egli si espresse a favore di un rapido ingresso dell’Ucraina nella NATO, un’ipotesi alla quale erano contrari perfino Washington e Berlino.

In quella stessa occasione, egli affermò di voler accelerare i tempi dell’allargamento dell’UE, al fine di lanciare “un forte segnale a Putin”. In quel periodo, l’Ucraina ed i suoi alleati occidentali speravano che la controffensiva estiva avrebbe strappato ai russi almeno parte dei territori occupati. Ma l’impresa si sarebbe rivelata un fallimento.

Da quel momento in poi, l’ipotesi di inviare truppe sul terreno venne presa in considerazione, in gran segreto, dalle autorità francesi. L’idea fu esaminata la prima volta già dal Consiglio di Difesa del 12 giugno 2023.

Ad una conferenza stampa nel gennaio di quest’anno, Macron parlò per la prima volta di “riarmo del paese”. Il 17 dello stesso mese, Mosca accusò la Francia di aver inviato mercenari a combattere al fianco degli ucraini, sostenendo che una sessantina di essi era rimasta uccisa in un attacco russo contro un albergo di Kharkiv.

Infine, il 22 febbraio il ministro della difesa francese Sébastien Lecornu affermò che i russi avevano minacciato di abbattere un aereo spia francese che stava sorvolando il Mar Nero.

Al deterioramento dei rapporti fra i due paesi ha senz’altro contribuito nei mesi passati il declino dell’influenza francese nell’Africa occidentale che, a seguito di diversi colpi di stato (in Mali, Burkina Faso e Niger), ha visto salire al potere governi che hanno stretto rapporti amichevoli con Mosca.

Crisi fra Parigi e Berlino

Ma l’inedito attivismo francese ha anche una dimensione prettamente europea, legata essenzialmente alla crisi del cosiddetto asse franco-tedesco. Fra Parigi e Berlino vi sono crescenti incomprensioni riguardo alla gestione della crisi ucraina, e più in generale degli assetti strategici europei.

La Germania è il secondo fornitore di armi all’Ucraina dopo gli Stati Uniti, mentre la Francia è appena al 14° posto, ma il governo del cancelliere Olaf Scholz ha spesso dovuto subire le critiche di Parigi che lo accusa di seguire una linea “troppo cauta”.

Berlino, dal canto suo, non ha nascosto la propria irritazione per la volontà di Macron di atteggiarsi a leader dell’Europa, e per il suo tentativo di creare un asse privilegiato con i paesi dell’Est a partire dal suo discorso di Bratislava del giugno 2023, con un’azione unilaterale che scavalca la Germania.

Malgrado il maggiore contributo di quest’ultima in termini quantitativi allo sforzo bellico ucraino, Parigi ha più volte messo in risalto la decisione francese di fornire a Kiev i propri missili da crociera a lungo raggio Scalp, esortando la Germania a fare altrettanto inviando i propri Taurus.

Scholz, tuttavia teme che la consegna di tali missili, che hanno una gittata di 500 km e sono potenzialmente in grado di colpire Mosca, porti a un’escalation del conflitto che potrebbe coinvolgere direttamente la Germania. A differenza della Francia, quest’ultima non dispone nemmeno di un proprio deterrente nucleare, oltre ad avere un passato ben più burrascoso con Mosca, il quale ha lasciato dietro di sé ferite non rimarginate.

Quale assetto per l’Europa

Ma il dissidio fra Berlino e Parigi va al di là della mera gestione del conflitto ucraino, riguardando la questione più profonda degli equilibri strategici europei. Sia Scholz che Macron hanno riconosciuto nello scoppio di tale conflitto, nel febbraio 2022, un cambiamento epocale.

Il primo ha ritenuto di dover riallacciare un rapporto privilegiato con Washington, aspirando a diventare il principale garante della sicurezza in Europa per conto dell’alleato americano, e in stretto coordinamento con la NATO.

Il secondo ha invece riaffermato la necessità di una “autonomia strategica” europea. Egli l’ha però articolata in maniera alquanto contraddittoria allorché, pur volendo apparentemente rinunciare a un coordinamento diretto con Washington, ha cercato di costituire un asse con i paesi dell’Est (notoriamente schierati sulle posizioni americane più intransigenti) sempre in chiave antirussa.

Il conflitto ucraino ha messo in crisi l’accordo non scritto alla base dell’asse franco-tedesco, secondo il quale mentre a Berlino era riconosciuta la leadership economica in Europa, a Parigi andava quella strategico-militare.

Puntando al riarmo del proprio esercito, il governo tedesco ha posto le premesse per rompere questo fragile equilibrio. Lanciando la European Sky Shield Initiative, uno scudo antimissile che coinvolge 17 paesi europei, fondato su tecnologia americana e israeliana, Berlino ha compiuto un altro sgarbo nei confronti di Parigi.

L’Eliseo ambisce infatti alla creazione di un’industria della difesa europea a partire dalla base tecnologica francese (all’iniziativa tedesca non ha aderito nemmeno l’Italia, che condivide con la Francia il sistema missilistico SAMP-T).

Parigi, dunque, non solo rimprovera a Berlino una “invasione di campo”, ma anche la volontà di mantenere uno stretto legame con l’industria bellica americana.

Dopo la Brexit, la Francia è rimasta l’unico paese dell’UE ad avere un seggio al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, e l’unico a possedere armi nucleari. L’offerta di Macron di estendere a livello europeo il deterrente nucleare francese ha però incontrato la freddezza di Scholz, che sembra voler rimanere legato all’ombrello nucleare americano.

Effetti indesiderati

Da qui il tentativo francese di assumere la leadership europea nella gestione del conflitto ucraino, che emerge chiaramente anche dalle parole con cui Macron sottolinea le differenze che esistono tra Francia e Germania.

Di ritorno da Berlino, dove si è tenuta la riunione del Triangolo di Weimar, il presidente francese ha descritto Scholz come tuttora legato alla cultura pacifista del suo partito, l’SPD.

“La Germania ha una cultura strategica di grande cautela, di non-intervento, e mantiene le distanze dal nucleare”, ha detto Macron, evidenziando che si tratta di “un modello molto diverso da quello della Francia, che dispone di armi nucleari e ha mantenuto e rafforzato un esercito professionale”.

Il leader francese ha aggiunto che “la Costituzione della Quinta Repubblica fa del presidente il garante della difesa nazionale. In Germania, invece, la catena di comando deve tenere conto del sistema parlamentare”.

Per come si è delineata, la competizione franco-tedesca ha però l’effetto di esacerbare lo scontro con Mosca, avendo come conseguenza la totale presa in carico del sostegno militare a Kiev da parte dell’Europa, in assenza di qualsiasi prospettiva negoziale.

Ciò non fa che realizzare il disegno strategico americano che prevede di delegare agli europei il contenimento della Russia (con tutte le passività che ciò comporta in termini economici e di sicurezza) per dispiegare le proprie risorse militari nel Pacifico.

Soffocare il dissenso interno

La “crociata” contro Mosca indetta dal presidente francese ha infine una chiara dimensione elettorale. Il Rassemblement National (RN) di Marine Le Pen è dato dai sondaggi oltre il 30%, e potrebbe sbaragliare la coalizione di Macron (Renaissance), che naviga intorno al 18%, alle prossime elezioni per il Parlamento Europeo.

Una vittoria alle europee potrebbe assicurare alla Le Pen un trampolino di lancio per la prossima scalata all’Eliseo, quando Macron avrà raggiunto il limite dei due mandati.

Gabriel Attal, primo ministro e possibile successore di Macron, ha recentemente accusato l’RN di essere la “fanteria” di Putin in Europa. L’attivismo macroniano sul fronte ucraino serve dunque anche a demonizzare l’opposizione interna e a ricompattare la nazione di fronte alla minaccia di un “nemico esterno”.

Finora con poco successo, a giudicare dai sondaggi secondo cui il 68% dei francesi ha definito “sbagliata” la proposta del presidente di dispiegare truppe in Ucraina.

Ma il caso francese è emblematico di un più generale paradigma europeo, nel quale una “minaccia esterna”, appositamente alimentata, costituisce un ottimo pretesto per soffocare il dissenso, imporre una logica dell’emergenza, e impedire un dibattito serio sulla crisi politica, economica, sociale e culturale che attanaglia l’Europa.

Ciò comporta non soltanto un inevitabile aggravarsi di tale crisi, ma anche – a causa della contrapposizione con la Russia – un continuo deterioramento della stabilità e della sicurezza continentale.

L’allarmismo europeo nei confronti della “minaccia russa” maschera tuttavia a malapena il crescente malcontento che serpeggia ovunque, perfino nei paesi dell’Est (dalla Polonia alla Romania, alla Bulgaria, alla Repubblica Ceca), per come è stata gestita la questione ucraina, e per le ripercussioni economiche e sociali che hanno affossato il vecchio continente.

Conclusioni – 21 e 22 marzo 2024
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Il Consiglio europeo ha proceduto a uno scambio di opinioni con il segretario generale delle
Nazioni Unite António Guterres in merito alla situazione geopolitica e alle principali sfide globali.
Il Consiglio europeo ha commemorato il 30º anniversario dell’accordo SEE con i primi ministri di
Islanda, Liechtenstein e Norvegia.
*
* *
I. UCRAINA
1. A due anni dall’inizio della guerra di aggressione mossa dalla Russia contro l’Ucraina e
a dieci anni dall’annessione illegale della Crimea e di Sebastopoli da parte della Russia,
entrambe in palese violazione degli obblighi derivanti a quest’ultima dalla Carta delle
Nazioni Unite e dal diritto internazionale, il Consiglio europeo sostiene in modo sempre
più risoluto l’indipendenza, la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina entro i suoi
confini riconosciuti a livello internazionale. La Russia non deve prevalere.
Data l’urgenza della situazione, l’Unione europea è determinata a continuare a fornire
all’Ucraina e alla sua popolazione tutto il necessario sostegno politico, finanziario,
economico, umanitario, militare e diplomatico per tutto il tempo necessario e con
l’intensità necessaria. Il Consiglio europeo invita gli alleati e i partner di tutto il mondo
ad aderire a questo sforzo.
2. Nell’esercitare il suo diritto naturale di autotutela, l’Ucraina necessita con urgenza di
sistemi di difesa aerea, munizioni e missili. In questo momento critico, l’Unione europea
e gli Stati membri accelereranno e intensificheranno la fornitura di tutta l’assistenza
militare necessaria. Il Consiglio europeo accoglie con favore tutte le recenti iniziative a
tale riguardo, compresa quella lanciata dalla Cechia per acquisire con urgenza
munizioni per l’Ucraina, che consentiranno di onorare rapidamente l’impegno dell’UE di
fornire all’Ucraina un milione di munizioni di artiglieria.
Conclusioni – 21 e 22 marzo 2024
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3. Il Consiglio europeo si compiace degli accordi bilaterali sugli impegni in materia di
sicurezza conclusi da vari Stati membri e partner con l’Ucraina. Ha esaminato i
progressi compiuti in merito al contributo dell’UE agli impegni in materia di sicurezza
nei confronti dell’Ucraina, che aiuteranno il paese a difendersi, a resistere agli sforzi di
destabilizzazione e a scoraggiare atti di aggressione nel futuro. Il Consiglio europeo
accoglie con favore l’adozione della decisione del Consiglio relativa a un Fondo di
assistenza per l’Ucraina che assicura il proseguimento del sostegno militare all’Ucraina
nell’ambito dello strumento europeo per la pace. Il Consiglio europeo chiede al
Consiglio di lavorare all’8º pacchetto di sostegno per l’Ucraina nell’ambito dello
strumento europeo per la pace. Accoglie altresì con favore l’aumento della capacità della
missione di assistenza militare dell’UE (EUMAM).
4. Il Consiglio europeo ha esaminato i progressi compiuti in relazione ai prossimi passi
concreti volti a destinare a beneficio dell’Ucraina, compresa la possibilità di finanziare il
sostegno militare, le entrate straordinarie derivanti dai beni russi bloccati. Invita il
Consiglio a portare avanti i lavori sulle recenti proposte dell’alto rappresentante e della
Commissione.
5. Il sostegno militare e gli impegni dell’UE in materia di sicurezza saranno forniti nel
pieno rispetto della politica di sicurezza e di difesa di taluni Stati membri e tenendo
conto degli interessi di tutti gli Stati membri in materia di sicurezza e di difesa.
Conclusioni – 21 e 22 marzo 2024
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6. Il Consiglio europeo accoglie con favore l’adozione del 13º pacchetto di sanzioni.
Chiede ulteriori misure per indebolire la capacità della Russia di continuare a condurre
la sua guerra di aggressione, ivi compreso il rafforzamento delle sanzioni. È essenziale
dare piena ed effettiva attuazione alle sanzioni. Il Consiglio europeo chiede al Consiglio
e alla Commissione di migliorare lo scambio di informazioni, rafforzare l’attuazione,
potenziare l’azione dell’UE e degli Stati membri con i paesi terzi nonché colmare tutte le
lacune sia all’interno che al di fuori dell’Unione, tra l’altro prevenendo l’elusione delle
sanzioni attraverso paesi terzi e garantendo la loro applicazione anche per quanto
riguarda le controllate di società dell’UE all’estero. L’accesso della Russia a prodotti e
tecnologie sensibili che hanno rilevanza sul campo di battaglia deve essere limitato al
massimo, anche colpendo le entità di paesi terzi che rendono possibile tale elusione. Il
Consiglio europeo invita l’alto rappresentante e la Commissione a preparare ulteriori
sanzioni nei confronti della Bielorussia, della Corea del Nord e dell’Iran.
7. Il Consiglio europeo invita le parti terze a cessare immediatamente di fornire sostegno
materiale alla guerra di aggressione russa contro l’Ucraina. È estremamente preoccupato
per le notizie secondo cui l’Iran potrebbe trasferire alla Russia missili balistici e
tecnologie correlate da utilizzare contro l’Ucraina dopo aver fornito al regime russo
aeromobili senza equipaggio (UAV), che vengono impiegati per incessanti attacchi
contro la popolazione civile in Ucraina. Se l’Iran dovesse agire in tal senso, l’Unione
europea è pronta a rispondere rapidamente e in coordinamento con i partner
internazionali, anche attraverso nuove e significative misure restrittive nei confronti
dell’Iran.
8. Il Consiglio europeo condanna fermamente le continue violazioni dei diritti umani
perpetrate dalla Russia nei territori ucraini occupati, compresa la deportazione di
bambini. Respinge con fermezza e non riconoscerà mai le cosiddette “elezioni” illegali
organizzate dalla Russia nei territori ucraini temporaneamente occupati di Crimea,
Sebastopoli, Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Kherson, né il relativo esito.
Conclusioni – 21 e 22 marzo 2024
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IT
9. La Russia e i suoi dirigenti devono essere chiamati a rispondere pienamente della guerra
di aggressione condotta nei confronti dell’Ucraina e di altri crimini di estrema gravità ai
sensi del diritto internazionale, come pure degli ingenti danni causati dalla guerra. Il
Consiglio europeo sostiene gli sforzi in atto, anche in sede di Core Group, al fine di
istituire un tribunale per il perseguimento del crimine di aggressione nei confronti
dell’Ucraina che goda del più ampio sostegno a livello interregionale e della più ampia
legittimità, nonché un futuro meccanismo di risarcimento.
10. L’Unione europea resta determinata a sostenere, in coordinamento con i partner
internazionali, la riparazione, la ripresa e la ricostruzione dell’Ucraina. Il Consiglio
europeo si compiace del recente rafforzamento della missione consultiva dell’Unione
europea (EUAM) in Ucraina, che consentirà di accrescere il sostegno alle autorità di
contrasto ucraine nei territori dell’Ucraina liberati e adiacenti, come anche alle riforme
nel contesto del processo di adesione all’UE. Il Consiglio europeo chiede ulteriore
sostegno per la riabilitazione psicologica e psicosociale e una maggiore assistenza allo
sminamento.
11. L’Unione europea e i suoi Stati membri proseguiranno gli intensi sforzi di
sensibilizzazione a livello mondiale per garantire il sostegno internazionale più ampio
possibile a una pace globale, giusta e duratura nonché ai principi e obiettivi chiave della
formula di pace dell’Ucraina, in vista di un futuro vertice di pace globale.
12. Il Consiglio europeo sottolinea l’importanza strategica della sicurezza e della stabilità
nella regione del Mar Nero. Evidenzia la necessità di assistere l’Ucraina nel ripristinare
la propria posizione nei suoi tradizionali mercati di esportazione, in particolare
in Medio Oriente e in Africa.
13. L’Unione europea continuerà a fornire alla Repubblica di Moldova tutto il sostegno del
caso per rispondere alle sfide che quest’ultima si trova ad affrontare per effetto
dell’aggressione della Russia nei confronti dell’Ucraina e per rafforzare la resilienza, la
sicurezza e la stabilità del paese di fronte alle attività destabilizzanti della Russia.
Il Consiglio europeo accoglie con favore gli impegni bilaterali assunti dagli Stati
membri a sostegno della missione di partenariato dell’Unione europea (EUPM) in
Moldova al fine di rafforzare la resilienza del settore della sicurezza.
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14. L’Unione europea continuerà inoltre a sostenere la Georgia nel rafforzare la sua
resilienza e nel rispondere alle sfide che quest’ultima si trova ad affrontare per effetto
delle azioni della Russia volte a minare l’integrità territoriale della Georgia nonché della
guerra di aggressione russa contro l’Ucraina.
II. SICUREZZA E DIFESA
15. L’Unione europea è determinata ad aumentare la sua prontezza alla difesa e le sue
capacità di difesa complessive affinché siano all’altezza delle sue esigenze e ambizioni
nel contesto delle crescenti minacce e sfide per la sicurezza. Sulla scorta della
dichiarazione di Versailles e della bussola strategica, è determinata a ridurre le sue
dipendenze strategiche e ad accrescere le sue capacità. La base industriale e tecnologica
di difesa europea dovrebbe essere rafforzata di conseguenza in tutta l’Unione.
L’aumento della prontezza alla difesa e il rafforzamento della sovranità dell’Unione
richiederanno ulteriori sforzi, conformemente alle competenze degli Stati membri, per:
a) rispettare l’impegno comune di aumentare in modo sostanziale la spesa per la
difesa, e investire insieme in modo migliore e più rapido;
b) migliorare l’accesso dell’industria europea della difesa ai finanziamenti pubblici e
privati. In tale contesto, il Consiglio europeo invita il Consiglio e la Commissione
a esaminare tutte le opzioni per mobilitare finanziamenti e a riferire in merito
entro giugno. Si invita inoltre la Banca europea per gli investimenti ad adeguare la
sua politica di prestiti all’industria della difesa e la sua attuale definizione di beni a
duplice uso, salvaguardando nel contempo la sua capacità di finanziamento;
c) incentivare lo sviluppo e gli appalti congiunti per far fronte alle carenze in termini
di capacità critiche dell’UE, in particolare per quanto riguarda gli abilitanti
strategici, nonché per sfruttare appieno le sinergie tra i processi di pianificazione
della difesa a livello nazionale ed europeo;
Conclusioni – 21 e 22 marzo 2024
EUCO 7/24 6
IT
d) potenziare gli investimenti cooperativi/congiunti nel settore della difesa, dalla fase
di ricerca e sviluppo a quella di pianificazione, fino all’industrializzazione e agli
appalti congiunti, e migliorare la prevedibilità, ad esempio attraverso contratti
pluriennali fissi;
e) aumentare la resilienza dell’industria europea della difesa, la sua flessibilità e la
sua capacità di sviluppare e produrre prodotti per la difesa innovativi, potenziando
la loro interoperabilità e intercambiabilità nonché garantendo la loro disponibilità
per gli Stati membri;
f) incentivare l’ulteriore integrazione del mercato europeo della difesa in tutta
l’Unione, agevolando l’accesso alle catene di approvvigionamento della difesa, in
particolare per le PMI e le società a media capitalizzazione, e riducendo la
burocrazia;
g) migliorare la risposta rapida e l’individuazione tempestiva delle strozzature nelle
catene di approvvigionamento per il mercato della difesa e garantire che la
regolamentazione dell’UE non costituisca un ostacolo allo sviluppo dell’industria
europea della difesa;
h) sostenere le iniziative volte a continuare a investire nella manodopera qualificata
per far fronte alle prevalenti carenze di manodopera e di competenze nell’industria
della difesa.
16. Il Consiglio europeo invita il Consiglio, l’alto rappresentante e la Commissione a portare
avanti rapidamente i lavori relativi alla comunicazione congiunta su una strategia per
l’industria europea della difesa (EDIS). Invita altresì il Consiglio a portare avanti senza
indugio i lavori sulla proposta relativa a un programma per l’industria europea della
difesa (EDIP) che l’accompagna.
17. L’attuazione della bussola strategica rimane un elemento chiave per aumentare la
prontezza alla difesa dell’Europa e dovrebbe essere accelerata. La capacità di
dispiegamento rapido dell’UE, la mobilità militare, le esercitazioni reali, il
potenziamento della sicurezza spaziale, la lotta contro le minacce informatiche e ibride
e il contrasto alla manipolazione delle informazioni e alle ingerenze da parte di attori
stranieri rivestono particolare importanza a tale riguardo.
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18. Un’Unione europea più forte e più capace nel settore della sicurezza e della difesa
contribuirà positivamente alla sicurezza globale e transatlantica ed è complementare
alla NATO, che rimane il fondamento della difesa collettiva per i suoi membri.
19. Quanto precede fa salvo il carattere specifico della politica di sicurezza e di difesa di
taluni Stati membri e tiene conto degli interessi di tutti gli Stati membri in materia di
sicurezza e di difesa.
III. MEDIO ORIENTE
20. Il Consiglio europeo ha discusso degli ultimi sviluppi in Medio Oriente. È costernato
per la perdita senza precedenti di vite umane tra la popolazione civile e per la situazione
umanitaria critica. Il Consiglio europeo chiede una pausa umanitaria immediata che
porti a un cessate il fuoco sostenibile, alla liberazione senza condizioni di tutti gli
ostaggi e alla fornitura di assistenza umanitaria.
21. Il Consiglio europeo ricorda le sue precedenti conclusioni in cui ha condannato con la
massima fermezza Hamas per i suoi attacchi terroristici brutali e indiscriminati
perpetrati in tutta Israele il 7 ottobre 2023, ha riconosciuto il diritto di Israele di
difendersi in linea con il diritto internazionale e il diritto internazionale umanitario e ha
chiesto l’immediata liberazione di tutti gli ostaggi senza alcuna precondizione. La loro
sicurezza e il loro benessere sono motivo di grave preoccupazione. Hamas e gli altri
gruppi armati devono concedere immediatamente l’accesso umanitario a tutti gli ostaggi
rimanenti. Il Consiglio europeo invita il Consiglio ad accelerare i lavori relativi
all’adozione di ulteriori misure restrittive pertinenti nei confronti di Hamas.
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22. Il Consiglio europeo nutre profonda preoccupazione per la catastrofica situazione
umanitaria a Gaza e il suo effetto sproporzionato sulla popolazione civile, in particolare
i bambini, nonché per il rischio imminente di carestia causato dall’ingresso insufficiente
di aiuti a Gaza. Un accesso umanitario pieno, rapido, sicuro e senza restrizioni a tutta
la Striscia di Gaza attraverso tutte le rotte è essenziale per fornire alla popolazione civile
assistenza di primo soccorso e servizi di base su larga scala. Il Consiglio europeo si
compiace dell’iniziativa Amalthea che apre una rotta marittima per l’assistenza
emergenziale da Cipro a Gaza, a integrazione delle rotte terrestri che rimangono il modo
principale per fornire i volumi necessari. Sono necessari ulteriori rotte e valichi terrestri.
23. Occorre adottare misure immediate per prevenire qualsiasi ulteriore sfollamento della
popolazione e fornire a quest’ultima un riparo sicuro al fine di assicurare la protezione
della popolazione civile in ogni momento. Il Consiglio europeo esorta il governo
israeliano a non intraprendere un’operazione di terra a Rafah, che peggiorerebbe la
situazione umanitaria già catastrofica e impedirebbe la fornitura di servizi di base e
assistenza umanitaria di cui vi è urgente necessità. A Rafah oltre un milione di
palestinesi cercano attualmente di mettersi al sicuro dai combattimenti e di ottenere
accesso all’assistenza umanitaria.
24. Tutte le parti devono rispettare il diritto internazionale, compresi il diritto internazionale
umanitario e il diritto internazionale dei diritti umani. Il Consiglio europeo sottolinea
l’importanza di rispettare e attuare l’ordinanza della Corte internazionale di giustizia
del 26 gennaio 2024, che è giuridicamente vincolante. Le violazioni del diritto
internazionale umanitario devono essere oggetto di indagini approfondite e indipendenti
e deve essere garantito l’accertamento delle responsabilità. Il Consiglio europeo prende
atto con grave preoccupazione delle relazioni della rappresentante speciale
delle Nazioni Unite Pramila Patten ed esprime sgomento per le violenze sessuali
perpetrate durante gli attacchi del 7 ottobre. L’Unione europea sostiene le indagini
indipendenti in merito a tutte le accuse di violenza sessuale, prendendo atto altresì delle
relazioni della relatrice speciale delle Nazioni Unite Reem Alsalem.
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25. Il Consiglio europeo sottolinea che i servizi forniti dall’UNRWA a Gaza e in tutta la
regione sono essenziali. Il Consiglio europeo prende atto delle recenti misure dell’UE e
del sostegno finanziario. Accoglie con favore il rapido avvio, da parte
delle Nazioni Unite, di un’indagine interna e di una revisione esterna a seguito delle
gravi accuse nei confronti di 12 membri del personale dell’UNRWA in merito alla loro
asserita partecipazione agli attacchi terroristici del 7 ottobre. Attende con interesse
l’esito dell’indagine e un’ulteriore azione risoluta da parte delle Nazioni Unite per
garantire l’accertamento delle responsabilità e rafforzare il controllo e la vigilanza.
26. Il Consiglio europeo chiede la cessazione immediata delle violenze in Cisgiordania e a
Gerusalemme Est e la garanzia di un accesso sicuro ai luoghi santi. Il Consiglio europeo
condanna fermamente la violenza dei coloni estremisti. I responsabili devono rispondere
delle loro azioni. Il Consiglio europeo invita il Consiglio ad accelerare i lavori relativi
all’adozione di pertinenti misure restrittive mirate. Il Consiglio europeo condanna le
decisioni del governo israeliano di estendere ulteriormente gli insediamenti illegali in
tutta la Cisgiordania occupata. Esorta Israele a revocare tali decisioni.
27. L’Unione europea continuerà a collaborare intensamente con i partner regionali e
internazionali al fine di prevenire un’ulteriore escalation regionale, in particolare
in Libano e nel Mar Rosso. Il Consiglio europeo invita tutti gli attori, segnatamente
l’Iran, ad astenersi da azioni che possano provocare un’escalation. Accoglie con favore
l’avvio dell’operazione ASPIDES dell’UE volta a salvaguardare la libertà di navigazione
e la sicurezza dei marittimi nel Mar Rosso, nel Golfo di Aden e nell’intera regione.
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28. L’Unione europea mantiene il suo fermo impegno a favore di una pace duratura e
sostenibile basata sulla soluzione dei due Stati. I palestinesi e gli israeliani hanno pari
diritto di vivere in condizioni di sicurezza, dignità e pace. Il Consiglio europeo invita
tutte le parti ad astenersi da azioni che minino il principio della soluzione dei due Stati e
la fattibilità di un futuro Stato palestinese. Ricorda che la missione di polizia
dell’Unione europea per i territori palestinesi (EUPOL COPPS) e la missione
dell’Unione europea di assistenza alle frontiere per il valico di Rafah (EUBAM Rafah),
condotte entrambe nell’ambito della PSDC, possono svolgere un ruolo importante sulla
base di tale principio a sostegno di un futuro Stato palestinese. L’Unione europea è
pronta a collaborare con Israele, l’Autorità palestinese nonché le parti regionali e
internazionali per contribuire a rilanciare un processo politico, anche mediante
l’iniziativa “Peace Day” e una conferenza di pace da convocare quanto prima, e a
sostenere l’Autorità palestinese nella realizzazione della necessaria riforma. L’Unione
europea è pronta a sostenere uno sforzo internazionale coordinato per ricostruire Gaza.
IV. ALLARGAMENTO E RIFORME
29. Ricordando la dichiarazione di Granada, il Consiglio europeo ha fatto il punto sui
preparativi per l’allargamento e le riforme interne ricordando che i lavori su entrambi i
fronti devono avanzare in parallelo per garantire che sia i futuri Stati membri che l’UE
siano pronti al momento dell’adesione. Il Consiglio europeo si occuperà delle riforme
interne in una prossima riunione con l’obiettivo di adottare, entro l’estate del 2024,
conclusioni su una tabella di marcia per i lavori futuri.
30. Sulla base della raccomandazione della Commissione del 12 marzo 2024, il Consiglio
europeo decide di avviare negoziati di adesione con la Bosnia-Erzegovina. Il Consiglio
europeo invita la Commissione a preparare il quadro di negoziazione in vista della sua
adozione da parte del Consiglio nel momento in cui saranno adottate tutte le pertinenti
misure indicate nella raccomandazione della Commissione del 12 ottobre 2022.
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31. Il Consiglio europeo si compiace dei progressi compiuti dall’Ucraina e dalla Repubblica
di Moldova nel portare avanti le riforme necessarie nel loro percorso verso l’UE. A
seguito della presentazione dei progetti di quadri di negoziazione per l’Ucraina e
la Repubblica di Moldova, il Consiglio europeo invita il Consiglio ad adottarli
rapidamente e a portare avanti i lavori senza indugio.
32. Il Consiglio europeo prende atto degli sforzi in corso da parte della Georgia e incoraggia
il paese a progredire nelle riforme prioritarie ancora in sospeso.
V. RELAZIONI ESTERNE
Partenariati globali
33. Il Consiglio europeo si compiace della dichiarazione comune sul partenariato strategico
e globale tra l’Unione europea e l’Egitto.
34. Il Consiglio europeo si compiace inoltre del partenariato con la Mauritania.
35. Sottolinea l’importanza di rafforzare e sviluppare tali partenariati strategici.
Haiti
36. Il Consiglio europeo è estremamente preoccupato per il deterioramento della situazione
ad Haiti e per le sofferenze inflitte alla popolazione a seguito della nuova ondata di
violenza scoppiata dalla fine di febbraio. Accoglie con favore il fatto che
l’Unione europea abbia recentemente messo a disposizione 20 milioni di EUR di
sostegno umanitario. Il Consiglio europeo incoraggia gli sforzi in corso per mettere in
atto un piano di transizione politica praticabile, inclusivo e sostenibile a guida haitiana.
Invita tutte le forze politiche di Haiti a dar prova di responsabilità trovando un
compromesso per concordare la via da seguire nel migliore interesse del paese e della
popolazione che soffre da tempo. Il Consiglio europeo accoglie con favore la
risoluzione 2699 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che istituisce una
missione multinazionale di sostegno alla sicurezza e sottolinea l’importanza del suo
rapido schieramento.
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Russia
37. Il Consiglio europeo chiede il rilascio immediato e incondizionato di tutti i prigionieri
politici in Russia e la fine della persecuzione dell’opposizione politica. La responsabilità
ultima della morte di Alexei Navalny è da ascrivere alle autorità russe. Il Consiglio
europeo chiede un’indagine internazionale indipendente e trasparente sulle circostanze
esatte della sua morte. Si compiace dell’adozione di nuove misure restrittive nei
confronti dei responsabili di gravi violazioni e abusi dei diritti umani e invita a portare
avanti i lavori in sede di Consiglio per istituire un nuovo regime di sanzioni in
considerazione della situazione in Russia e delle sue azioni di destabilizzazione
all’estero.
38. Il Consiglio europeo condanna la persecuzione di cittadini dell’UE per motivi politici da
parte della Russia. Invita la Commissione e l’alto rappresentante ad adottare le misure
necessarie per impedire l’esecuzione, da parte di paesi terzi, di mandati d’arresto emessi
dalla Russia in tali casi.
Bielorussia
39. Il Consiglio europeo è profondamente preoccupato per il deterioramento della
situazione dei diritti umani in Bielorussia. La repressione, le violazioni dei diritti umani
e le restrizioni alla partecipazione politica e all’accesso a media indipendenti
in Bielorussia hanno raggiunto livelli senza precedenti nella fase di avvicinamento alle
elezioni parlamentari e amministrative del 25 febbraio, che non hanno rispettato le
norme democratiche di base. Il Consiglio europeo chiede il rilascio immediato e
incondizionato di tutti i prigionieri politici. Ribadisce la solidarietà dell’UE nei confronti
della società civile e delle forze democratiche bielorusse.
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VI. MIGRAZIONE
40. Il Consiglio europeo ha fatto il punto della situazione relativa alla migrazione a
seguito della comunicazione della Commissione e ha ribadito l’impegno dell’UE di
continuare a perseguire un approccio globale alla migrazione concordato nelle sue
conclusioni del dicembre 2023. Rilevando che oltre il 90 % dei migranti irregolari
entra nell’UE con l’aiuto di trafficanti, il Consiglio europeo appoggia la
determinazione della Commissione a rafforzare tutti gli strumenti a disposizione
dell’UE per contrastare efficacemente il traffico e la tratta di esseri umani, lanciando in
parallelo un’alleanza mondiale per rispondere a questa sfida globale.
VII. AGRICOLTURA
41. Il Consiglio europeo sottolinea l’importanza di un settore agricolo resiliente e sostenibile
per la sicurezza alimentare e l’autonomia strategica dell’Unione, il valore di comunità
rurali dinamiche e il ruolo essenziale della politica agricola comune a tale riguardo. Gli
agricoltori necessitano di un quadro stabile e prevedibile, anche per accompagnarli
nell’affrontare le sfide ambientali e climatiche.
42. Il Consiglio europeo è tornato a discutere delle attuali sfide nel settore agricolo e delle
preoccupazioni espresse dagli agricoltori. Ha fatto il punto sui lavori in corso a livello
europeo. Il Consiglio europeo invita la Commissione e il Consiglio a portare avanti
senza indugio i lavori, in particolare per quanto riguarda:
a) tutte le possibili misure a breve e medio termine e soluzioni innovative, comprese
quelle tese a ridurre gli oneri amministrativi e a realizzare una semplificazione per
gli agricoltori;
b) il rafforzamento della posizione degli agricoltori nella filiera alimentare, in
particolare al fine di garantire un reddito equo;
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c) l’allentamento della pressione finanziaria sugli agricoltori mediante l’elaborazione
di modalità di sostegno supplementare, come ad esempio la proroga del quadro
temporaneo per gli aiuti di Stato, riferendo in merito in occasione del prossimo
Consiglio europeo;
d) la garanzia di una concorrenza leale e basata su regole a livello mondiale e nel
mercato interno;
e) modalità eque ed equilibrate per affrontare le questioni connesse alle misure
commerciali autonome per l’Ucraina, preparando nel contempo una soluzione nel
quadro dell’accordo di associazione/della zona di libero scambio globale e
approfondita UE-Ucraina.
43. Il Consiglio europeo continuerà a seguire la situazione.
VIII. PREPARAZIONE E RISPOSTA ALLE CRISI
44. Il Consiglio europeo sottolinea la necessità imperativa di rafforzare e coordinare la
preparazione militare e civile e di una gestione strategica delle crisi nel contesto
dell’evoluzione del panorama delle minacce. Invita il Consiglio a portare avanti i lavori
e la Commissione, insieme all’alto rappresentante, a proporre azioni volte a rafforzare, a
livello dell’UE, la preparazione e la risposta alle crisi nel quadro di un approccio
multirischio ed esteso a tutta la società, tenendo conto delle responsabilità e delle
competenze degli Stati membri, in vista di una futura strategia di preparazione.
IX. SEMESTRE EUROPEO
45. Il Consiglio europeo approva le priorità strategiche indicate nell’analisi annuale della
crescita sostenibile e invita gli Stati membri a tenerne conto. Approva altresì il progetto
di raccomandazione del Consiglio sulla politica economica della zona euro.
*
* *
Il Consiglio europeo ha fatto il punto sui preparativi relativi alla nuova agenda strategica

