l’Occidentalismo a Gaza, di Dominique de Villepin

Traduciamo in italiano questa magistrale intervista[1] sulla situazione a Gaza di Dominique de Villepin[2], ex diplomatico, ex primo ministro francese. Nel 2002-2003, da ministro degli esteri del governo francese, presidenza Chirac, fu il capofila dell’opposizione alla guerra statunitense contro l’Irak.

La “vecchia Europa” (così i neoconservatori americani chiamarono, sprezzantemente, gli oppositori del loro progetto di ridisegno del Medio Oriente) ha ancora qualcosa da dire.

Buona lettura.

 

Hamas ci ha teso una trappola, la trappola del massimo orrore, della massima crudeltà. E quindi rischia di esserci un’escalation di militarismo, di ulteriori interventi militari, come se potessimo risolvere con gli eserciti un problema così grave come la questione palestinese.

C’è anche una seconda grande trappola, che è quella dell’Occidentalismo. Ci troviamo intrappolati, con Israele, in questo blocco occidentale che oggi è messo in discussione dalla maggior parte della comunità internazionale.

[Presentatrice: Cos’è l’Occidentalismo?]

L’occidentalismo è l’idea che l’Occidente, che per 5 secoli ha gestito gli affari del mondo, potrà continuare tranquillamente a farlo. E possiamo vedere chiaramente, anche nei dibattiti della classe politica francese, che c’è l’idea che, di fronte a ciò che sta accadendo attualmente in Medio Oriente, dobbiamo continuare a lottare ancora di più, in direzione di quella che potrebbe assomigliare a una guerra religiosa o di civiltà. Vale a dire, isolarsi ancora di più sulla scena internazionale.

 

Non è questa la strada, soprattutto perché c’è una terza trappola, quella del moralismo. E qui abbiamo in un certo senso la prova, attraverso quanto sta accadendo in Ucraina e in Medio Oriente, di questo doppio standard che viene denunciato ovunque nel mondo, anche nelle ultime settimane quando mi reco in Africa, in Medio Oriente o in America Latina. La critica è sempre la stessa: guardate come vengono trattate le popolazioni civili a Gaza, denunciate quello che è successo in Ucraina e siete molto timidi di fronte alla tragedia che si sta consumando a Gaza.

 

Consideriamo il diritto internazionale, la seconda critica che viene mossa dal Sud globale. Sanzioniamo la Russia quando aggredisce l’Ucraina, la sanzioniamo quando non rispetta le risoluzioni delle Nazioni Unite, e sono 70 anni che le risoluzioni delle Nazioni Unite vengono votate invano e che Israele non le rispetta.

 

[Presentatrice: Crede che attualmente, gli occidentali siano colpevoli di hybris?]

 

Gli occidentali devono aprire gli occhi sulla portata del dramma storico che si sta svolgendo davanti a noi per trovare le risposte giuste.

 

[Presentatrice: Qual è il dramma storico? Voglio dire, stiamo parlando innanzitutto della tragedia del 7 ottobre, giusto?]

 

Certo, ci sono questi orrori che stanno accadendo, ma il modo di rispondere ad essi è cruciale. Uccideremo il futuro trovando le risposte sbagliate…

 

[Presentatrice: Uccidere il futuro?]

 

Uccidere il futuro, sì! Perché?

 

[Presentatrice: Ma chi sta uccidendo chi?]

 

Vi trovate in un gioco di cause ed effetti. Di fronte alla tragedia della storia, non si può prendere questa griglia analitica della “catena di causalità”, semplicemente perché se lo si fa non se ne può uscire. Una volta capito che c’è una trappola, una volta capito che dietro questa trappola c’è stato anche un cambiamento in Medio Oriente per quanto riguarda la questione palestinese… La situazione oggi è profondamente diversa [da quella del passato]. La causa palestinese era una causa politica e laica. Oggi ci troviamo di fronte a una causa islamista, guidata da Hamas. Ovviamente, questo tipo di causa è assoluta e non ammette alcuna forma di negoziazione. Anche da parte israeliana c’è stata un’evoluzione. Il sionismo era laico e politico, sostenuto da Theodor Herzl alla fine del XIX secolo. Oggi è diventato in gran parte messianico, biblico. Ciò significa che anche loro non vogliono scendere a compromessi, e tutto ciò che fa il governo israeliano di estrema destra, continuando a incoraggiare la colonizzazione, ovviamente peggiora le cose, anche dopo il 7 ottobre. In questo contesto, quindi, bisogna capire che in questa regione siamo già di fronte a un problema che sembra profondamente insolubile.

 

A questo si aggiunge l’indurimento degli Stati. Dal punto di vista diplomatico, guardate le dichiarazioni del re di Giordania, non sono le stesse di sei mesi fa. Guardate le dichiarazioni di Erdogan in Turchia.

 

[Presentatrice: Precisamente, sono dichiarazioni estremamente dure…]

 

Estremamente preoccupanti. Perché? Perché anche se la causa palestinese, la questione palestinese, non è stata portata in primo piano, non è stata messa in scena [per un po’ di tempo], e se la maggior parte dei giovani di oggi in Europa spesso non ne ha mai sentito parlare, per i popoli arabi rimane la madre di tutte le battaglie. Tutti i progressi fatti per tentare di stabilizzare il Medio Oriente, dove si potrebbe credere…

 

[Presentatrice: Sì, ma di chi è la colpa? Faccio fatica a seguirla, è colpa di Hamas?]

 

Ma signora Malherbe, io ho una formazione da diplomatico. La questione della colpa sarà affrontata da storici e filosofi.

 

[Presentatrice: Ma lei non può rimanere neutrale, è difficile, è complicato, non è vero?]

 

Non sono neutrale, sono in azione. Vi dico semplicemente che ogni giorno che passa possiamo fare in modo che questo ciclo orribile si fermi… Ecco perché parlo di trappola ed ecco perché è così importante sapere che risposta daremo. Oggi siamo soli davanti alla storia. E non trattiamo questo nuovo mondo come facciamo attualmente, sapendo che oggi non siamo più in una posizione di forza, non siamo in grado di cavarcela da soli, come poliziotti del mondo.

 

[Presentatrice: Allora cosa facciamo?]

 

Esattamente, cosa dobbiamo fare? A questo punto è fondamentale non tagliare fuori nessuno sulla scena internazionale.

 

[Presentatrice: Compresi i russi?]

 

Tutti.

 

[Presentatrice: Tutti? Dovremmo chiedere aiuto ai russi?]

 

Non sto dicendo che dovremmo chiedere aiuto ai russi. Dico che se i russi possono contribuire a calmare alcune fazioni in questa regione, allora sarà un passo nella giusta direzione.

 

[Presentatrice: Come possiamo rispondere in modo proporzionale alla barbarie? Non è più esercito contro esercito].

 

Ma ascolti, Apolline de Malherbe, le popolazioni civili che stanno morendo a Gaza, non esistono? Quindi, poiché l’orrore è stato commesso da una parte, l’orrore deve essere commesso dall’altra?

 

[Presentatrice: Dobbiamo davvero equiparare le due cose?]

 

No, è lei che lo sta facendo. Non sto dicendo che equiparo le colpe. Cerco di tenere conto di ciò che pensa gran parte dell’umanità. C’è sicuramente un obiettivo realistico da perseguire, che è quello di sradicare i leader di Hamas che hanno commesso questo orrore. E non confondere i palestinesi con Hamas, questo è un obiettivo realistico.

 

La seconda cosa è una risposta mirata. Definiamo obiettivi politici realistici. La terza cosa è una risposta combinata. Perché non esiste un uso efficace della forza senza una strategia politica. Non siamo nel 1973 o nel 1967. Ci sono cose che nessun esercito al mondo sa fare, ovvero vincere in una battaglia asimmetrica contro i terroristi. La guerra al terrorismo non è mai stata vinta da nessuna parte. E invece scatena misfatti, cicli ed escalation estremamente drammatici. Se l’America ha perso in Afghanistan, se ha perso in Iraq, se noi [francesi] abbiamo perso nel Sahel, è perché si tratta di una battaglia che non può essere vinta semplicemente, non è che basta un martello che batte un chiodo e il problema è risolto. Dobbiamo quindi mobilitare la comunità internazionale, uscire da questa trappola occidentale in cui ci troviamo.

 

[Presentatrice: Ma quando Emmanuel Macron parla di una coalizione internazionale…]

Sì, e qual è stata la risposta?

 

[Presentatrice: Nessuna.]

 

Esattamente. Abbiamo bisogno di una prospettiva politica, e questa è una sfida perché la soluzione dei due Stati è stata rimossa dal programma politico e diplomatico israeliano. Israele deve capire che per un Paese con un territorio di 20.000 chilometri quadrati, una popolazione di 9 milioni di abitanti, di fronte a 1,5 miliardi di persone… I popoli non hanno mai dimenticato che la causa palestinese e l’ingiustizia commessa nei confronti dei palestinesi è stata una fonte significativa di mobilitazione. Dobbiamo considerare questa situazione, e credo che sia essenziale aiutare Israele, guidare… alcuni dicono imporre, ma io penso che sia meglio convincere, muoversi in questa direzione. La sfida è che oggi non c’è un interlocutore, né da parte israeliana né da parte palestinese. Dobbiamo far emergere degli interlocutori.

 

[Presentatrice: Non sta a noi scegliere chi sarà il leader della Palestina].

 

La politica israeliana degli ultimi anni non ha voluto necessariamente coltivare una leadership palestinese… Molti sono in prigione, e l’interesse di Israele – perché ripeto: non era nel loro programma o nell’interesse di Israele in quel momento, o almeno così pensavano – era invece quello di dividere i palestinesi e fare in modo che la questione palestinese svanisse. La questione palestinese non svanirà. Dobbiamo quindi affrontarla e trovare una risposta. È qui che abbiamo bisogno di coraggio. L’uso della forza è un vicolo cieco. La condanna morale di ciò che ha fatto Hamas – e non c’è un “ma” nelle mie parole riguardo alla condanna morale di questo orrore – non deve impedirci di andare avanti politicamente e diplomaticamente in modo illuminato. La legge della ritorsione è un ciclo senza fine.

 

[Presentatrice: “Occhio per occhio, dente per dente”].

 

Sì. Ecco perché la risposta politica deve essere difesa da noi. Israele ha il diritto all’autodifesa, ma questo diritto non può essere la vendetta indiscriminata. E non può esserci una responsabilità collettiva del popolo palestinese per le azioni di una minoranza terroristica, di Hamas.

 

Quando si entra in questo ciclo di ricerca delle colpe, i ricordi di una parte si scontrano con quelli dell’altra. Alcuni contrappongono i ricordi di Israele a quelli della Nakba, la catastrofe del 1948, che è una catastrofe che i palestinesi vivono ancora ogni giorno. Quindi non si possono spezzare questi cicli. Dobbiamo avere la forza, ovviamente, di capire e denunciare ciò che è successo, e da questo punto di vista non ci sono dubbi sulla nostra posizione. Ma dobbiamo anche avere il coraggio, e la diplomazia è questo… la diplomazia è la capacità di credere che ci sia una luce alla fine del tunnel. E questa è l’astuzia della storia: quando si è toccato il fondo, può accadere qualcosa che dà speranza. Dopo la guerra del 1973, chi avrebbe pensato che prima della fine del decennio l’Egitto avrebbe firmato un trattato di pace con Israele?

 

Il dibattito non dovrebbe riguardare la retorica o la scelta delle parole. Il dibattito oggi riguarda l’azione; dobbiamo agire. E quando si pensa all’azione, ci sono due opzioni. O si tratta di guerra, guerra, guerra. Oppure si cerca di andare verso la pace, e lo ripeto, è nell’interesse di Israele. È nell’interesse di Israele!”.

 

 

[1] https://youtu.be/Mpq5IxdDeqA

[2] https://it.wikipedia.org/wiki/Dominique_de_Villepin

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ISRAELE E IL MONDO MULTIPOLARE (Jean Goychman)

ISRAELE E IL MONDO MULTIPOLARE (Jean Goychman)

 

GLI EVENTI IN ISRAELE AVRANNO UN IMPATTO SULL’AVVENTO DI UN MONDO MULTIPOLARE?

La questione sta diventando sempre più rilevante. Naturalmente, il problema tra israeliani e palestinesi è precedente, poiché è sorto contemporaneamente alla nascita dello Stato di Israele nel 1948. Prima di quella data, era il problema del mandato britannico dopo la fine dell’Impero Ottomano a contrapporre i sostenitori del futuro Israele agli inglesi.

Si poteva pensare che gli “Accordi di Abramo”, che prevedevano implicitamente la creazione di uno Stato palestinese, avrebbero inaugurato un periodo di relativa calma nella regione.

UN’ESPLOSIONE DI VIOLENZA SENZA ALCUN SEGNALE D’ALLARME.
Ciò che colpisce, oltre all’orrore indicibile e alla ferocia quasi disumana di questi barbari attacchi, è la loro repentinità. In un precedente articolo ho sollevato dubbi sull’apparente inefficacia dei servizi incaricati di prevenire tali eventi.

Da allora, le cose sembrano essersi confermate e questa inefficienza solleva sempre più interrogativi.

Tuttavia, non ci è preclusa la possibilità di analizzare la situazione geopolitica, e in particolare i recenti sviluppi, per verificare se uno o più eventi specifici recenti possano essere stati all’origine di questi atti di violenza o perlomeno averli incoraggiati.

UN’INFLUENZA REALE O POTENZIALE?
Una data importante emerge rapidamente: il 24 agosto 2023, data di chiusura dell’incontro BRICS, che sarà allargato a undici dal gennaio 2024.

Quattro dei sei Paesi candidati potrebbero essere coinvolti in varia misura, a causa della loro vicinanza o delle loro azioni diplomatiche negli eventi o nelle loro conseguenze…

Per la cronaca, si tratta di Iran, Arabia Saudita, Emirati ed Egitto.

Gli accordi di Abraham tra Israele e gli Emirati, da un lato, e il Bahrein, dall’altro, sono la prova di un cambiamento significativo nella posizione dei Paesi del Golfo Persico verso il riavvicinamento interno. Divisi dalla spaccatura tra gli emirati sunniti e l’Iran sciita, che ha indebolito i palestinesi, questi accordi erano destinati a ridurre queste divisioni.

Dopo la firma, si è creato una sorta di consenso internazionale a favore della creazione di uno Stato palestinese, a cui Israele si è sempre opposto.

L’imminente ammissione contemporanea di Iran, Emirati e Arabia Saudita alla cerchia dei BRICS cambierà probabilmente l’equilibrio di potere e lo farà pendere a favore della creazione di questo Stato palestinese. Un recente articolo del sito web CryptoDNES suggerisce addirittura che la stessa Palestina potrebbe essere tentata di unirsi ai BRICS.

Mappe dei paesi BRICS. Paesi fondatori Paesi membri dal 2024

I BRICS sono la parte emergente del progetto di costruzione di un mondo multipolare. Anche se la loro esistenza internazionale non è formalizzata, la loro ascesa al potere è innegabile. Questa esistenza informale è vantaggiosa per loro perché riunisce Paesi che hanno un solo interesse in comune con gli altri, anche se altre questioni possono dividerli. A poco a poco, i BRICS stanno assumendo l’aspetto di una futura organizzazione internazionale che potrebbe forse ammettere al suo interno non solo Stati riconosciuti come tali, ma anche “proto-Stati” come l’attuale “Striscia di Gaza”. Probabilmente è per questo che la Palestina si è dichiarata ufficialmente candidata il 10 agosto 2023.

Qualunque sia la geografia di questo futuro Stato, la “Striscia di Gaza” ne farebbe ovviamente parte.

E questo cambierebbe tutto.

LA CREAZIONE DI UNO STATO PALESTINESE È UNA LINEA ROSSA?
L’ONU non ha osato decidere su questo tema. La Palestina è membro dal 2012 come “osservatore non membro”. È riconosciuta come Stato da 136 Paesi.

Va notato che (con poche eccezioni) queste votazioni sono quasi sovrapponibili a quelle avvenute in altre circostanze quando si tratta di vedere chi appoggia l’Occidente guidato dagli Stati Uniti e chi no, confermando così nel tempo una frattura sempre più profonda tra questo Occidente e il resto del mondo.

ISRAELE, UNO STATO “CARDINE” TRA L’OCCIDENTE E IL BIZZARRO MONDO
Così come la Palestina è stata una questione centrale nella Prima guerra mondiale per la sua posizione strategica essenziale per i britannici, in quanto chiusura della via per l’India e della via del petrolio. Gli enormi giacimenti scoperti di recente nella Mesopotamia meridionale e nel Golfo Persico e l’uso che si poteva fare, grazie all’invenzione di un ingegnere francese, di un prodotto di distillazione chiamato benzina, fino ad allora considerato un prodotto di scarto difficile e costoso da immagazzinare, avevano dato al petrolio un valore inestimabile. Il suo commercio sarebbe diventato una priorità per l’Inghilterra, il cui regno indiviso sui mari del mondo stava per finire.

Image illustrative de l’article Accords Sykes-Picot

Gli accordi Sikes-Picot, firmati tra Inghilterra e Francia nel 1916, conferirono agli inglesi il mandato sulla Palestina e fu su questa base che il governo britannico autorizzò la creazione di un “focolare ebraico” in Palestina.

Nel 1948, questo primo focolare divenne uno Stato a sé stante e i britannici furono costretti a rinunciare al loro mandato sotto la pressione dell’opinione pubblica occidentale.

Durante la Guerra Fredda, Israele è stato visto come una “base avanzata” per l’Occidente in mezzo a Paesi arabi che avevano stabilito legami con l’URSS, mantenendolo in questa posizione “centrale”.

LO STATO PALESTINESE
I contorni del futuro Stato di Israele furono ferocemente negoziati fino al 14 maggio 1948, data ufficiale della creazione dello Stato di Israele, situato interamente in Palestina. Il percorso presentava numerose difficoltà che potevano compromettere la sicurezza di Israele e relegare gli abitanti della Palestina in un territorio privo di uno status reale. Già nel 1947, i leader sionisti avevano accettato il principio dei due Stati in Palestina, ma i leader arabi avevano rifiutato, provocando un conflitto tra arabi ed ebrei.

Nonostante decenni di lotte e negoziati, non è stato raggiunto un vero accordo.

ISRAELE E IL MONDO MULTIPOLARE.
Il massacro del 7 ottobre è stato condannato all’unanimità in tutto il mondo. Tuttavia, alcune reazioni sono state più “sfumate”. Sono emersi chiaramente due schieramenti, che evidenziano la divisione sempre più visibile tra l’Occidente e i cosiddetti “Paesi del Sud”.

Attraverso questa divisione, il problema dello Stato palestinese torna in primo piano.

Cosa potrebbe accadere se i BRICS dessero seguito alla richiesta del 10 agosto 2023 accettando uno Stato palestinese tra le loro fila?

Uno scenario del genere sarebbe difficile da sopportare per Israele, che si opporrebbe con tutte le sue forze e con tutti i mezzi possibili. Tutti (o quasi) concordano sul fatto che la partizione tra due Stati sia l’unica soluzione per il ritorno alla pace tra israeliani e arabi, ma l’attuale sconvolgimento geopolitico potrebbe portare a un cambio di paradigma.

GLI ATTACCHI SELVAGGI COMPIUTI DA HAMAS CONTRO LA POPOLAZIONE ISRAELIANA SONO LA CONSEGUENZA DI QUESTO SCONVOLGIMENTO?
La domanda vale la pena di essere posta visto il contesto attuale, anche se non c’è una risposta ovvia. Tuttavia, una conseguenza sta diventando sempre più chiara: la risposta dell’IDF sarà letale. Cosa resterà della Striscia di Gaza e di Hamas alla fine delle operazioni militari? La creazione di un vero e proprio Stato palestinese sarà ancora possibile e ci saranno abbastanza abitanti per farlo?

È difficile rispondere con certezza a tutte queste domande. Speriamo solo che la follia omicida dell’umanità lasci il posto al semplice buon senso, altrimenti, di escalation in escalation, di rappresaglia in rappresaglia, l’umanità finirà inghiottita in un confronto distruttivo perché non ha trovato il modo di fermarsi in tempo.

Jean Goychman 

22 octobre 2023

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DOMANDE E RISPOSTE: L’espansione dei BRICS e l’equilibrio di potere globale, di Infobrics

DOMANDE E RISPOSTE: L’espansione dei BRICS e l’equilibrio di potere globale
All’inizio di settembre, il gruppo dei Paesi emergenti BRICS – un’alleanza informale tra Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica – ha annunciato che avrebbe ampliato i suoi ranghi di sei nazioni. Argentina, Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti si uniranno al gruppo BRICS nel prossimo futuro. Questo unirebbe paesi che rappresentano circa il 30% del PIL mondiale e il 43% della produzione globale di petrolio, e alcuni esperti hanno ipotizzato un’ulteriore espansione del gruppo a lungo termine. Per discutere dello sviluppo dei BRICS, MIT News ha parlato con M. Taylor Fravel, esperto di politica estera e strategia di sicurezza della Cina, direttore del Programma di studi sulla sicurezza del MIT e professore Arthur e Ruth Sloan presso il Dipartimento di scienze politiche del MIT.

D: Perché l’espansione dei BRICS avviene ora?

R: L’interesse per l’espansione c’è già da un po’. I BRICS si rivolgono principalmente alle economie relativamente sviluppate dei Paesi in via di sviluppo. Ma ci sono enormi differenze di potere economico e militare anche all’interno degli attuali cinque Paesi BRICS. Ciò che inizialmente li ha uniti è l’idea di avere interessi comuni, soprattutto in campo economico. Allo stesso tempo, alcuni di questi Paesi hanno voluto aumentare la propria influenza nel mondo in via di sviluppo. Si può notare come Cina, Russia e India si siano impegnate in modo indipendente in Africa nell’ultimo decennio. Ognuno di loro ha questo desiderio e, agendo insieme, potrebbero avere più peso, forse come gruppo in grado di rappresentare gli interessi del mondo in via di sviluppo. Tuttavia, i BRICS non sono ancora un’organizzazione internazionale formale. Il BRICS non è ancora istituzionalizzato e non so se lo sarà mai.

I diversi Stati possono anche avere motivi diversi per aderire. Per l’Iran, questo dà loro molto più spazio diplomatico. L’Iran è un’aggiunta molto interessante perché è stato fortemente sanzionato dagli Stati Uniti, come la Russia. Questo pone la domanda: Cosa possono fare i BRICS con il resto del mondo? Potrebbe essere più che altro un raggruppamento che cerca di favorire le interazioni tra di loro, per aumentare il loro peso nei confronti delle economie industrializzate più avanzate del mondo.

D: A questo proposito, dato che il BRICS non è formalmente istituzionalizzato, cosa può fare?

R: Al di sotto del livello delle loro dichiarazioni [pubbliche], molto di ciò che il gruppo BRICS può effettivamente fare rimane incerto. È un gruppo basato sul consenso. Più membri si aggiungono e più eterogenei sono i loro interessi, più difficile sarà raggiungere il consenso. La Cina potrebbe voler aumentare il suo peso diplomatico attraverso i BRICS e forse il suo ruolo di sicurezza nel mondo in via di sviluppo, mentre gli altri potrebbero volersi concentrare solo sulla massimizzazione dei loro interessi economici. Si tratta di impulsi molto diversi, il che significa che più il gruppo diventa grande, più è probabile che le decisioni o le posizioni siano annacquate, se si tratta di un gruppo che opera per consenso.

Credo che lo scopo finale sia quello di mostrare il peso collettivo di questo gruppo, in modo tale che i suoi interessi debbano essere presi in considerazione da altri Stati, soprattutto in Occidente. E forse servire da veicolo per raccogliere più sostegno dal mondo in via di sviluppo.

D: Qual è la traiettoria per un’ulteriore crescita? Potrebbe esserci un’espansione sempre maggiore dei BRICS nei prossimi anni?

R: È difficile dirlo. Un modo per pensarci è che i BRICS sono più o meno come il G20, ma senza molte economie industriali avanzate [e anche] Turchia, Messico e Indonesia. I BRICS sembrano un G20 meno. Questo suggerisce che potrebbe crescere, ma poi il gruppo diventa ancora più diffuso perché all’interno dei BRICS, la Cina avrà serie dispute con l’India sui confini e con l’Indonesia sui confini marittimi [se l’Indonesia si unisse]. Anche l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti sono partner importanti per la sicurezza degli Stati Uniti e sono grandi beneficiari delle vendite militari estere degli Stati Uniti. L’Arabia Saudita e l’Iran, nonostante il recente riavvicinamento, hanno differenze molto significative. Ci sono molte questioni che limitano le possibilità di azione anche del BRICS-plus, e limitano ulteriormente le possibilità di azione di un BRICS-plus se vengono inclusi altri Paesi.

Sospetto che potrebbe diventare uno di questi raggruppamenti con riunioni annuali al vertice e incontri a diversi livelli di governo che rilasceranno molte dichiarazioni sui loro interessi collettivi – e questo non è indifferente. Potrebbe anche creare le basi per la creazione di qualcosa di più sostanzioso in futuro. Tuttavia, poiché non ha un segretariato e le riunioni del vertice sono organizzate e modellate dal Paese ospitante, il BRICS plus non sarebbe un raggruppamento che la Cina potrebbe facilmente modellare a meno che non sia il Paese ospitante.

D: A questo proposito: Quanto l’espansione dei BRICS è guidata dalla Cina e serve i suoi interessi?

