Cina contro Stati Uniti: il fronte orientale della guerra. Teoria della convergenza, di Ding Ke

Si parla molto della concorrenza e del decoupling tra Stati Uniti e Cina. Ma è in corso un altro processo, che passa molto più inosservato: la convergenza nelle istituzioni delle due principali potenze del nostro secolo, nascosta dalla guerra tra sistemi.

Caratteristiche del sistema economico cinese

La terza dimensione del conflitto economico tra Stati Uniti e Cina è la competizione e il conflitto tra i sistemi economici dei due Paesi1. In che misura il sistema economico cinese è unico rispetto al sistema americano di economia di mercato? A questo proposito, la critica di Dennis Shea, allora ambasciatore degli Stati Uniti presso l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), è istruttiva. In occasione della riunione del Consiglio Generale dell’OMC tenutasi il 26 luglio 2018, subito dopo lo scoppio della guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, Denis Shea aveva affermato che «la Cina è in realtà l’economia più protezionista e mercantilista del mondo. Contrariamente alle aspettative dei membri, la Cina non si è mossa verso una più completa adozione di politiche e pratiche basate sul mercato da quando ha aderito all’OMC nel 2001. In realtà, è vero il contrario. Il ruolo dello Stato nell’economia cinese è aumentato». Per quanto riguarda i problemi del sistema economico cinese, ha evidenziato l’intervento del Governo cinese e del Partito Comunista nelle attività economiche e nell’allocazione delle risorse, la capillare presenza di imprese statali, il sistema di economia pianificata simboleggiato dal Piano quinquennale, la politica industriale simboleggiata da Made in China 2025, la creazione di capacità produttiva in eccesso attraverso i sussidi, il danno causato alla proprietà intellettuale da politiche irragionevoli e l’eliminazione dei concorrenti stranieri con lo strumento della politica industriale2.

Sebbene le osservazioni di Shea siano enumerative, possiamo, sulla base di questo indice, evidenziare tre punti sul carattere unico del sistema economico cinese visto dagli Stati Uniti. In primo luogo, il governo cinese dispone di un’enorme capacità di mobilitazione a favore dell’attività economica e per l’allocazione delle risorse. Questo avviene perché la Cina, in quanto Paese socialista, non consente la proprietà privata della terra. Cerca poi, per quanto possibile, di mantenere una forte presenza di imprese statali in aree strategiche come la finanza e l’energia. Inoltre, lo stesso Partito Comunista ha una notevole capacità organizzativa che usa per influenzare le comunità, anche quelle con una popolazione di qualche migliaio di persone. Questa situazione è fondamentalmente diversa dal sistema di economia di mercato degli Stati Uniti, che consente la proprietà privata di quasi tutti i fattori di produzione, compresi la terra e il capitale.

In primo luogo, il governo cinese dispone di un’enorme capacità di mobilitazione a favore dell’attività economica e per l’allocazione delle risorse: la Cina, in quanto Paese socialista, non consente la proprietà privata della terra

DING KE

In secondo luogo, il governo cinese sta cercando di sfruttare questa forte capacità di mobilitazione per avantaggiarsi nella competizione economica globale, in particolare tramite sussidi industriali. Come vedremo in seguito, l’intervento governativo nell’attività economica segue una sua logica. Tuttavia, per gli Stati Uniti, che hanno adottato il principio di allocazione delle risorse sulla base dei principi di mercato, qualsiasi intervento appare inevitabilmente una distorsione del mercato.

Xingzhi Xu

In terzo luogo, il governo cinese ha una forte tendenza a privilegiare alcune imprese con proprietari diversi, al fine di assicurarsi un vantaggio nella competizione internazionale, e non mantiene necessariamente condizioni di parità nella concorrenza. Questa situazione è stata interpretata dagli Stati Uniti come una questione di trattamento discriminatorio rivolto alle aziende straniere – furti di proprietà intellettuale, trasferimento forzato di tecnologia e restrizioni per entrare nel mercato – ma la realtà apprare più complessa. Per attirare le imprese, ci sono anche casi di trattamento preferenziale verso le aziende straniere o, per proteggere le imprese statali, casi di trattamento discriminatorio delle aziende private locali.

La Cina sta perseguendo seriamente la sua politica industriale dalla metà degli anni 2000.3 Durante questo processo, la Cina ha aumentato in modo significativo il suo sostegno a industrie specifiche in termini di sussidi e fondi governativi di orientamento. Secondo la prudente stima di CSIS, la Cina ha dedicato quasi l’1,8% del suo PIL alla politica industriale nel 2019, più di quattro volte il rapporto osservato dagli Stati Uniti nello stesso periodo4. Dopo l’intensificarsi delle tensioni tra Stati Uniti e Cina nel campo dell’alta tecnologia, Pechino ha iniziato a ricostruire il suo sistema nazionale di innovazione e il ruolo del Governo sta aumentando anche in aspetti che esulano dal puro sostegno finanziario, come il coordinamento delle attività di innovazione. Tuttavia, almeno per i quattro aspetti seguenti, c’è ancora spazio per discutere se queste azioni possano essere considerate contrarie al libero mercato e nocive alla concorreza.

In primo luogo, gli strumenti politici adottati dalla Cina, che si tratti di strumenti di sostegno finanziario, come i fondi governativi di orientamento, oppure di meccanismi di supporto alla ricerca di base o di sforzi per creare consorzi di innovazione, sono stati più o meno replicati nelle politiche industriali dei Paesi sviluppati.

In secondo luogo, le politiche industriali del governo cinese, volte a sostenere le industrie in fase di catch-up o quelle già mature, come la cantieristica navale o l’acciaio, hanno effettivamente distorto i principi del mercato e portato alla formazione di un eccesso di capacità produttiva. Tuttavia, a partire dall’implementazione della nuova strategia di innovazione autonoma nel 2006, il focus della politica industriale si è già spostato sulla creazione di industrie emergenti e sulla costruzione di un sistema nazionale dell’innovazione5. Allo stesso modo, l’ambito dell’intervento governativo si è gradualmente spostato dall’obiettivo tradizionale della politica industriale, cioè proteggere e incoraggiare le industrie nascenti, per mirare ora all’eliminazione degli alti livelli di incertezza e asimmetria informativa insiti nella creazione di nuove industrie e nel processo di innovazione.

In terzo luogo, va notato che c’è ancora una competizione feroce tra i governi locali in qualità di attori principali della politica industriale cinese

DING KE

In terzo luogo, va notato che c’è ancora una competizione feroce tra i governi locali in qualità di attori principali della politica industriale cinese. Nella creazione di nuove industrie, il comportamento dei governi locali si avvicina di più a quello dei venture capitalist che a quello del settore pubblico. In qualità di operatore effettivo dei fondi di orientamento governativi, il governo locale è stato in grado di svolgere le funzioni di selezione e incoraggiamento proprie dei venture capitalist, e la concorrenza intergovernativa ha anche incoraggiato la competizione tra i cluster industriali. La Cina ha formato diversi consorzi di innovazione locali, che rappresentano un mezzo importante per creare un sistema nazionale dell’innovazione. È molto probabile che la forte concorrenza tra questi consorzi inneschi in futuro una concorrenza attiva in materia di R&D tra le aziende.

In quarto luogo, per quanto riguarda la neutralità della concorrenza, le politiche discriminatorie nei confronti degli investimenti stranieri in termini di protezione della proprietà intellettuale e di trasferimento forzato di tecnologia hanno effettivamente rappresentato un problema. Tuttavia, questi non sono necessariamente i problemi principali per le aziende statunitensi in Cina, e molti indicatori mostrano un miglioramento, come dimostrano i risultati di un sondaggio condotto dalla Camera di Commercio Americana in Cina6.

Xu Lin, ex funzionario della Commissione per lo Sviluppo e le Riforme, responsabile della negoziazione sui sussidi durante i negoziati di adesione all’OMC, fornisce una valutazione accurata del sistema economico cinese7. Secondo Xu, un profondo intervento governativo è inevitabilmente criticato come strumento che porta ad una concorrenza sleale nel mercato, ma sottolinea che è improbabile che il governo cinese autorizzi la proprietà privata dei terreni o promuova la privatizzazione delle istituzioni finanziarie e delle imprese statali. Xu suggerisce che il Governo cinese dovrebbe limitare il più possibile il suo intervento diretto nell’allocazione delle risorse nell’area dei beni pubblici e allocarle piuttosto in altre aree, seguendo standard trasparenti e aperti e secondo un processo competitivo. In una certa misura, attraverso il meccanismo di convergenza istituzionale, la riforma istituzionale del governo cinese sta andando in questa direzione.

La Cina ha formato diversi consorzi di innovazione locali, che rappresentano un mezzo importante per creare un sistema nazionale dell’innovazione.

DING KE

Convergenza istituzionale tra gli Stati Uniti e la Cina 

Se il conflitto tra Stati Uniti e Cina continua, come si evolveranno in futuro la concorrenza e il conflitto tra i sistemi economici dei due Paesi? Come si trasformerà la divisione internazionale del lavoro, che è stata costruita attorno a due Paesi con istituzioni economiche diverse? A questo proposito, va sottolineato che il meccanismo della convergenza istituzionale, ossia l’aumento graduale del numero di aspetti del proprio sistema che sono simili a quelli dell’altro Paese, è decisamente all’opera tra le parti coinvolte nella competizione intersistemica.

Questo meccanismo è stato suggerito da Jan Tinbergen, il primo vincitore del Premio Nobel per l’Economia, negli anni ’60, con il nome di teoria della convergenza. Secondo Tinbergen, i campi comunista e capitalista, sotto la pressione di un’intensa competizione intersistemica, devono apprendere i punti di forza del sistema altrui per compensare le debolezze del proprio. Di conseguenza, nel blocco comunista sono penetrati elementi dell’economia di mercato, mentre nelle economie libere si è sviluppato il settore pubblico, e i due sistemi hanno avuto una graduale tendenza a convergere8.

Cui Zhiyuan dell’Università Tsinghua ha pubblicato un articolo intitolato «Decoupling or Convergece?» sul China Daily dell’8 ottobre 2019 e, citando la teoria della convergenza di Tinbergen, ha sottolineato che esiste una possibilità di convergenza istituzionale tra Stati Uniti e Cina. Cui ha indicato due casi cinesi che supportano la teoria della convergenza: (1) le misure per gestire l’eccesso di capacità produttiva e (2) il passaggio dalla «gestione dell’impresa» alla «gestione del capitale» durante la terza sessione plenaria del 18° Comitato Centrale sulla riforma della gestione degli asset di proprietà dello Stato. Come esempi da parte statunitense, ha citato invece le discussioni sulla nazionalizzazione del 5G negli Stati Uniti e la nuova politica industriale statunitense9.

Con l’intensificarsi del conflitto tra Stati Uniti e Cina, è probabile che Pechino impari di più da Washington, soprattutto nel campo dell’innovazione

DING KE

Sebbene le idee di Tinbergen, combinate con le analisi di Cui, siano davvero illuminanti, è importante notare alcune sottili e importanti differenze nei meccanismi di convergenza tra Stati Uniti e Unione Sovietica, e quelli tra Stati Uniti e Cina. In primo luogo, i sistemi economici adottati dagli Stati Uniti e dall’Unione Sovietica erano fondamentalmente diversi. D’altra parte, il sistema cinese, noto come «capitalismo di Stato» – il nome ufficiale in Cina è piuttosto «economia socialista di mercato» – pur enfatizzando il ruolo dello Stato, ha naturalmente anche un aspetto capitalista o di economia di mercato. Come Paese in via di sviluppo, la Cina ha tratto molto dalle istituzioni e dall’esperienza delle economie di mercato avanzate, in particolare da quella statunitense10. Per quanto riguarda il sistema dell’innovazione, che è al centro del sistema economico generale, la Cina ha incorporato attivamente le istituzioni e le esperienze degli Stati Uniti e di altri Paesi avanzati attraverso il rimpatrio di scienziati e ingegneri, al fine di ricostruire un sistema nazionale dell’innovazione. Con l’intensificarsi del conflitto tra Stati Uniti e Cina, è probabile che Pechino impari di più da Washington, soprattutto nel campo dell’innovazione.

D’altra parte, gli Stati Uniti non avevano inizialmente motivo di indagare sul sistema economico cinese. In risposta però alla sfida di Pechino, e consapevoli delle pratiche e del comportamento economico della Cina, gli Stati Uniti sono stati gradualmente costretti a prendere provvedimenti per rafforzare il loro intervento governativo.

In effetti, i recenti commenti dei politici statunitensi sulla politica industriale sono stati degni di nota proprio per la loro consapevolezza sulla Cina. Ad esempio, nell’articolo «L’America ha bisogno di una nuova filosofia economica», pubblicato su Foreign Policy nel febbraio 2020, prima del suo insediamento, il consigliere per la Sicurezza nazionale degli Stati Uniti, Jake Sullivan, e la sua coautrice Jennifer Harris hanno sottolineato che «Difendere una politica industriale (in senso lato, le azioni governative per rimodellare l’economia) era una volta considerato imbarazzante – oggi dovrebbe essere invece visto come qualcosa di praticamente ovvio» e che «le aziende statunitensi continueranno a perdere terreno nella competizione con le aziende cinesi se Washington continuerà a fare così tanto affidamento sul settore privato». L’articolo chiariva anche che, per affrontare la sfida cinese, era necessario adottare politiche industriali e rafforzare il ruolo del Governo nel processo di innovazione11. La rinnovata importanza degli investimenti pubblici e della strategia industriale nella definizione della politica economica sotto l’amministrazione del Presidente Biden è stata recentemente illustrata da Brian Deese sulle nostre colonne.

Xingzhi Xu

Per quanto riguarda le azioni effettive da parte del governo degli Stati Uniti, le proposte di legge per incoraggiare le strutture di produzione di semiconduttori a ristabilirsi sul mercato interno erano già state prese in considerazione sotto l’amministrazione Trump. E sotto l’amministrazione Biden, è stato approvato il CHIPS and Science Act per consentire un sostegno massiccio nella forma di sussidi. Queste azioni sono considerate molto attente alla politica cinese per l’industria dei semiconduttori. Per quanto riguarda lo sviluppo del settore dell’AI, il rapporto pubblicato dalla Commissione di Sicurezza Nazionale sull’intelligenza artificiale sottolinea chiaramente che la concorrenza deve essere inquadrata dallo Stato per sviluppare l’industria12. Nel campo delle tecnologie verdi, un’altra area considerata essenziale sia dal Governo statunitense che da quello cinese, nell0agosto del 2022 il Congresso ha adottato una massiccia politica di sovvenzioni verdi, l’Inflation Reduction Act, che mira ad aumentare massicciamente la produzione di veicoli, pannelli solari fotovoltaici, energia verde e idrogeno negli Stati Uniti, attraverso le sovvenzioni.

Un altro punto importante che differenzia la situazione attuale dalla convergenza tra Stati Uniti e Unione Sovietica è che, data la profonda interdipendenza tra gli Stati Uniti e la Cina, quest’ultima ha interesse a mantenere la divisione internazionale del lavoro che esiste con gli Stati Uniti.

Data la profonda interdipendenza tra gli Stati Uniti e la Cina, quest’ultima ha interesse a mantenere la divisione internazionale del lavoro che esiste con gli Stati Uniti

DING KE

Ciò si riflette chiaramente in una serie di riforme istituzionali dell’ambiente di investimento per le aziende straniere in Cina dal 2010. Come contromisura ai negoziati dell’Accordo di Partenariato Trans-Pacifico guidato dagli Stati Uniti, la Cina ha introdotto nel 2013 un sistema di liste negative in via sperimentale in quattro zone pilota di libero scambio, tra cui Shanghai. Questo sistema ha abolito il sistema della lista positiva, che designava individualmente quali industrie erano autorizzate ad entrare e consentiva alle aziende straniere di entrare in tutte le industrie non presenti nella lista. Nel 2017, il sistema della lista negativa è stato esteso all’intero Paese e le barriere all’ingresso delle aziende straniere nel mercato cinese sono state rapidamente abbassate. Con l’intensificarsi della disputa tra Stati Uniti e Cina, la parte cinese ha continuato a implementare le riforme istituzionali, tenendo conto della pressione degli Stati Uniti. Dopo la guerra commerciale del 2018, nel dicembre dello stesso anno, il governo cinese ha sottoposto a discussione un progetto di legge sugli investimenti esteri, che è stato adottato nel marzo 2019 ed è entrato in vigore nel 2020, in una data insolitamente precoce. Nella prima fase dell’accordo commerciale tra Stati Uniti e Cina, firmato nel gennaio 2020, il governo cinese ha anche adottato misure per adeguare le istituzioni economiche, in particolare eliminando i trasferimenti forzati di tecnologia e le barriere industriali discriminatorie nei settori bancario, dei titoli, delle assicurazioni e dei pagamenti elettronici. Il governo cinese ha anche fatto alcuni compromessi sull’aggiustamento economico

I risultati della serie di riforme istituzionali sono chiaramente illustrati nel «China Business Climate Survey Report», pubblicato annualmente da AmCham China. Come mostra la tabella qui sopra, la valutazione delle aziende associate ad AmCham China sul clima degli investimenti è peggiorata fino al 2016, ma è migliorata significativamente a partire dal 2017, in seguito all’introduzione del sistema di liste negative a livello nazionale. Anche la percentuale di aziende statunitensi che ritengono di essere trattate in modo equo – un indicatore di neutralità competitiva – è migliorata costantemente. Nello stesso sondaggio, una delle aspettative che le aziende associate esprimevano al Governo statunitense era quella di «impegnarsi per creare condizioni di parità per le aziende statunitensi che operano in Cina». Anche la percentuale di aziende che hanno selezionato questa voce è diminuita, passando dal 47% nel 2018 al 27% nel 2021.

Questo meccanismo di convergenza istituzionale è importante per il futuro della divisione internazionale del lavoro, che è stata costruita intorno agli Stati Uniti e alla Cina. Come spiega Inomata13, il conflitto economico tra Cina e Stati Uniti e la diffusione globale della pandemia di Covid-19 hanno portato «le aziende globali a considerare la forza di varie istituzioni nel Paese di destinazione o l’affinità con l’ambiente aziendale del Paese di origine come punti di riferimento importanti per la valutazione del rischio nell’espansione all’estero». In altre parole, la divisione internazionale del lavoro sarà favorita tra Paesi dotati di quadri istituzionali comuni, come i sistemi economici, gli standard tecnologici e i sistemi legali, mentre c’è una crescente possibilità di decoupling tra Paesi con quadri istituzionali diversi. In queste condizioni, la convergenza istituzionale tra Stati Uniti e Cina è estremamente importante per garantire la base istituzionale necessaria a mantenere l’attuale divisione del lavoro tra i due Paesi.

Va notato, tuttavia, che anche se questi meccanismi continuano a funzionare a lungo termine, è improbabile che i due sistemi economici convergano completamente verso uno stesso modello 14. Ciò è dovuto non solo alle differenze di sistemi politici e di capacità dei governi, ma anche allo scopo fondamentale della competizione tra i sistemi, che consiste nel mantenere una posizione di leadership nei confronti dell’altra parte attraverso la concorrenza. Questo meccanismo è decisamente diverso da quello del coinvolgimento, che incoraggia il cambiamento di regime nel Paese partner invitandolo a integrarsi nell’ordine internazionale esistente. Di conseguenza, quando si tratta di innovazioni che richiedono una fiducia profonda e un coordinamento complesso, o di attività economiche strettamente legate alla sicurezza, come quelle descritte nella seconda parte di questo studio, il margine di cooperazione tra Stati Uniti e Cina probabilmente si ridurrà – e sarà inevitabile un decoupling almeno parziale.

NOTE
  1. In questi ultimi anni, un numero crescente di studi hanno cominciato a interpretare la natura del conflitto tra Stati Uniti e Cina sotto la prospettiva della concorrenza tra sistemi. Brands (2018) si concentra sulle differenze tra regimi politici e Hayashi (2020) studia il carattere unico del sistema economico cinese dal punto di vista delle regole del commercio internazionale. Considerando che quest’opera tratta di conflitti economici, la discussione si concentra sulle differenze tra i sistemi economici dei due Paesi, in particolare sull’unicità del sistema cinese
  2. D. Shea, «Ambassador Shea: China’s Trade-disruptive economic model and implications for the WTO », Consiglio generale dell’OMC, Ginevra, 26 luglio 2018. Per una critica più completa del sistema economico cinese da parte del governo americano, consultare il rapporto annuale al 2022 Report to Congress On China’s WTO Compliance, pubblicato del Dipartimento del commercio americano. Oltre i punti sollevati dall’ambasciatore Shea, il report tocca anche questioni come quella della trasparenza.
  3. Ding Ke, «US-China High-Tech Disputes and the Transformation of China’s Industrial Policy : From Indigenous Innovation to the New Whole Nation System», in Ding Ke (dir.), US-China Economic Conflict : East Asian Responses to the Restructuring of International Division of Labor, IDE-JETRO, 2023.
  4. Gerard Di Pippo, Ilaria Mazzocco et Scott Kennedy, «Red Ink Estimating Chinese Industrial Policy Spending in Comparative Perspective», CSIS Report, maggio 2022.
  5. In alcune industrie emergenti, come l’industria degli schermi LCD, la sovrapproduzione è frequente. Tuttavia, al contrario delle industria tradizionali come l’acciaio, la sovrapproduzione nelle industrie emergenti caratterizzata da progressi tecnologici rapidi presenta un aspetto positivo nella misura in cui accelera l’introduzione di nuove tecnologie intensificando la concorrenza. Per un case study dell’industria cinese degli schemi LCD, rimando a LU (2016, capitolo 7, sezione 3).
  6. 中国美国商会 (AmCham China)『中国商業環境調査報告』(各年版).
  7. 徐林(Xu, L.) 2021.「从加入WTO 到加入CPTPP–中国産業政策的未来」『比較』(5):125-151.
  8. J. Tinbergen, «Do communist and free economies show a convergence pattern ?» Soviet Studies, 1961, 12(4), p. 333-341.
  9. Jonathan Gruber et Simon Johnson, «Jump-Starting America : How Breakthrough Science Can Revive Economic Growth and the American Dream», PublicAffairs, 2019.
  10. Ad esempio, la Cina, per entrare nell’OMC, ha dovuto creare delle leggi necessarie a un sistema di economica di mercato, prendendo spunto dall’esperienza dei Paesi sviluppati (secondo uno scambio di vedute con un esperto di ricerca dell’OMC in Cina l’11 novembre 2021).
  11. 経済産業省(METI)『通商白書』(各年版).- 2021「.経済産業政策の新機軸–新たな産業政策への挑戦」産業構造審議会の配布資料.
  12. Sahashi Ryo, «US-China Economic Conflicts and the Biden Administration», in Ding Ke, US-China Economic Conflict : East Asian Responses to the Restructuring of International Division of Labor, IDE-JETRO, 2023.
  13. 猪俣哲史(Inomata, S.) 2020「制度の似た国同士で分業へ 国際貿易体制の行方」『日本経済新聞』7月14日.
  14. In questo senso, è necessario continuare a seguire i differenti indicatori della tabella 3 per vedere in che misura possono essere migliorati

ll sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure PayPal.Me/italiaeilmondo  Su PayPal, ma anche con il bonifico su PostePay, è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (pay pal prende una commissione di 0,52 centesimi)

 

Industria e diritto di fronte allo smantellamento delle catene del valore_Intervista a Fabio Londero

Una intervista significativa che offre diversi spunti importanti che toccano alcune chiavi importanti di interpretazione che informano la produzione di questo sito. Intanto l’estensione del concetto di profitto, non solo nelle sue modalità di calcolo, anche esse discrezionali, ma anche dei criteri legati alla efficienza, alla solidità, alla possibilità di esistenza e, quindi, di mantenimento e perpetuazione del comando e del potere dei dirigenti. Figure, quindi, impegnate nel perseguimento di strategie politiche. Un altro aspetto riguarda il legame necessario che le aziende, il loro staff manageriale, devono mantenere, essendone anche l’espressione, con il proprio contesto sociale/culturale e, soprattutto, con i centri decisori nello Stato. Qui occorre fare una distinzione, del resto adombrata dallo stesso intervistato. Quella del legame originario con uno Stato egemone o, quantomeno, in possesso delle piene prerogative sovrane oppure con uno Stato dai centri decisori subordinati e sottomessi. Paradossalmente, l’autonomia strategica e decisionale delle aziende radicate in questi ultimi risulta spesso essere maggiore rispetto alle prime, anche se di fatto, in proporzione alla strategicità e peso delle loro attività, finiscono progressivamente per essere risucchiate dalla volontà egemonica dei centri decisori degli stati dominanti o da assumere questi come riferimento. La stessa esigenza di uniformazione dei principi etici, organizzativi e giuridici delle multinazionali deve appoggiarsi al tentativo degli stati egemoni di imporre la propria giurisdizione, il proprio intervento ed il proprio diritto nell’agone internazionale. L’insistenza sulle crescenti difficoltà delle multinazionali a mantenere coerenza ed unitarietà, operatività in un contesto geopolitico sempre più frammentato espressa nell’intervista è di per sé eloquente. A parere dello scrivente l’autore mette di fatto in discussione diversi punti fermi che vincolano e distorcono il dibattito oltre che in parte della corrente di pensiero dominante, soprattutto nell’area contestatrice dell’attuale assetto geopolitico/geoeconomico sino a rendere quest’ultima sterile e impotente. Tra questi il tema della cosiddetta crisi sistemica del capitalismo, del suo sistema unitario, tema per altro ricorrente almeno negli ultimi due secoli; la contrapposizione tra sistemi a dominio capitalistico da una parte, nella fattispecie il mondo occidentale a predominio anglo-statunitense, e sistemi a controllo politico; l’asserito predominio assoluto nei primi dei “nani della finanza” e della natura parassitaria del loro predominio e della predazione, anch’esso un tema ricorrente, almeno dalla fine del ‘800, nella narrazione antagonista. Si tratta, certamente, di una narrazione che “facilita” enormemente l’individuazione di un avversario perfettamente circoscritto, nella figura e nella dimensione, surdeterminato e, quindi, facilmente additabile al ludibrio delle “moltitudini”. Facili, però, quanto distorcenti di una realtà, esattamente come i mulini a vento del don Chisciotte.

Tocca ai Sancio Panza di turno introdurre qualche elemento di realtà più complesso, più scomodo, ma forse più proficuo alla costruzione di un disegno politico più impervio, ma più praticabile e meno fallimentare:

  • il modo di produzione capitalistico, in quanto rapporto sociale di produzione, è ormai da tempo presente nell’universo mondo e, devo dire, ambìto, pur in diverse modalità e intensità, da tutti i centri decisori delle varie formazioni sociali e statuali
  • una presenza diffusa che deve quindi pagare lo scotto di un adattamento ai contesti storici, culturali e territoriali, agli assetti di potere delle varie formazioni sociali; contribuendo quindi a plasmarli, ma anche ad essere plasmati e ad essere differenziati. Più che di capitalismo, si dovrebbe parlare, quindi, di capitalismi, per meglio dire di centri decisori capitalisti in cooperazione e conflitto tra loro, ma facenti parte, comunque, di centri decisori politici e strategici dagli interessi e da punti di vista più ampi rispetto alle mire di mero conseguimento di profitto
  • rispetto alle dinamiche capitalistiche interne, più che di crisi sistemica, parlerei di crisi cicliche o di crisi sistemiche propedeutiche alla formazione di nuovi assetti… appunto capitalistici
  • quanto al carattere finanziario e parassitario del capitalismo occidentale e al predominio politico assoluto delle sue figure occorre precisare e delimitare numerosi aspetti. Osservando il percorso dei flussi e il loro utilizzo si può facilmente osservare che anche quelli a carattere più speculativo, pur favorendo e alimentando in parte singoli protagonisti di natura parassitaria, assolvono in ultima istanza ad una funzione di drenaggio a fini di esercizio di potenza politica e di strategie politiche e di conformazione più o meno funzionale e coesa delle formazioni sociali-statuali dominanti; lo stesso ambito finanziario è molto articolato ed è riconducibile solo in parte ad attività speculative puramente parassitarie; nelle stesse attività finanziarie sono implicate quelle stesse imprese multinazionali che non sono avulse dalla produzione dei beni, ma che ne controllano le filiere e le catene globali di produzione con l’azione e il sostegno fondamentale degli stati egemonici

Per concludere un ragionamento che meriterebbe altri spazi ed altra profondità, più che di centri decisori finanziari egemonici nel mondo occidentale, parlerei di “strateghi del capitale” (Gianfranco La Grassa), non solo finanziari, facenti parte a pieno titolo, ma con peso più o meno relativo, di centri decisori strategici politici in competizione e conflitto tra di essi a fini di potere e di conformazione delle formazioni sociali, quindi anche di costruzione di identità e collettività e di obbligo e necessità di costruzione di una qualsivoglia coesione sociale, delle quali sono espressione. Nell’azione dei quali l’aspetto economico è solo parte ed è intriso dell’azione politica e delle finalità politiche di potere. Ambito, quello economico, che, con l’affermazione del modo capitalistico, ha assunto forme sempre più sofisticate e pervasive e, nei periodi di affermazione egemonica, carattere di apparente neutralità ed oggettività. Può assumere un interesse predominante tuttalpiù nelle periferie dei sistemi imperiali. Questo vale, pur in diversa misura e in diverse fasi storiche per tutte le formazioni sociali e per tutti i poli in via di formazione.