“Gli obiettivi sono stati definiti.” Si prepara un secondo fronte contro la Russia

Il Segretario generale della NATO ha avuto colloqui con i leader delle repubbliche caucasiche

Militari francesi durante le esercitazioni - RIA Novosti, 1920, 21/03/2024

Leggi ria.ru in

MOSCA, 21 marzo – RIA Novosti, Mikhail Katkov. Il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg ha visitato il Caucaso meridionale. Ha incontrato il presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev, poi i primi ministri georgiano e armeno Irakli Kobakhidze e Nikol Pashinyan. Tutti hanno espresso la propria disponibilità a sviluppare la cooperazione con l’Alleanza del Nord Atlantico. Leggi come questo minaccia la Russia nell’articolo di RIA Novosti.

re della Collina

“Il partenariato NATO-Azerbaigian ha una lunga storia – più di 30 anni”, ha osservato Aliyev durante i negoziati con Stoltenberg. “Baku ha partecipato a operazioni di mantenimento della pace in Kosovo e Afghanistan, che è stata una grande esperienza per noi. Alla fine di agosto 2021, il nostro personale militare era tra “Siamo le ultime forze della coalizione a lasciare l’Afghanistan. Ciò dimostra ulteriormente il nostro forte impegno per la cooperazione”.
Aliyev ha parlato all’illustre ospite anche della modernizzazione dell’esercito azerbaigiano secondo gli standard della NATO. Secondo lui, ciò aumenta la professionalità delle truppe. La prova è la seconda guerra del Karabakh nel 2020 e la cosiddetta operazione antiterrorismo nel 2023, che ha posto fine all’autoproclamata Repubblica del Nagorno-Karabakh. “Questo è un buon esempio di come i conflitti prolungati possano essere risolti”, ha detto Aliyev. Lui però ha assicurato a Stoltenberg che adesso il suo obiettivo è firmare un trattato di pace con Yerevan e non continuare lo scontro.
Il Presidente ha ricordato al Segretario Generale che l’Azerbaigian fornisce gas a sei membri della NATO, così come a due partner dell’alleanza, e la Commissione Europea lo apprezza molto. Ha ammesso di sentire una grande responsabilità a questo riguardo.
Stoltenberg ha ringraziato Aliyev per la fornitura di gas e per l’accordo con l’Armenia. Ha inoltre accolto con favore la decisione di Baku di inviare aiuti umanitari a Kiev.
Il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg saluta il presidente turco Recep Tayyip Erdogan durante il suo arrivo al vertice della NATO a Vilnius - RIA Novosti, 1920, 20/03/2024
Il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg saluta il presidente turco Recep Tayyip Erdogan al vertice della NATO a Vilnius

Il migliore amico

A Tbilisi il Segretario generale ha sottolineato che la Georgia è uno dei partner più stretti della NATO. Ha affermato che la Russia dovrebbe riconoscere l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud come parte della repubblica transcaucasica e ha collegato la politica di Mosca in quest’area con le azioni in Ucraina. Secondo lui tutto questo è illegale.
Primo Ministro della Georgia Irakli Kobakhidze - RIA Novosti, 1920, 20/03/2024
Il primo ministro georgiano Irakli Kobakhidze
Stoltenberg ha poi ringraziato la Georgia per aver aiutato migliaia di rifugiati ucraini e ha sottolineato l’importanza del Mar Nero. Adesso è importante bloccare il trasporto marittimo per interferire con la Russia, ma dopo il “successo dell’Ucraina”, le catene economiche formatesi nella regione verranno ripristinate, ha aggiunto.
“Vorrei ringraziarvi personalmente per il sostegno al nostro Paese e alle nostre aspirazioni euro-atlantiche. <…> La Georgia è uno dei partner più leali e affidabili della NATO. Per molti anni abbiamo partecipato attivamente alle operazioni in corso sotto gli auspici di dell’alleanza, dando un contributo significativo al rafforzamento della sicurezza comune euro-atlantica. D’altro canto, la NATO ha svolto e svolge un ruolo importante nello sviluppo della capacità di difesa della Georgia”, ha affermato Kobakhidze in risposta.
Lo ha affermato il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, nel corso di una conferenza stampa presso la sede della NATO a Bruxelles. 26 aprile 2018 - RIA Novosti, 1920, 20/03/2024
Il Segretario generale della NATO Jens Stoltenberg parla in una conferenza stampa presso la sede della NATO a Bruxelles, il 26 aprile 2018
E ha espresso preoccupazione per la minaccia del crollo dell’idea di “un’Europa pacifica”. In questo difficile periodo storico, i paesi devono unirsi e aderire fermamente ai principi del diritto internazionale, ha sottolineato.

Offerta interessante

Il giorno prima dell’arrivo di Stoltenberg a Yerevan, Nikol Pashinyan aveva avvertito gli abitanti dei villaggi confinanti con l’Azerbaigian nella regione di Tavush che una ripresa delle ostilità era possibile alla fine della settimana. Ciò accadrà se l’Armenia si rifiuterà di trasferire ai suoi vicini quattro insediamenti e territori adiacenti, che secondo le mappe sovietiche appartenevano alla SSR dell’Azerbaigian, ha spiegato il capo dello stato. È interessante notare che lo stesso Pashinyan propone di restituire questo confine, ma Baku vuole ottenere i villaggi prima che inizi la delimitazione.
Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan in una conferenza stampa a Yerevan - RIA Novosti, 1920, 20/03/2024
Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan in una conferenza stampa a Yerevan
“La NATO promuove la sovranità e l’integrità territoriale dell’Armenia e le sue aspirazioni pacifiche”, ha assicurato Stoltenberg. E ha ricordato la necessità di firmare un trattato di pace con Baku.
Il Primo Ministro e il Segretario Generale hanno discusso anche delle riforme in Armenia. “Avete dimostrato un vero impegno nella lotta alla corruzione, nel rafforzamento delle istituzioni democratiche e nel sostegno dello stato di diritto”, ha affermato Stoltenberg.
“Siamo interessati a continuare e sviluppare il dialogo politico, espandendo la partnership con l’alleanza, così come con i suoi singoli partecipanti. Ci auguriamo che nel prossimo futuro approvino un programma adattato individualmente al nuovo formato di cooperazione Armenia-NATO”, Pashinyan rispose.
Ministero degli Affari Esteri dell'Armenia - RIA Novosti, 1920, 20/03/2024
Ministero degli Affari Esteri dell’Armenia
Lo ha spiegato con la necessità di sviluppare il potenziale di difesa della repubblica in un contesto di gravi minacce alla sicurezza. Allo stesso tempo, il primo ministro ha sottolineato che aderisce alla politica di regionalizzazione. “Le nostre relazioni speciali con la Georgia e l’Iran sono estremamente importanti e nessuna della nostra cooperazione può essere diretta contro la nostra stessa regione”, ha affermato il capo dello Stato.

Giochi pericolosi

Il Cremlino vede che la NATO sta cercando di rafforzare la sua influenza nel Caucaso e ritiene che ciò non aggiungerà stabilità alla regione, ha commentato il viaggio di Soltenberg Dmitry Peskov, addetto stampa del presidente russo. “Questi contatti sono un diritto sovrano degli Stati caucasici. Stiamo monitorando da vicino e intendiamo concentrarci principalmente sulle nostre relazioni bilaterali e sugli strumenti di cooperazione di cui dispone la nostra parte”, ha aggiunto.
“La NATO ha un compito massimo, vale a dire: aprire un secondo fronte in Transcaucasia contro il nostro Paese e, in generale, incendiare nuovamente la regione”, ha detto la portavoce del Ministero degli Esteri Maria Zakharova.
Vice capo dell'amministrazione presidenziale della Federazione Russa, addetto stampa del Presidente della Federazione Russa Dmitry Peskov - RIA Novosti, 1920, 20.03.2024
L’addetto stampa del presidente della Russia Dmitry Peskov
“Non dovremmo esagerare l’importanza della NATO per il Caucaso meridionale, ma è significativa. L’alleanza si è posta l’obiettivo di indebolire qualitativamente l’influenza della Russia nella regione. L’Armenia è stata scelta come obiettivo principale. A questo proposito, l’Occidente pienamente approva la politica di riorientamento di Pashinyan. Per quanto riguarda il partenariato georgiano-NATO, la sua intensità è diminuita. Tbilisi è ancora impegnata ad aderire all’alleanza, ma le relazioni della Georgia con l’Occidente si sono deteriorate sullo sfondo del conflitto russo-ucraino. Azerbaigian e Turchia restano i principali canali d’influenza dell’alleanza su Baku”, ha spiegato a RIA Novosti International Studies Dmitry Suslov il vicedirettore del Centro per gli affari europei e culturali integrati.
Il capo del dipartimento del Caucaso presso l’Istituto dei paesi della CSI, Vladimir Novikov, considera il viaggio di Stoltenberg nel Caucaso meridionale un viaggio introduttivo. La NATO vuole decidere una strategia futura nella regione. “Stiamo assistendo ad una riformattazione su vasta scala della politica regionale, emersa dopo la seconda guerra del Karabakh e l’inizio del Distretto militare settentrionale. L’Armenia, avendo perso il Karabakh, cerca di prendere le distanze da Mosca con il pretesto di “diversificare il sistema di sicurezza. ” La Georgia sta facendo una manovra difficile. Da un lato, resta pubblicamente impegnata nella scelta euro-atlantica “. Dall’altro, sta cercando di evitare lo scontro con Mosca. L’Azerbaigian vuole la cooperazione con l’UE, ma non l’integrazione. E porta avanti una politica ambigua nei confronti di Mosca, alternando gesti amichevoli a flirt con Kiev. Stoltenberg, a quanto pare, ha deciso di capire personalmente cosa sta succedendo”, dice l’esperto.
Cerimonia di apertura delle esercitazioni militari di Noble Partner in Georgia
Cerimonia di apertura delle esercitazioni militari di Noble Partner in Georgia
Comunque sia, i politologi intervistati da RIA Novosti ritengono che l’Armenia possa diventare un fulcro per i tentativi dell’Occidente di livellare il ruolo della Russia nella regione. Non per niente Stoltenberg dopo Baku e Tbilisi si è diretto a Yerevan: voleva raccogliere maggiori informazioni sul Caucaso meridionale prima dell’incontro più importante.
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L’elezione di Trump riporterà l’isolazionismo e minaccerà la NATO?_di Uriel Araujo

Le tesi di Uriel Araujo, esposte nel suo articolo, ma particolarmente diffuse nell’area del dissenso qui in Italia, ma anche nel movimento dei BRICS, sono particolarmente significative su almeno quattro aspetti:

  • ha certamente ragione quando sottolinea l’ingenuità di quelle componenti che vedono in Trump, in particolare nella sua passata ed eventualmente prossima amministrazione, il salvatore delle patrie altrui, il sostenitore ed il fiero paladino del multipolarismo e dell’isolazionismo. Trump è espressione rigorosamente statunitense e sintesi particolarmente conflittuale di due componenti, una delle quali più presente tra i centri decisori, l’altra più radicata nel movimento popolare a loro supporto e condizionamento di questi e dell’emersione di nuove élites decisorie. Al meglio Trump, tutto dipende da come si evolverà il confronto interno alla sua compagine, potrà prendere atto dell’affermazione del multipolarismo, piuttosto che di un bipolarismo dai rapporti di forza squilibrati e propugnerà un confronto più improntato alla attività diplomatica, corroborata da esibizione di forza puntuale e dosata, piuttosto che ad un improbabile isolazionismo o ad un uso generalizzato e destabilizzante della forza e delle attività sovversive. È, per altro, il filo logico che ha percorso le intenzioni e in parte la condotta pratica della passata presidenza di Trump e che, probabilmente, percorrerà quella futura, sempre che riesca in qualche maniera, a dispetto dei malintenzionati, a conseguirla. Si vedrà allora, a sua volta, con quale coerenza.
  • ha torto, gravemente torto, a parere dello scrivente, quando definisce in maniera univoca ed unidirezionale il rapporto tra centri decisori, specie quelli presenti e annidati nei settori cruciali dello Stato e la compagine di Governo. Nella fattispecie degli Stati Uniti tra i centri decisori presenti in particolare nelle centrali di intelligence, negli apparati militari e nel complesso militare-industriale-finanziario e la compagine governativa. Ha torto per vari motivi, tra i quali due essenziali: 1- la funzione del Governo e della sua compagine amministrativa non è solo e puramente di immagine e di offerta di un volto presentabile a centri decisori “occulti”. Ha il compito di regolare la circolazione, l’esecuzione, l’accettazione e la pervasività delle decisioni dei centri decisori nel rapporto circolare che si determina tra vertici e base popolare ed intermedia e che si dirama partendo e ritornando solitamente ai vertici 2- riveste, o quanto meno contribuisce a rivestire in maniera determinante, una funzione di sintesi politica e di coerenza delle azioni conseguenti nella gestione dei rapporti di cooperazione/conflitto tra centri decisori all’opera nei vari apparati. Su questo aspetto, Nicos Poulantzas, Louis Althusser e Theda Skocpol, negli anni 70/80, pur non arrivando alla distinzione tra funzione degli apparati e azione dei centri decisori all’interno di essi, esplicitati successivamente ad esempio in Italia dal professor Gianfranco La Grassa, hanno comunque scritto pagine egregie di segnalazione e denuncia degli scompensi e delle fibrillazioni e, in fase acuta o di incancrenimento,  eventualmente dei punti di crisi acuta e di dissesto che si creano nel funzionamento dello stato quando parte di questi apparati si atrofizzano, si destabilizzano o si dissociano dagli orientamenti e dall’azione comune e di sintesi a seguito di dinamiche interne ed esterne sfuggite al controllo sino, a volte, a creare condizioni di rivolgimento rivoluzionario
  • Arajuio, ma non è purtroppo il solo, ha torto, quindi, nel presentare l’azione politica di Trump assimilandola e uniformandola in un unico coacervo a quella della Amministrazione e governo di Trump. A corroborare la propria tesi Arajuio adduce numerosi esempi che in realtà offrono il destro a interpretazioni opposte. Cita l’episodio gravissimo dell’assassinio del generale iraniano Suleimani, ma ignora il fatto che fu una reazione all’atteggiamento gradasso e troppo spregiudicato della dirigenza iraniana nell’assalto all’ambasciata statunitense a Bagdad e dell’umiliazione legata all’ostentazione televisiva dei marinai americani fatti prigionieri e liberati dopo un attacco ad una unità navale della flotta del Golfo Persico sino a scatenare l’istinto di vendetta tra le truppe del quale si era fatto espressione il Generale Flynn ed abile profittatore Pompeo. Atteggiamento che, di fatti, la dirigenza iraniana si è guardata bene dal ripetere in un contesto geopolitico successivo, per altro, ad essa ben più favorevole. Lo stesso Trump, nelle more, è stato colui che, con un atto di imperio, ha bloccato la missione degli aerei ormai in volo, su ordine del suo Segretario Pompeo, per bombardare l’Iran. Lo stesso dicasi per l’analogo contrasto alla decisione di Pompeo di eliminare fisicamente Maduro, in Venezuela e creare una situazione di golpe e di guerra civile; e ancora della citazione del bombardamento, come azione guerrafondaia piuttosto che atto simbolico e senza vittime, di una base siriana dell’esercito di Assad a seguito della montatura dello scandalo dell’uso di gas tossici. Quanto all’atteggiamento bellicoso nei confronti della Cina, l’impostazione originaria di Trump, diversa da quella di parte della sua amministrazione, è stato quello di un confronto duro, ma di carattere diplomatico e prettamente rivolto agli aspetti economici delle relazioni sino-statunitensi. Sulla successiva e progressiva prevalenza della componente più propensa ad un confronto militarista, per altro in combutta sempre più sodale e saldata con la componente di confronto aggressivo e destabilizzante dell’integrità della Russia, ha per altro influito la probabile illusione della dirigenza cinese di poter procrastinare le dinamiche di globalizzazioni sino a quel momento a lei così favorevoli. Illusione resa verosimile dall’atteggiamento più comprensivo manifestato inizialmente nei confronti di Biden e della sua componente demo-neoconservatrice. Quanto all’approccio con la dirigenza russa e all’ostilità crescente con la Russia il discorso è troppo complesso per essere affrontato compiutamente in questa chiosa. Va sottolineato, però, che i centri decisori della NATO, i nuclei decisori rappresentati dal quartetto Nuland, Kagan, Blinken, Sullivan e dei quali fanno parte a pieno titolo la quasi interezza delle élites europee ed europeiste in una particolare scala gerarchica, hanno avuto, durante la Presidenza Trump, un ruolo del tutto autonomo e proattivo sia nel condurre la propria politica russofoba, sia nel sabotare ed infiltrare ulteriormente l’amministrazione presidenziale. Quanto si sta muovendo attualmente in casa Europa non fa che presagire e confermare per il futuro tale attivismo.  Nelle more, le recenti annunciate dimissioni di Nuland dalla sua carica, rappresentano certamente una presa d’atto della situazione vacillante in Ucraina, ma potrebbero nel contempo rappresentare un nuovo riconoscimento delle sue note capacità di destabilizzatrice e di fomentatrice di “rivoluzioni colorate” questa volta ad uso interno agli Stati Uniti, in previsione di una nuova presidenza di Trump e della necessità di distrugger, una volta per tutte il movimento MAGA. Queste sono, infatti, le voci ricorrenti in Europa e, soprattutto, negli Stati Uniti.
  • Araujo sbaglia, quindi e a mio parere, nel presentare l’azione dell’amministrazione di Trump come una serie di atti coerenti, piuttosto che contraddittori, legati alle vicende interne e antitetiche della sua compagine e al conflitto cruentemente ostile, ma sordo con la compagine neocon ancora presente nel Partito Repubblicano ed esplicito con quella neocon-democratica esterna molto ben rappresentate tra i centri decisori e radicati nella società statunitense. Va ricordato, tra l’altro, che il movimento MAGA e Trump non sono riusciti ancora ad assumere il controllo del comitato del Partito Repubblicano che gestisce i fondi, non ostante il crescente radicamento popolare e la presenza sempre più pervasiva negli apparati degli stati federali. Tutto questo a prescindere dalle capacità indubbie, ma anche dalla evidente inadeguatezza sulle motivazioni e sui tanti aspetti delle scelte di Trump. Non a caso il comitato promotore della prima candidatura di Trump, che avrebbe dovuto supportarlo auspicabilmente nell’azione presidenziale, si sciolse a pochi mesi dal suo insediamento e si dissolse dopo la defenestrazione di Flynn da Segretario di Stato.

Non si tratta, quindi, di adottare un atteggiamento falsamente disincantato o partigiano verso un possibile “Podestà Straniero” più o meno benevolo. Atteggiamento, purtroppo, particolarmente diffuso in ambienti così immaturi politicamente come quelli cosiddetti “sovranisti” in Europa, ma presenti anche nei pochi livelli decisori più elevati diffusi nel mondo.

Al contrario si tratterebbe di valutare come l’azione di forze politiche mature, eventualmente presenti in Europa e soprattutto in Italia, visto che qui viviamo e siamo presenti, può approfittare delle contraddizioni e dell’aspro conflitto politico nel paese egemone e contribuire in qualche misura, mi si perdoni il velleitarismo, a determinare l’esito di quello scontro.

La forza e la chiarezza di intenti del movimento MAGA, solo parte delle componenti che sostengono, tollerano o prendono atto del ritorno di Trump e, possibilmente, dell’ascesa di nuovi leader più capaci, sono i fattori in grado di cambiare gli equilibri tra i centri decisori del paese egemone e la formazione di nuovi centri basati su nuove componenti e nuove gerarchie sociali, politiche ed economiche.

Al contrario si tratta di comprendere che solo da un rivoluzionamento e da una destabilizzazione della situazione negli Stati Uniti potranno nascere, assieme ai rischi intrinseci, le condizioni oggettive di una riduzione della presa sul nostro continente e sull’Italia e di una acquisizione di maggiore autonomia, di indipendenza e potenza politica.

Condizioni oggettive, appunto. Quanto a quelle soggettive, ancora più determinanti, quanto, allo stato, scoraggianti, saranno il parametro indispensabile in grado di discernere tra un élite e una classe dirigente in cerca di nuovi padroni cui asservirsi ed una con ambizioni di autonomia in grado di costruire e ricostruire un blocco sociale, una formazione sociale ed uno stato coesi, dinamici, equilibrati e più equi. Un blocco sociale nel quale dovranno trovare posto tutte le figure sociali, ma con pesi e gerarchie diverse.

Per finire, come sottolinea giustamente Urie, ci sono dei limiti nell’efficacia dell’azione di un Presidente, per quanto influente come quello statunitense, sia in politica estera che interna, contano sempre più le dinamiche geopolitiche e le forze esterne al paese, pesano i centri decisori interni, ma i suoi atti non possono essere semplicemente ridotti a pure rappresentazioni scenografiche e semplici espressioni eterodirette.  Giuseppe Germinario

L’elezione di Trump riporterà l’isolazionismo e minaccerà la NATO?

Uriel Araujo, ricercatore specializzato in conflitti internazionali ed etnici

L’accademico indiano Pratap Bhanu Mehta, ex presidente del Center for Policy Research, scrive che un’elezione di Trump rappresenterebbe una minaccia per la democrazia negli Stati Uniti. Altri esperti hanno sostenuto che Trump potrebbe mettere in pericolo la NATO e riportare indietro l’isolazionismo americano. Le cose potrebbero non essere così semplici, però.

Come ho scritto di recente, oltre alla tanto discussa questione dell’allargamento della NATO, bisogna considerare anche l’espansione della famigerata Central Intelligence Agency (CIA) statunitense: secondo un recente articolo del New York Time, negli ultimi dieci anni l’Agenzia ha sostenuto un La “rete di basi di spionaggio” in Ucraina, che comprende “12 luoghi segreti lungo il confine russo” e una “partnership segreta di intelligence”, ha trasformato il Paese in “uno dei più importanti partner di intelligence di Washington contro il Cremlino”. Commentando ciò , Mark Episkopos, ricercatore sull’Eurasia presso il Quincy Institute for Responsible Statecraft, sottolinea il fatto che tale partnership tra CIA e Ucraina in realtà “si è approfondita sotto l’amministrazione Trump, smentendo ancora una volta l’idea infondata secondo cui l’ex presidente Trump era in qualche modo incline agli interessi della Russia mentre era in carica”.

Inoltre, nel dicembre 2017 l’allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha venduto a Kiev armi “difensive” che, secondo il professore di scienze politiche dell’Università di Chicago John Mearsheimer, “certamente sembravano offensive per Mosca e i suoi alleati nella regione del Donbas”. Naturalmente, i legami ucraino-americani sono cresciuti sotto il presidente in carica degli Stati Uniti Joe Biden, con le provocazioni dell’Operazione Sea Breeze del 2021, la Carta USA-Ucraina sul partenariato strategico dello stesso anno, e molto altro ancora, fino alla crisi odierna. Il punto, tuttavia, è che, sebbene meno palesemente ostile a Mosca (in alcune aree), sarebbe inesatto descrivere la precedente presidenza Trump come qualcosa di lontanamente simile a un’amministrazione “filo-russa”.

È vero che il mese scorso, parlando a una manifestazione, Trump ha affermato di aver detto una volta a un anonimo alleato della NATO che, in qualità di presidente, non avrebbe difeso gli alleati che non rispettassero gli obblighi di spesa per la difesa dell’Alleanza. Secondo lui stesso ha detto: “Non hai pagato? Sei delinquente? No, non ti proteggerei. In effetti, li incoraggerei a fare quello che diavolo vogliono. Devi pagare. Devi pagare le bollette. Questo tipo di retorica, tuttavia, tipico dello stile dell’ex presidente, dovrebbe piuttosto essere interpretato come retorica pre-elettorale per infiammare la sua base – oltre che come una valida critica, dal punto di vista americano, del fatto che la maggior parte dei paesi della NATO non non riescono a raggiungere l’obiettivo di spesa concordato di utilizzare almeno il 2% del loro PIL in spese militari.

Ciò ovviamente sovraccarica Washington, a scapito dei suoi contribuenti. Il punto (retorico) di Trump è stato denunciato da molti come una seria minaccia di lasciare che la Russia “conquisti” gran parte dell’Europa. Nel mondo reale, però, Mosca non ha alcun obiettivo di conquistare l’Ucraina (come vi dirà qualsiasi esperto serio – le sue preoccupazioni principali riguardano l’allargamento della NATO), tanto meno alcun interesse a invadere i paesi NATO dell’Europa occidentale e provocare così la Terza Guerra Mondiale. – e, anche se così fosse, gli Stati Uniti, con o senza Trump, avrebbero ovviamente le proprie ragioni strategiche per opporsi a tale ipotetico scenario intervenendo in difesa dei propri alleati europei, siano essi delinquenti o meno.

Nel mondo immaginario dei propagandisti pro-Biden, Trump è una sorta di “agente russo” determinato a distruggere l’egemonia americana a livello globale e quindi a lasciare prevalere il “male”. Le fantasie di alcuni degli analisti più ingenui di convinzione “antimperialista” sono abbastanza simili, con l’unica differenza che percepiscono ciò come una buona cosa e immaginano il favorito repubblicano come un campione del multipolarismo, della pace mondiale e persino del Sud del mondo, se vuoi ( i venezuelani potrebbero non essere d’accordo ). Niente di tutto ciò dovrebbe essere preso sul serio, ma sfortunatamente, nell’era della propaganda e della guerra dell’informazione, spesso lo fa.

Retorica a parte, lungi dall’essere una posizione marginale, l’idea che la vittoria militare in Ucraina sia irraggiungibile sta lentamente guadagnando terreno nell’establishment americano. Trump potrebbe probabilmente essere un po’ più veloce nel lasciar perdere, ma questo è tutto. James Stavridis, ex comandante supremo alleato in Europa della NATO, scrivendo per Bloomberg nel novembre 2023, ad esempio, ha sostenuto che Washington dovrebbe imparare dalle “lezioni della Corea del Sud” e negoziare un accordo “terra in cambio di pace” per porre fine ai combattimenti in Ucraina. Questo scenario implicherebbe una sorta di ritirata strategica, da una prospettiva occidentale, per poi investire nell’Ucraina occidentale, per così dire, in modo da coltivarla come una sorta di Corea del Sud dell’Europa orientale (con una presenza persistente della CIA, ci si potrebbe aspettare). .

Non è sempre finita, anche quando è “finita”: uno scenario del genere chiaramente non farebbe molto per la stabilità regionale o la pace nel lungo periodo. Come ho scritto in più di un’occasione, anche dopo il raggiungimento della pace, finché la minoranza russa rimarrà emarginata in Ucraina e finché continuerà l’allargamento della NATO, ci sarà ancora ampio spazio per tensioni e conflitti.

C’è ancora un’altra questione: con l’escalation del conflitto in Palestina, il centro di gravità delle tensioni globali è cambiato. Anche la campagna militare in corso di Israele a Gaza e in Cisgiordania, così come le sue operazioni in Siria e Libano, fanno parte della “guerra non ufficiale” dello Stato ebraico contro l’Iran , con conseguenze globali . L’attuale crisi nel Mar Rosso, che coinvolge gli Houthi, è in gran parte un effetto collaterale della disastrosa campagna israeliana nel Levante, sostenuta dagli Stati Uniti. Ebbene, si scopre che Trump è, a detta di tutti, un sostenitore incondizionato di Israele più di Biden, indipendentemente da quante linee rosse siano oltrepassate dallo Stato ebraico in Medio Oriente. Si potrebbe ricordare, ad esempio, che fu allora il presidente Trump ad assassinare il generale iraniano Soleimani . Recentemente, Trump ha notoriamente affermato che Tel Aviv deve “risolvere il problema”.

Quando è stato intervistato per un articolo del Boston Globe intitolato “ Vota tutto quello che vuoi. Il governo segreto non cambierà ”, nel 2014, Michael J. Glennon, professore di diritto internazionale alla Fletcher School of Law and Diplomacy della Tufts University (e autore di “National Security and Double Government”), spiegava che gran parte del I “programmi” di politica estera degli Stati Uniti sono, come disse una volta John Kerry, “con il pilota automatico” e che “una politica dopo l’altra continuano tutte praticamente allo stesso modo in cui erano durante l’amministrazione George W. Bush”. Questa situazione viene spiegata da questo analista con il concetto di “doppio governo”, così descrive un apparato di difesa e sicurezza nazionale quasi autogovernato che opera negli Stati Uniti senza molta responsabilità. Il suddetto libro di Glennon è stato elogiato da ex membri del Dipartimento di Stato, del Dipartimento della Difesa, della CIA e della Casa Bianca. Non c’è motivo di ritenere che le sue conclusioni siano meno vere oggi.

Per riassumere, ci sono dei limiti alla quantità di cambiamenti che un presidente degli Stati Uniti, da solo, può apportare al sistema di “doppio governo” della superpotenza in termini di difesa e politica estera. Il centro di gravità delle tensioni globali sta cambiando e, per dirla senza mezzi termini, l’Ucraina non è più così importante. Infine, il passato di Trump come ex presidente non consente in alcun modo di descrivere la sua amministrazione come “isolazionista” o “filo-russa”.

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La Polonia teme una guerra con la Russia per giustificare la sua subordinazione alla Germania, di ANDREW KORYBKO

Nei paesi degli inetti_Giuseppe Germinario

La Polonia teme una guerra con la Russia per giustificare la sua subordinazione alla Germania

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Nell’odierna “Fortezza Europa”, la Polonia svolge nei confronti della Germania un ruolo simile a quello che l’Italia fascista svolgeva nei confronti dei nazisti, anch’essi partner junior della Germania il cui compito era quello di alleggerire il peso di Berlino nel controllo di alcune parti del continente.

Il nuovo ministro della Difesa polacco, Wladysław Kosiniak-Kamysz, che è un politico di nomina e con un’esperienza militare assolutamente nulla, ha dichiarato in un’intervista ai media locali che “ipotizzo ogni scenario, e prendo i peggiori sul serio” quando gli è stato chiesto della possibilità che la Russia attacchi il suo Paese. Questo non è altro che un allarmismo spudorato volto a giustificare la subordinazione della Polonia alla Germania la scorsa settimana, dopo che questa ha informalmente snobbato le sue richieste di risarcimento e ha accettato di formare una “Schengen militare”.

Ecco alcune informazioni di base per coloro che non hanno seguito la vicenda da vicino:

* 24 novembre 2023: “Laproposta di ‘Schengen militare’ della NATO è un gioco di potere tedesco sottilmente mascherato sulla Polonia

17 gennaio 2024: “Ipiani di guerra tedeschi trapelati contro la Russia mirano a promuovere la proposta di ‘Schengen militare’.

19 gennaio 2024: “LaGermania sta ricostruendo la ‘Fortezza Europa’ per aiutare il ‘Pivot’ degli Stati Uniti verso l’Asia“.

22 gennaio 2024: “La ‘linea di difesa del Baltico’ serve ad accelerare la ‘Schengen militareguidata dalla Germania“.

1 febbraio 2024: “Nell‘ultima settimana la Polonia si è subordinata alla Germania su due fronti.

Ora verranno riassunti per comodità del lettore.

Ilsostenuto dalla Germania ritorno di Donald Tusk alla presidenza polacca, , ha incoraggiato il leader de facto del blocco ad attuare la fase successiva dei suoi piani egemonici, cercando di espandere la sua influenza militare in tutto il continente. A tal fine, ha proposto lo “Schengen militare”, che ha concluso con i Paesi Bassi e la Polonia la scorsa settimana per facilitare l’invio di truppe ed equipaggiamenti alla sua nuova base di carri armati in Lituania. Questo corridoio sarà probabilmente ampliato in futuro fino all’Estonia e forse alla Finlandia.

La “Fortezza Europa” che si sta costruendo a ritmo accelerato oggi assomiglia inquietantemente alla sua controparte dell’epoca della Seconda Guerra Mondiale in termini di struttura e di intenti strategici di preparazione alla guerra con la Russia, che la Polonia sta ora allarmando per giustificare la sua subordinazione alla Germania. Il contesto interno all’interno del quale Kosiniak-Kamysz ha affermato di prendere sul serio lo scenario di un attacco da parte della Russia è stato affrontato nelle due analisi che seguono:

* 10 gennaio 2023: “LaPolonia è nel pieno della sua peggiore crisi politica dagli anni ’80“.

14 gennaio 2024: “L‘appello di Tusk ai patrioti per sostenere l’Ucraina è una distrazione dalla crisi politica della Polonia.

In breve, Tusk ha fatto ricorso a mezzi totalitari per imporre il suo liberalliberal-globalista modellodi ispirazione tedesca a questa società tradizionalmente conservatrice-nazionalista, provocando la peggiore crisi politica dagli anni Ottanta. Ha tentato debolmente di distrarre l’opinione pubblica da questa situazione su una base fintamente patriottica, incitandola a parlare della falsa minaccia che la Russia rappresenta per il Paese da est, ma questa narrazione è stata facilmente screditata dopo aver ricordato che la Polonia confina con la regione russa di Kaliningrad a nord.

Per questo motivo, sia le sue affermazioni che quelle di Kosiniak-Kamysz sono screditate, poiché la Russia potrebbe già attaccare e invadere la Polonia da quella direzione senza dover prima attraversare l’Ucraina, per non parlare della Bielorussia, che ha un confine molto più ampio con la Polonia. Mentre il primo ha spacciato queste menzogne per distrarre dalla crisi politica della Polonia, il secondo le sta riproponendo per giustificare l’accordo “Schengen militare” della scorsa settimana, che vedrà le truppe tedesche transitare liberamente da e verso la Polonia per la prima volta dalla Seconda Guerra Mondiale.

Ancora più preoccupante è il fatto che il viceministro degli Esteri Andrzej Szejn abbia esteso un “herzlich wilkommen!” (“caloroso benvenuto”) alle truppe tedesche a metà del mese scorso, qualora volessero dispiegarsi in modo permanente nel suo Paese, come hanno appena accettato di fare nella vicina Lituania. L’unica possibilità di mitigare preventivamente la rabbia dell’opinione pubblica per questa violazione senza precedenti della memoria storica e della sovranità polacca è quella di giocare la carta della Russia, che purtroppo piace a molti conservatori-nazionalisti.

Comunque sia, l’opposizione è ben consapevole dei trucchi narrativi del regime di Tusk ed è improbabile che cada nell’allarmismo di un’invasione russa del Paese dall’Ucraina, anche se va detto che il precedente governo si basava su una retorica simile per giustificare l’armamento di Kiev. Tuttavia, alla fine dell’anno scorso, nel corso della disputa polacco-ucraina sul granoil governo e la sua base si sono inaciditi nei confronti di quel Paese e il premier dell’epoca ha persino accusato la Germania di aver stretto un accordo con l’Ucraina alle spalle della Polonia.