R: La Cina sta cercando di ritagliarsi un ruolo di leadership molto più forte al di là degli Stati OCSE, le economie industrializzate avanzate. Credo che si stia avvicinando ai limiti della sua diplomazia, soprattutto perché l’Europa è sempre più preoccupata della sfida economica che deve affrontare dalla Cina. Nel frattempo, i legami della Cina con gli Stati Uniti non sono mai stati così conflittuali, sicuramente dalla fine della Guerra Fredda, se non dalla normalizzazione [delle relazioni USA-Cina] iniziata negli anni Settanta. Se la Cina è alla ricerca di un sostegno diplomatico mentre i legami con l’Europa e l’Unione Europea si deteriorano, il resto del mondo, al di là degli Stati dell’OCSE, è il posto giusto. Ma la Cina non sta nemmeno mettendo tutte le sue uova in un solo paniere. La Cina sta perseguendo un approccio diversificato, che include i BRICS, per vedere cosa potrebbe essere più efficace e per coprire le proprie scommesse.

Naturalmente, anche l’India ha accettato di espandere i BRICS, e al momento India e Cina hanno rapporti piuttosto gelidi. Anche il Brasile ha accettato di espandersi e vorrebbe approfondire i legami con gli Stati Uniti come farebbe l’India. Tutto ciò suggerisce che potrebbero esserci dei limiti alla capacità della Cina di guidare l’agenda dei BRICS per servire i propri interessi. Ma i BRICS potrebbero comunque perseguire l’obiettivo più ampio di creare un senso di slancio attorno ai più ampi interessi economici che questi Paesi condividono.

D: Come dovrebbero rispondere gli Stati Uniti, se mai lo faranno? Che tipo di pensiero è necessario?

R: Un BRICS come gruppo diffuso e debolmente istituzionalizzato, se mai lo è, non rappresenta una minaccia diretta o seria agli interessi degli Stati Uniti. Allo stesso tempo, probabilmente sottolinea che gli Stati Uniti hanno trascurato gli interessi di alcuni Stati del gruppo. Gli Stati Uniti hanno a lungo sottoinvestito nella diplomazia come mezzo per perseguire l’influenza internazionale. Certo, gli Stati Uniti hanno un’enorme quantità di soft power nonostante questo sottoinvestimento in diplomazia. Ma la Cina ha oggi più missioni diplomatiche all’estero degli Stati Uniti, anche se ha meno relazioni bilaterali, perché non ha legami con Stati che riconoscono Taiwan e perché non ha missioni diplomatiche in organizzazioni come la NATO e l’OCSE. Gli Stati Uniti si sono invece affidati alla loro potenza militare e al loro peso economico, mentre la diplomazia ha ricevuto meno attenzione, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo.

Questo ci ricorda che gli Stati Uniti devono pensare di più a come impegnarsi nel resto del mondo in modo da far progredire gli interessi propri e degli altri Paesi. Non la vedo come una situazione a somma zero. Sarebbe controproducente per gli Stati Uniti adottare un approccio ostile ai BRICS, in parte perché hanno amici al loro interno. Se si ragiona in termini strategici, avere amici nel gruppo dei BRICS non è una cosa negativa, quindi una risposta a bassa voce è probabilmente la più efficace.

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SITREP 10/27/23: Le prospettive dell’Ucraina si affievoliscono con l’aumento dei guadagni russi, di SIMPLICIUS THE THINKER

Ad Avdeevka si sono verificate diverse importanti conquiste russe, ora amaramente confermate da fonti ucraine. È ormai indubbio che entrambe le parti sono andate “all in” e Avdeevka è diventata di fatto il campo di battaglia centrale per definire l’ultima parte di quest’anno.

Prima non ero certo che Avdeevka potesse essere solo uno stratagemma o un depistaggio da parte del comando russo, o forse anche un “test delle acque” per vedere se valesse la pena di impegnare una grande forza lì, un po’ come lo era Ugledar all’inizio del 2023. Non hanno mai inteso Ugledar come un’operazione massiccia “all in”, a meno che i primi test non abbiano dimostrato che le difese ucraine erano deboli.

Ma qui è diventato chiaro che la Russia ha puntato tutto e non si fermerà finché non sarà catturata, a prescindere dalla rigidità della difesa ucraina. In breve, Avdeevka è destinata a diventare la nuova Mariupol, Lisichansk-Severodonetsk e Bakhmut.

Ma alcuni hanno giustamente fatto notare che c’è in realtà un’altra battaglia, più lontana, a cui Avdeevka assomiglia molto di più. Quella di Debaltsevo del 2015, famosa per la sconfitta senza precedenti delle truppe JFO/ATO ucraine, in quello che è diventato uno dei primi grandi “calderoni” che ha posto il termine sulla mappa di una nuova generazione di aspiranti generali e storici della guerra.

Questa battaglia del febbraio 2015 aveva dimensioni più simili a quelle di Avdeevka e raggruppamenti di truppe simili e più piccoli, rispetto ai gruppi di mostri che hanno finito per partecipare a battaglie come Bakhmut. Anche la forma e la disposizione delle truppe sono simili. Anche in quell’occasione, le truppe novorossine hanno soffocato l’AFU con un fuoco di fila di artiglieria incrociata, infliggendo gravi perdite e costringendo alla ritirata, mentre le forze novorossine si spingevano dalla periferia con una pressione costante.

Allo stesso modo, aveva una via di rifornimento principale, la Bakhmut Highway, che conduceva in direzione nord-ovest verso Bakhmut, e che le truppe di Novorossiyan hanno iniziato a portare in una tenaglia e sotto il controllo del fuoco, costringendo l’AFU a ritirarsi nel panico.

Naturalmente ora ad Avdeevka è tutto più difficile, perché ci sono stati molti più anni di fortificazioni e un sostegno finanziario senza precedenti da parte della NATO, oltre alla piena mobilitazione della società che ha fornito un flusso infinito di riserve per reintegrare le perdite.

Finora, però, le forze russe stanno riuscendo nella stessa manovra effettuata a Ilovaisk e Debaltsevo: spingersi contemporaneamente sia a sud che a nord di Avdeevka per limitare le vie di rifornimento.

Quali sono dunque i nuovi progressi?

In primo luogo, e soprattutto, questa volta ci sono alcuni avanzamenti chiave e confermati dal distretto meridionale, il che indica veramente che le fauci si stanno chiudendo. Un paio di campi sono stati catturati su Opytne, ma alcuni si sono spinti anche un po’ più in là della visualizzazione qui sotto:

🇷🇺🇺🇦❗️Le forze russe stanno restringendo l’anello intorno ad Avdeevka. Secondo Come and See, l’esercito russo ha nuovamente lanciato un’offensiva sia a nord che a sud dell’area fortificata di Avdeevsky nella DPR. “A sud, le unità russe stanno avanzando da Yasinovataya. Secondo la fonte, la velocità di avanzamento è aumentata e può arrivare fino a 2 km in questa direzione. L’artiglieria russa e ucraina sono in piena attività. La liberazione di Avdiivka è importante non solo dal punto di vista strategico, ma anche psicologico. La liberazione di Avdiivka è importante non solo dal punto di vista strategico, ma anche psicologico: da lì partono una parte significativa degli attacchi alla popolazione civile e alle infrastrutture civili di Donetsk.

Altre fonti riportano successi in direzione sud ed est. Per esempio, nella fortificazione “Royal Hunt”, le forze russe avrebbero fatto progressi, e a est le forze russe avrebbero combattuto per la Stazione di Filtrazione, che si trova qui:

Sul fronte settentrionale, diversi resoconti ucraini hanno ora smentito le voci secondo cui lo Slag Heap sarebbe ancora nella “zona grigia” e hanno confermato che non solo è stato completamente conquistato dalle forze russe, ma che queste ultime vi stanno addirittura scavando con le loro postazioni, il che significa che le armi di controllo del fuoco saranno certamente portate lassù:

Alcune fonti continuano ad affermare che le forze russe stanno attivamente prendendo d’assalto la parte settentrionale della Cokeria, oltre a sgomberare e scavare nell’area a sud del cumulo di scorie, anche se ciò non è ancora confermato:

È importante ricordare che molte fonti, in particolare Rybar negli ultimi tempi, tendono a fare il passo più lungo della gamba, quindi queste informazioni sono ancora molto preliminari e dovrebbero essere prese con un granello di sale.

Come minimo, però, se le forze russe non si sono impadronite completamente della parte meridionale del cumulo, è molto probabile che si tratti di una zona grigia senza più alcuna presenza ucraina.

Elena Bobkova, volontaria di ⚡️⚡️⚡️☝️Donetsk, ha parlato a UkrainaRU dell’importanza del controllo del cumulo di rifiuti per la conquista di Avdeevka: “In primo luogo, e soprattutto, grazie a questo controllo, la nostra artiglieria penetra attraverso la città. In secondo luogo, è un eccellente posto di osservazione che ci permette di vedere tutto ciò che c’è intorno. Qualsiasi movimento intorno alla città, qualsiasi trasferimento di riserve e unità militari ci viene immediatamente comunicato. In terzo luogo, il controllo della pila di rifiuti è in realtà l’inizio della bonifica della cokeria Avdeevsky, la più grande fabbrica di questo profilo in Europa in termini di superficie. Certo, è più piccola di Azovstal, ma la difesa di Avdiivka è in realtà la difesa della cokeria. C’è un quartier generale della guarnigione e magazzini con carburante e lubrificanti usati. Di notte tutta Donetsk vede il bagliore di Avdeevka. Sono l’aviazione e l’artiglieria russa a distruggere i magazzini. Se la difesa della cokeria crolla, crollerà anche la difesa di Avdeevka”. “Se Avdiivka sarà liberata, il terrore dell’artiglieria a cui Yasinovataya, Makeevka e parte di Donetsk sono state sottoposte ogni giorno per un anno e mezzo sarà cease⚡️⚡️⚡️.
Ecco la mappa di Rybar che mostra almeno le direzioni generali di avanzamento, in particolare verso l’impianto di filtrazione a sud-est e la direzione di Opytne da sud-ovest:

Julian Ropckeè ancora una volta a pezzi:

Si dice che la Russia stia martellando senza pietà Avdeevka, e un altro recente rapporto sul fronte conferma che l’AFU subisce perdite molto più elevate rispetto alle forze russe, in particolare nella fase attuale in cui la Russia ha accorciato le linee e non sta effettuando grandi assalti corazzati attraverso distese aperte di terreno.

Un piccolo scorcio: si possono vedere 6 Su-25 russi che si dirigono verso Avdeevka, un segno di quanta potenza aerea simultanea viene utilizzata solo su questo fronte:

A seguire anche molti elicotteri d’attacco, che avrebbero effettuato questi scatti:

Il canale russo Vozhak Z, che ci aggiorna dal fronte, scrive un altro post dettagliato. Tra l’altro, si scopre che questo combattente è in realtà un premiato scrittore russo di nome Dmitry Fillipov, che si è offerto volontario per la SMO.

Ora combatte nei quartieri meridionali della sezione “Caccia reale” di Avdeevka. Da oggi:

SETTIMO GIORNOC’è stata una fitta nebbia fin dal mattino e per tutto il giorno. A 50 metri non si vedeva più nulla. Il tempo ci ha concesso una pausa. Nella nostra zona c’era una calma così insolita da essere un po’ fastidiosa: per due settimane di fila, anche andare in bagno era un’avventura, ma poi si esce in strada e c’è il silenzio… Solo al nord l’arte pesante ha continuato a lavorare da qualche parte nell’area di Koksokhim.Oggi è stato il momento di pensare a tutto ciò che stava accadendo. Obiettivamente, la situazione è tale che da nord la ferrovia si trova in una zona grigia. La consegna di BC attraverso di essa è impossibile. La strada che attraversa Lastochkino è sotto il nostro controllo di fuoco e credo che li prenderemo. È già chiaro a tutti che non ci fermeremo. Questo è chiaro per noi. Questo è chiaro per il nemico. Hanno ancora forze sufficienti, la battaglia sarà difficile, ma in fondo le creste sanno già che perderanno Avdeevka. E noi sappiamo che non si arrenderanno, non se ne andranno da soli. Pertanto, li accerchieremo e uccideremo tutti coloro che resisteranno. E loro ci uccideranno il più possibile. È così che va questa guerra. Se mi dispiace per loro? No. Hanno ucciso e ferito i miei amici, vogliono uccidermi ogni giorno. Non mi dispiace per loro. Anche se, per la maggior parte, le persone che si oppongono a noi non sono nazisti rabbiosi, ma comuni Hataskraynik che sono stati costretti al massacro con la forza.Ma se si guarda tutto nella sua interezza, sono stati loro a portare l’Ucraina allo stato attuale. Quella stessa maggioranza silenziosa a cui non importa nulla di Bandera, dei russi o degli Stati Uniti – finché la loro fattoria, il loro asilo, i loro maiali non vengono toccati, finché non finiscono la vodka e il lardo, e almeno l’erba non cresce. Non si sono preoccupati del Maidan, dei bombardamenti su Donetsk e Lugansk, del genocidio della popolazione russa, degli omicidi di bambini, donne e anziani, delle torture di Azov, dei divieti linguistici, della scissione della fede… E poi si è scoperto che non potevano sopportare che si prendesse un mitra e si morisse per gli interessi e gli obiettivi della NATO. E allora ci hanno odiato, con un odio feroce e terribile. Perché il loro piccolo mondo contadino è crollato. Perché questa guerra gli ricorda ogni giorno la loro codardia, la loro debolezza e il loro silenzio. E nella loro rabbia ci incolpano di tutto, perché hanno paura di guardarsi allo specchio e di porsi domande scomode.E noi, naturalmente, vinceremo. Lo sappiamo. E loro lo sanno. Il mio nominativo è Leader! La vittoria sarà nostra! PS. Frequenza 149.200, chiamate Volga, rimarrete vivi. Altrimenti, verremo a uccidere tutti quelli che hanno armi in mano.

 

Soprattutto conferma che la ferrovia è sotto il controllo del fuoco e che anche la “strada attraverso Lastochkino” è sotto il controllo del fuoco. Questa è l’unica e sola via di rifornimento principale che abbiamo visto in tante mappe:

Un analista ha scritto un approfondimento dettagliato sulle rotte di rifornimento effettive e su ciò che ci si può aspettare: vi invitiamo a leggerlo qui.

Egli evidenzia quanto segue: l’arancione è la via di approvvigionamento principale, mentre il marrone sono le vie secondarie:

Come si può vedere, la MSR arancione proveniente dalla parte settentrionale di Avdeevka verso Lastochkino è l’unica MSR accessibile. Si tratta di una strada asfaltata che può muovere attrezzature molto più pesanti e non è influenzata dalle condizioni atmosferiche, cioè dal fango e dalla melma.

Le linee marroni rappresentano piccole strade sterrate che possono essere utilizzate per alcune cose, ma che, soprattutto con il tempo umido e paludoso di questi giorni, potrebbero essere impraticabili.

Ma uno sviluppo chiave che ho notato è che molti dei principali account ucraini stanno diventando assolutamente esasperati e stanchi dei troppo ottimistici cheerleader filo-ucraini, che continuano a sputare affermazioni infondate sulle perdite russe e sulla “facile” vittoria dell’Ucraina ad Avdeevka, ecc.

Ecco uno di questi lunghi post della NAFO, che censura i bot della NAFO per il loro costante ed estenuante flusso di positivismo non utile. Anche grandi nomi come l’ufficiale di riserva dell’AFU Tatarigami ne sono stufi. Qui sottolinea la minaccia molto concreta di un taglio dell’MSR di Avdeevka:

Un altro bot NAFO sottolinea l’importanza di Avdeevka, che a suo avviso è persino superiore a quella di Bakhmut:

Questo evidenzia un aspetto che viene ripreso da altri analisti, come Russell Bentley qui:

“Avdeevka è una posizione molto strategica: quando cadrà, l’intero fronte del Donbass si frantumerà come un vetro”.

Il motivo per cui sottolineo questo aspetto è che una cosa che va notata è quanto sarebbe significativa anche psicologicamente la caduta di Avdeevka in questo momento cruciale. Ricordiamo che, dopo l’enorme fallimento della controffensiva estiva, Zelensky è ora alle corde. Il sostegno ucraino sta calando pesantemente in tutto il mondo, in particolare con il riscaldamento della situazione israeliana. Anche il sostegno di Zelensky è in forte calo: un nuovo sondaggio ha mostrato che i cittadini ucraini non lo sostengono più, anche se continuano a mostrare un forte sostegno per l’esercito dell’AFU in generale.

Con le elezioni potenzialmente alle porte e con altri punti di inflessione chiave per il sostegno all’Ucraina, come la situazione alla Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, la decisione di concedere nuovi aiuti, eccetera, questo è un momento estremamente critico per l’Ucraina. La gestione della percezione è ai massimi livelli e l’Ucraina non può rischiare nemmeno il minimo degrado della sua percezione.

Un’altra sconfitta sarà un duro colpo che dimostrerà al pubblico occidentale che non vale più la pena di sostenere finanziariamente l’Ucraina, perché a questo punto qualsiasi vittoria a lungo auspicata è semplicemente impossibile.

Ecco perché ritengo che la caduta di Avdeevka potrebbe essere un importante colpo di scena che detterà l’intera fase successiva dell’SMO, potenzialmente in modo catastrofico per l’Ucraina in generale.

E la leadership ucraina lo riconosce, ed è per questo che ci sono ripetuti rapporti sul fatto che Zelensky sta facendo “tutto il possibile” per inviare rinforzi lì. Un rapporto dice che la guarnigione di Avdeevka sarà immediatamente aumentata da circa 8-10 mila uomini a più di 30 mila. Si tratterebbe di un impegno di truppe ai livelli di Bakhmut. Ma il problema è che l’AFU è già in una situazione molto più pericolosa qui che a Bakhmut.

Il motivo è che Bakhmut aveva due solidi MSR, rappresentati in giallo qui sotto:

 

Con alcune vie secondarie più decenti in verde.Le forze russe hanno impiegato molto tempo prima di ottenere un controllo affidabile del fuoco su una di queste. Ma Avdeevka, con il suo unico MSR affidabile, è già in uno stato molto più problematico di quanto lo fosse persino Bakhmut verso il suo ultimo mese, ed è per questo che Avdeevka assomiglia molto di più a Debaltseve, che non è durata a lungo.

Penso che Avdeevka possa durare molto più a lungo semplicemente per il modo in cui è fortificata e sostenuta da strutture sotterranee, ma finirà comunque per trasformarsi in un terribile bagno di sangue per l’AFU.

Un ultimo reportage dal fronte che sottolinea alcuni di questi problemi logistici e come le linee logistiche russe siano molto più corte e gestibili:

***

Altrove, la Russia sta avanzando praticamente su tutti i fronti. Questo include la ripresa di territori a Zaporopzhye, come Verbove e Priyutne a est. L’unica area in cui l’AFU continua ad avere qualche piccolo successo è quella di Klescheyevka, a sud di Bakhmut, in particolare negli ultimi giorni ad Andreevka, dove ha attraversato i binari della ferrovia.

Tuttavia, questo è compensato dalle contro-avance russe a nord-ovest di Bakhmut, nell’area di Berkhovka.

Gli stessi resoconti ucraini hanno riferito di avanzamenti in direzione di Kupyansk:

Continuano a circolare voci di enormi perdite ucraine nella regione generale di Kharkov-Kupyansk, almeno 60-100 morti al giorno. Può non sembrare molto, ma è solo per quel fronte. Se si aggiungono Avdeevka, Rabotino, Bakhmut e Kherson, si arriva a 300-500 morti al giorno, come minimo, se non di più.

Sono scomparsiLa direzione di Kupyan sta rapidamente diventando un “buco nero” per i soldati ucraini. Una volta arrivati, dopo un po’ di tempo smettono di contattarsi – e allora i loro parenti iniziano a bombardare di domande il comando delle loro unità. Il comando non segnala la loro morte – i parenti ricevono semplicemente la secca dicitura “disperso in azione”.
Ogni giorno ci sono nuovi post sulle bacheche interne ucraine sui parenti scomparsi in questa direzione:

In effetti ci sono state sempre più proteste di cittadini. Ne ho postato un video l’ultima volta, ora ce n’è un’altra a Odessa da parte di familiari e mogli di soldati che non hanno avuto una rotazione dall’inizio della SMO:

Il problema della rotazione è confermato da un nuovo post della guarnigione di Avdeevka dell’AFU. Si congratulano con i loro soldati per il loro eroismo, ma nel farlo riconoscono che non sono stati ruotati una volta dall’inizio della guerra:

La situazione è diventata così grave che oggi il NYTimes è stato costretto a occuparsene finalmente con un articolo:

Il pezzo ruota attorno alla massa di soldati dispersi dell’81a brigata, che si dà il caso stia combattendo a Belgorovka, proprio vicino a Kremennaya, e quindi fa parte del più ampio fronte Kharkov-Kupyansk.

L’unica ammissione interessante nell’articolo è quella che sembra essere il primo riconoscimento pubblico e occidentale dell’enorme quantità di prigionieri ucraini detenuti dalla Russia:

Ricordiamo che quando le fonti russe hanno riportato cifre comprese tra 10 e 19 mila, gli account filo-ucraini hanno riso dell'”assurdità” della cosa, mentre contemporaneamente diversi funzionari ucraini hanno pubblicato video in cui ammettevano che la quantità di prigionieri di guerra russi in loro possesso è così bassa da precludere persino la possibilità di effettuare scambi adeguati, con l’Ucraina che spesso chiede 20 dei suoi per un singolo soldato russo.

Ora abbiamo la prima conferma occidentale “ufficiale” e autorevole che la Russia ne detiene oltre 10.000. Ricordate quanto ho scritto a proposito dei rapporti tra prigionieri di guerra: essi sono proporzionali ad altri tipi di perdite e perdite. Quindi, ora che abbiamo la conferma dell’enorme disparità di prigionieri di guerra tra la Russia e l’Ucraina, possiamo tranquillamente concludere che la disparità di vittime/caduti è altrettanto enorme.

Un’ultima nota:

Continuano ad arrivare notizie di scontri a nord di Kharkov. Se ricordate, Volchansk è l’esatto percorso che ho indicato nell’ultimo articolo come potenziale incursione russa per un secondo fronte. Ora la Russia la sta bombardando:

Questi bombardamenti di “ammorbidimento” spesso precedono qualche tipo di avanzata o incursione. È interessante, viste tutte le voci di un massiccio aumento delle truppe russe in quella zona. Non credo che ci si debba aspettare ancora qualcosa, ma la cosa continua a suscitare qualche perplessità e dovremo tenere d’occhio il settore.

***
Al momento in cui scriviamo, sembra che Israele stia per lanciare la sua invasione di Gaza, anche se sospetto che si tratterà di un altro “raid” piuttosto che di un’invasione vera e propria. Il motivo è che c’è chiaramente ancora molta trepidazione e incertezza da parte degli israeliani e sembra che siano propensi a “testare le acque” prima con alcune manovre di ricognizione e di fuoco nella periferia di Gaza, solo per vedere se possono farcela e quante perdite subiscono.

Al momento ci sono varie notizie secondo cui le truppe israeliane hanno già subito perdite – ho visto almeno una foto di un carro armato Merkava capovolto, ma niente di convincente per ora.

Ciò che è chiaro, tuttavia, è che stanno lanciando l’operazione da nord, in direzione del valico di Erez, con la chiara intenzione di spingere tutti gli abitanti di Gaza verso sud. Questo è ancora una volta supportato da una serie di prove, non ultime le loro stesse dichiarazioni.

Qui il ministro israeliano Israel Katz afferma “li stiamo spostando a sud”:

Israele ha iniziato a distribuire volantini in tutta la zona settentrionale di Gaza che recitano quanto segue:

 

“Israele ha sganciato volantini sul nord di Gaza: “Avviso urgente! Chiunque scelga di non evacuare dal nord della Striscia di Gaza al sud della Striscia di Gaza può essere identificato come partner di un’organizzazione terroristica.

In breve: se non si evacua, si è considerati “terroristi” e si può essere uccisi senza alcuna responsabilità o rimorso, che si tratti di uomini, donne o bambini.

I palestinesi lo sanno bene:

Kit Klarenberg ha svelato il piano giorni fa con il suo nuovo reportage sul piano di pulizia totale di Gaza generato dai thinktank israeliani.:

In un libro bianco pubblicato più di una settimana dopo l’attacco a sorpresa di Hamas contro le basi militari e i kibbutz israeliani, l’Istituto per la Sicurezza Nazionale e la Strategia Sionista ha delineato “un piano per il reinsediamento e la riabilitazione finale in Egitto dell’intera popolazione di Gaza”, basato sulla “opportunità unica e rara di evacuare l’intera Striscia di Gaza” offerta dall’ultimo assalto di Israele all’enclave costiera assediata.
Raccomando l’articolo di Kit a chiunque sia interessato ai dettagli di questi dispositivi in corso e pianificati da tempo.

***
Per il momento, tuttavia, la situazione continua a mettere in evidenza le principali carenze di munizioni occidentali, mettendo in rilievo il futuro disastroso dell’Ucraina.

Nuovi rapporti gettano una luce molto inquietante su tutti i presunti massicci aumenti di produzione di armi per l’Ucraina.

Per prima cosa, la Reuters ha riferito che i prezzi della NATO per la produzione di proiettili critici da 155 mm sono saliti da 2000 euro a ben 8000:

Seguito dall’annuncio della tedesca Rheinmetall che i costi di produzione sono saliti alle stelle per lo stesso proiettile:

Come fa il produttore tedesco Rheinmetall a trarre profitto dal conflitto ucraino? Kiev ha bisogno di circa 1,5 milioni di proiettili di artiglieria all’anno, secondo il più grande produttore di armi europeo, Rheinmetall. Rheinmetall ha aumentato il prezzo delle munizioni di calibro 155 mm da 2.000 euro (2.120 dollari) a 3.600 euro (3.816 dollari) al pezzo, secondo il quotidiano Welt Am Sonntag.Rheinmetall ha ricevuto un ulteriore ordine per altri proiettili di artiglieria per l’Ucraina. L’accordo quadro per le munizioni d’artiglieria da 155 mm, concluso a luglio, è valido fino al 2029 e rappresenta un volume d’ordine potenziale lordo di circa 1,2 miliardi di euro.Il produttore di armi tedesco Rheinmetall ha annunciato di aver costituito una joint venture con l’Ucraina.
Poi sono arrivate le notizie ucraine secondo cui l’Europa non è riuscita nemmeno ad avvicinarsi all’impegno di consegnare proiettili all’Ucraina. L’obiettivo era di consegnare 1 milione di proiettili in un anno, e i rapporti affermano che dopo 6 mesi, hanno consegnato solo il 30% del totale, il che significa che sono sulla buona strada per consegnare il 60% del totale.