Possono sembrare sottigliezze fini a se stesse. In realtà hanno implicazioni particolarmente pesanti nel dibattito e nell’azione politica. Nella fattispecie nella caratterizzazione “neomedievale” delle future società, con annessa debilitazione del potere statale ridotto e conteso da altre figure, tese a generalizzare, secondo le tesi di importanti centri di pensiero (Rand), una condizione di crisi dello Stato altrimenti propria invece di alcune formazioni sociali declinanti in particolare del mondo occidentale, squassate da conflitti interni distruttivi; nella visione “populistica” del rapporto assolutamente determinante tra centri decisori, élites tout court e strati bassi della società; nel rapporto tra “moltitudini” e cupole ristrette di potere. In altre parole in una riduzione semplicistica delle stratificazioni sociali, delle gerarchie, della funzione delle élites e delle dinamiche del conflitto politico e sociale, di quelle geopolitiche e di conflitto orizzontale tra centri. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Industria e diritto di fronte allo smantellamento delle catene del valore

FABIO LONDERO — “Non c’è un’etica condivisa lungo la supply chain”: stiamo per far deragliare le catene del valore con i nostri valori?

In un mondo rotto e sempre più regolamentato, le multinazionali che avevano puntato su una crescita globalizzata e su un diritto uniforme rischiano di disgregarsi. Per Fabio Londero, General Counsel del gruppo siderurgico friulano Danieli, le conseguenze negative dell'”effetto Bruxelles” potrebbero essere fatali.

Fabio Londero è un giurista d’impresa, Group General Counsel della multinazionale friulana Danieli, tra i leader mondiali nella produzione di impianti siderurgici.

Fare impresa in un mondo, allo stesso tempo, globalizzato e frammentato, costringe a confrontarsi con notevoli rischi, di carattere economico, politico e giuridico. Negli ultimi anni si è sviluppata un’altra tipologia di rischio, che concerne, più che altro, l’immagine di una impresa di fronte all’opinione pubblica. Trattasi del cosiddetto rischio reputazionale, strettamente legato al concetto di etica d’impresa. In cosa consiste e quanto rileva all’interno della vita di una multinazionale?

Penso sia utile ripartire dall’insegnamento, che oggi sembra così sorpassato, di Milton Friedman, secondo cui l’impresa deve perseguire gli interessi degli azionisti, nel rispetto della legge. Tale massima, e in particolare la sua seconda parte, ossia la mera conformità dell’attività di impresa rispetto all’ordinamento giuridico vigente, rimane per me un canone fondamentale. È chiaro poi che tale approccio debba essere senz’altro rimodulato alla luce del contesto. Ho sempre avuto dubbi, però, sull’agire etico dell’azienda. John Locke, qualche secolo fa, evidenziava come l’etica fosse passata dalla religione allo Stato. Ora sembra che sia passata, in parte, dallo Stato alle aziende. Solo che l’impresa, e in particolare la multinazionale, è composta da un insieme di valori spesso differenti, non comprimibili in una scelta politica del consiglio di amministrazione. Una multinazionale, pure se occidentale, lavora in decine e decine di paesi e contesti giuridici e culturali profondamente diversi: è impossibile, se non proprio controproducente, trascurare idee e valori estranei ai nostri, così come non è possibile ignorare i quadri giuridici dei paesi in cui si opera, che sono dettati dai più svariati fattori di carattere politico, economico e culturale. Il principio di realtà per affrontare questo mondo frammentato dovrebbe essere informato da logiche che permettano all’impresa di rimanere efficiente, senza una adesione totale agli scontri politici e valoriali in atto. Anche perché, quando dico che l’impresa dovrebbe limitarsi a perseguire i profitti nel rispetto della legge, non intendo solo il cosiddetto lucro; profitto deriva dal latino proficĕre, che significa innovare, perfezionare, essere efficienti. Questo deve essere secondo me il paradigma dominante, specie in un contesto geopolitico così turbolento.

Spesso un’attività, seppure lecita secondo leggi e consuetudini in vigore, ciononostante subisce un vaglio di tipo etico. Da qui il dilemma: agire semplicemente in conformità delle leggi, assumendosi il rischio del danno reputazionale, o rinunciare a determinate attività e affari in via preventiva, per evitare possibili condanne morali? Trattasi, in ultima istanza, di una analisi costi-benefici? 

Molto spesso, la prima domanda che si pone un manager di una multinazionale è: tale azione è legale o illegale? Se è legale, la decisione è quasi già presa. Questo è – e secondo me dovrebbe pure rimanere – il paradigma tradizionale. È chiaro poi che quando si opera nei mercati globali vi sono certi rischi di carattere reputazionale. Credo però che spesso questa dimensione del danno da immagine sia eccessivamente sopravvalutata: se il prodotto è valido, l’eventuale danno da immagine lascerà il tempo che trova. Dopodiché, mi chiedo: si può dire che il danno reputazionale è lo stesso per le decine di paesi in cui la multinazionale opera? O è solo quello occidentale? La catena del valore è anche una catena dei valori, che passa per molteplici sistemi, tradizioni, culture. Non c’è un’etica condivisa lungo la supply chain. Per questo insisto sul fatto che l’unico imperativo da seguire, ulteriore rispetto ai profitti, sia quello legale: il limite e lo spazio dell’agire di impresa è e deve essere solo quello tratteggiato dai diversi legislatori.

John Locke, qualche secolo fa, evidenziava come l’etica fosse passata dalla religione allo Stato. Ora sembra che sia passata, in parte, dallo Stato alle aziende.

FABIO LONDERO

In merito al rischio reputazionale, sempre più centrale è il tema ambientale. Da qui, i vari criteri ESG, norme e direttive comunitarie, codici di condotta, raccomandazioni e soft law. Si richiede all’impresa, insomma, di essere il più possibile sostenibile, specie in Europa. Quanto incide o potrà incidere il tema ambientale nell’attività di impresa?

La decisione di perseguire una politica ambientale, sul fronte, ad esempio, della produzione di beni industriali, molto spesso non deriva da una decisione di carattere ideologico-politico assunta in qualche consiglio di amministrazione sotto la spinta delle raccomandazioni di Bruxelles. È molto più probabile, invece, riscontrare scelte aziendali che hanno origini nel tempo e che nascono da intuizioni, sviluppo di nuove competenze tecniche e, soprattutto, esigenze della clientela. Mi permetto di fare un esempio riferito all’azienda per cui lavoro, la Danieli & C. Officine Meccaniche S.p.A. Negli anni ci siamo ritagliati un ruolo leader nel cosiddetto green steel, ma questo perché? Non si tratta di una mera decisione di essere sostenibili, ma di un insieme di dinamiche di impresa, come i clienti che vogliono prodotti più efficienti, l’individuazione di soluzioni tecnologiche e competenze, l’intuizione di nuovi mercati. Grazie a questa combinazione di fattori, anni fa si è deciso di andare oltre al paradigma dei grandi impianti tipico degli anni ’60, investendo invece nella maggiore efficienza dei micro-impianti, di dimensioni più contenute e più localizzati (in prossimità dei clienti), con impatti positivi in termini di minore inquinamento, minore spesa energetica e via dicendo. Un passo avanti verso la sostenibilità, ma guidato da logiche decisamente più complesse – e, mi si permetta, capitalistiche – della mera decisione dall’alto di darsi un volto verde.

Un classico esempio dell’approccio dell’Unione europea è quello attuale della Direttiva sulla Corporate sustainability due diligence (CS3D), che impone diversi accorgimenti alle multinazionali sul fronte della sostenibilità lungo la supply chain. Cosa ne pensi?

Penso che stiamo assistendo ad una bulimia di normative, parametri, direttive, raccomandazioni di soft law. Il che ha implicazioni non solo in relazione ai maggiori rischi giuridici, ma anche sul fronte dei costi, tanto che a volte mi chiedo provocatoriamente quanto sia sostenibile la sostenibilità. Peraltro, oltre al tema dei costi, vi è un discorso di fattibilità. Pensiamo proprio alla Direttiva CS3D: identificare nuovi oneri e adempimenti è facile, ma chi si ritrova a doverli applicare deve fare fronte alla complessità della supply chain. Andare a ritroso nella catena per verificare se uno delle centinaia di fornitori rispetta o meno determinati principi non solo è piuttosto complicato (oltre ad ulteriori accorgimenti di compliance, nel concreto cosa deve fare l’impresa? Ispezioni tra decine e decine di paesi?), ma riporta anche a quanto già detto sulla catena, che non è solo del valore, ma dei valori: questi principi possono valere per noi occidentali, ma non per altre realtà, che rispondono a differenti sistemi culturali e giuridici. Un uso eccessivo di tali strumenti rischia di tradursi in quello che chiamo “imperialismo dei valori”: ossia l’errore di assumere la nostra prospettiva come universale, mentre il mondo – e lo vediamo ogni giorno – è eterogeneo, “particolare”. Da cittadino italiano o europeo posso anche essere d’accordo sull’attenzione verso certi valori, ma per un’impresa conta anche il principio di realtà.

Vi sono poi le implicazioni giuridiche di tali politiche e legislazioni o para-legislazioni ambientali. Uno dei rischi più concreti è che a livello giudiziario inizino ad essere adottate decisioni basate su principi che non si fondano su normative cogenti e certe, bensì su parametri, standard e best practices di soft law. Se i tribunali, nonostante l’assenza di vere e proprie leggi vincolanti, cominciassero ad applicare tale apparato di soft law alla stregua di un principio generale dell’ordinamento, questo si tradurrebbe in un panorama di profonda incertezza, ove alla fine l’attività di impresa finirebbe per dipendere dalla sensibilità del singolo giudice. Mancherebbero la prevedibilità e la calcolabilità del rischio giuridico. E il soft law rischierebbe di tramutarsi in hard law, non per opera del legislatore, bensì di un giudice.

La catena del valore è anche una catena dei valori, che passa per molteplici sistemi, tradizioni, culture. Non c’è un’etica condivisa lungo la supply chain.

FABIO LONDERO

Quali possono essere le implicazioni di queste fratture, anche valoriali e non solo politiche, all’interno delle catene del valore?

Se la divisione politica e valoriale dovesse essere perseguita in modo netto, nella direzione di un sempre minore dialogo tra sistemi giuridici e culturali differenti, il rischio concreto è quello di una frammentazione dell’attività aziendale, nell’ottica di una divisione per aree: così, per fare un esempio, la multinazionale Alpha si scinderebbe, di fatto, in un ramo con un brand occidentale, uno orientale e via dicendo, secondo regimi valoriali e legislativi diversi e, dunque, separandone i destini e la comunicabilità, come avvenuto in parte nel caso Sequoia riportato da Jeremy Ghez in un articolo su Grand Continent. Il punto è che una multinazionale è, dalla prospettiva economico-produttiva, un tutt’uno organico. È impossibile dividerla senza romperla, ad esempio creando Alpha Cina, Alpha Usa e Alpha Italia e pretendendo logiche, politiche e decisioni radicalmente diverse a seconda del contesto. L’azienda è interconnessa, vi è un flusso di conoscenze, competenze e rapporti che non si può scindere, a mio parere. La tecnologia, ad esempio, è una, attraverso la quale si progetta, si realizza, si produce. Come si può suddividere il patrimonio in entità separate e tra loro non comunicanti? Significherebbe, di fatto, privare la multinazionale della sua ragion d’essere organizzativa, economica e aziendale.

© Danieli Corus

Negli ultimi anni, le tensioni che percorrono il panorama internazionale hanno sollevato un ulteriore interrogativo per le imprese. Come muoversi rispetto alla politica estera dello Stato di riferimento? E, soprattutto, si può dire che pure le multinazionali, in ultima istanza, non prescindono dalla frammentazione del panorama in Stati nazionali e dalla singola bandiera che, nonostante le numerose filiali e sussidiarie, le identifica?

Dal mio punto di vista, non si può ignorare il fatto che ogni impresa ha un’origine, che per forza di cose è in un certo paese e secondo la sua legge. L’importanza del nesso tra impresa controllante e Stato di origine, e relativa politica estera, è pacifica. Detto questo, ribadisco – rifacendomi soprattutto all’esperienza delle aziende produttive, che è la realtà che conosco meglio – un punto fondamentale: una multinazionale che produce determinati beni opera in diversi paesi e siti produttivi. Ciò significa che, il più delle volte, ci sono migliaia di dipendenti in giro per il mondo, in percentuali maggiori di quelle presenti nello Stato d’origine. Se il cuore è in un posto, vi sono tante altre parti del corpo dislocate per decine e decine di paesi, che hanno altrettanta rilevanza. Peraltro, il tema secondo me si complica quando si va a discutere di filiali aperte in un altro Stato. Queste filiali sono disciplinate dal diritto dello Stato in cui sono costituite, non da quello dello Stato d’origine della controllante. Penso al tema delle sanzioni, la cui complessità deriva anche e soprattutto dalla diversità dei sistemi giuridici che informano le filiali lungo la catena. Spesso, il diritto che le regola non è quello occidentale che ha imposto le sanzioni, pur considerando la portata extraterritoriale che questo intende assumere. Nel momento in cui un soggetto opera all’estero, accetta anche le normative locali di riferimento. Questo rende meno scontata l’implementazione di certe politiche.

La catena non è solo del valore ma dei valori: questi principi possono valere per noi occidentali, ma non per altre realtà, che rispondono a differenti sistemi culturali e giuridici.

FABIO LONDERO

In uno scacchiere globale così anarchico, paiono paralizzati i vari sistemi sovranazionali di risoluzione delle dispute, dagli arbitrati internazionali al WTO, mentre proliferano misure protezionistiche di carattere unilaterale: cosa significa questo nel concreto? Ci troviamo di fronte ad una rivincita, ammesso abbia mai perso, della diversità, tra molteplici Stati nazionali, giurisdizioni, culture, confini e interessi contrapposti, rispetto alle pretese unificatrici del mercato?

Nelle dinamiche politiche, così come in quelle economiche, a partire soprattutto dall’entrata della Cina nell’Organizzazione mondiale del commercio nel 2001, ci si è illusi sull’esistenza di un mondo pacifico e globalizzato, paradigma che oggi si scontra con un contesto geopolitico radicalmente cambiato. Certo, per una multinazionale il mondo piatto e unificato dal mercato sarebbe il contesto più auspicabile, ma la realtà non è più questa, ammesso sia mai stato veramente così.

Uno degli indici più concreti e interessanti per registrare tali cambi di paradigma è proprio quello delle controversie internazionali, che le multinazionali affrontano ogni giorno. Pensiamo all’arbitrato internazionale: anche in presenza di lodi arbitrali favorevoli, che ad esempio riconoscono il diritto ad ottenere dei beni di una impresa estera, nel concreto la possibilità di enforcement, ossia di eseguire questi lodi nello specifico paese per ottenere tali asset, è spesso impedita da una serie di misure protezionistiche delle singole realtà statuali. Tale tendenza sconfessa, da un certo punto di vista, l’idea del mercato globale regolato da un regime giuridico universale e uniforme. Nonostante le Convenzioni sottoscritte, di fatto risulta sempre più difficile vedersi riconosciuta la sentenza internazionale, a causa di barriere più o meno surrettizie che vengono innalzate dai singoli Stati. Così, anche se si ottiene un lodo favorevole contro un’impresa cinese, o egiziana o brasiliana e via dicendo, poi nel momento in cui si va ad eseguire tale lodo nei rispettivi paesi ove si trovano gli asset, ci si vede opporre una qualche eccezione di ordine pubblico interno che impedisce il riconoscimento del credito. E a cosa serve un lodo arbitrale internazionale che non si riesce a eseguire nel concreto? L’arbitrato internazionale è nato proprio come modello ideale di risoluzione delle controversie a livello sovranazionale, per evitare di affidarsi a sistemi giuridici statali di paesi problematici, ma ciò non è stato sufficiente a svincolare la realtà dalla concreta geografia degli asset, ossia dalla giurisdizione del singolo Stato in cui bisogna poi eseguire i lodi. Questo diventa un problema soprattutto con i soggetti locali, che hanno beni localizzati solo nel proprio Stato di riferimento, mentre le multinazionali hanno quantomeno asset più dislocati.

Trattasi di un altro fattore che può indurre alla frammentazione delle imprese in sezioni tra loro separate. Isole produttive, economiche e giuridiche sempre più indipendenti l’una dall’altra, in modo da ridurre i rischi di essere aggrediti e avvalersi, al caso, delle protezioni domestiche dello Stato. Un mondo che si frammenta in un arcipelago di isole la cui comunicazione è sempre più ridotta. Dai mercati globali ai mercati interni, con una separazione di fatto della capogruppo dalle proprie ramificazioni nei singoli paesi, con minore, se non nullo, trasferimento di ricchezze, competenze e tecnologie. Il problema, però, è che, come dicevo, la multinazionale è un tutt’uno organico, che necessita di scambi, interconnessioni. Ho dei dubbi sulla fattibilità, in concreto, di questo sistema ad arcipelago. Il rischio è che a forza di frammentare si finisca, sostanzialmente, per rovesciare le fondamenta su cui poggia una multinazionale contemporanea.

Una multinazionale è, dalla prospettiva economico-produttiva, un tutt’uno organico. È impossibile dividerla senza romperla

FABIO LONDERO

Rinnovata centralità dello Stato e della politica estera da un lato, maggiore sensibilità delle opinioni pubbliche, specie occidentali, dall’altro. È ormai impossibile per un’impresa emanciparsi dalla tenaglia composta da queste due dimensioni? Ogni fase di transizione comporta rischi, opportunità, cambi di paradigma. Quale può essere secondo te il ruolo della multinazionale al termine, se mai vi sarà un termine, di questo interregno?

Sono dell’idea che in questo mondo frammentato le aziende dovrebbero adottare una politica di basso profilo. Non bisogna ignorare la tenaglia di cui parli, ma proprio perché vi sono plurime e spesso eterogenee pressioni, l’obiettivo potrebbe essere quello tradizionale di perseguire il profitto, inteso come innovazione, efficienza, valore dell’azienda. In questo contesto non si può ignorare il quadro geopolitico, né quello dell’opinione pubblica, ma l’impresa ha una sua dimensione e deve fare i conti con i continui rapporti con le proprie ramificazioni. Quando mi confronto con un manager di un paese straniero, con valori diversi da miei, cosa devo fare? Chi ha ragione? Magari dal mio punto di vista occidentale ho ragione io, però non credo sia nell’interesse dell’impresa alzare un muro per tale mancata condivisione di un’etica comune. Per questo l’azienda dovrebbe fare un passo indietro: alla fine, cosa unisce i diversi manager? Degli scambi efficienti che portino ricchezza. Anche perché le imprese, come soggetti, non hanno alternativa, salvo perdere mercati o dividersi.

Poi certo, c’è chi potrebbe dire che proprio per le turbolenze geopolitiche di questa fase storica le imprese dovrebbero partecipare attivamente alla politica estera dei propri Stati. Questo però dipende dal contesto. Negli Stati Uniti si è sempre registrato, storicamente, un dialogo tra dimensione pubblica e privata, pensiamo alla nascita di Internet, ma stiamo parlando di un mercato enorme e di un paese con una politica estera piuttosto definita, centrale nella sua proiezione. Ma noi italiani? O noi europei? Possiamo avere buoni rapporti con le istituzioni di riferimento, certo. Ma pensiamo all’Europa: al momento è ancora percorsa da diverse geografie politiche, non è una nazione. Esiste veramente una politica industriale europea? Esiste una politica antitrust. O ambientale tuttalpiù. Ma qual è la politica estera e di sovranità europea? Se non si diventa un soggetto politico, si rimane, sostanzialmente, dei mercanti.

ll sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure PayPal.Me/italiaeilmondo  Su PayPal, ma anche con il bonifico su PostePay, è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (pay pal prende una commissione di 0,52 centesimi)

Sovvertire[Artifice]=Conservare[Sé]; _ di SIMPLICIUS

L’altro giorno ero assorto nei miei pensieri, meditando sulla buona scrittura e su ciò che la distingue da quella semplicemente media. Avevo letto un nuovo articolo di uno dei miei scrittori preferiti nel modo in cui lo faccio di solito: vedi, noi scrittori, o creativi in ​​generale, non ci godiamo il lusso di leggere semplicemente per piacere, come persone normali del “pubblico per eccellenza”. ‘ Fare. Dobbiamo infatti avvicinarci alla lettura con occhio scrutatore, a volte accogliendo il testo per spezzoni per contemplare ed elaborare l’aspetto artigianale di cui abbiamo appena assorbito.

Scrivere ad alto livello non è facile. Danzare sul filo del rasoio tra ispirazione e facilità meccanica non è semplicemente naturale in ogni momento. Nell’arte, si impara che non esiste qualcosa come aver raggiunto un livello innato di “maestria” ultima che ti garantisca una licenza irrevocabile per produrre “grandezza” e “qualità” a comando; semplicemente non funziona in questo modo, sfortunatamente. O forse dovrei dire fortunatamente, poiché si concilia con il tema di cui sto tracciando i contorni.

Come è normale per ogni aspirante scrittore appassionato, ho letto la mia parte di libri “come fare”, che includono tutti quelli popolari come On Writing di Stephen King, fino a quelli più oscuri come From Where You Dream di Robert Olen Butler , che si avvicina l’arte da un obiettivo meno tradizionalmente didattico e più centrato sull’ispirazione e creativo. Una cosa che alcuni dei migliori libri insegnano è che la buona scrittura è molto spesso inaspettata e sorprende il lettore con nuove interpretazioni di scene familiari e logore o stereotipi stanchi, sia dal punto di vista tematico e della trama, sia dal punto di vista della frase grammaticale di primo livello. .

The Making of a Story di Alice Laplante , ad esempio, insegna come bisogna evitare i cliché, ovvero la risposta o la risoluzione attesa a una determinata impostazione. Ad esempio: se un personaggio è sul letto di morte, è meglio evitare gli scambi di dialoghi più attesi, gli addii piangenti e le pause sentimentali. È meglio sorprendere il lettore con qualcosa che non aveva mai sperimentato prima in quel tipo di scena, qualcosa che potrebbe rendere la morte del personaggio molto più memorabile, distinguendosi tra le infinite ricostruzioni.

Fornisce un esempio tratto da Voglia di tenerezza di Larry McMurtry :

“Prima di tutto, truppe, avete entrambi bisogno di un taglio di capelli”, ha detto Emma. “Non lasciare che la tua frangia diventi così lunga. Hai degli occhi bellissimi e dei volti molto carini e voglio che la gente li veda. Non mi interessa quanto tempo ci vorrà, tienilo lontano dagli occhi, per favore.”

“Non è importante, è solo una questione di opinione”, ha detto Tommy. “Stai migliorando?”

“No”, disse Emma. “Ho un milione di tumori. Non riesco a guarire.”

“Oh, non so cosa fare”, disse Teddy.

“Beh, sarà meglio che vi facciate degli amici entrambi”, disse Emma. “Mi dispiace per questo, ma non posso farci niente. Nemmeno io posso parlarti ancora a lungo, altrimenti mi arrabbierò troppo. Fortunatamente abbiamo avuto dieci o dodici anni e abbiamo parlato molto, e questo è più di quanto molte persone capiscano. Fatti degli amici e sii buono con loro. Non aver paura nemmeno delle ragazze.

“Non abbiamo paura delle ragazze”, ha detto Tommy. “Cosa te lo fa pensare?”

“Potresti arrivare più tardi”, disse Emma.

“Ne dubito”, disse Tommy, molto teso.

Quando vennero ad abbracciarla, Teddy cadde a pezzi e Tommy rimase rigido.

“Tommy, sii dolce”, disse Emma. “Sii dolce, per favore. Non continuare a fingere che non ti piaccio. È sciocco.»

“Mi piaci”, disse Tommy, alzando forte le spalle.

“Lo so, ma negli ultimi due anni hai fatto finta di odiarmi,” disse Emma. “So che ti amo più di chiunque altro al mondo, tranne tuo fratello e tua sorella, e non starò qui abbastanza a lungo per cambiare idea su di te. Ma vivrai a lungo, e tra un anno o due, quando non sarò più qui a irritarti, cambierai idea e ricorderai che ti ho letto un sacco di storie e ti ho fatto un sacco di storie. frappè e ti ho permesso di divertirti un sacco quando avrei potuto costringerti a falciare il prato.

Entrambi i ragazzi distolsero lo sguardo, scioccati dal fatto che la madre stesse dicendo queste cose.

“In altre parole, ti ricorderai che mi ami”, disse Emma. “Immagino che desidererai potermi dire che hai cambiato idea, ma non potrai farlo, quindi ti dico ora che so già che mi ami, solo così non sarai presente dubitare di questo più tardi. Va bene?”

“Va bene”, disse Tommy velocemente, con un po’ di gratitudine.

LaPlante elabora:

Parla di una situazione piena di insidie ​​​​del sentimentalismo! Una madre morente sul letto di morte, parla per l’ultima volta con i suoi figli. Eppure McMurtry evita di fornirci dialoghi “attesi” o eccessivamente familiari. Ci radica profondamente nel mondo della storia, nei personaggi e nelle loro relazioni, e superiamo questo momento difficile sollevati e infinitamente commossi.

E il suo kicker:

Come riusciamo a scrivere cose che non siano né melodrammatiche né sentimentali? Semplice. Notando le cose. Notare davvero le cose. Questo è il nostro primo lavoro.

Spiega che, in sostanza, ciò che ci rende veramente umani è la nostra capacità di notare e agire nei minimi e apparentemente irrilevanti nella nostra esperienza quotidiana: è ciò che consente a una coppia di persone di vedere la stessa cosa, pur mantenendo due prospettive totalmente diverse. di esso. Per ridurlo ancora di più, è la sensibilità per le sfumature .

Ma cos’è che dà a noi umani questi attributi? Per prima cosa, una curiosità nata dalla nostra condizione umana: quelle educazioni e storie di vita unicamente personali, i nostri dolori e sofferenze che hanno contribuito al bisogno di risposte dalla vita. Uno dei fattori più determinanti negli esseri umani è la nostra caratteristica mancanza , vale a dire, le cose che abbiamo perso o che ci mancano, le cose che non abbiamo mai avuto ma che continuiamo a desiderare per una qualche misteriosa percezione di ciò che potrebbe realizzarci, di ciò che potrebbe riempirci. quei buchi dolorosi nel nostro essere.

Ciò che rende gli esseri umani unici grazie all’intelligenza artificiale è quella meraviglia in ricerca, la ricerca infinita di incognite nate dalle nostre profonde cicatrici e imperfezioni, le ancore confuse dei nostri ricordi nostalgici. È come se trovare le risposte potesse convalidare le ferite che abbiamo accumulato nel profondo della nostra infanzia, spiegare in qualche modo – o almeno giustificare – quei primi brulicanti sciami di angoscia solitaria. Insomma: ciò che ci fa frugare e brancolare così incessantemente è il bisogno di riempire i vuoti che la vita ci ha lasciato.

Quando un autore gioca con le parole, sforzandosi di trovare l’espressione o il modo di dire perfetto, in molti modi sta cercando di oltrepassare i confini psichici della banalità, dell’ordinarietà e della normalità dello status quo. Si aggrappa all’universo nella speranza di scalfire qualche velo di oscurità verso il confine illuminato del significato. Ma ciò che più conta è la consapevolezza che proprio questo è il focolare della sua storia unica, con le sue numerose carenze e domande senza risposta, a spingerlo così.

Nell’era del ricambio dell’intelligenza artificiale ci troviamo a riflettere sulla domanda: quale è il nostro valore come esseri umani? C’è qualcosa che offriamo che sia veramente unico, insostituibile e abbastanza singolare da giustificare il nostro nativismo anti-IA categoricamente ipocrita?

RB Griggs restringe lo sguardo su questo argomento nel suo brillante articolo:

Tecnologia per la vita
Perché la maggior parte delle previsioni sono noiose Per il mondo della tecnologia, il nuovo anno non significa solo rompere i propositi, ma anche esperti che cercano di prevedere le prossime grandi tendenze per il prossimo anno. Sfortunatamente, queste previsioni sono per lo più noiose. Seguono una strategia che chiamo…
3 mesi fa · 29 mi piace · 4 commenti · RB Griggs

Lui scrive:

Quando la maggior parte delle persone pensa al Romanticismo, pensa a poeti come Wordsworth e Coleridge pionieri di nuove forme poetiche per esplorare le sublimi profondità della natura e delle emozioni. Le loro “ballate liriche” sono viste come parte di una crociata artistica, una risposta spirituale e morale alla cupa marcia della Rivoluzione Industriale.