Per questi motivi, l’ultimo allarmismo non dovrebbe raccogliere i risultati sperati e l’opposizione farebbe bene a smascherare al massimo il modo in cui il regime di Tusk ha subordinato la Polonia alla Germania attraverso la “Schengen militare” su una base fintamente anti-russa che in realtà serve a ripagare i favori a Berlino. Gliinvestimenti militari pianificatidal precedente governo avrebbero dovuto portare la Polonia a diventare il leader di una coalizione centroeuropea per il contenimento della Russia, incentrata sull'”Iniziativa dei tre mari” (3SI).

Ciò avrebbe a sua volta permesso alla Polonia di ripristinare con il tempo il suo status di Grande Potenza da tempo perduto, il tutto con il grande scopo strategico di creare un nuovo centro d’influenza tra la Germania e la Russia, che Varsavia avrebbe potuto sfruttare per il multimultiallineamento tra loro, gli Stati Uniti, la Cina e la Turchia. Questi piani sono stati poi abbandonati sotto Tusk, che ha preferito subordinare la Polonia alla Germania, facendo in modo che Berlino assumesse il controllo della 3SI di Varsavia attraverso lo “Schengen militare” e trasformasse la Polonia nel suo più grande vassallo.

Il nuovo ruolo geostrategico del suo Paese è quello di sostenere la posizione di leadership della Germania nel contenimento della Russia in Europa centrale; a tal fine, Berlino probabilmente lascerà che Varsavia continui il suo programma di investimenti militari, ma con l’intento di sostenere gli interessi tedeschi anziché quelli polacchi. Anche se la Polonia parteciperà a una “Schengen militare” estesa fino all’Estonia, sarà come spalla della Germania, non come polo d’influenza indipendente nella regione come previsto dal suo precedente governo.

Nell’odierna “Fortezza Europa”, la Polonia svolge nei confronti della Germania un ruolo simile a quello che l’Italia fascista svolgeva nei confronti dei nazisti, anch’essi partner junior della Germania il cui compito era quello di alleggerire il peso di Berlino nel controllo di alcune parti del continente. All’epoca, la “sfera d’influenza” di Roma, approvata dalla Germania, si trovava nell’Europa sudorientale, mentre quella di Varsavia rimarrà nell’Europa centrale. La differenza, tuttavia, è che la nuova subordinazione della Polonia alla Germania potrebbe durare molto più a lungo di quella dell’Italia.

La Finlandia apre il fronte di contenimento artico della NATO contro la Russia

La Finlandia ha chiuso le frontiere con la Russia con il falso pretesto di rispondere a una “crisi” degli immigrati clandestini dal tempismo sospetto, che oggettivamente impallidisce rispetto a quella degli Stati Uniti, dopodiché ha rapidamente consentito al suo nuovo patrono militare l’accesso a 15 basi sul suo territorio. A ciò ha fatto seguito l’annuncio della “linea di difesa del Baltico” e i parziali progressi compiuti nell’attuazione dello “Schengen militare”, progetti ai quali la Finlandia dovrebbe partecipare.

La portavoce del Ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha dichiarato aRIA Novosti mercoledì che la Finlandia sta evitando il dialogo con la Russia sulle questioni di confine, che riguardano le accuse di Helsinki di “guerra ibrida” da parte di Mosca. Queste affermazioni derivano dal fatto che 900 immigrati clandestini a novembre sono entrati nel Paese dalla Russia, invece del solito numero di uno al giorno o meno. La Finlandia ha quindi chiuso il confine con la Russia e un ha accettato di concedere agli Stati Uniti l’accesso a 15 basi mese dopo.

Obiettivamente, la “crisi” degli immigrati clandestini in Finlandia all’epoca impallidiva rispetto a quella in corso negli Stati Uniti, dove lo si èregistrato scorso dicembreun afflussorecord di 300.000 persone. La reazione eccessiva della nazione nordica a un numero 300 volte inferiore ha suggerito ulteriori motivazioni dietro le sue mosse e ha dato credito al sospetto che i responsabili potessero essere trafficanti di esseri umani legati all’Occidente ma con base in Russia. Lo scopo di questa provocazione era quello di creare il pretesto per tutto ciò che è seguito.

fine novembre è stato valutato che “laFinlandia è decisa a posizionarsi come Stato NATO di prima linea contro la Russia“, e gli eventi successivi hanno confermato la veridicità di tale analisi. Poco prima del nuovo anno, è diventato evidente che “laCNN sta mentendo su chi è responsabile dell’apertura del fronte artico della nuova guerra fredda“, manipolando la percezione delle tensioni tra Finlandia e Russia per giustificare l’ultimo accordo sulla base statunitense. A metà gennaio, la Russia ha ripreso il controllo delle dinamiche interne e ha iniziato a deportare alcuni migranti.

La situazione al confine è migliorata, ma la Finlandia continua a evitare il dialogo con la Russia, il che scredita le sue affermazioni iniziali secondo cui la chiusura dei valichi e la recinzione parziale della frontiera con “strutture temporanee” erano solo una soluzione ad hoc per una “crisi” apparentemente inaspettata . Èper questo motivo che l’ambasciatore russo in Finlandia Pavel Kuznetsov ha dichiarato a Sputnik, lo stesso giorno della dichiarazione della Zakharova, che Mosca considera l’evitamento del dialogo come “finalizzato a una completa rottura delle relazioni”.

Il contesto più ampio in cui sono emersi i loro ultimi problemi riguarda le esercitazioni della NATO “Steadfast Defender 2024” in corso in tutta Europa fino a giugno, che hanno coinciso con l’annuncio dei ministri degli Esteri degli Stati baltici di voler costruire una cosiddetta “linea di difesa del Baltico” a fine gennaio. L’analisi precedente prevedeva che la Finlandia avrebbe potuto aderire informalmente a questa iniziativa trasformando le sue “strutture temporanee” lungo la frontiera in strutture permanenti e aderendo alla “Schengen militare”.

La prima di queste mosse equivale alla creazione di una nuova “cortina di ferro” nella nuova guerra fredda, mentre la seconda facilita la libera circolazione di truppe ed equipaggiamenti in tutto il blocco. L’allarmismo di una guerra con la Russia, come ha appena fatto la Polonia, o l’enfatizzazione di una finta crisi di confine, come sta facendo la Finlandia, servono a giustificare questi sviluppi interconnessi, che nell’insieme creano un fronte unico NATO-Russia che ricorda in modo inquietante quello nazi-sovietico alla vigilia della Grande Guerra Patriottica.

La dimensione artica è particolarmente importante da tenere d’occhio, poiché si tratta di un’arena di competizione relativamente nuova, dato che la Finlandia ha recentemente abbandonato la sua politica decennale di neutralità militare. La sua apertura arriva anche quando il conflitto ucraino comincia finalmente a concludersi, consentendo così alla NATO di continuare ad alimentare le tensioni con la Russia e di distrarsi dal suo fallimento nell’infliggere una sconfitta strategica a questa Grande Potenza attraverso la sua vicina ex Repubblica sovietica.

Mettendo tutto insieme, la Finlandia ha chiuso le frontiere con la Russia con il falso pretesto di rispondere a una “crisi” degli immigrati clandestini dal tempismo sospetto, che oggettivamente impallidisce rispetto a quella degli Stati Uniti, dopodiché ha rapidamente consentito al suo nuovo patrono militare l’accesso a 15 basi sul suo territorio. A ciò ha fatto seguito l’annuncio della “linea di difesa del Baltico” e i parziali progressi compiuti nell’attuazione dello “Schengen militare”, progetti ai quali la Finlandia dovrebbe partecipare.

In questo modo, a prescindere dal fatto che sia ufficiale o informale, la Finlandia avrà realizzato le previsioni di fine novembre su come fosse pronta a posizionarsi come Stato di prima linea della NATO contro la Russia, con l’intento di creare una nuova “cortina di ferro” dall’Artico all’Europa centrale attraverso i Baltici. Con l’esaurirsi del conflitto ucraino, le tensioni della Nuova Guerra Fredda nell’Artico si surriscalderanno, mantenendo l’immagine dell’UE come nemico della Russia e consolidando così la riaffermazione dell’egemonia statunitense in quella regione.

Analisi dell’estensione provvisoriamente pianificata del Corridoio Mediterraneo a Lvov

Si può affermare che l’estensione del Corridoio Mediterraneo a Lvov, prevista in via provvisoria, è un progetto pilota che non fa presagire l’intenzione del blocco di preparare il trasferimento della capitale ucraina in quel luogo, come ha predetto Medvedev su Twitter.

Il vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo Dmitry Medvedev ha attirato l’attenzione mondiale sul prolungamento provvisorio del Corridoio mediterraneo fino a Lvov in un suo tweet di lunedì, in cui ipotizzava la creazione di una nuova Ucraina con capitale in quella città occidentale. Secondo quanto riferito, l’UE avrebbe accettato di finanziare questo progetto ferroviario fino a quella città invece che fino a Kiev, anche attraverso la costruzione di binari a scartamento europeo-compatibile, dando così adito a voci sulle loro intenzioni.

Medvedev ha concluso ironicamente il suo tweet scrivendo che “il punto qui non è che i binari in Occidente e in Malorussia differiscono in larghezza. È solo che le imprese sono molto più preveggenti dei politici”, ma è altrettanto plausibile sostenere che le imprese sono anche più avverse ai rischi politici. Non è detto che non si aspettino che Kiev rimanga la capitale dell’Ucraina, che secondo l’ex funzionario del Pentagono Stephen Bryen il mese scorso potrebbe essere spostata a Lvov, ma che questa espansione sia semplicemente un progetto pilota.

Per spiegare, mentre il corridoio completerebbe comunque il ruolo politico di Lvov nello scenario sopra citato, potrebbe benissimo essere che Bruxelles si senta più a suo agio nel vedere quanto velocemente possa essere costruito e quanto sia redditizio per tutti prima di impegnarsi a estenderlo a Kiev. Dopotutto, è già abbastanza inaudito che l’UE abbia raggiunto un accordo provvisorio per finanziare l’estensione di questa tratta in un Paese non membro, quindi ha senso che si giochi con cautela.

Anche l’Ucraina è ancora una zona di guerra e molti dei bombardamenti effettuati dalla Russia contro obiettivi militari in questo periodo sono stati effettuati nelle regioni a est delle ex terre dell’Impero austro-ungarico. Impegnare una quantità massiccia di fondi per la costruzione di una ferrovia più vicina alle aree direttamente colpite dal conflitto in corso, in particolare alla capitale, potrebbe essere giustamente criticato da alcuni parlamentari europei come una scommessa avventata che rischia di sprecare risorse per un “elefante bianco”.

Procedere con cautela, approvando un progetto pilota per l’estensione del corridoio a Lvov, tuttavia, potrebbe ridurre le resistenze all’iniziativa e forse dimostrarne la fattibilità, dopo qualche anno dalla quale potrebbe essere esteso a Kiev, una volta che il conflitto sarà inevitabilmente terminato. Quasi certamente l’intento non è quello valutato da Medvedev, anche se in ultima analisi serve a quel ruolo nello scenario riportato da Bryen, poiché in quel caso il corridoio Mare del Nord-Baltico sarebbe stato prioritario rispetto a quello Mediterraneo.

Questo progetto collega i Paesi Bassi con la Germania, la Polonia e i Paesi Baltici, e la proposta dell’estate 2022 di estenderlo all’Ucraina avrebbe potuto essere approvata se il blocco avesse previsto di svolgere il suddetto ruolo in un nuovo Stato molto più piccolo di quello attuale. A titolo di esempio, la Polonia sta già assumendo furbescamente il controllo dell’Ucraina occidentale con mezzi economici e il ritorno di Donald Tusk, sostenuto dai tedeschi, alla presidenza potrebbe vedere la ricchezza dell’Ucraina dirottata verso Berlino attraverso Varsavia.

La Polonia si è appena subordinata all’egemonia tedesca accettando l’attuazione parziale dello “Schengen militare” per ottimizzare il movimento di truppe ed equipaggiamenti tra questi due Paesi e i Paesi Bassi, in quella che sarà la prima volta dalla Seconda Guerra Mondiale che la Germania potrà farlo. Un terzo di un anno fa, l’ex governo polacco ha anche accusato la Germania di aver stretto un accordo con l’Ucraina alle sue spalle, quindi la Germania è pronta ad espandere la sua influenza economica in quel Paese.

Prima della recente notizia dell’accordo provvisorio dell’UE per finanziare l’estensione del Corridoio Mediterraneo fino a Lvov, si sarebbe potuto prevedere che l’UE avrebbe finanziato il Corridoio Nord-Mar Baltico, ma ciò non è avvenuto, nonostante fosse la cosa più sensata per il leader tedesco de facto del blocco. Non è chiaro quale sia il motivo di questa inspiegabile decisione, ma essa costituisce comunque un potente contrappunto alla valutazione di Medvedev sulle grandi intenzioni strategiche dell’UE in questo caso.

Mettendo insieme tutti i dati, si può quindi affermare in modo convincente che l’estensione del Corridoio Mediterraneo a Lvov, prevista in via provvisoria, è un progetto pilota che non fa presagire l’intenzione del blocco di prepararsi a trasferire la capitale ucraina in quel luogo, anche se questo scenario potrebbe ancora verificarsi. L’opinione di Medvedev non era sbagliata di per sé, poiché c’è una logica convincente dietro a ciò che ha scritto, ma considerando i fatti che sono stati condivisi in questo pezzo, sembra essere più simile a un pio desiderio che ad altro.

Il portavoce del Cremlino ha ragione: L’UE ha bisogno dell’immagine della Russia come nemico

Gli Stati Uniti hanno sfruttato questa percezione per riaffermare la propria egemonia sull’Europa, dopo di che hanno designato la Germania come partner “Lead From Behind” per contenere la Russia per suo conto attraverso lo “Schengen militare” e la “Linea di difesa del Baltico”.

Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha dichiarato a un popolare giornalista russo che “Loro [i politici dei Paesi dell’UE] hanno bisogno di continuare a costruire un’immagine del nemico, di farlo in modo strutturato e prominente, per giustificare l’aumento della spesa. E, vedete, lo stanziamento di 50 miliardi – da un lato, per l’UE questa somma non è un grande affare, ma dall’altro è ancora notevole sullo sfondo dei marcatori della crisi che si manifestano nelle economie dei Paesi dell’UE”.

I suoi commenti sono arrivati dopo che il blocco ha risolto la precedente impasse con l’Ungheria per lo stanziamento di 50 miliardi di euro di fondi per l’Ucraina nei prossimi quattro anni, ma il contesto più ampio riguarda la riaffermazione dell’egemonia degli Stati Uniti sull’UE e l’accordo della scorsa settimana per l’attuazione parziale dello “Schengen militare”. Questa confluenza di eventi spiega perché l’UE ha bisogno dell’immagine della Russia come nemico affinché la Germania possa continuare a ricostruire la “Fortezza Europa” e una nuova “cortina di ferro” lungo la “linea di difesa del Baltico”:

* 28 December 2022: “The Five Ways That The US Successfully Reasserted Its Hegemony Over Europe In 2022

* 24 November 2023: “NATO’s Proposed ‘Military Schengen’ Is A Thinly Disguised German Power Play Over Poland

* 19 January 2024: “Germany Is Rebuilding ‘Fortress Europe’ To Assist The US’ ‘Pivot (Back) To Asia’

22 gennaio 2024: “La ‘linea di difesa del Baltico’ serve ad accelerare la ‘Schengen militareguidata dalla Germania“.

6 febbraio 2024: “La Polonia teme una guerra con la Russia per giustificare la sua subordinazione alla Germania.

Le analisi sopra elencate descrivono in dettaglio le dinamiche strategico-militari per i lettori interessati a saperne di più, ma agli osservatori occasionali basta sapere che questi processi sono guidati innanzitutto dalla percezione della Russia come nemico. Gli Stati Uniti hanno sfruttato questa percezione per riaffermare la loro egemonia sull’Europa, dopo di che hanno designato la Germania come suoLead From Behindpartner” per contenere la Russia per suo conto attraverso lo “Schengen militare” e la “Linea di difesa del Baltico”.

Ciò finirà per liberare le forze americane per il loro ridispiegamento nell’Asia-Pacifico, prima che la dimensione sino-statunitense della nuova guerra fredda si riscaldi maggiormente nel corso del decennio. Come per l’Europa, lo stesso processo che gli Stati Uniti hanno appena perfezionato con la Russia e l’UE sarà emulato con la Cina e i suoi vicini in Asia, con il risultato finale che l’Sinosino-russa intesa sarà falsamente inquadrata come una minaccia esistenziale. Lo scopo è quello di riunire i vassalli eurasiatici dell’America attorno alla sua leadership per contenere questi due paesi.

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Agricoltura europea, di Marc Dufumier

Agricoltura europea

La promessa dell’agroecologia

Il titolo è di per sé fuorviante. Dice di “agricoltura europea”, parla in realtà di agricoltura di quella vasta pianura che si estende dalla Francia sino alla Olanda, alla Germania e alle propaggini tardive della Polonia. Anche se snaturata dalle previste politiche compensative e riequilibrative dei territori dei programmi iniziali, le politiche agricole comunitarie ridussero l’originario piano Mansholt degli anni ’60 alla politica de “l’osso e della polpa” che prevedeva la costituzione di grandi aziende agricole nelle grandi pianure a scapito dell’agricoltura collinare, da abbandonare nei fatti. Una tragedia per le economie collinari soprattutto del centro-sud d’Italia, non solo di quelle terre più difficili da coltivare, ma curate per millenni, in particolare della Murgia barese e della Sicilia, diventate in buona parte aride per abbandono, piuttosto che per siccità, ma anche di quelle fertili collinari, ad esempio, della Basilicata di fatto espropriate ai piccoli proprietari spinti alla fuga a Nord. Fu l’ennesimo atto di resa senza combattere delle classi dirigenti italiane, pronte a liberarsi con l’emigrazione di enormi masse in cambio di un effettivo “miracolo economico”, però profondamente squilibrato e subordinato a logiche esogene. Un atto di resa che trasformò in breve tempo il problema delle eccedenze agricole europee delle produzioni di grano, foraggi, latte e carni in un enorme deficit commerciale italiano di tali prodotti. Non si può ridurre ad una chiosa un argomento che richiederebbe parecchie pagine ed una ricostruzione rigorosa in un paese sino a poco tempo fa tanto preso da uno stucchevole lirismo europeista, quanto privo di un sistematico lavoro di ricerca serio e documentato. Sta di fatto che il proverbiale spirito italico di adattamento è riuscito a trasformare nel tempo e a costi umani drammatici il declivio verso un disastro catastrofico in un parziale recupero di vitalità legato a produzioni agricole di nicchia, al netto comunque della “inefficienza” di gran parte delle organizzazioni consortili del Centro-Sud, di un sistema di distribuzione all’ingrosso in mano in buona parte a taglieggiatori, di una industria di trasformazione industriale del prodotto ormai sempre più inopinatamente in mano straniera. In tempi di intemperie geopolitiche sempre più violente ed imprevedibili, le classi dirigenti italiane si concedono ancora il lusso di ignorare del tutto o porre in termini parodistici il tema della sovranità alimentare, partendo dalla dipendenza estera del grano, dei foraggi e di numerosi prodotti di base della catena alimentare, al centro invece delle attenzioni di importanti settori istituzionali e di ampi settori delle categorie ed associazioni agricole di altri paesi. Diventa quasi scoraggiante porre questi temi temi, così cruciali per l’esistenza di una nazione sovrana; così come quelli legati alla strumentalizzazione dilettantesca dei temi ambientali e di conversione ecologica che hanno già creato immani disastri già in alcune produzioni, come quello della soia, e beffardamente anche in alcune nicchie ambientali, come quello del ciclo vitale delle api. Non posso evitare, però, di porre un quesito, probabilmente retorico: come mai le vivaci proteste degli agricoltori francesi, olandesi, tedeschi e polacchi, e quant’altro, godono del sostegno quanto meno dichiarato, se non fattivo, delle associazioni di categoria a fronte del carattere spontaneo ed essenzialmente imitativo delle proteste in Italia? Ritengo sia un interrogativo cruciale in grado di spiegare il carattere di sterile tumulto, comunque serpeggiante in Europa, ma particolarmente radicato qui in Italia e più volte evidenziato in precedenti analoghe circostanze. Di spiegare, anche, il probabile consueto epilogo di tali dinamiche e del ruolo collaterale ormai sempre più assolto dalle associazioni di categoria nazionali. Temi in qualche modo sfiorati, nell’articolo, sia pure con punti di vista spesso discutibili. Giuseppe Germinario

4 febbraio 2024: L’abbassamento delle frontiere ha gettato l’agricoltura del Vecchio Continente in una crisi insanabile, compromettendo la sovranità alimentare degli europei e la qualità dei loro alimenti. L’agronomo Marc Dufumier denuncia il vicolo cieco di questa politica e propone un’alternativa ispirata al suo lavoro di ricercatore e professionista…

Gli agricoltori francesi hanno buone ragioni per essere scontenti. Nonostante una legge Egalim che dovrebbe garantire loro prezzi di vendita relativamente stabili e remunerativi, la maggior parte di loro non è in grado di generare un reddito sufficiente a coprire i bisogni delle loro famiglie e a ripagare i prestiti che hanno contratto per attrezzare pesantemente le loro aziende agricole.

Il sostegno della Politica Agricola Comune, che è condizionato al rispetto di standard ambientali e sanitari spesso pignoli, spesso non riesce a fornire loro un reddito decente. E questo spiega senza dubbio perché gli agricoltori hanno un rischio di suicidio del 43% superiore a quello delle persone assicurate con tutti i regimi di sicurezza sociale(nota).

Per aggirare la famosa legge Egalim, i supermercati e le imprese agroalimentari non esitano a contrapporre i nostri agricoltori alle importazioni di un gran numero di prodotti alimentari (frutta, verdura, pollo, carne bovina, ecc.) prodotti all’estero a prezzi più bassi.

Da qui il fatto che gli agricoltori denunciano alcuni accordi di “libero scambio” e chiedono una maggiore protezione del nostro mercato interno. Ma dobbiamo riconoscere che anche molti dei prodotti standard per i quali esportiamo eccedenze stanno diventando sempre meno redditizi di fronte alla concorrenza internazionale.

Come può il nostro grano, con una resa media di 72 quintali per ettaro e spesso con costi considerevoli in fattori produttivi, competere con il grano prodotto su vasta scala in enormi fattorie in Ucraina o in Romania? Come possono i polli economici nutriti con mais e soia brasiliani competere con quelli allevati in Brasile? Come può il latte in polvere prodotto nel Finistère per essere esportato in Cina competere con quello prodotto dalle grandi mandrie lattiere della Nuova Zelanda, dove le mucche possono pascolare quasi tutto l’anno?

Le prove sono schiaccianti: i nostri agricoltori sono stati ingannati. È stato un gravissimo errore incoraggiarli, nella Francia dei mille e uno terroir, ad attuare forme di agricoltura industriale, con sussidi concessi in proporzione alla terra disponibile e non in base al lavoro richiesto.

Per soddisfare le richieste delle grandi aziende agroalimentari e rimanere competitivi nell’incessante corsa alla riduzione dei costi e all’aumento della produttività, i nostri agricoltori sono stati spesso costretti a specializzarsi e a meccanizzare ulteriormente i loro sistemi di produzione, al fine di fornire una gamma limitata di prodotti standard su vasta scala.

