In un discorso carico di retorica e promesse di rinnovamento radicale, il Presidente Donald Trump si è rivolto alla sessione congiunta del Congresso il 4 marzo 2025, dipingendo un quadro di “America Rinata” e celebrando i risultati dei suoi primi 43 giorni in carica. Il discorso, caratterizzato da una combinazione di auto elogio, critiche pungenti e promesse di un futuro più prospero e sicuro, ha delineato una serie di politiche e iniziative volte a trasformare profondamente il tessuto economico, sociale e culturale degli Stati Uniti. Hanno prevalso gli argomenti di politica interna su quelli di politica estera.
Trump ha iniziato il suo discorso con una dichiarazione di intenti chiara e inequivocabile: “L’America è tornata”. Ha esaltato i risultati ottenuti in un lasso di tempo relativamente breve, sostenendo di aver fatto più in 43 giorni di quanto molte amministrazioni riescano a fare in anni. Questa affermazione, seppur esagerata, ha gettato le basi per un discorso incentrato sulla trasformazione rapida e radicale del paese.
Il Presidente ha posto l’accento sulla sua vittoria elettorale come un mandato popolare per il cambiamento, sottolineando la sua ampia vittoria nel Collegio Elettorale e nel voto popolare. Ha enfatizzato come, per la prima volta nella storia moderna, la maggior parte degli americani creda che il paese stia andando nella giusta direzione, un’inversione di tendenza che attribuisce direttamente alle sue politiche.
Il cuore del discorso è stato dedicato all’illustrazione delle politiche e delle iniziative chiave che l’amministrazione Trump ha intrapreso per realizzare la sua visione di un’America rinata. Queste politiche toccano una vasta gamma di settori, dall’immigrazione all’economia, dall’energia alla cultura.
Trump ha ribadito la sua posizione intransigente sull’immigrazione, dichiarando che ha proclamato un’emergenza nazionale al confine meridionale con il Messico e schierato l’esercito e la Guardia di Confine per respingere l'”invasione” del paese. Ha rivendicato un drastico calo degli attraversamenti illegali come risultato diretto delle sue azioni, sottolineando il contrasto con le politiche “disastrose” dell’amministrazione Biden.
Il Presidente ha delineato una serie di misure volte a stimolare la crescita economica e a garantire l’indipendenza energetica degli Stati Uniti. Tra queste, il blocco delle assunzioni federali, la revisione delle normative, la fine degli aiuti esteri e il ritiro dall’Accordo di Parigi sul clima. Trump ha promesso di eliminare le restrizioni ambientali che ostacolano lo sviluppo industriale e di promuovere l’estrazione di petrolio e gas, sfruttando le vaste risorse energetiche del paese. L’approvazione di un gigantesco gasdotto in Alaska, con la partecipazione di investitori stranieri, è stata presentata come un simbolo di questa nuova era di prosperità energetica.
Trump ha parlato della creazione del “Dipartimento per l’Efficienza Governativa” (DOGE), guidato da Elon Musk, con l’obiettivo di eliminare gli sprechi e le frodi nel settore pubblico. Il Presidente ha elencato una serie di esempi di spese pubbliche che ha definito “assurde”, tra cui finanziamenti per programmi di diversità, equità e inclusione (DEI). Queste spese, secondo Trump, rappresentano un uso irresponsabile dei soldi dei contribuenti e devono essere eliminate.
Il Presidente ha promesso di invertire le politiche “woke” che, a suo dire, hanno minato i valori tradizionali americani. Ha annunciato la fine delle politiche DEI, il ripristino della libertà di parola, la dichiarazione dell’inglese come lingua ufficiale e il divieto agli uomini di partecipare agli sport femminili. Quest’ultima misura, in particolare, è stata presentata come una difesa delle atlete donne e un rifiuto dell’ideologia di genere.
Trump ha promesso di combattere le frodi e l’incompetenza presenti nel programma di previdenza sociale, sottolineando l’importanza di proteggere gli anziani e le persone vulnerabili. Ha citato dati “scioccanti” sui beneficiari della previdenza sociale, suggerendo che il sistema è afflitto da irregolarità e abusi.
Nonostante il tono celebrativo e ottimista, il discorso di Trump è stato segnato da critiche aspre nei confronti dei Democratici e delle politiche dell’amministrazione precedente. Il Presidente ha accusato i Democratici di non sostenere le sue politiche e di essere ostili al suo programma di cambiamento. Ha attaccato l’amministrazione Biden per aver causato una “catastrofe economica” e un’inflazione galoppante, e di aver generato l’aumento dei prezzi dell’energia e dei generi alimentari.
Tuttavia, Trump ha anche lanciato un appello all’unità e alla collaborazione, invitando i Democratici a unirsi a lui nel celebrare i successi dell’America e nel lavorare insieme per il bene della nazione. Ha esortato il Congresso a mettere da parte le divisioni partitiche e a concentrarsi sulla realizzazione di un futuro migliore per tutti gli americani.
Il discorso di Donald Trump al Congresso ha delineato un’agenda politica radicale e trasformativa, volta a smantellare le politiche dell’amministrazione Biden e a ripristinare i valori tradizionali americani. Le politiche proposte dal Presidente avranno un impatto significativo su una vasta gamma di settori, dall’economia all’energia, dall’immigrazione alla cultura.
Le implicazioni del discorso sono molteplici. In primo luogo, segnala un’intensificazione della polarizzazione politica negli Stati Uniti. Le critiche aspre di Trump nei confronti dei Democratici e la sua retorica incendiaria rischiano di esacerbare le divisioni esistenti e di rendere più difficile la cooperazione bipartisan.
In secondo luogo, il discorso riflette una visione del mondo populista e nazionalista. Trump si presenta come un difensore degli americani comuni e promette di proteggere i loro interessi dalle minacce esterne e interne. La sua enfasi sull’indipendenza energetica, sulla sicurezza dei confini e sulla lotta contro le politiche “woke” risuona con una parte significativa dell’elettorato americano.
In terzo luogo, il discorso solleva interrogativi sulla sostenibilità economica e ambientale delle politiche proposte. La promozione dell’estrazione di combustibili fossili e il ritiro dagli accordi internazionali sul clima potrebbero avere conseguenze negative sull’ambiente e sulla salute pubblica. Allo stesso modo, i tagli alla spesa pubblica e la deregolamentazione potrebbero compromettere i servizi sociali e la protezione dei lavoratori.
Il discorso di Donald Trump al Congresso ha segnato l’inizio di una nuova era nella politica americana. Le sue politiche radicali e la retorica che li caratterizza hanno il potenziale per trasformare profondamente il paese, ma anche per accentuare le divisioni esistenti e disturbare il dialogo tra le forze politiche. Il Presidente ha i numeri nel Congresso per realizzare la sua visione di un’America rinata e allo stato attuale il programma politico dispone del sostegno necessario per superare le sfide che lo attendono.
In conclusione, il discorso di Trump è un manifesto politico che segna un cambio di paradigma e apre scenari inediti e, per molti versi, imprevedibili anche se il Presidente non si è sbilanciato sul versante della politica estera se non relativamente alla questione dei confini con il Messico, preferendo parlare dell’opera di prosciugamento della “palude” che assorbe risorse sottraendole allo sviluppo del paese. In alcuni passi soprattutto quelli dedicati al commercio internazionale si prefigura quasi un regime “autarchico” nel senso di auspicare un maggior consumo di prodotti soprattutto agroalimentari da parte del consumatore americano.
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Ora è stato confermato che Trump ha tagliato sia gli aiuti militari ucraini che lo scambio di informazioni, cosa che ha messo in difficoltà l’élite europea.
Tuttavia, come per ogni cosa che riguarda i recenti diktat di Trump, ci sono sfumature e avvertenze. Ci sono varie affermazioni sulla reale “portata” dei tagli. Alcune fonti sostengono addirittura che l’Ucraina continui a ricevere informazioni:
L’Ucraina continua a ricevere informazioni dagli Stati Uniti, ha dichiarato mercoledì a Bloomberg News un funzionario di Kiev che ha chiesto di rimanere anonimo.
Un altro:
Gli Stati Uniti hanno sospeso il trasferimento all’Ucraina di dati di intelligence che potrebbero essere utilizzati per colpire in profondità il territorio russo, ha riferito Sky News, citando una fonte ucraina.
Secondo quest’ultima, il processo di scambio di informazioni tra Washington e Kiev non è stato completamente interrotto.
Altre fonti hanno affermato che la sospensione dello scambio di informazioni è “selettiva”, confermando quanto sopra:
La sospensione del trasferimento di informazioni statunitensi a Kiev è di natura “selettiva”, ma priverà le forze armate ucraine di dati che consentirebbero loro di colpire in profondità in Russia, riferisce Sky News.
Una fonte afferma che gli Stati Uniti hanno interrotto i dati relativi ai bersagli letali, ma continuano a trasmettere dati “difensivi”, come informazioni sugli attacchi russi in arrivo, ecc..
La CBS riferisce che gli Stati Uniti continuano a trasmettere dati difensivi all’Ucraina.
Secondo tre fonti anonime dell’amministrazione statunitense, Washington ha sospeso lo scambio di dati cosiddetti “letali”, comprese le informazioni per il puntamento degli HIMARS.
Tuttavia, le informazioni difensive necessarie per la protezione continuano a essere ricevute.
E altre fonti, come il FT in questo caso, riferiscono che gli altri membri dei Five Eyes continueranno comunque a “passare” l’intelligence statunitense all’Ucraina:
Il Financial Times aggiunge alcuni dettagli sull’interruzione dell’intelligence: “Mentre gli Stati Uniti hanno anche formalmente bloccato i loro alleati dal condividere l’intelligence statunitense con l’Ucraina, due funzionari hanno detto che i destinatari con beni all’interno del Paese probabilmente continueranno a trasmettere a Kiev informazioni rilevanti.Ma questo non si applicherà all’intelligence sensibile al tempo e di alto valore, come quella necessaria all’Ucraina per condurre attacchi di precisione su obiettivi russi mobili”.
La maggior parte delle persone non sa quanto le reti dei Five Eyes siano “leaky”: le informazioni vengono facilmente trasmesse a chiunque le voglia o ne abbia bisogno. Basti ricordare Jack Teixeira, un tecnico informatico della Guardia Nazionale che aveva pieno accesso alle reti e ai database della CIA con tutte le informazioni “altamente classificate” aggiornate. Si potrebbe sostenere che il divieto di Trump alla condivisione di informazioni sia solo di natura esecutiva, con la piena consapevolezza che le informazioni continueranno facilmente a trovare la strada per l’Ucraina.
Un’altra fonte sostiene che la NATO stia già raccogliendo il testimone:
Specialisti della NATO provenienti da Francia, Norvegia, Gran Bretagna e Romania sono stati schierati in battaglia per salvare le forze armate ucraine dalla “cecità” dell’LBS.
Le stazioni SIGINT delle basi aeree NATO in Lituania, Romania, Germania e Turchia operano a pieno regime. L’attività degli aerei da ricognizione AWACS francesi e britannici lungo i confini dell’Ucraina è stata incrementata.