Ora facciamo un po’ di conti. Il 60% del totale di 1 milione sarebbe 600.000. Tuttavia, tenete presente che personalmente ritengo che il loro ritmo scenderà ulteriormente e che alla fine consegneranno il 40-50%, ma per il momento puntiamo sul 60%. Il precedente frammento di Rheinmetall diceva che l’Ucraina ha bisogno di 1,5 milioni di proiettili all’anno. 1.500.000 / 365 = ~4.100 proiettili al giorno. Quindi, questo è probabilmente un minimo indispensabile, poiché l’Ucraina preferirebbe sparare molto di più – almeno il doppio, se non il triplo.

Sappiamo quindi che l’UE è pronta a consegnare 600.000 proiettili in totale. Sappiamo che gli Stati Uniti hanno attualmente aumentato la loro produzione a 40.000 proiettili al mese, pari a 480.000 all’anno. Insieme, questo darebbe all’Ucraina 1.080.000 proiettili all’anno, il che consentirebbe loro di sparare 1.080.000 / 365 = ~3.000 al giorno.

Ricordiamo che le stime occidentali più basse per la produzione russa sono di 2 milioni all’anno, anche se realisticamente sono di 3,5 – 4,5 milioni all’anno, dato che abbiamo documenti che dimostrano che la Russia produceva tranquillamente 2,5 milioni anche negli anni di lassismo tra le due guerre.

Ma la cosa più importante è che ora è confermato al 100% che la Russia sta ricevendo proiettili da 152 mm dalla Corea del Nord come parte dell’accordo siglato di recente, dato che i proiettili nordcoreani sono già stati registrati in foto sul fronte russo. E la quantità che si dice sia stata acquistata è di oltre 10 milioni.

Possiamo solo supporre che la Corea del Nord continuerà a produrli a un determinato ritmo e che la Russia continuerà a ordinarne altri anche dopo il traguardo dei 10 milioni. La Corea del Nord è una potenza manifatturiera quando si tratta di munizioni di questo tipo e può probabilmente produrre almeno 50-100k al mese, se non molto, molto di più. Il che significa che se la Russia ne produce 3-4 milioni all’anno, la Corea del Nord può probabilmente aggiungerne almeno altri 2-3 milioni se non di più all’anno, senza contare i 10 milioni già in deposito che ora vengono trasportati in Russia sui treni.

L’articolo ucraino che ho appena citato ci dà un’idea di ciò quando cita il ministro degli Esteri della Lituania con l’affermazione che la Corea del Nord ha già fornito più proiettili alla Russia negli ultimi 2 o 3 mesi di quanti l’UE ne abbia dati all’Ucraina negli ultimi 6 mesi:

Citazione: “L’UE ha promesso all’Ucraina 1.000.000 di proiettili di artiglieria. Finora ne abbiamo consegnati solo 300.000. Nel frattempo, la Corea del Nord ne ha consegnati 350.000 alla Russia”.
La notizia è stata ripresa anche da Bloomberg due giorni fa:

Shoigu ha visitato la Corea del Nord alla fine di luglio con una delegazione militare russa, quando si dice che gli accordi finali siano stati definiti e siglati. Ciò significa che il ritmo delle consegne sembra essere di circa 350 mila proiettili ogni 2-3 mesi.

I risultati della visita del leader nordcoreano in Russia stanno emergendo nella sfera pubblica. I proiettili prodotti dalla RPDC sono stati visti in servizio con gli artiglieri russi. Le forniture di munizioni non sono tutto? Il traffico ferroviario tra la Federazione Russa e la RPDC si è intensificato notevolmente. Alla stazione di Tumangan si è accumulato un numero di vagoni senza precedenti: oltre 70 unità, che superano il livello pre-pandemico. Ma gli osservatori occidentali del CSIS hanno notato una caratteristica: i treni sono coperti da teloni. Allo stesso tempo, non vi è alcuna attività corrispondente presso la struttura russa di Khasan – i rifornimenti arrivano dalla RPDC alla Russia. Gli addetti ai lavori riferiscono che nei prossimi mesi saranno avviati undici nuovi impianti di assemblaggio rapido nella Federazione Russa insieme alla RPDC. La capacità aggiuntiva sarà utilizzata per produrre proiettili richiesti – munizioni da 155 mm, missili per MLRS e obici per cannoni semoventi.
Inoltre, Shoigu ha recentemente visitato le aziende russe produttrici di proiettili da 152 mm e ha annunciato un nuovo regime di abbassamento di varie soglie per aumentare notevolmente la produzione:

Shoigu ha dichiarato che le imprese del complesso militare-industriale sono state autorizzate a utilizzare tutte le riserve e le capacità di mobilitazione disponibili per aumentare la produzione di sistemi di artiglieria. Nell’interesse della crescita della produzione, sono state semplificate le procedure per la stipula dei contratti con le imprese, sono stati abbassati i requisiti per i componenti e sono stati accorciati i tempi di collaudo, pur mantenendo la qualità richiesta.
Ma questo non è ancora il colpo più duro di tutti. Questa settimana è stato pubblicato un rapporto di Matt Stoller che getta una luce molto pessimistica sulle capacità produttive degli Stati Uniti e sulle speranze di riuscire a “rampare” la produzione di gusci:

 

BIG di Matt Stoller
Perché l’America è a corto di munizioni?
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7 giorni fa – 408 mi piace – 36 commenti – Matt Stoller
Consiglio a tutti di leggere il pezzo molto dettagliato. Tuttavia, prenderò da questo buon thread di Twitter sull’articolo che riassume i punti migliori:

 

Per quanto si possa pensare che la situazione con gli Stati Uniti e le munizioni chiave per gli Stati Uniti, Israele e l’Ucraina sia grave… in realtà è peggio. Molto peggio. Le valutazioni delle azioni hanno la meglio sulla difesa nazionale. Non ci si avvicina nemmeno. Come viene analizzato nell’analisi linkata – che vale la pena di leggere – nei giorni grassi e felici successivi alla caduta dell’Unione Sovietica, il Pentagono e il governo degli Stati Uniti hanno permesso a Wall Street e alle pratiche di Wall Street di prendere il controllo della produzione della difesa. Non è che gli Stati Uniti abbiano intenzione di combattere di nuovo una guerra tra pari, giusto? Nel frattempo, i soldi parlano. Wall Street non massimizza la ricchezza massimizzando la produzione economica, o la qualità, o l’innovazione, o uno qualsiasi di questi fattori pittoreschi. I veri soldi si fanno con gli oligopoli e la costruzione di “fossati”. Limitare la concorrenza. Ridurre la concorrenza a uno o due grandi operatori. Creare un “fossato” che impedisca l’ingresso di nuovi concorrenti. Quindi, si sfruttano i clienti per creare un flusso di cassa elevato e crescente, che non si arresta mai, a causa della mancanza di concorrenzaPurtroppo, se il cliente è la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, significa che siamo tutti in pessime condizioni – come lo siamo. Il Pentagono parla di aumentare la produzione di armi. Non l’hanno ancora fatto, nemmeno un anno e mezzo dopo l’invasione dell’Ucraina. È un processo complicato, perché l’aumento della sicurezza nazionale è in conflitto con la massimizzazione del flusso di cassa per Wall Street. Alti profitti significano tagli spietati dei costi. Chiudere tutte le linee di produzione che non hanno un contratto in corso. Non fare alcuno sforzo per mantenere i macchinari o la manodopera – sarebbe uno spreco di denaro. Attraverso prezzi di monopolio o di oligopolio, gli Stati Uniti devono pagare a peso d’oro se devono produrre altre munizioni o missili vitali. E un punto non banale: l’intera industria della difesa statunitense è nelle mani di oligopoli multinazionali. Hanno interessi di difesa in più continenti. Devono considerare tutti i fattori. E il Pentagono e il Congresso, il MIC, non hanno assolutamente alcun problema con questa situazione. Il MIC non è mai stato creato per massimizzare la sicurezza nazionale – che idea pittoresca e ingenua! Se hai fatto questo per tutta la tua carriera, perché tanta fretta di cambiare le cose? Il mondo è in fiamme. Questo è irrilevante dal punto di vista di Wall Street e del MIC. Semplicemente non ha importanza, finché il mondo intero non cambia a causa sua.
In breve, l’economia statunitense è stata parassitata da Wall Street, ed è quasi impossibile essere competitivi o ottenere qualcosa tra le vaste capitalizzazioni e le capitalizzazioni infinite di tutto e le impenetrabili burocrazie che sono sorte come guardiani di questa scienza esoterica.

Ironia della sorte, questa settimana diverse major del MSM hanno notato che il team di Biden sta cercando un grande “rebrand” sugli aiuti all’Ucraina, in particolare ora che la Camera ha un nuovo Presidente e le cose potrebbero potenzialmente andare avanti prima della chiusura di fine anno.

Leggete il sottotitolo qui sopra. Il nuovo cambiamento narrativo consisterà nel sostenere che il proseguimento della guerra in Ucraina sarà una spinta per i posti di lavoro, l’industria manifatturiera e l’economia degli Stati Uniti nel suo complesso.

E come un orologio, non appena questo cambiamento narrativo è stato intuito, le teste parlanti di Capitol Hill hanno già iniziato a monotonizzarlo, come Mitch the Glitch McConnell qui:

L’articolo di Politico di ieri scrive:

Nel complesso, come si può vedere, le prospettive per l’Ucraina appaiono piuttosto scarse sotto questo aspetto, mentre quelle della Russia appaiono sempre più positive. Tuttavia, dobbiamo ricordare che anche al minimo delle stime, l’Ucraina non sarà mai completamente “a secco” e avrà ancora diverse migliaia di proiettili da sparare quotidianamente.

***
Passando all’ultima sezione, e discostandoci dal tema delle granate, una cosa che va notata è che c’è stata un’ondata di distruzioni di sistemi di artiglieria ucraini senza precedenti. La scorsa settimana, nel giro di pochi giorni, sono stati distrutti qualcosa come 5-7 Krab polacchi, 7-10 M777 e 4-5 Caesar francesi, oltre a vari altri sistemi come un Dana ceco e molti sistemi sovietici. La maggior parte di questi sono stati anche verificati in video.

Non sono sicuro di cosa sia cambiato esattamente, ma l’artiglieria ucraina si sta rapidamente estinguendo, a questo ritmo, ed è qualcosa che non sentirete mai da parte ucraina, perché una delle loro narrazioni più sacre è che stanno “vincendo la guerra dell’artiglieria”.

Un potenziale colpevole è che recentemente abbiamo visto una nuova variante del drone Lancet – non solo quelli che ora hanno capacità IR e colpiscono di notte – ma anche un nuovo reticolo di puntamento AI verde che sembra chiaramente tracciare e identificare automaticamente i bersagli.

Lo si vede in una serie di nuovi video, come il seguente, in cui distrugge un veicolo di ingegneria Wisent:

Il punto è che abbiamo appreso da tempo che i Lancet stavano sviluppando una capacità di intelligenza artificiale, ma non c’erano dati concreti sulla diffusione di queste opzioni/varianti più avanzate. E sebbene non ci siano ancora prove concrete, possiamo solo ipotizzare che forse questo sta consentendo l’identificazione automatica di sistemi di artiglieria più nascosti, il che sta causando un’enorme impennata nel dominio russo della contro-batteria contro l’AFU.

Nel frattempo, l’HIMARS è scomparso di nuovo, così come lo Storm Shadow/Scalp. A Lugansk sono stati ritrovati degli ATACMS e la Russia ha dichiarato per la prima volta di averne distrutti 2, ma senza alcuna prova. Il proiettile ritrovato sembra essere l’elemento che si separa per rilasciare le munizioni a grappolo.

I resoconti ucraini affermano che l’ATACMS ha colpito diversi sistemi S-400 a Lugansk, senza alcuna prova. In realtà, uno stimato esperto NAFO – uno di quelli che è stato esasperato dalle continue falsificazioni ed esagerazioni dei suoi stessi compatrioti – ha smentito il tutto affermando che non ci sono prove per queste affermazioni:

Dopo ogni altro colpo o quasi colpo su sistemi russi di qualsiasi tipo, una foto satellitare BDA è di solito ampiamente dispersa. In questo caso non c’è nulla del genere. In realtà, si dice che la rivendicazione della “distruzione degli S-400” sia stata fatta dal canale Telegram screditato e filo-ucraino VChK-OGPU, che è noto come una sorta di Perez Hilton o “TMZ” del conflitto ucraino, in quanto non pubblica altro che voci assurde, dicerie, eccetera, che in rare occasioni possono rivelarsi vere.

In definitiva, si tratta di un risultato piuttosto scarso per il decantato ATACMS. Sono già passate diverse settimane, o addirittura mesi, in Ucraina, e non hanno ancora raggiunto lo status di “game changer”. Infatti, un nuovo articolo del famigerato Galeotti critica l’idea che l’ATACMS sia una sorta di wunderwaffe:

Nell’articolo ammette persino che la maggior parte degli ATACMS sono stati abbattuti nell’attacco di Berdiansk.:

Conclude che la guerra sarà una dura e sanguinosa battaglia che dipenderà dalla produzione di munizioni e materiali di consumo, esattamente dove l’Occidente ha già fallito.

Ora che l’ATACMS si è dimostrato mediocre, si comincia già a parlare della “prossima grande cosa”, in questo caso il vantato missile da crociera stealth JASSM degli Stati Uniti:

“Basterebbero pochi JASSM per distruggere il ponte di Kerch”, si legge nell’articolo. Certo, questo sarà sicuramente sufficiente!

La Lockheed, si dice, potrebbe un giorno produrre “500 JASSM all’anno. (se aumentasse la produzione)”. Si tratta di ben 40 al mese, o 10 alla settimana, sufficienti per sparare circa uno al giorno. Un gioco che cambia le carte in tavola.

Il vero cambiamento di gioco sono le numerose armi russe producibili in serie. La bomba a collisione FAB-500M62 UMPK “ortodossa JDAM”, ad esempio, ha ora svelato per la prima volta una nuova capacità: la guida televisiva terminale:

Un’altra novità: alla luce di tutti gli stermini ucraini di artiglieria in corso, la Russia ha ora completamente lanciato e iniziato a fornire alle truppe il suo ultimo obice semovente 2S43 Malva da 152 mm, una sorta di analogo del Caesar francese:

Senza contare che la Russia ha appena lanciato una nuova serie di satelliti militari dal cosmodromo di Plesetsk, vicino ad Arkhangelsk.:

⚡️

Le Forze Aerospaziali hanno lanciato il veicolo di lancio Soyuz-2.1b dal cosmodromo di Plesetsk. Il 27 ottobre 2023, dal cosmodromo di Plesetsk (regione di Arkhangelsk), l’equipaggio di combattimento delle Forze spaziali delle Forze aerospaziali ha lanciato il veicolo di lancio di classe media Soyuz-2.1b. 2.1b” con navicelle spaziali nell’interesse del Ministero della Difesa russo.
Oltre a tutti questi progressi e all’aumento della produzione, Radio Liberty ha pubblicato un rapporto “preoccupante” che descrive come la Russia stia aprendo una serie di nuovi enormi complessi industriali in tutto il Paese per la produzione di armi:

Radio Liberty della CIA pubblica immagini satellitari di fabbriche militari in costruzione e in espansione in Russia

 

Il ramo ucraino di una risorsa nemica ha pubblicato materiale basato su dati di ricognizione satellitare.Nuove infrastrutture sono state create in fabbriche in tutto il Paese, dalla regione di Mosca alla Siberia, compresa la produzione e la riparazione di aerei militari, UAV e missili.

Infine, Medvedev ha fornito un aggiornamento sui dati relativi agli arruolamenti in Russia. Siamo ora a 385.000 per l’anno, su un obiettivo di circa 420.000 per la fine dell’anno. 1.600 continuano ad arruolarsi ogni mese, e Medvedev fornisce ulteriori dettagli sui nuovi corpi d’armata, le divisioni, i reggimenti, ecc. che saranno formati come deterrente contro i recenti accumuli della NATO.:


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Murray N. Rothbard, Contro l’egalitarismo a cura di Roberta Adelaide Modugno_recensione di Tedoro Klitsche de la Grange

Murray N. Rothbard, Contro l’egalitarismo a cura di Roberta Adelaide Modugno, Liberilibri 2023, pp. 122, € 18,00

Nel volume sono raccolti saggi del filosofo ed economista libertario, allievo di von Mises. Scrive la Modugno nell’introduzione dell’eguaglianza avversata da Rothbard che “non si tratta del principio dei Padri fondatori della repubblica americana, cioè l’idea che tutti gli uomini sono creati uguali e dotati della stessa libertà. L’egalitarismo di sinistra proclama invece di voler rendere tutti gli uomini uguali, cosa ben diversa da un’uguaglianza nella libertà”. Dato che gli uomini sono (fortunatamente) tutti diversi l’uno dall’altro, il percorso tra eguaglianza da realizzare e disuguaglianza fattuale è del tutto in salita.

Anche perché a partire dall’eguaglianza più “soft”, cioè quella delle opportunità, le differenze fisiche di ciascun individuo fanno sì che ai punti di arrivo si ricreino disuguaglianze. Basti ricordare quanto pesino tali caratteri negli atleti, negli attori o nei cantanti (a tacer d’altro). Anche se provvisti di borse di studio, palestre, ecc. ecc., decisivi per il successo del calciatore, del tenore e dell’attrice saranno la prestanza fisica, l’ugola e la bellezza. E così a ricreare la disuguaglianza sia delle possibilità e stili di vita che nella ricchezza.

Inoltre come sottolinea Alessandro Fusillo nella post-fazione: “lo strumento per la realizzazione forzosa dell’uguaglianza è lo Stato… lo Stato, in quanto monopolista territoriale della violenza aggressiva ed entità collettiva che ricava i propri redditi non dalla produzione e dallo scambio ma dall’appropriazione fraudolenta o forzosa di quanto altri hanno prodotto o scambiato, è un’entità antisociale e asociale. Lo Stato, pertanto, non è, secondo la ricostruzione rothbardiana, un’entità magari inefficiente e farraginosa, ma fondamentalmente benevola e utile. Lo Stato è il nemico della società civile, l’organizzazione che ne impedisce o rallenta lo sviluppo e la prosperità”. Anche Rothbard nota che “La grande realtà della differenza e della varietà individuale (cioè, la disuguaglianza) risulta evidente dalla lunga storia dell’esperienza umana; da qui, il riconoscimento generale della natura antiumana di un mondo di uniformità forzata. Socialmente ed economicamente, questa varietà si manifesta nell’universale divisione del lavoro e nella “Legge Ferrea dell’Oligarchia” – la consapevolezza che, in ogni organizzazione o attività, alcuni (generalmente i più capaci e/o i più interessati) finiranno per diventare leader, con la massa che riempie le fila dei seguaci”. Quindi né l’ordine economico, né quello politico (anzi questo ancora di più) prescindono dalla disuguaglianza.

Chi scrive è convinto che un’affermazione è sicuramente condivisibile, il resto lo è solo in parte.

A osservare la realtà lo Stato moderno è anche il garante della libertà concreta (Hegel). Il bicchiere cioè è mezzo pieno, perché è proprio il monopolio della violenza legittima (e della decisione politica) che ha reso possibile un grado di coazione e quindi di realizzazione delle pretese (delle “obbligazioni-scambio” di Miglio) ragguardevole.

A parte i casi (tanti) di esercizio dispotico del potere, quello dello Stato moderno è assai più efficace di quanto lo fosse il sistema feudale o i diritti degli “Stati” arcaici dove le pretese – anche se statuite dal giudice – dovevano essere eseguite dagli aventi diritto.

Il tutto si basa tuttavia sulla diseguaglianza più evidente e necessitata perché determinata dalla natura umana: che il “politico” è squisitamente disuguale, basandosi sulla differenza più sostanziale e decisiva, ossia quella tra chi comanda e chi obbedisce.

Per cui l’eguaglianza da realizzare si fonda in ogni caso, su una disuguaglianza necessaria e decisiva. Perché normalmente chi comanda può arrivare fino a condannare (o destinare) alla morte. Cosa che Fusillo nota: “La supremazia dei pubblici poteri è la negazione del principio di uguaglianza”.

Rothbard nei saggi raccolti offre sempre una lettura originale, ma soprattutto anti-conformista e, ricordando Bacone, anti-idola. Un’ottima ragione per leggerlo.

Teodoro Klitsche de la Grange

Entrambe le parti dovrebbero apprezzare la neutralità di principio della Russia nei confronti della guerra tra Israele e Hamas ed altro, di ANDREW KORYBKO

Entrambe le parti dovrebbero apprezzare la neutralità di principio della Russia nei confronti della guerra tra Israele e Hamas

ANDREW KORYBKO
25 OTT 2023

È irrealistico per Israele e Hamas, per i rispettivi patroni statunitensi e iraniani e per i loro sostenitori immaginare che la Russia abbandoni la sua posizione di equilibrio per appoggiarli contro il loro nemico. Detto questo, entrambi considerano l’ultima guerra come esistenziale e sono quindi scontenti della posizione della Russia, motivo per cui stanno ricorrendo a campagne mediatiche volte a spingerla a schierarsi dalla loro parte.

Il Times of Israel (TOI) ha citato una fonte del Ministero degli Esteri per riferire martedì che il loro Paese è scontento della posizione della Russia nei confronti dell’ultima guerra tra Israele e Hamas, che hanno descritto come sbilanciata a causa della mancata condanna di Hamas da parte di Mosca nella sua proposta di cessate il fuoco, non andata a buon fine, al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. L’outlet ha anche affermato che alcuni si sono sentiti profondamente offesi dopo che il Presidente Putin ha paragonato il blocco di Gaza da parte di Israele al blocco nazista di Leningrado, che uccise suo fratello maggiore prima che nascesse.

Queste critiche ignorano i fatti ufficiali sulla posizione della Russia, citati nelle seguenti analisi:

* “Il sostegno della Russia all’indipendenza palestinese non dovrebbe essere interpretato come una politica anti-israeliana”.

* “La Russia ha un approccio equilibrato verso l’ultima guerra tra Israele e Hamas”.

* È significativo che Putin non abbia attribuito la colpa della catastrofe dell’ospedale di Gaza.

* “I legami della Russia con Hamas sono pragmatici e non dovrebbero essere interpretati come un’approvazione del gruppo”.

* La Russia non dovrebbe fermare gli attacchi di Israele in Siria”.

La politica di neutralità di principio della Russia sarà ora riassunta per comodità del lettore.

Il Cremlino considera ufficialmente l’attacco di Hamas all’inizio di ottobre un atto di terrorismo, ma non ritiene che questo screditi la causa dell’indipendenza palestinese né giustifichi la risposta sproporzionata di Israele, pur sostenendo con forza i diritti dell’autoproclamato Stato ebraico di esistere e difendersi. Quest’ultimo punto spiega perché ha lasciato che Israele bombardasse impunemente l’IRGC e gli Hezbollah in Siria centinaia di volte dal settembre 2015, pur condannando occasionalmente la situazione per motivi di apparenza.

Le priorità immediate della Russia sono alleviare le sofferenze dei civili, idealmente attraverso un cessate il fuoco, ma sarebbe disposta ad accontentarsi della creazione di corridoi umanitari se ciò risultasse impossibile, e impedire che il conflitto si espanda in una guerra regionale totale. A medio termine, vuole rompere il monopolio degli Stati Uniti sul processo di pace, responsabile di aver perpetuato il ciclo di violenza fino ad oggi, e mediare una soluzione a due Stati che garantisca in modo sostenibile i legittimi interessi di sicurezza di entrambi.

Questi quattro obiettivi sono indubbiamente ambiziosi e richiedono un’attenta opera di bilanciamento tra tutte le parti per avere una qualche possibilità di successo, per quanto minima possa essere realisticamente, e ciò spiega la politica di neutralità di principio della Russia, allineata ai suoi interessi nazionali oggettivi in questo conflitto. È quindi irrealistico per Israele e Hamas, per i loro rispettivi patroni statunitensi e iraniani e per i loro sostenitori immaginare che la Russia abbandonerà la sua posizione di equilibrio per appoggiarli contro il loro nemico.

Detto questo, entrambi considerano l’ultima guerra come esistenziale e sono quindi scontenti della posizione della Russia, motivo per cui stanno ricorrendo a campagne mediatiche volte a spingerla a schierarsi dalla loro parte. Per pura coincidenza, entrambi hanno concluso che il mezzo più efficace è quello di dipingere la Russia come schierata a favore di Hamas. Israele e i suoi sostenitori presentano questo fatto come vergognoso e sperano che faccia pressione sulla Russia affinché condanni questo gruppo, mentre i loro nemici lo presentano come positivo e sperano che porti a un sostegno tangibile.

Il recente rapporto del TOI è la prova di questo approccio in azione da parte dei pro-israeliani, così come i tweet dell’ex ambasciatore americano in Russia Michael McFaul su questo argomento, qui e qui, mentre i tweet di questo top influencer dell’Alt-Media, qui e qui, dimostrano la stessa cosa da parte dei pro-Hamas. I quattro tweet precedenti spingono l’agenda narrativa dei rispettivi partiti attraverso mezzi indiretti che ora verranno descritti esplicitamente per assicurarsi che a nessuno sfugga il loro messaggio di parte.