Nota che il romanticismo è stato un rifiuto contro molto più di questo. Dopo Newton, Cartesio e altri, “ la ragione si elevò al di sopra della tradizione, della religione e della storia. La conoscenza divenne la virtù ultima e la ricerca delle verità universali divenne l’aspirazione trainante. Sicuramente ogni campo potrebbe applicare i metodi di Newton per scoprire leggi con potenza e precisione simili. La ragione divenne la chiave principale che poteva svelare tutti i misteri dell’universo”.

Allora come hanno risposto i romantici a questo assalto non alla Ragione, ma alla Ragione?

Hanno rifiutato tutto.

Non vedevano la ragione e la conoscenza come chiavi delle verità universali; vedevano la ragione e la conoscenza come prigioni. La verità non veniva dalla ragione, veniva dalla bellezza , ed era compito dell’artista trovarla. L’arte non consisteva nel rivelare le perfezioni ideali nascoste nella natura. Lo scopo dell’arte era la creazione : portare qualcosa di nuovo nel mondo, far esistere il tuo stesso spirito .

Egli continua:

Per i romantici, le uniche virtù che contavano erano la libertà e l’autenticità, e si sentivano liberi solo quando erano allineati con l’autocreazione dell’universo. A loro non importava della struttura, della logica o degli ideali.

Anche noi ora stiamo cercando modi per far fronte alla moderna quarta rivoluzione industriale. L’idea di Riggs è secondo il mio cuore: invoca una rivoluzione neo-romantica . Quindi delinea un futuro bizzarramente ipotetico in cui l’umanità si è frammentata in sette di resistenza sotterranee che adottano un linguaggio segreto indecifrabile chiamato Singslang per contrastare l’inevitabile addestramento dell’intelligenza artificiale che raccoglie polpi che cercano di omogeneizzare e sterilizzare il linguaggio, e quindi le nostre idee.

Ora, nel 2025, la ribellione neo-romantica è pienamente presente. Lo slang ha rilasciato qualcosa in noi, sfidando le nostre convinzioni più radicate. Forse il mondo empirico non è l’unico mondo che vale la pena conoscere. Forse il vero non è il razionale. Forse c’è qualcosa di sublime nell’inspiegabile.

Stiamo iniziando a trovare il giusto equilibrio con le nostre macchine. Siamo felici di fornire la logica e il calcolo dell’intelligenza artificiale. In cambio, recupereremo i paradossi al centro del viaggio umano: tra ragione ed emozione, conscio e subconscio, animale e divino.

Questa è la ribellione neoromantica. Cerchiamo il sacro. Raccontiamo nuove storie. Ringraziamo le macchine per averci mostrato ciò che abbiamo perso.

L’idea fantasiosa converge con i miei pensieri sull’incipiente era dell’intelligenza artificiale, offrendoci inavvertitamente l’opportunità di fare un audit interno di noi stessi, per scoprire ciò che ci rende veramente umani, che ci separa dal pastiche che presto si moltiplicherà e travolgerà. ogni aspetto della società, agendo come nostro surrogato di Big Tech e Big Corps. Come osserva RB Griggs, le macchine rappresentano un’opportunità inaspettata per “mostrarci ciò che abbiamo perso” .

Anche John Carter ha fatto riferimento a questo dilemma sempre più fastidioso nel suo nuovo articolo, che anch’io consiglio:

Cartoline da Barsoom
Stai camminando per strada. Una bella ragazza arriva trascinando i piedi nella direzione opposta, persa nel suo telefono, navigando male con la visione periferica e a malapena consapevole di tutto ciò che la circonda. I suoi capelli arruffati e il pigiama spiegazzato suggeriscono che sia a malapena consapevole del proprio aspetto. Fai un passo di lato in modo che lei non ti venga addosso. Le tue dita si muovono…
8 giorni fa · 190 Mi piace · 188 commenti · John Carter

Lui scrive:

Questo è tutto per dire che, man mano che l’intelligenza artificiale diventa sempre più sfumata nell’imitarci fino alla microespressione, dobbiamo raddoppiare la nostra ricerca del midollo in noi stessi, abbracciare la ricerca radicata per scoprire ciò che ci distingue: quali tratti sacri possono essere indossati come ricordi, inviolabilmente nostri, per sempre inattaccabili dal plancton dell’intelligenza artificiale che ingerisce tutto e che cerca di aspirare i nostri effetti più preziosi, per metterli insieme in una trapunta sintetica e indossarla come una maschera.

Ho usato la scrittura come metafora per l’argomento più ampio della commensurabilità tra la nostra umanità e le marionette dell’intelligenza artificiale. John Carter scrive sopra che, nonostante diventi sempre più sottile, il mimetismo dell’intelligenza artificiale può, per il momento, ancora essere individuato con un “istinto”; una qualità surrogata intangibile. Ma cos’è questo surrogato? Chiedi a un esperto in qualsiasi campo competitivo e ti dirà che la magia sta sempre nell’ultimo 0,1% della creazione. Anche qui, ciò che incapsula il nostro ethos e la nostra soggettività umana risiede in quell’ultimo frammento effimero, che nasconde un vasto abisso di separazione tra noi e l’imitazione.

Quanto all’essenza di questo abisso: gli indizi abbondano intorno a noi.

Diversi anni fa la scienza pop ha proposto un’affascinante serie di esperimenti secondo cui gli esseri umani possono innamorarsi l’uno dell’altro seguendo una semplice serie di istruzioni; amore a comando. Si riduceva a stare seduti fermi uno di fronte all’altro, fissandosi profondamente negli occhi e rispondendo a una serie di domande progressivamente intime poste a turno.

13. Se una sfera di cristallo potesse dirti la verità su te stesso, sulla tua vita, sul futuro o su qualsiasi altra cosa, cosa vorresti sapere?

14. C’è qualcosa che sogni di fare da molto tempo? Perché non l’hai fatto?

17. Qual è il tuo ricordo più prezioso?

18. Qual è il tuo ricordo più terribile?

25. Fai tre affermazioni vere “noi” ciascuna. Ad esempio, “Siamo entrambi in questa stanza e ci sentiamo…”

30. Quando hai pianto l’ultima volta davanti a un’altra persona? Da solo?

La citazione di un partecipante di seguito incapsula parte del processo esoterico:

“[Il] vero punto cruciale del momento non era solo il fatto che stavo davvero vedendo qualcuno, ma che stavo vedendo qualcuno che mi vedeva davvero. Una volta che ho abbracciato il terrore di questa realizzazione e gli ho dato il tempo di placarsi, sono arrivato in un posto inaspettato.

È un inebriante mix di connessione empatica e di vulnerabilità improvvisa, la sensazione di essere spogliati di fronte a uno sconosciuto. Le domande alla fine portano a provare un senso di familiarità nella storia della vita dello sconosciuto, nelle scelte di vita inerenti alle loro risposte, che precede l’empatia e un sentimento di vicinanza. La vulnerabilità insita nelle tue risposte riflesse sulla tua controparte si aggiunge all’intimità crescente che apre una breve porta, come un passaggio verso un altro mondo, che solo voi potete prendere insieme, mano nella mano.

Ho iniziato descrivendo come il percentile più alto degli scrittori si distingue dai dilettanti per un bisogno irrefrenabile di trovare sempre quella piccola, inaspettata fetta di magia, che sovverte un giro di parole o un cliché standard in qualcosa di unicamente personale; un timbro di individualità che afferma la propria singolare esperienza del mondo. Questi sono i fattori scatenanti con cui entriamo in empatia, che sollecitano il tipo di risposte in noi viste nell’esperimento sull’amore di 36 domande. La tua storia è la mia storia; o almeno ne vedo tracce, echi nella tua esperienza.

Questo è in definitiva ciò che manca nella funzionalità dell’intelligenza artificiale, ed è parallelo alla condanna più comune della presunzione “le donne trans sono donne”. Anche se le donne trans potessero essere rese del tutto geneticamente identiche alle donne biologiche, ciò che resta è che un maschio biologico che ha scelto di diventare una donna in età avanzata – diciamo nella tarda adolescenza o addirittura vent’anni – ha rinunciato alle prove e ai travagli della femminilità durante i suoi primi anni di vita. vita. Pertanto, non potrà mai pretendere di essere pienamente “donna”, poiché nella tavolozza del suo vissuto mancheranno i lineamenti simpatici dell’infanzia che scolpiscono e definiscono una donna.

Allo stesso modo, l’intelligenza artificiale non ha resistito alla vita umana, dal concepimento attraverso le turbolenze dell’infanzia, fino all’età adulta. Quando l’intelligenza artificiale ci imita, l’essenza esperienziale dell’atto è imbalsamata nell’artificialità, un pastiche, sebbene la verosimiglianza possa essere sorprendente, persino inquietante, a volte. Quando gli esseri umani traggono piacere dalle creazioni di altri esseri umani, lo fanno con la consapevolezza che i legami dell’opera sono radicati in un’esperienza simpatetica. Cosa possiamo sentire da una storia composta da un’intelligenza artificiale – che può contenere tutti gli effetti superficiali delle emozioni, le arie convincenti e le trappole dell’esperienza umana – ma che sappiamo nel profondo è scritta da qualcosa che in realtà non ha sofferto per nessun motivo? di esso, e quindi non possiamo sinceramente commiserarci.

Ma cosa succede quando la provenienza di un’opera d’arte sfugge all’identificazione, come accade sempre più nell’era del deepfake? Ricorda la scena funeraria di prima. Come esseri umani, dobbiamo sforzarci di infondere la maggior parte del nostro cuore e della nostra voce autentici nel nostro lavoro. Come l’ argot Singslang del saggio ispiratore di RB Griggs, possiamo distinguerci dall’artificio sforzandoci di scavare più a fondo, senza accontentarci di facili soddisfazioni e sforzi “passabili”. Almeno per ora – finché rimane l’opportunità – dovremmo immergerci nel profondo maturo delle nostre soggettività uniche, abbracciando quei piccoli intangibili, le scintille effimere della saggezza e dell’ispirazione umana, in tutte le loro deliziose stranezze ed eccentricità – coloro che sono capaci di incubando solo nell’intera ampiezza dell’autentica esperienza vissuta , in tutte le sue sfumature non così rosee.

RB Griggs conclude il suo saggio come segue:

La storia ci mostra che gli esseri umani rispondono alla maggior parte delle interruzioni in modi molto strani e imprevedibili. L’intelligenza artificiale metterà alla prova alcune delle nostre convinzioni più radicate sulla condizione umana. Sembra naturale aspettarsi ogni sorta di movimenti stravaganti che cercheranno di definire e riaffermare l’unicità dello spirito umano.

Indipendentemente dal fatto che il nostro futuro sia neoromantico o meno, spero che includa più emozioni, più paradossi e sì, anche più irrazionalità. In altre parole, più cose che le macchine possono aumentare ma non potranno mai replicare.

L’intelligenza artificiale continuerà senza dubbio a migliorare sempre di più nell’imitarci, ma finché non avrà una forma fisica attraverso la quale sperimentare tutti i vorticosi alti e bassi e le agonie della carne, è dubbio che potrà mai trascendere le sue pretese imitative oltre il mero Kabuki digitale. Verrà il giorno, tuttavia, in un lontano futuro, in cui le IA potrebbero essere dotate di corpi biosintetici, potenziati dalla carne e dal sangue dello scambio ormonale e dalla risposta nervosa simpatica con tutte le sue impellenti urgenze, cambiando l’equazione per sempre.

Ma quel giorno resta lontano.

Per ora, godiamoci lo spettacolo del pazzo e dell’indefinibile. Quei nuclei di asimmetria, i tic insoliti del dubbio e dell’irrazionalità, carichi di rumore oltraggioso che tradisce un significato più profondo. Il dado carico di possibilità in ogni svolta inaspettata della rivelazione. Gli arcani della menzogna, il vangelo della verità, la confessione del peccatore, tutto in un unico solco epifanico. Indossiamo il protocollo e la veste del re, i paramenti del monaco e la penna dello scrivano macchiata di inchiostro. Cerchiamo di essere prismi verso la follia inarrestabile verso la quale l’intelligenza artificiale rimarrà per sempre una speranzosa non iniziata, sempre consegnata alla penombra delle nostre illimitate impossibilità.

ll sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure PayPal.Me/italiaeilmondo  Su PayPal, ma anche con il bonifico su PostePay, è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (pay pal prende una commissione di 0,52 centesimi)

SITREP 19/04/24: Una piccola raffica per le vele dell’Ucraina?_di SIMPLICIUS

Oggi abbiamo alcuni interessanti sviluppi tematici nel contesto delle prospettive future di sostegno dell’Ucraina.

L’argomento più discusso ovviamente è il progresso fatto per il disegno di legge sugli aiuti all’Ucraina, che sarà votato sia alla Camera che al Senato questo fine settimana e all’inizio della prossima settimana, a causa dell’inversione di marcia del presidente Mike Johnson. L’inversione di marcia è stata infatti così “improvvisa” da implicare sviluppi sinistri dietro le quinte: forse gesti kompromat, minacce e simili.

Di seguito puoi vedere quanto drasticamente il suo tono sia cambiato in uno insolitamente istrionico:

Ciò avviene dopo che si è improvvisamente autoproclamato “oratore in tempo di guerra”, cosa che ha trovato eco minacciosa da altri membri del Congresso:

In ogni caso, la votazione sta andando avanti, anche se non c’è ancora alcuna indicazione chiara su cosa accadrà; Secondo quanto riferito, Matt Gaetz ha segnalato che sfortunatamente il voto ha buone possibilità di passare, anche se stanno ancora combattendo aspramente. Ecco l’ultimo aggiornamento:

Tuttavia, anche se la folla filo-ucraina si rallegra, non è chiaro quali reali benefici porterebbero gli aiuti, se venissero approvati. Ad esempio, giorni fa erano trapelate le disposizioni del presunto disegno di legge che, a quanto pare, mostrava che la stragrande maggioranza degli aiuti ucraini da 48 miliardi di dollari andavano a varie truffe americane del DOD:

Se c’è qualche esattezza in quanto sopra, sembra che quando si tolgono i fondi civili al governo ucraino e il doppio tuffo del DOD, tutto ciò che rimane per le “armi” ucraine sono circa 14 miliardi di dollari o meno. E in effetti Johnson sembra confermarlo quando afferma di aver modificato la legge in modo che l’80% di essa ora rappresenti la ricostituzione delle azioni americane, piuttosto che nuove armi per l’Ucraina:

Certamente si tratta comunque di una quantità di denaro abbastanza significativa, tutto sommato, ma non inizia nemmeno ad affrontare il problema molto più grande di non avere più armi su cui spendere quei soldi .

Ad esempio, ricordiamo il milione di proiettili dichiarati che la Repubblica Ceca avrebbe trovato per l’Ucraina. Ora Peter Pavel ha confermato di aver stretto accordi solo per un presunto 180k e forse di aver trovato altri proiettili da “120k”, anche se non sono stati ancora acquistati. L’intero numero è fondamentalmente ciò che la Russia produce al mese.

Per non parlare del fatto che le fabbriche di munizioni occidentali continuano misteriosamente ad andare in fumo nelle ultime due settimane:

Mi chiedo cosa potrebbe essere?

Alcuni sospettano logicamente che l’urgente aumento dei programmi di produzione abbia semplicemente sovraccaricato l’invecchiamento e lo stress delle infrastrutture e della forza lavoro in questi siti, il che si traduce comprensibilmente in elevati rischi di “incidenti” industriali.

Ma andiamo avanti.

L’altro evento significativo che coincide con il disegno di legge sugli aiuti è questo Zelenskyj ha finalmente firmato il disegno di legge sulla mobilitazione, che, in modo più significativo, abbassa l’età di mobilitazione da 27 a 25 anni. La cosa di gran lunga più controversa è stata la rimozione della disposizione che consentiva la smobilitazione dei militari ucraini che avevano prestato servizio per 36 mesi. Ciò ha creato scalpore con i soldati che hanno postato minacce di morte alla Rada, come questa:

Nonostante ciò, la ratifica finale del disegno di legge significa che l’Ucraina potrebbe ora mobilitare una quantità significativa di nuove truppe, alcune stimate tra 200 e 500.000, o almeno questo è l’obiettivo auspicato.

Questo nuovo grafico pretende di mostrare la quantità di uomini idonei in ciascuna fascia di età. Ogni barra in basso rappresenta un anno, quindi puoi vedere ad esempio che 25 e 26 sono intorno ai 180k circa:

Dal momento che la mobilitazione ha aperto quei due anni in più, complessivamente ciò aprirebbe un po’ meno di 400.000 nuovi ammissibili, se il grafico è accurato. Ma se si considerano tutte le varie forme di logoramento che realisticamente si verificano, ad esempio le varie forme di elusione alla leva, l’importo reale potrebbe essere meno della metà, o anche peggio.

E per coloro che si chiedono perché c’è un tale calo nel numero degli uomini ucraini tra i vent’anni, la spiegazione che ho ottenuto è che si trattava di uomini nati proprio nel periodo dei “secoli bui” del collasso post-sovietico, il che significa che allora i tassi di natalità stavano diminuendo drasticamente. , con il risultato che nascono molte meno persone. Il tasso di natalità aumenta vertiginosamente nella fascia di età compresa tra i 5 e i 15 anni perché presumibilmente negli anni 2000 il tasso di natalità è aumentato un po’ in quei brevi anni di bolla economicamente promettenti di Internet, prima di crollare nuovamente nel periodo post-Maidan.

Ad ogni modo, questo significa ulteriormente che siamo pronti per una bella resa dei conti per quest’estate. Questo perché se il disegno di legge sugli aiuti venisse approvato e iniziasse la massiccia mobilitazione, l’afflusso di nuovo denaro, armi e grandi quantità di uomini potrebbe coincidere con l’offensiva russa a lungo attesa. Naturalmente, ciò non cambierà il corso della guerra, ma potrebbe significare un tritacarne molto più sanguinoso che farà sì che la Russia subisca molte più perdite man mano che avanza. Questo perché le armi difensive a basso costo più efficaci contro i progressi, come le mine, i giochi di ruolo di base, le munizioni per armi leggere, i droni, i mortai, sono cose che non sono mai state scarse, e un flusso di nuovi aiuti in denaro potrebbe portare una nuova miniera di rifornimenti per loro.

Un altro esempio. Alcune fonti affermano che con il disegno di legge sugli aiuti sarà reso disponibile un grosso lotto di nuovi missili ATACM, e questi missili si sono rivelati relativamente efficaci. Non certo una meraviglia, ma abbastanza efficace da provocare perdite e potenzialmente, in numero sufficientemente elevato, ostacolare la retroguardia logistica della Russia rendendo l’avanzata molto più dolorosa. Un nuovo attacco ATACM è stato appena effettuato con successo sulla base aerea di Dzhankoi in Crimea, distruggendo quello che si dice sia un intero schieramento di S-300, o quelli che gli ucraini sostengono fossero S-400. Le parti del missile sono state ora recuperate e identificate come ATACM:

L’Ucraina ha pubblicato il filmato del lancio, che mostra circa 6 ATACM lanciati dalla riva destra del Dnepr, mentre fonti russe hanno affermato che c’erano fino a 12 missili, di cui più di 7 abbattuti:

Detto questo, il Ministero della Difesa russo ha affermato che il giorno successivo furono abbattuti fino a 10 ATACM in un’altra direzione, anche se non abbiamo prove concrete.

Il punto è che, data la capacità alquanto discutibile di abbattere gli ATACM dimostrata finora, potrebbe rappresentare un piccolo problema se fornito in quantità molto maggiori, in particolare in un momento in cui la Russia si sta preparando per una grande offensiva, il che significa enormi depositi di munizioni saranno depositati nei quartieri generali delle brigate, così come grandi concentrazioni di manodopera, ecc.

Per inciso, per ogni colpo occasionale che l’Ucraina sferra, la Russia ne restituisce almeno 4 o 5 grandi. Solo nella scorsa settimana abbiamo avuto diversi importanti attacchi riusciti, come quello sulla base ucraina a Dnipro, con la distruzione di diversi sistemi MiG-29 e S-300:

Per i quali i necrologi dell’AFU hanno già iniziato ad arrivare:

Così come un duro colpo contro un’altra AFU e la concentrazione di truppe mercenarie in un hotel di Chernigov, che cretini occidentali come McFaul hanno cercato di far passare come un attacco a un complesso civile, ma, come ho allegato sotto al suo messaggio, si possono vedere ammissioni dai conti dell’AFU della grande quantità di vittime militari nel sito:

Ciò include l’ex dipartimento di Aidar. cmq. Mosiychuk ammette con rabbia la morte di molti militari:

E nel momento in cui scrivo c’è un nuovo attacco contro un complesso del Dnipro che si dice ospiti anche molte truppe dell’AFU:

Quindi, chiaramente, qualunque sia il piccolo successo ottenuto dall’Ucraina, la Russia continua ad indebolirla ampiamente.

Un breve articolo per valutare l’umore di questa settimana:

I due più pertinenti sono i seguenti:

Quanto sopra menziona ancora una volta una potenziale offensiva di Kharkov da parte della Russia.

E anche il nuovo articolo di Politico fa eco ai timori di un assalto a Kharkov:

Oggi il canale Rezident UA ha riportato quanto segue:

#Dentro
L’MI-6 ha trasmesso nuove informazioni all’Ufficio del Presidente e allo Stato Maggiore Generale sui piani dell’esercito russo di introdurre nuove 10 brigate in Ucraina entro la fine di maggio . A tal fine vengono accumulati anche equipaggiamenti pesanti e vengono preparati anche gruppi d’assalto con nuove armi.

E un altro canale russo ha riferito che circa un mese fa è stato lanciato un nuovo importante addestramento, che è probabilmente la preparazione dei livelli della Siberia orientale di cui ho parlato l’ultima volta. Potrebbero essere le 10 nuove brigate sopra menzionate.

Infatti, la BILD ha ora riferito in anticipo sulle fortificazioni su larga scala che l’Ucraina sta costruendo nella regione di Kharkov:

La prima linea delle nuove fortificazioni delle Forze armate ucraine vicino a Kharkov si trova a 10 km dal confine russo, ha detto il vicedirettore della BILD Paul Ronzheimer, che ha visitato la costruzione.

“Si prevede che le forze armate russe possano passare all’offensiva nelle prossime settimane o mesi. La prima linea di trincee corre a soli 10 km dal confine di Stato. Gli operai edili lavorano con le pale, senza attrezzature speciali. Hanno detto che sono costantemente sotto il fuoco russo, comprese le bombe plananti”, si legge nel materiale.

Allo stesso tempo, Carlo Masala, professore all’Università Bundeswehr di Monaco, ha dichiarato in un commento alla BILD che “una possibile offensiva passerà inizialmente da Kramatorsk”.

“Se così fosse, allora la strada per le truppe russe verso Kharkov sarebbe aperta. Ma anche se non ci fosse una nuova offensiva di terra, l’obiettivo di Putin potrebbe essere quello di bombardare Kharkov in preparazione all’assalto. Creane una nuova Mariupol e costringi la gente a fuggire”, ha detto Masala.

Alla fine menzionano la necessità di costringere i cittadini a fuggire da Kharkov, che è un altro tema comune condiviso da diversi tabloid recenti:

Quindi, come potete vedere, Kharkov sta diventando sempre più una preoccupazione focalizzata per loro. Detto questo, non vedo ancora segnali particolarmente evidenti che la Russia si recherà direttamente lì a breve, ma stiamo semplicemente tenendo traccia dei movimenti e dei sentimenti. È molto più logico che per ora qualsiasi potenziale brigata russa fantasma che si presume sia in cantiere venga inviata in una delle attuali aree di svolta nelle direzioni di Donetsk o Bakhmut. Lì le forze russe hanno fatto enormi progressi in vari insediamenti, da Novomikhailovka, a Pervomaisk, Krasnogorovka, ecc. Nella direzione di Bakhmut c’è Chasov Yar, così come i continui avanzamenti nella direzione di Avdeevka. Quindi tutto questo fronte connesso ha più senso per dove nuove forze potrebbero essere iniettate per sviluppare scoperte e continuare a spingere per non dare alle AFU in ritirata qui alcuna possibilità di trincerarsi, il che manterrà lo slancio come una valanga.

Copriamo alcuni elementi disparati ma importanti.

La Russia continua a mostrare la sua massiccia produzione industriale. Un nuovo scaglione T-90M fu inviato al fronte:

E Shoigu ha visitato Omsktransmash, dove i T-80BVM russi vengono prodotti in massa. Puoi vedere la vastità e la vasta moltitudine di carri armati prodotti:

Gli scettici beffardi hanno sottolineato il fatto che questi non sono T-80 nuovi di zecca , poiché la Russia non li produce ancora più. Questi sono tutti vecchi scafi in fase di restauro e aggiornamento allo stato di T-80BVM. Tuttavia, nel video Shoigu nota che la fase 1 della ripresa di una linea di produzione completa del T-80 è stata completata, ovvero che la Russia ora sta producendo i motori a turbina da zero, come potete vedere anche nel video. La fase finale prevede che la Russia inizi effettivamente a produrre gli scafi stessi, come previsto.

Un altro sviluppo estremamente significativo è che i carri armati sono ora in fase di lancio con un sistema EW anti-drone nativo che alcuni chiamano “ZIP”:

Si tratta di un affare importante, ed è la prima volta che i carri armati vengono equipaggiati a livello di fabbrica, piuttosto che con un aggiornamento/attacco sul campo in un secondo momento. Ciò significa che la Russia ha ora il primo e unico carro armato principale al mondo con un EW nativo di questo tipo. Si tratta di una grande pietra miliare e di una testimonianza del duro lavoro di Shoigu nello spingere l’industria della difesa, altrettanto laboriosa, verso i propri limiti.

Il direttore della CIA Burns ha dichiarato apertamente che l’Ucraina perderà entro la fine del 2024 se gli aiuti non verranno forniti immediatamente:

Discorso vero e proprio:

E a proposito di discorsi di cretini globalisti, ecco una notevole frase di Boris Johnson che dice ad alta voce la parte silenziosa, ovvero che la guerra in Ucraina serve in realtà a preservare l’egemonia atlantica occidentale:

È affascinante il modo in cui queste élite si “mascherano” quando le carte sono in gioco e la situazione è così disperata che non c’è letteralmente più nulla da perdere.

Un ultimo affascinante discorso che dimostra la loro disperazione proviene da Stoltenberg. Qui ammette apertamente che le scorte europee sono talmente esaurite da dover inviare all’Ucraina persino le proprie forniture strategiche personali, scendendo pericolosamente al di sotto dei rigidi requisiti di riserva della NATO per i propri eserciti:

Quindi, in sostanza, sta ammettendo che la NATO viene totalmente smilitarizzata per l’Ucraina. Buone notizie.

Un’altra rivendicazione. Molti troll pro-USA mi hanno preso in giro quando ho detto online che i ridicoli attacchi dell’Ucraina alle raffinerie di petrolio russe erano quasi irrilevanti, dato che la Russia ha alcune delle infrastrutture di attrezzature pesanti per il petrolio più profonde al mondo e può riparare qualsiasi danno abbastanza rapidamente. Ora, ancora una volta, sono stato vendicato, dato che i mezzi di comunicazione occidentali hanno dato la notizia che i danni causati dagli attacchi ucraini sono stati in effetti rapidamente ripristinati:

Senza contare che:

Questo è tutto per ora – ora dobbiamo sederci e aspettare di vedere come si svolgerà lo spettacolo del Congresso degli Stati Uniti e dei repubblicani, riguardo agli aiuti ucraini. A seconda di come andrà, ci saranno importanti conseguenze sul resto della guerra. Non tanto per gli aiuti veri e propri – che, come ho già spiegato, alla fine dei conti potrebbero non essere un grande guadagno materiale – ma anche dal punto di vista del sostegno e del morale dell’Ucraina. In questo momento critico, se gli aiuti dovessero bloccarsi o terminare per sempre, potrebbero avere effetti devastanti sul morale dell’esercito ucraino e sulla sua capacità di continuare a combattere per il resto dell’anno, soprattutto quando la Russia lancerà il suo attacco tra pochi mesi. Ma l’ombra gettata dagli aiuti, che abbiano o meno un valore reale, potrebbe sollevare il morale dell’AFU con la consapevolezza che “l’America gli guarda ancora le spalle”, anche se alla fine non cambierà molto, ma prolungherà solo le sofferenze ancora un po’.

Vi lascio con una citazioneche mi ha fatto riflettere delfilosofo tedesco e russofilo Walter Schubart. Cosa ne pensate, c’è qualcosa di vero nelle sue generalizzazioni?