Un altro rapporto, non corroborato, ha rilevato che:
Ai posti di comando delle Forze armate ucraine, il monitoraggio della battaglia e i feed satellitari online su tablet e schermi televisivi sono stati effettivamente scollegati. L’Armée de l’air et de l’espace francese sta cercando da tre giorni di collegare i bunker di comando delle Forze armate ucraine ai canali di comunicazione dei loro comandi operativi CDAOA e CFAS.
La stessa cosa sta avvenendo per la RAF e la RNS britanniche.
Come tale, le aspettative dovrebbero essere temperate su quanto drastici saranno gli effetti delle varie revoche degli aiuti da parte di Trump effettivamente, almeno nel breve termine.
Un analista russo scrive:
La situazione del presunto arresto del trasferimento di dati di intelligence è duplice.
Da un lato, le Forze armate ucraine potrebbero non ricevere più informazioni sensibili dagli americani. Ma questo non influisce sull’attività degli aerei da ricognizione della NATO nel Mar Nero. In questo momento, tre velivoli stanno operando sopra la Romania: un Boeing P-8A Poseidon della Marina statunitense, un Bombardier Challenger 650 Artemis e un Gulfstream G550 dell’intelligence elettronica dell’Aeronautica militare italiana, che è relativamente rara in quest’area.
Il conflitto giuridico in questa vicenda è piuttosto complicato. Da un lato, gli Stati Uniti non trasferiscono alle Forze armate ucraine nulla di quanto raccolto dalle proprie forze. D’altra parte, non si dice una parola sull’aviazione della NATO, che è in grado di trasferire queste informazioni sensibili.
Se quest’ultima affermazione è vera, allora nel complesso – almeno per quanto riguarda l’uso dei veicoli aerei senza pilota ucraini in Crimea e degli UAV nel Mar Nero – non c’è motivo di aspettarsi alcun peggioramento per le Forze armate ucraine.
In secondo luogo, va notato che anche se queste pause negli aiuti e nell’intelligence sono certificabili come reali, non significa che siano destinate a durare. La squadra di Trump sembra ora voler spingere l’Ucraina a negoziare, e la Casa Bianca ha insistito sul fatto che le pause saranno revocate se l’Ucraina si presenterà al tavolo delle trattative:
A parte questo, prendiamoci un momento per ammirare la logica di questo scambio condizionale. Toglieremo il bando sulle armi e vi daremo più armi se verrete al tavolo per firmare un accordo di pace. Ha senso per tutti? Di solito funziona anche il contrario. Perché la Russia dovrebbe accettare un cessate il fuoco o colloqui di pace con un’Ucraina che ora sa che continuerà a ricevere ingenti somme di armi se si siede a negoziare?
Quello che sembra probabile è che la Russia abbia chiesto agli Stati Uniti di smettere di partecipare agli attacchi a lungo raggio contro industrie russe critiche come parte dei negoziati in corso tra Russia e Stati Uniti. Come può la Russia fidarsi degli Stati Uniti quando questi stanno attivamente aiutando l’Ucraina a effettuare dolorosi attacchi a siti strategici russi?
Ora la conversazione si è spostata interamente su quanto l’Ucraina possa resistere con questi tagli agli aiuti e all’intelligence. Sembra che tutti si stiano assestando intorno alla soglia dei 2-4 mesi per quanto riguarda la durata dell’Ucraina. From CNN:
Un esperto ha affermato che la mossa si farà sentire entro due o quattro mesi, poiché gli aiuti dei Paesi europei aiutano Kyiv a rimanere in lotta per il momento. “L’impatto sarà grande. Lo definirei paralizzante”, ha dichiarato Mark Cancian, consulente senior del Center for Strategic and International Studies che ha seguito da vicino la guerra.
“Quando i rifornimenti vengono dimezzati, alla fine questo si manifesta in prima linea”, ha detto Cancian. “Le loro linee del fronte continuerebbero a cedere e alla fine si romperebbero e l’Ucraina dovrebbe accettare un accordo di pace sfavorevole, persino catastrofico”.
L’articolo cita il tenente generale ucraino Romanenko:
“L’Europa non può assolutamente sostituire gli aiuti americani” ha dichiarato il mese scorso l’ex vice dello Stato Maggiore dell’esercito ucraino, il tenente generale Ihor Romanenko.
L’Ucraina stessa ha sfornato droni e costruito sistemi di artiglieria di produzione nazionale e prevede di spendere il 26% del suo budget per la difesa quest’anno. Ma alcuni alti funzionari ucraini affermano che le forze armate si troveranno in grave difficoltà se non verrà ripristinato il sostegno americano.
“L’Ucraina ha sicuramente un margine di sicurezza di circa sei mesi anche senza l’assistenza sistematica degli Stati Uniti, ma sarà molto più difficile, ovviamente” ha dichiarato martedì all’agenzia di stampa RBC-Ucraina un legislatore, Fedir Venislavskyi.
L’articolo prosegue affermando che, sebbene la quota di aiuti degli Stati Uniti all’Ucraina sia diminuita rispetto a quella dell’Europa, quella americana è di gran lunga la più letale e “critica” degli aiuti; in primo luogo probabilmente si riferiscono ai missili HIMARS, ATACMS e Patriot.
L’aspetto più cruciale per l’intelligence statunitense è stato quello di consentire attacchi di precisione sul territorio controllato dai russi. “Obiettivi statici come fabbriche o impianti petroliferi” sono “qualcosa che possiamo fare da soli”, ha detto Narozhny. “Ma siamo stati in grado di colpire centri di comando, uccidere generali, e questo è stato fatto probabilmente con l’aiuto dell’intelligence statunitense”.
Come ho detto prima: Credo che sia troppo presto per festeggiare. Tutte le congetture di cui sopra dipendono interamente da che tipo di “pausa” negli aiuti sia realmente questa. È possibile che Trump stia solo mettendo in riga Zelensky e che intenda riprendere gli aiuti a breve, anche se parzialmente. Naturalmente, in entrambi i casi non è di buon auspicio per l’Ucraina: sto semplicemente mettendo in guardia dal celebrare un crollo immediato dell’AFU.
La Germania ha raggiunto il limite della sua capacità di trasferire armi dai suoi arsenali all’Ucraina – Ministero della Difesa tedesco
“Trasferimenti simili (di armi) sono già avvenuti dalla Bundeswehr all’Ucraina. Tuttavia, in questo caso è stato raggiunto un limite naturale, poiché nelle nuove condizioni è necessario rafforzare le capacità di difesa dell’Europa e, in coordinamento con altri Paesi, garantire che ciascuno di essi sia ben rifornito”, ha detto Stempfle, un rappresentante del Ministero della Difesa tedesco, durante un briefing, rispondendo a una domanda sulla possibilità di trasferire sistemi di difesa aerea Patriot e armi simili.
Il vice capo dell’intelligence della Difesa ucraina Vadim Skibitsky ha fatto alcune affascinanti dichiarazioni in una nuova intervista (versione più lunga). In particolare, che nel gennaio del 2025, la Russia ha raggiunto i suoi obiettivi di reclutamento del 107%; e che nonostante ci sia un “rallentamento” dell’attività sul fronte, Skibitsky lo attribuisce al tempo e alla Russia che si sta riorganizzando e preparando per la prossima fase elevata di assalti:
Il vice capo del GUR, il maggiore generale Vadym Skibitsky, ha rilasciato un’altra intervista con alcuni dati utili. Ha notato che l’intensità delle operazioni di combattimento russe e il numero di assalti è diminuito di recente, ma ha detto “una riduzione dell’attività di combattimento non significa che i piani del nemico siano cambiati. Questo tempo viene utilizzato per pianificare ulteriori offensive, addestrare il personale, rifornirsi di munizioni e prepararsi per futuri assalti”. Ha aggiunto che la Russia si sta riorganizzando e sta reintegrando le perdite in combattimento, e che anche le condizioni meteorologiche hanno un impatto diretto sul ritmo delle ostilità.
Ha dichiarato che la componente terrestre russa in Ucraina e nella regione di Kursk è di 620.000 soldati, di cui oltre 200.000 in unità d’assalto e 35.000 della Rosgvardia. Ha dichiarato che la Russia prevede di reclutare 343.000 soldati a contratto nel 2025, ma ha notato che negli anni precedenti ha reclutato più soldati di quanto inizialmente previsto.
Afferma che la Russia aveva pianificato di reclutare 375.000-380.000 soldati nel 2024, ma che alla fine ne ha reclutati 440.000. .
Ha dichiarato che la Russia ha rispettato il 107% del suo piano di reclutamento per gennaio e che la quota di soldati a contratto reclutati da prigioni o sotto inchiesta aumenterà dal 15% nel 2024 al 30% nel 2025.
Ha dichiarato che la Russia prevede di formare nuove unità nei distretti militari di Mosca, Leningrado, Sud e Centrale, compreso il rafforzamento delle brigate in divisioni.
Ora l’Europa sta di nuovo favoleggiando una fantomatica era di riarmo per un valore di mille miliardi di dollari. L’eco-camera che le élite sature hanno creato per se stesse deve essere al massimo della forza ermetica, perché ora tutto questo non è solo al limite della mania totale.
Il duo di cagnolini della regina del letame von der Leyen e del suo vile consorte Merz guida la carica:
Ma questo avviene in un momento di crisi sempre più profonda in Germania:
Il giorno peggiore per i titoli decennali tedeschi dagli anni ’90. Il mercato sta valutando un’inflazione del +6% per le azioni. Il nuovo governo sta facendo la storia prima di entrare in carica.
Il mercato del debito europeo non vedeva un tale disastro da molto tempo. Le obbligazioni tedesche stanno concludendo la loro giornata peggiore dal crollo dell’Unione Sovietica.
Se l’Europa vuole sostituirsi agli Stati Uniti nel finanziamento dell’Ucraina, sarà estremamente costoso e i politici rischieranno un crollo del loro rating.
Quanti lavoratori italiani vorranno finanziare l’Ucraina quando i loro mutui a tasso variabile aumenteranno di 200 euro al mese a partire da aprile?
A quanto pare, questo non è un grosso ostacolo per gli eurocrati guerrafondai che continuano ad andare avanti a tutti i costi verso la guerra. Di concerto con i suoi colleghi, Macron ha appena tenuto un discorso straordinario alla nazione, durante il quale ha fatto diverse dichiarazioni sorprendenti. Innanzitutto ha affermato che l’Europa conoscerà la pace solo quando la Russia sarà sottomessa, sostenendo che la Francia è ora sottoposta a una sorta di grave minaccia da parte della Russia. Per intensificare la sua inutile sciabolata, ha invocato le armi nucleari della Francia come “difensori dell’Europa”:
Ha poi continuato a paventare la crescente forza dell’esercito russo, sostenendo che entro il 2030 la Russia creerà altri 3 milioni di truppe e 4.000 carri armati:
Qualcuno può illuminarmi su quale possibile “minaccia” la Russia rappresenta per la Francia? E come o perché la Russia potrebbe mai attaccare la Francia?
Almeno mettete un po’ di impegno nella propaganda della paura per dare un minimo di senso.