Di conseguenza, gli agro-ecosistemi sono diventati eccessivamente omogenei e fragili, causando danni molto gravi al nostro ambiente: invasioni intempestive di specie concorrenti o predatrici, epidemie causate da nuovi agenti patogeni, inquinamento chimico causato dall’uso indiscriminato di pesticidi e fertilizzanti azotati di sintesi, erosione della biodiversità domestica e selvatica, eccesso di mortalità degli insetti impollinatori, riduzione della qualità degli alimenti, aumento della dipendenza dai combustibili fossili, aumento delle emissioni di gas a effetto serra (anidride carbonica, metano e protossido di azoto)(nota), diminuzione della fertilità del suolo, crollo delle falde acquifere, ecc.

E stiamo già pagando un prezzo elevato per questi attacchi al nostro ambiente: antibiotici nella carne, residui di pesticidi nella frutta e nella verdura, intossicazioni alimentari e respiratorie, aumento della prevalenza di alcuni tipi di cancro, alghe verdi sulla costa bretone, costi finanziari delle misure di disinquinamento, ecc.

Sappiamo anche che con il riscaldamento globale, gli eventi meteorologici estremi (ondate di calore, siccità, inondazioni, grandinate, ecc.) diventeranno più intensi e più frequenti. Ma purtroppo non è stato ancora fatto nulla per aiutare davvero gli agricoltori a farvi fronte. Al contrario, l’esagerata specializzazione dei loro sistemi produttivi ha l’effetto di rendere i nostri agricoltori sempre più vulnerabili a questi eventi, in quanto i loro redditi possono periodicamente diminuire in modo considerevole.

La promessa dell’agroecologia

Fortunatamente, esistono sistemi di produzione agricola basati sull’agroecologia che consentirebbero ai nostri agricoltori di assicurarsi un reddito resistente senza dover ricorrere a pesticidi e fertilizzanti azotati di sintesi.

Il primo passo sarebbe ovviamente quello di utilizzare un maggior numero di varietà vegetali e razze animali tolleranti ai parassiti e agli agenti patogeni locali. Ma se vogliamo davvero adattare la nostra agricoltura alle attuali perturbazioni climatiche, dobbiamo anche diversificare le attività nelle nostre aziende.

A differenza della monocoltura o dell’allevamento in batteria, i sistemi di produzione agricola che riescono a combinare vari tipi di bestiame con rotazioni diversificate e rotazione delle colture sono quelli che garantiscono una maggiore resilienza del reddito, non “puntando tutto su un solo paniere”.

La moltiplicazione delle colture con piante seminate e raccolte in periodi diversi dell’anno ha il vantaggio di garantire che non vengano colpite tutte allo stesso modo in caso di eventi climatici estremi (ondate di calore, siccità, ma anche grandine, gelate, alluvioni, ecc.)

Con una tale diversificazione, gli organismi più suscettibili di danneggiare le colture o il bestiame non prolifererebbero più improvvisamente a macchia d’olio, a causa delle barriere imposte da potenziali concorrenti o predatori.

Per esempio, potremmo non dover usare insetticidi per eliminare gli afidi se le mosche sifilidi e le coccinelle ne limitassero la proliferazione. Lo stesso si potrebbe dire per le lumache, se i campi riuscissero ancora a ospitare coleotteri e ricci. Quanto alle larve di tignola (vermi delle mele), sarebbero facilmente neutralizzate se le siepi ospitassero cince azzurre e pipistrelli che predano le tarme.

La buona notizia è che questi stessi sistemi di produzione diversificati possono anche contribuire a mitigare il cambiamento climatico, con minori emissioni di gas serra (anidride carbonica, metano, protossido di azoto) e un maggiore sequestro di carbonio nella biomassa e nell’humus dei terreni. L’esatto contrario dei principi dell’agricoltura industriale, che incoraggiano i nostri agricoltori a fare un uso sempre maggiore di macchinari a motore, pesticidi e combustibili fossili. Ma è vero che questo avviene al prezzo di un lavoro più attento e molto più importante.

Questo tipo di agricoltura può quindi essere ad alta intensità di lavoro. Ma gli agricoltori che la praticano devono comunque essere adeguatamente remunerati dalle autorità pubbliche per i loro servizi ambientali di interesse generale. Soprattutto, i costi aggiuntivi del lavoro non dovrebbero essere sostenuti interamente dai consumatori. Solo le fasce più ricche della società sarebbero in grado di permettersi alimenti di alta qualità nutrizionale e sanitaria.

Perché le persone con un reddito modesto non dovrebbero avere il diritto di accedervi, visto che i prodotti in questione verrebbero venduti a un prezzo più alto? Il pagamento dei servizi ambientali di interesse generale dovrebbe logicamente essere effettuato dai contribuenti. E gli agricoltori, adeguatamente remunerati in questo modo, sarebbero in grado di modificare i loro sistemi di produzione per fornire maggiori volumi di prodotti buoni. Questa maggiore offerta diventerebbe quindi accessibile al maggior numero possibile di persone.

È quindi urgente cambiare radicalmente la nostra politica agricola comune: non concedere più sussidi in proporzione alla superficie coltivata, ma pagare il lavoro supplementare richiesto da queste forme di agricoltura su piccola scala basate sull’agroecologia, molto rispettose della nostra salute e del nostro ambiente. Ma cosa stiamo aspettando?

Marc Dufumier
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Germania über alles, un mito che vacilla_Con il professor Marco Pugliese

Le vicende degli ultimi tre anni hanno scosso in profondità una narrazione che, a dispetto di tante evidenze, ha circondato la condizione della Germania di una aura di grande potenza in larga parte immeritata. Sia i detrattori che gli apologeti si sono nutriti di questo mito. L’acceso conflitto politico negli Stati Uniti, imperniato sulla insostenibilità degli enormi squilibri interni creati dalle modalità del processo di globalizzazione, l’andamento del conflitto ucraino, la demenzialità delle politiche energetiche ed ambientali, l’adesione acritica alle politiche sanzionatorie hanno messo in crisi le dinamiche dalle quali le classi dirigenti alemanne sono riuscite a trarre profitto in qualità di intermediari e sulle quali hanno basato il proprio modello di formazione sociale. Le proteste degli agricoltori tedeschi sono solo l’inizio di quello che potrà succedere nell’immediato futuro in Germania e di conseguenza nel resto d’Europa. Un ceto politico ed una classe dirigente particolarmente meschina sembra sempre più orientata ad accettare ed alimentare questa condizione cercando disperatamente di raccogliere le briciole che rimarranno disponibili dai nuovi assetti geopolitici che si stanno delineando sommando a dipendenza ulteriori dipendenze sempre più passive. Un contesto che farà dell’intera Europa un terreno di conquista e di conflitto di interessi altrui. Come vedremo nelle prossime puntate esistono ancora, anche per il nostro paese, margini oggettivi per una svolta. Tutto dipenderà da un rivolgimento del proprio ceto politico e della propria classe dirigente, al momento sempre meno probabile. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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L’UNIONE EUROPEA, COORDINATA DALLA NATO, E’ LO STRUMENTO DEGLI USA NEL CONFLITTO STRATEGICO DELLA FASE MULTICENTRICA _di Luigi Longo

 

L’UNIONE EUROPEA, COORDINATA DALLA NATO, E’ LO STRUMENTO DEGLI USA NEL CONFLITTO STRATEGICO DELLA FASE MULTICENTRICA

di Luigi Longo

[…] l’Europa è diventata una Eurolandia priva di sovranità economica e soprattutto geopolitica e militare. Al suo interno è insediato un corpo di occupazione straniero, denominato NATO, inviato da tempo come mercenariato soldatesco in Asia Centrale, pronto a minacciare ed a rischiare una guerra mondiale in Georgia ed in Ucraina. Se questo è anche in parte vero, allora che senso ha elencare la tiritera del nostro grande profilo europeo, dalla filosofia greca al diritto romano, dalle cattedrali romaniche e gotiche dell’umanesimo rinascimentale, dalla rivoluzione scientifica all’illuminismo, dall’eredità classica greco-romana al cristianesimo, eccetera?

Pura ipocrisia.

Costanzo Preve*

  1. Avanzerò alcune riflessioni sull’Europa, non a partire dalla storia dell’Europa delle

Nazioni, che si formarono dopo la dissoluzione dell’impero di Carlo Magno (1), ma a partire dalla guerra Russia-Ucraina (cioè l’aggressione Usa alla Russia via Nato-Europa), che di fatto sancisce la fine del progetto dell’Unione Europea (avanzato e realizzato dopo la seconda guerra mondiale, anche se pensato intorno agli anni trenta del secolo scorso dagli Stati Uniti d’America) sostituito dal nuovo ruolo della NATO che meglio si addice alle nuove strategie statunitensi nella fase multicentrica [conflitto tra potenza egemone in declino (USA) e potenze consolidate (Russia, Cina) e in ascesa (India)] (2). Una << […] Europa occidentale (anche l’Europa orientale, mia precisazione LL) sottomessa ad una occupazione militare USA accettata dagli attuali governi fantocci, che appunto per questa ragione considero del tutto illegittimi, non importa se sanzionati o meno da elezioni manipolate >> (3).

 

  1. Raniero La Valle coglie il senso della metamorfosi, avviata già da anni (4), della NATO quando sostiene: << Da Washington a Vilnius infatti tutto torna, tutto vale per l’America e per la sua “impareggiabile” Corte: gli stessi nemici, la Russia, la Cina, l’Iran, la Corea del Nord, il “terrorismo”, la stessa vittima che unifica tutti intorno all’altare del sacrificio, l’Ucraina, la stessa determinazione all’uso anche per primi dell’arma nucleare perché la deterrenza non basta più, la stessa idea che il vecchio concetto di difesa è superato, perché oggi con le armi della guerra non si decidono solo le guerre, ma le alternative di ogni tipo, la gestione delle crisi, le politiche industriali, l’economia, il clima, i temi della “sicurezza umana”, perfino la questione dell’uguaglianza di genere e la partecipazione delle donne: tutto ha a che fare con la NATO, il nuovo sovrano, perché il suo approccio è “a 360 gradi” e i suoi tre compiti fondamentali, “deterrenza e difesa, prevenzione e gestione delle crisi e sicurezza cooperativa”, devono essere adempiuti con assoluta discrezionalità: “risponderemo a qualsiasi minaccia alla nostra sicurezza come e quando lo riterremo opportuno, nell’area di nostra scelta, utilizzando strumenti militari e non militari in modo proporzionato, coerente e integrato”; e, come pare, a decidere nell’emergenza (ma questo non è stato scritto) può essere anche il generale comandante della NATO senza interpellare “la struttura”; insomma c’è il nucleare libero all’esercizio. […] L’Ucraina è stata totalmente integrata nella NATO, ma bisogna far finta che non lo sia, per non costringere la Russia a usare l’arma nucleare; Putin accusa il colpo, deve stare al gioco, e si dice “pronto a trattare separatamente le garanzie di sicurezza dell’Ucraina, ma non nel contesto della sua adesione alla NATO”. E a Vilnius si assicura che questo non avverrà, che l’Ucraina entrerà nella NATO solo a guerra finita, ed è la ragione per cui essa, come Biden ha voluto fin dal principio, non deve avere fine; e Zelensky dopo la prima arrabbiatura che gli è valsa l’accusa di “ingratitudine” da parte del ministro della difesa inglese, è passato all’incasso ed ha lietamente manifestato il suo entusiasmo. […] (così il) colonnello dello stato maggiore ucraino e analista militare Oleg Zhdanov: “negli ultimi 16 mesi noi ci siamo integrati nella macchina militare atlantica come mai avremmo neppure sognato prima del 24 febbraio 2022; pur non appartenendo ufficialmente alla NATO ormai il 90 per cento delle nostre procedure militari segue i parametri NATO. ma c’è di più, ormai la metà dei nostri armamenti sono NATO, i circa 40.000 uomini pronti a sfondare le linee russe sono vestiti, armati, trasportati, addestrati dalla NATO; perfino le loro armi personali sono state fornite dagli alleati”, e via enumerando: “i carri armati tedeschi Leopard 2, i gipponi Humvee americani o i corazzati Bradley e Strykes, decine di tipi diversi di blindati trasporto truppe, i cannoni francesi a lunga gittata Caesar o quelli USA M777, i lanciarazzi americani Himars, gli obici semoventi Krab polacchi”, tutto corredato da assistenza, pezzi di ricambio, personale specializzato, con una catena di interscambio e cooperazione nel lungo periodo, anche se “è difficile dire quando l’Ucraina entrerà nella NATO, forse mai” >> (5).

 

  1. La NATO è fondamentale per le strategie mondiali degli Stati Uniti d’America. La sua trasformazione, da strumento di difesa dal cosiddetto comunismo sovietico a quello di aggressione e di penetrazione nelle aree di influenza della Russia e della Cina per impedire il consolidarsi del polo asiatico (ormai in fase di decollo con le sue strutture di funzionamento e di coordinamento come, per esempio, i Brics) in grado di mettere in discussione l’egemonia mondiale statunitense con il suo modello di legame sociale della produzione e riproduzione della vita. Gli USA non accettano un mondo multicentrico, la loro storia di nazione è emblematica e dovrebbe essere di insegnamento; riporto, a tal proposito, quanto già sottolineato in altri scritti: è difficile che gli Stati Uniti rinuncino al dominio mondiale assoluto, ammantato di democrazia, diritti e menzogne varie, considerata la loro storia che dal 4 luglio 1776 (anno della dichiarazione di indipendenza) li ha visti in pace solo 18 anni su 246 anni nei quali si sono gradualmente evoluti: da neo-nazione in lotta per l’indipendenza dalla Gran Bretagna (1775–1783), passando attraverso la monumentale Guerra civile americana (1861–1865) fino a trasformarsi, dopo aver collaborato al trionfo durante la Seconda Guerra Mondiale (1941-1945), nella più grande potenza al mondo dalla fine del XX secolo ad oggi, anche se, per nostra fortuna, in chiaro declino relativo. Alain Badiou non molto tempo fa sosteneva che:<< La potenza imperiale americana nella rappresentazione formale che fa di se stessa, ha la guerra come forma privilegiata, se non addirittura unica, di attestazione della sua esistenza. >> (6). La loro passione è comandare, usurpare, sottomettere ogni popolo; la loro missione è il dominio assoluto. Gli USA hanno un peso specifico maggiore che è quello del mandato divino che li porta a dominare il mondo in maniera assoluta (monocentrismo), al contrario delle altre potenze che sono per un dominio condiviso del mondo (multicentrismo). Il fattore determinante di questo sciagurato scenario sono le relazioni di potere e di dominio, le più stupide che l’essere umano sessuato si sia mai date. Altro è l’autorità! (ma questo è un altro discorso da approfondire).

Siamo, in questa fase multicentrica, in piena guerra “in senso largo” (7). Per esempio, si veda il ruolo della Norvegia/Finlandia/Svezia/Danimarca, Paesi del Nord Europa facenti parte sia della UE (ad eccezione della Norvegia) sia della NATO (ad eccezione della Svezia), che hanno firmato accordi bilaterali, in materia di difesa, con gli Stati Uniti d’America in caso di conflitto con la Russia (8).

Alberto Bradanini (ex ambasciatore a Pechino dal 2013 al 2015) così chiarisce << […] poiché qualsiasi conflitto anche lontano genera insidiose turbolenze, la dirigenza cinese condivide nella sostanza il giudizio di Mosca: che la genesi del conflitto vada attribuita alla strategia americana di destrutturare la Russia con una guerra per procura (combattuta dagli ucraini con armi e finanziamenti Nato-Usa), provocarne un cambiamento di regime e se possibile causarne persino la frantumazione, rendendola facile preda degli avvoltoi di Wall Street […] Nel giudizio di Pechino […] gli Usa mirano poi a impedire la saldatura Russia-Cina e a provocare un’analoga guerra per procura anticinese, questa volta combattuta fino all’ultimo taiwanese”. A suo avviso, gli Usa non accettano l’emergere di un mondo multipolare che fiorisce intorno all’alleanza russo-cinese, cui si aggiungerebbero “l’India e altre nazioni cosiddette emergenti che, infatti, non intendono seguire Washington nella politica sanzionatoria contro Mosca […] L’espansionismo Nato/Washington verso Est ha dunque l’obiettivo strategico di impedire quel percorso di pacificazione/integrazione euroasiatica che era emerso quale promessa di pace e sviluppo alla caduta dell’Unione Sovietica”. Una svolta che aveva determinato una nuova convergenza tra Cina e Russia, non più accomunate dall’ideologia anticapitalista come ai tempi di Mao e Stalin, ma da comuni interessi economici e strategici, e dalla medesima necessità di contenere l’espansionismo americano [corsivo mio, LL] >> (9). In sintesi, per dirla con l’economista marxiano Richard D. Wolff, che racchiude bene quanto sopra riportato, si può dire che:<< […] l’impero americano, inteso come primato capitalistico e geopolitico, è finito. Ma l’America non vuole accertarlo […] La Cina ha invece creato un ecosistema produttivo mastodontico da cui il mondo non può prescindere e pertanto codetermina ormai le sorti del capitalismo. In modo consensuale prima e conflittuale ora, ma mai subordinato […] il capitalismo si è “sinizzato” (così come in Russia si è russizzato, mia specificazione, LL) in modi che l’America non riteneva possibile, stante il perdurare della crasi tra economia di mercato e Partito comunista >> (10). Le difficoltà statunitensi, che evidenziano sia il declino sia l’incapacità strategica di raggiungere gli obiettivi nel tempo e nello spazio, sono evidenti nei due conflitti aperti in Ucraina (via Nato-Europa) prevalentemente contro la Russia e in Palestina (via Nato-Europa-Israele) prevalentemente contro la Cina. La debolezza USA si evince anche nel gioco di rimessa (perché non hanno un’idea sul nuovo mondo che si sta configurando, impegnati come sono nella quarta rivoluzione industriale, quella del transumanesimo, cioè la fine della dimensione umana dell’umanità, una rivoluzione nichilista del genere umano sessuato) tentando di contrastare i progetti di respiro mondiale della Cina (le vie della seta) e della Russia (il corridoio Nord-Sud russo-indiano International North-South Transport Corridor, INSTC) avanzando il suo progetto IMEC (India-Middle East-Europe Economic Corridor): 1) guidando l’egemonia israeliana nel Nuovo Medio Oriente, come potenza regionale, con il suo progetto del canale di Gurion, concorrente del canale di Suez, con tutte le conseguenze nefaste sulla eliminazione della popolazione palestinese di Gaza per permettere lo sbocco nel Mediterraneo, 2) ridimensionando l’Egitto, 3) assestando un duro colpo alla direttrice di trasporto energetico e commerciale Bassora-Europa incentrata sulla Turchia. Dietro le infrastrutture e il controllo delle risorse energetiche si gioca una partita fondamentale nello scontro tra le potenze mondiali (USA, Cina, Russia e indirettamente la potenza in ascesa l’India) con le loro sub-potenze regionali (Israele, Iran, Turchia) (11).

 

  1. La Russia e la Cina, che sono i due centri (per ora) del costituendo polo asiatico, vogliono costruire un mondo multicentrico e sono in grado di mettere in discussione l’egemonia mondiale statunitense la quale è per un mondo monocentrico. Un polo asiatico che già nel 1956 lo storico Arnold Toynbee così configurava << Se, dopo aver così perduto l’amicizia del sottocontinente cinese, il nostro mondo occidentale dovesse perdere anche l’amicizia del sottocontinente indiano, l’Occidente avrebbe perduto a favore della Russia la maggior parte del Continente Antico tranne un paio di teste di ponte in Europa occidentale e in Africa; e questo potrebbe essere un evento decisivo nella lotta per il potere fra “mondo libero” e comunismo >> (una riflessione attuale nella sostanza se precisiamo i concetti di mondo libero e di comunismo e li rapportiamo allo storicamente dato) (12).

Costanzo Preve ha ragione quando sostiene che << […] Si tratta di una decisione (la decisione di resistere all’americanismo, mia precisazione LL) nutrita dalla consapevolezza della principale caratteristica dell’americanismo stesso, cioè della sua arroganza. […] Non si tratta solo della pura forza militare di tipo “imperiale” (Alessandro il Grande, Giulio Cesare, Gengis Khan, Napoleone). Si tratta di qualcosa di più profondo e di immensamente più abbietto, l’arroganza di essere il portatore di una civiltà superiore garantita addirittura da un mandato divino che legittima con la sua elezione inverificabile questa pretesa di superiorità. Oggi il solo portatore al mondo di questa intollerabile arroganza sono gli Stati Uniti d’America. Lo sono forse […] stati in passato l’Europa, la Russia, i mongoli, gli arabi, la Cina eccetera, ma è sicuro che nelle attuali condizioni geopolitiche non lo sono più. Questo è il dato da cui partire. >>. Un mandato divino di un Dio un po’ strano << […] il Dio di George Bush e del messianesimo ideocratico americano dei neo-conservatori (neocons) […] il Dio esclusivo e legato di fatto ad un singolo popolo eletto (un tempo gli ebrei, oggi gli americani del Destino Manifesto e della Casa sulla Collina, il popolo che lo svergognato bestemmiatore Bill Clinton ha spudoratamente definito nel suo discorso d’insediamento alla Casa Bianca “l’unico popolo indispensabile nel mondo”), il Dio in nome del quale si gettano le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki e si invade l’Irak nel 2003, il Dio in nome del quale si moltiplicano le basi militari in tutti i paesi del mondo, pianificando ossessivamente la prossima guerra con la convivenza di un’Europa asservita e terrorizzata […] >> (13).

 

  1. E’ così forte la totale servitù volontaria delle Nazioni europee (e della sua sovrastruttura rappresentata dall’Unione europea) verso le strategie statunitensi che sulle guerre Russia-Ucraina e Israele-Palestina si è verificata una omogeneità così compatta nel velare la realtà. Bisogna risalire alla storia di Catilina di cui ci è giunta una sola verità: rare volte una tradizione così abbondante è stata così compatta nell’offuscare la realtà (14). L’aggredita Ucraina si trasforma in vittima dopo aver represso le regioni delle repubbliche popolari separatiste del Donetsk e Lugansk, una repressione iniziata nel 2014 contro le regioni di lingua russa (Odessa, Dnepropetrovsk, Kharkov, Luhansk e Donetsk) che condusse ad una militarizzazione del contesto e ad alcuni massacri (a Odessa e Mariupol, i più importanti) e dopo essere stata lo strumento USA, tramite l’entrata di fatto nella NATO, della guerra alla Russia; così come l’aggredito Israele da parte di Hamas si trasforma in vittima dopo che dal 1948 (proclamazione della nascita dello Stato di Israele) ha occupato la Palestina cacciando con violenza e metodi inenarrabili i palestinesi (originariamente costituiti da arabi musulmani, arabi cristiani, ebrei e minoranze turche ed armene) (15). La menzogna sistematica che si fa verità dei dominanti! (16). E’ efficace l’osservazione di Luciano Canfora, a proposito del modello europeo pieno di democrazia, di libertà e diritti universali dei popoli con riferimento alla cosiddetta invasione russa all’Ucraina (e al piano di attacco di Hamas ad Israele), che ricorda la ferocia delle potenze europee nel perseguire il dominio del mondo: << Certo, se si pensa con quale determinazione gli europei perseguirono il dominio nel mondo, è piuttosto buffo che ora si mostrino come modello di virtù e facciano la predica agli altri. Una certa retorica europeista rassomiglia alla preghiera contrita di chi ne ha fatte di tutti i colori e improvvisamente diventa pio e virtuoso >> (17).