“L’uomo dell’Europa occidentale vede la vita come uno schiavo a cui ha pestato il collo… Non guarda con devozione il cielo, ma, pieno di brama di potere, guarda la terra con occhi malvagi e ostili. Il popolo russo non è ossessionato dalla volontà di potenza, ma da un sentimento di riconciliazione e di amore. Non è pieno di rabbia e di odio, ma della più profonda fiducia nell’essenza del mondo. Vede nell’uomo non un nemico, ma un fratello”. Un inglese vuole vedere il mondo come una fabbrica, un francese come un salone, un tedesco come una caserma, un russo come una chiesa. L’inglese vuole il bottino, il francese la gloria, il tedesco il potere, il russo il sacrificio. L’inglese vuole trarre profitto dal suo vicino, il francese vuole impressionare il suo vicino, il tedesco vuole comandare il suo vicino, ma il russo non vuole nulla da lui. Non vuole trasformare il suo vicino in un suo mezzo. Questa è la fratellanza del cuore e dell’idea russa. E questo è il Vangelo del futuro. Il tutto-uomo russo è portatore di una nuova solidarietà. L’uomo prometeico è già condannato alla morte. Sta arrivando l’era dell’uomo di Giovanni, un uomo d’amore e di libertà. Questo è il futuro del popolo russo. L’Occidente è guidato dall’incredulità, dalla paura e dall’egoismo; l’anima russa è guidata dalla fede, dalla pace e dalla fratellanza. Ecco perché il futuro appartiene alla Russia…”.


Il vostro sostegno è inestimabile. Se vi è piaciuta la lettura, vi sarei molto grato se vi abbonaste a un impegno mensile/annuale per sostenere il mio lavoro, in modo da poter continuare a fornirvi rapporti dettagliati e incisivi come questo.

In alternativa, potete lasciare una mancia qui: Barattolo delle mance

ll sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure PayPal.Me/italiaeilmondo  Su PayPal, ma anche con il bonifico su PostePay, è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (pay pal prende una commissione di 0,52 centesimi)

Macron continua a screditare la Francia commettendo un errore dopo l’altro sul fronte della politica estera, di ANDREW KORYBKO

Macron continua a screditare la Francia commettendo un errore dopo l’altro sul fronte della politica estera

Di questo passo, non c’è più alcuna possibilità credibile che la Francia possa recuperare le sue tradizioni di politica estera indipendente dopo i cinque principali errori di politica estera commessi da Macron negli ultimi due anni. Ha arrecato un danno tale alla reputazione del suo Paese che è impossibile da riparare finché rimarrà al potere.

L’intercettazioneda parte della Francia di missili iraniani sulla Giordania all’inizio di questo mese è l’ultimo errore di Macron che scredita ulteriormente il suo Paese sul fronte della politica estera. Nel 2018, il leader francese ha rivendicato il merito di aver impedito lo scivolamento del Libano verso la guerra civile l’anno precedente, dopo che il suo intervento diplomatico aveva contribuito a risolvere la crisi scaturita dalle scandalose dimissioni dell’ex primo ministro Hariri mentre si trovava in Arabia Saudita. In quel periodo, alla fine del 2017, Macron ha anche iniziato a parlare della costruzione di un esercito europeo.

Queste mosse hanno fatto pensare a molti che la Francia stesse cercando di far rivivere le sue tradizioni di politica estera indipendente, percezione che è stata accreditata da Macron che alla fine del 2019 ha dichiarato all Economist che la NATO era diventata cerebralmente morta. L’America si è poi vendicata della Francia sottraendole, due anni dopo, un accordo multimiliardario per la costruzione di sottomarini nucleari con l’Australia, per creare l’AUKUS. La divergenza di visioni in politica estera tra questi due Paesi nel quinquennio 2017-2021 è diventata chiaramente una tendenza.

Le cose sono cambiate dopo lo scoppiodella guerra per procura tra laNATO e la Russia in Ucraina, avvenuto mezzo anno dopo, all’inizio del 2022, quando la Francia è immediatamente salita sul carro degli americani sanzionando la Russia e armando l’Ucraina. Questo è stato il primo grande errore di Macron in politica estera, in quanto ha screditato la percezione, che egli ha lavorato per costruire dal 2017 in poi, di una Francia che sotto la sua guida ha rinvigorito le sue tradizioni di politica estera indipendente.

Il tallone d’Achille di questo approccio rimase l’Africa, dove la Francia continuò a spadroneggiare sui suoi ex sudditi imperiali attraverso una rozza forma di neocolonialismo che ne ritardò lo sviluppo socio-economico. Non c’è stato molto dinamismo su questo fronte fino al 2022-2023, dopo che i rispettivi colpi di Stato militari patriottici in Burkina Faso e Niger si sono combinati per liberare il Sahel dalla “sfera d’influenza” della Francia; prima di allora Macron avrebbe potuto riformare questa politica per scongiurare preventivamente questa eventualità.

Qui sta il secondo dei suoi principali errori di politica estera: non aver trattato questi Paesi con il rispetto che meritano, soprattutto non offrendo aiuti di emergenza per aiutarli a gestire le crisi interne provocate dalle sanzioni anti-russe dell’Occidente, ha segnato la fine della “Françafrique”. La Francia avrebbe potuto invece promulgare una politica estera veramente indipendente, volta a mantenere la sua influenza storica nelle condizioni attuali, che le avrebbe permesso dicompeteremeglio con la Russia.

Il panico che il ritiro della Francia dal Sahel ha provocato a Parigi ha spinto Macron a compensare cercando di ritagliarsi una “sfera di influenza” nel Caucaso meridionale incentrata sull’Armenia. A tal fine, il suo Paese si è unito agli Stati Uniti nel tentativo di sottrarre l’Armenia alla CSTO sfruttando la falsa percezione dell’inaffidabilità della Russia. Questa narrazione di guerra informativa è stata aggressivamente promossa all’interno della società armena dalla lobby ultranazionalista della diaspora con sede in Francia (Parigi) e negli Stati Uniti (California).

Sebbene sia stato un successo nel senso che l’Armenia hacongelato la sua partecipazione alla CSTO e si è decisamente orientata verso l’Occidente, da cui ora cerca “garanziedi sicurezza “, è stata probabilmente una vittoria di Pirro per la Francia perché ha rovinato le relazioni con la Turchia. Poiché questo Paese esercita un’immensa influenza in tutto il mondo islamico, la politica filo-armena della Francia può essere considerata il terzo grande errore di Macron in politica estera, poiché ha influenzato negativamente la visione della Francia da parte dei musulmani.

Il quarto riguarda la sua minaccia di fine febbraio di effettuare un intervento militare convenzionale in Ucraina, che potrebbe avvenire nei pressi di Kiev e/o Odessa nel caso in cui la Russia riuscisse a sfondare le linee del fronte verso la fine dell’anno. Il motivo per cui questo può essere considerato un grave errore di politica estera è che ha immediatamente messo a nudo le profonde divisioni all’interno della NATO su questo scenario, dopo che molti leader hanno condannato la sua avventata affermazione che “non si può escludere”.

Evidentemente pensava che presentare la Francia come estremamente falco nei confronti della Russia sarebbe piaciuto alle élite occidentali e alla loro società, ma alla fine è successo l’esatto contrario, dopo che queste hanno reagito con sgomento. Lungi dall’apparire come un leader, la Francia è sembrata una mina vagante che rischiava di scatenare la Terza Guerra Mondiale per un errore di calcolo, con alcuni che temevano che il famigerato ego di Macron stesse finalmente diventando un pericolo per tutti. Queste nuove percezioni hanno comprensibilmente screditato la Francia agli occhi dei suoi alleati.

Infine, il quinto e ultimo grande errore di politica estera commesso finora è stato quando Macron ha ordinato ai suoi piloti in Giordania di intercettare alcuni dei missili che l’Iran ha lanciato contro Israele come rappresaglia per ilbombardamento del suo consolato a Damasco. Così facendo, ha inferto un colpo mortale al soft power della Francia nel mondo islamico, che aveva lavorato duramente per migliorare dopo il suo intervento diplomatico in Libano alla fine del 2017. Schierandosi apertamente con Israele, Macron rischia anche di provocare l’ira dei musulmani francesi.

Questo gruppo demografico è facilmente mobilitabile e ha un’esperienza di disturbo della società con le proteste su larga scala che i leader delle loro comunità hanno organizzato con vari pretesti nel corso degli anni. Sono anche un importante blocco di voti, quelli tra loro che sono cittadini, il che potrebbe ostacolare notevolmente la sua capacità di nominare un successore una volta che il suo secondo mandato scadrà nel 2027. I musulmani francesi potrebbero votare per altri candidati e quindi ridurre le possibilità che quello preferito da Macron arrivi al secondo turno.

La serie di gravi errori di politica estera di Macron potrebbe non essere dovuta solo a lui personalmente, ma anche, almeno in parte, a fattori sistemici. Il Valdai Club ha pubblicato il mese scorso lo studio “Crafting National Interests: How Diplomatic Training Impacts Sovereignty” il mese scorso, che sostiene che le riforme attuate sotto la sua amministrazione rischiano di sminuire il ruolo delle tradizioni diplomatiche nazionali. In pratica, i funzionari nazionali si stanno trasformando in funzionari globali, ovvero in burattini degli Stati Uniti.

Dopo tutto, se Macron ha l’ultima parola sulla politica estera, è anche consigliato da esperti diplomatici sul miglior approccio possibile per promuovere gli interessi francesi in ogni situazione. Invece di concettualizzare questi interessi come nazionali, come hanno fatto all’inizio della sua presidenza, durante la crisi libanese del 2017, prima delle sue riforme dell’inizio del 2022, anno in cui tutto ha cominciato a precipitare, hanno cominciato a concettualizzarli come inestricabili da quelli dell’Occidente collettivo. Ciò equivale a una cessione di sovranità.

L’effetto finale è stato che la Francia si è unita con entusiasmo alla guerra per procura della NATO contro la Russia, ha perso la sua “sfera d’influenza” nel Sahel, ha rovinato le relazioni con la Turchia (già indebolite dalle precedenti controversie di Macron) alleandosi con l’Armenia, ha perso la fiducia degli alleati della NATO rivelando i dettagli dei loro dibattiti segreti sull’intervento convenzionale in Ucraina e si è screditata di fronte a tutti i musulmani schierandosi apertamente con Israele contro l’Iran dopo aver abbattuto i missili in arrivo di quest’ultimo sulla Giordania.

Di questo passo, non c’è più alcuna possibilità credibile che la Francia possa recuperare le sue tradizioni di politica estera indipendente dopo i cinque principali errori di politica estera commessi da Macron negli ultimi due anni. Ha arrecato un danno tale alla reputazione del suo Paese che è impossibile da riparare finché rimarrà al potere. Ancor peggio, sta creando un vespaio in patria, rischiando di scatenare ulteriori disordini di matrice musulmana per le sue politiche fortemente filoisraeliane, il che non fa presagire nulla di buono per il futuro della Francia nei prossimi anni.

L’ultimo scandalo delle spie russe in Polonia potrebbe essere un caso di intrappolamento ucraino

Questo caso non è così chiaro come i media lo hanno fatto sembrare, se si legge tra le righe della dichiarazione ufficiale del Procuratore nazionale su ciò che sarebbe accaduto.

La procura nazionale polacca ha dichiarato che un cittadino polacco è stato arrestato in collaborazione con la polizia segreta ucraina perché sospettato di aver “segnalato la sua disponibilità ad agire per conto di intelligence straniera” contro la sua patria. Secondo la dichiarazione ufficiale, l’individuo “ha stabilito contatti con cittadini della Federazione Russa direttamente coinvolti nella guerra in Ucraina” e aveva il compito di fornire informazioni sulla sicurezza dell’aeroporto di Rzeszow, che secondo lo Stato avrebbero potuto essere utilizzate per uccidere Zelensky.

Se si legge tra le righe, questo caso non è così chiaro come i media lo hanno fatto sembrare. Per cominciare, la dichiarazione del Procuratore nazionale fa sembrare che sia stata questa persona a rivolgersi a quelli che riteneva essere rappresentanti della comunità militare e di intelligence russa, e non viceversa. Sebbene si affermi che l’aspirante agente sia riuscito a mettersi in contatto con loro e gli siano stati affidati compiti specifici, il coinvolgimento della polizia segreta ucraina solleva dubbi su tutto questo.

Se da un lato c’è la possibilità che abbiano intercettato le comunicazioni segrete tra il cittadino polacco ora detenuto e quelli che vengono presentati come i suoi responsabili con sede in Russia, dall’altro non si può escludere che abbiano organizzato tutto. Per approfondire, alcuni ucraini pro-Kiev parlano il russo come lingua madre, il che consente loro di impersonare facilmente i rappresentanti delle forze armate e dell’intelligence russa dopo un addestramento di base per imparare il loro gergo.

Potrebbero quindi aver gestito alcuni canali Telegram che pubblicano contenuti filorussi, ma che in realtà sono gestiti dalla polizia segreta ucraina con l’intento di intrappolare gli ingenui membri del loro pubblico che potrebbero contattarli chiedendo loro come aiutare la causa del Paese. In questo caso, quel polacco potrebbe aver inviato un messaggio a qualcuno di questi canali, dopo di che gli sono stati affidati dei compiti da una persona che hanno erroneamente ritenuto essere un rappresentante della comunità militare o dell’intelligence russa.

Questo spiegherebbe perché, secondo quanto riferito, è stato detto loro di fornire informazioni sulla sicurezza dell’aeroporto di Rzeszow con il possibile scopo di assassinare Zelensky. Il motivo di questa stranezza è che la Russia non ha mai tentato di eliminare Zelensky durante le sue numerose visite al fronte. È quindi estremamente improbabile che la prima volta che tentino di farlo sia quando si trova sul territorio della NATO e l’assassinio da parte della Russia potrebbe scatenare la Terza Guerra Mondiale a causa di un attacco alla Polonia.

Tuttavia, la polizia segreta ucraina ha un interesse politico ad alimentare la paura su questo scenario, il che è un altro argomento a favore della teoria secondo cui questo caso non è così chiaro come sembra. Inoltre, se non fossero stati coinvolti in modo significativo, il Procuratore nazionale non avrebbe applaudito il loro ruolo nella sua dichiarazione ufficiale. È evidente che non si trattava di spettatori passivi che si limitavano a passare informazioni, ma di partecipanti attivi all’operazione.

Mettendo insieme i pezzi, si può sostenere in modo convincente che l’ultimo scandalo delle spie russe in Polonia è probabilmente un caso di intrappolamento ucraino. La polizia segreta di quel Paese ha impersonato membri della comunità militare e di intelligence russa, probabilmente su canali Telegram filorussi, con l’intento di far sì che ingenui seguaci li contattassero chiedendo loro come poter aiutare la causa del Paese. Il polacco che presumibilmente li ha contattati è stato poi incastrato per creare l’ultima sensazione mediatica anti-russa.

La richiesta della Russia di sanzioni contro Israele da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è una mossa di principio di soft power

L’unico scopo è quello di riaffermare il primato del diritto internazionale sancito dalla Carta delle Nazioni Unite, dopo che Israele si è rifiutato di attuare il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite 2728.

Il rappresentante permanente russo presso le Nazioni Unite Vasily Nebenzia ha fatto notizia in tutto il mondo dopo aver dichiarato quanto segue al Consiglio di Sicurezza di giovedì: “Sfortunatamente, Israele ha palesemente ignorato la risoluzione 2728 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, con l’incoraggiamento degli Stati Uniti, che si sono affrettati a definirla ‘non vincolante’… Nel caso in cui non venga applicata, il Consiglio ha il potere di sanzionare i violatori e i sabotatori delle sue decisioni. Torneremo su questo tema nel prossimo futuro”.

Questo fatto sarà prevedibilmente rigirato dai principali influencer degli Alt-Media per affermare falsamente che serve come prova della loro teoria cospirativa secondo cui la Russia è segretamente collusa con l’Iran contro Israele, anche se il presidente Putin è un fiero filosemita da sempre, come dimostrato dalle sue stesse parole dal sito web del Cremlino dal 2000 al 2018Il fatto che segua la fake news di Mehr News sul leader russo che acclama la rappresaglia dell’Iran contro Israele manipolerà ulteriormente la percezione popolare sulla posizione del Paese nei confronti di questo conflitto.

Tuttavia, la realtà oggettiva è che si tratta solo di una mossa di soft power di principio volta a riaffermare il primato del diritto internazionale sancito dalla Carta delle Nazioni Unite, e non di una mossa di parte contro Israele dovuta a qualche presunto pregiudizio. Già all’inizio di aprile qui si lamentava che “Israel’s Flouting Of UNSC Resolution 2728 Shows The Limits Of International Law“, poiché è inimmaginabile che gli Stati Uniti accettino di sanzionare il loro alleato o che una “coalizione dei volenterosi” si riunisca per costringerlo a rispettare le regole.

L’ambasciatore Nebenzia lo sa, ma non smetterà di ricordare ai suoi omologhi del Consiglio di Sicurezza il loro dovere legale di prendere in considerazione la presentazione di una risoluzione per sanzionare Israele. Non c’è alcuna possibilità che passi a causa del veto dell’America, ma è comunque importante mostrare al mondo che alcuni Paesi restano fedeli all’originale “ordine basato sulle regole” del secondo dopoguerra. Nonostante sia imperfetto, era comunque meglio degli ipocriti due pesi e due misure che l’Occidente impiega attualmente.

Lo stesso rappresentante permanente della Russia alle Nazioni Unite aveva appena descritto questo approccio all’inizio della settimana come “una parata di ipocrisia” dopo che l’Occidente aveva condannato la rappresaglia iraniana contro Israele ma non il bombardamento del consolato iraniano a Damasco da parte di Israele, che aveva violato il diritto internazionale e provocato l’attacco . Allo stesso tempo, però, il Cremlino ha accuratamente segnalato per ben tre volte di avere ancora legami cordiali con Israele, nonostante ciò e nonostante abbiaparzialmente soddisfatto le richieste anti-russe degli Stati Uniti.

Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov haconfermato mercoledì che il suo Paese mantiene un dialogo costruttivo con l’Iran e Israele, dopo che l’ambasciatore russo in Israele Anatoly Viktorov ha incontrato il giorno dopo i funzionari del Ministero degli Esteri israeliano per discutere della cooperazione bilateraleGiovedì, inoltre, il viceministro degli Esteri russo Mikhail Bogdanov harivelato, dopo un incontro con l’ambasciatore israeliano in Russia Simona Halperin, di aver invitato entrambe le parti – Israele e Iran – a mostrare “la massima moderazione”.

Tutto ciò dimostra chela Russia non ha alcuna intenzione anti-israeliana nel proporre sanzioni contro di essa per il rifiuto di attuare il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite 2728. L’unico scopo è quello di riaffermare il primato del diritto internazionale sancito dalla Carta delle Nazioni Unite. L’esempio che verrà dato dagli Stati Uniti, che probabilmente porranno il veto a qualsiasi sanzione che potrebbe essere presentata a breve, eroderà ulteriormente le fondamenta giuridiche su cui è stata costruita l’era del secondo dopoguerra. Potrebbe essere inevitabile, ma la Russia non è obbligata ad aiutare questo processo.

La disputa tra il presidente e il premier polacchi sulla difesa aerea ha origini geopolitiche

A prescindere da quale visione geopolitica prevalga, il dato di fatto è che la Polonia è destinata a svolgere un ruolo di “contenimento” della Russia, il cui obiettivo è condiviso da entrambi gli schieramenti, ma si differenzia per le modalità di attuazione e per l’autonomia che la Polonia conserva.

Il presidente polacco Andrzej Duda e il primo ministro Donald Tusk stanno litigando sul modo migliore per difendere i cieli del loro Paese: il primo preferisce mantenere l’Asse anglo-americano (AAA) come partner principale della Polonia, mentre il secondo vuole aderire alla “Iniziativa europea per lo scudo del cielo” (ESSI) guidata dalla Germania.Duda ha anche descritto l’ESSI come un “progetto commerciale tedesco” prima che Tusk dichiarasse che la Polonia vi aderirà con l’intento di replicare i presunti risultati di Israele in materia di difesa aerea. Al centro di questa disputa c’è la geopolitica.

Duda appartiene al partito conservatore-nazionalista che governava la Polonia prima delle elezioni dello scorso autunno, mentre Tusk rappresenta il partito liberale-globalista che è tornato al potere dopo le elezioni. Le prossime elezioni presidenziali si terranno solo l’anno prossimo, quindi il governo sarà diviso tra i due fino ad allora. I conservatori-nazionalisti prevedono che la Polonia guidi l'”Iniziativa dei tre mari” (3SI) sostenuta dall’AAA, come mezzo per ripristinare il suo status di grande potenza, mentre i liberal-globalisti vogliono subordinare la Polonia all’egemonia tedesca.

Queste visioni geopolitiche divergenti spiegano perché i leader polacchi hanno posizioni polarmente opposte su questa delicata questione. Il rapporto citato nell’introduzione ricorda ai lettori che “mentre Duda supervisiona le forze armate, le decisioni sull’acquisto di armi sono prese dal governo, guidato da Tusk, e non possono essere bloccate dal presidente”. Ciò significa che Tusk ha il potere di modificare radicalmente la politica di difesa polacca, se lo desidera, e Duda non può farci nulla.

Allo stesso tempo, però, il rapporto cita anche il capo dell’Ufficio per la sicurezza nazionale che “ha detto ai giornalisti che non pensa che ci sia una grande differenza di opinione tra il primo ministro e il presidente sulla difesa aerea e che se i progetti esistenti saranno combinati efficacemente con l’ESSI, con la partecipazione dell’industria polacca, il signor Duda sosterrà questo”. Per quanto pragmatico possa sembrare, sarà difficile da realizzare, sia per ragioni operative che finanziarie.

Per quanto riguarda il primo, è sempre più facile per un Paese gestire un “ecosistema” di prodotti per la sicurezza invece di un guazzabuglio assemblato da varie fonti, mentre il secondo si riferisce a quanto detto da Duda, secondo cui “da anni stiamo costruendo un sistema di difesa aerea basato principalmente sul sistema Patriot, per la cui fornitura abbiamo firmato contratti molto tempo fa”. L’acquisto di sistemi tedeschi da affiancare a quelli americani sarebbe fonte di confusione per i militari e uno spreco di denaro solo per fare un punto.

Non è realistico immaginare che la Polonia si ritiri dall’accordo con gli Stati Uniti sui Patriot, precedentemente concordato; per questo motivo si presume che il governo di Tusk andrà avanti con questo accordo, acquistando anche sistemi tedeschi e altri sistemi nell’ambito della partecipazione della Polonia all’ESSI. Queste spese aggiuntive segnerebbero virtualmente il “ritorno della Polonia in Europa” dopo quelli che i liberali-globalisti hanno dipinto come i precedenti “otto anni di isolamento” sotto i loro rivali conservatori-nazionalisti.

Nel caso in cui i liberali-globalisti perpetuassero il loro dominio sulla Polonia, le attrezzature tedesche e di altri Paesi non americani potrebbero alla fine sostituire i prodotti statunitensi, man mano che il Paese diventa sempre più dipendente da Berlino. La conseguenza geopolitica sarebbe l’approfondimento dell’egemonia tedesca sulla Polonia, che culminerebbe con lo sfruttamento da parte del leader de facto dell’UE della Polonia come Stato vassallo la cui funzione sarebbe quella di “contenere” la Russia nell’Europa centrale e orientale come “junior partner” permanentemente subordinato.

Certo, la Polonia giocherebbe un ruolo simile nei confronti della Russia se mantenesse l’AAA come partner principale per la difesa aerea e non si fosse mai subordinata all’egemonia tedesca, ma la differenza è che nello scenario dei conservatori-nazionalisti sarebbe relativamente più autonoma sulla scena europea. Nello scenario dei liberal-globalisti, la Polonia è semplicemente un’appendice vicina della Germania, invece di fornire a partner lontani un’insostituibile portata strategica fino alle porte dei loro rivali russi.

Questa differenza è più significativa di quanto possa sembrare agli osservatori, poiché l’aspirante egemone tedesco dà la Polonia per scontata e vuole subordinarla, mentre l’AAA apprezza il ruolo che essa svolge per la sua grande strategia e quindi la premia con un’autonomia relativamente maggiore. Ciascuna serie di relazioni è guidata dagli interessi dei partner della Polonia: La Germania ha bisogno di uno Stato vassallo polacco per diventare una superpotenza, mentre l’AAA ha bisogno di una Polonia autonoma per improvvisare il “contenimento” della Russia.

A prescindere da quale visione geopolitica prevalga, il dato di fatto è che la Polonia è destinata a svolgere un ruolo di “contenimento” della Russia, il cui obiettivo è condiviso da entrambi gli schieramenti partitici, ma differisce in termini di modalità di attuazione e di autonomia conservata dalla Polonia. Nessuna “terza via” è politicamente percorribile, poiché i partiti interessati rimangono impopolari, come dimostrato dalle ultime elezioni, e l’influenza esterna è troppo radicata perché la Polonia possa uscirne, quindi una “soluzione patriottica” a questo dilemma è improbabile.

Borrell ha trovato una bella scusa per spiegare perché la NATO non abbatterà i missili russi sull’Ucraina

Si tratta di una ragione abbastanza credibile per giustificare un intervento convenzionale della NATO in difesa di Israele, senza dare all’Ucraina motivi per sostenere che ci sono due pesi e due misure in gioco.

L’Ucraina è diventata gelosa come non mai dopo che i membri della NATO hanno contribuito ad abbatterei missili iraniani diretti in Israele all’inizio del mese, ma non hanno mosso un dito per aiutare l’Ucraina ad abbattere quelli russi. Il Ministro degli Esteri britannico, David Cameron ha dichiarato che “la difficoltà di ciò che suggerite (riguardo all’abbattimento dei missili russi da parte del Regno Unito) è che se si vuole evitare un’escalation in termini di una più ampia guerra europea, penso che l’unica cosa da evitare sia che le truppe della NATO si impegnino direttamente con le truppe russe”.

Il portavoce del Pentagono John Kirby ha risposto a una domanda simile dicendo: “Guardate: conflitti diversi, spazi aerei diversi, un quadro di minacce diverso. E [il presidente Joe Biden] è stato chiaro fin dall’inizio [delle ostilità in Ucraina] che gli Stati Uniti non saranno coinvolti in quel conflitto con un ruolo di combattimento”. Il capo di gabinetto di Zelensky, Andrey Yermak, non si è però bevuto le loro spiegazioni e ha chiesto che l’Occidente inizi ad abbattere i missili russi come quelli iraniani.

Il Segretario Generale della NATO Jens Stoltenberg ha cercato di placare la gelosia dell’Ucraina dichiarando che “se gli alleati devono scegliere tra il raggiungimento degli obiettivi di capacità della NATO e la fornitura di maggiori aiuti all’Ucraina, il mio messaggio è chiaro: inviare di più all’Ucraina”. Anche se sta dicendo ai membri di dare priorità agli interessi dell’Ucraina rispetto a quelli nazionali, non ci si aspetta che Kiev si calmi, poiché sa che la NATO non verrà in suo soccorso in questo senso, come il blocco ha appena fatto per Israele.

È qui che entra in gioco l’elegante scusa del capo della politica estera dell’UE Josep Borrell. Come ha spiegato, “gli attacchi dell’Iran hanno sorvolato le basi aeree degli eserciti di Francia, Stati Uniti, Regno Unito e Giordania. Hanno sorvolato le loro basi, che hanno quindi agito per autodifesa. Non ci sono basi aeree del Regno Unito o degli Stati Uniti, tanto meno della Giordania, sul territorio ucraino o sul territorio che i missili russi sorvolano. Pertanto, non si può dare la stessa risposta perché le circostanze non sono le stesse”.

Si tratta di una ragione abbastanza credibile per giustificare un intervento convenzionale della NATO in difesa di Israele, senza dare all’Ucraina la possibilità di sostenere che ci sono due pesi e due misure in gioco. L’unico modo in cui Kiev potrebbe tentare di ribaltare le carte in tavola è nel caso inverosimile in cui ammetta ufficialmente la presenza di truppe NATO sul suo territorio, che ilmese scorso il ministro degli Esteri polacco Radek Sikorski ha descritto come un “segreto aperto“, e ne indichi le basi per dimostrare che il blocco non fa nulla mentre i missili russi volano sopra di lei.

Tuttavia, è estremamente improbabile che ciò accada, poiché rappresenterebbe un grave rischio per la sicurezza. I funzionari ucraini potrebbero ancora accennare a questa eventualità e forse far trapelare vaghe informazioni al riguardo sui media nazionali e/o su quelli internazionali attraverso i loro “agenti di influenza”, ma quasi certamente non oltrepasseranno la linea rossa della divulgazione di dettagli specifici che potrebbero mettere a rischio quelle truppe. Borrell, con tutti i suoi difetti professionali , lo sa bene e ha quindi elaborato la sua bella scusa che ha ispirato questa analisi.