A proposito, nel tipico stile dei politici, ecco le promesse di Merz prima della campagna elettorale riguardo al debito della Germania:
Era un oppositore del debito, tranne quando si trattava di 900 miliardi di euro per combattere la Russia.
Ma come al solito, finora i piani dei burattini globalisti hanno avuto un inizio difficile. L’Ungheria ha già respinto il piano della von der Leyen di 20 miliardi di euro per l’Ucraina, mentre la Francia sarebbe in conflitto con il Regno Unito per il furto dei “fondi confiscati” alla Russia.
Sono emerse tensioni tra Francia e Regno Unito sulla possibilità di sequestrare 350 miliardi di dollari di beni russi congelati per poi offrirli agli Stati Uniti per l’acquisto di attrezzature di difesa, vincolando l’America alla difesa dell’Europa.
Macron teme che questo approccio possa violare il principio dell’immunità dei beni sovrani e minare gli sforzi per rafforzare la difesa europea.
Come previsto, il complesso mediatico-militare-industriale ha coordinato la segnalazione in tutta Europa. Basta guardare questo stupendo titolo:
Non si preoccupano nemmeno più di mascherarlo: dimenticate il welfare, i servizi sociali e la prosperità – solo la guerra può salvarci! Avete mai assistito a un tale abbandono del buonsenso?
L’unico modo per salvare questo continente colpito è che Trump si ritiri completamente dalla NATO – di fatto, se non di diritto, andrebbe bene – e permetta ai comprador malati di affondare con la nave, in modo che una nuova generazione possa passare attraverso e mettere in campo un ritorno di una parvenza di buon senso, umanità e responsabilità civico-politica.
Basta considerare quanto sia peggiorata la situazione: il governo tedesco odia i propri cittadini a tal punto da combattere per impedire che i propri sistemi energetici sabotati vengano riavviati:
Che livello di distopia alla Black Mirror è questo? È semplicemente inconcepibile che un’unione politica fondata su una leadership così palesemente in malafede e in tale contraddizione ideologica con il suo stesso popolo possa sopravvivere ancora a lungo; stiamo semplicemente raggiungendo i livelli massimi di un governo crudelmente disumano da parte di “leader” che odiano i loro cittadini e li considerano solo come scomodi ostacoli verso ossessioni geopolitiche monomaniacali.
Ecco, questo è il giusto finale di questa sezione:
Un ultimo paio di articoli disparati:
Alcuni giorni fa gli Iskander russi sono piombati su una sessione di addestramento ucraino in campo aperto. I risultati sono stati così gravi che è diventato uno scandalo aperto in Ucraina, con perfino alti funzionari e pubblicazioni che hanno rivelato apertamente le vittime, tra cui 150 morti dell’AFU e 30 morti tra gli istruttori della NATO:
L’area di addestramento è stata colpita con Iskanders a testata a grappolo. Ora l’AFU ha avviato ogni sorta di “indagine” interna.
La verità è che queste sono più comuni di quanto molti sappiano, e vengono semplicemente nascoste sotto il tappeto. Ecco un altro di un paio di settimane fa, se riuscite a sopportarlo.
Proprio questa notte, un altro attacco ha raso al suolo un hotel di Krivoy Rog dove si sospettava soggiornassero truppe straniere:
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Ci sono alcune occasioni, fortunatamente rare, in cui ci si rende conto che è in corso una svolta storica. Si guarda il calendario e si prende nota della data: questo momento preciso rimarrà impresso nella storia. Invariabilmente, queste occasioni comportano un aspetto di orrore surreale: tutti ricordano dove si trovavano l’11 settembre, turbati e affascinati nel vedere le Torri Gemelle bruciare e poi crollare. Il tentativo di assassinio di Donald Trump del 13 luglio 2024 ha avuto la qualità dell’evento storico evitato per un pelo. Quel giorno, una frazione di centimetro ha fatto la differenza: invece di girare la storia, il Presidente ha girato la testa.
Il 24 febbraio 2022 è stato un altro giorno storico. Ormai noto come “Giorno Z” (dal nome dei contrassegni tattici “Z” sui veicoli russi), l’inizio della guerra russo-ucraina è stato un momento spartiacque nella storia mondiale, che ha riportato la guerra ad alta intensità in Europa per la prima volta dopo generazioni e segnalato il ritorno della politica delle grandi potenze.
L’anniversario della guerra di quest’anno – la terza Giornata Z – è stato il primo a verificarsi sotto la nuova amministrazione Trump e per molti è stato segnato dall’ottimismo che il nuovo Presidente degli Stati Uniti possa fare passi avanti verso una soluzione negoziata per porre fine alla guerra. Mentre l’amministrazione Biden si è accontentata di continuare a convogliare armi e fondi in Ucraina a tempo indeterminato, il Presidente Trump ha ripetutamente dichiarato di voler porre fine alla guerra. Il cambiamento di posizione dell’America è stato drammaticamente illustrato la scorsa settimana, quando il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky è stato cacciato senza tanti complimenti dalla Casa Bianca dopo uno scontro nello Studio Ovale.
Mentre il mondo attende il prossimo atto, vale la pena di fare un bilancio della storia fino ad ora e di considerare ciò che si è imparato da essa. Da tre anni di guerra si possono trarre tre lezioni.
1. La grande guerra è tornata
Quando la guerra civile americana iniziò nel 1861, entrambe le parti condividevano un senso di tranquillità. Sia i Confederati che gli uomini dell’Unione pensavano che la questione si sarebbe risolta rapidamente a loro favore. Il Presidente Lincoln lanciò un appello per l’arruolamento di soli 75.000 volontari per un periodo di soli tre mesi. I reclutamenti confederati erano di durata altrettanto breve. Un uomo vedeva le cose in modo diverso. “È come tentare di spegnere le fiamme di una casa in fiamme con una pistola ad acqua”, scrisse William Tecumseh Sherman a proposito della campagna di reclutamento di Lincoln. “Penso che sarà una guerra lunga, molto lunga, molto più lunga di quanto qualsiasi politico pensi”.
Sherman aveva ragione, ovviamente. Alla fine della guerra, quattro anni dopo, 700.000 americani erano morti. Questa storia non è affatto unica. La storia è piena di guerre iniziate con l’aspettativa di una rapida vittoria, per poi trasformarsi in un interminabile massacro, lasciando dietro di sé sopravvissuti sfregiati, spaventati ed esausti.
Le guerre sono facili da iniziare ma spesso difficili da portare a termine, e i contendenti tendono a ottenere eventi più gravi di quelli che si aspettavano. L’umanità ha imparato nuovamente questa lezione in Ucraina. Inoltre, nonostante la presenza di sistemi d’arma sofisticati e di capacità di attacco di precisione, la guerra sembra essere tornata a una forma che ricorda le guerre mondiali del XX secolo, con una massiccia base industriale che alimenta eserciti giganteschi. Non siamo più nell’era degli attacchi chirurgici. L’Ucraina e la Russia hanno combattuto un conflitto esteso, estenuante e sanguinoso su migliaia di chilometri di territorio conteso. La lezione è chiara: la Grande Guerra è tornata.
La quantità di materiale utilizzato in Ucraina è impressionante. Alla vigilia della guerra, l’esercito ucraino era il più grande e meglio equipaggiato d’Europa. I parchi carri armati e obici ucraini erano i secondi in Europa, dietro solo ai russi. Da allora, i patrocinatori occidentali dell’Ucraina hanno consegnato più di 7.100 veicoli corazzati, oltre a 6.000 veicoli di mobilità per la fanteria non corazzati come gli Humvee: più veicoli corazzati di quelli utilizzati dalla Wehrmacht nell’Operazione Barbarossa, ovvero la più grande e devastante campagna della storia.
L’enorme portata del conflitto tra Russia e Ucraina non si limita ai veicoli blindati, ma si estende anche alle munizioni e ai sistemi di attacco. Il pezzo più richiesto della guerra è il proiettile dell’obice. All’inizio del conflitto, le forze russe sparavano 60.000 proiettili al giorno. Sebbene questo numero sia diminuito con l’esaurimento delle riserve e le limitazioni imposte dal ritmo di produzione, la Russia spara ancora circa 10.000 granate al giorno. Prima della guerra, la produzione americana di granate era di 14.000 granate al mese. Anche se sono in corso sforzi per portarla a 100.000 proiettili al mese, rimane un divario impressionante con la produzione e la spesa osservata in Ucraina.
Le forze sostenute dagli Stati Uniti potrebbero aspettarsi di utilizzare la potenza aerea come parziale sostituto degli obici e dei missili a terra, ma i calcoli sono altrettanto scoraggianti. Nell’agosto del 2024, il Ministero della Difesa ucraino ha calcolato un totale di 9.590 missili e 14.000 droni lanciati dalla Russia dall’inizio della guerra. In confronto, la produzione americana del venerabile missile Tomahawk si aggira intorno ai 100 esemplari all’anno. Il missile Joint Air-to-Surface Standoff mostra numeri migliori, con un ritmo di 550 all’anno, ma è ancora molto lontano dai totali russi. La realtà è che la produzione americana di missili è insufficiente a coprire l’uso attuale, anche senza la prospettiva di una grande guerra futura;
Anche la produzione di intercettori americani per la difesa aerea è molto inferiore ai tassi di spesa in Ucraina. Il missile PAC-3, utilizzato dal famoso sistema di difesa aerea Patriot, viene prodotto al ritmo di 230 all’anno: abbastanza per caricare circa sette batterie Patriot con una singola salva ciascuna.
La portata della campagna aerea russa ha spinto al limite la rete di difesa aerea ucraina, e non è cosa da poco. L’Ucraina ha iniziato la guerra con la rete di difesa aerea più fitta di qualsiasi altro Stato in Europa. Quando l’Unione Sovietica si è disintegrata, l’Ucraina ha ereditato l’equivalente di un intero distretto di difesa aerea sovietico, comprese centinaia di lanciatori. Esaurire questa difesa, nonostante i sostegni forniti da decine di sistemi donati dall’Occidente, è stato un compito enorme.
Le discussioni sui numeri di produzione dei vari sistemi militari possono facilmente degenerare nell’autismo di una sfilata infinita di acronimi: intercettori PAC-3, o JASSM, o ATACM, o altri sistemi in gioco. Il punto principale è la questione di scala. Di solito, i sistemi di fabbricazione americana sono almeno marginalmente migliori degli equivalenti russi, ma la guerra in Ucraina è stata soprattutto una questione di capacità di scala. Sia la Russia che l’Ucraina hanno mobilitato milioni di uomini e coordinato un’enorme produzione di granate, missili, veicoli e altro materiale per tre estenuanti anni.