La prima coppia suggerisce che il Presidente Putin abbia ingannato il Primo Ministro Netanyahu nel corso degli anni facendogli credere di essere “un amico molto stretto e vero dello Stato di Israele“, come l’ex premier israeliano Bennett ha descritto il leader russo alla fine del 2021, mentre si suppone che abbia sostenuto Hamas per tutto questo tempo in segreto. La seconda coppia spinge su affermazioni complementari, insinuando che la Russia potrebbe entrare in guerra con gli Stati Uniti per il bene di Hamas e sostenendo che sta già aiutando l’Iran ad armare quel gruppo e altri attraverso la sua base aerea siriana.

Queste due campagne mediatiche cercano di manipolare la percezione imprecisa, ma condivisa dal loro pubblico, che la Russia si schieri sempre con gli avversari dell’Occidente in ogni conflitto. L’impegno a favore di Israele vuole che gli occidentali condannino la Russia con questo falso pretesto, in modo che si rivolti contro Hamas per migliorare la sua reputazione nei loro confronti, mentre l’impegno a favore di Hamas vuole che i non occidentali lodino la Russia con questo falso pretesto, in modo che dia al gruppo un sostegno reale per mantenere la sua reputazione nei loro confronti.

Nessuna delle due parti apprezza la neutralità di principio della Russia nei confronti di questo conflitto, poiché considerano la guerra una lotta esistenziale che inevitabilmente porterà alla distruzione di Israele o di Hamas, ma il Cremlino continua a pensare che entrambi possano sopravvivere ed è per questo che continua ad equilibrarsi tra loro. Se questo scenario si realizzerà, cosa che non si può escludere per quanto sarà difficile per ciascuno sconfiggere completamente l’altro, avranno bisogno di un mediatore neutrale e apprezzeranno finalmente la saggezza della posizione della Russia.

Analisi del licenziamento del ministro della Difesa cinese Li Shangfu

ANDREW KORYBKO
26 OTT 2023

Se da un lato la Cina ha il diritto sovrano di effettuare qualsiasi cambiamento di leadership senza doverne spiegare le ragioni al pubblico, dall’altro è anche una Grande Potenza con un’influenza globale le cui decisioni hanno un forte impatto sulle relazioni internazionali, motivo per cui questi cambiamenti hanno suscitato le speculazioni di molti.

La Cina ha appena confermato che il Ministro della Difesa Li Shangfu, scomparso dalla scena pubblica per settimane, è stato effettivamente licenziato, proprio come molti avevano ipotizzato. È il secondo funzionario di alto rango negli ultimi mesi a essere sostituito dopo il Ministro degli Esteri Qin Gang, anch’egli licenziato dopo una lunga sparizione. Si tratta di un fatto di per sé insolito, senza contare che entrambi hanno prestato servizio per meno di un anno prima di lasciare i loro incarichi.

Se da un lato la Cina ha il diritto sovrano di effettuare qualsiasi cambiamento di leadership senza doverne spiegare le ragioni al pubblico, dall’altro è anche una Grande Potenza con un’influenza globale le cui decisioni hanno un forte impatto sulle relazioni internazionali, motivo per cui questi cambiamenti hanno suscitato le speculazioni di molti. Chiedersi cosa stia realmente accadendo non è “intromettersi” negli affari di quel Paese, come potrebbero sostenere alcuni dei suoi più zelanti sostenitori, ma semplicemente un tentativo di comprendere meglio le sue politiche.

Certo, ci sarà senza dubbio chi sfrutterà questo sviluppo per insinuare maliziosamente il timore che la stabilità della Cina non possa più essere data per scontata, con l’obiettivo di ridurre la fiducia economica e politica nel suo futuro. Lo scopo di queste speculazioni malintenzionate è quello di far apparire più attraenti i rivali occidentali del Paese. Qualsiasi speculazione che spinga a questa conclusione dovrebbe essere guardata con sospetto, poiché potrebbe essere un prodotto di guerra informativa mascherato.

Chiarito ciò, questi cambiamenti di leadership danno effettivamente credito ad alcune osservazioni scomode sulla Cina, prima fra tutte la qualità dei suoi servizi investigativi anticorruzione. Nella migliore delle ipotesi che entrambi i funzionari siano stati licenziati per corruzione economica o personale, il primo per furto e il secondo per relazioni extraconiugali, come alcuni hanno ipotizzato per la caduta in disgrazia di Qin, viene spontaneo chiedersi perché non siano stati individuati prima.

Il presidente Xi ha fatto della lotta alla corruzione una pietra miliare della sua presidenza, ma sembra che ci sia ancora molto lavoro da fare in questo senso, nonostante i suoi sforzi. Dopo tutto, se tutto funzionasse bene, nessuno di questi due funzionari potenzialmente corrotti sarebbe mai stato nominato per la sua posizione. Il licenziamento di questi due funzionari rischiava di danneggiare l’immagine del Presidente Xi e della Cina, oltre a creare il pretesto per i malintenzionati di speculare maliziosamente sulla stabilità del Paese.

Questi esiti indiscutibilmente svantaggiosi si sarebbero potuti evitare se i servizi investigativi anticorruzione avessero operato al livello che ci si aspettava da loro per un intero decennio dopo che il presidente Xi aveva deciso di dare priorità a questa campagna. Un’altra osservazione scomoda associata a questi cambiamenti di leadership è che essi avvengono in un momento di peggioramento delle relazioni sino-statunitensi, il che alimenta la speculazione di rivalità di fazione all’interno del Partito Comunista Cinese (PCC) che potrebbero aver giocato un ruolo nei licenziamenti di questi due.

Come nella maggior parte dei Paesi, e soprattutto in quelli che sono Grandi Potenze, nella comunità dei politici cinesi sono presenti “colombe” e “falchi”, che in questo contesto assumono la forma di coloro che vogliono perseguire una “Nuova distensione” contro coloro che vogliono intraprendere una Nuova guerra fredda. Ciascuna visione ha i suoi rispettivi pro e contro, che non è compito del presente articolo approfondire, poiché il punto è semplicemente quello di richiamare l’attenzione sull’esistenza di queste due scuole.

Qin ha ricoperto in precedenza la carica di ambasciatore cinese negli Stati Uniti, durante la quale poteva essere descritto come una “colomba” che voleva migliorare i legami con i suoi ospiti (“Nuova distensione”), ma è stato costretto da circostanze fuori dal suo controllo a diventare un “falco” dopo l’incidente del palloncino di febbraio. Non è ancora stato nominato un sostituto ufficiale, ma il suo predecessore Wang Yi, Consigliere di Stato e Direttore della Commissione Affari Esteri del Comitato Centrale del PCC, ha assunto le sue funzioni.

È difficile stabilire quale delle due scuole Wang rappresenti, dal momento che la sua lunga carriera diplomatica lo ha visto promuovere politiche che favoriscono gli interessi di entrambe. Quanto a Li, egli rappresentava indiscutibilmente quella dei “falchi”, anche se la sua nomina, nonostante fosse sottoposto a sanzioni statunitensi, è stata interpretata come un segnale della volontà della Cina di intraprendere la nuova guerra fredda imposta da Washington. Il suo misterioso licenziamento fa quindi pensare che Pechino stia ripensando alla saggezza di questa possibile politica.

Che si tratti di una coincidenza o di un disegno, l’annuncio del suo licenziamento è arrivato lo stesso giorno della cena di gala annuale ospitata dal Comitato nazionale per le relazioni tra Stati Uniti e Cina, durante la quale l’ambasciatore Xie Feng ha letto un messaggio del presidente Xi sulla volontà di “far progredire la cooperazione reciprocamente vantaggiosa e gestire correttamente le differenze”. Un messaggio simile è stato trasmesso il giorno dopo durante l’incontro non annunciato del Presidente Xi con il governatore californiano Gavin Newsom.

La nomina di Li ha posto un limite ai legami militari tra Cina e Stati Uniti, poiché Pechino si è rifiutata di permettergli di interagire regolarmente con la sua controparte americana a meno che Washington non avesse revocato le sanzioni. Si è trattato di una politica di principio che ha dimostrato che la Cina ha il rispetto di sé che ci si aspetta da una Grande Potenza. Detto questo, il rovescio della medaglia è che potrebbe aver involontariamente contribuito a peggiorare il dilemma della sicurezza nell’ultimo anno, privando gli alti ufficiali militari della possibilità di confrontarsi apertamente.

Per questo motivo, la rimozione di Li potrebbe portare il suo sostituto – chiunque sarà alla fine, dato che non è stato nominato al momento della pubblicazione di questo articolo – a sfruttare la suddetta opportunità, che potrebbe aiutare a gestire la loro rivalità in spirale in modo comparativamente migliore rispetto a prima. Questo possibile risultato, che ovviamente non può essere dato per scontato, sarebbe in linea con il messaggio amichevole che il Presidente Xi ha inviato ai partecipanti alla cena di gala annuale di questa settimana a Washington.

Per rivedere le intuizioni condivise in questa analisi, lo scenario migliore è che Qin e Li siano stati licenziati per motivi legati alla corruzione e non per qualcosa di più scandaloso come lo spionaggio, nel qual caso i servizi investigativi anticorruzione cinesi farebbero una pessima figura per non averli individuati prima delle loro nomine. Più speculativamente, le rivalità di fazione tra le scuole della “colomba”/”Nuova Distensione” e del “falco”/Nuova Guerra Fredda potrebbero aver influito anche su questo, ma per ora la prima è probabilmente avvantaggiata anche se non fosse così.

Politica e geopolitica. La matrice anglosassone Con Federico Bordonaro, Giacomo Gabellini, Roberto Buffagni

Il rapporto tra scuole geopolitiche ed azione politica nelle relazioni internazionali tra centri decisori strategici è particolarmente controverso, come lo è quello tra il politico, come definito da Freund e le decisioni politiche, come lo sono le “onde lunghe” e le costanti della storia da una parte e le fibrillazioni del confronto e conflitto politico sul terreno determinato dai soggetti in azione, in particolare quelli decisori. Non vi è nulla di strettamente determinato su di un medesimo piano. All’egemonia inglese e statunitense degli ultimi due secoli ha corrisposto l’egemonia e alla fine il dominio delle chiavi interpretative geopolitiche anglosassoni nel mondo sino ad indurre le élites dominanti occidentali ad assumere un atteggiamento deterministico e dogmatico tale da allontanarle dalla adeguata interpretazione della realtà e da rappresentare le proprie scelte politiche in un quadro schizofrenico sempre meno credibile ed autorevole. Una crisi dalla quale faticano ad emergere con successo nuove chiavi interpretative più adeguate a definire strategie, obbiettivi e tattiche in un contesto multipolare. Una difficoltà che testimonia dell’incapacità di emersione nel mondo occidentale di nuove élites in grado di comprendere e sostenere adeguatamente il confronto e lo scontro che si prospetta sempre più drammaticamente. Il carattere asfittico del dibattito politico in Italia, compreso quello nel magmatico e sterile movimento “sovranista”, è forse l’aspetto più penoso, pur se innocuo per le sorti del mondo, che ci tocca riscontrare. Il libro di Federico Bordonaro può offrire in proposito al dibattito tanti spunti, come evidenziato, si spera, dalla discussione. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
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Inutile a Gaza Come sempre, se non si sa cosa si sta facendo. Di AURELIEN

Inutile a Gaza
Come sempre, se non si sa cosa si sta facendo.

AURELIEN
25 OTT 2023
Il mio cruscotto dice che oggi ho 4499 abbonati, che sono molti di più di quelli che mi sarei mai aspettato. Grazie in particolare a coloro che hanno sottoscritto abbonamenti a pagamento. Questi saggi saranno comunque sempre gratuiti e potrete sostenere il mio lavoro mettendo like, commentando e, soprattutto, trasmettendo i saggi ad altri e ad altri siti che frequentate. Ho anche creato una pagina Buy Me A Coffee, che potete trovare qui.☕️ Grazie a tutti coloro che hanno già contribuito.

Vi ricordo, con una parola di ringraziamento, che le traduzioni dei miei saggi in spagnolo sono ora disponibili disponibili qui, e alcune versioni italiane dei miei saggi sono disponibili qui. Marco Zeloni sta ora pubblicando anche alcune traduzioni in italiano. E ora ….

All’inizio della novella Cuore di tenebra (1902) di Joseph Conrad, il narratore Marlow descrive come, durante il viaggio verso il Congo, la sua nave incroci una nave della Marina francese ancorata al largo della costa africana. La nave – di cui apprendiamo che molti membri dell’equipaggio muoiono ogni giorno per cause imprecisate – è impegnata a sparare incessantemente, alla cieca, uno dei suoi cannoni da sei pollici nella giungla, nell’apparente speranza di colpire un “accampamento”. Non si sa mai perché.

L’episodio è altamente simbolico e rappresenta in un certo senso la sintesi di uno dei temi del libro: l’impossibilità per gli occidentali di sottomettere con la forza la vera Africa. Ma mi sembra anche un simbolo potente dell’inutilità di un’attività militare mal indirizzata in generale, in cui si dispone di un potere militare, ma non si ha idea di cosa si voglia ottenere con esso, e quindi non si saprà mai se si è riusciti o meno. Questo saggio riguarda le conseguenze del divario tra potenza militare e risultati politici che ha caratterizzato l’approccio occidentale alle crisi in Ucraina e a Gaza.

È di nuovo l’ombra di Carl von Clausewitz che scruta le mie spalle e vuole sottolineare, ancora una volta, che l’attività militare senza un obiettivo politico definito è inutile e autolesionista. Ma c’è di più, dice. Ci deve essere una relazione logica tra il potere militare di cui si dispone e l’effetto che si vuole creare. E ancora di più, è necessario un piano coerente per arrivare dove si vuole, attraverso una serie di passi che colleghino una determinata situazione politica provvisoria a una determinata applicazione del potere militare. Altrimenti, non si ha idea di dove si è e dove si sta andando, e si finisce come gli Stati Uniti in Vietnam e in Afghanistan: inventando punti di passaggio militari e considerandoli poi come obiettivi politici raggiunti.

In realtà, il rapporto tra l’uso della forza e il raggiungimento di un obiettivo politico definito è un’arte molto complessa, inesatta e incerta, molto più facile da spiegare teoricamente che da realizzare nella pratica. Implica tutta una serie di relazioni complicate e asserite che non necessariamente esistono in modo ordinato nella vita reale. Per cominciare, ovviamente, è necessario avere un obiettivo politico definito, concordato, praticabile e misurabile. Bombardare qualcuno, o sparare qualche granata come la nave francese, non è un obiettivo in sé, e spesso è indistinguibile da una manifestazione di stizza per sentirsi meglio. Quello che i militari chiamano “stato finale” deve essere chiaramente distinguibile dallo stato attuale, per non dire migliore, altrimenti non ha senso perseguirlo.

Bisogna anche essere ragionevolmente sicuri di come si svolgerà lo stato finale politico, altrimenti ci si potrebbe trovare in una situazione peggiore di quella iniziale. Ciò implica una conoscenza realistica della situazione politica che si sta cercando di influenzare e di quali potrebbero essere le conseguenze politiche delle proprie azioni militari. Così la campagna di bombardamenti della NATO contro la Serbia nel 1999 aveva l’obiettivo di umiliare il governo di Slobodan Milosevic, costringendolo alla resa del Kosovo, e quindi di rimuoverlo dal potere nelle elezioni dell’anno successivo. Si presumeva che il governo che lo avrebbe sostituito sarebbe stato grato alla NATO per averli bombardati e avrebbe adottato una posizione filo-occidentale e filo-NATO. Ciò che non era stato previsto (tranne che da noi che eravamo attenti) era che Milosevic sarebbe stato abbattuto dall’agitazione nazionalista e sostituito da un presidente nazionalista e duro, Kostunica. E per quanto riguarda l’idea che un Gheddafi barcollante, forse sul punto di essere rovesciato nel 2011, potesse essere spinto oltre l’orlo del baratro dall’intervento occidentale, portando a un sistema democratico stabile e filo-occidentale… beh, se c’è una parola più forte di “catastrofico” da anteporre a “malinteso”, usiamola pure. E non parliamo nemmeno delle fantasie politiche delle capitali occidentali su ciò che seguirebbe alle dimissioni forzate di Vladimir Putin.

Quindi questo uso della forza per obiettivi politici sembra un po’ più complicato di quanto pensassimo a prima vista, non è vero? Significa anche che potreste ritrovarvi con le dita intrappolate nel torcicollo. Ad esempio, gli Stati Uniti hanno schierato due gruppi da battaglia di portaerei nel Mediterraneo orientale. Si tratta di un’azione tradizionale dei governi che non hanno altre opzioni disponibili e non è necessariamente criticabile. In queste circostanze c’è l’obbligo politico di fare qualcosa, qualunque cosa sia. E ad essere onesti, le portaerei sono molto utili per evacuare cittadini stranieri, sotto protezione militare o meno, come hanno dimostrato i francesi a Beirut nel 2006.

Il problema è che è praticamente certo che i gruppi di portaerei siano stati dispiegati secondo questa logica del “fare qualcosa”, cioè quasi certamente senza una strategia politica di accompagnamento: come spesso accade, gli Stati Uniti se la inventano strada facendo. (Parlare di “deterrenza” o “stabilizzazione” non è una strategia, è un tentativo di giustificazione). La difficoltà di tutti questi dispiegamenti, tuttavia, è che sono molto più facili da avviare che da fermare. Ritirare la forza significa inviare un messaggio politico che la crisi è finita, o almeno gestibile, il che potrebbe non essere il messaggio che si vuole inviare. Quindi si mantiene la forza in posizione e alla fine la si sostituisce, perché non si ha altra scelta. La difficoltà è che, a parte le evacuazioni, non c’è quasi nulla per cui il gruppo di carriera possa essere utilmente impiegato. Forse la raccolta di informazioni, ma ci sono modi molto più semplici e discreti per farlo. Nel frattempo, sono bersagli di grandi dimensioni, probabilmente limitati a pattuglie di volo e non molto altro. (Presumo che gli Stati Uniti non sarebbero così folli da unirsi ai bombardamenti su Gaza).

A sua volta, questo riflette l’effettiva impotenza degli Stati Uniti nell’attuale conflitto. Il suo tentativo storico di combinare la posizione di facilitatore indipendente con la devozione a una parte è sempre stato discutibile, ma è stato tollerato nella misura in cui il Paese era effettivamente in grado di avere una certa influenza. È chiaro che questo non è più vero. Nessuno nel mondo arabo si lascerà influenzare dagli Stati Uniti, che si sono anche autoesclusi da qualsiasi influenza su Iran, Hezbollah e Hamas. L’iniziale retorica massimalista di Biden ha di fatto cancellato la maggior parte dell’influenza che gli Stati Uniti avrebbero potuto esercitare anche su Israele. Il che non lascia molto, e non lascia nemmeno molto da fare alla potenza militare statunitense.

In ogni caso, anche se si decidesse di usare il potere militare, in un vuoto politico e solo per apparire minacciosi, cosa potrebbero fare effettivamente gli Stati Uniti? Per il momento, nulla. Ora, se una grande invasione di terra iniziasse a Gaza, e se Hezbollah reagisse militarmente lungo la frontiera settentrionale, allora teoricamente gli Stati Uniti potrebbero prenderli di mira, ma con enormi rischi per la popolazione libanese e un considerevole rischio di perdite per se stessi, in altri luoghi dove sono presenti truppe statunitensi. In parole povere, un attacco contro Hezbollah abbastanza grande da fare la differenza potrebbe causare ingenti danni collaterali al Libano, mentre qualsiasi cosa più piccola non farebbe comunque la differenza. Gli Stati Uniti hanno investito massicciamente nella stabilità del Libano negli ultimi anni e non hanno intenzione di mettere a repentaglio questo investimento.

È certamente possibile che l’Iran consideri un attacco su larga scala contro Hezbollah come un’azione ostile, e quindi si vendichi. Il problema per gli americani è che gli iraniani possono infliggere a loro e ai loro interessi molti più danni di quanti ne possano infliggere agli iraniani. Questo non ha nulla a che fare con la sofisticazione o il numero di armi: è molto più banale di così. Prendete una mappa, date un’occhiata alla regione e chiedetevi: dove potrebbero andare in sicurezza i gruppi di portaerei statunitensi? Quali Paesi potrebbero fornire campi d’aviazione, porti, approdi e depositi logistici? Nella situazione politica attuale, la risposta è probabilmente “nessuno”. Senza dubbio un attacco missilistico aereo e marittimo contro l’Iran potrebbe causare qualche danno, ma a che scopo? Quale possibile obiettivo politico proporzionale potrebbe essere raggiunto? Nessun danno immaginabile causato all’Iran potrebbe costringere il governo, ad esempio, a interrompere il sostegno a Hezbollah o all’attuale governo in Siria. Al contrario, un grave danno a una singola portaerei, anche se non venisse affondata, sarebbe sufficiente per allontanare gli Stati Uniti dalla regione.

Credo che da questi esempi si possano trarre alcune lezioni generali, che a loro volta possono aiutarci a capire come l’attuale crisi di Gaza possa risolversi. Possiamo iniziare ricordando che la teoria dell’uso del potere militare per raggiungere gli obiettivi politici è importante, ma soprattutto come limite. Ciò significa che, mentre l’azione militare senza un obiettivo politico è inutile, il solo fatto di iniziare un’azione militare verso uno stato finale politico dichiarato non significa che ci si arriverà automaticamente. Bisogna ancora fare il duro lavoro di trasformare l’uno nell’altro, ed è di questo che voglio parlare ora.

Considerate uno stato finale politico di qualche tipo. Non deve essere necessariamente il paradiso in terra o la resa del vostro nemico. Può essere qualcosa di più semplice, come una decisione esecutiva da parte del vostro vicino di smettere di sostenere i gruppi separatisti nel vostro Paese. Supponiamo quindi di definire questo stato finale politico, che chiameremo P(E). La prima cosa da dire è che questo stato finale politico deve essere effettivamente possibile dal punto di vista politico (non solo militare). Deve essere nella capacità dell’altro governo di accettarlo o, in mancanza di ciò, l’equilibrio delle forze politiche alla fine del conflitto deve almeno renderlo possibile. È inutile e pericoloso cercare di costringere un Paese o un attore politico a fare qualcosa che non è in suo potere; non che questo non sia stato tentato abbastanza spesso.

Un buon e importante esempio è rappresentato dai bombardamenti strategici britannici e americani sulla Germania nella Seconda Guerra Mondiale. L’obiettivo dichiarato era quello di demoralizzare e spaventare la popolazione civile in modo che il suo morale venisse meno e, se tutto fosse andato bene, si sarebbe sollevata e avrebbe rovesciato il governo. Nelle prime fasi della guerra, i britannici lanciarono volantini di propaganda in cui si diceva al popolo tedesco che poteva insistere sulla pace in qualsiasi momento, sperando che il crollo del morale portasse a un crollo sociale ed economico più generale, e quindi alla fine della guerra. Ma questo non sarebbe mai accaduto, anzi era politicamente e praticamente impossibile che accadesse. Nessun bombardamento avrebbe potuto cambiare questa situazione.

Ma supponiamo che P(E) sia possibile. Tuttavia, non apparirà magicamente dopo che sarà stato sparato l’ultimo colpo. Ci sarà una successione di fasi politiche (P1, P2 ecc.) che devono avvenire in sequenza e muoversi tutte nella stessa direzione. Pertanto, la fine forzata di una guerra civile può creare le condizioni per nuove elezioni, ma non può magicamente organizzare tali elezioni, assicurarsi che siano eque e che i risultati siano accettati. È per questo che i militari parlano di “creare un ambiente sicuro” che permetta alle cose politiche di accadere. Ma farle accadere è responsabilità di altri.

Poi, naturalmente, c’è l’azione militare in sé, che deve essere organizzata e sequenziale, per portare le operazioni militari al massimo delle loro possibilità. Poiché tutto dipende da tutto il resto, deve esserci un’idea di ciò che le operazioni militari possono raggiungere, di quale sia l’obiettivo finale e di quanto ci si avvicini all’obiettivo in ogni momento. Quindi è necessario anche un piano di campagna militare con delle fasi (che chiameremo M1, M2 ecc.), ognuna delle quali porta progressivamente al punto in cui i militari hanno fatto tutto il possibile e il processo politico deve prendere il sopravvento. Ho visto questo in un gran numero di piani di campagna, così come ho visto una totale confusione nella pratica su quale fase del piano abbiamo effettivamente raggiunto, se ne abbiamo una.

E soprattutto, ci deve essere una qualche ragione per cui il raggiungimento degli obiettivi militari (ad esempio un ambiente sicuro) debba poi portare al risultato politico (P(E)) che si desidera. Sorprendentemente, nella maggior parte delle pianificazioni si dà semplicemente per scontato che questo sia il caso, anche se nella pratica non accade quasi mai. Non riesco a ricordare quanti piani di campagna elettorale ho visto per l’Afghanistan che consistevano essenzialmente nei seguenti passi:

Invadere l’Afghanistan.

Avviene un miracolo militare.

Mettere in sicurezza l’ambiente e sconfiggere i talebani.

Avviene un miracolo politico

Pace, amore e utopia.

Eppure non c’è motivo per cui la fine dei combattimenti o l’imposizione di un ambiente sicuro debbano effettivamente portare a un qualsiasi progresso politico (si veda la Bosnia dal 1995). Ma più in generale, non c’è alcuna ragione di principio per pensare che una particolare azione militare possa portare a un particolare risultato politico, una volta che si va oltre le presentazioni in Powerpoint. Il che ci riporta perfettamente a Gaza.