Si passa, cioè, da una fase storica monocentrica, a coordinamento occidentale USA fino al 1990-1991(implosione dell’ex URSS) e a coordinamento mondiale fino al 2011(ascesa delle potenze Russia e Cina), nella quale l’Europa ha avuto un ruolo da protagonista subordinato e incastrato nel sistema statunitense (americanizzazione del territorio europeo) e nelle sue strategie di dominio mondiale; ad una fase multicentrica dove l’Europa, governata e gestita dalla nuova NATO, diviene una espressione geografica di metternichiana memoria, nonchè campo di battaglia dello scontro tra potenze mondiali.

 

  1. L’Unione europea non esiste! Ciò che appare sono istituzioni (luoghi istituzionali) gestite da sub-decisori delle diverse nazioni che utilizzano le risorse delle diverse sfere sociali e realizzano le strategie di sviluppo (in alleanza o in conflitto tra loro) inserite in quelle statunitensi. Un esempio sono le sanzioni contro la Russia che hanno avuto un effetto negativo sull’Europa (l’aumento dei prezzi delle materie prime energetiche soprattutto per le imprese energivore e gasivore, la riduzione delle relazioni economiche, la recessione e l’accentuata perdita di potere d’acquisto, la sicurezza nelle nuove infrastrutture energetiche, eccetera); hanno portato vantaggi agli USA (il contenimento del calo della domanda di dollari per il commercio internazionale, la vendita del gas a prezzi multipli di quelli russi, l’attrazione delle imprese europee, eccetera); hanno stimolato l’economia russa aggirando le sanzioni: costruendo nuove relazioni in Asia (Cina, India, Iran), promuovendo lo sviluppo autosufficiente (nei settori alimentare, manifatturiero, beni di consumo, eccetera). Un altro esempio è il disastro dell’economia europea << […] il 2024 sarà un disastro per l’economia reale europea. Gli indicatori economici previsionali manifatturieri, i PMI, sono praticamente tutti negativi per i paesi Europei […] Quindi le premesse congiunturali sono pessime, ma c’è di peggio: le nuove norme europee di bilancio, quelle su cui è stato raggiunto un accordo, prevedono vincoli fortissimi allo spiegamento di politiche espansive fiscali. Il fatto che il deficit non possa superare l’uno per cento del PIL per quasi tutti i paesi europei viene a rendere impossibile qualsiasi politica di carattere anticiclico, anzi verrà a imporre tagli e aumenti delle tasse che saranno pro-ciclici. Quindi la crisi congiunturale non solo non sarà contrastata dalle politiche economiche della UE, ma perfino sarà accentuata. La crisi del 2011-2014 non ha insegnato proprio nulla […] >> (18).

L’Europa come soggetto politico unitario non è mai esistita. Sottolineo, con Luciano Canfora, che << l’Europa occidentale si divide molto presto e resta divisa: l’idea che sia un continente unitario è un’invenzione. Nel corso dei secoli la vediamo dilaniata, attraversata da conflitti di potenza, alle prese con una autorità spirituale, quella del pontefice romano, che era anche temporale e interloquiva con i governi dei singoli Stati. Ciò ha favorito una dialettica più vivace, ma anche una frantumazione strutturale, foriera di problemi >> (19).

Le potenze europee si sono sempre scontrate per l’egemonia del continente Europa: si pensi, a mò di esempio, al tentativo fallito di Napoleone Bonaparte che con rammarico affermava che << Non avevo finita la mia opera. L’Europa sarebbe diventata di fatto un popolo solo; viaggiando ognuno si sarebbe sentito nella patria comune…Tale unione dovrà venire un giorno o l’altro per forza di eventi…Abbiamo bisogno di una legge europea, di una Corte di cassazione europea, di un sistema monetario unico, di pesi e misure uguali, abbiamo bisogno delle stesse leggi per tutta l’Europa. Avrei voluto dare di tutti i popoli europei un unico popolo…Ecco l’unica soluzione >> (20). Non si può scambiare l’Europa delle diverse nazioni in concorrenza-conflitto tra loro (che pure hanno avuto un ruolo di scambio sulla religione, sull’arte, sulla cultura, sulla natura, sulla scienza, eccetera, così come è oggi) con un soggetto politico coordinato! Si pensi, a mò di esempio, al Rinascimento italiano ed europeo che, per dirla con Fernand Braudel, << […] è quella lenta trasformazione, che non finisce di compiersi, attraverso la quale la civiltà occidentale passa dalle forme tradizionali del Medioevo alle forme nuove, già attuali, della prima modernità, ancora vitali in questa stessa civiltà occidentale in cui viviamo oggi, che appena uscita dalle sue antiche contraddizioni, ne fabbrica allegramente delle altre. >> (21).

L’ipocrisia dell’Europa come soggetto politico e unitario. Non è da condividere la riflessione dello storico Paul Kennedy quando afferma che «Beh, l’Europa di certo non sparisce. Avrà anche in futuro un ruolo politico centrale. Se nel 2030 avremo un’Unione Europea che comprenderà anche l’Ucraina, assisteremo a una trasformazione storica delle dinamiche politiche internazionali. Anche tutta l’area del Caucaso sarà attratta verso la Ue. Con un conseguente maggiore isolamento della Russia» (22). Per avere un ruolo politico centrale l’Europa dovrebbe essere autonoma, indipendente, sovrana, in grado di pensare e di realizzare una strategia progettuale per un modello di sviluppo e di relazioni sociali in una società europea dei popoli, con un ruolo centrale nello scambio culturale, politico, economico e sociale tra Occidente ed Oriente nel rispetto delle diverse storie territoriali. Ma l’Europa è serva delle strategie di potenza degli USA per il dominio monocentrico mondiale. Quindi occorre ripensarla con lo sguardo ad Oriente dove sono presenti potenze consolidate, come la Cina e la Russia, e potenze in ascesa, come l’India, che sono per un mondo multicentrico (23) e possono essere portatrici di un modello di sviluppo sociale diverso, sia pure in una logica sistemica capitalistica (i diversi capitalismi), capaci ancora di stare negli equilibri naturali e umani per le loro storie, culture, tradizioni, religioni, eccetera, al contrario dell’Occidente, a guida USA che è proiettato nel transumano (andare oltre l’umano) che significa la fine dell’umanità così come la conosciamo noi:<< Trasumanar significar per verba non si porìa […] il passare ad una condizione, o modo di essere, superiore a quella normalmente propria dell’uomo che non si può esprimere […] per mezzo di parole >> (24).

Il modo di produzione e riproduzione della vita statunitense, espressione di un modello di sviluppo egemonico, ma in fase di declino per l’avanzare del multicentrismo con altri modelli di sviluppo che propongono le altre potenze mondiali (si pensi al modello cinese delle vie della seta), ha penetrato e plasmato quello europeo. L’Europa è diventata uno strumento importante (una sorta di testa di ariete) per le proiezioni strategiche contro l’Oriente e le sue potenze. Di fatto l’Europa non c’è più, quella che appare è espressione di servitù volontaria dei sub-decisori che non vogliono perdere il loro potere derivato dalla fase gestionale e da quella esecutiva delle strategie dei pre-dominanti statunitensi nei rispettivi territori nazionali. I sub-decisori decidono le linee strategiche dello sviluppo dei rispettivi territori nazionali inglobate in quella egemonica degli Stati Uniti d’America. L’americanizzazione del territorio europeo (di cui conosciamo poco) è emblematica dei processi di penetrazione del modello di sviluppo egemonico degli USA. Tale modello incide profondamente e incorpora lo sviluppo delle nazioni europee nelle strategie di egemonia mondiale statunitense. Si pensi alle trasformazioni delle città e dei territori/NATO e all’approntamento delle infrastrutture territoriali (Tav, corridoi di mobilità, basi, logistica, porti, eccetera). Nella fase multicentrica l’Unione europea non serve come collante e aggregato per le strategie statunitensi così come è stato nella fase monocentrica del mondo Occidentale (e bipolare a livello mondiale), perché è stata sostituita dal progetto NATO. Non è un caso che l’Europa, come innanzi detto, non è stata mai autonoma e sempre subordinata agli Stati Uniti d’America a partire dalla seconda guerra mondiale.

  1. Riporto una buona sintesi di quanto sopra detto sull’Europa non sovrana, di Giorgio Agamben << […] Unione Europea concepita solo su ragioni economiche che ignorano non solo quelle spirituali e culturali, ma anche quelle politiche e giuridiche […] l’Unione Europea è tecnicamente un trattato fra Stati che viene fatta passare per una costituzione democratica […] La cosiddetta Costituzione europea è illegittima […] Il giurista tedesco Dieter Grimm ha ricordato che la costituzione europea manca il fondamentale elemento democratico, perché essa non è in alcun modo il frutto dell’autodeterminazione dei cittadini europei […] La sola parvenza di unità si raggiunge quando l’Europa agisce come vassallo degli Stati Uniti, partecipando a guerre che non corrispondono in alcun modo a interessi comuni e ancor meno alla volontà popolare. Del resto alcuni degli Stati firmatari del trattato, come l’Italia, per il numero di basi militari che ospitano, sono tecnicamente dei protettorati e non degli Stati sovrani. In politica estera, esiste, a volte, un occidente atlantico, ma non certo l’Europa. Come non esiste sul piano costituzionale, l’Europa non esiste sul piano politico e militare […] Il Medio Evo aveva capito, una unità formata da società politiche dev’essere qualcosa di più o di diverso di una società politica. Il Medio Evo ne cercava il criterio nella cristianità. L’uomo europeo-a differenza degli asiatici e degli americani, per i quali la storia e il passato hanno un significato completamente diverso-può accedere alla sua verità solo attraverso un confronto col suo passato, solo facendo i conti con la propria storia. Il passato non è, cioè, per lui soltanto un patrimonio di beni e di tradizioni, ma anche e innanzitutto una componente antropologica essenziale, che fa sì che egli possa accedere al presente solo archeologicamente, solo guardando a ciò che di volta in volta è stato. Questo significa che per gli Europei il passato è innanzitutto una forma di vita. Di qui il rapporto speciale che l’Europa ha con le sue città, con le sue opere d’arte, col suo passaggio: non si tratta di conservare dei beni più o meno preziosi, ma comunque esteriori e disponibili: in questione è la realtà stessa dell’Europa, la sua indisponibile sopravvivenza […] Distruggendo, ieri, le città tedesche, gli americani sapevano di demolire in qualche modo l’identità stessa della Germania; per questo, oggi, distruggendo col cemento, le autostrade e l’Alta Velocità il paesaggio italiano, gli speculatori non ci privano soltanto di un bene, ma distruggono la nostra stessa realtà storica […] Un tempo l’ideale comune di una Europa fu espresso politicamente nell’idea romana dell’impero e poi germanica di un Impero, che lasciava intatte le specificità dei popoli […] Mentre sarebbe urgente riflettere al difficile compito di costruire una unità preservando le diversità, vediamo al contrario che in tutti i paesi europei è in corso al contrario un vero e proprio smantellamento delle scuole e delle Università, cioè delle istituzioni che, trasmettendo la cultura dovrebbero vegliare al rapporto vivente fra il passato e il presente. A questo smantellamento, corrisponde una crescente museificazione del passato, a cominciare dalle stesse città, trasformate in centri storici, i cui abitanti sono trasformati in qualche modo in turisti nella propria stessa cultura […] Un alto funzionario dell’Europa nascente, Alexandre Kojevè, sosteneva che l’Homo sapiens era giunto alla fine della sua storia e non aveva ormai davanti a sé che due possibilità: l’accesso a un’animalità post storica (incarnata dall’american way of life) o lo snobismo (incarnato dai giapponesi, che continuano a celebrare le loro cerimonie del tè, svuotate, però, da ogni significato storico). Tra un’America integralmente rianimalizzata e un Giappone che si mantiene umano solo a patto di rinunciare a ogni contenuto storico, l’Europa potrebbe offrire l’alternativa di una cultura che resta umana e vitale, perché è capace di confrontarsi con la sua stessa storia nella sua totalità e di attingere da questo confronto una nuova vita >> (25).
  2. L’accentramento del potere nella fase multicentrica è funzionale a ridurre la filiera del comando che diventa essenziale nelle fasi (multicentriche e policentriche) di aperto conflitto tra le potenze mondiali. Per esempio, si veda il tentativo di riforma, a partire dal 2015, dell’Unione europea per quanto riguarda l’allargamento e l’approfondimento dei settori di intervento verso la costituzione degli Stati Uniti d’Europa (26). Si vuole riformare l’Unione europea per renderla più affidabile e servile eliminando i vassalli e i valvassori che facevano da collante e da coordinamento nella esecuzione e nella gestione delle strategie statunitensi contro le potenze che mettono in discussione il loro ordine mondiale monocentrico (Mario Draghi è uno dei protagonisti, per conto dei pre-dominanti statunitensi, di questa riforma verso la costruzione degli Stati Uniti d’Europa) (27). E’ emblematico che uno dei settori interessati maggiormente dalla riforma sia quello militare. Un settore che deve essere assorbito e coordinato da quello statunitense e da quello della NATO e deve svolgere un ruolo di minaccia, di intimidazioni e di potenziale conflitto contro la Russia e la Cina (e le loro aree di influenza) per indebolirle e ridimensionarle (28).

L’Europa ha la necessità di essere ri-pensata e ri-costruita, a partire da un processo di liberazione dalla servitù volontaria (29) verso gli Stati Uniti, che passa dalla smilitarizzazione delle basi USA e USA-NATO sul suo territorio (l’occupazione militare, tramite basi e accordi, è la forza che ha permesso alla potenza statunitense di coordinare lo sviluppo a livello mondiale fino al 2011, fine della fase monocentrica) e dall’uscita dal sistema euro incardinato nell’egemone sistema del dollaro (in fase di messa in discussione da altri sistemi monetari che esprimono altri modelli di sviluppo e di relazioni sociali, da capire e approfondire).

Occorre ripartire dalla cesura rappresentata dalla de-americanizzazione del territorio europeo (così come, con la dottrina Monroe (30), gli Stati Uniti d’America imposero, la de-europeizzazione del continente America); è necessario, per dirla con Costanzo Preve, “un radicale riorientamento gestaltico” che faccia uscire l’Europa dalla servitù volontaria statunitense e pensare ad un’altra Europa di nazioni autodeterminate e libere. Una rottura forte e qualitativa che può essere realizzata volgendo lo sguardo ad Est, al costruendo polo asiatico allargato che racchiude il 70% della popolazione mondiale,

ben sapendo che << […] Nella realtà sociale le espressioni sì e no sono inscindibilmente connesse fra loro in un rapporto dialettico. Nella realtà sociale non esiste alcun no che non contenga qualcosa di essenzialmente positivo. >> (31).

Un ripensamento e una ricostruzione che ponga le basi per una Europa autodeterminata che guardi ad Oriente dove le potenze mondiali in ascesa avanzano proposte di multicentrismo per un nuovo equilibrio (un nuovo nomos) di dominio mondiale (32).

 

  1. Che fare? Ci sono le condizioni soggettive e oggettive per pensare, progettare e costruire un’altra Europa e non continuare nella pura ipocrisia?

 

 

 

La citazione scelta come epigrafe è tratta da:

*Costanzo Preve e Luigi Tedeschi, Dialoghi sull’Europa e sul nuovo ordine mondiale, Casa Editrice “il Prato”, Saonara (Padova), 2016, pag.86.

 

NOTE

 

  1. Alessandro Barbero, Carlo Magno. Un padre dell’Europa, Editori Laterza, Roma-Bari, 2002, Capitolo V, pp. 113-127; sul complesso cammino della costruzione delle nazioni europee si rimanda a Andrea Zannini, Storia minima d’Europa. Dal neolitico a oggi, il Mulino, Bologna, 2019, pp. 223-237; sull’importanza della riconquista della sovranità delle nazioni per costruire un’altra Europa libera e autodeterminata come un nuovo spazio di raccordo e di scambio politico, economico e culturale tra Occidente e Oriente si vedano Costanzo Preve e Luigi Tedeschi, Dialoghi sull’Europa e sul nuovo ordine mondiale, Casa Editrice “il Prato”, Saonara (Padova), 2016; Perry Anderson ed altri, a cura di, Storia d’Europa, Einaudi, Torino, 1993, volume primo.

2.Sul ruolo dell’Europa nelle strategie statunitensi si rimanda a Henry Kissinger, Ordine mondiale, Mondadori, Milano, 2015, pp.87-96 e pp. 234-326; Zbigniew Brzezinski, La grande scacchiera, Longanesi, Milano, 1998; sul ruolo dei servizi segreti nella costruzione del progetto dell’Europa unita sia per scalzare l’influenza comunista sia per inglobare l’Europa nelle strategie di dominio statunitense si veda Richard J. Aldrich, OSS, CIA e Unità europea: il comitato americano per l’Europa unita, 1948-60 (prima, seconda, terza parte), www.comedonchisciotte.org, 24/8/2020; sulla costruzione delle istituzioni europee e sul loro funzionamento si legga Perry Anderson, Verso una Unione sempre più stretta? (prima, seconda, terza parte), www.comedonchisciotte.org, 2/1/2021; sulla fine del progetto europeo statunitense rimando al mio scritto Il progetto dell’Unione europea è finito, la Nato è lo strumento degli USA nel conflitto strategico della fase multicentrica, www.italiaeilmondo.com, 26/11/2018.

  1. Costanzo Preve, Ripensare Marx oltre la destra e la sinistra, intervista a cura di Luigi Tedeschi, www.ariannaeditrice.it, 31/5/2007; Costanzo Preve, Filosofia e geopolitica, Edizione all’insegna del Veltro, Parma, 2005.
  2. Sulla metamorfosi della Nato rinvio a Luigi Longo, L’americanizzazione del territorio (Appunti per una riflessione), www.conflittiestrategie, 29/3/2014 e www.italiaeilmondo.com, 27/5/2017; Idem, Il progetto dell’Unione europea, op. cit.; Idem, La Nato è lo strumento degli Usa nel conflitto strategico della fase multicentrica, www.italiaeilmondo.com, 7/7/2022.
  3. Raniero La Valle, A Vilnius la Nato si è preso il mondo, www.ilfattoquotidiano.it, 25/7/2023.
  4. Redazione, La storia militare degli Stati Uniti sembra un gioco ma non lo è, www.infodata.ilsole24ore.com, 20/2/2020; Giovanni Viansino, Impero romano, impero americano. Ideologie e prassi, Edizioni Punto Rosso, Milano, 2005.
  5. Sulla definizione della guerra in senso stretto (prima (1914-1918) e seconda guerra mondiale (1939-1945) ed in senso largo per la terza (1945-1989) e per la quarta tutt’ora in corso si rimanda a Costanzo Preve, La quarta guerra mondiale, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma, 2008.
  6. Redazione Ansa, Paesi nordici verso difesa aerea congiunta dalla Russia, www.ansa.it, 25/3/2023; Filippo Jacopo Carpani, Truppe al confine con la Russia: cosa c’è dietro la mossa USA in Finlandia, www.ilgiornale.it, 15/12/2023; Maurizio Blondet, Il ministro della Difesa tedesco: “l’Europa deve essere pronta alla guerra entro la fine del decennio”, www.maurizioblondet.it, 18/12/2023.
  7. Alberto Bradanini, Gli Usa temono un asse Russia-Cina e un mondo multipolare, intervista a cura di Luciana Borsatti, www.sinistrainrete.info, 11/5/2022.
  8. 10. Fabrizio Maronta, a cura di, conversazione con Richard D. Wolff, L’impero americano è finito ma l’America non lo accetta, “Limes” n.4/2023, pp.104-106.
  9. Maurizio Brignoli, Le cause economiche dietro il massacro di Gaza, www.ariannaeditric.it 18/11/2023; Enrico Tomaselli, La catabasi imperiale, www.ariannaeditrice.it, 24/12/2023; Pepe Escobar, Lo Yemen è pronto ad affrontare una nuova coalizione imperiale, www.comedonchisciotte.org, 23/12/2023; Jean Valyean, L’operazione “prosperity guardian” voluta dal Pentagono sta crollando dopo neppure una settimana, www.scenarieconomici.it, 24/12/2023; Marco Dell’Aguzzo, Chi (non) fa parte della coalizione Usa anti Houthi nel mar Rosso?, www.startmag.it , 30/12/2023; Manlio Dinucci, Medioriente: gli incendiari gridano “Al fuoco”, www.voltairenet.org, 31/12/2023; Enrico Tomaselli, Chi vuole allargare la guerra in Medio Oriente (e perché), www.ariannaeditrice.it , 4/1/2024.
  10. Arnold Toynbee, Il mondo e l’Occidente, Aldo Martello editore, Milano, 1956, pag.54.
  11. Costanzo Preve, Filosofia e geopolitica, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma, 2005, pp. 38-39 e Costanzo Preve, Una nuova storia alternativa della filosofia. Il cammino ontologico-sociale della filosofia, editrice Petite Plaisance, Pistoia, 2013, pag.53.
  12. Si veda Luciano Canfora, Catilina. Una rivoluzione mancata, Laterza, Bari-Roma, 2023.
  13. Giancarlo Paciello, La conquista della Palestina, Editrice C.R.T., Pistoia, 2004; Domenico Moro, Il seme della violenza. Le origini del conflitto israelo-palestinese, www.sinistrainrete.info, 19/10/2023 e 9/11/2023, prima e seconda parte; Salvatore Bravo, La cesoia corazzata, www.comunismoecomunità.org, 20/11/2023.
  14. Costanzo Preve, Il bombardamento etico. Saggio sull’interventismo umanitario, sull’embargo terapeutico, e sulla menzogna evidente, Editrice C.R.T., Pistoia, 2000.
  15. Luciano Canfora, Intervista sul potere, a cura di, Antonio Carioti, Editori Laterza, Roma-Bari, 2013, pag. 92; a proposito delle potenze europee che ne hanno fatto di tutti i colori si legga Attilio Brilli, Dove finiscono le mappe. Storie di esplorazioni e di conquista, il Mulino, Bologna, 2012.
  16. Leoniero Dertona, Disastro economia europea: il 2024 sarà recessione con misure fiscali e monetarie cicliche, www.scenarieconomici.it, 3/1/2024; Isabella Bufacchi, Soffre l’industria tedesca, la domanda non riparte, www.ilsole24ore.com , 8/1/2024; per una lettura delle sanzioni alla Russia che hanno avuto effetti negativi per l’Europa e hanno stimolato l’economia russa in Michael Hudson, L’economia USA: sorprendentemente robusta o un villaggio Potemkin?, www.comedonchisciotte.org 20/6/2023; Megas Alexandros (alias Fabio Bonciani), Le sanzioni alla Russia: l’idiozia al servizio del “potere”, www.comedonchisciotte.org , 12/9/2022; per una lettura delle sanzioni alla Russia che hanno portato vantaggi all’economia USA in Marco Della Luna, Il prezzo di Adamo, www.marcodellaluna.info ,1/9/2023; Domenico Moro, La montagna della UE e il topolino del nuovo patto di stabilità, www.comedonchisciotte.org , 9/1/2024.
  17. Luciano Canfora, Intervista sul potere, a cura di, Antonio Carioti, op. cit., p.90-91.
  18. Alessandra Necci, Al cuore dell’impero. Napoleone e le sue donne fra sentimento e potere, Universale Economica Feltrinelli (Marsilio Editori), Milano, 2023, pag.274; si veda il docufilm scritto e narrato da Alessandro Barbero, Ei fu. Vita, conquiste e disfatte di Napoleone Bonaparte, https://www.raicultura.it/storia/articoli/2021/05/Ei-fu-Vita-conquiste-e-disfatte-di-Napoleone-Bonaparte-b85194eb-356e-499e-b3f9-e9a78b13c263.html.
  19. Fernand Braudel, L’Italia fuori d’Italia. Due secoli e tre Italie in AaVv, Storia d’Italia. Dalla caduta dell’impero romano al secolo XVIII, Einaudi, Torino, 1974, Tomo secondo, pag. 2143. Si legga anche Jacques Le Goff, L’Italia fuori d’Italia. L’Italia nello specchio del Medioevo in AaVv, Storia d’Italia. Dalla caduta dell’impero romano al secolo XVIII, Einaudi, Torino, 1974, Tomo secondo, parte III, pp. 2060-2088; Federico Chabod, Storia dell’idea d’Europa, a cura di Ernesto Sestan e Armando Saitta, Editori Laterza, Bari-Roma, 1989.
  20. Paul Kennedy, Ecco i tre poli del nuovo mondo (e l’Europa non c’è), intervista a cura di Massimo Gaggi, https://www.corriere.it/la-lettura/24_gennaio_01/paul-kennedy-ecco-tre-poli-nuovo-mondo-l-europa-non-c-e-fbd42cd6-a7cb-11ee-aaf3-63d2857ce…
  21. L’obiettivo del multicentrismo bilanciato sarà possibile solo se la potenza aggressiva, per la sua storia, gli USA, saprà condividere il dominio mondiale con le altre potenze la Cina, l’India e la Russia che sono portatrici di una condivisione, nel rispetto delle proprie peculiarità storiche e territoriali, di un equilibrio dinamico tra le potenze. Leggo il multicentrismo bilanciato in maniera diversa dalla multipolarità bilanciata di John J. Mearsheimer che può evitare la fase policentrica che significherebbe la terza guerra mondiale e la fine dell’umanità considerata la forza distruttiva delle armi nucleari. Sulla multipolarità bilanciata si rimanda a John J. Mearsheimer, La tragedia delle grandi potenze, Luiss Press, Roma, 2019, pp. 259-427.
  22. Dante Alighieri, La divina commedia. Paradiso, a cura di Daniele Mattalia, BUR, Milano, 1989 (quarta edizione), canto I, versi 70-71, nota 70, pp.22-23. Sul transumanesimo come progresso nichilista dell’Occidente si rimanda a Roberto Pecchioli, L’uomo transumano. La fine dell’umanità, Arianna Editrice, Bologna, 2023.
  23. Giorgio Agamben, La crisi perpetua come strumento di potere in “Lo Straniero” del 3/11/2013; si legga anche Alessandra Ciattini, Verso un nuovo mondo: due punti di vista, www.ilcomunista23.blogspot.com, 15/7/2023.
  24. Luca Lanzalaco, Stati Uniti d’Europa: se li conosci li eviti, se li eviti ti salvi, www.comedonchisciotte.org, 15/12/2023; Idem, La revisione dei Trattati UE è l’attacco definitivo alla sovranità e alla democrazia, www.comedonchisciotte.org, 14/6/2022. Sottolineo che l’autore non fa riferimento alcuno al ruolo dell’Unione europea nelle strategie egemoniche degli USA nel conflitto strategico mondiale.
  25. Stefano Cingolani, Stati Uniti d’Europa: la vera riforma fiscale secondo Draghi, www.ilfoglio.it, 7/9/2023; Megas Alexandros, (alias Fabio Bonciani), E’ giunta l’ora che l’esperimento di massa in corsa dell’eurozona finisca! A dircelo è Mario Draghi, www.comedonchisciotte.org, 10/9/2023; Federico Fubini, Draghi:<< Europa sia unione vera, a partire dalla politica estera e difesa. Gli errori? Russia e Afghanistan >>, www.corriere.it, 8/11/2023; Redazione Ansa, Draghi è un momento critico per l’Europa, www.ansa.it, 29/11/2023; Katia Migliore, L’Europa è in crisi? Ci vuole più Europa! www.comedonchisciotte.org, 1/12/2023; Marina Lanza, a cura di, La UE pone fine alla finzione democratica, www.maurizioblondet.it , 21/11/2023.
  26. Nick Alipour, Il ministro della Difesa tedesco: << L’Europa deve essere pronta alla guerra entro la fine del decennio >>, www.maurizioblondet.it 18/12/2023; Stefano Porcai, Cambieranno le leggi, per favorire il complesso militare-industriale europeo, www.contropiano.org, 5/1/2024; sul ruolo dell’Unione europea nell’Asia centrale si veda Pepe Escobar, L’asia centrale è il primo campo di battaglia nel nuovo grande gioco, www.comedonchisciotte.org, 21/8/2023.
  27. Sulla conversione della sudditanza esteriore in interiore sottomissione, facendo sorgere quella psicologia del suddito che Friedrich Engels chiamò “da servitori” si veda Gyorgy Lukacs, La distruzione della ragione, Einaudi, Torino, 1959, pp. 3-90.
  28. Nico Perrone, Progetto di un impero 1823.L’annuncio dell’egemonia americana infiamma le borse, La Città del Sole, 2013, Napoli.
  29. Gyorgy Lukacs, La distruzione della ragione, Einaudi, Torino, 1959, pag.804.
  30. Si veda, con una lettura critica, Valery Korovin, La fine dell’Europa. Insieme alla Russia sulla via del multipolarismo, Anteo Edizioni, Cavriago (RE), 2023.