Artiglieri ucraini sparano con un obice M777 verso le posizioni russe sulla linea del fronte dell’Ucraina orientale, durante l’invasione russa del Paese. (23 novembre 2022)
Le dimensioni della guerra in Ucraina sottolineano il ruolo che gli Stati Uniti sarebbero costretti a svolgere in qualsiasi guerra di terra analoga. L’Ucraina ha attualmente più di 75 brigate in linea. L’esercito francese, nel complesso il migliore tra gli alleati NATO degli americani, mantiene solo otto brigate da combattimento sotto il suo Comando delle forze terrestri. I contributi dei membri ausiliari della NATO (Danimarca, Estonia, ecc.) sarebbero trascurabili. In una guerra continentale, gli Stati Uniti farebbero il lavoro pesante, rendendo banali i dibattiti sugli obiettivi di spesa militare della NATO;
In un’epoca di Grande Guerra, il 2% del PIL della Lettonia, ad esempio, significa ben poco. La Grande Guerra richiede la capacità di mobilitare personale e industria su una scala per la quale gli Stati occidentali non sono preparati e che le popolazioni occidentali troverebbero sconvolgente. Ciò solleva una questione inquietante. Per molti decenni, il pubblico americano ha abitato un mondo in cui la guerra è un’astrazione remota. Persino la guerra in Vietnam, per quanto socialmente dirompente, non ha avuto un impatto drastico sul ritmo quotidiano della vita in America, e le guerre di Bush in Afghanistan e in Iraq hanno avuto conseguenze ancor minori sulla vita quotidiana degli USA. La Grande Guerra, tuttavia, promette qualcosa di diverso: mobilitazione diffusa, potenziali privazioni e perdite significative.
Le istituzioni militari occidentali non ignorano questa prospettiva. Ad esempio, un documento del 2023 pubblicato dall’US Army War College avverte che una guerra di terra ad alta intensità, sulla falsariga dell’attuale conflitto in Ucraina, potrebbe costare agli Stati Uniti un tasso di perdite sostenuto fino a 3.600 vittime al giorno. A titolo di paragone, le vittime americane in due decenni di guerra in Iraq e Afghanistan sono state in totale circa 50.000. Il documento conclude che le forze armate americane, già limitate da una riserva individuale di pronto intervento in diminuzione e da un reclutamento in calo, non sono attualmente preparate per questo tipo di conflitto e che le operazioni di terra su larga scala costringerebbero gli Stati Uniti ad adottare una coscrizione parziale.
Questo tipo di analisi è preoccupante ma anche confortante: è positivo che almeno qualcuno presti attenzione. Ma non è chiaro se né i politici americani né il pubblico americano ne abbiano assorbito il significato. È facile mobilitare il sentimento pubblico contro la Russia, il nemico familiare dei nostalgici della Guerra Fredda, ma generare entusiasmo per migliaia di vittime quotidiane e per il ritorno del servizio di leva è diverso;
Alla fine, il modo migliore per vincere in un’epoca di Big War è probabilmente quello di evitare del tutto la guerra.
2. Il campo di battaglia è vuoto
La storia della violenza organizzata dell’umanità è iniziata in una regione tuttora segnata dalla violenza: il confine tra l’odierno Libano e la Siria, dove il faraone egiziano Ramesse II combatté una grande battaglia contro l’impero ittita nel 1274 a.C.. La battaglia di Kadesh, che prende il nome da una vicina città antica, è famosa per essere la prima battaglia della storia di cui si conoscono informazioni dettagliate sulle manovre tattiche, grazie a una serie di rilievi murali, testi e iscrizioni egizi.
A Kadesh e per la maggior parte dei 3.300 anni successivi, i vecchi eserciti si combattevano generalmente in piedi e marciando l’uno verso l’altro allo scoperto. Dalle falangi greche alle legioni romane, fino ai granatieri, gli eserciti rendevano inconfondibile la loro presenza con uniformi e stendardi sgargianti. Né l’oplita greco, con la sua lucente armatura di bronzo e il pennacchio di crine, né la Giubba Rossa britannica con la sua uniforme scarlatta, cercavano di nascondersi dal nemico.
A metà del XIX secolo, questa tattica cominciò a cambiare. Durante la guerra civile americana, gli eserciti utilizzarono trincee e sbarramenti di terra per proteggersi dai colpi di arma da fuoco. Alla fine del secolo, le guerre boere dimostrarono che le armi da fuoco a canna rigata potevano causare danni immensi alla fanteria in campo aperto. Infine, la Prima Guerra Mondiale, che combinò il fuoco dei fucili, delle mitragliatrici e degli obici, fece correre tutti al riparo.
In sostanza, la storia della guerra può essere divisa in due epoche distinte. La prima epoca, che è durata dalla battaglia di Kadesh all’assedio di Vicksburg (3.137 anni), è stata un’epoca di eserciti che stavano eretti in formazione. La seconda epoca, quella attuale, è l’epoca del campo di battaglia vuoto, in cui i soldati passano la maggior parte del tempo a cercare di nascondersi dal nemico.
La guerra in Ucraina ha dimostrato che l’era del campo di battaglia vuoto si sta intensificando. Il coefficiente più potente sul campo di battaglia oggi è il nesso tra i moderni sistemi ISR (Intelligence, Surveillance, Reconnaissance) e i sistemi di attacco di precisione. Questa potenza viene esercitata attraverso droni di tutti i tipi: droni spotter che sorvegliano il campo di battaglia e droni strike che includono unità First Person View (FPV). La capacità delle forze ucraine e russe di sorvegliare e colpire il campo di battaglia è così precisa che possono individuare e colpire i veicoli e le posizioni nemiche in particolari punti di vulnerabilità: i filmati dei droni FPV che volano attraverso le porte e le finestre dei punti di forza nemici sono ormai ovunque.
Nei campi di battaglia moderni, nascondersi è ormai un’abilità fondamentale. Qualsiasi cosa (o persona) che possa essere vista può essere colpita e distrutta. La guerra elettronica a tappeto, che può negare lo spazio aereo ai droni nemici, è ancora lontana e, finché non arriverà, la capacità di ottenere vittorie decisive è diventata molto difficile. Gli eserciti sono costretti a disperdersi e a nascondersi per evitare i sistemi di sorveglianza e di attacco nemici e, quindi, hanno difficoltà a prendere slancio. Questa realtà è stata testimoniata all’inizio della guerra dai successi dell’Ucraina nell’uso di sistemi missilistici americani per colpire i depositi di munizioni russi – in risposta, la Russia ha disperso e nascosto i suoi depositi di rifornimento. La dispersione si è verificata anche per quanto riguarda gli uomini e i veicoli: nonostante il gran numero di persone mobilitate da entrambe le parti, le azioni di assalto sono regolarmente condotte da gruppi relativamente piccoli (spesso delle dimensioni di una compagnia o inferiori), in quanto sono le uniche forze che possono essere organizzate in modo sicuro per attaccare.
Un soldato dell’unità speciale di ricognizione aerea della Polizia nazionale ucraina Khyzhak tiene in mano un drone FPV durante le ostilità, regione di Donetsk, Ucraina. (14 dicembre 2024)
Finché la nuova tecnologia non sarà in grado di fornire un modo affidabile per disturbare i droni, i campi di battaglia continueranno a svuotarsi. Con l’espansione dell’intelligenza artificiale militare e delle procedure algoritmiche di selezione dei bersagli, non sarà più sufficiente nascondersi visivamente, nelle fortificazioni e sotto i camuffamenti: diventerà importante anche disperdere le truppe in modo da confondere gli algoritmi di sorveglianza. I soldati del futuro possono aspettarsi di passare la maggior parte del tempo a nascondersi. Di conseguenza, è probabile che le guerre del futuro siano più combattute e meno decisive di quelle a cui l’opinione pubblica occidentale si è abituata. I moderni sistemi di sorveglianza e di attacco rendono difficile e costosa la manovra sul campo di battaglia. Ciò è stato ampiamente dimostrato nel 2023, quando una controffensiva ucraina, equipaggiata, pianificata e addestrata dalla NATO, si è conclusa con un catastrofico fallimento.
L’opinione pubblica americana vorrebbe che le sue guerre assomigliassero all’operazione Desert Storm del 1991, che fu vinta in modo decisivo in poche settimane con meno di 300 vittime. È relativamente facile mobilitare il sostegno pubblico per guerre come questa, che sono brevi, decisive e relativamente incruente. È molto più difficile generare sostegno per qualcosa che si avvicina di più alla Prima Guerra Mondiale. Come ha dimostrato la guerra del Vietnam, è probabile che l’opinione pubblica americana si stanchi rapidamente di un massacrante combattimento all’altro capo del mondo;
La grande guerra del XXI secolo sarà probabilmente anche una guerra lenta, e al pubblico non piacerà affatto.
3. Le sfere di influenza sono reali.
Uno dei grandi paradossi del mondo contemporaneo è la natura autoconclusiva del potere americano. Gli Stati Uniti sono stati dominanti nel mondo per tre decenni dopo la caduta dell’URSS; uno degli effetti di questa potenza è stato il successo nell’ammantarsi di un internazionalismo guidato dal consenso;
Le guerre americane in Medio Oriente ne sono un esempio. L’invasione dell’Iraq nel 2003, ad esempio, ha visto la partecipazione di una “coalizione dei volenterosi”, che nominalmente includeva Paesi come Estonia, Islanda, Honduras e Slovacchia. Sebbene il contributo militare di questi Stati sia trascurabile, la loro partecipazione è stata essenziale per mascherare la capacità e la volontà dell’America di agire unilateralmente.
Fondamentalmente, mentre la potenza americana era incontrastata, la politica estera americana è sempre stata attenta a non avallare l’idea che “la forza crea il diritto”. In effetti, l’evitamento performativo di un mondo basato sulla potenza militare è stato un mattone fondamentale dell’attuale ordine mondiale. Anche se il potere colossale dell’America animava l’intero sistema, il mondo ha formalmente sconfessato la teoria classica della geopolitica che riconosceva il potere statale al suo centro.
Insieme al rifiuto formale del potere statale come moneta corrente degli affari mondiali, paradossalmente reso possibile solo dal potere statale degli Stati Uniti, è arrivato anche il rifiuto di idee come le “sfere di influenza” – il principio secondo cui gli Stati potenti ottengono naturalmente il diritto di influenzare gli affari dei loro vicini più deboli. L’idea delle sfere di influenza è fondamentale per la politica internazionale: nella storia americana è incarnata dalla Dottrina Monroe;
Oggi, una fazione ascendente nella politica estera americana cerca di tornare a questo principio e di riorientarsi verso una politica estera “emisferica” incentrata sulla garanzia del dominio nelle Americhe, piegando il Canada alla sottomissione e acquisendo la Groenlandia e il Canale di Panama. E non c’è da stupirsi. La guerra in Ucraina ha dimostrato che le sfere di influenza sono reali, non solo come costrutto astratto di una teoria geopolitica, ma come manifestazione concreta della geografia. La questione non è se una potenza come la Russia, la Cina o gli Stati Uniti “meriti” di avere un’influenza preponderante sui suoi vicini. È piuttosto una questione di fisica;
Prendiamo la logistica. L’Ucraina e la Russia erano entrambe ex repubbliche dell’URSS, con una rete ferroviaria e stradale integrata progettata per sostenere un’unità economica integrata. La leadership sovietica non avrebbe mai immaginato che questo insieme integrato potesse essere frammentato. Da questo punto di vista, le aspettative dei primi anni di guerra secondo cui la Russia avrebbe faticato a sostenere logisticamente una guerra in Ucraina non hanno mai avuto senso: La Russia combatteva su una fitta rete ferroviaria progettata per spostare un’enorme quantità di merci all’interno e all’esterno dell’Ucraina orientale, in una linea del fronte effettivamente più vicina al quartier generale del Distretto militare meridionale russo a Rostov che a Kiev.