Da quanto detto sopra (che è certamente molto semplificato) si può vedere che per raggiungere con successo un obiettivo politico con mezzi militari è necessaria tutta una serie di passi logicamente correlati e individualmente praticabili, nonché un avversario che sia in ultima analisi disposto, per dirla con Clausewitz, a “fare la nostra volontà”. Per questo motivo bisogna diffidare dei cosiddetti “piani a lungo termine”, di cui si sostiene spesso l’esistenza. La maggior parte di essi sono in realtà aspirazioni a lungo termine o addirittura fantasie. Non hanno alcuna somiglianza con il processo attento e dettagliato che ho descritto. E in un certo senso questo non è sorprendente, perché proposte così attente e dettagliate non possono essere attuate per lunghi periodi di tempo: le circostanze cambiano troppo. Sono essenzialmente esercizi a breve termine, ma condotti sulla base di un semplice ma chiaro insieme di obiettivi a lungo termine.

Per un momento, spostiamoci in Ucraina. È abbastanza chiaro che i russi avevano un obiettivo (forse nemmeno una strategia) a lungo termine: vivere in un’Europa che non fosse una minaccia per loro. Non è certo che il loro pensiero fosse molto più dettagliato di così. Quando la situazione ha cominciato a deteriorarsi e la NATO è diventata progressivamente più ostile dal punto di vista politico, questa strategia è diventata più attiva, cercando di far capire, tra le altre cose, che l’Ucraina nella NATO, in teoria o in pratica, non sarebbe mai stata accettabile. Quando questa strategia è stata respinta e l’Ucraina è diventata pesantemente armata e politicamente instabile, i russi hanno optato per un’opzione militare (inizialmente minimalista) a sostegno dello stesso obiettivo politico. Ora stanno conducendo un’opzione militare massimalista volta a ottenere con la forza ciò che non è stato possibile ottenere politicamente: un’Europa che non considerano minacciosa. Se ci riusciranno è presto per dirlo, ma, da bravi studenti di Clausewitz, sanno almeno come i pezzi dovrebbero andare insieme.

L’Occidente ha a lungo fantasticato di rovesciare l’attuale sistema politico russo e di smembrare il Paese, portandolo saldamente nell'”orbita occidentale”. Ma non è mai esistito nulla che assomigliasse a un piano (se avete una qualche esperienza della NATO capirete subito perché). Episodi isolati, come l’ingresso di nuovi Paesi, sono stati accolti come un contributo a questo obiettivo, ma senza che nessuno fosse in grado di spiegare esattamente perché e come. Allo stesso tempo, la NATO ha adottato una politica di ostilità verbale e politica, riducendo continuamente le sue forze convenzionali e la sua industria della difesa, rendendosi così sempre meno capace di affrontare la Russia se questa ostilità avesse prodotto una risposta altrettanto ostile, cosa che è avvenuta. L’unica strategia della NATO dal febbraio 2022, se così si può dire, è quella di continuare la guerra nella speranza che avvenga un miracolo e che Putin sia costretto a lasciare il potere e sostituito da una figura compiacente alla NATO. Tutto qui. E a questo punto si può capire perché non funziona e perché non potrà mai funzionare. Per esempio, la NATO non può combattere le battaglie dell’Ucraina ed esercita solo un debole controllo sulle sue tattiche. La sua capacità di influenzare gli sviluppi politici a Kiev è limitata. È evidente che non capisce quali siano i piani russi, a nessun livello, e quindi sostituisce le fantasie con la restaurazione dell’Unione Sovietica e la conquista dell’Europa. Non ha alcuna strategia, se non la speranza di forzare un cambiamento di governo in Russia, e non ha idea di quali fattori possano portare a tale cambiamento. Non ha alcuna comprensione delle dinamiche della politica interna russa, né di quale miracolo ci si aspetta che il rovesciamento di un presidente moderato porti alla nascita di un governo favorevole alla NATO, né dei meccanismi con cui i partiti nazionalisti potrebbero essere pacificati, né di quali possibili concessioni ci si potrebbe aspettare che il parlamento e il governo russo facciano. Vi sembra una strategia vincente? È come cercare di costruire una cassettiera IKEA senza le istruzioni di montaggio e l’elenco dei pezzi.

Come si colloca tutto questo a Gaza? Non ho intenzione di immergermi nella storia del sionismo, che non è certo una delle mie aree di competenza, ma credo che valga la pena tornare alla distinzione tra vaghe aspirazioni e piani a lungo termine. Verso la fine del XIX secolo, in un’epoca di nazionalismo e colonialismo, ma anche in un momento in cui molti ebrei si stavano assimilando alla società europea occidentale, era abbastanza naturale che alcune figure ebraiche cominciassero a pensare allo stesso modo, a una patria nazionale per gli ebrei, come per tutte le altre “razze”, sia nella storicamente associata Palestina (allora parte dell’Impero Ottomano) sia in qualche altra parte del mondo. Gli storici hanno analizzato e confrontato una pletora di progetti diversi e contrastanti, molti dei quali filantropici e benintenzionati. Ma per certi versi il pensatore più chiaro (e quindi rilevante per questo argomento) è stato Ze’ev Jabotinsky (1880-1940), il fondatore del sionismo riformista, che è stato in grado di vedere e articolare che una casa ebraica in Palestina avrebbe richiesto l’accettazione dei suoi attuali abitanti cristiani e musulmani, e che questo potrebbe non essere facile, o addirittura possibile, da ottenere. (Le sue opinioni sulla coesistenza pacifica e sull’espulsione sono profondamente controverse e vanno ben oltre il mio livello di competenza per decidere).

Ma se si cerca di creare una patria nazionale per un popolo su un territorio occupato da altri, allora l’obiettivo strategico è in termini pratici impossibile da raggiungere senza la violenza. Inoltre, se ripercorriamo l’elenco delle fasi di cui sopra, è chiaro che è necessario avere un’idea chiara di ciò che l’obiettivo strategico rappresenta in pratica, l’obiettivo stesso deve essere politicamente e praticamente realizzabile, deve esistere un piano militare che realizzi le precondizioni necessarie per quell’obiettivo, si devono avere le risorse per mettere in atto quel piano e un’idea di quali sequenze di fasi militari si debbano attraversare per raggiungere il piano militare con successo. Non è chiaro a me, come osservatore esterno, che nessun governo israeliano abbia mai avuto un piano coerente in questo senso, ed è per questo che ora si trova ad affrontare le conseguenze di questo fallimento (non è chiaro nemmeno che un piano coerente di questo tipo, con tutte le fasi che ho descritto, fosse possibile in primo luogo). E la mancata attuazione del piano ha, ovviamente, cambiato la natura del problema stesso, che ora è molto più difficile e complesso di quanto non fosse mezzo secolo o più fa.

A proposito di vaghe aspirazioni, è il momento di guardare all’esperienza degli Stati Uniti, che sono l’altro grande attore che sta guardando verso l’abisso in questo momento. È vero che c’è stata una lunga tradizione a Washington di voler controllare gli Stati produttori di petrolio del Medio Oriente (anche solo per negare il controllo ad altri) e di sostenere Israele come base occidentale avanzata e come risorsa pronta a svolgere compiti a cui gli Stati Uniti non potevano essere pubblicamente associati. Israele è diventato anche la principale fonte di intelligence sul Medio Oriente per Washington, cosa che non tutti ritengono una buona idea. E con il noto processo di scodinzolamento che si riscontra spesso in queste relazioni, i governi israeliani che si sono succeduti si sono generalmente affermati come partner dominante nei settori più importanti.

Questa non è, per usare un eufemismo, una strategia coerente, e in effetti gli Stati Uniti non hanno e non hanno mai avuto una strategia coerente per la regione al di là di un livello dichiarativo. Ed è per questo che si trovano in una tale confusione su Gaza.

Quale strategia complessiva potrebbero avere gli Stati Uniti per la crisi di Gaza? Vogliono un cessate il fuoco e un ritorno allo status quo precedente al 7 ottobre? Presumibilmente no, altrimenti non avrebbero posto il veto alle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite in tal senso. Vuole che la popolazione di Gaza venga uccisa o cacciata? È difficile esserne certi, ma sembra che non lo voglia, o almeno non in questa fase. Il problema è che le dichiarazioni disarticolate e spesso incoerenti che provengono da Washington mi sembrano indicare un governo colto di sorpresa che non ha idea di ciò che vuole, e quindi inventa la politica di giorno in giorno. Il rischio, naturalmente, è che venga semplicemente trascinato da Israele, dato che una delle costanti della non-politica statunitense è quella di evitare divergenze pubbliche con quel Paese, e naturalmente Israele stesso sarà trascinato dagli eventi. Non si può sapere dove andranno a finire gli Stati Uniti, dal momento che, come indicato sopra, ora hanno pochissima influenza su tutti gli attori principali.

Ma gli Stati Uniti hanno molte armi, non è vero? Sì, ma come abbiamo visto il punto è che l’uso della forza senza un chiaro obiettivo politico è una perdita di tempo e potenzialmente pericoloso. L’unico obiettivo politico razionale che gli Stati Uniti potrebbero avere in questo momento è il mantenimento del loro status di grande potenza in Medio Oriente, nella speranza di poter influenzare l’esito della crisi attuale. Ma una strategia di questo tipo è per definizione a breve termine e invita a chiedersi: quali sono gli obiettivi e quali i risultati che la presenza di ingenti forze statunitensi nella regione intende promuovere? Perché se non lo si sa (e non credo che Washington lo sappia) si sta perdendo tempo. Essere un giocatore è inutile se non si può decidere quale carta giocare, e se comunque non si hanno molte carte.

La migliore motivazione che ho trovato è che, come già detto, le forze potrebbero essere una sorta di deterrente per l’Iran (tramite Hezbollah) che viene coinvolto maggiormente nella crisi e apre un fronte verso il Nord. Il problema, ovviamente, è che i fattori che agiscono su Teheran (e Hezbollah) sono molto più numerosi delle pressioni statunitensi, e molti di essi saranno più potenti. In effetti, è probabile che Hezbollah, senza fare granché, agisca esso stesso come deterrente per Israele, che non può rimuovere le forze dal Nord e inviarle a Gaza, per sicurezza.

Potremmo quindi trovarci di fronte alla prima crisi da molto tempo a questa parte in cui nessuno ha davvero il controllo e nessun singolo Stato ha un’influenza sufficiente per influenzare in modo sostanziale il comportamento di un numero sufficiente di altri Stati. Per una volta, sembra che non ci siano “parti” nel senso accettato del termine, ed è difficile guardarsi intorno e vedere una nazione che stia effettivamente perseguendo una politica coerente. Questo vale anche per le speculazioni sulla mediazione. Ok, tra chi e chi? Quale sarebbe lo scopo della mediazione? Come verrebbe negoziata? Chi ha il potere di parlare a nome di quale gruppo? Se venisse raggiunto un accordo, come potrebbe essere monitorato, per non parlare dell’applicazione? E, ancora una volta, quale potrebbe essere l’oggetto di tale accordo? Questo rende la crisi particolarmente pericolosa, perché è impossibile capire come potrebbe essere una via d’uscita. Poiché non è chiaro chi siano le “parti” (che vanno chiaramente al di là di Israele – o di alcune sue figure politiche – e dei palestinesi, o almeno di Hamas), come si potrebbe anche solo mettere insieme una squadra di negoziatori, per non parlare di dare loro un mandato, o comunque concordare con l'”altra parte” di cosa si dovrebbe parlare? Questo non significa che ci stiamo dirigendo verso la terza guerra mondiale, per fortuna, ma significa sicuramente che questa è una crisi senza un’ovvia soluzione diplomatica, che probabilmente dovrà essere risolta con la forza bruta.

Parliamo di questo. Per “forza bruta” intendo che una delle parti si troverà alla fine in una situazione in cui non avrà altra scelta che comportarsi, o smettere di comportarsi, in un determinato modo. Potrà avere ancora armi e truppe, avrà certamente leader e combattenti che chiedono di continuare la lotta, ma di fatto non avrà alcuna possibilità di ottenere ciò che vuole con un’azione militare organizzata. Dico “organizzata” perché in ogni comunità ci sono militanti che insisteranno per prolungare la lotta in un modo o nell’altro, attraverso tattiche come attentati e assassinii.

Ma ancora una volta, dobbiamo chiederci quali siano gli obiettivi della “lotta”, nel contesto attuale. Per Hamas (tralasciando il grado di sostegno tra la popolazione palestinese, che non è noto) è stato quello di porre fine al riavvicinamento tra Israele e vari Stati arabi, di aumentare il sostegno politico per i palestinesi nel mondo in generale e di sfatare il mito del dominio militare israeliano. Si tratta, curiosamente, di obiettivi interamente politici, che Clausewitz avrebbe compreso, e sembra che siano in procinto di essere raggiunti. Quanto gli altri obiettivi dichiarativi di Hamas riguardanti il territorio, il riconoscimento, ecc. debbano essere presi sul serio è difficile da dire, ma è chiaro che il gruppo spera di sfruttare lo slancio attuale per progredire verso almeno alcuni di essi. Quindi, Hamas ha usato e continua a usare la forza bruta per perseguire obiettivi politici, in un contesto in cui tali obiettivi politici sono almeno in linea di principio raggiungibili.

Israele si trova di fronte alla difficoltà di non sapere cosa vuole e di avere molti obiettivi potenziali esclusi in quanto irraggiungibili. I commentatori occidentali hanno generalmente sostenuto che Israele “vincerà” a Gaza, ma questo mi sembra un fraintendimento concettuale della situazione. Nessuno sa quanti combattenti abbia effettivamente Hamas – si sono sentite cifre che arrivano a 50.000 – ma supponendo che la cifra sia, ad esempio, la metà, Israele può portare forse dieci volte più truppe, con mezzi corazzati e potenza aerea, e quindi sicuramente “vincere” il combattimento risultante. Tutto dipende, ovviamente, da cosa si intende per “vincere” e, come ho suggerito, Israele sembra non avere un’idea precisa di cosa significhi “vincere”. Le proposte di “spazzare via” Hamas non hanno molto senso pratico e tradiscono l’incapacità di un esercito cresciuto secondo i precetti convenzionali occidentali di capire cosa significhi combattere con forze organizzate ma irregolari. (Evidentemente non hanno imparato molto dal Libano del 2006 e, a dire il vero, è estremamente difficile per qualsiasi esercito convenzionale combattere in questo modo). Un po’ di riflessione suggerisce che inviare truppe a piedi (visto che si tratterà di questo) attraverso città devastate e piene di tunnel per cercare e distruggere persone che sembrano essere di Hamas, potrebbe non essere il compito più facile per giovani coscritti e riservisti addestrati alla guerra corazzata. Non ci vuole molta immaginazione per pensare a cellule di infiltrazione e di permanenza, per esempio per organizzare attacchi nelle retrovie.

Se si crede alle dichiarazioni di alcuni politici israeliani, l’obiettivo potrebbe essere quello di spingere i palestinesi in un’area più piccola di Gaza, o addirittura fuori dal territorio. La prima ipotesi non ha alcun senso, perché il problema è la dimensione della popolazione, piuttosto che quella del territorio, e presidiare anche solo metà di Gaza di fronte alla resistenza armata potrebbe essere troppo per le forze israeliane, anche a breve termine. Nel caso di un trasferimento forzato di popolazione più ampio, ammesso che sia possibile, occorre ricordare che solo circa 10 km della frontiera di Gaza sono con l’Egitto: il resto è con Israele. È questa frontiera, altamente tecnologica e costata miliardi di dollari, che è stata violata il 7 ottobre. E naturalmente c’è anche il mare, attraverso il quale Hamas è riuscito a infiltrare truppe. Quindi, qualsiasi mossa per occupare parte di Gaza dovrebbe essere accompagnata da una massiccia e continua sorveglianza della frontiera, da un costante pattugliamento marittimo, da un costante pattugliamento nelle aree occupate per trovare e distruggere i gruppi rimasti o reinfiltrati nell’area, oltre agli enormi requisiti dell’invasione stessa e alla necessità di mantenere grandi forze in altre zone del Paese contro le possibili minacce di Hezbollah e altri. E questi compiti, ricordiamo, comporterebbero non solo contrastare i combattenti di Hamas, ma anche gestire in qualche modo decine, forse centinaia di migliaia di malati e feriti, o persone troppo fragili e anziane per muoversi da sole, così come bambini piccoli separati dalle loro famiglie. Il tutto in un ambiente in cui la fame e le malattie saranno dilaganti e i cadaveri non sepolti saranno ovunque.

A questo punto, credo che Clausewitz probabilmente scuoterebbe la testa e direbbe “non si può fare”. Ci sono alcuni obiettivi politici, anche se ben inquadrati, che semplicemente non sono raggiungibili con mezzi militari. Lascio agli specialisti il compito di speculare su ciò che il governo israeliano potrebbe effettivamente decidere di fare, ma l’opzione minimalista – morte e distruzione per un periodo limitato, proclamazione della vittoria, ritorno a casa – è militarmente fattibile, anche se rimanda solo la risoluzione del problema. Ma come ho già detto, in politica ci sono questioni che non hanno soluzione: una buona guida è se il territorio in questione ha mai fatto parte dell’Impero Ottomano. È per questo motivo, forse, che non si sono affrettati i piani di pace, non ci sono stati seri tentativi di mediazione e non c’è segno, in ogni caso, che una delle due parti sia interessata. Il rinvio dell’esito peggiore in assoluto potrebbe essere lo scenario migliore disponibile nelle circostanze.

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SITREP 24/10/23: Confermate le vittorie di Avdeevka mentre il Medio Oriente continua a scivolare verso la guerra, di Simplicius The Thinker

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Iniziamo con l’importante riconoscimento da parte dell’Ucraina che la Russia ha conquistato importanti posizioni ad Avdeevka, in particolare intorno al deposito di scorie e all’area della ferrovia di Stepove. Sì, si tratta delle stesse posizioni di cui si parlava da una settimana, ma credo che siano andate avanti e indietro in una “zona grigia” che nessuno controllava. Ora, secondo quanto riferito, la Russia ha stabilito un solido controllo su di esse, da cui possono essere effettuate ulteriori espansioni, dopo alcuni consolidamenti.

Abbiamo parlato dell’OPSEC della Russia in questo settore, ma sembra che stessero risparmiando per rilasciare un grande video prodotto per la cattura dello Slag Heap, che hanno finalmente rivelato oggi:

Non ho trovato il video
Il video offre una visione interessante, dato che io stesso non mi ero reso conto che il cumulo di scorie avesse delle vere e proprie tane scavate al suo interno. Non solo le forze russe hanno bruciato tutti i difensori, ma hanno posto in cima la bandiera della 114ª Brigata separata di fucilieri motorizzati delle Guardie, che è l’unità che ho detto fin dall’inizio essere la principale forza di sfondamento che ha assaltato l’area di Krasnogorovka nord.

L’AFU era così irritata (leggi: irritata) per questo, che ha persino sprecato preziosi droni FPV per cercare di distruggere la bandiera russa – a proposito di insicurezza e di priorità. Questo dimostra che per loro la vanità e la guerra dell’informazione sono importanti:

Ma a proposito del 114° sulla bandiera. Il 114° era il famoso Battaglione Vostok della RPD prima di essere assorbito nella struttura militare russa:

Lo sottolineo per evidenziare il fatto che tutte le cosiddette “perdite” che l’Ucraina sostiene che la Russia sta subendo qui non sono in realtà perdite russe. Certo, le unità della DPR sono ora ufficialmente inserite nella struttura dei corpi militari russi, ma bisogna capire le differenze.

Perché gli ucraini sottolineano le perdite russe? Con la speranza che la Russia subisca così tante perdite che la società non accetti più la guerra, perché si riempiranno troppi cimiteri, i soldati torneranno a casa in sacchi per cadaveri, ecc. Ma nessuno di questi soldati torna in Russia: sono tutti nativi di Donetsk. Questo non per sminuire il loro sacrificio, ma semplicemente per sottolineare che la terraferma della Russia vera e propria non “sentirà” mai gli effetti di queste perdite: le famiglie di Mosca o di qualsiasi altra regione della Russia vera e propria ne saranno completamente ignare. Ciò significa che qualsiasi azione socio-politica sperata contro Putin o qualsiasi altra cosa sperino i filo-ucraini non potrà mai verificarsi come risultato di qualsiasi “perdita” percepita in questo settore. Nessun cimitero della Russia vera e propria si espanderà con una sola tomba o lotto proveniente da questo fronte. L’esercito russo reale non sta subendo quasi nessuna perdita al momento, tranne forse qualcuna in direzione di Kupyansk. In breve, la leadership politica russa può “permettersi” perdite qui senza problemi, per quanto possa sembrare insensibile.

In primo luogo, è bene sapere che una settimana prima dell’inizio dell’operazione di Avdeevka è stata diffusa la notizia che la famosa 47a brigata ucraina era stata “rimossa” o ritirata dal fronte di Zaporozhye perché era stata pesantemente distrutta e aveva subito un ammutinamento interno, in quanto gran parte dei combattenti si rifiutava di proseguire l’assalto.

La data della notizia è riportata di seguito:

Ricordiamo che la 47ª è l’unica brigata a cui sono stati assegnati M2 Bradley come parte della grande élite di 9 brigate che hanno preso parte alla controffensiva estiva.

Ora è stato confermato che elementi della 47ª, dopo essere stati portati nelle retrovie, sono stati urgentemente iniettati ad Avdeevka per aiutare a contenere le perdite. Questo è confermato da una serie di fonti, tra cui il fatto che i Bradley sono apparsi per la prima volta, geolocalizzati nel settore nord vicino a Krasnogorovka a 48°12’46.5 “N 37°42’15.7 “E:

Anche questo soldato dell’AFU catturato ad Avdeevka parla di Bradley e Leopard che operano sul fronte:

E le mappe filo-ucraine ora riportano anche il 47°:

Perché tutto questo è importante? Perché abbiamo un nuovo video di una donna medico del 47° che afferma chiaramente che le perdite sono le più terribili mai registrate dall’inizio del conflitto:

Abbiamo perso più in poche ore che negli ultimi 4 mesi”.

È stata identificata come Olena Rizh della 47ª brigata:

Considerando che negli ultimi 4 mesi la 47ª si è trovata nel peggior tritacarne del Rabotino, è quasi inimmaginabile il tipo di perdite a cui si riferisce.

A causa delle pesanti perdite, almeno un battaglione della 47ª brigata meccanizzata delle Forze Armate dell’Ucraina è stato trasferito a Ocheretino e Novobakhmutovka dal sito di Orekhovsky. Le loro forze delle Forze Armate ucraine hanno cercato di colpire le posizioni vicino al cumulo di rifiuti, ma senza successo.

Un Recente articolo sulla scombussolata 47th:

L’aviazione e l’artiglieria russa continuano a lavorare sulle linee nemiche. Le perdite delle Forze armate ucraine sono in aumento: secondo le fonti, durante una settimana di combattimenti attivi, il numero di membri uccisi delle sole Forze armate ucraine ha superato le mille persone e i 60 pezzi di equipaggiamento.

In effetti, alcuni rapporti dell’AFU affermano che gran parte dell’impianto chimico AKHZ, noto anche come Coke Plant, si trova in una “zona grigia” che nessuna delle due parti controlla, a causa non solo dei bombardamenti di massa della Russia, ma anche della nuova vicinanza della Russia all’impianto, grazie alla cattura dell’adiacente Slag Heap:

La situazione più difficile vicino ad Avdiyivka è nell’area del territorio dell’AKHZ. La situazione è tale che ora nessuno lo controlla fisicamente. Abbiamo il controllo del fuoco. Ogni tentativo degli occupanti di entrarvi e di guadagnare un punto d’appoggio viene stroncato dai potenti attacchi delle nostre cassette al nemico. Gli occupanti entrano nel territorio, subiscono perdite e, nel migliore dei casi, chi è sopravvissuto se ne va. Ma molto spesso non se ne va nessuno Anche il nostro esercito subisce perdite, perché senza di esso è impossibile fermare un’orda nemica di questo tipo. I migliori ci lasciano. Ma il nemico sta perdendo così tanto che può essere paragonato anche ai primi giorni di un’invasione su larga scala.Ci sono anche pesanti battaglie per la ferrovia in direzione di Stepovoy. È sotto il nostro controllo, ma il nemico non risparmia l’equipaggiamento e gli o/e per raggiungere l’obiettivo. Posta ucraina
Ricordate il mio piano delineato nell’ultimo rapporto. È probabilmente quello che la Russia sta cercando di fare: ottenere un punto d’appoggio nell’impianto in modo da ottenere il controllo totale del fuoco sulla MSR (via di rifornimento principale).

Il video pubblicato oggi da RT mostra per la prima volta la vista dal cumulo di scorie. Si può vedere quanto sia alto l’impianto di coke e quanto controllo di fuoco possa avere sull’intera regione con le postazioni sulle alture dell’impianto.

La vista va in direzione di questa freccia gialla:

Il problema è che, come si può vedere, l’impianto è più alto del previsto e potenzialmente ostruisce la vista dell’MSR mostrato in rosso sopra. Questa è una cattiva notizia, perché significa che la cattura dello Slag Heap potrebbe non dare un controllo di fuoco diretto sull’MSR e che, per farlo, potrebbe essere necessario catturare l’impianto, almeno la parte più alta, come indicato l’ultima volta.

Ma a quanto sembra dal precedente rapporto ucraino, la Russia ha già completato il primo passo per sgomberare i difensori dell’AFU da quella porzione dell’impianto e sta già cercando di prenderla d’assalto. Non resta che attendere conferme.

Leggi il fondo di questo rapporto ucraino:

L'”autostrada per Pokrovsk” è proprio la MSR, che l’AFU sembra confermare essere sotto il controllo del fuoco.