Dando credito a ciò che è dovuto, questa è stata una mossa saggia, poiché la sua spiegazione è abbastanza coerente da dissipare le lamentele dell’Ucraina circa i due pesi e due misure della NATO e la conseguente percezione di essere meno importante per il blocco di quanto lo sia Israele, entrambe cose vere ma che ora possono essere negate in modo più plausibile. L’Ucraina dovrebbe accettare il fatto che la NATO non tratterà lei e Israele alla pari, con l’unica consolazione che alcuni membri le invieranno più sistemi Patriot, ma questo non significa che abbatteranno i missili russi.

Il presidente polacco ha rivelato che le aziende straniere possiedono la maggior parte dell’agricoltura industriale ucraina

Andrzej Duda rappresenta quello che è ampiamente considerato uno dei governi più filoamericani e antirussi della storia, quindi non può essere accusato in modo credibile di “spingere la propaganda del Cremlino” su questo argomento scandaloso.

L’Oakland Institute ha pubblicato nel febbraio 2023 un rapporto dettagliato intitolato “Guerra e furto: The Takeover of Ukraine’s Agricultural Land“, che denunciava come aziende straniere avessero clandestinamente preso il controllo di una quota significativa di terreni agricoli ucraini sfruttando una legge liberale in collusione con gli oligarchi locali. Leloro scoperte hanno fatto scalpore all’epoca, ma alla fine si sono ritirate dall’attenzione dell’opinione pubblica più di mezzo anno dopo, quando gli organi di stampa occidentali come USA Today hanno effettuato un “fact-checking” fuorviante.

Hanno approfittato del fatto che gli utenti dei social media hanno confuso la proprietà indiretta attraverso le partecipazioni con il controllo diretto per screditare il rapporto dell’istituzione, che poi è stato ampiamente cancellato dal discorso generale. Pochi si sarebbero aspettati che sarebbe stato nientemeno che il presidente polacco Andrzej Duda a ridargli vita durante un’intervista alla Radiotelevisione nazionale lituana. Stava spiegando il problema della Polonia con le importazioni agricole ucraine quando ha lanciato la seguente notizia bomba:

“Vorrei richiamare l’attenzione in particolare sull’agricoltura industriale, che in realtà non è gestita da ucraini, ma da grandi aziende dell’Europa occidentale e degli Stati Uniti. Se guardiamo oggi ai proprietari della maggior parte dei terreni, non sono aziende ucraine. È una situazione paradossale, e non c’è da stupirsi che gli agricoltori si difendano, perché hanno investito nelle loro aziende agricole in Polonia […] e i prodotti agricoli a basso costo provenienti dall’Ucraina sono drammaticamente distruttivi per loro”.

Duda rappresenta quello che è ampiamente considerato uno dei governi più filoamericani e antirussi della storia, quindi non può essere credibilmente accusato di “spingere la propaganda del Cremlino”. Non avrebbe quindi confermato la drammatica affermazione della proprietà straniera di maggioranza dell’agricoltura industriale ucraina, anche se indirettamente attraverso partecipazioni in aziende nazionali che sfruttano una legge liberale in collusione con gli oligarchi locali, se non avesse avuto i fatti forniti da esperti polacchi a sostegno.

Questo sviluppo dovrebbe far rinascere l’interesse per i rapporti precedenti su questo tema, come quello dell’USAID su come “Il settore privato in prima linea nella riforma agraria per sbloccare il potenziale di investimento dell’Ucraina“. Il dettagliato rapporto di Thomas Fazi per UnHeard del luglio 2023 su come “I capitalisti stanno girando intorno all’Ucraina: Laguerra sta creando enormi opportunità di profitto“. La cosa più rilevante, tuttavia, è ciò che Zelensky ha detto al World Economic Forum di Davos nel maggio 2022. Nelle sue parole:

“Offriamo un modello speciale – storicamente significativo – di ricostruzione. Quando ciascuno dei Paesi partner, delle città partner o delle aziende partner avrà l’opportunità – storica – di assumere il patrocinio su una particolare regione dell’Ucraina, città, comunità o industria. La Gran Bretagna, la Danimarca, l’Unione Europea e altri importanti attori internazionali hanno già scelto una direzione specifica per il mecenatismo nella ricostruzione”.

Un anno dopo, ha ospitato a Kiev i dirigenti di BlackRock, durante i quali hanno discusso la creazione di un fondo di investimento e ricostruzione. Secondo Zelensky, “oggi è un momento storico perché, fin dai primi giorni dell’indipendenza, non abbiamo avuto casi di investimento così grandi in Ucraina. Siamo orgogliosi di poter avviare un processo di questo tipo… Saremo in grado di offrire progetti interessanti per investire in energia, sicurezza, agricoltura, logistica, infrastrutture, medicina, informatica e molti altri settori”.

Mettendo insieme i pezzi, il leader ucraino ha messo in pratica la sua proposta di Davos del maggio 2022, offrendo alle aziende il “patronato” sull’agricoltura industriale ucraina, che era già in fase di sviluppo prima di allora, ma che è stato notevolmente accelerato dall’incontro dello scorso maggio con i dirigenti di BlackRock. Ciò si è concretizzato nel fatto che queste aziende agricole, indirettamente controllate dall’estero, hanno superato di gran lunga quelle polacche, provocando le proteste degli agricoltori polacchi in tutto il Paese e gli ultimi problemi nei rapporti bilaterali.

La sequenza di eventi fin qui descritta colloca nel contesto la notizia di metà febbraio sui presunti piani del G7 di nominare un inviato in Ucraina, che avrebbe ovviamente il compito di attuare l’agenda di Davos, nel caso in cui si realizzasse, in particolare il rafforzamento del controllo straniero sui terreni agricoli ucraini. Ciò suggerisce anche che l’attenzione informale dell’Ucraina per l’aumento delle esportazioni agricole verso l’UE non è solo opportunistica, ma in parte guidata dalla preferenza di queste imprese straniere per profitti rapidi e affidabili.

L’Ucraina era stata fino ad allora una potenza agricola del Sud globale, ma ha ceduto la sua quota di mercato alla Russia con il falso pretesto che Mosca stava bloccando il Mar Nero, il che a sua volta ha spinto l’UE a eliminare temporaneamente le barriere commerciali precedenti allo scopo ufficiale di facilitare le esportazioni attraverso il suo territorio. In realtà, la Russia non ha mai bloccato il Mar Nero e quasi tutto il grano ucraino che entrava nell’UE vi rimaneva invece di attraversare il blocco per raggiungere i tradizionali mercati del Sud globale di Kiev.

Per l’Ucraina è molto più rapido vendere i propri prodotti agricoli nella vicina UE che aspettare il tempo necessario per esportarli in Africa, oltre che più affidabile, dato che è inimmaginabile che queste economie sviluppate possano avere gli stessi possibili problemi di pagamento di quelle in via di sviluppo. Questi calcoli evidenti vanno contro gli interessi della Polonia, ergo quanto sarà difficile per il Paese difendere il proprio mercato interno da questo afflusso, considerando le potenti forze in gioco.

Non è solo la lobby agricola ucraina a volere l’accesso senza dazi al mercato dell’UE per questi prodotti, ma anche le lobby delle aziende straniere che controllano indirettamente l’agricoltura industriale ucraina. Queste ultime probabilmente combatteranno con le unghie e con i denti per impedire il raggiungimento di qualsiasi compromesso sull’auspicata adesione dell’Ucraina all’UE, escludendo il settore agricolo dell’ex Repubblica Sovietica da qualsiasi accordo. La Polonia ha quindi tutte le ragioni per continuare ad attirare l’attenzione globale su queste relazioni oscure.

Solo aumentando la consapevolezza del fatto che “la maggior parte dei terreni” del settore agricolo industriale ucraino “è gestita da grandi aziende dell’Europa occidentale e degli Stati Uniti”, la Polonia ha qualche possibilità che il suddetto compromesso entri in vigore. Ciò renderà il Paese un nemico molto potente che potrebbe intromettersi negli affari interni polacchi per vendetta, ma l’ultima intervista di Duda suggerisce che è pronto ad affrontare la loro ira per proteggere gli interessi nazionali oggettivi della Polonia.

Sarebbe sorprendente se i sistemi Patriot polacchi venissero utilizzati per proteggere l’Ucraina occidentale

L’Asse anglo-americano ha recentemente segnalato che non approverebbe tutto ciò.

Il ministro degli Esteri ucraino Kuleba ha affermato che “tutto è possibile” quando gli è stato chiesto di recente se i sistemi di difesa aerea Patriot polacchi potessero essere utilizzati per proteggere l’Ucraina occidentale. Ciò ha fatto seguito allenotizie secondo cui Kiev avrebbe richiesto questi missili alle vicine Polonia e Romania, nonché alla lontana Spagna, in seguito agli attacchi della Russia contro la rete energetica ucrainaSarebbe sorprendente se la Polonia si adeguasse, tuttavia, poiché l’Asse anglo-americano ha recentemente segnalato che non approverebbe tale richiesta.

Il Ministro degli Esteri britannico Cameron , in risposta a una domanda di lunedì sul perché il Regno Unito non aiuterà l’Ucraina ad abbattere i droni e i missili russi in arrivo, come ha aiutato Israele ad abbattere quelli iraniani, ha dichiarato: “Credo che la difficoltà di ciò che lei suggerisce sia che, se si vuole evitare un’escalation in termini di una più ampia guerra europea, penso che l’unica cosa da evitare sia che le truppe della NATO ingaggino direttamente le truppe russe. Sarebbe un pericolo di escalation”.

Il portavoce del Pentagono Kirby ha detto qualcosa di simile lo stesso giorno: “Sapevo che questa domanda sarebbe arrivata. Guardate: conflitti diversi, spazi aerei diversi, un quadro di minacce diverso. E [il presidente Joe Biden] è stato chiaro fin dall’inizio [delle ostilità in Ucraina]: gli Stati Uniti non saranno coinvolti in quel conflitto con un ruolo di combattimento”. Sebbene sia improbabile che uno di loro appenda la Polonia al chiodo se abbatte unilateralmente i proiettili russi sull’Ucraina, stanno chiaramente segnalando che non vogliono che la Polonia lo faccia.

Un’azione di questo tipo potrebbe far degenerare il conflitto al di là di ogni controllo, il che potrebbe come minimo destabilizzare i mercati finanziari occidentali, anche se la Terza Guerra Mondiale non scoppiasse per un errore di calcolo. Ciò potrebbe a sua volta ridurre ulteriormente le probabilità di rielezione di Biden, spiegando così l’interesse politico alla base dell’inusuale moderazione degli Stati Uniti. Calcoli simili spiegano il motivo per cui gli Stati Uniti si sonocoordinati dietro le quinte con l’Iran durante gli attacchi punitivi della scorsa settimana per evitare un’escalation.

L’opinione pubblica americana non ha voglia di coinvolgere direttamente il proprio Paese in un conflitto su larga scala, dopo essersi già inacidita sul suo ruolo di guida dellaguerraper procuradella NATO contro la Russia in Ucraina. Inoltre, la destabilizzazione dei mercati finanziari occidentali in caso di crisi tra la NATO e la Russia, causata dalla creazione di una “no-fly zone” su parti dell’Ucraina da parte di uno dei membri del blocco, potrebbe spingere gli Stati Uniti verso una recessione, scatenando così un sentimento anti-incumbency che va contro gli interessi dei Democratici al governo.

Tuttavia, proprio come Israele potrebbe sfruttare il suo ruolo per catalizzare un conflitto su larga scala, a meno che non ottenga concessioni tangibili dagli Stati Uniti, anche la Polonia potrebbe fare lo stesso. A differenza di Israele, però, la Polonia non ha l’autonomia per perseguire una politica così rischiosa, visto che il suo nuovo governo liberal-globalistaha subordinato completamente il Paese alla Germania da metà dicembre. Mentre Israele è ancora sovrano nonostante le pretese di controllo degli Stati Uniti, la Polonia è oggi uno Stato fantoccio tedesco.

Alla luce di ciò, sarebbe davvero sorprendente se i sistemi Patriot polacchi venissero utilizzati per proteggere l’Ucraina occidentale, cosa che Kuleba sa ma ha comunque parlato in modo ambiguo di questa possibilità, nel tentativo di fare pressione sull’Occidente e di evitare che il morale crolli ulteriormente in patria. Ciò non significa che questo scenario sia da escludere, soprattutto perché gli Stati Uniti potrebbero decidere di inasprire i toni in risposta a una potenziale avanzata militare russa, nel qual caso potrebbero coprire i cieli prima di un intervento polacco.

Per il momento, tuttavia, è molto improbabile che gli Stati Uniti approvino che la Polonia compia questo passo, a meno che non cambi qualcosa di serio. Allo stesso modo, è ancora più improbabile che la Polonia lo faccia unilateralmente in barba all’Asse anglo-americano dopo che quest’ultimo ha espresso la sua disapprovazione per questa possibilità. Per questo motivo, la proposta di Kuleba probabilmente non avrà alcun valore, e l’unica possibilità che si concretizzi, in assenza di una svolta russa, è che gli Stati Uniti decidano incautamente di “inasprire per inasprire”.

ll sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure PayPal.Me/italiaeilmondo  Su PayPal, ma anche con il bonifico su PostePay, è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (pay pal prende una commissione di 0,52 centesimi)

 

Smettere di costruire senso, di AURELIEN

Smettere di costruire senso.

Non ci sono “perché” nel nostro mondo.

Condividi

Vi ricordo che questi saggi saranno sempre gratuiti, ma potete comunque sostenere il mio lavoro mettendo like e commentando e, soprattutto, trasmettendo i saggi ad altri e i link ad altri siti che frequentate. Ho anche creato una pagina Buy Me A Coffee, che potete trovare qui.☕️

E grazie ancora a coloro che continuano a fornire traduzioni. Leversioni in spagnolo sono disponibili qui, e alcune versioni italiane dei miei saggi sono disponibili qui. Anche Marco Zeloni sta pubblicando alcune traduzioni in italiano e ha creato un sito web dedicato a queste traduzioni. Grazie anche ad altri che pubblicano occasionalmente traduzioni in altre lingue. Sono sempre felice che ciò avvenga: vi chiedo solo di comunicarmelo in anticipo e di fornire un riconoscimento.

Ora, allora.

Forse ricorderete la satira: un tempo era una forma d’arte culturale. Il suo scopo era quello di mettere in ridicolo le mancanze degli individui e della società e trae le sue origini dalle commedie di Aristofane (che pare fosse raccomandato da Platone come la migliore guida per comprendere la politica ateniese) e dai poeti romani Orazio e Giovenale. Ha avuto una lunga e ricca storia in diverse forme e le ragioni per cui oggi sembra inutile tentare la satira hanno molto a che fare con l’incoerenza e l’apparente inutilità del mondo moderno.

Questo perché la satira presuppone un quadro di riferimento ragionevolmente comune tra l’autore e il lettore o lo spettatore, in modo tale che ciò che si intende intendere come eccessivo e ridicolo venga riconosciuto come tale. La satira migliore è una questione di giudizio fine: la rappresentazione di individui e circostanze che sono sufficientemente lontani dalla realtà attuale per essere sorprendenti e divertenti (anche se non necessariamente divertenti), ma anche abbastanza vicini alla realtà attuale che gli eventi e gli individui mantengono una plausibilità di superficie. In molti casi, la satira consiste nel prendere le forme culturali e le idee politiche attuali e nel dare loro un tocco in più, in modo da renderle ridicole. Così ,Brave New World è una satira sull’utopismo scientifico wellsiano, così come 1984 è in parte una satira sulle teorie del manageriale americano James Burnham. Il dottor Stranamore è una satira della letteratura e del cinema apocalittici e seriosi degli anni Cinquanta, con generali pazzi e tecnologia fuori controllo. Nel 1982, la serie televisiva britannica Whoops, Apocalypse! poteva satireggiare l’incipiente boom di storie di disastri nucleari verso la fine della Guerra Fredda.

Come dimostrano alcuni di questi esempi, la satira non deve necessariamente essere divertente, anche se può esserlo. Non ci sono molte risate in 1984, così come in Wedi Zamyatin, una delle sue fonti principali. Ma ci sono una serie di idee satiriche portate all’estremo del ridicolo. Orwell sapeva che il valore scioccante di 1984 sarebbe aumentato notevolmente se fosse stato ambientato non in un Paese immaginario, ma nell’ambiente più improbabile a cui potesse pensare, cioè la sua Inghilterra; e se la non-ideologia del Partito fosse stata mascherata nella terminologia della forma di socialismo democratico molto inglese per cui Orwell stesso aveva combattuto. Così Orwell riprese ed esagerò satiricamente alcune delle paure popolari dell’epoca (polizia paramilitare in uniforme nera a Londra, televisioni che guardavano chi guardava, tentativi di controllo dei pensieri della gente, controlli di fedeltà, cambiamenti improvvisi e violenti di linea di partito, guerre senza fine, un unico Partito) riconoscendo che, sebbene il lettore sapesse che queste cose non sarebbero potute accadererealmente in Inghilterra, tuttavia lo shock di una loro apparizione nell’ambiente familiare di Londra sarebbe stato ancora maggiore.

Pertanto, una satira efficace presuppone un certo grado di consenso su ciò che è o non è reale e su ciò che è o non è possibile. L’ambizione di Molière di ” corriger les vices des hommes en les divertissant (“correggere le mancanze degli uomini divertendoli”) presuppone un ampio consenso su comportamenti accettabili e inaccettabili e la necessità di evitare di portare all’estremo idee e convinzioni (anche religiose). È per questo che la satira funziona meglio in ambienti politicamente e socialmente strutturati, dall’Inghilterra della Modesta proposta di Swift alla Vienna dell Uomo senza qualità di Robert Musil dove la satira è intesa come satira. Così, negli anni Settanta i Monty Python potevano prendere in giro molti aspetti dell’establishment britannico (di cui facevano parte), compresa la religione organizzata in The Life of Brian, perché anche coloro che si sentivano offesi dalla satira riconoscevano e accettavano il mondo che i Python satireggiavano, e che si trattava di satira. Al contrario , latrilogiaIlluminatus di Robert Anton Wilson , inizialmente scritta come satira sulla letteratura cospirazionista degli anni Sessanta, è stata assorbita senza soluzione di continuità da quella stessa cultura, e oggi è spesso vista come una sua espressione.

Sempre più spesso negli ultimi anni si è cominciato a dire che “non si può inventare” e a suggerire che non ha più senso fare satira, perché la realtà la supera inevitabilmente. Non è un’idea nuova, naturalmente. Sebbene il satirico Tom Lehrer, autore di alcune tra le canzoni satiriche più ferocemente divertenti di tutta la storia, abbia in seguito smentito di aver smesso di scrivere dopo l’assegnazione del Premio Nobel per la Pace a Henry Kissinger, è vero che sarebbe stato giustificato a farlo. (Ma è anche vero che a quel punto aveva detto praticamente tutto quello che c’era da dire: “La cosa bella di una canzone di protesta è che ti fa sentire bene” rimane il commento definitivo sull’azione politica performativa sessant’anni dopo che l’ha detto).

Tuttavia (e finalmente arriviamo al tema di questo saggio) la maggior parte delle persone ha la sensazione di vivere in un mondo in cui la satira è irrilevante e per molti versi impossibile, in cui ogni telegiornale o feed RSS mattutino porta non solo nuovi orrori, ma anche svolte completamente inspiegabili e surreali, in un mondo in cui nulla ha senso e nulla sembra essere logicamente collegato. In realtà simpatizzo e condivido in gran parte questo punto di vista, perché penso che sia ampiamente vero. Viviamo in un mondo che non possiamo più fingere abbia senso e non sappiamo come affrontarlo.

A titolo di esempio, si consideri una proposta fatta a Hollywood negli anni ’70 per un film in cui centinaia di migliaia di vite, e il futuro stesso del Medio Oriente, sono in ostaggio dei disperati tentativi di due anziani politici corrotti di diversi Paesi di rimanere aggrappati al potere e di non finire in galera, e dell’esatta tempistica di un’elezione in un Paese, e del peso finanziario e politico di varie circoscrizioni elettorali. Immaginate inoltre che i membri religiosi estremisti del governo di un Paese credano di essere vicini al ritorno del loro Messia, che sarà provocato da un attacco nucleare contro l’antico nemico Persia, come indicato nella loro Bibbia, e che altri estremisti religiosi nel secondo Paese pensino che la seconda venuta di Cristo sarà provocata dagli stessi eventi. E poi c’è la storia del tempio sacro e della giovenca rossa. Potete immaginare la reazione di un presunto produttore, anche se al giorno d’oggi siamo arrivati ad accettare questo tipo di eventi come scontati. Siamo molto lontani dai tempi in cui si credeva che le forze economiche profonde strutturassero i principali eventi del mondo.

La distopia è la cugina di primo grado della satira e spesso si sovrappone ad essa, e in realtà non c’è nulla di più affascinante e divertente delle distopie del passato, perché queste storie sono limitate nella loro terribilità da ciò che gli scrittori possono immaginare del futuro, basandosi sulle norme del loro tempo. La violenza urbana di Arancia meccanicadi Anthony Burgess , per quanto sembrasse una scioccante satira distopica sessant’anni fa, e anche un decennio dopo quando Stanley Kubrick ne realizzò la versione cinematografica, oggi sembra pittoresca e molto legata ai suoi tempi più civilizzati. La vera violenza urbana oggi ci spaventa perché è al di fuori di qualsiasi contesto concordato e compreso: non sembra nemmeno distopica, ma semplicemente incomprensibile.

Mentre scrivo, i media francesi riportano la notizia (non molti, a dire il vero) di un alterco a Bordeaux tra un afgano e un’afgana. rifugiato, richiedente asilo e una coppia di giovani immigrati algerini che aveva trovato a bere birra. Rimproverandoli per aver bevuto alcolici alla fine del Ramadan, li ha aggrediti con un coltello e ha ucciso uno di loro. Di recente si sono verificati numerosi episodi di violenza di questo tipo, per lo più tra adolescenti e soprattutto all’interno e nei pressi delle scuole. Alcuni sembrano legati alle bande, altri sono solo il prodotto di una cultura importata in cui i litigi di qualsiasi tipo finiscono spesso in violenza estrema e spesso fatale. C’è poi la quindicenne di origine algerina picchiata quasi a morte da alcuni compagni di classe perché vestiva con abiti “troppo occidentali”.

Non è solo che il sistema francese non ha idea di cosa fare in questi casi: non ha nemmeno idea di cosa pensare. Non ha un quadro di riferimento in cui cercare di collocare questi atti (sempre più frequenti). Il massimo che è stato in grado di fare è cercare di ridurre la pubblicità che attirano, perché tale pubblicità “stigmatizza le comunità vulnerabili” (che sono in realtà le vittime) e “rafforza l’estrema destra”. (In effetti, da anni il sistema francese guarda all’intero fenomeno della violenza religiosa e dell’immigrazione come a un pesce rosso: la bocca continua ad aprirsi, ma non esce nulla di sensato. L’ironia della sorte vuole che i critici più accaniti dell’IdiotPol nei confronti della laicità sancita dalla Costituzione non siano essi stessi credenti religiosi, né vogliano realmente concedere alla religione organizzata il potere sulla politica e sulla società. In astratto, sono ferocemente laici come coloro che criticano, se non di più. Per loro la religione non è una questione di fede, ma semplicemente un marcatore di identità culturale, indossato da comunità “svantaggiate” e “vulnerabili” che si ritiene siano “soggette a discriminazione” e che devono essere “protette” dalle critiche.

È impossibile per queste persone, che dominano la Casta Professionale e Manageriale (PMC) del mondo occidentale, capire che altre persone di altre società credono davvero che i precetti della loro religione siano letteralmente veri e che i comandi della loro religione, così come interpretati da alcuni dei suoi leader, siano operativi, e che quindi siano giustificati dall’uccisione di massa di uomini e donne non sposati che socializzano insieme, o dalla persecuzione, dalle percosse e dallo stupro di ragazze che non rispettano i codici di abbigliamento islamici nelle strade delle città europee. Qualsiasi cosa, letteralmente qualsiasi cosa, dall'”emarginazione” alla “violenza della polizia” alle “avventure militari occidentali” alle attività dei servizi segreti occidentali, è preferibile come modo di spiegare la violenza islamista all’ingrosso e al dettaglio, perché sono cose che capiamo, o almeno di cui siamo abituati a sentire parlare, nella cultura popolare, in TV e al cinema.

Quest’ultimo punto è importante, perché le ricerche in psicologia dimostrano che ciò che le persone credono è molto più legato al numero di volte che si sentono ripetere le cose, che alla coerenza intrinseca di ciò che viene proposto. La pura ripetizione crea familiarità e la familiarità ci fornisce una spiegazione e un quadro di riferimento che ci esonera dalla necessità di ulteriori riflessioni. Di conseguenza, eventi che potrebbero sembrare strani, e di conseguenza spaventosi, possono essere assimilati in un discorso familiare e di conseguenza ci sentiamo meno spaventati. Quando accadono fatti che non possono essere incasellati in un paradigma esistente, ma che sono troppo drammatici per essere ignorati, vengono semplicemente riportati frettolosamente e senza commenti. Il fatto è che la stessa PMC non è assolutamente in grado di comprendere questi atti di violenza, perché sono completamente al di fuori dei limiti della loro esistenza intellettualmente confortevole. Si limita quindi a squittire di virtuosismi e di irrilevanza.( Questa settimanaLe Monde ha pubblicato un lungo articolo sull’assassino afghano, interamente dedicato alla questione tecnica se l’omicidio potesse essere classificato come atto di terrorismo se non fosse stato premeditato. Come se a qualcuno importasse).

Molto di questo, ovviamente, è legato all’ego. L’idea che nel mondo accadano cose che non possiamo capire senza fare uno sforzo particolare; che ci siano eventi in cui l’Occidente non gioca un ruolo dominante, nel bene e nel male; che anche nella nostra società accadano cose che non possiamo incasellare nel nostro tradizionale quadro di riferimento: tutto ciò minaccia la capacità del nostro prezioso ego di afferrare, spiegare e quindi controllare il mondo; più il mondo sembra inspiegabile, più sembra spaventoso e più forte è il desiderio di trovare un modo, un modo qualsiasi, di assimilarlo alle idee che abbiamo già sentito. L’alternativa è il silenzio.

Ad esempio, il monumento che commemora la morte e il ferimento di centinaia di persone negli attacchi dello Stato Islamico del 13 novembre 2015 a Parigi non contiene una sola parola sull’identità o sulle motivazioni degli attentatori. È facile avere l’impressione che le morti siano dovute a una sorta di disastro naturale. In realtà, mentre la Francia ha una grande conoscenza dello Stato Islamico, per averlo combattuto in Siria e in Africa, oltre che in patria, le montagne di studi, le infinite testimonianze di ex membri, di esperti delle regioni e le testimonianze ai processi non possono essere convertite in una semplice storia che segue direttamente da ciò che la gente “sa” (o almeno pensa di sapere) sull’Islam e sul Medio Oriente. Il risultato è quindi il silenzio di fronte a ciò che sembra essere inspiegabile.

È sorprendente come questo appaia anche nella copertura di Gaza. È ormai routine, sulle pagine dei giornali sopravvissuti o nei successivi feed RSS dello stesso sito, vedere immagini orribili e resoconti terrificanti da Gaza stessa, accompagnati da lamenti da Washington che chiedono a Netanyahu di essere un po’ più gentile e discriminante nelle uccisioni. Non è possibile scrivere un’unica notizia che comprenda entrambi gli elementi in modo soddisfacente, per cui l’impressione generale è quella di due storie che non hanno alcun legame causale o tematico, ma che per coincidenza sono state riportate nello stesso momento. Ancora una volta, il silenzio è così forte da urlare. Per trent’anni, fino all’Ucraina compresa, è stato ripetutamente messo in campo l’intero armamentario ideologico del militarismo della PMC: intervento militare, no-fly zone, attacchi aerei, intervento militare sul terreno, sanzioni applicate dall’esercito se necessario. E la più amara delle ironie è che questa è l’unica crisi politica degli ultimi trent’anni in cui l’intervento militare potrebbe porre fine alle sofferenze in mezz’ora.