L’Ucraina dimostra la necessità di tornare a pensare in modo classico alle sfere di influenza, non come una questione legale o etica, ma come una dimensione della potenza, con implicazioni militari. Gli Stati potenti sono come corpi celesti con un campo gravitazionale. La guerra in Ucraina si è svolta proprio nel ventre della potenza russa. Nonostante le economie molto più grandi dei sostenitori occidentali dell’Ucraina, sono state soprattutto le forze ucraine a soffrire di una diffusa carenza di proiettili e veicoli. Questo non vuol dire che l’economia russa abbia sopportato il peso della guerra senza sforzo, ma ha più che retto;
Un uomo di Stato del XIX secolo non avrebbe mai battuto ciglio all’idea che la Russia potesse sostenere più facilmente una guerra nel proprio cortile imperiale rispetto a una lontana potenza occidentale, nonostante la ricchezza occidentale relativamente maggiore, e avrebbe avuto ragione a non farlo. Questo ha importanti implicazioni per l’alleanza occidentale, perché i possibili futuri teatri di guerra si trovano direttamente sul derma dei loro rivali. Taiwan, ad esempio, si trova ad appena 100 miglia dalla costa del Fujian, una provincia cinese con una popolazione superiore a quella della California. Discutere se i cinesi siano in grado di eguagliare la Marina statunitense non coglie il punto. Ciò che conta, più di ogni altra cosa, è dove si giocherà la partita. L’incapacità della Cina di proiettare la propria potenza contro la costa occidentale dell’America non ha molto a che vedere con il suo potenziale di sostenere una guerra direttamente al largo delle proprie coste, dal momento che, come hanno dimostrato i russi in Ucraina, anche una potenza relativamente povera può trarre vantaggi significativi dal combattere proprio nel proprio cortile.
La guerra in Ucraina è ora a un punto di svolta, con i sostenitori occidentali dell’Ucraina divisi sulla prospettiva di sostenere indefinitamente uno sforzo che si sta sfaldando. Resta da vedere se l’Amministrazione Trump riuscirà a raggiungere un accordo di pace, ma è chiaro che l’entusiasmo di Trump per il progetto bellico ucraino è molto inferiore a quello del suo predecessore;
Sapere a quale tipo di guerra si sta partecipando è fondamentale. È dubbio che l’Europa si sarebbe precipitata in guerra nel 1914 se avesse potuto prevedere la realtà del fronte occidentale. L’Ucraina lascia intendere che le guerre future saranno industriali, con un numero elevato di vittime, caratterizzate da una lentezza angosciante e dal consumo massiccio di biomassa umana e di materiale industriale. La guerra in Ucraina è stata molto più grande, costosa e meno decisiva di quanto gli americani siano abituati a fare e ha dimostrato che il valore militare della ricchezza, della potenza e della sofisticazione tecnologica americana è limitato. Dovrebbe essere colta come un’opportunità per imparare lezioni importanti al fine di evitare disastri ancora peggiori.
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A meno che non abbiate vissuto di recente sotto una roccia, avrete sentito parlare della controversia che circonda l’agenzia per gli aiuti e lo sviluppo all’estero del governo statunitense, chiamata, senza rischio di originalità, USAID. Avrete notato le furiose scazzottate e vi sarete chiesti perché ci sono opinioni così violentemente diverse, quando quasi nessuno sembra sicuro anche dei fatti più elementari.
Non posso pretendere di aver letto tutto quello che è stato scritto sull’argomento, ma quello che ho letto sembra spesso sorprendentemente ignorante non solo sui programmi di aiuto, ma sulle basi stesse del modo in cui i governi si relazionano, interagiscono tra loro e cercano di influenzarsi a vicenda e di influenzare l’opinione pubblica. Ho quindi deciso che poteva valere la pena di scrivere qualcosa su tutto questo. Devo dire subito che non ho alcuna conoscenza di prima mano delle operazioni dell’USAID sul campo, ma da un lato questo non è il mio argomento, e dall’altro quasi nessuno di coloro che ne sono oggetto sembra averne una conoscenza rilevante. Quindi torniamo all’inizio, o se volete alla fase meno uno, e riprendiamo da lì.
I governi perseguono interessi nazionali. Sorprendentemente, quando dico questo, le persone iniziano a muovere i piedi e a sembrare imbarazzate. Le ragioni di questa reazione sembrano essere due, entrambe basate su fraintendimenti. In primo luogo, c’è una sensazione diffusa e semi-articolata che gli Stati liberali, gentili e rispettabili, non debbano perseguire interessi nazionali, perché è in qualche modo sbagliato e indecente farlo. Alla ragionevole domanda: “Di chi dovrebbero perseguire gli interessi?”, di solito si risponde sventolando una mano sui diritti umani, sul diritto internazionale e così via, il che non è una risposta, poiché queste cose non sono necessariamente in conflitto, come spiegherò tra poco. Inoltre, in una democrazia, nessun governo che io conosca è mai stato eletto per perseguire gli interessi di un altro Stato. Ci sembrerebbe strano se Putin annunciasse che la sua politica è quella di perseguire gli interessi nazionali della Cina, e senza dubbio lo farebbe anche il suo elettorato.
In realtà, sarebbe più corretto dire che l’imbarazzo deriva dal parlare di perseguimento dell’interesse nazionale. A sua volta, ciò è dovuto al predominio di una forma particolarmente adolescenziale di teorizzazione delle relazioni internazionali, basata sulle cosiddette concezioni “realiste” o “neorealiste” del mondo come un’arena in cui gli Stati competono continuamente per massimizzare il proprio potere e la propria influenza. Ciò implica un gioco a somma zero, in cui tutti gli interessi nazionali sono in competizione tra loro, e promuovere il proprio interesse nazionale implica danneggiare quello di qualche altra nazione. Quindi, il comprensibile imbarazzo.
Ovviamente, il mondo non funziona davvero così. Come ho sottolineato più volte, il sistema internazionale funziona molto più grazie alla cooperazione che al confronto: se dovesse funzionare solo attraverso il confronto, probabilmente non funzionerebbe affatto. Certo, gli interessi nazionali delle diverse nazioni sono talvolta opposti, e questo è ciò che viene pubblicizzato. Ma se questa fosse la regola, non esisterebbe alcun sistema internazionale. Si tenga inoltre presente che, come ho detto spesso, i diversi interessi nazionali possono essere complementari, e ogni parte ottiene cose molto diverse. Una piccola nazione in una regione instabile accetta di ospitare una base militare straniera: la potenza straniera ottiene una presenza, la piccola nazione ottiene uno status nella regione e maggiore sicurezza nei confronti dei suoi vicini. Entrambi i Paesi promuovono quelli che considerano i loro interessi nazionali, ma in modi completamente diversi. Esistono infatti alcuni beni collettivi internazionali, come la stabilità, la libertà di navigazione, la sacralità delle sedi diplomatiche e molti altri, che sono sufficientemente sensati da essere considerati dalla maggior parte dei Paesi quasi sempre nel loro interesse nazionale, anche se non è detto che due Paesi li considerino esattamente allo stesso modo.
Prendiamo un semplice esempio di come questo funzioni dall’alta politica, prima di addentrarci in altri più strettamente legati all’argomento principale di questo saggio. Dal 1990 il Libano è stato tenuto insieme da una tacita serie di accordi tra influenti potenze regionali e internazionali, in base a quelli che considerano i loro interessi nazionali. Per quindici anni, i siriani hanno occupato gran parte del Paese dopo la guerra civile e, anche quando sono stati espulsi nel 2005, sono rimasti influenti in quella che consideravano un’area strategica fino all’inizio della loro guerra civile nel 2011. Israele desiderava una parte del Libano, ma si rendeva conto che uno Stato crollato avrebbe solo aumentato il potere di Hezbollah. L’Iran voleva uno Stato debole, ma voleva anche che continuasse a esistere, in modo che il suo proxy Hezbollah potesse svolgere un ruolo importante. Le potenze interessate alla sicurezza regionale (Qatar, Egitto, Arabia Saudita) e gli attori internazionali (Stati Uniti e Francia) si sono riuniti nel Gruppo dei Cinque per fare pressione sul sistema politico libanese affinché eleggesse finalmente un presidente e sbloccasse l’impasse. Le motivazioni che li hanno spinti a farlo erano probabilmente almeno in parte diverse in ogni caso, ma ciò che contava era la convergenza e la sovrapposizione di quelli che consideravano i loro interessi nazionali. La batosta subita da Hezbollah l’anno scorso e la caduta del regime di Assad hanno indebolito notevolmente l’Iran, che ha deciso che i suoi interessi nazionali erano meglio serviti dal non provocare ulteriori conflitti. Così il Libano ha ora un Presidente, un Primo Ministro e un Governo come risultato di percezioni dell’interesse nazionale molto diverse ma alla fine convergenti.
Naturalmente, è del tutto giustificata la cautela con cui il termine viene utilizzato troppo liberamente, come se si trattasse di un solvente universale, e come se fosse necessario invocare l'”interesse nazionale” per giustificare anche il progetto più strampalato. E in effetti questo è accaduto spesso. Per continuare con l’esempio della Siria, gli Stati occidentali credevano che la Siria avrebbe seguito l’esempio di Tunisia ed Egitto e che Assad sarebbe caduto rapidamente. È stata quindi naturale la corsa a posizionarsi a fianco dei presunti nuovi governanti del Paese, fornendo loro armi e addestramento. Se questo giudizio fosse stato corretto, l’argomentazione dell'”interesse nazionale” avrebbe potuto essere sostenibile, ma in realtà, con il proseguire della guerra civile, l’opposizione armata è diventata indebitamente dominata dai gruppi islamisti. Tuttavia, poiché l’Occidente era ormai totalmente impegnato a sbarazzarsi di Assad, ha preventivamente scusato e abbracciato tutti i gruppi di opposizione e, come so da contatti personali, non ha indagato troppo da vicino sugli antecedenti di coloro che ha armato e addestrato. Non è escluso che alcuni di coloro che hanno compiuto i micidiali attacchi terroristici in Europa nel 2015-16 siano stati addestrati dall’Occidente, il che rappresenta un disastroso autogol sotto la voce “interesse nazionale”, se mai ce ne fosse stato uno. Quindi sì, l’interesse nazionale è qualcosa che deve essere dimostrato, non solo affermato.