Le notizie continuano a sottolineare l’importanza di Avdeevka per l’AFU e il deja vu di Bakhmut in cui si sta trasformando:

Il canale ucraino Resident TG sulla reazione della banda di Zelensky alle notizie della leadership di Avdeevsky: “La nostra fonte nell’OP ha detto che Zelensky al quartier generale ha chiesto a Zaluzhny di tenere Avdiivka con tutti i mezzi per non ripetere la situazione con la vergognosa perdita della fortezza di Bakhmut. L’ufficio del presidente ha ignorato tutte le argomentazioni del comandante in capo sulla complessità della difesa della città, che è semicircondata, e il nemico sta conducendo l’operazione del cappio di Avdeevka, esaurendo le Forze Armate ucraine secondo lo scenario del tritacarne di Bakhmutov.
L’Ucraina ha tentato un assalto disperato piuttosto ampio nel sud-ovest per indebolire le forze russe sull’asse meridionale di Avdeevka, spingendosi intorno a Pervomaisk. Ma le forze russe hanno respinto l’attacco e hanno ripreso la piccola porzione di territorio inizialmente conquistata dall’AFU.

Arestovich ha persino ammesso che Avdeevka è destinata a cadere proprio come Bakhmut, e che la parte filo-ucraina sta cadendo nella trappola delle stesse dissonanze cognitive velleitarie e auto-assolutorie utilizzate durante Lisichansk, Bakhmut, ecc:

Infine, un rappresentante della Brigata Pyatnashka della RPD coinvolta nelle battaglie di Avdeevka dice a Russell “Texas” Bentley che Avdeevka “cadrà presto”.

Penso che la parola “presto” sia relativa, tuttavia è interessante che lei menzioni che stanno avanzando nel settore industriale, il che sembra implicare che la Russia potrebbe avere la fabbrica di Coca Cola come obiettivo primario di cattura.

E un video ripreso da un drone ucraino, presumibilmente, di una colonna di truppe russe del 114° che si muove da qualche parte verso il fronte di Avdeevka:

E anche una nuova prospettiva dal lato della colonna russa che avanzava verso la ferrovia di Stepove, che abbiamo visto ripresa da un drone ucraino l’ultima volta, su un campo leggermente coperto di neve:

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Ora tutti gli occhi sono puntati sul fronte di Kherson – i conti ucraini stanno facendo del loro meglio per amplificare la propaganda in quella zona, al fine di distrarre dalla calamità che si sta lentamente accumulando ad Avdeevka. Continuano a diffondere notizie false su importanti catture dell’AFU, ma in realtà non si tratta altro che di una dozzina o due cannoniere che continuano a incunearsi nei primi edifici di un insediamento, per poi essere distrutte da un massiccio bombardamento di artiglieria.

Per darvi un esempio, ecco una posizione geolocalizzata che un drone FPV russo ha colpito:

Come si può vedere, ancora una volta, tutto ciò che hanno fatto è stato attraversare l’isolotto paludoso nel mezzo del Dnieper e far entrare rapidamente alcuni uomini in un edificio. Non importa: non significa nulla. Alcuni cercano ridicolmente di caratterizzarlo come una “testa di ponte” che si sta trasformando in un “alloggiamento”.

È un’assurdità. Prima di tutto, la cosa principale che ho notato che la maggior parte delle persone non capisce come funzionano le operazioni di tipo anfibio è questa:

È molto facile effettuare un qualche tipo di sbarco a lunga distanza, sia esso anfibio o di assalto aereo tramite elicotteri. Non è questa la parte difficile. Si può sbarcare e anche catturare qualche oggetto, ma il problema è come lo si tiene. Cosa fare dopo che i 6 o 9 caricatori standard si sono esauriti? Chi vi rifornisce? Da dove prendete il cibo? E soprattutto, come si fa a ripartire per un alloggiamento più ampio, con quali forze corazzate o meccanizzate?

Ecco perché questi sbarchi non sono altro che piccoli tentativi di distrarre le forze russe. È tutta una questione logistica. L’AFU non ha modo di spostare grandi mezzi corazzati e carburante su quel lato della costa, né alcuna seria capacità di rifornimento, a parte forse portare qualche panino via drone a un piccolo gruppo. Chiunque conosca il funzionamento della logistica sa che è del tutto impraticabile sostenere una forza seria in questo modo. Dopo tutto, è per questo che i generali russi, molto più saggi, si sono ritirati completamente da Kherson. Anche se non avevano ancora grossi problemi evidenti, si rendevano comunque conto di quanto fosse precario dal punto di vista logistico trovarsi dall’altra parte di un fiume senza punti di attraversamento sicuri che non potessero essere disabilitati dal nemico.

Un commentatore ha riassunto bene la questione con quanto segue:

Perché tutti sono così entusiasti di un attraversamento del Dniepr. È praticamente un DDay, ma gli Alleati non hanno -Nessuna nave -Nessuna forza aerea -Nessun carro armato o altri veicoli corazzati -Nessuna logistica, mentre i tedeschi hanno tutte queste cose. Decidete voi chi ha le carte migliori qui…
Un post ucraino si lamenta di come non siano in grado di esercitare alcun elemento di sorpresa:

Ukrainian PostAi fratelli è stato chiesto di descrivere la situazione nella zona della riva sinistra del Dnieper.Kryna Una piccola parte dell’insediamento è sotto il sicuro controllo delle Forze Armate. La logistica tra loro e la riva – funziona. C’è la possibilità di evacuare 200 e 300 persone. L’insediamento stesso è piuttosto esteso, quindi non si può ancora parlare di controllo completo. Per esempio, l’artiglieria orchesca lavora, l’aviazione – 24 ore su 24, sulla riva destra. La situazione è complicata dal fatto che i ragazzi lavorano in condizioni di mancanza di sorpresa e furtività. È impossibile ottenere l’elemento della repentinità nelle condizioni moderne: tutto avviene online. Pertanto, non ci aspettiamo risultati rapidi e supporto.
In contraddizione, altri rapporti russi del settore affermano che l’AFU non è nemmeno in grado di spostare in modo affidabile feriti e morti, e non ha una pipeline logistica di base, poiché tutto è sotto il controllo del fuoco.

Pianura alluvionale-Krynki nella regione di Kherson: il nemico è bloccato sul ponte ferroviario sul fiume Konka, fino a 30 persone sono sedute in un’area verde nelle vicinanze, non possono fuggire da nessuna parte. A Krynki, i Marines delle Forze Armate dell’Ucraina continuano a occupare diverse case nella parte settentrionale del villaggio. Oggi non c’è stato quasi nessun lavoro su di esse. In generale, si ripete il problema delle dacie sotto il ponte Antonovsky, dove il nemico tiene la sua mini-testa di ponte da quasi mezzo anno.
Un piccolo esempio mostra l’AFU che si accalca sotto il ponte dopo averlo attraversato e che viene rapidamente eliminato da un drone FPV:

Ci sono voci costanti di problemi russi in questo settore – voci che il comandante è o era stato sostituito; rapporti che mostrano che i russi usano un “mortaio fatto in casa” saldato insieme con vecchi tubi. Tuttavia, indagando, si trovano subito potenziali spiegazioni. Per esempio, una persona ha riferito che il problema del mortaio era dovuto al fatto che l’unità russa aveva catturato un gruppo di proiettili da 60 mm ucraino-americani per i quali la Russia non ha un mortaio equivalente (di solito usa 82 mm e 120 mm). Così hanno creato il loro equivalente da 60 mm. L’ingegno e l’iniziativa in prima linea si trasformano rapidamente in falsa propaganda nemica.

L’AFU continua a subire perdite particolarmente ingenti anche perché l’aviazione russa sta usando la maggior parte delle sue bombe in questo settore, secondo quanto riferito, inviando Fab da 1500 kg sulla riva destra molte volte al giorno.

Postazione ucrainaSulla riva sinistra della regione di Kherson e sulle isole, continuano le operazioni di rastrellamento e la manutenzione di alcuni mini-ponti che erano stati formati in precedenza. Il successo è parziale. Ma è necessario ottenere un punto d’appoggio! Paghiamo un prezzo alto per questo, ricordate!
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L’ultima cosa da menzionare è un interessante sviluppo nel fronte settentrionale. Tra le nuove avanzate russe nel settore di Kharkov, ci sono nuove voci che indicano l’apertura di un potenziale secondo grande fronte.

In primo luogo, i resoconti dell’AFU confermano che la Russia ha conquistato nuovi territori in direzione di Kupyansk:

I resoconti ucraini continuano a riferire di orrori in quella direzione, come i parenti del comandante della 32a brigata ucraina che hanno dichiarato di aver cremato molti dei “dispersi”:

Passiamo ora alle voci. In primo luogo, si segnalano sempre più battaglie di DRG al confine con Kharkov e, cosa interessante, un rapporto russo sostiene che l’Ucraina starebbe utilizzando ragazzi di 14-15 anni come soldati:

Gennady Alekhin ha parlato della situazione in direzione di Kharkov: “Ieri nel distretto urbano di Shebekinsky, nell’insediamento di Novaya Tavolzhanka, che si trova al confine con la regione di Kharkov, con il distretto di Volchansky. È durata diverse ore; il nemico, utilizzando gruppi di sabotaggio e di ricognizione, ha cercato di penetrare in alcune aree situate sul nostro territorio, subendo perdite. Un altro aspetto molto interessante della battaglia di ieri è che le Forze Armate utilizzano ragazzi di 14-15 anni, che a questo punto i nostri ufficiali dell’intelligence hanno chiamato “Gioventù hitleriana”. ATV, guidati da un adolescente, un mortaio è attaccato a questi ATV, si avvicinano al confine il più possibile, sparano diversi colpi di mortaio e cercano di andarsene.In generale, a giudicare dalla direzione di Kharkov nelle ultime 24 ore, la nostra artiglieria e i nostri lanciamissili hanno effettuato colpi di fuoco abbastanza potenti su obiettivi militari nella città di Kharkov, nei suoi sobborghi, così come negli insediamenti dove è stato notato il movimento e l’accumulo di personale e attrezzature nemiche.
Anche nella regione di Sumy l’attività del DRG è intensificata:

E ora, un rapporto sostiene che la Russia ha schierato un gruppo di 19.000 uomini al confine settentrionale dell’Ucraina, equipaggiati con molti carri armati e armature pesanti e sistemi missilistici di ogni tipo:

Fonte ucraina: Il Comandante delle Forze congiunte delle Forze Armate dell’Ucraina, Generale Naev, ha fatto il nome delle Forze Armate russe al confine settentrionale.Secondo lui, la Russia ha schierato un gruppo di truppe con un numero totale di circa 19 mila persone, armate con carri armati, veicoli da combattimento corazzati, sistemi di artiglieria e razzi, sistemi di difesa aerea e sistemi missilistici tattici-operativi.Allo stesso tempo, non ci sono segni della formazione di gruppi di forze d’assalto che possano effettuare un’offensiva a nord. Le Forze armate ucraine continuano a monitorare la situazione.
Tuttavia, concludono che non si tratta di un “gruppo d’assalto” in grado di portare avanti un’offensiva. Tuttavia, altri rapporti affermano che ci sono fino a 90.000 persone a Belgorod:

Inoltre, nuovi rapporti affermano che la Russia non ha quasi più truppe di alcun tipo in Bielorussia.

Questi aggiornamenti sono interessanti perché restringono le possibilità di un futuro fronte settentrionale. Prima ipotizzavamo che la Russia potesse aprire un fronte su Kiev, che avrebbe dovuto necessariamente provenire dalla Bielorussia. Ma se ha spostato tutto e si è posizionata a Belgorod, insieme all’intensificarsi dell’attività al confine, che include molti recenti colpi di artiglieria russa da oltre il confine, siamo portati a concludere che c’è un potenziale vettore dalla regione di Belgorod fino a Kharkov.

Dato che la Russia sta aumentando lentamente le operazioni a Kharkov, potrei vedere una potenziale incursione di un nuovo fronte con l’unico scopo di sostenere la direzione di Kupyansk attraverso una seconda tenaglia per fare pressione sulle forze ucraine in ritirata dalle retrovie.

Ecco una mappa di come appariva grosso modo il controllo russo a un certo punto dello scorso anno, quando si sono ritirati dalla maggior parte della regione di Kharkov; Kharkov e Kupyansk sono cerchiate come riferimento:

Questo è il tipo di disposizione delle truppe che vedo in una nuova incursione. Questo per differenziarla specificamente da quella che prevede l’accerchiamento della stessa città di Kharkov, perché non è necessaria per gli attuali obiettivi operativi.

La cosa più importante in questo momento è alleggerire le forze orientate a Kupyansk e stabilire una testa di ponte verso Balakleya, Izyum e poi di nuovo verso Slovyansk, come avevano un tempo.

Quindi, se è vero che la Russia sta raccogliendo forze per un possibile nuovo fronte, non la vedo aprire il fronte a nord di Kharkov, ma piuttosto un po’ più a est, vicino all’area di Volchansk:

Aprendo il fronte sulla serie di strade rappresentate dalle linee rosse in alto a destra, si possono accerchiare le forze dell’AFU a Kupyansk da entrambe le sponde del fiume Oskil senza dover combattere inutilmente battaglie cittadine a Kharkov alla periferia della città o sulla sua circonvallazione esterna. Da lì, possono sviluppare la linea fino a Balakleya e Izyum ancora una volta, poiché questo è l’unico modo realistico per sperare di catturare il grande agglomerato di Slavyansk-Kramatorsk da entrambe le parti.

Terremo d’occhio questa direzione per vedere se la Russia continuerà a raccogliere forze qui. Ma anche se non lo vedo necessariamente come un vettore probabile a breve, penso che militarmente e strategicamente abbia molto più senso entrare in questa direzione piuttosto che cercare di catturare Kupyansk esclusivamente da una direzione. Dipenderà da quante truppe disponibili la Russia potrà effettivamente impegnare in un’operazione del genere, ma è interessante e degno di nota il fatto che si stia iniziando a costruire una tale quantità di truppe.

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L’ultimo argomento importante da commentare è la situazione della Palestina, che continua a svilupparsi. Dietro le quinte c’è un gran fermento, mentre le potenze si agitano, si muovono e si contendono la posizione in quella che potrebbe presto diventare una polveriera esplosiva per rimodellare la scena internazionale.

Attualmente, l’IDF sostiene di essere finalmente pronto a premere il grilletto per l’invasione di Gaza, ma sembra che gli Stati Uniti stiano disperatamente tentando di riportarli indietro dall’orlo del baratro. Uno dei modi in cui sembra che stiano cercando di convincere Israele a scendere dal baratro è l’idea di convincere una coalizione di Stati arabi a fare pressione sulla Palestina per ottenere una sorta di “governo provvisorio” che sarebbe completamente libero dall’influenza di Hamas:

Dopo solo un paio di settimane, Israele sta già segnalando gravi carenze militari:

Media israeliani: 12 giorni dopo l’inizio della guerra: I combattenti segnalano ancora una carenza di attrezzature mediche e di armi.
È una prova di quanto i problemi di mobilitazione della Russia siano stati davvero ineccepibili l’anno scorso, dimostrando che ogni nazione soffrirebbe degli stessi problemi.

Nel frattempo, le minacce continuano a crescere: il leader del partito nazionalista turco ha dichiarato che la Turchia interverrà se Israele non smetterà di bombardare Gaza:

La cosa più interessante è che Lavrov è arrivato a Teheran:

Contemporaneamente il colonnello generale russo Alexander Fomin ha incontrato l’ambasciatore iracheno a Mosca:

 Durante i colloqui, le parti hanno discusso questioni di attualità della cooperazione bilaterale nel campo della difesa e della lotta al terrorismo. L’incontro si è svolto in un’atmosfera amichevole e ha confermato l’intenzione di sviluppare ulteriormente la cooperazione russo-irachena in questi settori.
L’incontro ha confermato l’intenzione di sviluppare ulteriormente la cooperazione russo-irachena in questi settori. Il motivo per cui questo è di particolare interesse è che gli Stati Uniti sono stati oggetto di gravi attacchi a molte delle loro basi in tutta la regione del Medio Oriente, con la Resistenza islamica irachena che si è presa il merito di uno degli attacchi:

🇮🇶🇸🇾💥🇺🇸Una dichiarazione rilasciata dalla Resistenza islamica in Iraq: “I mujahidin della Resistenza islamica in Iraq hanno preso di mira con una salva di missili la base di occupazione americana “Kharab al-Jir”, nel nord-est della Siria, colpendo direttamente i suoi obiettivi.Resistenza islamica in IraqMercoledì – 9 Rabi’ al-Akhir 1445 AH”
Gli attacchi sono molto più gravi di quanto riportato, poiché ora si ammette che oltre due dozzine di soldati statunitensi sono stati feriti:

Un contractor è addirittura morto per un attacco di cuore mentre si nascondeva in uno degli attacchi.

La cosa più rivelatrice è il fatto che in ogni attacco, la difesa aerea statunitense si è dimostrata di efficacia marginale – e si tratta di attacchi minori di pochi droni alla volta. Per esempio, ecco un filmato della difesa perimetrale C-Ram che giorni fa ha cercato di abbattere dei razzi verso una base statunitense, riuscendo, secondo quanto riferito, ad abbattere solo uno dei razzi.

Ma in generale, visti gli incontri ad alto livello tra Russia e Iran-Iraq e i nuovi attacchi alle basi statunitensi, non si può fare a meno di pensare che si stiano formando blocchi e fazioni in quella che potrebbe diventare una grande polveriera se Israele scoperchiasse il vaso di Pandora.

Ora è giunta la notizia che gli Stati Uniti stanno inviando in fretta e furia nella regione la loro più avanzata difesa aerea ad alta quota THAAD.

Il post completo:

Secondo i funzionari della Difesa degli Stati Uniti, l’esercito sta attualmente cercando di dispiegare almeno 12 sistemi di difesa aerea Secondo i funzionari della Difesa degli Stati Uniti, l’esercito sta attualmente cercando di dispiegare almeno 12 sistemi di difesa aerea in diversi Paesi del Medio Oriente prima che inizi l’invasione israeliana della Striscia di Gaza; una batteria THAAD (Terminal High Altitude Area Defense) da utilizzare contro i missili balistici è attualmente in viaggio verso l’Arabia Saudita da Fort Bliss, in Texas, mentre almeno 11 sistemi di missili terra-aria MIM-104 Patriot da Fort Liberty, in North Carolina, e da Fort Sill, in Oklahoma, sono diretti verso località in Kuwait, Giordania, Iraq, Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti.
Si dice che ciò serva specificamente a creare uno scudo per i potenziali missili balistici iraniani che si prevede possano piovere su Israele nel caso in cui la situazione dovesse precipitare.

Inoltre, il WaPo riporta ora che gli Stati Uniti hanno un piano di “scenario peggiore” per evacuare gli americani da tutto il Medio Oriente:

L’amministrazione Biden si sta preparando alla possibilità che centinaia di migliaia di cittadini americani debbano essere evacuati dal Medio Oriente se non si riesce a contenere lo spargimento di sangue a Gaza, secondo quattro funzionari che hanno familiarità con i piani di emergenza del governo statunitense.
Molti esperti continuano ad avvertire che Israele sta cadendo in una trappola:

Con Hamas stesso che ora incita apertamente Israele a entrare a Gaza pubblicando il seguente grafico:

E le cose si scaldano ancora di più con la voce che la Russia sta concedendo all’Iran l’accesso diretto all’atterraggio nella base russa di Khmeimim in Siria, dopo che Israele ha recentemente bombardato e disattivato le piste degli aeroporti internazionali di Damasco e Aleppo.

Fonti affermano che la Russia inizierà a permettere all’Iran di far atterrare i suoi aerei nella base aerea di Khmeimim, nel nord della Siria, per evitare i bombardamenti israeliani sulle spedizioni.
In una notizia in qualche modo correlata, ricordiamo che la Russia ha recentemente condotto alcuni test finali sul missile Burevestnik, di cui nessun Paese al mondo possiede un analogo. È un missile che ha una gittata illimitata grazie all’utilizzo di una propulsione a energia nucleare. Ciò lo rende inarrestabile, in quanto è in grado di volare praticamente all’infinito, il che gli consente di circumnavigare l’intero globo evitando qualsiasi zona di copertura della difesa aerea.

Questo ha apparentemente causato il panico nelle alte sfere militari statunitensi, spingendole a creare nuove zone di difesa aerea in aree impreviste:

In precedenza, tutti i tipi di missili, a causa dei limiti della loro propulsione, avevano percorsi noti e prefissati che potevano essere coperti con una serie di installazioni di difesa aerea e radar in punti strategici chiave, come questo all’estremità settentrionale dell’Alaska.

Ma il nuovo missile russo li annulla tutti perché può arrivare da qualsiasi luogo, non avendo limiti. Può sorvolare il polo sud, se necessario, e arrivare da qualche parte vicino al Messico, dove gli Stati Uniti non hanno installazioni radar di alcun tipo, per colpire.

A quanto pare, gli Stati Uniti si stanno dando da fare per costruire altri mega radar all’orizzonte, nel tentativo di tenere il passo con i progressi russi.

Per darvi un’idea del perché questo missile sia letale. Ricordiamo che gli Stati Uniti hanno pochissimi impianti di produzione di articoli militari chiave, sia che si tratti di una linea di produzione di proiettili da 155 mm, sia che si tratti di un impianto di carri armati o di un produttore di esplosivi che è andato a fuoco, ma che è stato ripristinato.

Immaginate quindi un missile stealth in grado di volare all’infinito, evitando il perimetro di tutti i radar conosciuti, e quindi di infiltrarsi all’interno degli Stati Uniti dove può colpire uno qualsiasi di questi impianti di produzione chiave americani. Quest’unica arma mette in crisi l’intera capacità bellica degli Stati Uniti, in quanto può bloccare completamente la capacità dell’America di produrre sistemi d’arma chiave.

Ma tornando indietro, un aspetto chiave dell’imminente potenziale conflagrazione israeliana è che persino i comandanti israeliani hanno dichiarato apertamente che l’operazione a Gaza è programmata per un massimo di 3 mesi. Cioè, questo è il tempo minimo che essi stessi riconoscono che la grande operazione richiederà. Realisticamente, ovviamente, può durare molto di più e trasformarsi in un coinvolgimento indefinito, come molti stanno sospettando.

Ma anche se ipoteticamente dovesse durare quei 3 mesi, si creerebbe già una situazione catastrofica per l’Ucraina, dato che tutti i proiettili alleati andranno in Israele per quel periodo di tempo e probabilmente anche dopo per rifornire le loro scorte.

La controffensiva di primavera delle Forze Armate ucraine è un grosso problema. Tra un mese, l’intero esercito ucraino potrebbe essere colpito da una carestia di proiettili, dal momento che persino la Germania invierà tutti i suoi proiettili da 155 mm a Israele, mentre la maggior parte dei proiettili da 155 mm degli Stati Uniti e altre armi di alta precisione andranno lì: missili SAM, proiettili Excalibur. L’Ucraina non produce proiettili propri e dipende completamente dalle forniture esterne.
Si può immaginare che se la guerra israeliana si prolungherà fino all’anno prossimo, l’Ucraina si troverà in una situazione disastrosa quest’inverno e potrebbe trovarsi al collasso totale all’inizio del prossimo anno.

I problemi sono già stati segnalati:

Il canale ucraino “Resident” scrive della carestia di proiettili delle Forze Armate ucraine: “La nostra fonte nell’OP ha confermato le informazioni dei media occidentali secondo cui Zelensky è stato informato della riduzione delle forniture di munizioni e ha persino sollevato la questione al quartier generale. Per ora si è deciso di risparmiare i proiettili e di utilizzarli tempestivamente, in posizioni più esposte, motivo per cui la controffensiva sui fianchi di Bakhmut e in direzione di Zaporozhye”.
È ragionevole pensare che questa sia una delle motivazioni principali dietro le disperate esortazioni degli Stati Uniti a Israele a non andare fino in fondo alla guerra, perché gli Stati Uniti sanno di non poter sostenere entrambi i fronti e di andare incontro a una perdita totale in Ucraina.

Ma il problema per Israele è ormai intrattabile: anche se si fermassero, i danni che hanno già fatto alla Palestina non farebbero altro che ingigantire l’ideologia di Hamas, rendendola ancora più potente e numerosa da questo momento in poi. Così, Israele si trova in una situazione di perdita per molti versi.

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Infine, alcuni aggiornamenti vari.

Un comandante di compagnia dell’80a brigata dell’AFU si lamenta che l’Ucraina è a corto di combattenti:

Bisogna ricordare che l’Ucraina stessa dovrebbe avere un’elezione presidenziale all’inizio del prossimo anno, che gli Stati Uniti tengono come carta vincente per rimuovere potenzialmente Zelensky, se necessario. Alcuni si chiedono: perché l’Ucraina non si mobilita ancora completamente? Ecco il motivo. Se lo facessero ora, sarebbe un’ammissione da parte di Zelensky che la guerra è persa. La gente si chiederà: perché avete improvvisamente bisogno di centinaia di migliaia di truppe di emergenza se stiamo presumibilmente “vincendo”?

Questo può portare a gravi conseguenze politiche. Ricordiamo che molte persone a Kiev non seguono nemmeno la guerra e ricevono solo frammenti di notizie propagandistiche secondo cui l’Ucraina sta vincendo, come ha dimostrato un recente video che mostrava persone a Kiev per strada che non sapevano nemmeno cosa fosse successo a Mariupol/Azovstal, ecc.

A questo proposito, ha fatto il giro un interessante sondaggio. Mostra che all’inizio di febbraio di quest’anno, 2023, il 22% degli ucraini credeva che la Russia avesse una possibilità, mentre un enorme 67% credeva che la Russia stesse esaurendo le risorse e che l’Ucraina sarebbe stata effettivamente in grado di vincere la guerra in futuro. Tuttavia, nell’ottobre del 2023, i numeri appaiono sempre più sconfortanti: solo il 43% degli ucraini crede che la vittoria sia possibile, mentre il 49% ritiene che la Russia possa continuare a combattere per molti anni:

Dato che la percentuale è scesa di oltre il 20% in 8 mesi, possiamo dire che a metà del prossimo anno, se la guerra sarà ancora in corso, probabilmente solo il 20% degli ucraini continuerà ad avere qualche speranza.