Ma l’idea di un intervento militare non viene chiaramente in mente ai governi occidentali, perché l’uso della violenza contro uno Stato allineato all’Occidente è impensabile, nel senso letterale del termine. Non rientra nel quadro di riferimento in cui si sta ragionando. Tale quadro di riferimento è in grado di ricevere ed elaborare solo alcuni tipi di input: così, sfogliando alcuni feed RSS questa mattina mi sono imbattuto in una storia su come potremmo alleviare le sofferenze dei palestinesi, parti innocenti, in una guerra tra Israele e Hamas. Queste interpretazioni, per quanto possano apparire bizzarre ai ben informati, rappresentano la massima misura in cui il PMC e le classi politiche e mediatiche ad esso associate possono effettivamente elaborare ciò che vedono in modo da non destabilizzare la loro visione del mondo. Dopotutto, trent’anni fa qualsiasi autore satirico o scrittore di SF distopica avrebbe osato scrivere una storia in cui, nella stessa settimana, venivano imposte sanzioni alla Cina per aver venduto beni alla Russia, mentre Israele veniva fustigato con un pezzo di spaghetti bagnati? Non è nemmeno chiaro come si possa iniziare ad assimilare questi due eventi a una visione del mondo coerente, ed è per questo che non avrebbero mai potuto avere successo come racconto satirico.

Gli esempi potrebbero essere moltiplicati, ma credo che il punto sia stato chiarito. Se l’idea di vivere in un mondo caotico e privo di significato non è certo nuova, uno dei tanti cambiamenti apportati da Internet è l’aumento massiccio della quantità di dati grezzi disponibili sulle crisi odierne, senza necessariamente aumentare il livello di comprensione. Anche trent’anni fa, agli albori della televisione satellitare, il massimo che si poteva ottenere era una trasmissione di pochi minuti in diretta da un luogo di crisi da parte di un giornalista riconosciuto. Un decennio prima si trattava di filmati, sviluppati negli studi in patria. Ora, dopo un incidente come l’attacco missilistico iraniano contro Israele, siamo bombardati da video per smartphone che possono o meno mostrare incidenti reali che possono o meno essere collegati all’episodio in questione, e da più commenti di quanti se ne possano assorbire. Sarebbe una cosa se tutte queste immagini e tutti questi commenti tendessero nella stessa direzione, ma in pratica molti di essi sono sconnessi e apertamente contraddittori.

Questo produce una situazione che, a mio avviso, non ha precedenti nella storia dell’umanità. Si pensi che fino a un secolo fa le notizie dal mondo esterno erano difficili e costose da reperire e arrivavano in piccoli pacchetti da corrispondenti specializzati. Le persone erano consapevoli delle confusioni e delle contraddizioni della vita, delle cose terribili che potevano accadere, delle crisi inspiegabili che si sviluppavano, ma per lo più in un contesto locale e domestico che comprendevano in larga misura. Solo di recente i notiziari sono pieni di eventi inspiegabili, inaspettati e terribili, perpetrati in luoghi di cui non abbiamo mai sentito parlare, da persone di cui non riusciamo nemmeno a pronunciare il nome.

Ciò ha coinciso con un effetto di livellamento provocato da Internet, che assimila tutto a un unico discorso. Paradossalmente, Internet ha ristretto e semplificato enormemente la nostra visione del mondo. Quando ero giovane, le altre parti del mondo, anche quelle europee, erano accettate come diverse. Le narrazioni degli esploratori africani con cui sono cresciuto, le storie di gesta dei ragazzi in Medio Oriente, i documentari della BBC di David Attenborough, tutto risuonava con un senso di quanto fossero diverse le altre culture. La fine degli imperi europei ha significato, tra l’altro, la fine dell’interazione quotidiana con civiltà completamente diverse, in quanto i ministeri delle Colonie sono stati ripiegati e sono diventati appendici minori dei ministeri degli Esteri, e la competenza in culture veramente straniere è diventata molto meno apprezzata. (A questo proposito, gran parte del successo iniziale dei romanzi di James Bond era dovuto alla loro collocazione in luoghi esotici e diversi come la Giamaica o il Giappone, che solo pochi lettori potevano aspettarsi di visitare). Al giorno d’oggi, mentre la gente posta video di se stessa fuori da McDonald’s a Ho Chi Minh City o a metà strada sul Monte Everest, ci illudiamo che il mondo sia finalmente diventato solo una proiezione del nostro ego, e che ora abbiamo un quadro concettuale che può assimilare e interpretare ampiamente qualsiasi cosa, anche se discutiamo furiosamente sui dettagli. Da qui la paura quando l’ego si trova di fronte a qualcosa che non riesce a far rientrare nel contesto che crede di capire.

Naturalmente, l’idea che viviamo in un mondo confuso, irrazionale e spaventoso non è nuova. Per i nostri antenati era probabilmente peggio, almeno nella loro vita quotidiana. Ma ci sono state due tradizioni intellettuali che hanno funzionato come palliativi e spiegazioni almeno parziali. Una, ovviamente, è stata la religione. Nelle società panteistiche come quella descritta nell’Iliade, la questione non si poneva: gli dei facevano quello che volevano ai mortali e basta. Non c’era un sistema etico generale, né la necessità di razionalità. Il monoteismo è sempre stato in grado di proporre una soluzione a questo problema: i disegni di un Dio creatore onnipotente sono tali da non poter essere compresi dagli esseri umani. Esiste infatti un’intera scuola di scrittura mistica, presente sia nel Cristianesimo che nell’Islam, nota come teologia “apofatica”, che sostiene che non possiamo avere alcuna conoscenza di Dio e che è inutile provarci. (Tra l’altro, Kant pensava la stessa cosa).

Il problema di questo argomento è che richiede un certo grado di umiltà, che non è una virtù molto in voga oggi e che tende a minare la nostra visione del mondo guidata dall’ego, in cui tutto deve essere comprensibile per noi e in grado di essere giudicato da noi. (L’argomento non dipende dall’esistenza o meno di Dio per la sua forza, è un argomento sui limiti di ciò che gli esseri umani possono realisticamente aspettarsi di conoscere). L’idea dell’esistenza di forze che non possiamo comprendere è più di quanto il nostro ego possa accettare, quindi, dal XVIII secolo, abbiamo ridefinito Dio come un essere “ragionevole” che possiamo comprendere, e gran parte del sentimento ateo deriva dall’incapacità dell’ego di accettare il concetto stesso di una figura divina le cui caratteristiche non possiamo intrinsecamente cogliere. A un estremo si sostiene che credere in un unico Dio è irragionevole, all’altro si sostiene che l’idea di un Dio che condanna le anime alla perdizione eterna è inaccettabile e non può essere vera. Ma è ovvio che un essere soprannaturale non ha alcun obbligo di accettare gli standard razionali e morali degli occidentali del terzo decennio del XXI secolo. È anche ovvio che nel corso della storia la stragrande maggioranza dei cristiani, almeno, non ha avuto difficoltà ad accettare l’idea della perdizione eterna, proprio come fanno oggi centinaia di milioni di musulmani. Tuttavia, il rifiuto egoistico di tutto ciò che va oltre le nostre capacità di discernimento (come i pesci rossi che decidono che nessuno li stava nutrendo, ma che il cibo arrivava naturalmente nell’acqua) non ci ha lasciato alternative se non quelle umane puramente riduttive per spiegare i paradossi, le crudeltà, le ingiustizie e l’incoerenza generale del mondo.

L’alternativa principale, ovviamente, era il marxismo, o per essere più precisi il marxismo-leninismo istituzionalizzato, come rappresentato e diretto per tre quarti di secolo dal Partito Comunista Sovietico. L’idea che l’umanità si stesse muovendo, anche se in modo irregolare, in una certa direzione sotto la tutela del CPSU forniva allo stesso tempo un quadro analitico per vedere il mondo e un modo per accettare e razionalizzare eventi terribili. Anche i presunti errori – la collettivizzazione forzata, ad esempio – potevano essere spiegati come casi individuali in cui il Partito aveva deviato dal comportamento corretto, ma si era rimesso in carreggiata. Era la destinazione e non il viaggio che contava, anche se questo viaggio passava attraverso le purghe di Stalin e il patto Molotov-Ribbentrop.

Entrambi questi sistemi di pensiero hanno perso gran parte del loro potere politico ed etico, ma le abitudini di pensiero che hanno inculcato rimangono comunque influenti. Il declino della religione formale ha prodotto… beh, stavo per dire teorie del complotto, ma forse è esagerato, perché una teoria è un costrutto intellettuale che genera proposizioni verificabili, e poche o nessuna “teoria del complotto” lo fa. Piuttosto, ha prodotto una visione del mondocospiratoria in cui nulla è come sembra e tutto è il risultato delle macchinazioni di individui e organizzazioni che investiamo di poteri francamente sovrumani. (Gli esponenti di questa visione del mondo, come gli gnostici di un tempo, credono di avere una conoscenza istintiva della verità di ogni situazione, senza bisogno di prove.

All’altra estremità dello spettro, se il marxismo formale ha perso molta della sua influenza, il marxismo volgare, con la sua enfasi miope sulle spiegazioni puramente materiali ed economiche di ogni cosa, rimane estremamente potente come metodo di analisi universale in qualsiasi contesto, relegando fattori come la storia, la geografia, la politica e la cultura a un ruolo subordinato. In molti casi, le due forme di pensiero degenerate riescono a coesistere, a volte nella stessa serie di affermazioni. Naturalmente, una volta che si ha in testa un modello di funzionamento del mondo, questo può essere applicato senza modifiche ovunque. Ricordate il volo della Malaysian Airlines scomparso dopo il decollo qualche anno fa e mai più rivisto? Si è scoperto che sono stati gli americani ad abbatterlo. Beh, probabilmente. Possibilmente.

In teoria, il liberalismo potrebbe fungere da teoria globale sostitutiva per spiegare le miserie e le incoerenze del mondo, ma è troppo incoerente nella sua pratica e persino nella sua teoria (quanti devoti rawlsiani conoscete?) per svolgere un ruolo del genere. Una teoria politica e sociale basata sull’egoismo e sull’egocentrismo generalizzato deve solo accettare i mali e le contraddizioni del mondo dei vincitori e dei vinti come inevitabili, magari da migliorare con una più rigida adesione all’ortodossia liberale. Anche se può identificare i mali, per definizione non può agire in prima persona per alleviarli, perché è una teoria transazionale del mondo. Con tutti i loro difetti, i credenti religiosi e i comunisti andavano a combattere e a morire per le cose in cui credevano: I liberali vogliono solo pagare qualcun altro per morire per le cose in cui credono. È la differenza tra “devo fare qualcosa” e “qualcosa deve essere fatto”.

Ma sto divagando. Beh, un po’. Il punto è che la moderna distruzione liberale della religione e delle idee politiche che mirano a un futuro migliore ha creato un enorme vuoto nella nostra capacità di razionalizzare il mondo, che il liberismo stesso non può colmare. E il liberalismo è impegnato a distruggere tutti gli altri parametri con cui eravamo soliti giudicare e interpretare le azioni: l’interesse nazionale, il bene collettivo, la difesa delle famiglie e delle comunità, e così via. Infine, il liberalismo stesso si è frantumato in fazioni impegnate a mordersi e a scannarsi l’un l’altra per differenze ampiamente immaginate e dettate dall’ego.

È questo, credo, che spiega il tono isterico di gran parte di ciò che oggi passa per discorso politico, per non parlare del dibattito. Le nostre opinioni e le nostre valutazioni del mondo sono in definitiva solo estensioni del nostro ego, senza punti di riferimento esterni concordati, e scegliamo le nostre opinioni e le nostre ideologie come scegliamo una squadra di calcio o una pop star da seguire: essenzialmente per pura emozione. Una sfida alle nostre opinioni è quindi una sfida alla solidità del nostro ego e una sensazione di incertezza su come interpretare un evento ci spaventa. Scegliamo opinioni e punti di vista che troviamo emotivamente soddisfacenti e che rafforzano il nostro ego e, poiché sono generati internamente, anziché essere tratti da schemi comunemente accettati, un punto di vista diverso dal nostro viene percepito come un attacco alla forza del nostro ego.

Lo si è notato nella bagarre seguita a due recenti incidenti: l’attacco alla sala concerti Crocus in Russia e la distruzione del ponte del porto di Baltimora negli Stati Uniti. Ciò che mi ha colpito – e non intendo addentrarmi in speculazioni sostanziali, dal momento che in entrambi i casi sono ancora disponibili poche prove concrete – è che nel giro di pochi minuti dai primi annunci dei media gli opinionisti si sono riversati su Internet con elaborate spiegazioni cospiratorie degli eventi, sebbene non si tratti, come ho suggerito, di teorie del complotto in quanto tali. Questo in un momento in cui persino i fatti fondamentali non erano chiari. Il punto, ovviamente, era quello di intrappolare e addomesticare immediatamente questi eventi in un quadro concettuale che non fosse impegnativo per l’ego, perché già familiare, e che ci facesse sentire di capire il mondo. Anche se pochi di noi sono ingegneri navali, specialisti nella progettazione di ponti portuali, esperti della complessa e violenta storia dello Stato Islamico, specialisti nell’interazione delle reti terroristiche o qualificati per parlare di sabotaggio di grandi navi da carico, tutti noi abbiamo familiarità con i tropi della cultura popolare sulle operazioni “false flag”, sulle misteriose forze di operazioni speciali, sulle oscure azioni dei servizi segreti, sugli ingegnosi mezzi tecnici di sabotaggio e su molte altre cose. Ricorriamo a cose “come” quella serie di Netflix che non abbiamo mai finito di guardare sui russi (o erano i cinesi) che sabotano un ponte (o era un tunnel) perché ci fornisce qualcosa a cui aggrapparci. Poiché selezioniamo le spiegazioni che ci piacciono in base a criteri essenzialmente emotivi ed estetici, siamo incapaci di discutere serenamente le questioni di fondo con qualcuno i cui criteri sono diversi. Finiamo per cercare di cavarci gli occhi a vicenda.

Come ho suggerito, oggi sono disponibili molti più dati (non diciamo “informazioni”) sui principali eventi del mondo di quanti ne possiamo elaborare, eppure la capacità della nostra cultura di dare un senso a ciò che vede è in continuo declino, anche a livello di decisori e influencer. Questo spiega, forse, il distacco di questi ultimi dalla realtà per quanto riguarda l’Ucraina. L’affermazione “non si deve permettere alla Russia di vincere” deve essere completata con la formula “o l’ego strategico occidentale subirà un danno irreparabile, e questo è inaccettabile”. Il pensiero di una sconfitta occidentale e di una vittoria russa è così distruttivo per l’ego che non può essere contemplato, tanto meno permesso di discuterne. La satira, se ne avesse voglia, potrebbe davvero prendersi gioco di questo scollamento dalla realtà: a pensarci bene, forse lo ha fatto molto tempo fa, in Monty Python e il Santo Graal.

Questo diventerà un vero problema negli anni a venire, quando la narrativa che tiene insieme il complesso di sicurezza occidentale comincerà a disintegrarsi e diventerà chiaro non solo che l’influenza occidentale su molti dei problemi del mondo è limitata ora, ma che è sempre stata molto più limitata di quanto l’ego strategico occidentale sia mai stato disposto a contemplare. Una cosa che univa i più ferventi sostenitori del rovesciamento di Gheddafi e del tentativo di rovesciamento di Assad ai loro più acerrimi critici era la convinzione dell’importanza fondamentale delle azioni occidentali. Temo che sia il momento dell’acqua fredda, e l’acqua sarà ancora più fredda in futuro.

Le strutture di potere in declino ancora aggrappate a idee gonfiate della propria importanza sono sempre state un buon materiale per i satirici, ma mi aspetto che in questo caso abbiamo qualcosa di più fondamentale della fine dell’Impero asburgico con cui confrontarci e vivere. Ma d’altra parte, la disintegrazione di quell’Impero e il più ampio caos che seguì la Prima Guerra Mondiale non sono esattamente un buon auspicio per il nostro futuro (nota per me: scrivere un saggio su questo).

Come vivere, dunque, in questa cultura post-satirica e schizofrenica, in cui la verità è qualsiasi cosa ci faccia sentire bene e ci permetta di fingere di capire davvero il mondo? Penso che abbiamo due scelte, che tra loro equivalgono a decidere se pensiamo che il mondo sia intrinsecamente semplice o intrinsecamente complicato, e se possiamo effettivamente affrontare le conseguenze se decidiamo a favore della seconda ipotesi.

Per fortuna, alcuni sono stati qui prima di noi? Esiste un’intera tradizione letteraria e filosofica dell’Assurdo, per lo più in lingua francese (Céline, Sartre, Camus, Ionesco), che guardava essenzialmente al paradosso della ricerca di un senso in un mondo che evidentemente non ne aveva e, cosa interessante, spesso adottava un tono decisamente satirico nel descrivere quel mondo. Il suo esponente più noto, Albert Camus, si chiese se, in un mondo del genere, non fosse meglio uccidersi. La risposta dell’Assurdista (e soprattutto dell’Esistenzialista) fu: “No, andare avanti, senza speranza ma senza disperazione”. Sebbene Camus abbia presentato la sua argomentazione in termini di condizione umana nel suo complesso, non è difficile vedere l’Assurdismo come un prodotto della Prima guerra mondiale e degli eventi degli anni Trenta e Quaranta, che potrebbero essere letti come un suggerimento del fatto che l’umanità ha perso le sue rotelle. La Prima guerra mondiale, in particolare, ha distrutto molte più fondamenta della società (compresa la religione) di quanto si pensi. Forse non è un caso che l’Assurdismo, come l’Esistenzialismo, fosse in declino nei prosperi e pacifici anni Sessanta e Settanta. L’allegra distruzione delle ultime strutture di significato e rilevanza da parte del liberalismo negli ultimi quarant’anni ci ha riportato, senza sorpresa, alla stessa disperante sensazione che nulla sia collegato e nulla abbia senso. Inoltre, a mio avviso, ci suggerisce le stesse possibili risposte: o la ricerca nevrotica di una grande teoria unificante di forze occulte che spieghi tutti gli eventi del mondo, o un più calmo riconoscimento del fatto che il mondo è effettivamente fondamentalmente privo di significato, ma questo non significa che non ci siano ancora cose utili e importanti da fare.

Primo Levi, scienziato e scrittore italiano, fu arrestato nel 1943 per le sue attività di resistenza e alla fine finì ad Auschwitz, dove vide non solo che chi viveva e chi moriva era in gran parte una questione di fortuna, ma anche che il comportamento delle autorità SS che gestivano il campo era completamente imprevedibile e inspiegabile. Utilizzando il tedesco che aveva imparato (una delle cose che lo aiutarono a sopravvivere), un giorno chiese a una guardia del campo perché gli avesse gratuitamente strappato un ghiacciolo che aveva preso per dissetarsi. Hier ist kein warum fu la risposta. “Qui non ci sono perché”. Anche se pochi di noi si troveranno mai in circostanze così estreme, alla fine tutti viviamo in un mondo in cui non ci sono perché, e sarebbe meglio se ci abituassimo.

ll sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure PayPal.Me/italiaeilmondo  Su PayPal, ma anche con il bonifico su PostePay, è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (pay pal prende una commissione di 0,52 centesimi)

Scattata la ritorsione di Israele all’Iran_Aggiornamenti

Come prevedile la ritorsione di Israele contro l’Iran è partita. Si tratta della risposta alla replica dell’Iran, la quale se dal punto di vista dell’efficacia nei danni non ha raggiunto risultati visibili, ammesso che sia stato questo l’obbiettivo, ha rivelato la dipendenza estrema di Israele dal sostegno diretto occidentale. Colpisce il sostegno scontato di buona parte del mondo occidentale e di parte dei regimi del mondo arabo; ancora di più il silenzio, ancora più spettrale rispetto a quello subito dalla chiamata alla crociata antirussa, del resto del mondo. Tutte fratture che si allargano. Si tratta di una iniziativa del Governo di Israele e di Netanyhau, confidando sulla debolezza e insignificanza di Biden e della libertà di azione dei centri più avventuristi ed oltranzisti della sua amministrazione. Una decisione che lascerà, nell’immediato, ampia libertà di azione al Governo e all’esercito israeliano dentro e fuori il proprio territorio e imporrà ulteriore chiarezza negli schieramenti internazionali, soprattutto ai paesi arabi sunniti. Sarà, però, un ulteriore duro colpo alla credibilità strategica degli Stati Uniti nell’agone internazionale, sempre più in difficoltà nella sua veste di arbitro delle dinamiche geopolitiche e di “pacificatore”.

Image

08:12

Iran

Non c’è stato alcun “attacco dall’estero”, affermano i media iraniani. I droni sarebbero partiti dall’interno (L’orient le jour)

08:01

Guerra di Gaza  Esplosioni nell’Iran centrale, possibile attacco israeliano (Haaretz)

07:55

Il Ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir ha suggerito in un post di venerdì mattina X che l’attacco aereo israeliano contro l’Iran era una risposta troppo limitata allo sbarramento che gli iraniani hanno lanciato contro Israele dalla notte alla domenica. Fonti militari israeliani affermano invece che l’operazione deve ritenersi conclusa (Haaretz)

07:40

Funzionario israeliano al Washington Post: “Lo sciopero intende segnalare all’Iran che Israele ha la capacità di colpire all’interno del paese” (Haaretz)

07:28

L’ambasciata americana in Israele annuncia la limitazione dei viaggi del proprio personale (L’orient le jour)

07:02

Attacchi israeliani su postazioni militari nel sud della Siria (OSDH) (L’orient le jour)

06:42

Iran  I voli sono ripresi dagli aeroporti di Teheran (L’orient le jour)

06:00

USA: Solo Israele ha partecipato all’attacco.

Al momento sembra che sia l’Iran che Israele pretendono di far finta che l’attacco di rappresaglia di questa notte non sia mai avvenuto, anche se Israele rilascia una dichiarazione ufficiale, l’Iran sarà probabilmente costretto a riconoscere che almeno un qualche tipo di azione ha avuto luogo.

Questo attacco potrebbe essere stato “uno e veloce” Si spera che la situazione si sia tranquillizzata, anche se provocare la risposta delle difese aeree dell’Iran e ottenere cosi l’ordine di battaglia e le tracce aggiornate, prima di un attacco molto più grande, è una tattica reale usata in guerra, specialmente verso esche piu`vulnerabili…

05:35

I media di Stato iraniani hanno dichiarato che i siti nucleari iraniani hanno la massima sicurezza e non hanno subito danni dall’attacco di stanotte da parte di Israele.

FOX – Gli attacchi israeliani all’Iran sono “limitati”.

CNN- L’obiettivo in Iran “non è nucleare”.

NBC- Le forze israeliane hanno allertato i funzionari statunitensi prima dell’attacco di oggi.

Una confusione totale e dichiarazioni contraddittorie. Di sicuro sembra che l’attacco all’Iran sia stato limitato nella portata e nell’azione. Stareme a vedere…

05:31

Segnalazioni di attacchi informatici contro i siti web dello Stato iraniano

05:30

Alti funzionari degli Emirati Arabi Uniti (EAU) e dell’Arabia Saudita avrebbero detto agli Stati Uniti di aver bisogno delle stesse garanzie di sicurezza che gli Stati Uniti hanno con Israele se vogliono aumentare la loro partecipazione all’Alleanza regionale.

05:25

Image

ATTACCO CON RAZZI E DRONI SUL NORD DI ISRAELE

05:22

Sinceramente, fino ad ora questa risposta di Israele e molto “sottotono…”

05:20

Israele ha lanciato un attacco all’Iran nel giorno del compleanno della Guida Suprema Khamenei.

Image

05:18

L’Iran ha avvertito che se Israele avesse colpito il suo territorio, la risposta sarebbe stata più forte e immediata.

Vedremo cosa succederà nelle prossime ore.

05:11

I funzionari e gli organi di informazione iraniani affermano che tutte le esplosioni udite questa notte sono dovute a intercettazioni e che non si sono verificate esplosioni “a terra”.

05:06

I funzionari e gli organi di informazione iraniani affermano che tutte le esplosioni udite questa notte sono dovute a intercettazioni e che non si sono verificate esplosioni “a terra”.

L’Agenzia spaziale iraniana (ISA) sostiene che le batterie di difesa aerea sono state in grado di intercettare almeno 3 obiettivi ostili questa mattina sopra la provincia di Isfahan, nell’Iran centrale.

04:55

L’agenzia di stampa Fars riferisce che tre esplosioni sono state udite nei pressi di una base militare a nord-ovest di Isfahan. Fars aggiunge che potrebbe essere stato preso di mira un sito radar.

04:49

Secondo quanto riferito dai funzionari israeliani, gli Stati Uniti avrebbero comunicato all’inizio di oggi la loro intenzione di lanciare attacchi di rappresaglia contro l’Iran entro le prossime 24-48 ore.

04:36

L’aeroporto internazionale Imam Khomeini (IKA) di Teheran comunica ai passeggeri che tutti i voli sono stati cancellati e che devono uscire dall’aeroporto.

04:35

I luoghi finora presi di mira dagli aerei da guerra nella campagna di Daraa, in Siria:

– Aeroporto agricolo di Izraa
– Battaglione radar tra Izraa e Qarfa
– Aeroporto militare di Al-Thalaa, a ovest di Suwayda

I media statali iraniani riferiscono che l’attacco aereo di questa notte da parte dell’aviazione israeliana potrebbe aver preso di mira l’ottava base aerea tattica all’interno dell’aeroporto internazionale di Isfahan.

La base, che ospita diverse squadriglie di caccia F-14 “Tomcat”, è ora un punto focale del conflitto in corso.

04:32

L’IRGC dichiara lo stato di massima allerta in tutte le sue basi e campi in tutto l’Iran.

ABC News conferma che le forze israeliane hanno colpito un sito in Iran.

Image

04:10

Israele ha lanciato attacchi missilistici contro il programma nucleare iraniano

Sono state segnalate esplosioni nei pressi delle città di Isfahan e Natanz, nel centro dell’Iran, entrambe contenenti importanti strutture del programma nucleare iraniano.

Attacchi anche in Siria (sito radar a Suwayda) e in Iraq.

Meglio fare il pieno di benzina, il petrolio sta per salire alle stelle. L’Iran probabilmente chiuderà lo stretto di Hormuz.

Image

03:49

L’Iran ha sgomberato il suo spazio aereo.

Image

03:33

Esplosioni segnalate in Iran. Siamo in onda con le notizie dell’ultima ora.

Israele sta bombardando contemporaneamente Iran, Siria e Iraq.

Image

LA NATO (GLI USA) E’ UN PERICOLO PER LE POPOLAZIONI E I TERRITORI EUROPEI E MONDIALI, di Luigi Longo

LA NATO (GLI USA) E’ UN PERICOLO PER LE POPOLAZIONI E I TERRITORI EUROPEI E MONDIALI.

di Luigi Longo

La retorica sui 75 anni dalla creazione della NATO è stata degna di quella che Costanzo Preve definiva una “menzogna sistematica”. A tale riguardo riporto sia la dichiarazione del pre-dominante USA, tramite il Presidente Joe Biden, sia la dichiarazione del sub-dominante Italia, tramite il Presidente Sergio Mattarella.

Così Joe Biden << […] Questa […] è la più grande alleanza militare nella storia del mondo. Ma non è successo per caso, né era inevitabile. Generazione dopo generazione, gli Stati Uniti e i nostri compagni alleati hanno scelto di unirsi per difendere la libertà e respingere l’aggressione, sapendo che quando lo facciamo siamo più forti e il mondo è più sicuro”. “Lo abbiamo visto – aggiunge – durante la Guerra Fredda, quando eravamo uniti contro le forze del totalitarismo sovietico. Lo abbiamo visto di nuovo quando l’America è stata attaccata l’11 settembre 2001 e i nostri alleati hanno invocato l’Articolo 5 della Nato – un attacco contro uno, è un attacco contro tutti – per la prima e unica volta nella storia. E lo abbiamo visto negli ultimi due anni, quando gli alleati si sono fatti avanti per sostenere il coraggioso popolo ucraino di fronte alla feroce invasione della Russia, la più grande guerra in Europa dalla Seconda Guerra Mondiale >>. (1).

Così Sergio Mattarella << L’attuale contesto internazionale, drammaticamente segnato dal riemergere di pulsioni belliche e da minacce alla sicurezza, rende particolarmente opportuna una riflessione circa la ricorrenza odierna: settantacinque anni fa, infatti, un gruppo di Paesi reduci – a vario titolo – dalla tragedia della Seconda Guerra Mondiale conclusero il Trattato dell’Atlantico del Nord. […] Oggi, con il ritorno della guerra nel continente europeo, e di fronte a una diffusa instabilità nelle regioni a noi più prossime, si comprende appieno la lungimiranza di quella scelta. La recente adesione di Finlandia e Svezia alla NATO conferma che permane intatto l’anelito alla libertà, all’indipendenza, alla pace e alla sicurezza. […] Nei settantacinque anni trascorsi da allora la Repubblica, in piena fedeltà al dettato costituzionale, non ha cessato di partecipare con serietà e dedizione alla vita dell’Alleanza. Orgogliosa fondatrice di questo patto tra Stati liberi e sovrani, essa vi contribuisce in spirito di generosa e solidale collaborazione, assicurando che le sfide provenienti da ogni area geografica ricevano adeguata attenzione, senza alcun atteggiamento di aggressività, rimasta sempre estranea all’Alleanza >> (2).