La seconda ragione per cui il termine attira controversie è che si tratta di quello che gli accademici amano definire un “concetto contestato”, ovvero che ci sono molte discussioni su cosa significhi e su come definirlo. È ragionevole chiedersi a chi spetti la definizione di “interesse nazionale”, se una nazione abbia effettivamente un unico “interesse” e se gli interessi all’interno di una nazione possano essere in conflitto tra loro. Ma questo non invalida il concetto, così come non invalida la libertà, la democrazia o i diritti umani, perché sono concetti ugualmente “contestati”, se non di più. In effetti, se dovessimo smettere di discutere di “concetti contestati”, metà dei dipartimenti universitari del mondo occidentale dovrebbero chiudere. E dopo molti dibattiti, nessuno è riuscito a trovare una formula migliore di quella di dire che l’interesse nazionale è quello che il governo legittimo del giorno dice che è: dopo tutto, difficilmente si può decidere l’interesse nazionale attraverso sondaggi di opinione o referendum.
Ritengo quindi che i governi perseguano ciò che considerano l’interesse nazionale, a volte bene, a volte male, e che questo perseguimento non sia necessariamente in contrasto con le altre nazioni, né con i beni pubblici internazionali, come la stabilità o il diritto internazionale. In effetti, pochi governi vorrebbero vivere in un mondo instabile e quindi pericoloso quando potrebbero vivere in un mondo più stabile. Chi trova scomoda questa conclusione può andare a formare un gruppo in un angolo e parlare tra di loro.
Il passo successivo è il riconoscimento che per promuovere i propri interessi nazionali, i governi vogliono influenzare altri governi e nazioni. Anche in questo caso, non c’è nulla di nuovo: succede da quando esistono i governi e avviene in un numero quasi infinito di modi. E ancora, anche se questo spesso mette a disagio le persone, non c’è motivo per cui debba farlo. Sarebbe difficile per un governo giustificare il fatto che altri Stati determinino l’esito di negoziati commerciali senza fare uno sforzo, o che non si preoccupi di cercare di persuadere altri governi a cooperare per risolvere un problema comune come l’inquinamento marittimo o il traffico di esseri umani. Ci sono anche casi in cui l’interesse nazionale significa spingere per una soluzione che si ritiene superiore in un dibattito internazionale. In alcuni casi, ciò può comportare una vera e propria pressione, come nel caso di persuadere i Paesi ad abbandonare l’eccessivo segreto bancario. Infine (da un elenco molto lungo) i governi vogliono aumentare la loro influenza nel mondo o nella regione in generale, e questo può comportare l’offerta di ospitare organizzazioni internazionali (Bruxelles e L’Aia sono poco altro), o cercare di assicurarsi posti di responsabilità in tali organizzazioni.
Questo è tutto ciò che dirò sull’influenza diretta sui governi e sulle organizzazioni internazionali, perché credo che il principio, almeno, sia relativamente ben compreso. Ma che dire dell’influenza su una nazione e sulla società nel suo complesso, nel perseguimento del proprio interesse nazionale, come lo si definisce? Credo che questo sia il punto da cui derivano gran parte della confusione e dell’acrimonia attuali. Anche in questo caso, è utile tornare ai principi fondamentali.
Per cominciare, la maggior parte delle nazioni vuole migliorare il proprio status con le élite straniere attuali o future. (Gli imperi e le grandi potenze hanno storicamente cercato di educare le élite straniere in scuole e università, nelle case reali, nei collegi militari o negli istituti di formazione governativi e in molti altri modi. Oggi questo è quasi universale: gli Staff College sono un buon esempio moderno. Nella maggior parte delle grandi potenze militari, e in molte regionali, fino al 50% del corpo studentesco proviene dall’estero. In parte si tratta di creare contatti internazionali, di proiettare un’immagine positiva dell’esercito e dello Stato ospitante e anche di costruire modestamente la stabilità, ad esempio facendo frequentare lo stesso corso a studenti provenienti da Paesi che si considerano nemici. Ma il motivo più tipico è l’influenza per il futuro. Dato che la maggior parte delle nazioni non manderà dei perfetti idioti al vostro College, se ogni anno o ogni due anni avete uno studente proveniente dal Paese X, c’è una buona probabilità che a tempo debito uno di questi studenti raggiunga un’alta posizione nelle loro forze armate, e voi guadagnerete influenza come risultato. Così, il generale Meiring, l’ultimo comandante delle forze di difesa dell’era dell’apartheid, era stato addestrato a Parigi, e questo ha dato ai francesi una notevole influenza negli ultimi giorni del vecchio Sudafrica, anche se poi si è ritorto contro di loro.
A loro volta, le nazioni spesso vogliono inviare persone a questi corsi, e ci può essere una notevole competizione internazionale per i posti nei corsi più prestigiosi: il Royal College of Defence Studies di Londra è uno di questi. Ma a volte c’è anche una richiesta più generale. Proprio come i francesi addestravano l’esercito sudafricano dell’apartheid, alla fine degli anni ’80 l’African National Congress si è rivolto al governo britannico tramite intermediari, cercando di addestrare e far fare esperienza nel Regno Unito ad alcuni dei suoi uomini di punta che un giorno sarebbero entrati nel governo del Paese. Quando si venne a sapere di ciò, ci furono critiche sul fatto che il Regno Unito stesse “addestrando terroristi”, un rischio professionale in questi casi. In realtà, il Regno Unito ha svolto un ruolo discreto ma prezioso non solo nella preparazione dell’ANC al governo, ma anche nella fusione delle varie forze armate che ha seguito le elezioni del 1994. In un certo senso, questo potrebbe essere criticato come “ricerca di influenza”, e non c’è dubbio che in pratica l’ANC sia stata influenzata dalle pratiche e dai concetti britannici. Ma questo dimostra forse quanto sia complicato l’argomento “influenza”. L’ANC cercò deliberatamente la consulenza britannica e i britannici cercarono di influenzarli nel modo che ritenevano più utile per la stabilità del Paese. (Va forse aggiunto che tutta una serie di altri Paesi si presentarono in Sudafrica dopo il 1994, offrendo denaro e consigli, non tutti voluti o apprezzati).
Ma i tentativi di influenzare vanno ben oltre i governi e le future élite, e in questo caso la maggior parte dei Paesi ha reti di organizzazioni, per lo più finanziate dallo Stato, che promuovono la lingua e la cultura del Paese e incoraggiano visite culturali reciproche. La cosiddetta “diplomazia culturale” può essere coordinata da un’ambasciata, ma la maggior parte dei risultati è nelle mani di agenzie semi-indipendenti come il British Council, l’Alliance Française, i Goethe Institutes e i Centri Confucio. (Visite culturali, mostre, scambi universitari ed eventi artistici fanno parte del miglioramento dell’immagine del Paese all’estero. (Michel Foucault, per esempio, è stato un diplomatico culturale in Polonia e Svezia negli anni Cinquanta). E se vivete in una capitale, avrete visto i Centri culturali di tutti i Paesi, con le loro esposizioni di arti e mestieri, cibi e costumi. A volte la promozione è indiretta. Ad esempio, il calendario del Gran Premio di Formula 1 del 2025 prevede non meno di quattro gare nella regione del Golfo, che storicamente non è un centro per le corse automobilistiche. E il Paris St Germain, la squadra di calcio più famosa di Francia, è posseduta all’85% da quello che di fatto è il governo del Qatar.
Allo stesso modo, il tempo in cui, ad esempio, ogni sala d’albergo in Asia trasmetteva solo la CNN è ormai passato da tempo. Al giorno d’oggi, tutte le principali nazioni hanno i loro canali televisivi, spesso trasmessi in inglese, e questo è stato fonte di molte angosce, di solito per sciocche accuse come “propaganda”. In questo caso, però, è importante fare alcune semplici distinzioni. Tutti i governi rilasciano dichiarazioni ufficiali e molti hanno canali televisivi e radiofonici ufficiali (oggi anche Internet) per diffonderle. Questi non pretendono di essere nulla di più di quello che sono, e pochi non cittadini, anche quelli che ascoltavano religiosamente Radio Mosca durante la Guerra Fredda, avrebbero creduto a tutto. Ma molti Paesi hanno anche stazioni semiufficiali di notizie e attualità finanziate dal governo, che di solito trasmettono in inglese, anche se in parallelo a un servizio in lingua madre (NHK World è un buon esempio). È comune vedere questi canali come servi dei loro governi, ma la verità è di solito più complicata. Sono gestiti come erano gestiti i servizi radiotelevisivi statali originari, da membri dell’establishment del Paese in questione, che condividono in gran parte le stesse opinioni sul mondo dei politici e delle altre figure pubbliche di cui si occupano. Un tempo i giornalisti provenivano da una maggiore varietà di ambienti (anche se non necessariamente di opinioni), ma oggi sono prefabbricati come la leadership politica e il resto della casta professionale e manageriale (PMC). Non è quindi necessario che il governo tedesco dia a DW le sue istruzioni su come coprire la guerra in Ucraina: vivono nella stessa bolla di tutti gli altri. In effetti, la mia esperienza mi dice che i media sono spesso più aggressivi e urlanti dei politici, che spesso sono un po’ meno lontani dalla realtà.
Pertanto, la produzione di tali stazioni e degli spin-off di Internet tenderà a riflettere il consenso del PMC nel paese in questione. Non potrebbe essere altrimenti. Giornalisti e figure mediatiche indipendenti sono in gran parte scomparsi al giorno d’oggi, e il campo è ora per lo più diviso tra campi rivali: I cloni del PMC da una parte, e i “giornalisti di campagna” che odiano il proprio Paese a tal punto da credere a qualsiasi cosa negativa su di esso, dall’altra. Le vecchie capacità di soppesare e giudicare i fatti e di cercare di produrre un’analisi obiettiva stanno rapidamente decadendo e potrebbero presto scomparire del tutto. A ciò non contribuisce la crescente convinzione che, poiché l’obiettività perfetta è impossibile, non ha senso cercare di essere obiettivi. Ma ovviamente la risposta a un’informazione distorta non è un’informazione altrettanto distorta.
Tuttavia, ci sono dubbi reali sulla reale efficacia di tutto questo. È ovviamente vero che, nella misura in cui i media della PMC forniscono un unico resoconto di un episodio – l’Ucraina è l’ovvio esempio attuale – allora quel resoconto dominerà e tenderà a determinare la comprensione della gente. Tuttavia, gli effetti pratici sono limitati e l’Ucraina non è una delle principali preoccupazioni della gente comune. In effetti, la gente crederà naturalmente alla propria esperienza più che a ciò che vede nei media: nella maggior parte dei Paesi europei, la gente sa che la vita sta diventando più difficile, i prezzi aumentano e il lavoro è più difficile da trovare, anche se i media dicono il contrario: tanto peggio per i media.
I tentativi di influenzare l’opinione pubblica in altri Paesi raramente sono più efficaci. Tendiamo a dimenticare che la maggior parte delle popolazioni nutre comunque una sana diffidenza nei confronti di ciò che dicono i media e che le persone non sono del tutto stupide. Le campagne di propaganda condotte sui media raramente hanno un effetto duraturo e molti sforzi per influenzare i media stranieri sono semplicemente sprecati. Il tema dei rapporti tra giornalisti e governo è molto complesso e richiederebbe troppo tempo per essere approfondito in questa sede, ma in genere i giornalisti non sono semplici stenografi né, nella maggior parte dei Paesi, prendono fedelmente ordini dai governi. (Negli Stati a partito unico questo è il punto, ovviamente, ma non ne stiamo parlando qui). La questione del finanziamento dei media stranieri e della formazione dei giornalisti stranieri è una questione su cui torneremo tra poco: ma vale anche la pena di sottolineare che i governi sono sempre stati grandi consumatori di media e, con molte pubblicazioni che ora scompaiono dietro i paywall, spesso pagano somme considerevoli per l’accesso. (Sarebbe possibile, anche se un po’ perverso, sostenere che il Financial Times sia sovvenzionato dal governo cinese).