Inoltre, un nuovo video del co-fondatore del battaglione Azov, Andriy Biletsky, lo vede dare una valutazione piuttosto deprimente delle circostanze attuali:

Per chi preferisce leggere il riassunto delle sue dichiarazioni:

Il leader del “Tag” Biletsky, ha rilasciato un paio di giorni fa un’intervista di un’ora e mezza in cui ha raccontato molte cose interessanti.La prima cosa che ha detto è che la guerra contro la Russia sarà lunga e difficile per l’Ucraina. In primo luogo ha detto che la guerra contro la Russia sarà lunga e dura per l’Ucraina. Non ha nemmeno iniziato a prevedere l’esito della guerra, come è già chiaro a tutti: in primo luogo, l’esercito russo non dipende da forniture esterne, come l’Ucraina, il cui ciclo offensivo sarà sempre al capriccio dell’Occidente: dato – non dato. La Russia costruisce in proprio aerei, carri armati, sistemi di artiglieria e l’intera gamma di munizioni. Inoltre, aumenta e sviluppa la produzione in tutti i settori, nonostante la superiorità dell’intelligence della NATO rispetto alla Russia. A livello operativo e tattico, la Russia è una spanna sopra l’Ucraina in termini di intelligence, soprattutto grazie agli UAV Orlan a basso costo. Questi droni sono un grande e irrisolvibile problema delle Forze Armate ucraine. Le “aquile” sono sempre sospese in aria, rilevano l’artiglieria delle Forze Armate ucraine, le colonne, conducono ricognizioni e correzioni di tiro. Ce ne sono molte e non è redditizio abbatterle da parte della difesa aerea delle Forze armate ucraine.Terzo: le Forze aerospaziali russe. Se all’inizio della guerra i nostri aerei dovevano entrare nella zona di difesa aerea del nemico, ora, grazie ai moduli controllati sulle bombe, è possibile effettuare attacchi di alta precisione al di fuori della zona di difesa aerea.
Anche se l’Ucraina ottiene 50 o 100 F-16, la Russia ha più aerei e più capacità di difesa aerea.Quarto. La qualità dei soldati delle Forze Armate della Federazione Russa sta crescendo, mentre quella delle Forze Armate dell’Ucraina sta diminuendo. Nelle Forze Armate dell’Ucraina il reclutamento è forzato, la preparazione è scarsa e veloce. La formazione militare russa è migliorata dopo la mobilitazione e la qualità del personale sta crescendo.
I due punti più importanti che egli sottolinea:

Egli valuta correttamente che le capacità ISR della NATO sono superiori a quelle della Russia nel grande senso operativo dell’intelligence satellitare e complessiva del campo di battaglia, in quanto la Russia semplicemente non può competere con l’intero ormeggio delle risorse combinate NATO/5-Eyes.

Ma ciò che sfugge alla maggior parte delle persone, in particolare ai più accaniti sostenitori dell’Ucraina, è la sfumatura che a livello di campo di battaglia tattico l’ISR russo è di fatto superiore – un punto che ho già sottolineato molte volte. I sistemi localizzati a corto raggio di cui dispone la Russia sono semplicemente migliori e più numerosi, così come le capacità dottrinali e professionali delle forze di intelligence, esplorazione e segnalazione russe.

In particolare, nomina il piccolo motore che poteva – il drone Orlan – come la minaccia più pericolosa. È interessante notare che si tratta del drone di cui tutti si prendono gioco, ma che una volta ho dichiarato essere inequivocabilmente “il singolo drone da combattimento di maggior successo nella storia della guerra”. Questo perché la quantità totale di beni distrutti con l’aiuto di Orlan supera ora quella di qualsiasi drone militare nella storia. Qualche centinaio di obiettivi, civili, matrimoni afghani distrutti dai Predator/Reaper impallidiscono in confronto alle decine di migliaia di oggetti distrutti grazie alla raccolta di informazioni dell’Orlan.

È un altro di una lunga serie di esempi del modo russo di fare la guerra: sistemi economici, flessibili e versatili, non appariscenti ma molto efficaci.

L’ultimo punto è così importante che lo incollo di nuovo:

Quarto. La qualità dei soldati delle Forze Armate della Federazione Russa è in crescita, mentre quella delle Forze Armate dell’Ucraina è in calo. Nelle Forze Armate dell’Ucraina il reclutamento è forzato, la preparazione è scarsa e veloce. La formazione militare della Russia è migliorata dopo la mobilitazione e la qualità del personale sta crescendo.
Ciò è confermato da una serie di rapporti e pareri recenti, come il seguente:

Le riserve di mobilitazione dell’Ucraina e della Russia non sono paragonabili. In Ucraina c’è una mobilitazione incessante con una quasi totale assenza di volontari, come nelle prime settimane di guerra. Le nuove reclute devono essere rintracciate e catturate con la forza, utilizzando la polizia, i militari e l’SBU. Allo stesso tempo, in Russia, dall’inizio del 2023, 357 mila persone in più sono state accettate nei ranghi delle forze armate nel quadro della Zona di libero scambio. La Russia attinge soprattutto alle sue risorse umane motivate e qualificate. Se si continua così, a lungo andare, non solo la qualità delle Forze Armate dell’Ucraina diminuirà, ma anche il loro numero, che non potrà più superare le 800 mila unità.
Ripetiamo: la Russia recluta risorse umane motivate e qualificate. L’Ucraina non recluta altro che la feccia riluttante e disabile.

Un altro, questa volta da un account ucraino:

Traduzione: si prevede un inverno molto rigido, perché entreranno in azione gli ormai addestratissimi mobilitati russi, che da oltre un anno non fanno altro che addestrarsi nelle retrovie.

Un altro:

Non ci sono scenari positivi per l’Ucraina” – canale ucraino “La donna con la treccia”: “Ci sono state voci a margine che i think tank occidentali hanno previsto lo sviluppo della crisi ucraina con 3 anni di anticipo.Il risultato è negativo.Nel peggiore dei casi, l’Ucraina sarà tagliata fuori secondo lo scenario jugoslavo.Nel migliore dei casi, l’Ucraina perderà completamente Donetsk, Lugansk e Zaporozhye con la regione di Kherson lungo il Dnieper. Ma Kiev dovrà riconoscere questi territori come appartenenti alla Federazione Russa.Non ci sono più scenari positivi per l’Ucraina. Era necessario negoziare dopo le operazioni di Kharkov e Kherson. Era necessario negoziare dopo le operazioni di Kharkov e Kherson, in modo da poterne prendere altre e salvarne molte altre. Se sapessi degli acquisti, vivrei a Sochi”.
In realtà, il canale ucraino Rezident sostiene che Zelensky è furioso per l’enorme pacchetto di aiuti da 100 miliardi di dollari di Biden, perché è troppo grande per essere realistico e sembra più un segnale di virtù deliberato o un tentativo di aiuto simbolico:

Canale ucraino Rezident: La nostra fonte nell’Ufficio del Presidente ha detto che l’Ufficio del Presidente considera le azioni dell’Amministrazione Biden distruttive per quanto riguarda il sostegno finanziario all’Ucraina per il 2024. Invece di un pacchetto di aiuti realistico per il nostro Paese, la Casa Bianca chiede importi record che saranno sicuramente bloccati dai repubblicani. Tutte queste azioni mirano a interrompere l’assistenza finanziaria e militare all’Ucraina per concordare con il Cremlino il congelamento del conflitto nel nostro Paese lungo la linea del fronte.
Il prossimo:

I nuovi disturbatori antidrone Volnorez della Russia vengono installati sempre più spesso sui veicoli blindati, ascolta qui sotto:

Il prossimo:

Secondo un nuovo calcolo, quasi tutti i quadri degli ex partecipanti dell’AFU all’ATO (Operazione antiterrorismo – uno dei nomi che l’Ucraina ha dato alla “guerra” del Donbass prima dell’inizio dell’SMO) e dei soldati professionisti sono stati distrutti, lasciando all’AFU solo coscritti non addestrati e carne da cannone verde:

All’inizio dell’SVO, le Forze Armate ucraine contavano poco più di 260 mila persone, di cui 78 mila hanno preso parte alla cosiddetta ATO. Dopo lo scoppio del conflitto russo-ucraino, il regime di Kiev ha effettuato diverse ondate di mobilitazione, a seguito delle quali, secondo alcune stime, sono state mobilitate fino a un milione di persone.Nei suoi calcoli, UKROPSKY FRESH si basa sulla dichiarazione ufficiale di Zelensky, secondo cui più di 700 mila persone prestano attualmente servizio nelle Forze Armate ucraine. Tenendo conto del fatto che dopo un anno e mezzo di guerra non è rimasto praticamente nulla dell’esercito dei quadri, prendiamo in considerazione il dato medio secondo cui solo il 30% del personale dei quadri è rimasto nelle Forze armate ucraine, che dall’inizio della giornata, 52 mila persone hanno preso parte alle battaglie con l’esercito russo. Per quanto riguarda gli ufficiali dell’ATO, anche qui si prende il dato medio del 30%, che era prima dell’inizio dell’SVO: 15.600 persone.Risulta che sul totale dell’esercito ucraino, il numero di militari di carriera è solo del 7,43%. Gli ufficiali dell’ATO sono ancora meno: 2,23%.Cosa vediamo? La maggior parte delle forze punitive del Donbass, che hanno distrutto la popolazione civile della LPR e della DPR prima dell’inizio del Distretto militare settentrionale, sono state distrutte. Non sono praticamente rimasti ufficiali professionisti dell’ATO – quasi tutti sono stati liquidati durante un anno e mezzo di guerra.La denazificazione dell’Ucraina continua

☄️☄️☄️

Il prossimo:

Oggi la Russia ha respinto i massicci attacchi di saturazione sulla Crimea, che si sono presentati sotto forma di missili balistici ucraini Grom-2, S-200 reimpiegati e probabilmente molto altro:

Nell’ultima ora, il nemico ha lanciato un grande attacco missilistico sulla Crimea e sulla regione di Azov. Sono stati lanciati almeno 10-15 missili, tra cui degli S-200 riconvertiti. Cinque missili sono stati abbattuti solo sul territorio della regione di Kherson: tre nel distretto di Kakhovsky e due in quello di Genichesk. La difesa aerea ha funzionato perfettamente”, ha dichiarato Vladimir Saldo, governatore di Kherson. Sono stati abbattuti: nord della Crimea 2 missili; area di Henicheskiy 2 missili; Melitopol 2 missili; regione di Berdyansk 2 missili; Sebastopoli 1 missile; distretto di Kakhovsky 3 missili. Nella regione di Kakhovsky, un missile abbattuto può esplodere al suolo.
La cosa più interessante è che la Russia ha abbattuto tutto, senza alcuna perdita. Questo dimostra che queste prodezze diventano uno “status quo”, e nessuno si ricorda di quanto l’AD russa sia impeccabile fino a quando l’Ucraina non riceve un altro “colpo fortunato” tra un mese o due, e allora certe persone piangono e si lamentano di quanto la difesa aerea russa sia presumibilmente “scarsa”.

A questo proposito, un nuovo rapporto afferma che gli operatori AD russi stanno già registrando i nuovi ATACMS, come avevo detto:

Secondo uno dei comandanti della difesa aerea delle Forze Armate della Federazione Russa, stanno imparando ad abbattere gli “ATACMS”: creazione di contromisure, algoritmi operativi, studio delle traiettorie, delle manovre e della velocità di volo, monitoraggio dei lanci pratici.
Avanti:

Il famoso combattente della DPR Alexander “Babay” Mozhayev è morto sul fronte di Zaporozhye il 19 ottobre. Non avevo idea che stesse ancora combattendo, visto che sembrava essere scomparso anni fa. È diventato famoso durante il sequestro della Crimea nel 2014, quando il suo volto sorprendente ha catturato l’immaginazione del pubblico occidentale:

Detto questo, la parte ucraina ha sempre sostenuto che fosse un pericoloso criminale ex detenuto che si era unito alla milizia solo per sfuggire a una vita di crimini. In ogni caso, la sua immagine di temibile cosacco rappresenterà sempre quei primi giorni tumultuosi ma pieni di speranza delle neonate repubbliche della Novorossia. Ed è solo un’altra delle ultime figure leggendarie di quei giorni a cadere, insieme a Mozgovoy, Motorola, Givi, Zakharchenko e molti altri nomi memorabili, di cui ora rimangono pochissimi.

Vi lascio con questo nuovo, inquietante vortice di parole di Dmitry Medvedev:

Il mondo, guidato dagli Stati Uniti, continua a scivolare nell’abisso più profondo. Vengono prese decisioni che indicano chiaramente non solo il disordine mentale irreversibile dei loro portatori, ma anche la perdita dei resti della coscienza. Si tratta di decisioni significative e piccole, ma che urlano chiaramente la malattia dell’intera società.1. Biden ha definito un “investimento intelligente” il denaro che dovrebbe essere speso per la morte di altre persone lontane dagli Stati Uniti. Stiamo parlando dell’acquisizione di ulteriori armi per decine di miliardi per l’Ucraina e Israele.2. Il regime di Kiev ha deciso di bandire l’UOC, tagliando fuori gli ortodossi dalla culla della chiesa madre.3. Il ministro degli Interni francese non ha esitato a condannare un famoso giocatore di calcio per i suoi post a sostegno della Palestina.Le notizie variano, ma indicano un’accelerazione della putrefazione del tessuto stesso della società occidentale.Investire nella morte di persone inutili è intelligente e buono. Non ci sono parole. Questo va oltre il bene e il male. E questa non è solo la demenza di un vecchio pazzo, ma l’intera filosofia di vita del loro Stato nel corso dei secoli. Il divieto della chiesa originaria nella Piccola Russia è una politica sporca, pesantemente mescolata alla cocaina e al satanismo. Dopo tutto, Zelensky non è solo un degenerato senza famiglia o tribù. Non è solo un mankurt che ha dimenticato la propria storia e quella degli altri. È un clown di Frankenstein, agitato dalla brama di potere, creato per il divertimento dei clienti e pronto a dare loro non solo il suo corpo per i piaceri carnali, ma anche a distruggere facilmente il cristianesimo nella sua terra natia.E terzo. Andare oltre le boe di una tendenza ideologica è già direttamente punibile in Occidente. Si possono esprimere condoglianze agli israeliani, ma non ai palestinesi. Non ci si deve dispiacere per loro. Lì sono tutti come terroristi e li lasciano morire a migliaia. Il risultato di queste affermazioni è ovvio: l’intifada durerà per sempre, la Chiesa rinascerà, ma attraverso il sangue e la sofferenza della guerra civile e la quantità di armi fornite si trasformerà prima o poi in qualità. Le cariche ad alto esplosivo a frammentazione, cumulative, incendiarie e a detonazione volumetrica si trasformeranno in cariche nucleari...”.


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Il nuovo Stato di sicurezza economica, di Henry Farrell and Abraham Newman

  • Nell’aprile del 2023, il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti Jake Sullivan ha implorato l’indulgenza dei suoi ascoltatori per essere uscito dalla sua corsia, pronunciando un importante discorso sull’economia. Ma la sua vera argomentazione – che decenni di fanatismo del libero mercato hanno indebolito la sicurezza nazionale del Paese – era tutt’altro che apologetica. “Ignorare le dipendenze economiche che si erano accumulate nel corso dei decenni di liberalizzazione era diventato davvero pericoloso, dall’incertezza energetica in Europa alle vulnerabilità della catena di approvvigionamento di attrezzature mediche, semiconduttori e minerali critici”, ha detto Sullivan. “Si trattava di dipendenze che potevano essere sfruttate per ottenere una leva economica o geopolitica”. Sullivan ha riconosciuto sia i costi che i benefici dei mercati, ma ha sottolineato come la liberalizzazione economica perseguita dalle passate amministrazioni statunitensi non abbia creato la pace. Al contrario, una fede semplicistica nella magia dei mercati ha svuotato l’industria statunitense, ha accolto un avversario in ascesa (la Cina) negli accordi di libero scambio e ha riempito le catene di approvvigionamento globali di vulnerabilità critiche per la sicurezza.

    Nell’ultimo decennio, l’economia e la sicurezza nazionale si sono scontrate, stravolgendo e capovolgendo il governo. La definizione di sicurezza si è estesa al di là delle questioni legate alla guerra e al terrorismo, poiché problemi economici e ambientali precedentemente ignorati, come l’insicurezza alimentare, la carenza di energia, l’inflazione e il cambiamento climatico, sono entrati a far parte del “nucleo centrale” della strategia ufficiale di sicurezza nazionale degli Stati Uniti. I compiti di Sullivan riguardano ora il mercato globale tanto quanto i sistemi missilistici, e i funzionari dell’economia internazionale, come il Segretario al Commercio Gina Raimondo e il Rappresentante per il Commercio Katherine Tai, passano sempre più tempo a pensare a questioni di sicurezza nazionale. Non hanno molta scelta. I funzionari non possono facilmente separare il commercio e gli scambi dalla sicurezza quando i mercati statunitensi sono intrecciati con quelli degli avversari, l’elettronica di consumo è facilmente armabile e i chip grafici potenziati sono i motori dell’intelligenza artificiale militare.

    Il “nuovo consenso di Washington” dell’amministrazione del Presidente degli Stati Uniti Joe Biden, come esposto da Sullivan, cerca di sfuggire a due trappole molto diverse. Rompe con l’approccio convenzionale dell’era post-Guerra Fredda, quando politici e opinionisti davano la priorità ai mercati rispetto alla sicurezza, sperando che il liberalismo economico e l’interdipendenza fossero alla base della pace. Ma evita anche di far rivivere il precedente assunto dell’era della Guerra Fredda, secondo cui la sicurezza aveva la meglio sui mercati, quando gli abitanti di Washington temevano che commerciare con l’Unione Sovietica equivalesse a dare manforte al nemico.

    Le economie degli Stati Uniti e della Cina sono inestricabilmente legate, per quanto i nazionalisti economici di entrambi i Paesi se ne risentano. Non esiste un modo plausibile per sciogliere completamente questa interdipendenza o per separare le economie civili e militari senza causare danni irreparabili alla società americana. Ecco perché i funzionari statunitensi hanno preso in prestito il linguaggio della Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen sul “de-risking”, il processo di gestione delle vulnerabilità generate da un mondo interdipendente. Essi considerano il loro compito come quello di mantenere il più possibile intatta l’economia globale e di risolvere i problemi comuni disinnescando le minacce più urgenti alla sicurezza.

    Questo enorme compito non rientra nel dominio della sicurezza nazionale tradizionale o dell’economia di mercato. Si tratta di uno sforzo per mantenere la sicurezza economica, che cerca di prevenire gli shock economici che potrebbero destabilizzare la società e spera di limitare il crescente uso dell’interdipendenza come strumento di coercizione. Proteggere la sicurezza economica significa tenere d’occhio le traiettorie della crescita e dell’innovazione, gestendo al contempo le minacce alla sicurezza previste e creando un’ampiezza politica sufficiente per affrontare quelle impreviste. Non può essere ridotta a sistemi missilistici o a regolamentazioni di mercato, e comporta compromessi e decisioni complicate su quali restrizioni economiche possano disinnescare le minacce senza minare la crescita e quali misure possano aiutare ad affrontare problemi globali condivisi, come il cambiamento climatico, senza danneggiare in modo sostanziale la sicurezza e la prosperità americane.

    La sicurezza e l’economia hanno avuto corsie politiche separate fino al recente passato, ed è per questo che il lavoro che Sullivan, Raimondo e Tai stanno svolgendo è diventato così complicato. Gli Stati Uniti sono ancora legati all’eredità della Guerra Fredda, quando i politici tendevano a pensare che la sicurezza avesse la meglio sull’economia, e all’eredità dell’era della globalizzazione che è seguita, durante la quale hanno per lo più ritenuto che l’economia avesse la meglio sulla sicurezza. Ma le due epoche hanno avuto un effetto asimmetrico sul presente: sebbene Washington abbia rafforzato i suoi muscoli per la sicurezza durante la Guerra Fredda, il suo cervello economico si è attivamente ridotto durante gli eccessi vertiginosi della globalizzazione, quando tutti credevano che i mercati conoscessero il meglio e che il governo dovesse evitare di cercare di dirigere l’economia. Questa dinamica rende più probabile che i riflessi della Guerra Fredda possano dirottare il nuovo programma di sicurezza economica, spingendo il Paese verso un rischioso percorso di escalation tra le maggiori potenze.

    Per affrontare i nuovi problemi di sicurezza economica ed evitare una spirale negativa che potrebbe minacciare l’economia globale, i funzionari statunitensi devono fare i conti con un compito importante: niente di meno che una trasformazione del governo degli Stati Uniti. Il passato offre una guida sbagliata e la situazione attuale richiede una rivalutazione rigorosa. Diversi alleati degli Stati Uniti, in particolare il Giappone e l’Unione Europea, hanno mantenuto un maggiore controllo sui mercati nell’interesse della sicurezza economica; gli Stati Uniti possono imparare da loro. Solo uno Stato di sicurezza economica notevolmente riformato sarà adatto a un mondo altamente interdipendente e pieno di rischi per la sicurezza.

    LA MANO VISIBILE
    Negli ultimi due anni, l’amministrazione Biden ha fatto regolarmente ricorso a leggi e istituzioni della Guerra Fredda per rafforzare la sicurezza economica del Paese. Quando ad agosto Biden ha dichiarato di aver posto dei limiti agli investimenti statunitensi in Cina, ha invocato la legislazione sui poteri di emergenza degli anni Settanta. Quando ha voluto che le industrie statunitensi producessero minerali critici per la transizione verso un’economia post-carbonica nel 2022, ha usato il Defense Production Act del 1950. Le nuove misure di Washington per negare a Pechino l’accesso ai semiconduttori di cui ha bisogno per l’intelligenza artificiale militare sono state autorizzate e giustificate dalla riforma dell’amministrazione Trump delle norme sul controllo delle esportazioni. Ma lo stesso sistema di controllo delle esportazioni risale almeno alla legge sul controllo delle esportazioni del 1949.

    Tutti questi strumenti sono stati creati in tempi più semplici, quando il governo degli Stati Uniti era più potente e subordinava i mercati alle esigenze della sicurezza nazionale. Durante la Guerra Fredda, il governo è intervenuto direttamente in ampi settori dell’economia, interrompendo quasi tutti gli scambi con l’Unione Sovietica per lunghi periodi. Vedendosi impegnato in un conflitto esistenziale con un avversario impegnato in un modo estraneo di organizzare l’economia e la società, il governo ha sviluppato strumenti politici per garantire che la propria economia sostenesse il potere militare e limitasse al minimo l’interdipendenza con il nemico.

    Sicurezza ed economia non possono più avere corsie politiche separate.
    Il Defense Production Act era in origine un elemento di una vasta burocrazia militare che aveva il potere di pianificare l’economia della sicurezza allocando risorse, controllando salari e prezzi e persino, in linea di principio, sequestrando la proprietà privata. I controlli sulle esportazioni erano un pilastro dell’economia della Guerra Fredda. Il diplomatico e pensatore di politica estera statunitense George Kennan aveva avvertito nel suo famoso saggio del 1947, scritto sotto lo pseudonimo di “X”, che l’Unione Sovietica vedeva il commercio come un’arma economica. Come ha documentato lo studioso Bruce Jentleson, i politici statunitensi hanno ascoltato, utilizzando i controlli sulle esportazioni per ridurre al minimo le relazioni economiche tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica per decenni. Il regime di controllo delle esportazioni era inimmaginabilmente rigido per gli standard odierni e influiva sulle relazioni economiche degli Stati Uniti anche con i loro alleati. Gli storici Mario Daniels e John Krige hanno scoperto che a metà degli anni Ottanta il 40% delle esportazioni statunitensi richiedeva l’approvazione del governo e il 90% delle licenze era concesso per il commercio con altri “Paesi liberi”.

    La pianificazione della produzione della Difesa e i controlli sulle esportazioni della Guerra Fredda erano di ampio respiro, ma il loro obiettivo era semplice: sostenere la produzione militare statunitense e strangolare l’economia sovietica.

    Gli Stati Uniti temevano abitualmente che i loro alleati potessero diventare economicamente dipendenti dall’avversario e facevano il possibile per impedire la formazione di tali legami. Quando negli anni ’80 i Paesi europei e l’Unione Sovietica costruirono un gasdotto comune, l’amministrazione Reagan si vendicò con sanzioni e minacciò addirittura gli europei di ritirare la garanzia di sicurezza degli Stati Uniti.

    IL REGNO DEL MERCATO
    Quando la Guerra Fredda finì, Washington si era già allontanata dall’interventismo economico sotto le amministrazioni dei presidenti Jimmy Carter e Ronald Reagan. Il crollo dell’Unione Sovietica sembrava una vittoria incondizionata dell’apertura del mercato sulla pianificazione statale. Il “Washington consensus” originario raccomandava allo Stato di ritirarsi dal coinvolgimento diretto nell’economia e di abbracciare la libera circolazione dei capitali. Le istituzioni multilaterali, come il Fondo Monetario Internazionale, chiedevano cambiamenti economici radicali in cambio di aiuti. La competizione tra grandi potenze sembrava una reliquia dell’antichità e l’espansione dell’interdipendenza la fonte di un mondo migliore a venire.

    Il risultato fu che gli Stati Uniti non rimasero semplicemente a guardare mentre la globalizzazione prendeva piede. L’hanno incoraggiata con vigore, scommettendo che i mercati non solo avrebbero aumentato la prosperità, ma avrebbero anche sostenuto la sicurezza. Un’economia globale complessa e interdipendente avrebbe reso sempre più impensabile una guerra, con tutte le sue perturbazioni economiche, e le dittature guerrafondaie sarebbero potute diventare più liberali e pacifiche con l’aumentare della libertà delle loro economie.