 

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Finlandia e Scandinavia! Ambizioni a rimorchio_con Max Bonelli e Giacomo Gabellini

La crescente ostilità statunitense nei confronti della Russia sta alimentando e sostenendo pericolosamente le ambizioni egemoniche, sopite da decenni, se non da secoli, di potenze minori lungo l’intero arco dei confini russi. Tra questi stanno emergendo i paesi scandinavi, ivi compresi la Svezia e la Finlandia. Mezzo secolo di postura neutrale, pur annacquata da evidenti complicità e simpatie con il mondo anglostatunitense e da una atavica russofobie, improvvisamente rimosse. Ambizioni che, per essere coltivate nei secoli scorsi, hanno avuto bisogno di un largo sistema di alleanze che comunque non hanno evitato tragiche disfatte. Gli attuali propositi poggiano, se vogliamo, su una condizione ancora più fragile, totalmente dipendente dalle intenzioni e dal supporto statunitense. La facilità e il cinismo con il quale gli ambienti angloamericani riescono a scaricare alleanze e rinnegare giuramenti di sostegno incondizionato dovrebbero spingere alla cautela le classi dirigenti di quei paesi e contemperare le ambizioni nel loro vicino oriente e nell’area artica alla loro reale forza e autorevolezza. Autorevolezza che, abbandonata la postura neutralista, è scemata vistosamente. Quello che è certo è che la condizione di servaggio sta trascinando gli stati e le classi dirigenti europee in una condizione di potenziale conflittualità interna al continente del tutto subordinata ai disegni egemonici esterni e ben peggiore, negli esiti, di quella già conosciuta nelle due guerre mondiali passate. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
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“Siamo sull’orlo di un ribaltamento del mondo”. Con Emmanuel Todd, su “Le Point”

“Siamo sull’orlo di un ribaltamento del mondo”.

Sconvolgente. Lo storico che aveva previsto la caduta dell’URSS molto prima del tempo prevede ora “la sconfitta dell’Occidente”, titolo del suo nuovo libro.

INTERVISTA DI SAÏD MAHRANE
Un libro che scuote le certezze, irrita per i suoi eccessi e sfida per il suo lavoro antropologico è sempre un libro che può interessare Le Point. Soprattutto quando l’autore è Emmanuel Todd, demografo, storico e sociologo. Una delle sue imprese editoriali è stata l’annuncio, nel 1976, in La Chute finale (La caduta finale), della disgregazione dell’URSS vista nell’indice di mortalità infantile. Quarantasette anni dopo In quello che dice essere il suo ultimo libro (“laboucle est bouclée”), prevede La Défaite de l’Occident (La sconfitta dell’Occidente) (Gallimard) nel contesto del conflitto in Ucraina. L’autore non dichiara la vittoria della Russia di Putin, ma alcuni leggendo il suo libro non riusciranno a liberarsi da questa idea. A suo avviso, le ragioni di questo declino sono molteplici: la fine dello Stato-nazione; il declino dell’industria, quel tipo di industria che permette di produrre le armi fornite all’Ucraina; lo “stato zero” della matrice religiosa, in primo luogo il protestantesimo; l’aumento della mortalità infantile negli Stati Uniti, ecc. (più alto che in Russia), così come i suicidi e gli omicidi. La consapevolezza di questo declino porterebbe a un “nichilismo” che troverebbe la sua espressione in guerre e violenze. D’altra parte, nonostante le sanzioni occidentali, la Russia ha “un’economia e una società stabilizzate”, afferma Todd. Il principale handicap della Russia sarebbe il suo tasso di fertilità, da cui l’urgenza per Putin di vincere la guerra entro cinque anni. Su questo sfondo contrastante, l’autore mira a convincerci che l’aggressore russo è in realtà l’aggredito, e che l’imperialismo di Putin è solo un sovranismo difensivo di fronte a una NATO offensiva. Da buon sportivo, ha accettato di concedere a Le Point – un giornale europeo e liberale – la sua prima intervista, che è stata a volte tesa, ma sempre istruttiva.


Le Point: In “La Chute finale” (1976), lei ha previsto il declino dell’URSS, basandosi in particolare sul tasso di mortalità infantile. Su quali prove si basa questa affermazione?
Emmanuel Todd: Le cose vanno considerate su due livelli. C’è il livello economico che stiamo osservando attualmente. In altre parole, la globalizzazione ha reso l’Occidente in generale e gli Stati Uniti in particolare incapaci di produrre le armi necessarie all’Ucraina. Dedico un intero capitolo al crollo dell’economia americana, in cui dimostro la natura ampiamente fittizia del suo prodotto interno lordo con l’aggravarsi della crisi economica.
Dimostro anche che gli Stati Uniti hanno un enorme deficit commerciale. Dimostro anche che gli Stati Uniti producono meno ingegneri della Russia. Credo che sia la capacità di produrre dollari a costo zero a impedire la ripresa dell’industria americana.
Qual è il secondo livello?
È molto più profondo, ed è ciò che è completamente nuovo nella mia analisi. È il crollo di ciò che ha fatto crescere l’Occidente, e in particolare il mondo angloamericano, cioè il protestantesimo con i suoi valori di lavoro e disciplina sociale. Noto che l’evaporazione del protestantesimo negli Stati Uniti, in Inghilterra e nel mondo protestante nel suo complesso ha cancellato ciò che costituiva la forza e la specificità dell’Occidente. La variabile centrale è la dinamica religiosa. Dopo lo stato attivo e poi “zombie”, si può parlare di uno stato zero della religione dell’Occidente. Uso la data del matrimonio omosessuale come indicatore finale del passaggio dallo stadio “zombie” della religione allo stadio zero.
Putin è consapevole dello stato zero della religione in Occidente?
Ho cercato di analizzare il suo discorso. E ho cercato di capire l’atteggiamento del resto del mondo nei confronti dell’Occidente. Se si guarda all’entourage di Joe Biden, si vede un gruppo di leader che non sono più associati da alcun sistema collettivo di credenze protestanti.
A questo proposito, si nota una sovrarappresentazione di neri ed ebrei nel gabinetto di Biden, che è un cattolico di origine irlandese.

Perché partire dall’etnia per spiegare un orientamento geopolitico?
La mia analisi è più dettagliata. Vedo che la matrice protestante è scomparsa ai vertici del potere americano. Quello che penso di poter apportare come storico è una vera e propria accettazione delle dinamiche del protestantesimo in Occidente. Il protestantesimo “zombie” degli Stati Uniti è stato la Grande America, da Roosevelt a Eisenhower, un’America che ha conservato tutti i valori positivi del protestantesimo, la sua efficacia educativa, il suo rapporto con il lavoro, la sua capacità di integrare l’individuo nella comunità.
Già nel 2002, in “Aprèsl’empire” (Gallimard), lei constatava il declino dell’America…
L’ho scritto in un momento in cui tutti si entusiasmavano per l’iperpotenza americana. Da allora c’è stato un riflusso. In Dopo l’impero, come in La caduta finale, seguo un modello razionalista di geopolitica. Personalmente, non credo che nessun obiettivo di potere sia completamente ragionevole. Non mi piace la guerra, ma la logica statale, il potere, il denaro e le risorse naturali possono essere considerati obiettivi razionali. Ne “La sconfitta dell’Occidente” integro anche le profondità irrazionali e religiose dell’esistenza umana. Il libro si interroga sulla natura di una dinamica geopolitica all’interno della prima potenza mondiale, che sta perdendo il senso dell’orientamento religioso e sta sperimentando un aumento della mortalità, in particolare negli Stati dell’interno repubblicano o troumpista. La novità è che il Paese sta virando verso il nichilismo e la divinizzazione del nulla. Parlo di nichilismo nel senso di desiderio di distruzione, ma anche di negazione della realtà. Non ci sono più tracce di religione, ma l’essere umano è ancora lì. Si confronta ancora con la domanda sul significato dell’esistenza umana.
Il numero di omicidi e di assassini è in aumento (più alto che in Russia). La presa di coscienza di questo riflusso porterebbe a un “nichilismo” che troverebbe espressione nella guerra e nella violenza. D’altra parte, nonostante le sanzioni occidentali, la Russia ha “un’economia e una società stabilizzate”, afferma Todd. Il principale handicap della Russia sarebbe il suo tasso di fertilità, da cui l’urgenza per Putin di vincere la guerra entro cinque anni.

Tuttavia, è chiaro che la distruzione del febbraio 2022 è avvenuta da parte russa. Non ci verrebbe mai in mente di mettere sotto processo gli americani in prima istanza…
Sono molto consapevole del fatto che c’è lo shock della guerra. La Russia è entrata in guerra. Capisco che la gente veda solo questo, perché c’è una violenza nella guerra che rende impossibile porsi domande sulla dinamica generale dei sistemi. E la realtà di questa dinamica è che la mortalità infantile russa è ora molto più bassa di quella americana! È la società russa che sta progredendo, anche se l’aspettativa di vita – retaggio del regime sovietico – rimane bassa per gli uomini russi. Ho guardato l’intero campo e mi sono detto:
“No, l’instabilità del sistema non è dove si trova la guerra, ma nel cuore del sistema occidentale. Attenzione: la sconfitta dell’Occidente non è la vittoria della Russia. L’Occidente sta sconfiggendo se stesso.
Tuttavia, è difficile vedere un legame diretto tra questa crisi americana e il conflitto in Ucraina. È come se lei cercasse di mettere in relazione due argomenti nel suo libro…
Credo che la gente abbia una visione molto esagerata di ciò che sono gli Stati Uniti e di ciò che possono fare.
Penso che la gente abbia una visione molto esagerata di ciò che sono gli Stati Uniti e di ciò che è il pensiero geopolitico americano da un punto di vista intellettuale. Mi imbarazza dirlo, ma gli ideologi neoconservatori che circondano Biden e Trump sono mediocri. Nel mio libro, inizio la storia con il crollo dell’Unione Sovietica, che è stato male interpretato. Si è trattato di un processo endogeno legato allo sviluppo della Russia, che ho compreso dall’aumento della mortalità infantile e dal calo della fertilità. Il crollo dell’Unione Sovietica ha mascherato il fatto che nel 1965 gli Stati Uniti avevano intrapreso un declino industriale e intellettuale. È questo paradosso dell’espansione occidentale innescata dal crollo del pilastro sovietico che ha cercato di isolare la Russia, in un momento in cui il cuore del sistema sta crollando. Lo scopriamo oggi con gli americani intrappolati in Ucraina. La loro industria non riesce più a tenere il passo e li vediamo costretti ad andare alla ricerca di proiettili calibro 155.
Il divario fondamentale tra noi non è forse che lei vede Putin come un sovranista quando invece è un imperialista?
Ho letto i testi di Putin. So cosa interessa ai russi. Sono un demografo. È una materia che mi impedisce di dire sciocchezze. Quando vediamo che la popolazione della Russia è solo leggermente superiore a quella del Giappone, non possiamo cadere nel delirio generale. Questo Paese ha 17 milioni di chilometri quadrati! Come potrebbero i russi voler espandere il loro territorio?
La dinamica espansionistica vale anche per Xi ed Erdogan, in nome della nostalgia o della legittimità storica…
Bene, se questa paura fosse stata logica e sincera, avremmo dovuto cercare un accordo con la Russia. Il Paese che avrebbe potuto permettere all’Occidente di mantenere la sua preminenza è la Russia, se fosse stata integrata.
Schröder e Chirac hanno cercato di “ancorare” la Russia all’Europa negli anni 2000…
Sì, ma questo è stato spezzato dagli americani. Evitare il riavvicinamento tra Germania e Russia era uno degli obiettivi americani. Questo riavvicinamento avrebbe significato l’espulsione degli Stati Uniti dal sistema di potere europeo. Gli americani hanno preferito distruggere l’Europa piuttosto che salvare l’Occidente. La NATO sta già perdendo questa guerra. Credo che il gioco della Germania sia molto più sottile di quanto si pensi, perché le masse industriali, demografiche e sociologiche in Europa sono stabili. Alla fine, Russia e Germania troveranno un’intesa.
La pace sarà ristabilita. La storia dirà se sono l’erede di Marx e Webercombined o di Woody Allen – che già non è male.
Per Putin, essere russofoni significa essere russi. In base a questo principio, l’Ungheria potrebbe invadere parte della Serbia o della Romania con la motivazione di voler proteggere le minoranze di lingua magiara…
Questo è un dibattito morale. Non mi interessa. Quando leggo La Guerre des Gaules, non mi chiedo se Giulio Cesare sia un uomo buono o cattivo.
I russi stessi agiscono secondo un loro codice morale. Putin ha spiegato che la popolazione russofona del Donbass, che vive sotto il giogo dei “nazisti” di Kiev, deve essere riportata nell’ovile russo… È razionale?
Sto facendo un’analisi dettagliata della concezione russa della sovranità delle nazioni. I leader russi non avrebbero mai pensato che questa dottrina della sovranità si applicasse all’Ucraina. C’è un articolo di Putin, del luglio 2021, sui legami storici con l’Ucraina, la differenza tra la nuova Russia e la piccola Russia. Ma ciò che mi interessa, e che mi permette di spiegare la facile avanzata delle forze russe nel sud dell’Ucraina e quella più difficile nel nord del Paese, è il dualismo ucraino-russo. Quello che nessuno avrebbe potuto prevedere è la fuga della classe media russofona verso la Russia. L’Ucraina russofona ha perso la sua classe media, la sua spina dorsale organizzativa e strutturante. Queste persone hanno potuto scegliere tra i nazionalisti ucraini che volevano sradicare la loro lingua e una Russia in ripresa economica.
Riesce a sentire le argomentazioni giuridiche, cioè il diritto internazionale, a cui la Russia da tempo sostiene di essere legata?
La Russia e Putin sono considerati responsabili di questa guerra dal 99,99% dei commenti ufficiali in Occidente. Il lavoro è fatto. Non c’è bisogno che lo dica io.
Riconoscete che il diritto internazionale è stato violato.
Non sono tenuto a riconoscerlo o a non riconoscerlo. Ho la mia competenza, che è quella di uno storico. I giornali mi hanno accusato di essere un agente del Cremlino – che ne dite di un complimento? Mi batto per mantenere l’Occidente pluralista. Se si guarda ai miei valori, sono i valori della verità e del pluralismo. Siamo in un mondo completamente putinofobico e russofobico, dove si è capito fin dall’inizio che tutta la colpa è della Russia. Sto presentando una visione storica. Riconosco che essa è, senza essere morale, radicalmente diversa.
Leggendo le sue parole viene quasi voglia di andare a vivere in Russia… Lei descrive il Paese come una “democrazia autoritaria”, un’affermazione audace se si pensa alla sorte delle minoranze, in particolare delle persone LGBT, e a quella dell’oppositore Navalny, che langue in prigione…
Accetto di andare dove volete portarmi e dove non volevo andare. Cosa hanno guadagnato gli ucraini denunciando sconsideratamente i russi e rifiutandosi di considerare le loro motivazioni? La distruzione della loro nazione, che l’Occidente sta per abbandonare. Il mio approccio spassionato avrebbe permesso di negoziare soluzioni intermedie. I discorsi unanimi e le ingiunzioni ideologiche e morali portano al disastro. Attribuisco al concetto di “autoritario” lo stesso peso di quello di “democrazia”. Tutti i politologi in Russia concordano sul fatto che i russi sostengono Putin.

Barometri della popolarità– diamo loro il merito dell’onestà… –non fanno una democrazia…
È una democrazia autoritaria. La democrazia liberale aggiunge il rispetto per le minoranze. Il mondo è sull’orlo di un punto di svolta e ciò che sta accadendo in Ucraina è abominevole. Che senso ha quindi litigare sulle parole? Avevo bisogno di concetti. “Oligarchia liberale nichilista” per l’Occidente e “democrazia autoritaria” per la Russia. Non sto nascondendo nulla sulle elezioni ragionevolmente truccate in Russia. Mi riferisco all’antropologia del Paese e a un persistente temperamento comunitario.
Allo stesso modo, lei sottolinea giustamente l’esistenza dell’antisemitismo in Ucraina, ma aggiunge che in Russia è praticamente inesistente…
Cito Vladimir Shlapentokh, un ebreo nato a Kiev. È stato uno dei fondatori della sociologia empirica in lingua russa in epoca brezneviana.
Di fronte all’antisemitismo del regime sovietico, è emigrato negli Stati Uniti e spiega che una delle particolarità del regime di Putin consiste nell’essere il primo regime russo della storia a non usare l’antisemitismo per governare. Tuttavia, non sono in grado di dire come siano i russi nel dettaglio. In Israele c’era quasi un milione di persone di origine russa, 100.000 delle quali sono tornate in Russia.
L’avete visto, come l’abbiamo visto noi, Putin ricevere Hamas dopo il 7 ottobre e Lavrov, il suo ministro degli Esteri, dire di Zelensky: “Anche Hitler aveva sangue ebraico”.
Io sono di origine ebraica. Sto solo cercando di capire perché i russi stanno vincendo questa guerra. I fatti mi danno ragione, anche se lei sta cercando di farmi passare per un mostro.
Niente affatto, sembra solo che tu stia applicando alla Russia quello che attribuisci agli altri per aver analizzato il caso dell’Ucraina…
Per quanto riguarda Gaza, ho scritto un post scriptum nel mio libro per mostrare come gli americani stiano esprimendo il loro nichilismo anche lì, inasprendo i conflitti. Non parlo molto di Israele. I russi hanno un problema di sopravvivenza nazionale a causa della loro bassa demografia; in questi casi, non scelgono i loro alleati. Churchill disse dopo l’invasione dell’Unione Sovietica: “Se Hitler invadesse l’inferno, farei almeno un riferimento favorevole al diavolo nella Camera dei Comuni”. Gli Stati Uniti stanno regalando alla Russia il loro atteggiamento del tutto irresponsabile nei confronti di Gaza. Ma i russi sono in imbarazzo, perché ora ci sono un importante elemento umano tra la popolazione israeliana e la Russia.
Gli ucraini dovrebbero temere il ritorno di Trump anche se, non dimentichiamolo, è stato lui ad iniziare ad armare l’Ucraina nel 2017?
Se gli occidentali si prendessero la briga di leggere il sito web della Tass, vedrebbero che per i russi non fa alcuna differenza. Perché la Russia è in guerra con l’America e non tiene conto dei cambi di governo.
Lei spiega che i Paesi dell’ex blocco sovietico hanno un debito con la Russia. Secondo lei, ci sono benefici positivi per una classe media che è cresciuta grazie alla “meritocrazia comunista”. Si può davvero parlare di “meritocrazia” in URSS?
Ciò che il protestantesimo e il comunismo hanno in comune è l’ossessione per l’istruzione. Il comunismo in Europa orientale ha sviluppato nuove classi medie. E sono state queste classi medie a dichiarare di essere la democrazia liberale in azione e che i russi erano dei mostri. Mi permetto, con ironia, di diagnosticare una certa inautenticità nell’atteggiamento delle classi medie dell’Europa dell’Est, perché sono le meritocrazie fabbricate dal comunismo che hanno portato i loro paesi nella NATO e hanno messo il loro proletariato nelle mani del capitalismo occidentale, trasformando i loro paesi in una periferia dominata, come avvenne tra il XVI e il XIX secolo.
Infine, nel tuo libro si parla poco della Francia: esistiamo ancora?
Faccio geopolitica, quindi non vedo la Francia. Se voglio dimostrare che la mia anima è pura, ho riportato l’Inghilterra al livello della Francia! Ma direi che per l’Inghilterra la cosa è più grave. La polverizzazione delle élite inglesi è terribile. L’Inghilterra è ancora meno potente della Francia. Gli inglesi non hanno realmente armi nucleari. Non sono nemmeno capaci di farsi odiare in Africa, come noi. Le classi dirigenti inglesi furono un modello per le classi dirigenti americane. L’attuale follia guerrafondaia degli inglesi ha sicuramente avuto una pessima influenza sugli americani§

ESTRATTI
LA SORPRESA UCRAINA
I russi stessi sono stati i più sorpresi dalla resistenza militare ucraina.
Nella loro mente, come in quella della maggior parte degli occidentali informati, e in realtà nella realtà, l’Ucraina era quello che tecnicamente si chiama uno Stato fallito,
in realtà, l’Ucraina era quello che tecnicamente viene definito uno Stato fallito,
Nel 1991, l’Ucraina aveva perso circa 11 milioni di abitanti a causa dell’emigrazione e del calo del tasso di fertilità.
tasso di fertilità. […] Era stata certamente equipaggiata con missili anticarro Javelin dalla NATO, e aveva
Quello che nessuno poteva prevedere è che l’Ucraina avrebbe trovato nella guerra una ragione di vita, una giustificazione per la propria esistenza.
IL NUOVO ASSE EUROPEO
All’inizio, l’Europa era la coppia franco-tedesca che, dalla crisi di 20072008, aveva certamente assunto l’aspetto di un matrimonio patriarcale, con la Germania come marito dominante che non ascoltava più ciò che la moglie aveva da dire. [Si è tagliata fuori dal suo partner energetico e (più in generale) commerciale russo, punendosi sempre più severamente. […] Abbiamo anche visto la Francia di Emmanuel Macron evaporare sulla scena internazionale, mentre la Polonia è diventata il principale agente di Washington nell’Unione europea, subentrando al Regno Unito, ora fuori dall’Unione grazie alla Brexit. Nel continente nel suo complesso, l’asse Parigi-Berlino è stato sostituito da un asse Londra-Varsavia-Kiev guidato da Washington. Questa evanescenza dell’Europa come attore geopolitico autonomo lascia perplessi, visto che Appena vent’anni fa, l’opposizione congiunta di Germania e Francia alla guerra in Iraq portò a conferenze stampa congiunte del Cancelliere Schröder, del Presidente Chirac e del Presidente Putin.