Tutto ciò è distinto da concetti come “psy-ops” e “influence-ops”, che sono termini (come “intelligence asset”) che le persone tirano in ballo per cercare di convincere gli altri di avere conoscenza ed esperienza nel settore e quindi di sapere di cosa stanno parlando (di solito non è così). (In realtà, questo genere di cose accade relativamente di rado. A livello nazionale, i governi possono fare leva sull’ego e sulle ambizioni professionali dei giornalisti per indurli a scrivere storie di supporto. Questo accade praticamente ovunque da quando esistono i giornalisti. Ci sono anche casi di giornalisti stranieri che vengono subornati in questo modo, ma relativamente di rado. Durante la Guerra Fredda, alcuni membri del Partito Comunista erano anche giornalisti e scrivevano ciò che Mosca voleva. Ma poiché tutti lo sapevano, il loro lavoro aveva un effetto pratico limitato. Nel complesso, con la fine delle lotte ideologiche palesi, questo tipo di cose è molto meno comune.
Quanto sopra non ha molto a che fare con le agenzie di intelligence in quanto tali, ma ci sono alcuni casi in cui i governi diffondono storie per effetto politico nei media, attribuendole a “fonti di intelligence”. Ma il pubblico è raramente il bersaglio. Un esempio tipico, anche se immaginario, sarebbe una storia sui media occidentali secondo cui, secondo “fonti di intelligence”, i russi stavano costruendo una nuova base navale in Libia, insieme a vari dettagli. Lo scopo sarebbe quello di trasmettere ai russi il messaggio che l’Occidente era al corrente di ciò che stavano facendo e di lasciarli nell’incertezza su quanto altro l’Occidente aveva scoperto e che loro non stavano rivelando. Per definizione, ovviamente, operazioni di questo tipo sono molto rare.
Si tratta di una presentazione molto semplificata e schematizzata di come i governi cercano di influenzarsi a vicenda, le élite nazionali e talvolta anche le popolazioni, ed è essenziale per comprendere la recente polemica su USAID e il suo contesto più ampio. Ma dobbiamo anche esaminare l’intera questione degli aiuti allo sviluppo e il modo in cui sono stati concettualizzati e attuati a partire dagli anni Sessanta, nonché le loro origini più antiche.
Finché le culture sono esistite in prossimità, si sono influenzate a vicenda. Il Macedone di Alessandro aveva una forte influenza persiana, così come molti intellettuali e statisti romani avevano tutori greci e scrivevano in greco. La maggior parte degli imperi introdusse i propri sistemi amministrativi e fiscali. Gli esploratori spagnoli e portoghesi aprirono la strada alla diffusione del cattolicesimo dal Brasile al Giappone, ma fu solo alla fine del XIX secolo, con la massiccia espansione dell’Impero britannico e di quello francese, che vennero fatti seri tentativi di cambiamenti ideologici e strutturali. Gli inglesi avevano un senso molto vittoriano e anticonformista del dovere e dell’obbligo di aiutare gli altri. I francesi avevano le idee e i principi universalmente validi della Rivoluzione da diffondere, proprio nel momento in cui la lunga e aspra lotta interna contro le forze della reazione era stata vinta con la fondazione della Terza Repubblica.
Così, mentre le società missionarie (le ONG dell’epoca) portavano l’illuminazione e la religione, oltre all’istruzione e all’alfabetizzazione, una nuova serie di amministratori coloniali portò quello che oggi definiremmo “buon governo”, leggi scritte e gli inizi dei moderni sistemi politici ed economici. Inoltre, le norme morali che i colonialisti portarono con sé non erano negoziabili: la schiavitù fu abolita ovunque in Africa, senza scuse. Leggendo i resoconti del servizio civile sudanese di cento anni fa, si evince che i funzionari dovevano affrontare più o meno gli stessi problemi dei moderni funzionari internazionali, con la differenza che erano molto più competenti e preparati e spesso trascorrevano buona parte della loro vita a lavorare nei Paesi che amministravano.
Quindi, nell’impeto della de-colonizzazione, non sorprende che la nuova generazione di leader (soprattutto) africani, educati all’estero o in scuole e università missionarie, si sia rivolta ai modelli occidentali di sviluppo, così come ai modelli occidentali di Stato-nazione, con risultati altrettanto ambigui. Il concetto di sviluppo economico risale effettivamente a quell’epoca, quando economisti come l’americano Rostow ritenevano di aver trovato leggi universali per spiegare lo sviluppo delle società, sia economico che sociale, e che fosse possibile collocare le società su un continuum a seconda dello stadio in cui si trovavano. Questo pensiero – che influenzò molto il presidente Kennedy – aveva in parte lo scopo di definire un sistema di sviluppo in opposizione al modello marxista, molto influente tra le nazioni del Terzo Mondo.
Man mano che le mode economiche e intellettuali cambiavano in Occidente (sostituzione delle importazioni, crescita trainata dalle esportazioni, pianificazione centrale e altro) la prescrizione cambiava di conseguenza. Molti governi hanno istituito dipartimenti speciali per aiutare e consigliare questo processo, sia attraverso miglioramenti nella sanità e nell’istruzione (seguendo l’esempio dell’epoca coloniale), sia cercando di formare e dotare la nuova generazione di leader e i loro consiglieri delle competenze necessarie. Le motivazioni sono varie e di solito si confondono l’una con l’altra. In parte erano ideologiche: fornire un’alternativa al modello di sviluppo marxista popolare in molte parti del mondo. In parte si trattava di un senso di responsabilità residuo per le ex potenze coloniali, in parte della convinzione degli anni Sessanta di un governo efficace e benevolo, in parte della convinzione di assistere un processo storicamente inevitabile, in parte di un investimento nei mercati e nei partner commerciali del futuro, in parte della preoccupazione per le conseguenze politiche e strategiche di uno sviluppo fallito… e molte altre cose. Soprattutto, forse, si credeva che esistesse un modello di sviluppo – esemplificato di recente dalla stupefacente ricostruzione dell’Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale – valido ovunque. E c’era una chiara e comprensibile richiesta di assistenza da parte delle stesse ex-colonie: chi cercava di essere “indipendente” dall’Occidente si trovava in genere a seguire i consigli dell’Unione Sovietica. (È legittimo aggiungere, tra l’altro, che la teoria dello sviluppo non è mai stata in grado di tenere conto delle esperienze di reale successo di paesi come il Giappone, Singapore e la Corea del Sud).
Tuttavia, almeno fino alla fine degli anni Settanta, sembrava che tutto ciò stesse funzionando. Le ex colonie istituirono governi, diversificarono le loro economie e cominciarono a industrializzarsi e le loro società divennero ciò che definiremmo più “moderne”. Il processo di modernizzazione era iniziato sotto il colonialismo (soprattutto nel mondo arabo) con l’introduzione di idee più liberali e laiche: infatti, il Partito Comunista Iracheno, la forza politica di sinistra dominante in Iraq, era estremamente influente sotto il dominio britannico, soprattutto tra le classi medie urbane. E con il potere nelle mani di governi post-indipendenza laici e modernizzanti in Paesi come l’Egitto e l’Algeria, sembrava che questa tendenza sarebbe continuata.
Alcune cose sono cambiate radicalmente. La teoria dello sviluppo presupponeva un’economia mondiale stabile e regolamentata. La deregolamentazione dei prezzi delle materie prime e la fluttuazione dei tassi di cambio a partire dagli anni Ottanta hanno sconvolto i presupposti economici e hanno fatto sprofondare molte ex colonie nel debito e nella povertà. Proliferarono i regimi militari e autoritari e iniziò una reazione contro la modernizzazione sociale e politica ispirata dall’Occidente, che si manifestò in modo spettacolare in Iran. Mentre questi sviluppi venivano assorbiti, la Guerra Fredda finì, lasciando le potenze occidentali un po’ smarrite, in un mondo che era cambiato in modo irriconoscibile in un paio d’anni. Non si trattava solo della scomparsa del Patto di Varsavia, né solo degli effetti immediati sull’Europa, ma anche di molte questioni più ampie che dovevano essere prese in considerazione.
L’atteggiamento occidentale è stato uno strano miscuglio di shock e arroganza. Lo shock per la rapidità degli eventi, l’arroganza per la sensazione di aver “vinto” e di essere quindi tentati di scatenarsi in tutto il mondo con una formula apparentemente vincente. Non che non ci fossero cose da fare: i nuovi Stati indipendenti dell’Europa orientale in molti casi non avevano alcuna tradizione di democrazia parlamentare o di governo multipartitico. I nuovi governi si sono rivolti naturalmente all’Occidente per chiedere aiuto, spesso con lo sviluppo e la formazione di funzioni completamente nuove, come i ricercatori parlamentari e i giornalisti indipendenti. (Allo stesso modo, sono state esercitate pressioni sugli Stati africani affinché adottassero rapidamente sistemi multipartitici (non sempre in modo saggio, francamente) e sviluppassero in qualche modo le nuove e complesse competenze che ne derivavano.
Si aprì quindi un nuovo panorama di influenza sui Paesi di tutto il mondo, spesso nei settori più sensibili del governo e della società. L’Occidente si è precipitato senza opporsi e, almeno all’inizio, molti Paesi hanno sentito il bisogno di un aiuto genuino, anche se quello che veniva fornito non era sempre desiderato. Così la maggior parte dei governi occidentali ha oggi dei Ministeri dello Sviluppo, spesso politicamente potenti e ben finanziati. In molti Paesi, sono più influenti all’estero del Ministero degli Esteri, oltre a godere del sostegno parlamentare e mediatico in patria, perché si vede che stanno facendo del bene. (Ricordiamo l’eredità calvinista di molti dei principali Paesi donatori). Inoltre, consentono a Paesi piccoli ma ricchi – Svezia, Canada, Svizzera – di avere un’influenza sulle politiche di altri Paesi sproporzionata rispetto alle loro dimensioni e alla loro importanza. Il periodo successivo al millennio ha visto alcune di queste organizzazioni condurre un’efficace politica estera alternativa – la FID nel Regno Unito ne è stato un esempio particolarmente eclatante – a volte in contrasto con altri settori del governo.