    La scommessa aveva limiti precisi. Gli Stati Uniti, dopo tutto, non hanno mai abbandonato il loro obiettivo di supremazia militare. Ma la convinzione che l’interdipendenza riducesse la probabilità di conflitti permise ai funzionari statunitensi di essere inizialmente ottimisti riguardo al vasto aumento del commercio globale, dei flussi finanziari e della complessità delle catene di approvvigionamento. A loro avviso, l’ampliamento e l’approfondimento dei legami commerciali avrebbero reso il mondo più sicuro, non più pericoloso. I responsabili politici in Occidente hanno dato per scontato che le attività economiche fossero gestite al meglio dall’impresa privata. Washington ha liberalizzato le infrastrutture critiche e il governo ha guardato con indifferenza mentre i produttori statunitensi di telecomunicazioni, come Lucent, venivano acquistati da aziende straniere o fallivano. Il Dipartimento del Commercio ha subappaltato gli aspetti chiave della regolamentazione di Internet alla Internet Corporation for Assigned Names and Numbers, una società senza scopo di lucro costituita secondo la legge della California. I governi di tutto il mondo hanno esternalizzato sempre più spesso le missioni fondamentali per la sicurezza nazionale, come quelle relative ai voli spaziali e alla tecnologia satellitare, a società private, nella convinzione che le imprese potessero svolgere questo lavoro in modo più economico e migliore rispetto allo Stato.

    Non si sbagliavano del tutto. I mercati possono effettivamente fare alcune cose meglio degli Stati. Ma come osservò Adam Smith, il fondatore dell’economia moderna, ne La ricchezza delle nazioni, era “primo dovere del sovrano” proteggere “la società dalla violenza e dall’invasione di altre società indipendenti”; tali responsabilità non potevano essere cedute al mercato. Le imprese vogliono massimizzare i profitti, non fornire beni pubblici vagamente definiti ai cittadini di un determinato Paese.

    Negli ultimi anni, le conseguenze di queste decisioni sono state sotto gli occhi di tutti. La pandemia COVID-19 ha dimostrato come molte aziende non siano riuscite a diventare resilienti, provocando onde d’urto nelle catene di approvvigionamento globali. La Russia ha approfittato di decenni di sonnolenza in Europa per cercare di sfruttare la dipendenza dei suoi vicini dal gas russo dopo l’invasione dell’Ucraina. Ma la Russia ha scoperto di essere anch’essa vulnerabile: nel giro di pochi giorni, gli Stati Uniti e i Paesi europei hanno tagliato l’accesso alle riserve della banca centrale russa detenute all’estero.

    I mercati possono garantire una grande flessibilità e adattarsi agli shock nel tempo, ma non offrono più un’alternativa generale alla geopolitica come sembrava all’indomani della Guerra Fredda. In effetti, la strategia delle grandi potenze e i mercati sono profondamente intrecciati. Gli Stati Uniti e la Cina sono intrappolati in un circolo vizioso di azioni, controazioni e sospetti ostili, ma i loro mercati sono fortemente intrecciati. E la competizione tra grandi potenze e l’interdipendenza si stanno combinando per generare nuovi problemi. Aziende come il gigante cinese delle telecomunicazioni Huawei potrebbero creare un’infrastruttura di telecomunicazioni globale con caratteristiche cinesi. Gli Stati Uniti e l’Europa potrebbero fare alle riserve della banca centrale cinese quello che hanno fatto a quelle della Russia. Se la Cina imponesse un embargo o attaccasse Taiwan, interrompendo le operazioni della Taiwan Semiconductor Manufacturing Company, il più grande produttore mondiale di semiconduttori, le conseguenze si ripercuoterebbero sull’intera economia mondiale. Le reti informatiche, i flussi finanziari e le catene di approvvigionamento hanno alimentato una crescita economica esplosiva, ma hanno anche creato nuove vulnerabilità geopolitiche. Gli Stati Uniti devono ora gestire la propria sicurezza economica in un mondo altamente interdipendente e competitivo, dove i Paesi sono inevitabilmente tentati di sfruttare le debolezze degli altri.

    I MUSCOLI AL POSTO DEL CERVELLO
    Anche se l’economia globale è diventata molto più complessa e pericolosa, la capacità degli Stati Uniti di comprenderla e gestirla si è erosa. La versione dello Stato americano della Guerra Fredda cercava di limitare gli scambi economici con gli avversari, mentre la versione incentrata sulla globalizzazione ha cercato di promuoverli. Ora i responsabili politici devono confrontarsi con l’interdipendenza, un compito molto più complesso di quello affrontato dai funzionari statunitensi in passato.

    All’indomani della Guerra Fredda, la logistica della produzione era appannaggio dell’industria privata, non del governo. Oggi, la Washington ufficiale ha ancora una scarsa comprensione delle catene di approvvigionamento globali, anche se sono di importanza critica per la sicurezza economica. Il governo degli Stati Uniti ha condotto revisioni delle catene di approvvigionamento in quattro aree ritenute critiche e ha incaricato i dipartimenti governativi di esaminare i rischi per le catene di approvvigionamento rilevanti; tuttavia deve fare affidamento su database commerciali incompleti e su informazioni imperfette e non standardizzate divulgate con grande riluttanza dalle aziende private. Spesso le imprese stesse hanno una comprensione limitata delle vulnerabilità della propria catena di approvvigionamento. Anche se sanno cosa fanno i loro fornitori, non sempre hanno una visione chiara del ruolo dei fornitori dei loro fornitori.

    La capacità degli Stati Uniti di comprendere l’economia globale si è erosa.
    Inoltre, nel tentativo di limitare le ambizioni della Cina, gli Stati Uniti devono assumersi rischi tecnologici complessi e incerti. Gli Stati Uniti hanno adottato un approccio al controllo tecnologico del tipo “cortile piccolo, recinto alto”, con misure forti per limitare una serie limitata di prodotti e tecniche. Per farlo bene, tuttavia, è necessario un grado di precisione chirurgica che sarebbe difficile da raggiungere anche con una comprensione dettagliata dell’economia globale e dei probabili percorsi futuri dell’innovazione. È necessaria una profonda conoscenza dei settori interessati. Ma il governo degli Stati Uniti non dispone delle istituzioni e delle strutture necessarie per giungere a tale comprensione, che richiederebbe la raccolta di ampie informazioni di mercato, la loro utilizzazione da parte di burocrazie isolate e la loro applicazione a questioni di sicurezza nazionale.

    La legislazione sul controllo delle esportazioni approvata dal Congresso degli Stati Uniti nel 2018 ha imposto alle future amministrazioni presidenziali di concentrare le restrizioni sulle “tecnologie emergenti e fondamentali”, senza specificarne alcune in particolare. Il Bureau of Industry and Security del Dipartimento del Commercio sta registrando sostanziali aumenti di budget, ma ha ancora bisogno di risorse scientifiche e decisionali molto più consistenti per attuare efficacemente i controlli sulle esportazioni. Senza queste risorse, è difficile fare più di una semplice ipotesi sulla direzione futura dell’innovazione e sui punti critici che potrebbero emergere nell’economia globale. Forse per Washington ha senso frenare le ambizioni della Cina in materia di intelligenza artificiale militare attraverso il controllo delle esportazioni di semiconduttori specializzati. Ma è anche possibile che così facendo si inneschino investimenti interni di successo in Cina, consentendo a Pechino non solo di eludere Washington, ma anche di superarla.

    Gli Stati Uniti non possono pensare di essere ancora il leader tecnologico mondiale in tutti i settori. In alcuni settori, come lo sviluppo di batterie e fotovoltaico, essenziali per l’economia verde, la Cina è chiaramente in vantaggio. Questo fatto porta a decisioni difficili. Gli Stati Uniti potrebbero essere tentati di rubare una pagina dal libro di giochi della Cina e incoraggiare gli investimenti interni delle aziende cinesi di tecnologia delle batterie, in modo da poter imparare dal rivale ed emularlo. Ma una simile mossa potrebbe solo creare nuove vulnerabilità e dipendenze. La Cina potrebbe negare agli Stati Uniti l’accesso a queste tecnologie, il che potrebbe rappresentare un grosso problema.

    Dilemmi di questo tipo richiedono sia l’applicazione di politiche forti sia, soprattutto, l’intelligenza di pianificare conseguenze inaspettate. Senza questa preparazione, il rischio non è solo che gli Stati Uniti commettano errori, ma anche che la loro preponderanza di forza esecutiva possa sopraffare la loro capacità di prendere decisioni intelligenti. Quando i responsabili politici devono risolvere un problema, di solito si basano su tutti gli strumenti che hanno a disposizione, creando un ciclo di feedback che impedisce di valutare se non sia meglio ricominciare da capo. Il risultato potrebbe essere che, quando lo Stato di sicurezza degli Stati Uniti si appoggia all’economia, enfatizza eccessivamente gli strumenti di coercizione volti a limitare le interazioni piuttosto che quelli volti a mantenere un sano scambio economico. E se la Cina e altri avversari rispondono in modo simile, come è probabile, un mix di errori di calcolo e reazioni eccessive potrebbe mettere pericolosamente a rischio l’economia globale.

    IL MARTELLO INCONTRA IL CHIODO
    Per comprendere il rischio, si consideri la storia recente delle sanzioni statunitensi, emerse come strumento preferito durante la cosiddetta guerra al terrorismo di Washington. Dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, gli Stati Uniti hanno cercato di sfruttare le numerose falle e vulnerabilità dell’economia globale per promuovere la propria sicurezza. Il governo statunitense ha imposto a SWIFT, il servizio di messaggistica finanziaria, di fornirgli dati sui suoi nemici e ha gradualmente dispiegato il potere del dollaro per escludere l’Iran dal sistema finanziario globale. Come sotto l’amministrazione Biden, queste misure dipendevano da vecchi poteri di emergenza e da istituzioni dell’epoca della Seconda Guerra Mondiale e della Guerra Fredda, come l’Office of Foreign Assets Control del Tesoro, che è diventato il cuore della politica di sanzioni degli Stati Uniti.

    Queste innovazioni hanno portato ad alcuni successi iniziali, come quello di portare l’Iran al tavolo dei negoziati sulle sue armi nucleari, ma al costo di una dinamica a lungo termine molto preoccupante. I risultati ottenuti dagli Stati Uniti non sono stati il risultato di una pianificazione globale, ma di una continua improvvisazione, in quanto i responsabili politici, privi di risorse, hanno adattato in fretta e furia gli strumenti e le istituzioni esistenti, rispondendo a esigenze di sicurezza urgenti. Le sanzioni, in particolare, sono diventate una soluzione di ripiego, aprendo la strada a quello che potrebbe essere definito un “complesso industriale delle sanzioni” che sostiene sempre più sanzioni, con il beneficio di una scarsa riflessione strategica.

    Alcuni funzionari, come Jack Lew, segretario al Tesoro durante l’amministrazione Obama, temevano che l’uso eccessivo delle sanzioni potesse portare al graduale indebolimento del potere finanziario degli Stati Uniti, incoraggiando i Paesi ad aggirare il sistema finanziario dominato dal dollaro. Ma le sanzioni hanno continuato ad espandersi e sono diventate sempre più lo strumento di sicurezza di prima istanza per Washington.

    I membri repubblicani del Congresso stanno già sponsorizzando una legge per togliere l’autorità sui controlli delle esportazioni al Dipartimento del Commercio e darla invece al Dipartimento della Difesa. Il rischio è che questo spostamento faccia sistematicamente deviare le decisioni sulla sicurezza economica in modo da enfatizzare eccessivamente le preoccupazioni di sicurezza tradizionali, che si concentrano sullo strangolamento degli avversari, e sottovalutare gli aspetti più nuovi della sicurezza, come la costruzione della capacità condivisa tra gli Stati Uniti e i loro alleati di coordinare politiche innovative. Se i muscoli prevalgono sul cervello in materia di sanzioni e controlli sulle esportazioni, Washington potrebbe perdere di vista il contributo che l’innovazione, la crescita e le maggiori opportunità economiche apportano alla sicurezza degli Stati Uniti.

    IMPARARE DAGLI ALTRI
    Per evitare questo scenario, il governo statunitense dovrà creare le istituzioni e le capacità necessarie per una politica di sicurezza economica intelligente. Fortunatamente, non deve farlo da zero e può imparare sia dalle soluzioni che dalle difficoltà dei suoi più stretti alleati, Paesi che affrontano questioni simili e che talvolta si sono mossi più rapidamente per adattarsi alle nuove esigenze di un mondo in evoluzione.

    Non sorprende, ad esempio, che il Giappone sia stato rapido nel riorganizzare il proprio apparato statale negli ultimi anni. Nonostante le forti pressioni statunitensi per la liberalizzazione negli anni ’80 e ’90, il governo giapponese non ha mai rinunciato a mantenere un ruolo forte nella pianificazione economica. Questo ha aiutato il Giappone ad adattarsi alla coercizione cinese nel 2010, quando una disputa marittima è degenerata in una possibile crisi, poiché la Cina ha minacciato l’accesso del Giappone ai minerali di terre rare. Il settore high-tech del Paese dipendeva da fonti cinesi per oltre il 90% delle forniture, quindi il governo si è orientato verso l’estrazione dai fondali marini nazionali e verso accordi commerciali con fornitori alternativi. In un solo decennio, il Giappone è riuscito a ridurre la sua dipendenza dalla Cina per le terre rare a meno del 60%, offrendo un esempio di come la diversificazione possa rafforzare la sicurezza economica.

    Con l’acuirsi della questione della sicurezza economica, il Giappone ha anche riorganizzato la propria burocrazia. Nel 2021 ha nominato il suo primo ministro della sicurezza economica all’interno del gabinetto e nel 2022 ha presentato una nuova strategia di sicurezza nazionale che ha fatto della “promozione della sicurezza economica” un obiettivo fondamentale. Allo stesso tempo, il governo ha approvato una nuova legge, l’Economic Security Promotion Act, che conferisce all’amministrazione l’autorità legale di coordinare uno sforzo di tutto il governo, sostenuto da un budget di circa 7 miliardi di dollari, volto a ridurre al minimo le dipendenze della catena di approvvigionamento e a promuovere l’innovazione nei settori critici. È fondamentale che il governo sia interessato non solo a salvaguardare la sicurezza del Giappone, ma anche a generare crescita economica. Poiché dispone di istituzioni dedicate alla sicurezza economica, il Giappone trova più facile rispetto agli Stati Uniti, che pure hanno approvato ampi programmi di sussidi, coordinare le proprie azioni per soddisfare sia gli obiettivi economici interni che gli imperativi di sicurezza internazionale.

    Il governo giapponese ha cercato di proteggere la propria economia anche attraverso la cooperazione globale. Al vertice del G-7 di Hiroshima del 2023, il gruppo ha deciso di “lavorare insieme per garantire che i tentativi di armare le dipendenze economiche costringendo i membri del G-7 e i nostri partner, comprese le piccole economie, a conformarsi e a conformarsi, falliscano e subiscano conseguenze”. Il Giappone, quindi, ha svolto un ruolo chiave nel far sì che molte delle maggiori economie del mondo iniziassero a pensare collettivamente. Questo, a sua volta, contribuirà a sostenere le nuove iniziative tra Stati Uniti, Giappone e Corea del Sud, che cercano di coordinare la politica tecnologica per contrastare la Cina.

    Per rispondere alle sfide future, tuttavia, non basterà riorganizzare le burocrazie. Gli Stati Uniti devono costruire una strategia globale di sicurezza economica. Il discorso di Sullivan ha giustamente rilevato i modi in cui l’interdipendenza economica ha creato nuove vulnerabilità per la sicurezza e ha esortato a costruire una maggiore resilienza per affrontare queste debolezze. I funzionari statunitensi, tuttavia, hanno detto poco su come intendono farlo.

    In questo senso, i responsabili politici statunitensi possono imparare dall’esperienza dell’Unione Europea, i cui punti di forza e di debolezza sono quasi opposti a quelli degli Stati Uniti. L’Unione europea si è innamorata della dottrina del libero mercato più di quanto non abbiano fatto gli Stati Uniti. Non aveva molta scelta: i suoi trattati costitutivi si basavano sulla libertà di movimento di beni, servizi, denaro e persone; avevano poco da dire sulla sicurezza. Gli Stati membri gelosi hanno impedito al precursore dell’UE, la Comunità Economica Europea, di costruire una vera e propria forza di sicurezza nazionale durante la Guerra Fredda. L’Europa ha invece investito nei settori in cui aveva autorità, creando una potente burocrazia economica responsabile del mercato interno e delle relazioni commerciali.

    Questa combinazione di punti di forza e di debolezza ha portato l’Europa a sviluppare un proprio approccio alla sicurezza economica. Piuttosto che appoggiarsi alle autorità di difesa della Guerra Fredda che non possiede, l’UE ha ripetutamente riproposto i regolamenti di costruzione del mercato verso nuovi obiettivi. In risposta all’uso improprio delle sanzioni da parte del presidente statunitense Donald Trump, allo shock COVID-19 e al congelamento delle relazioni commerciali con la Lituania da parte della Cina nel 2022 per punire il Paese baltico per aver permesso l’apertura di un’ambasciata taiwanese de facto, i funzionari europei stanno utilizzando i meccanismi del mercato unico per proteggere l’UE. Per mappare le proprie vulnerabilità, l’UE sta sviluppando uno strumento di valutazione per identificare se determinati legami commerciali comportano rischi elevati, medi o bassi. Ciò consentirà all’UE di perseguire la sua politica di de-risking, favorendo la prosecuzione del commercio e degli scambi nelle aree a basso rischio e valutando il modo migliore per proteggersi quando si tratta di quelle a rischio più elevato.

    Una semplice mappatura delle minacce potenziali in questo modo rende meno probabile che i responsabili politici scivolino in una spirale di disaccoppiamento, sconvolgendo l’economia mondiale interrompendo incautamente i legami con avversari e rivali. È fondamentale che questo approccio valuti non solo i rischi generati dalle dipendenze, ma anche quelli generati dalle risposte politiche. Ciò non significa che l’UE produrrà inevitabilmente politiche più intelligenti; poiché l’UE ha una scarsa esperienza in materia di sicurezza tradizionale, potrebbe sottovalutare alcuni rischi che si collocano a cavallo del divario militare-economico, come la fusione civile-militare della Cina, con la quale il governo cinese cerca di unire le capacità di ricerca e le risorse dei settori scientifici e commerciali civili con i settori industriali militari e della difesa.

    L’UE ha risposto alle crescenti minacce alla sicurezza economica anche attraverso una nuova legislazione che le consentirà di utilizzare la sua politica commerciale comune per punire gli Stati che tentano di costringerla. Sta anche considerando di rafforzare le cosiddette regole di blocco, che vieterebbero alle imprese europee di rispettare le sanzioni straniere per meglio dissuadere le azioni ostili di altri. Ancora una volta, nel bene e nel male, l’UE è più esitante nell’usare la coercizione diretta rispetto agli Stati Uniti. I funzionari dell’UE ci hanno detto che sperano di non dover ricorrere a questi strumenti e che il solo fatto che esistano potrebbe essere un deterrente sufficiente. Si tratta probabilmente di un’affermazione troppo ottimistica, poiché i deterrenti sono credibili solo quando gli altri credono che verranno utilizzati. L’UE dovrà quasi certamente sviluppare e utilizzare una maggiore coercizione, forse modificando i trattati che la governano per impedire a membri disonesti come l’Ungheria di porre il veto alle sanzioni collettive.

    Tutto ciò si inserisce nella preferenza dell’UE per il de-risking (gestione dei rischi di una continua interdipendenza) rispetto al decoupling (distacco delle economie l’una dall’altra come nella Guerra Fredda). Allo stesso modo, la nuova strategia di sicurezza economica dell’UE, pubblicata a giugno, non parte dal tipo di preoccupazioni tradizionali per la sicurezza nazionale che hanno motivato gli Stati Uniti. Al contrario, la strategia dell’UE sottolinea che le società devono prepararsi agli shock economici oltre che ai tentativi esterni di esercitare influenza sulle economie europee e di limitare l’autonomia dell’UE. L’Europa può ancora utilizzare strumenti come le sanzioni e i controlli sulle esportazioni per proteggersi, ma la strategia emergente potrebbe altrettanto facilmente indirizzare l’UE verso la diversificazione attraverso nuovi accordi commerciali o sussidi per i settori critici. Come il Giappone, l’UE cerca di conciliare gli imperativi della crescita e dell’innovazione con le esigenze di sicurezza.

    REINVENZIONE, NON RIFORMA
    La definizione di un progetto dettagliato per lo stato di sicurezza economica degli Stati Uniti richiederà un dibattito lungo e difficile. Tuttavia, Sullivan, Raimondo e Tai – e coloro che li sostituiranno – dovrebbero affrontare tre priorità in particolare.

    La più evidente è che gli Stati Uniti devono definire una propria strategia globale di sicurezza economica. Trasformare il de-risking da una frase fatta a un approccio coerente richiederà molto lavoro, che dovrebbe essere guidato da un documento politico formale che invierà un segnale importante alle agenzie governative che svolgeranno la sua missione e al pubblico in generale. Diverse parti del governo statunitense hanno iniziato a esaminare strumenti politici specifici, come le sanzioni, anche se queste indagini non sono andate così avanti come alcuni vorrebbero. L’integrazione di questi elementi distinti in una politica coerente richiederà un approccio da parte di tutto il governo e il contributo delle parti interessate, comprese l’industria e la società civile.

    Le modifiche apportate per attuare questa strategia rischiano di creare un pantano burocratico, come è accaduto quando è stato creato il Dipartimento di Sicurezza Nazionale in seguito agli attentati dell’11 settembre. Washington dovrà migliorare l’intelligence collettiva e il processo decisionale, spostando l’autorità in modo appropriato: a tal fine, il governo dovrebbe prendere in considerazione la creazione di un apparato di intelligence per la sicurezza economica al pari di altri bracci di intelligence del governo statunitense, ma con una missione molto diversa. Come minimo, gli Stati Uniti devono dotare di risorse adeguate l’Office of Science and Technology Policy, che fornisce consulenza scientifica al potere esecutivo, e rianimare l’Office of Technology Assessment, che ha fatto lo stesso per il Congresso.

    Esperti di burocrazia, come Jennifer Pahlka, hanno documentato come le regole e la cultura minino la flessibilità del governo federale, e gli alti funzionari si lamentano di quanto sia incredibilmente complesso e dispendioso in termini di tempo persino sollecitare consulenze esterne al governo. Questi sono problemi generali, ma una volta che il governo stabilisce cosa funziona e cosa no e inizia a intervenire regolarmente nell’economia, hanno conseguenze urgenti. I nuovi poteri del governo produrrebbero anche nuovi rischi per le libertà civili. Il governo federale potrebbe faticare a contenere gli abusi se aumenta le sue capacità di intelligence economica. Un presidente disonesto come Trump potrebbe utilizzare mappe dettagliate dell’economia per aiutare gli amici e danneggiare i nemici.

    Per garantire la sicurezza economica, il governo degli Stati Uniti deve reinventarsi.
    Il governo deve anche attingere a nuove idee e a nuove fonti di competenza, così come le università e i think tank che forniscono talenti a Washington. Ciò significa assumere meno economisti e scienziati politici e più persone che si occupano di logistica, cibernetica e scienze dei materiali. Come minimo, gli Stati Uniti devono attirare nel governo più persone con una profonda conoscenza delle catene di approvvigionamento e della finanza globale. Oltre a rafforzare le parti del governo che già dispongono di tale esperienza e talento, come il Dipartimento del Tesoro, questo sforzo potrebbe coinvolgere nuove istituzioni sul modello dell’U.S. Digital Service, che ha attirato nel governo persone provenienti dall’industria informatica, per fornire competenze nei diversi settori della sicurezza economica.

    Infine, il governo degli Stati Uniti dovrebbe prendere in considerazione la creazione di un Consiglio per la Sicurezza Economica che faccia da mediatore tra il Consiglio Nazionale per la Sicurezza e il Consiglio Nazionale per l’Economia, attingendo e potenziando le fonti di competenza all’interno del governo, tra cui i Laboratori Nazionali e la Commissione per il Commercio Internazionale. Questo potrebbe, a sua volta, sostenere un apparato più formale di coordinamento tra i responsabili delle politiche nelle varie parti del governo federale che riguardano la sicurezza economica. Piuttosto che creare un’altra mostruosità burocratica, questo dovrebbe essere piccolo e agile come doveva essere il Consiglio di Sicurezza Nazionale, fornendo un centralino per aiutare a collegare le parti del governo che hanno un mandato di sicurezza economica. In alternativa, alcuni membri del Consiglio di sicurezza nazionale e del Consiglio economico nazionale potrebbero indossare due cappelli, integrando in modo informale le discussioni sull’economia e sulla sicurezza nazionale.

    Questi suggerimenti sono solo un punto di partenza per il dibattito, che però deve iniziare ora. L’amministrazione Biden vuole giustamente evitare un mondo in cui Stati Uniti e Cina vengano trascinati in un pericoloso processo di disaccoppiamento. Il rischio è che le istituzioni statunitensi esistenti possano trascinare il Paese nella direzione che si vuole evitare. Per garantire la sicurezza economica in un mondo altamente interdipendente e caratterizzato da una forte competizione tra grandi potenze, il governo degli Stati Uniti deve reinventarsi.

    HENRY FARRELL is the Stavros Niarchos Foundation Agora Institute Professor of International Affairs at Johns Hopkins University.

  • ABRAHAM NEWMAN is a Professor at the Edmund A. Walsh School of Foreign Service and in the Department of Government at Georgetown University.
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