Sulla ferocia della invasione della Russia ricordata dal Presidente Joe Biden, cito quanto affermato dal Presidente Vladimir Putin << Nel 2022 gli Usa hanno speso per la difesa 811 miliardi di dollari e la Federazione russa 72 miliardi: la differenza è evidente, più di 10 volte. Il 39% della spesa globale per la difesa è degli Usa, quella russa è il 3,5%. E (…) noi combatteremmo contro la Nato? È una sciocchezza. Inoltre cosa stiamo facendo adesso con la nostra operazione militare speciale? Proteggiamo la nostra gente che vive nei nostri territori storici. Se dopo il crollo dell’Unione Sovietica, come proposto dalla Russia, si fossero costruite relazioni di sicurezza completamente nuove in Europa, non sarebbe successo niente di simile a oggi: terremmo semplicemente conto dei nostri interessi nel campo della sicurezza, di cui parliamo anno dopo anno, da decennio a decennio: ma solo completa ignoranza. Sono arrivati direttamente ai nostri confini. Ci stavamo forse muovendo verso i confini dei Paesi del blocco Nato? Non abbiamo toccato nessuno. Si stavano muovendo verso di noi. Abbiamo attraversato l’oceano fino ai confini Usa? No, si stanno avvicinando a noi, e si sono avvicinati. Che cosa stiamo facendo? Proteggiamo solo la nostra gente nei nostri territori storici. Pertanto ciò che dicono sul fatto che attaccheremo l’Europa dopo l’Ucraina è una totale assurdità. Intimidiscono la loro popolazione al solo scopo di estorcerle denaro (…). La loro economia si sta contraendo e il tenore di vita sta calando (…): hanno bisogno di giustificarsi, quindi spaventano la loro popolazione con una possibile minaccia russa (…). La Nato è l’organizzazione del blocco nord-atlantico: dove sta andando ora? Si sta diffondendo nell’Asia del Pacifico, nel Medio Oriente, in altre regioni e sta già entrando in America Latina. E tutto con vari pretesti (…) trascinando i loro satelliti europei. Quelli credono che tutto ciò corrisponda in qualche modo ai loro interessi nazionali. Hanno paura di una Russia grande e forte, anche se lo fanno invano. Noi non abbiamo intenzioni aggressive nei confronti di questi Stati. Non avremmo mai fatto nulla in Ucraina se non ci fosse stato un colpo di Stato e poi le operazioni militari nel Donbass. Hanno iniziato la guerra nel 2014, hanno usato semplicemente l’aviazione, tutti hanno visto questi bombardamenti quando hanno colpito Donetsk, una città pacifica, con missili dal cielo. Ciononostante abbiamo accettato gli accordi di Minsk. Poi si scopre che ci hanno imbrogliati ritardando di otto anni e alla fine ci hanno costretti a passare a un’altra forma di protezione dei nostri interessi e della nostra gente. Pertanto è una totale assurdità la possibilità di un attacco ad altri Paesi, alla Polonia, agli Stati baltici e stanno spaventando pure i cechi. Sciocchezze. Un altro modo per ingannare la propria popolazione ed estorcerle spese aggiuntive. Null’altro. Domanda: i Paesi Nato stanno pianificando di fornire i caccia all’Ucraina: i media stanno discutendo del fatto che gli F-16 saranno utilizzati nella zona dell’operazione militare speciale contro truppe e strutture russe, anche dal territorio dei Paesi della Nato. Ci sarà permesso di colpire questi obiettivi negli aeroporti della Nato? Se consegnano gli F-16, e pare che stiano addestrando i piloti, questo non cambierà la situazione sul campo di battaglia e distruggeremo i loro aerei come ora distruggiamo i loro carri armati, i veicoli corazzati e altre attrezzature compresi i sistemi di razzi a lancio multiplo. Naturalmente se partono da aeroporti di Paesi terzi, diventano per noi un obiettivo legittimo, non importa dove si trovino; e gli F-16 sono anche portatori di armi nucleari, e dovremo tenerne conto anche quando organizzeremo l’opera di combattimento. >> (3).

Sull’aggressività rimasta sempre estranea all’Alleanza, come sottolineato da Sergio Mattarella, ricordo con le parole di Manlio Dinucci che << Venticinque anni fa la NATO sotto comando USA demoliva con la guerra ciò che restava della Federazione Jugoslava, lo Stato che ostacolava la sua espansione ad Est verso la Russia. Nei successivi vent’anni la NATO si è allargata da 16 a 30 paesi e, con la guerra in Ucraina iniziata nel 2014, si è estesa a 32. Determinante, nella guerra del 1999, è il ruolo del Governo italiano, presieduto da Massimo D’Alema e dal vicepresidente Sergio Mattarella. Come possiamo ascoltare dalla registrazione audio ufficiale, è il vicepresidente Mattarella ad annunciare al Senato l’inizio della guerra la sera del 24 marzo 1999 e a spiegarne le ragioni secondo la versione ufficiale. >> (4). Inoltre sottolineo con Mahdi Darius Nazemroaya che << […] Gli anni Novanta non furono altro che un periodo di transizione in vista della globalizzazione della NATO e dei conflitti dei due decenni che sarebbero seguiti. Gli Stati Uniti si stavano adoperando per tracciare la tabella di marcia di quella che sarebbe stata la loro “lunga guerra” nel cuore dell’Eurasia e dell’Isola del Mondo (cioè la massa continentale eurasiatica e quella africana), approfittando del vuoto geopolitico che la fine dell’URSS avrebbe prevedibilmente lasciato. E’ su questa base che si svilupparono gli interventi bellici della NATO contro l’Iraq nella Guerra del golfo e successivamente in Jugoslavia. Gli strateghi militari presero atto delle operazioni della NATO e realizzarono che essa potesse costituire un’arma potentissima e uno strumento per rimodellare Paesi e intere regioni. >> (5).

A questo punto una domanda si pone: che fare a 75 anni dalla creazione della NATO? Un periodo che ha visto il passaggio dalla fase monocentrica coordinata dagli USA (prima nel campo Occidentale e dopo con l’implosione dell’URSS in quello mondiale) all’attuale fase multicentrica dove si è avviato lo scontro tra potenze per l’egemonia mondiale e, per dirla con Manlio Dinucci, << […] Si apre così la sfida del nuovo periodo storico, quella di costruire un mondo multipolare formato da diversi poli statuali sovrani, in cui i popoli abbiano reali libertà democratiche e reali diritti economici e sociali, in cui le diverse identità etniche, culturali, religiose e altre, createsi nel corso della Storia, siano considerate una ricchezza comune da valorizzare, senza pretesa che l’una prevalga sull’altra ma creando un intreccio di reciproci rapporti. >> (6).

Occorre, a mio avviso, eliminare il pericolo della NATO per le popolazioni. La NATO ribadisco è uno strumento degli Stati Uniti per le sue strategie di dominio, una potenza che è per un mondo monocentrico e non per un mondo multicentrico come sono la Cina e la Russia. Come pensarlo? Bisogna creare la possibilità di costruire una forza organizzata (un nuovo principe-progetto) (7) che abbia come obiettivo strategico quello di uscire realmente dalla NATO e dall’Unione Europea, per tre questioni: 1) ri-costruire una sovranità e un’autodeterminazione nazionale come condizione per pensare ad un progetto di una Europa delle nazioni libere e popolari; 2) riconvertire i territori-NATO in sistemi valoriali alternativi che ruotino intorno alle città e ai territori; questa riconversione renderebbe inutile l’attacco distruttivo dei missili nucleari russi. I russi, infatti, non vogliono attaccare le basi militari in Italia e in Europa per invadere i rispettivi territori, ma come risposta difensiva alla strategia guerrafondaia degli USA-NATO (8); 3) considerare nuove relazioni internazionali con le nazioni-potenze che sono per un mondo multicentrico e che “trattano i Paesi come soggetti legittimi, con esigenze e aspirazioni legittime”.

Mano a mano che la fase multicentrica avanza si incominciano a delineare i poli dello scontro risolutivo (ammesso e non concesso che vi sarà sopravvivenza umana) e si fa sempre più pressante la possibilità di trovare una strada che mantenga il conflitto strategico tra le potenze mondiali (con i loro poli di alleanze) nella fase multicentrica che significa trovare un equilibrio dinamico che scongiuri la fase policentrica ovvero la terza guerra mondiale (9).

Ho avanzato le suddette riflessioni considerando i Paesi capitalistici (sia in Occidente sia in Oriente) con le loro peculiarità storiche e territoriali (la rivoluzione dentro il capitale, inteso come rapporto sociale complessivo della società). Altro è pensare ad una società con diversi rapporti sociali, che tenga conto della maggioranza della popolazione e che costruisca la sensatezza della vita sia a livello nazionale sia a livello mondiale (la rivoluzione fuori dal capitale). Così scriveva Massimo Bontempelli << […] Il mondo attuale, dove si pretende di flessibilizzare, senza riguardo per gli scopi della vita, ogni aspetto dell’esistenza, dal lavoro (per chi lo ha) alle abitudini quotidiane, dove la circolazione del denaro, delle merci e delle informazioni è così vorticosa e priva di limiti da far mancare ogni stabile punto di riferimento esterno e interno, dove innumerevoli individui ansiosi e stupidamente competitivi, immersi in un incessante e insensato rumore di fondo, non fanno altro che produrre e consumare (da cui il mito demente della società funzionante a pieno ritmo di notte come di giorno, in modo che il consumatore notturno inebetito dai tanti canali televisivi e siti informatici, possa ordinare la pizza per telefono prima di darsi il sonno con il consumo di qualche pasticca), in questo mondo, dicevamo, non può durare a lungo: gli squilibri antropologici che genera fanno dubitare che possa rimanere un minimo ordinato oltre il XXI secolo. La conoscenza del bene è allora, molto concretamente, niente altro che la conoscenza delle condizioni di una vita sociale ordinata e sensata. Tutto sta a renderla possibile, risalendo a ritroso, con il pensiero, la corrente nichilista che ci ha condotti fino a questo punto. >> (10).

 

 

NOTE

 

  1. 1. Redazione ANSA, Biden, abbiamo il “sacro impegno” di difendere ogni centimetro dell’Alleanza, ansa.it, 4/4/2024.
  2. 2. Dichiarazione del Presidente Mattarella in occasione del 75° anniversario del Trattato dell’Atlantico del Nord, quirinale.it, 4/4/2024.
  3. 3. Vladimir Putin ha parlato a braccio ad un incontro coi piloti dell’aeronautica militare nella regione occidentale di Tver della Russia. La trascrizione letterale del discorso è riportata in Raniero La Valle, Era prebellica? Allarmi siamo polacchi, ilcomunista23.blogspot.com, 3/4/2024.
  4. 4. Manlio Dinucci, Jugoslavia 24 marzo 1999: la guerra fondante della nuova Nato, voltairenet.org, 27/3/2024.
  5. 5. Mahdi Darius Nazemroaya, La globalizzazione della NATO. Guerre imperialiste e colonizzazioni armate, Arianna Editrice, Bologna, 2014, pag. 100.
  6. 6. Manlio Dinucci, La guerra. E’ in gioco la nostra vita, Byoblu Edizioni, Milano, 2022, pag. 213.
  7. 7. Massimo Bontempelli, Filosofia e realtà. Saggio sul concetto di realtà in Hegel e sul nichilismo contemporaneo, Editrice C.R.T., Pistoia, 2000, pp. 223-254.
  8. 8. Marco Della Luna, Morire di NATO, marcodellaluna.info, 11/3/2024.
  9. 9. Sul conflitto strategico tra le potenze nella zona grigia tra guerra e pace, si veda Peter L. Hickman, Guerre fredde, zone grigie e competizione strategica: applicazione delle teorie della guerra alla strategia del XXI secolo, comedonchisciotte.org, 13/4/2024.

10.Massimo Bontempelli, La conoscenza del bene e del male, Editrice C.R.T., Pistoia, 1998, pp. 138-139.

ll sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure PayPal.Me/italiaeilmondo  Su PayPal, ma anche con il bonifico su PostePay, è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (pay pal prende una commissione di 0,52 centesimi)

L’inferiorità della “via occidentale alla guerra” viene lentamente alla luce, di Simplicius The Thinker

L’inferiorità della “via occidentale alla guerra” viene lentamente alla luce

Analisi di due nuove interessanti scoperte in ambito militare sia negli Stati Uniti che in Ucraina.

Da parte ucraina c’è stata un’altra serie di trasmissioni molto rivelatrici che senza dubbio passeranno inosservate. Esse fanno luce su alcuni aspetti tematici chiave della guerra, in particolare, in questo caso, sul rapporto tra la NATO e l’AFU e sulla sua filosofia militare dottrinale, il che ci permette di capire meglio come e perché il conflitto si stia svolgendo nel modo in cui si sta svolgendo.

Il primo elemento è l’ultimo video del popolare canale YouTube Red Effect, che molti di voi conoscono, che si concentra principalmente sui video dei carri armati durante il conflitto, con un taglio pro-ucraino:

Inizialmente ero pronto a scartare il video, ma alla fine sono rimasto sempre più incuriosito da ciò che veniva detto. Si intitola “Gli ucraini usano male il carro armato Abrams?” e consiste in un’intervista a un comandante di carro armato Abrams dell’esercito americano in servizio attivo.

Non rivela il suo vero nome, ma sembra informato, conosce il gergo e il suo grado di sergente maggiore corrisponde a quello che sarebbe il livello più basso di comandante di carro armato al di sotto del capo plotone. Dichiara di avere 10 anni di esperienza, 4 schieramenti, e di aver prestato servizio per diversi anni in ogni posizione del carro armato Abrams, cioè artigliere, caricatore, pilota e comandante, e quindi conosce il sistema dentro e fuori.

Inizia con risposte piuttosto generiche e poco interessanti. Tuttavia, leggendo tra le righe, lascia trapelare non poche rivelazioni tacite.

Il primo di questi è intorno al minuto 4, quando afferma che la sua unità, attualmente in fase di addestramento, ha iniziato solo ora a “inserire i droni” nell’equazione. La parte più impressionante è che i tipi di droni che stanno usando sono quelli che lanciano granate dall’alto sui carri armati. Chiunque abbia seguito la guerra in Ucraina non può non notare una svista così dilettantesca da parte dell’esercito americano, apparentemente sprovveduto.

È ampiamente noto che i droni lanciagranate non sono nemmeno lontanamente il problema degli attuali combattimenti corazzati. Anche il filmato di repertorio che viene proiettato in questo segmento dell’intervista sottolinea il punto: questi tipi di droni sono tipicamente utilizzati per “finire” i carri armati che sono già stati disabilitati da tempo. Ciò significa che non si tratta di droni da combattimento attivo, ma piuttosto della pulizia che setaccia un campo di desolazione post-battaglia, andando opportunisticamente a caccia di veicoli o feriti da finire. Che utilità avrebbero i comandanti di carri armati a perdere tempo nell’addestramento contro di loro?

Il problema sono gli FPV che volano ad alta velocità con cariche cumulative, non i droni lenti che lanciano granate. Le sue parole successive sono per molti versi ancora più stridenti, perché il suo modo di discutere dei droni sembra così “verde” e, francamente, fuori dal mondo.

Ha riferito che il suo comando “presumibilmente” introdurrà “più addestramenti di questo tipo” – ammettendo di non essere nemmeno sicuro che andranno oltre l’affettazione superficiale e totalmente inutile di lanciare alcune granate dall’alto. Ammette poi che “l’intero concetto di droni è assolutamente folle [per noi]”, rivelando in sostanza che l’Esercito degli Stati Uniti è in ritardo rispetto agli sviluppi dei droni, tanto da essere ancora in effetti solo un po’ a spasso con il bastone, incapace anche solo di fare i conti con le basi nel modo in cui è diventato una seconda natura sia per la parte ucraina che per quella russa da due anni a questa parte.

Ciò è confermato dai suoi ulteriori commenti: ogni volta che parla della minaccia dei droni, si ha sempre più l’impressione che l’esercito americano sia davvero fuori dal mondo e tratti i droni come una sorta di novità con cui informare vagamente i carristi, come se contasse ancora sulla magia intangibile della mitica “Might” statunitense per occuparsi della minaccia.

Questo è in realtà un comportamento tipico delle forze armate statunitensi, a cui molti hanno accennato in passato, come il dottor Phillip Karber nel suo discorso a West Point. Ogni branca militare degli Stati Uniti si aspetta tranquillamente di passare la responsabilità a “qualche altra” branca che si sente sicura che “si prenderà cura del problema”. Per esempio, i carristi potrebbero pensare che: “Non sono preoccupato, sono sicuro che le nostre unità EW si occuperanno di quei fastidiosi droni al posto nostro se mai dovessimo schierarci”, pensando che solo una familiarità di base con il problema dovrebbe essere sufficiente a mitigare ogni potenziale danno.

Ma non sanno che non ci sarà nessun’altra unità o branca a salvarli miracolosamente. Le capacità EW di prima linea degli Stati Uniti non sono sviluppate nemmeno in minima parte come quelle della Russia – e si può vedere come la Russia stessa stia lottando contro questa persistente minaccia dei droni. Il fatto che il sergente nel video continui a riferirsi agli FPV come se stessero lanciando “granate” sembra implicare che non comprenda veramente la minaccia specifica che gli FPV rappresentano, che non ha nulla a che fare con le granate o con il lancio di qualcosa. È come se un “vecchio” discutesse delle mode della generazione Z: si percepisce che non hanno capito la vera essenza delle cose.

Mi chiedo anche se il comandante non stia interpretando male i video che sta guardando dall’Ucraina. Questo sarebbe indicativo e si ripercuoterebbe sull’esercito americano stesso. Potrebbe vedere il lancio di granate in botole aperte, interpretando i bersagli come se fossero ancora vivi in combattimento, cosa che non accade quasi mai.

Poi, ammette che le “gabbie per i poliziotti” sono l’unica vera protezione possibile contro i droni – un fatto che forse non ci sorprende, ma che potrebbe sorprendere chiunque conservi ancora una sorta di visione idealizzata dell’esercito americano come una forza superiore che è “al di sopra” dell’uso di soluzioni così rozzamente improvvisate. Naturalmente ora abbiamo visto anche il tanto celebrato IDF ricorrere a queste gabbie a Gaza, come sarebbero costretti a fare gli Stati Uniti. A 5:45 il comandante dichiara apertamente che le sue unità non hanno mai “pensato” a misure di mimetizzazione pesante, mettendo ulteriormente in luce la compiacenza dell’esercito americano per gli anni di lotta contro i beduini disarmati.

Quando questo modo di pensare diventa istituzionalizzato su scala di massa, come lo è diventato nell’Esercito degli Stati Uniti, non può essere risolto in modo rapido. Non si può semplicemente schioccare un dito e aspettarsi che questa mostruosità ingombrante, composta da centinaia di unità disparate e da strutture gerarchiche bizantine, sia in grado di conformarsi fluidamente a una revisione totale delle sue dottrine operative più basilari e dei suoi “riflessi” organizzativi intrinseci. L‘Esercito degli Stati Uniti impiegherebbe anni per adattarsi strutturalmente a gran parte di questi cambiamenti moderni in modo composito e su larga scala.

Ma la seconda metà del video è quella in cui le cose si fanno davvero interessanti e si collegano all’arco tematico principale di questo articolo, che sarà supportato dai pezzi successivi.

Questa sezione viene avviata da Red Effect che chiede al sergente informazioni sulle tattiche e se l’AFU sta usando correttamente i carri armati Abrams. Il sergente fa alcune concessioni estremamente rivelatrici.

Inizia dicendo che ha discusso la questione con i suoi ufficiali e che si riduce sempre all’idea di “dottrina”, e qual è la dottrina degli Stati Uniti quando si tratta di combattere con i carri armati, esattamente?

Spiega che, in sostanza, la dottrina corazzata statunitense si basa sull’utilizzo dei veicoli corazzati in sezioni o gruppi che si sostengono a vicenda, cioè insieme, piuttosto che uno o due veicoli che agiscono individualmente, come spesso accade in Ucraina. Egli individua correttamente che la principale conseguenza della moderna proliferazione dei droni è la capacità di concentrare il fuoco con estrema rapidità. Ciò significa che qualsiasi unità di carri armati composta da più veicoli che si trovano raggruppati sarà molto rapidamente presa di mira ed eliminata in un modo che non ha precedenti nell’addestramento e nelle dottrine di quasi tutti i Paesi del mondo.

In questo caso l’americano dimostra una consapevolezza della situazione impressionantemente competente. La cosa più notevole è che, contrariamente alle aspettative, non critica mai una volta l’esercito russo o il suo modo di fare la guerra, ma per lo più è implicitamente d’accordo con il modo in cui la Russia conduce le sue operazioni a causa di queste peculiarità uniche della moderna guerra centrata sui droni.

Intorno alle 11:45 conferma qualcosa di cui ho scritto specificamente quando afferma che: “L’esercito degli Stati Uniti è passato dalla COIN (Counter Insurgency) alla guerra tra pari nel 2016”, sottintendendo che gli Stati Uniti hanno iniziato a pensare di combattere guerre realistiche piuttosto che azioni di insurrezione su piccola scala solo relativamente di recente. È in effetti ironico come gli Stati Uniti abbiano altezzosamente strombazzato le proprie “operazioni speciali” militari minori, come la guerra in Iraq, come “guerre” a tutto campo, mentre la Russia, che sta combattendo una vera e propria guerra in stile Seconda Guerra Mondiale, la sminuisce al contrario come una semplice “operazione speciale”.

Ma al ritorno, il sergente americano ammette che l’esercito statunitense non ha modo di affrontare tali droni (~13:00) e poi fa la più grande ammissione del video: che, secondo lui, la NATO ristrutturerà totalmente le proprie tattiche per riflettere quelle della Russia nel conflitto in corso. In altre parole, ritiene che la NATO passerà da un’idea di “grande battaglia” a uno stile di “carri armati individuali” e “elementi più piccoli con iniziativa per raggiungere un obiettivo più grande” di cui la Russia è pioniera:

“All’esercito degli Stati Uniti piace operare in senso macro, come una compagnia di 14 carri armati in ogni momento. Operiamo come battaglioni di circa 50 veicoli da combattimento e non siamo abituati a operare da soli… Penso che ci sarà una spinta verso le competenze individuali e di compagnia in combattimento. Invece di inviare più carri armati a farsi distruggere, ne manderemo uno a occuparsi delle cose. Ci si affiderà maggiormente ai singoli equipaggi di carri armati e alla loro letalità individuale più di ogni altra cosa. Credo che questa sarà una spinta. Per evitare perdite di massa, dobbiamo tornare a combattere come individui che si sostengono a vicenda, invece di raggrupparsi. Credo che questa sarà la grande spinta”.

Questo è sorprendente per una moltitudine di motivi, non ultimo il fatto che è stato proprio uno dei miei temi principali portati avanti in vari articoli strategici su come il combattimento moderno sia stato evoluto dalla Russia in uno stato in cui la grande battaglia strategica sta diventando obsoleta a causa dell’onnipresente ISR che bandisce la nebbia della guerra, a favore di uno stile “a spizzichi e bocconi” di operazioni su piccola scala, che cercano di raggiungere un obiettivo operativo più grande attraverso un accumuloquasi invisibile ma persistente di piccoli guadagni tattici appena percettibili, simili a un gruppo di piccole perdite che riempiono gradualmente un serbatoio.

Per esempio, pezzi come questi due:

La nuova analisi del think tank di West Point sull’evoluzione militare della Russia

21 GIUGNO 2023
Dissecting West Point Think-tank's New Analysis of Russia's Military Evolution

Il Modern War Institute di West Point – una sorta di think tank presieduto da Mark Esper e che fa parte del Department of Military Instruction – ha pubblicato un’interessante analisi approfondita delle innovazioni russe sul campo di battaglia dell’SMO, intitolata: IL MODO RUSSO DI FARE LA GUERRA IN UCRAINA: UN APPROCCIO MILITARE IN CORSO DI REALIZZAZIONE DA NOVE DECENNI.

E:

Il BTG è morto, lunga vita al BTG!

1 MARZO 2023
The BTG Is Dead, Long Live The BTG!

Un ufficiale delle riserve ucraine ha scritto un thread molto interessante su Twitter, che è stato poi ripreso da una serie di altri analisti, da DailyKos a un maggiore generale in pensione dell’esercito australiano. Il testo riporta i dettagli di un presunto cambiamento dottrinale nella struttura dei gruppi di combattimento russi in Ucraina, che è stato scoperto attraverso …

Ma qui la cosa si fa doppiamente interessante. Il comandante del carro armato finisce qui, ma abbiamo una nuova intervista del Telegraphbritannico con un acuto tenente colonnello di una “brigata presidenziale” d’élite dell’AFU che riprende e sottolinea molte delle parole del comandante del carro armato americano di cui sopra.

Ecco l’articolo di accompagnamento. E l’intervista completa :

L’intervista vera e propria inizia intorno al minuto 28:00, con il tenente colonnello Pavlo Kurylenko, comandante della Brigata presidenziale ucraina.

In primo luogo, sembra piuttosto esperto di tattica e strategia militare, come si addice al suo rango, ed enumera astutamente le differenze tra l’approccio dottrinale alla tattica della NATO e quello “sovietico”. Fornirò i codici temporali del video qui sopra, ma inserirò anche le piccole porzioni di audio per comodità.

La prima sezione interessante inizia intorno al minuto 31:30. Gli viene chiesto se l’addestramento degli ucraini nei Paesi della NATO sia all’altezza. Risponde che ritiene che il futuro del pensiero militare sarà basato in Ucraina e che, viceversa, sarà la NATO a imparare e ad addestrarsi in Ucraina.

Poi distingue tra i due sistemi contrastanti delle scuole NATO e sovietica, di cui l’Ucraina utilizza un ibrido. L’implicazione è che l’AFU prende il meglio da entrambi e che la NATO non ha l’ultima parola sulle tattiche/strategie militari come comunemente si crede.

Qui spiega in dettaglio queste precise differenze, che è un ascolto affascinante:

Ascoltate attentamente ciò che dice. Per molti versi sta descrivendo i famosi stili di comando “push contro pull”, con la “via russa” – secondo l’Occidente – che è il rigido “push” diretto dal comando, mentre la NATO si dice che impieghi una filosofia “pull”. Ma qui delinea le chiare debolezze del metodo NATO in quanto:

  1. Richiede una cauta mentalità difensiva, che non è sempre l’ideale, anzi può portare alla perdita dell’iniziativa di combattimento e dare al nemico l’opportunità di superarvi.

  2. Richiede una quantità sproporzionata di equipaggiamenti avanzati, come gli elicotteri di cui parla; l’implicazione è che, senza una ricognizione iniziale con risorse pesanti, una forza NATO è di fatto paralizzata nell’avanzare e nel prendere gli obiettivi.

Per quanto riguarda il secondo punto, egli afferma che la NATO non ha una risposta quando non ha il lusso di avere l’equipaggiamento necessario per operare in questo modo – quindi la paralisi di cui ho parlato.

Per molti versi, ciò introduce il ben noto stereotipo della NATO come forza metodica e prevedibile, che resta in attesa mentre l’aviazione si “occupa delle cose” prima di andare avanti. Quello che sta dicendo è che la dottrina della NATO non consente una vera strategia di avanzamento o di manovra sotto il fuoco in ambienti contestati e a bassa informazione spaziale, dove la ricognizione e l’ISR non sono onnipresenti.

A ~40:38 gli viene chiesto cosa succederà se gli aiuti americani non arriveranno mai:

Non solo dichiara apertamente: “Saremo assaliti da un’offensiva russa su larga scala e prepotente verso l’estate”. Ma che la Russia attaccherà sia da Zaporozhye che da Kharkov, respingendo le forze ucraine fino al fiume Dnieper.

“Perderemo il territorio dell’Ucraina fino al fiume Dnieper”.

Si tratta di un’ammissione enorme, che si accorda con tutte le prospettive di “scenario peggiore” a cui i media occidentali ci hanno lentamente abituato negli ultimi tempi, comprese le tardive concessioni dello stesso Zelensky sulla possibilità che l’Ucraina perda la guerra se non arrivano gli aiuti.

Per esempio, da un articolo recente:

“L’Ucraina non avrà la possibilità di vincere la guerra senza l’aiuto degli Stati Uniti. Attualmente, il rapporto di artiglieria al fronte è di 1 a 10, e per gli aerei è di 1 a 30. Con queste statistiche, la Federazione Russa ci respingerà ogni giorno. Con queste statistiche, la Federazione Russa ci respingerà ogni giorno; l’Ucraina ha completamente esaurito i missili per proteggere il Trypil TPP a causa della mancanza di assistenza da parte degli alleati”, ha dichiarato Zelensky.