IL DECLINO DELL’INDUSTRIA AMERICANA
L’industria militare americana è carente; la superpotenza mondiale non è in grado di assicurare la fornitura di granate al suo protetto ucraino.
– per il suo protetto ucraino. Si tratta di un fenomeno straordinario se si considera che alla vigilia della guerra, il prodotto interno lordo (PIL) combinato di Russia e Bielorussia rappresentava il 3,3% del PIL occidentale (Stati Uniti, Canada, Europa, Giappone, Corea). Questo 3,3%, capace di produrre più armi del mondo occidentale, poneva un duplice problema: in primo luogo, per l’esercito ucraino, che stava perdendo la guerra per mancanza di risorse materiali; in secondo luogo, per la scienza occidentale dell’economia politica, la cui natura – oseremmo dire – fasulla veniva così rivelata al mondo.

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l’Occidentalismo a Gaza, di Dominique de Villepin

Traduciamo in italiano questa magistrale intervista[1] sulla situazione a Gaza di Dominique de Villepin[2], ex diplomatico, ex primo ministro francese. Nel 2002-2003, da ministro degli esteri del governo francese, presidenza Chirac, fu il capofila dell’opposizione alla guerra statunitense contro l’Irak.

La “vecchia Europa” (così i neoconservatori americani chiamarono, sprezzantemente, gli oppositori del loro progetto di ridisegno del Medio Oriente) ha ancora qualcosa da dire.

Buona lettura.

 

Hamas ci ha teso una trappola, la trappola del massimo orrore, della massima crudeltà. E quindi rischia di esserci un’escalation di militarismo, di ulteriori interventi militari, come se potessimo risolvere con gli eserciti un problema così grave come la questione palestinese.

C’è anche una seconda grande trappola, che è quella dell’Occidentalismo. Ci troviamo intrappolati, con Israele, in questo blocco occidentale che oggi è messo in discussione dalla maggior parte della comunità internazionale.

[Presentatrice: Cos’è l’Occidentalismo?]

L’occidentalismo è l’idea che l’Occidente, che per 5 secoli ha gestito gli affari del mondo, potrà continuare tranquillamente a farlo. E possiamo vedere chiaramente, anche nei dibattiti della classe politica francese, che c’è l’idea che, di fronte a ciò che sta accadendo attualmente in Medio Oriente, dobbiamo continuare a lottare ancora di più, in direzione di quella che potrebbe assomigliare a una guerra religiosa o di civiltà. Vale a dire, isolarsi ancora di più sulla scena internazionale.

 

Non è questa la strada, soprattutto perché c’è una terza trappola, quella del moralismo. E qui abbiamo in un certo senso la prova, attraverso quanto sta accadendo in Ucraina e in Medio Oriente, di questo doppio standard che viene denunciato ovunque nel mondo, anche nelle ultime settimane quando mi reco in Africa, in Medio Oriente o in America Latina. La critica è sempre la stessa: guardate come vengono trattate le popolazioni civili a Gaza, denunciate quello che è successo in Ucraina e siete molto timidi di fronte alla tragedia che si sta consumando a Gaza.

 

Consideriamo il diritto internazionale, la seconda critica che viene mossa dal Sud globale. Sanzioniamo la Russia quando aggredisce l’Ucraina, la sanzioniamo quando non rispetta le risoluzioni delle Nazioni Unite, e sono 70 anni che le risoluzioni delle Nazioni Unite vengono votate invano e che Israele non le rispetta.

 

[Presentatrice: Crede che attualmente, gli occidentali siano colpevoli di hybris?]

 

Gli occidentali devono aprire gli occhi sulla portata del dramma storico che si sta svolgendo davanti a noi per trovare le risposte giuste.

 

[Presentatrice: Qual è il dramma storico? Voglio dire, stiamo parlando innanzitutto della tragedia del 7 ottobre, giusto?]

 

Certo, ci sono questi orrori che stanno accadendo, ma il modo di rispondere ad essi è cruciale. Uccideremo il futuro trovando le risposte sbagliate…

 

[Presentatrice: Uccidere il futuro?]

 

Uccidere il futuro, sì! Perché?

 

[Presentatrice: Ma chi sta uccidendo chi?]

 

Vi trovate in un gioco di cause ed effetti. Di fronte alla tragedia della storia, non si può prendere questa griglia analitica della “catena di causalità”, semplicemente perché se lo si fa non se ne può uscire. Una volta capito che c’è una trappola, una volta capito che dietro questa trappola c’è stato anche un cambiamento in Medio Oriente per quanto riguarda la questione palestinese… La situazione oggi è profondamente diversa [da quella del passato]. La causa palestinese era una causa politica e laica. Oggi ci troviamo di fronte a una causa islamista, guidata da Hamas. Ovviamente, questo tipo di causa è assoluta e non ammette alcuna forma di negoziazione. Anche da parte israeliana c’è stata un’evoluzione. Il sionismo era laico e politico, sostenuto da Theodor Herzl alla fine del XIX secolo. Oggi è diventato in gran parte messianico, biblico. Ciò significa che anche loro non vogliono scendere a compromessi, e tutto ciò che fa il governo israeliano di estrema destra, continuando a incoraggiare la colonizzazione, ovviamente peggiora le cose, anche dopo il 7 ottobre. In questo contesto, quindi, bisogna capire che in questa regione siamo già di fronte a un problema che sembra profondamente insolubile.

 

A questo si aggiunge l’indurimento degli Stati. Dal punto di vista diplomatico, guardate le dichiarazioni del re di Giordania, non sono le stesse di sei mesi fa. Guardate le dichiarazioni di Erdogan in Turchia.

 

[Presentatrice: Precisamente, sono dichiarazioni estremamente dure…]

 

Estremamente preoccupanti. Perché? Perché anche se la causa palestinese, la questione palestinese, non è stata portata in primo piano, non è stata messa in scena [per un po’ di tempo], e se la maggior parte dei giovani di oggi in Europa spesso non ne ha mai sentito parlare, per i popoli arabi rimane la madre di tutte le battaglie. Tutti i progressi fatti per tentare di stabilizzare il Medio Oriente, dove si potrebbe credere…

 

[Presentatrice: Sì, ma di chi è la colpa? Faccio fatica a seguirla, è colpa di Hamas?]

 

Ma signora Malherbe, io ho una formazione da diplomatico. La questione della colpa sarà affrontata da storici e filosofi.

 

[Presentatrice: Ma lei non può rimanere neutrale, è difficile, è complicato, non è vero?]

 

Non sono neutrale, sono in azione. Vi dico semplicemente che ogni giorno che passa possiamo fare in modo che questo ciclo orribile si fermi… Ecco perché parlo di trappola ed ecco perché è così importante sapere che risposta daremo. Oggi siamo soli davanti alla storia. E non trattiamo questo nuovo mondo come facciamo attualmente, sapendo che oggi non siamo più in una posizione di forza, non siamo in grado di cavarcela da soli, come poliziotti del mondo.

 

[Presentatrice: Allora cosa facciamo?]

 

Esattamente, cosa dobbiamo fare? A questo punto è fondamentale non tagliare fuori nessuno sulla scena internazionale.

 

[Presentatrice: Compresi i russi?]

 

Tutti.

 

[Presentatrice: Tutti? Dovremmo chiedere aiuto ai russi?]

 

Non sto dicendo che dovremmo chiedere aiuto ai russi. Dico che se i russi possono contribuire a calmare alcune fazioni in questa regione, allora sarà un passo nella giusta direzione.

 

[Presentatrice: Come possiamo rispondere in modo proporzionale alla barbarie? Non è più esercito contro esercito].

 

Ma ascolti, Apolline de Malherbe, le popolazioni civili che stanno morendo a Gaza, non esistono? Quindi, poiché l’orrore è stato commesso da una parte, l’orrore deve essere commesso dall’altra?

 

[Presentatrice: Dobbiamo davvero equiparare le due cose?]

 

No, è lei che lo sta facendo. Non sto dicendo che equiparo le colpe. Cerco di tenere conto di ciò che pensa gran parte dell’umanità. C’è sicuramente un obiettivo realistico da perseguire, che è quello di sradicare i leader di Hamas che hanno commesso questo orrore. E non confondere i palestinesi con Hamas, questo è un obiettivo realistico.

 

La seconda cosa è una risposta mirata. Definiamo obiettivi politici realistici. La terza cosa è una risposta combinata. Perché non esiste un uso efficace della forza senza una strategia politica. Non siamo nel 1973 o nel 1967. Ci sono cose che nessun esercito al mondo sa fare, ovvero vincere in una battaglia asimmetrica contro i terroristi. La guerra al terrorismo non è mai stata vinta da nessuna parte. E invece scatena misfatti, cicli ed escalation estremamente drammatici. Se l’America ha perso in Afghanistan, se ha perso in Iraq, se noi [francesi] abbiamo perso nel Sahel, è perché si tratta di una battaglia che non può essere vinta semplicemente, non è che basta un martello che batte un chiodo e il problema è risolto. Dobbiamo quindi mobilitare la comunità internazionale, uscire da questa trappola occidentale in cui ci troviamo.

 

[Presentatrice: Ma quando Emmanuel Macron parla di una coalizione internazionale…]

Sì, e qual è stata la risposta?

 

[Presentatrice: Nessuna.]

 

Esattamente. Abbiamo bisogno di una prospettiva politica, e questa è una sfida perché la soluzione dei due Stati è stata rimossa dal programma politico e diplomatico israeliano. Israele deve capire che per un Paese con un territorio di 20.000 chilometri quadrati, una popolazione di 9 milioni di abitanti, di fronte a 1,5 miliardi di persone… I popoli non hanno mai dimenticato che la causa palestinese e l’ingiustizia commessa nei confronti dei palestinesi è stata una fonte significativa di mobilitazione. Dobbiamo considerare questa situazione, e credo che sia essenziale aiutare Israele, guidare… alcuni dicono imporre, ma io penso che sia meglio convincere, muoversi in questa direzione. La sfida è che oggi non c’è un interlocutore, né da parte israeliana né da parte palestinese. Dobbiamo far emergere degli interlocutori.

 

[Presentatrice: Non sta a noi scegliere chi sarà il leader della Palestina].

 

La politica israeliana degli ultimi anni non ha voluto necessariamente coltivare una leadership palestinese… Molti sono in prigione, e l’interesse di Israele – perché ripeto: non era nel loro programma o nell’interesse di Israele in quel momento, o almeno così pensavano – era invece quello di dividere i palestinesi e fare in modo che la questione palestinese svanisse. La questione palestinese non svanirà. Dobbiamo quindi affrontarla e trovare una risposta. È qui che abbiamo bisogno di coraggio. L’uso della forza è un vicolo cieco. La condanna morale di ciò che ha fatto Hamas – e non c’è un “ma” nelle mie parole riguardo alla condanna morale di questo orrore – non deve impedirci di andare avanti politicamente e diplomaticamente in modo illuminato. La legge della ritorsione è un ciclo senza fine.

 

[Presentatrice: “Occhio per occhio, dente per dente”].

 

Sì. Ecco perché la risposta politica deve essere difesa da noi. Israele ha il diritto all’autodifesa, ma questo diritto non può essere la vendetta indiscriminata. E non può esserci una responsabilità collettiva del popolo palestinese per le azioni di una minoranza terroristica, di Hamas.

 

Quando si entra in questo ciclo di ricerca delle colpe, i ricordi di una parte si scontrano con quelli dell’altra. Alcuni contrappongono i ricordi di Israele a quelli della Nakba, la catastrofe del 1948, che è una catastrofe che i palestinesi vivono ancora ogni giorno. Quindi non si possono spezzare questi cicli. Dobbiamo avere la forza, ovviamente, di capire e denunciare ciò che è successo, e da questo punto di vista non ci sono dubbi sulla nostra posizione. Ma dobbiamo anche avere il coraggio, e la diplomazia è questo… la diplomazia è la capacità di credere che ci sia una luce alla fine del tunnel. E questa è l’astuzia della storia: quando si è toccato il fondo, può accadere qualcosa che dà speranza. Dopo la guerra del 1973, chi avrebbe pensato che prima della fine del decennio l’Egitto avrebbe firmato un trattato di pace con Israele?

 

Il dibattito non dovrebbe riguardare la retorica o la scelta delle parole. Il dibattito oggi riguarda l’azione; dobbiamo agire. E quando si pensa all’azione, ci sono due opzioni. O si tratta di guerra, guerra, guerra. Oppure si cerca di andare verso la pace, e lo ripeto, è nell’interesse di Israele. È nell’interesse di Israele!”.

 

 

[1] https://youtu.be/Mpq5IxdDeqA

[2] https://it.wikipedia.org/wiki/Dominique_de_Villepin

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La Polonia ha scelto il momento giusto per concludere l’indagine sull’incidente di Przewodow dello scorso novembre, di ANDREW KORYBKO

La Polonia ha scelto il momento giusto per concludere l’indagine sull’incidente di Przewodow dello scorso novembre

ANDREW KORYBKO
27 SET 2023

Negli ultimi dieci giorni Kiev ha fatto causa alla Polonia presso l’OMC, Zelensky ha suggerito che il vicino occidentale del suo Paese sta facendo gli interessi della Russia, Varsavia ha cercato di estradare un “eroe” ucraino dal Canada per sospetti crimini di guerra e la Polonia ha concluso che Kiev è responsabile dell’incidente dello scorso novembre che ha ucciso due polacchi. È sufficiente dire che lo sforzo cumulativo di tutto questo è che la percezione media dei polacchi nei confronti dell’Ucraina probabilmente peggiorerà proprio prima delle elezioni nazionali del 15 ottobre.

All’inizio della settimana, Rzeczpospolita ha riferito che gli investigatori polacchi hanno concluso che un missile di difesa aerea S-300 ucraino è responsabile dell’incidente di Przewodow dello scorso novembre, che ha causato la morte di due polacchi e che all’epoca Kiev ha falsamente attribuito alla Russia. Per un brevissimo momento c’è stata la possibilità che scoppiasse la Terza Guerra Mondiale, ma fortunatamente i funzionari polacchi e statunitensi hanno rapidamente smentito le affermazioni del regime. Zelensky ha ancora insistito sul fatto che il Cremlino ha attaccato il territorio della NATO, ma ora la Polonia sa che è stata Kiev.

La tempistica di questa rivelazione non è stata casuale, poiché segue il deterioramento delle relazioni polacco-ucraine da metà settembre. Varsavia ha mantenuto unilateralmente il divieto sulle importazioni agricole ucraine allo scadere dell’accordo temporaneo della Commissione europea della primavera scorsa, il che ha indotto Zelensky a suggerire, durante il suo discorso all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, che la Polonia stesse facendo il gioco della Russia. La Polonia ha poi annunciato che non invierà armi moderne all’Ucraina e i suoi funzionari hanno condannato anche questo regime.

Sebbene abbiano anche riaffermato il loro sostegno al ruolo di Kiev nel condurre la guerra per procura della NATO contro la Russia, l’illusoria fiducia che fino ad allora aveva caratterizzato le loro relazioni bilaterali negli ultimi 19 mesi è andata indiscutibilmente in frantumi. Anche prima di questa rapida sequenza di eventi, il consigliere senior di Zelensky, Mikhail Podolyak, aveva previsto all’inizio di agosto che i legami tra i due sarebbero tornati alla loro natura storicamente competitiva alla fine del conflitto. Non sapeva che sarebbero tornati a quel punto solo sei settimane dopo.

Quest’ultimo sviluppo arriva sulla scia di un altro scandalo collegato alle loro relazioni, dopo che Zelensky ha applaudito con entusiasmo un nazista ucraino che è stato onorato come “eroe” venerdì scorso al Parlamento canadese. Ben presto si è scoperto che si era arruolato volontario in una divisione che ha genocidiato i polacchi, il che ha spinto il Ministro dell’Istruzione polacco a chiedere l’estradizione di questo probabile criminale di guerra. Considerando lo stato attuale delle relazioni polacco-ucraine, questa mossa rappresenta un ulteriore deterioramento dei loro legami.

Negli ultimi dieci giorni, Kiev ha fatto causa alla Polonia presso l’OMC, Zelensky ha suggerito che il vicino occidentale del suo Paese sta facendo gli interessi della Russia, Varsavia ha cercato di estradare un “eroe” ucraino dal Canada per sospetti crimini di guerra e la Polonia ha concluso che Kiev è responsabile dell’incidente dello scorso novembre che ha ucciso due polacchi. È sufficiente dire che lo sforzo cumulativo di tutto questo è che la percezione media dei polacchi nei confronti dell’Ucraina probabilmente peggiorerà proprio prima delle elezioni nazionali del 15 ottobre.

A proposito di queste ultime, il partito di governo “Diritto e Giustizia” (PiS) sta lottando per respingere le forti sfide dell’opposizione “Piattaforma Civica” (PO) e del partito anti-establishment Confederazione. Il partito ha quindi deciso di porre la sicurezza nazionale al centro della sua piattaforma elettorale, il che spiega perché la Polonia si stia finalmente schierando contro l’Ucraina. Le recenti osservazioni del ministro della Difesa Mariusz Blaszczak sulla disputa sul grano possono essere interpretate come l’attribuzione di una dimensione di sicurezza rilevante a questa questione agricola.

Questo approccio è funzionale agli interessi elettorali del PiS nei confronti dei due partiti precedentemente citati, in quanto mira a riaffermare le credenziali di sicurezza nazionale del partito in carica in risposta alle accuse di ipocrisia mosse da PO e a cercare di portare dalla sua parte alcuni dei sostenitori anti-ucraini della Confederazione. L’obiettivo finale è quello di rimanere davanti a PO e contenere l’ascesa della Confederazione, in modo che quest’ultima abbia meno influenza sul PiS nell’ipotesi in cui i due decidano di formare un governo di coalizione dopo le prossime elezioni.

Queste motivazioni elettorali e gli sviluppi associati costituiscono il contesto per comprendere correttamente la tempistica con cui la Polonia ha rivelato che Kiev è responsabile dell’incidente dello scorso novembre che ha ucciso due polacchi. Quest’ultima mossa ha lo scopo di infiammare al massimo il risentimento popolare contro il regime ucraino, ma soprattutto non contro il popolo ucraino, per aiutare il PiS a vincere la rielezione con il più ampio margine possibile.

Il partito al potere sa che probabilmente sarà impossibile contenere completamente questo sentimento nazionalista, ed è per questo che ci sono ragioni per sospettare che ci possano essere ulteriori motivi dietro la sua ultima coltivazione. È possibile che vogliano ottenere il sostegno popolare dopo le elezioni, a patto che vincano e indipendentemente dal fatto che debbano formare un governo di coalizione con la Confederazione, per perseguire i migliori termini commerciali e di investimento possibili con l’Ucraina.

A tal fine, potrebbero fare pressioni per ottenere questo risultato al posto della restituzione da parte dell’Ucraina in bancarotta per l’uccisione accidentale dei due polacchi lo scorso novembre, in assenza della quale il PiS potrebbe minacciare un’escalation della guerra commerciale in corso. L’asso nella manica della Polonia è il controllo di quasi tutti gli accessi di terzi al Paese attraverso le sue vie di comunicazione stradali e ferroviarie, che nessun altro Stato dell’UE è in grado di eguagliare in termini di qualità o quantità, il che porta a ipotizzare che possa ostacolare anche i legami commerciali e di investimento con l’Ucraina fino alla risoluzione della controversia.

Questo sarebbe rilevante soprattutto per quanto riguarda la Germania, che sta facendo un grande gioco di potere in Ucraina a spese della Polonia, come è stato spiegato in precedenza in questa analisi qui. Tenendo conto di questa nuova sfida geostrategica, la Polonia potrebbe prendere seriamente in considerazione questo scenario per tenere sotto controllo la Germania e allo stesso tempo garantire la sua prevista “sfera di influenza” nell’Ucraina occidentale. Il ruolo ufficialmente dimostrato di Kiev nell’incidente di Przewodow fornisce il pretesto perfetto per raggiungere questi due obiettivi.

Anche se il PiS evitasse di sfruttare questa opportunità per qualsiasi motivo, magari a causa delle pressioni americane nel caso in cui Washington si preoccupasse che la disputa polacco-ucraina andasse fuori controllo, il partito probabilmente otterrebbe comunque qualche punto politico grazie alla sua ultima rivelazione. Il fatto è che i polacchi medi ora sanno che il regime di Zelensky ha le mani sporche del sangue dei loro due compatrioti, nonostante le sue smentite, e difficilmente gli perdoneranno di aver cercato di insabbiare la cosa.

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