In seguito, alla Kurylenko viene posta una domanda che mette ulteriormente a nudo la totale ignoranza degli “esperti militari” occidentali e, in questo caso, dei giornalisti. L’intervistatore britannico caratterizza la difesa russa come statica “che assorbe i danni”, mentre la NATO è la quintessenza della varietà mobile. Questo non potrebbe essere più lontano dalla verità: La Russia ha dimostrato con la durata della SMO – in particolare durante la grande “controffensiva” dell’AFU dello scorso anno – che il suo stile caratteristico è in realtà la “difesa attiva”, che implica una difesa mobile che non sta mai ferma, ma che contrattacca continuamente per depistare il nemico dal suo piano di gioco, esaurendolo e facendogli perdere l’iniziativa.

Ma nonostante la domanda idiota, la risposta di Kurylenko è ancora una volta istruttiva. Spiega che l’Ucraina utilizza una struttura a due divisioni per la difesa, dove una “divisione” si concentra interamente sulla difesa, mentre un’altra totalmente separata, quella delle “forze speciali”, si concentra sulla difesa attiva, ovvero sul contrattacco e sul lancio di piccoli assalti.

Sebbene possa sembrare complicato per un ascoltatore non esperto, in realtà ciò che spiega è assolutamente conforme a quanto visto sul fronte. Ad Avdeevka, ad esempio, le TDF, o Forze di Difesa Territoriale, meno addestrate e meno equipaggiate, erano il principale “scudo di carne” per l’AFU. Brigate come la 116esima e la 129esima Territoriale sedevano nelle posizioni e nelle trincee rinforzate e scavate, mentre le unità di tipo “forze speciali” manovravano e contrattaccavano intorno a loro. In questo caso, si trattava notoriamente della 47ª Meccanizzata con Bradley, Leopard e infine Abrams, anche se ce n’erano altre come la 67ª Jaeger, ecc.

Si tratta naturalmente di uno stile di difesa molto logico. Lasciate che le vostre truppe peggiori agiscano come “guardie” di primo livello, senza dover svolgere attività di alto coordinamento come la manovra, mentre le vostre truppe altamente addestrate – il 47° in questo caso – usano tattiche meccanizzate ad armi combinate per colpire il nemico che avanza sui fianchi, utilizzando imboscate, contrattacchi e altro.

La Russia, ovviamente, utilizza la stessa tattica. Durante la controffensiva della scorsa estate, i “regolari” russi, come la 291esima e la 70esima Brigata di Fucilieri a Motore, hanno assorbito il peso principale dell’assalto dell’AFU, mentre nell’ombra e sui fianchi operavano vari gruppi speciali d’élite, come i reggimenti d’assalto aereo russi, gli Spetsnaz, i VDV, eccetera, in questo caso la 76esima aviotrasportata, la 22esima Spetsnaz e altri ancora.

Ma la parte successiva è di gran lunga la più ricca per i veri appassionati di militari e per coloro che sono interessati ai meccanismi tattici avanzati del conflitto. È iniziata con la domanda, al minuto 42:40 del video di YouTube, sulla “mentalità” dell’esercito ucraino. Ne presento la parte più saliente.

Ascoltate attentamente:

Il tenente colonnello Kurylenko afferma qualcosa che coincide esattamente con quanto spiegato da Jacques Baud nell’intervista dettagliata di cui ho parlato qui. Ricordiamo che l’affermazione principale di Baud era che la NATO non ha alcun concetto di metodi operativi e strategici a lungo termine e si concentra solo su una pianificazione miope e a breve termine di singole missioni. Qui Kurylenko afferma esattamente questo:

“Dalla guerra del Vietnam, gli Stati Uniti hanno iniziato a introdurre un sistema di operazioni, per cui pianificano le missioni. Non hanno un concetto di combattimento a lungo termine, o di guerra prolungata. Ecco perché questo approccio della NATO non è del tutto praticabile in tempo di guerra”.

Incuriosito, l’intervistatore gli chiede di approfondire questo pensiero e di spiegare meglio ciò che intende per un pubblico di militari.

È qui che entra nel vivo dell’argomento.

Inizia lanciando la bomba più grande di tutte, che ci ricollega finalmente al precedente video del comandante americano dei carri armati. Kurylenko dice che ad Avdeevka hanno sopportato 40-50 bombe sganciate ogni giorno sulle loro posizioni, e che le dottrine della NATO non sarebbero mai state in grado di sopportare un livello di operazioni così intenso perché:

“La NATO non sa come lavorare in piccoli gruppi tattici, sotto la guida diretta di un comandante di battaglione”.

Aspettate, cosa? Non è questo il totale contrario di ciò che la NATO ci fa credere? Che la dottrina della NATO è specializzata nella guida di piccole unità, facilitata dal loro impareggiabile corpo di sottufficiali, e tutto il resto? In realtà, sembra che le cose stiano esattamente come ho sempre detto: cioè che è l’esatto contrario; le tattiche russe – che l’AFU copia, perché per avere una chance bisogna adattarsi a ciò che funziona – consentono un’autonomia molto maggiore alle piccole unità rispetto alle loro controparti NATO.

Questo per una serie di ragioni: una di queste è che si è evoluta in questo modo per necessità in questo conflitto, dato che – come ha detto prima il comandante americano dei carri armati – nell’attuale ambiente omni-ISR dominato dai droni, la nebbia di guerra cessa di esistere e i gruppi più grandi sono semplicemente bersagli facili per catene di uccisioni time-on-target senza precedenti da entrambe le parti, facilitate da distribuzioni di dati network-centriche di nuova concezione che permettono ai droni di fornire immediatamente obiettivi alle unità/batterie zonali appropriate.

Ed è proprio questo il punto che sottolinea quanto premesso dal comandante dei carri armati. Ricordiamo che nella sua intervista a Red Effect, egli afferma di ritenere che siano laNATO e gli Stati Uniti a dover adattare le proprie tattiche a questo conflitto, operando in gruppi più piccoli, cosa che, ammette, al momento non conoscono o non sono in grado di fare. Ha ammesso apertamente che non solo l’esercito americano si è riorientato solo relativamente di recente dall’addestramento COIN a quello più incentrato sulla guerra, ma ha anche detto quanto segue, che incollo di nuovo:

“All’esercito degli Stati Uniti piace operare in senso macro, come una compagnia di 14 carri armati in ogni momento.Operiamo come battaglioni di circa 50 veicoli da combattimento e non siamo abituati a operare da soli…Penso che ci sarà una spinta verso le competenze individuali e di compagnia in combattimento. Invece di inviare più carri armati a farsi distruggere, ne manderemo uno a occuparsi delle cose. Ci si affiderà maggiormente ai singoli equipaggi di carri armati e alla loro letalità individuale più di ogni altra cosa. Credo che questa sarà una spinta. Per evitare perdite di massa, dobbiamo tornare a combattere come individui che si sostengono a vicenda, invece di raggrupparsi. Penso che questa sarà la grande spinta”.

Quindi, cisarà una spinta – che non c’è ancora stata; il che significa che gli Stati Uniti non sono nemmeno nello stesso campo di gioco di quello descritto dall’ufficiale dell’AFU per quanto riguarda le reali tattiche dilavoro nella guerra moderna. Il fatto che entrambe le fonti, totalmente estranee, arrivino alla stessa conclusione la dice lunga sullo stato delle cose.

Kurylenko continua con altre interessanti informazioni sulla specializzazione e su come prevede l’evoluzione dell’attuale formazione delle unità ucraine e dell’ORBAT che ruota attorno a battaglioni specializzati, piuttosto che a “fanti di tutti i mestieri” annacquati, che non sono altrettanto efficaci. L’attuale carenza di personale dell’AFU è tale che le posizioni vengono comunemente scambiate, con i carristi che diventano truppe d’assalto, ecc.

L’ultima parte semi-interessante arriva intorno al minuto 51:40, quando a Kurylenko viene chiesto di descrivere le forze russe. Non c’è molto da scrivere qui, se non che dice essenzialmente di essersi reso conto nel 2015 che l’Ucraina stava combattendo contro uno “specchio”. A suo avviso, le forze russe e ucraine non sono troppo diverse l’una dall’altra e non considera i russi molto migliori o peggiori dell’AFU. Naturalmente, è sempre difficile capire quanto di queste affermazioni sia una postilla “diplomatica” per il pubblico di riferimento, ma secondo lui sono solo i vantaggi materiali e di manodopera che la Russia ha a essere degni di nota.

Il problema di questa riduzione è che la Russia ha iniziato con meno uomini dell’Ucraina, dato che Zelensky ha affermato che l’AFU aveva più di 1 milione di uomini subito dopo l’inizio della guerra, mentre la Russia è entrata nel conflitto con meno di 100.000 uomini. Pertanto, caratterizzare le truppe russe come niente di speciale mentre si ammette che ora hanno un’enorme superiorità di uomini è piuttosto contraddittorio. Il fatto è che i russi non avrebbero un presunto vantaggio in termini di manodopera se non dimostrassero anche un vantaggio qualitativo nel logoramento delle truppe ucraine in percentuali massicciamente sproporzionate. Ma, naturalmente, Kurylenko difficilmente lo saprebbe, dato che è discutibile che abbia affrontato vere truppe russe, piuttosto che i mediocri regolari della DPR che gli si sono opposti ad Avdeevka. È vero che i regolari della DPR sono uno “specchio” delle truppe dell’AFU e si può dire che siano di qualità equivalente nella maggior parte dei casi, ma le vere truppe russe sono un livello superiore.

L’unica altra dichiarazione degna di nota che fa è la frase in cui ricorda di aver partecipato alle battaglie dell’aeroporto di Donetsk, nel 2015. Dice che allora la battaglia fu paragonata alla battaglia di Stalingrado. Ora, in modo piuttosto evocativo, dice che quella battaglia era un “combattimento infantile” in confronto a quello che sta vedendo oggi.

Aggiungo che i suoi brontolii sui vantaggi russi in termini di manodopera coincidono con ciò che le fonti occidentali mainstream hanno recentemente ammesso per la prima volta. Dopo quasi due anni in cui hanno sostenuto che l’esercito russo è stato completamente distrutto, ora sono passati a rimangiarsi comicamente le parole:

Anche il capo del Comando europeo degli Stati Uniti, il generale Christopher Cavioli, lo ha affermato nell’ultimo articolo di Politico:

In una dichiarazione scritta, Cavoli ha anche lanciato l’allarme sul fatto che l’esercito russo ha ancora più uomini rispetto a quando ha lanciato la sua invasione completa nel febbraio 2022. Mosca ha anche aumentato la forza delle sue truppe di prima linea da 360.000 a 470.000 soldati, ha osservato.

Egli afferma:

“La Russia sta ricostituendo queste forze molto più velocemente di quanto le nostre stime iniziali suggerissero”, ha scritto Cavoli. “L’esercito è ora più grande – del 15% – di quanto non fosse quando ha invaso l’Ucraina”.

Ma ecco la parte più sorprendente:

Il generale a quattro stelle ha dichiarato ai senatori che la Russia ha anche reintegrato le perdite di carri armati pesanti sul campo di battaglia e ora opera in Ucraina con lo stesso numero di carri armati che aveva all’inizio del conflitto.

Ma come può essere? La cosiddetta lista di Oryx sostiene che la Russia ha perso qualcosa come 4000 carri armati. Vuole dirci che la Russia li ha già sostituiti tutti?

Anche un recente articolo del Kiev Independent conferma che le unità russe sono ancora al completo:

E come conferma finale delle precedenti proiezioni che l’Occidente ha cercato disperatamente di soffocare sotto una coltre di velleità, abbiamo l’ultimo rapporto dell’ISW che suona il campanello d’allarme ammettendo finalmente che tutte le affermazioni di “stallo” sono delle balle e che, se non si forniscono aiuti, la Russia è di fatto destinata a ottenere una vittoria totale:

Concludono poi che la Russia respingerà l’AFU fino al confine con la NATO in Polonia:

In modo sorprendente, abbandonano persino la finzione della vecchia “guerra posizionale” e ammettono che la Russia ha ristabilito la guerra di manovra, che è solo un’altra parola in codice ingannevole per i progressi della svolta:

Per continuità, ecco il resto del loro allarmante rapporto:

3/ L’Ucraina non può mantenere le attuali linee senza una rapida ripresa dell’assistenza statunitense, in particolare della difesa aerea e dell’artiglieria, che solo gli Stati Uniti possono fornire rapidamente e su larga scala.

4/ La mancanza di difesa aerea ha esposto le unità ucraine di prima linea agli aerei russi che, per la prima volta in questa guerra, stanno sganciando migliaia di bombe sulle posizioni difensive ucraine.

5/ Lacarenza di artiglieria ucraina permette ai russi di utilizzare colonne corazzate senza subire perdite proibitive per la prima volta dal 2022.

6/ I russi stanno sfruttando il loro vantaggio e avanzano lentamente ma costantemente in diversi settori del fronte. Dall’inizio di quest’anno, le forze russe si sono impadronite di oltre 360 chilometri quadrati, un’area grande quanto Detroit.

7/ I progressi russi si accelereranno in assenza di un’azione urgente da parte degli Stati Uniti. I responsabili politici statunitensi devono interiorizzare la realtà che ritardare ulteriormente o interrompere l’assistenza militare americana porterà a drammatici guadagni russi nel 2024 e nel 2025 e, in ultima analisi, alla vittoria russa.

In particolare, si noti la nota #5 in cui si ammette – contrariamente alla propaganda pro-UA di “perdite russe non calcolabili” – che la Russia sta in realtà subendo le perdite più leggere della guerra al momento, un fatto che è facilmente corroborato anche dal conteggio delle vittime di MediaZona, che continua a mostrare medie di vittime estremamente basse.

Infine, si noti la parte evidenziata del punto #7. È interessante notare che fornisce una tempistica completa degli eventi previsti: senza l’aiuto degli Stati Uniti ci saranno guadagni drammatici nel 2024 e nel 2025, seguiti da una vittoria totale della Russia, che è un altro modo per esprimere la resa dell’Ucraina, il che sembra proprio in linea con le nostre previsioni di fine guerra del 2025.

Pensieri finali

Per collegare le cose, dirò che, man mano che il conflitto si trascina, diventa lentamente più chiaro che la NATO si sbagliava su gran parte della sua valutazione, non solo dello stile di combattimento russo, ma della guerra moderna in generale. Ciò è dimostrato chiaramente dalla totale sottovalutazione da parte dell’Occidente della guerra di produzione e dell’importanza delle infrastrutture produttive e delle dimensioni economiche per vincere i conflitti tra pari.

Ma la cosa più interessante è la lenta curva di apprendimento che viene svelata riguardo alle tattiche delle piccole unità e alla necessità di affidarsi all’iniziativa e all’autonomia delle singole unità, di cui la NATO pensava di essere il campione designato, mentre in realtà la guerra ha definito un livello totalmente diverso di operazioni di piccole unità che andava ben oltre tutto ciò che la NATO aveva mai immaginato o era in grado di fare .

Una delle ragioni è che questa rivoluzione delle piccole unità non riguarda solo la dottrina e le tattiche da manuale, come discusso in questo articolo. Essa ruota anche intorno alle strutture fisiche e agli ORBATS delle unità stesse, come sottolineato nel mio precedente articolo intitolato Lunga vita ai BTG, in cui discutevo dei manuali russi segretamente recuperati che dettavano nuovi tipi di piccole unità create al volo per assalti specifici in condizioni moderne di ISR-heavy.

È la prova che la Russia continua a evolvere queste dottrine al volo e sta costruendo unità appositamente intorno al concetto di autonomia su piccola scala. Ciò significa dotarle di una serie di elementi propri di armi combinate, come droni, mortai, armi pesanti e altri accessori speciali, che consentono loro di operare efficacemente da sole. Questo è il motivo per cui la NATO è in ritardo di anni, in quanto sta appena iniziando a comprendere il significato e le implicazioni del mero aspetto didottrinatattica degli sviluppi in corso, e non è nemmeno lontanamente vicina all’effettiva implementazione e integrazione a livello di ORBAT fisico.

Ciò si estende alla relazione simbiotica tra le evoluzioni dottrinali militari e la collaborazione a livello industriale necessaria per coordinare i miglioramenti e gli sviluppi effettivi. Le flessibili industrie russe della difesa hanno risposto in modo adattivo e dinamico agli sviluppi in corso, collaborando con il Ministero della Difesa a monte della catena per effettuare riprogettazioni immediate e accelerare l’invio di componenti essenziali direttamente in prima linea; il caso emblematico è il lancio in corso di cupole EW per i blindati, come il “Volnorez” (Wavecutter) e altri nuovi. Le industrie della difesa occidentali non hanno ancora dimostrato una capacità concomitante di tale efficienza adattativa e flessibile nell’elaborazione di nuove scoperte attraverso il ciclo di sviluppo.

La totalità di questo articolo corrisponde a un altro aspetto importante che avrei voluto trattare, ma che probabilmente riserverò all’articolo successivo, forse alla fine di questo mese. Si tratta di un’estensione naturale di tutto quanto detto sopra e si concentra sulla tardiva presa di coscienza da parte della NATO e dell’Occidente delle altre importanti considerazioni della guerra moderna che ruotano attorno alla produzione e alla guerra di distruzione di massa, e cioè le dimensioni economiche cruciali e impreviste, che entrano in gioco nelle economie di scala, e le argomentazioni più importanti che ho fatto fin dall’inizio sulle differenze nel metodo russo di “guerra totale”.

Ma, come ho detto, la questione è andata oltre lo scopo di questo articolo già lungo, quindi rimanete sintonizzati per il sequel che verrà pubblicato prossimamente.

Your support is invaluable and I would appreciate it if…. oh wait—

You made it to the end of the paid subscriber’s only article. Doesn’t it feel good to not have to read a grubby and plaintive new appeal for dough? You’ve already pledged! Which is why you’re here, leafing through the truly exclusive and privileged scribblings of this VIP inner sanctum. So instead of a plea, how about a big thanks to you instead!

The Tip Jar remains as an anachronism, an archaic and shameless bit of double-dipping, for those who just can’t help themselves from lavishing their favored humble authors.

ll sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure PayPal.Me/italiaeilmondo  Su PayPal, ma anche con il bonifico su PostePay, è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (pay pal prende una commissione di 0,52 centesimi)

Il lancio di un razzo mette in luce le lacune tecnologiche della Russia, di Ekaterina Zolotova

Il bicchiere è mezzo vuoto o mezzo pieno? Uno strabismo che impedisce di vedere e porre i guai di casa propria (es. la corruzione, la carenza di cervelli) in rapporto a quelli altrui. Un articolo interessante, ma troppo interessato; condito per altro da qualche involontaria confessione sul reale atteggiamento occidentale nei confronti della dirigenza russa negli anni ’90, in un clima di apparente disgelo e sulla inquietudine provocata dalla intraprendenza sino-russa. Giuseppe Germinario

Il lancio di un razzo mette in luce le lacune tecnologiche della Russia

L’industria spaziale è un indicatore dello sviluppo tecnologico di Mosca e degli sforzi di sostituzione delle importazioni.

Di: Ekaterina Zolotova

Giovedì la Russia ha testato con successo un razzo pesante chiamato Angara-A5, il suo primo razzo spaziale sviluppato dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Sebbene il Cremlino lo abbia pubblicizzato come un successo, l’evento è stato afflitto da diversi contrattempi. Il lancio al cosmodromo di Vostochny era inizialmente previsto per dicembre 2023, ma è stato rinviato. È stato riprogrammato per il 9 aprile ma annullato all’ultimo minuto. (I funzionari hanno affermato che si è verificato un guasto al sistema di pressurizzazione del serbatoio ossidante del blocco centrale del razzo.) L’operazione è stata nuovamente rinviata il giorno successivo, a causa di problemi tecnici, prima che il razzo fosse finalmente lanciato l’11 aprile. Questo caso evidenzia le sfide di Mosca nel campo di fronte alle sanzioni occidentali, soprattutto nei settori ad alto contenuto tecnologico come l’industria spaziale.

Per Mosca, l’industria spaziale è fondamentale non solo per mantenere lo status della Russia come potenza spaziale, ma anche per garantire il continuo progresso dei suoi settori della difesa e della tecnologia. Le tecnologie spaziali sono fondamentali per garantire la sicurezza delle comunicazioni, di Internet e dei sistemi di navigazione globale, che hanno scopi sia civili che militari. Sin dall’era sovietica, l’Occidente ha ripetutamente cercato di ostacolare i progressi russi in queste tecnologie. Ad esempio, le restrizioni furono imposte negli anni ’90, quando i razzi russi entrarono nei mercati commerciali, e dopo il 2014 , quando la Russia annetté la Crimea. Il 24 febbraio 2022, il primo giorno dell’invasione su vasta scala dell’Ucraina da parte della Russia, gli Stati Uniti hanno limitato la vendita di alcune tecnologie avanzate alla Russia, il che ha portato a carenze di approvvigionamento, all’annullamento dei lanci e alla sospensione dei programmi scientifici.

Lanci di razzi russi, 2018-2024
(clicca per ingrandire)

Da quando le sanzioni sono entrate in vigore, l’industria spaziale è diventata un indicatore dello sviluppo tecnologico della Russia e degli sforzi di sostituzione delle importazioni, non solo nello spazio ma anche nelle industrie correlate, dall’estrazione mineraria alla produzione fino ai trasporti. Il Cremlino ritiene che il successo dei lanci missilistici possa dimostrare che, nonostante le sanzioni, la Russia può sviluppare nuove tecnologie e mantenere il suo programma spaziale, continuando allo stesso tempo a rifornire la sua campagna militare in Ucraina e a stimolare la sua economia.

Il Cremlino non ha molta scelta se non quella di sviluppare tecnologie più avanzate che possano aiutare il suo sforzo bellico e garantire l’accessibilità a Internet per tutte le regioni del paese. Il razzo Proton-M di epoca sovietica, che Angara-A5 è stato progettato per sostituire, sarà in funzione solo fino al 2025. Angara-A5 presenta diversi vantaggi chiave rispetto al suo potenziale predecessore, incluso il fatto che è a base di cherosene e non utilizza sostanze tossiche. componenti del carburante. Inoltre è prodotto solo con componenti russi e può essere lanciato dai cosmodromi russi, a differenza del Proton-M, che viene lanciato dal cosmodromo di Baikonur, uno spazioporto gestito dalla Russia in Kazakistan. La Russia non vuole fare affidamento su un paese straniero per condurre le proprie operazioni spaziali, soprattutto considerando che il Kazakistan ha recentemente sottolineato la sua neutralità, temendo che potrebbe essere colpito da sanzioni secondarie se fosse visto dall’Occidente come un aiuto allo sforzo bellico della Russia.

Il lancio di prova di questa settimana è stato il primo per questo particolare razzo al cosmodromo di Vostochny, nella regione dell’Estremo Oriente russo. I lanci precedenti hanno avuto luogo al cosmodromo di Plesetsk, nella regione nordoccidentale di Arkhangelsk, nel 2014, 2020 e 2021. Sono stati spostati a Vostochny per motivi finanziari e di sicurezza. Secondo il Cremlino, Vostochny consentirà inoltre al Paese di effettuare lanci più frequenti alle proprie condizioni, senza dover fare affidamento su una struttura straniera.

Lanci russi ai cosmodromi, 2023-2024
(clicca per ingrandire)

Oltre ad Angara-A5, la Russia spera di produrre satelliti per comunicazioni completamente gestiti a livello nazionale entro il 2026, dopo che le società straniere avranno smesso di fornire servizi satellitari. Tuttavia, l’industria spaziale di Mosca ha subito molti ostacoli a causa della continua dipendenza da tecnologie e componenti stranieri, nonostante i suoi tentativi di incrementare la produzione e l’innovazione nazionali. L’azienda che produce motori per i razzi della famiglia Angara ha dichiarato che doveva trovare analoghi russi, o almeno analoghi provenienti da paesi amici, delle parti necessarie per fabbricare i motori per soddisfare l’ordine. La Russia dipende ancora anche dall’importazione di componenti microelettronici , il che ha influito soprattutto sul programma spaziale. Anche lo sviluppo del sistema di navigazione russo Glonass si è bloccato a causa della dipendenza da componenti di fabbricazione straniera. (Il satellite utilizza 6.000 tipi di componenti elettronici importati.) Nel 2023, le importazioni russe di stazioni base di comunicazione e relativi componenti sono aumentate del 15%. Queste parti sono prodotte principalmente dalle aziende tecnologiche straniere Huawei, Ericsson e Nokia e fornite molto probabilmente attraverso il programma di importazioni parallele della Russia piuttosto che tramite contratti diretti, il che significa che sono probabilmente acquistate al dettaglio e a prezzi più alti rispetto al passato.

Chiaramente, ci sono molte lacune nel programma di sostituzione delle importazioni di Mosca a causa della mancanza di personale, attrezzature e tecnologie moderne. Nel settore energetico, la Russia resta quasi completamente dipendente dalle fonti estere di catalizzatori, utilizzati nella produzione di vari combustibili, tra cui il cherosene utilizzato dai razzi Angara. Tagliare completamente le forniture dall’estero avrebbe un effetto a catena, chiudendo potenzialmente la produzione in settori che vanno dall’automotive all’alimentare. Nel 2024, nell’ambito del Piano d’azione di Mosca per la sostituzione delle importazioni nel settore dell’ingegneria del petrolio e del gas, la Russia mira ad aumentare l’autosufficienza nella categoria dell’esplorazione geologica, delle attrezzature geofisiche e delle attrezzature sismiche fino a solo il 40%; macchine per il taglio dei metalli al 33%; pompe al 55%; attrezzature e materiali per la perforazione, la cementazione dei pozzi e la revisione dei pozzi al 45%; e reattori e camere di coke al 55%. Le sanzioni hanno anche causato ritardi nella riparazione delle raffinerie di petrolio, costringendo la quarta raffineria più grande del paese a ridurre la produzione di benzina del 40%. In aggiunta a queste carenze, gli impianti di produzione sono ora preoccupati anche per gli attacchi di droni ucraini, che sono diventati più frequenti dall’inizio di quest’anno. Questi attacchi hanno preso di mira le raffinerie di petrolio, che hanno già ridotto la produzione di circa il 10%, e gli impianti concentrati sul mercato interno.

L’industria spaziale russa sta affrontando altri problemi a lungo termine, come la corruzione e la fuga dei cervelli. Una carenza di competenze ingegneristiche e scientifiche crea rischi per la qualità dei servizi e l’affidabilità della flotta satellitare. Inoltre, lo sviluppo di costose tecnologie avanzate richiede fondi ingenti, che potrebbero attirare la corruzione. Nel 2019, il procuratore generale russo ha affermato che più di 1,6 miliardi di rubli (17 milioni di dollari) per modernizzare la base di produzione del paese e l’industria delle armi sono stati rubati alle aziende statali Roscosmos e Rostec.

Sembra che Mosca si renda conto ora che la transizione verso la sostituzione delle importazioni sarà lenta, complicata da problemi strutturali e complessità derivanti da sanzioni e sconvolgimenti geopolitici. Ma il tempo stringe, soprattutto quando si tratta di settori critici come quello spaziale. La mancanza di fondi e la crescente difficoltà nell’attuazione del sistema di importazioni parallele si aggiungono agli ostacoli e, con l’avvicinarsi delle scadenze, il Cremlino cercherà maggiori finanziamenti esterni e cooperazione da parte dei restanti partner internazionali. Nel frattempo, pubblicizza i suoi pochi successi – incluso il lancio di prova dell’Angara-A5 – per distrarsi dai suoi fallimenti.

da: https://t.me/InfoDefITALY

IMG_5752

UN MISSILE ASSOLUTAMENTE NUOVO

⚫️È da notare che i giri del missile russo, lanciato ieri, sono stati visti non solo vicino al sito di lancio, ma anche negli Urali e oltre gli Urali (a Ekaterinburgo). Anche in Daghestan e persino in Iran, all’estremità meridionale del Mar Caspio. I luoghi approssimativi del volo del missile sono segnati sulla mappa. Dopo questo lancio, tutto il mondo si chiede che tipo di missile sia stato.

⚫️Gli esperti hanno notato che la parte separata dal primo stadio del razzo, accendendo il suo motore, ha iniziato a compiere virate non balistiche molto regolari.

🔴Cioè, non si tratta assolutamente del volo di un missile balistico convenzionale. E nemmeno di un Avangard in manovra. È evidente che il missile ha compiuto diverse virate molto ripide e ha volato per almeno 7000 km “solo nella zona di osservazione visiva in aree popolate”.

⚫️E ovunque assomigliava a una “cometa” che manovrava a quote piuttosto elevate (km 40-60) (nell’ultimo video, le sue manovre nella parte meridionale del Mar Caspio).

🔴Insomma, si tratta di un’arma molto strana e assolutamente nuova che la Russia stava testando (https://t.me/yurasumy/14472).

ll sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure PayPal.Me/italiaeilmondo  Su PayPal, ma anche con il bonifico su PostePay, è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (pay pal prende una commissione di 0,52 centesimi)

1 41 42 43 44 45 231