In questo periodo, le agenzie di sviluppo hanno abbandonato, o perlomeno hanno ridotto, le tradizionali funzioni “missionarie”, ovvero la salute, l’agricoltura e l’istruzione, e hanno abbracciato le funzioni di “amministratore coloniale” della riforma del governo, spinte da un’agenda liberale altamente normativa che il loro personale aveva assorbito all’università e dai media della PMC. Così, il sottosviluppo, la corruzione, la povertà, il crimine, l’insicurezza erano visti non tanto come problemi pratici quanto come problemi ideologici e morali. La risposta alla corruzione era la lezione di onestà, la risposta al conflitto era la promozione del dialogo e della comprensione reciproca. Whitey aveva le risposte, come un secolo prima, solo che questa volta Whitey era molto più informato sui problemi. E i governi deboli e spesso poveri non direbbero di no alla convinzione di un ricco donatore che la criminalità potrebbe essere ridotta se la polizia contenesse un maggior numero di membri “diversi”, provenienti da gruppi e orientamenti sessuali differenti. In effetti, gli impulsi e gli obiettivi dei ministeri dello Sviluppo, basati sulle norme liberali del PMC, esistono indipendentemente e prima dei problemi reali del mondo: il trucco è trovare un contesto plausibile in cui applicarli. Inoltre, i programmi stessi devono essere politicamente sicuri, attraenti per i media PMC, evitando così di affrontare problemi reali in cui le cose potrebbero andare male.
Come è possibile? Tanto per cominciare, i ministeri dello sviluppo tendono a essere piccoli e a disporre di pochi esperti nei Paesi in cui operano. Pertanto, lavorano quasi esclusivamente attraverso società di consulenza, ONG e organizzazioni locali, che in teoria hanno questa esperienza. Questo non ha nulla a che vedere con la “negabilità” o i “tagli” o altro: è semplicemente il modo in cui le cose devono andare. Si ottiene qualcosa di simile a quanto segue: un esempio immaginario ma realistico.
Un piccolo ma ricco donatore ha un programma in un piccolo e povero Paese africano dove la criminalità è un grosso problema. La polizia viene pagata raramente, se non del tutto, e non indaga sui crimini a meno che non le si dia del denaro. Non hanno radio, pochi veicoli e nessuna competenza tecnica. Rispondono alla rabbia dell’opinione pubblica per i livelli di criminalità arrestando i criminali abituali e strappando loro delle confessioni. Ma poiché le carceri sono sovraffollate, i presunti colpevoli vengono spesso liberati. Un ministero dello Sviluppo vuole intervenire, ma la maggior parte di questa agenda è troppo delicata per essere toccata. Per questo motivo si rivolge a un consulente per esaminare le priorità e il rapporto identifica i progetti che, secondo gli autori, il ministero finanzierà. Vengono identificati tre “filoni di lavoro”: formazione anticorruzione, formazione sui diritti umani e maggiore rappresentanza femminile nella polizia. Il progetto viene lanciato in due anni con un budget di 1 milione di euro.
Il primo passo consiste nell’assegnare un contatto a una grande società di consulenza per la gestione del progetto. Anche questa società di consulenza non avrà competenze dettagliate, quindi dovrà assumere esperti in materia per la gestione. A loro volta, individueranno una ONG nazionale o internazionale che si occuperà della realizzazione, che dovrà assumere personale, e una ONG nel Paese o nella regione che potrà occuparsi dell’organizzazione, ma che dovrà anch’essa assumere personale. Poiché i requisiti di gestione, legali, di pagamento, di rendicontazione e di revisione contabile di questi progetti sono spesso molto laboriosi e complessi, saranno necessari esperti in tutti questi settori. Vengono organizzate diverse riunioni per definire i “risultati”, che potrebbero essere, ad esempio, conferenze sulle migliori pratiche anticorruzione, visite nel Paese donatore per vedere all’opera le donne poliziotto, visite di esperti di diritti umani per formare i poliziotti locali e una campagna pubblicitaria su Internet per convincere i poliziotti a essere più onesti e meno brutali. Dopo due anni, quando la maggior parte dei fondi è stata destinata a consulenti, contratti a breve termine, supervisione, amministrazione, stesura di relazioni, tariffe aeree, costi alberghieri e conferenze di alto profilo, il progetto viene giudicato un successo, in quanto i “key performance indicators” sono stati tutti raggiunti entro il budget previsto. È vero, non è stato fatto nulla per la criminalità, ma non si può avere tutto.
Ci sono un paio di conseguenze inevitabili di questo modo di operare. Una, dato che i valori normativi liberali sono obbligatori in tutte le fasi, è che i programmi possono essere in contrasto con le norme della società stessa e con le politiche che il governo è stato eletto per attuare. Ciononostante (e questa è una lamentela comune) le ONG finanziate dai donatori possono alla fine essere più potenti dei governi eletti, oltre ad attirare persone valide lontano da loro. In secondo luogo, tali programmi incoraggiano l’apparizione di qualcosa di simile a un’élite coloniale, che “pensa come noi”, che “comprende la necessità di un cambiamento” e che a sua volta viene ricompensata con il patrocinio, con posti all’università per i propri figli e spesso con posti di lavoro nel governo sotto la pressione dei donatori. Per i donatori, questo è del tutto difendibile, perché in questo modo aiutano la modernizzazione e lo sviluppo del Paese e combattono le forze reazionarie oscurantiste.
Naturalmente, è sbagliato vedere i governi e le popolazioni solo come vittime passive degli obiettivi egoistici dei donatori. In questi Paesi ci sono molti imprenditori altamente capaci e piuttosto spietati, che sanno come dare a Whitey ciò che vuole, pur ritagliandosi una carriera dignitosa. E resta il fatto che ci sono effettivamente dei lavori da fare. La fornitura di giustizia, sicurezza e servizi governativi ben gestiti sono le richieste più elementari delle popolazioni dei Paesi in via di sviluppo, e non si creano da sole. L’esperienza straniera è sempre utile e può essere essenziale e, sebbene io abbia criticato i presupposti alla base di molte di esse, posso testimoniarne l’efficacia se solo il bagaglio ideologico può essere in qualche modo gettato a mare.
Infine, tornando all’inizio della discussione, questi progetti sono naturalmente intrapresi nell’interesse nazionale e devono far parte di politiche più ampie verso determinati Paesi. Sarebbe sorprendente se non fosse così: un Paese che è un interesse prioritario per gli aiuti allo sviluppo è probabile che sia comunque una priorità di politica estera. La misura in cui questo tipo di progetti di sviluppo portino effettivamente molta stabilità ai Paesi è discutibile – e io sono tra i dubbiosi – anche se probabilmente fanno pochi danni effettivi e possono almeno obbligare i Paesi occidentali a interessarsi in modo intelligente ai problemi d’oltremare. Questi programmi, come tutti gli altri, possono essere usati in modo improprio, anche se di recente sono stati trattati in modo ignorante e fuorviante. Ad esempio, incorporare funzionari dell’intelligence nelle agenzie di sviluppo è un’idea dubbia, anche se per quanto ne so potrebbe accadere. Ma gli agenti dell’intelligence che lavorano sotto copertura ufficiale – nonostante quello che Hollywood vuole far credere – in genere passano il loro tempo a coltivare e servire le fonti che forniscono loro informazioni umane. Per questo hanno bisogno di una copertura plausibile per incontrare il tipo di persona che potrebbe diventare una fonte, ed è per questo che tradizionalmente lavorano nella sezione politica dell’ambasciata. Lavorare come ufficiale di sviluppo, con molto personale locale (che probabilmente fa capo all’agenzia di intelligence locale), obbligato a sparire per periodi di tempo senza dire dove si sta andando, trattando per lo più con ONG e politici locali, e spesso e inspiegabilmente non disponibile o “in Ambasciata”: beh, non è la migliore delle coperture. Ma del resto né io né il 99,9% delle persone che scrivono di queste cose lo sappiamo davvero.
In definitiva, l’aiuto allo sviluppo fa parte della politica estera di un Paese, obbedisce alle stesse regole e ha le stesse priorità. Non è carità, anche se spesso viene fatta per senso del dovere e desiderio di fare del bene. Se lo faccia davvero, però, come ho suggerito, è una questione aperta.
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Un discorso lunghissimo, traboccante di enfasi e retorica tipicamente statunitense, ripeto statunitense, non americana, come si usa dire. Una ampollosità che a noi europei, soprattutto italiani e latini, disincantati e rassegnati, provoca una innata diffidenza e senso aristocratico e decadente di sufficienza. Sbagliamo, però, a minimizzarne la portata e caratterizzarlo come elemento gradasso, esclusivamente negativo, del tutto assimilabile ai peggiori istinti di quella nazione, già ampiamente sperimentati dai vari Biden, Bush, Clinton, solo per soffermarsi agli ultimi decenni. Un discorso, invece, teso a motivare, a ricostruire identità e ad evidenziare la natura e la dimensione dello scontro politico in corso negli Stati Uniti. Una enfasi che ci induce a travisare l’individuazione del nemico, a non cogliere le opportunità tattiche offerte dal momento e ad uniformare schieramenti che andrebbero, altrimenti, ulteriormente divisi.
La perorazione di Trump è quasi tutta rivolta ai problemi interni degli Stati Uniti e questo dovrebbe già bastare a comprendere quantomeno i vantaggi tattici, al momento del tutto teorici, che questa postura dovrebbe offrire; ripropone un modello, piuttosto che una imposizione coercitiva, che risale a centoventi anni fa e che tende a circoscrivere notevolmente il focus dell’intervento e dell’influenza diretta statunitense all’estero. E questa, teoricamente, sarebbe una ulteriore buona notizia per noi europei, tanto più che le modalità di esercizio della sua influenza sugli stessi continenti americani dovranno tenere conto delle nuove dinamiche geopolitiche e dell’afflato emancipatorio, pur ambiguo e contraddittorio, che sta pervadendo quei due continenti. Afflato che, guarda caso, era presente anche in quella fase e rivolta prevalentemente contro il colonialismo europeo.
Tacciare il movimento in corso negli Stati Uniti come puramente reazionario e liberticida, piuttosto che conservatore-futurista-libertario, in una inedita probabile sintesi ancora tutta da costruire sistemicamente, rappresenta un errore colossale e capzioso.
L’Europa, purtroppo, sta diventando il centro di qualcosa di inquietante destinato a condannare, con poche eccezioni, l’intero continente al degrado e a languire nell’insignificanza passiva a tutela esclusiva di oligarchie parassitarie e, queste sì, reazionarie. Sta prendendo piede ad opera di quelle stesse élites, responsabili del livello di degrado e di decadenza dell’intero continente, una narrazione reattiva, apparentemente emancipatrice, che impernia sulla attuale Unione Europea il soggetto politico adatto a perseguirla e realizzarla, che individua nella Russia di Putin e negli Stati Uniti di Trump il nemico da combattere. Una riproposizione velleitaria di una UE, di un riarmo, di una conversione ecologica demenziale, di una tutela delle “libertà” perpetrata paradossalmente con pratiche censorie offerte da personaggi da scenario improbabili e compromessi, come Mario Draghi, Macron, Starmer, von der Leyen ma che trovano nell’anima movimentista e accecata dalle mirabilie “dal basso contro l’alto” parte delle risorse utili a fomentare le condizioni di una impossibile restaurazione. Una malattia che continua a pervadere il nostro paese, che sta riemergendo nelle componenti apparentemente più radicali e parolaie, destinata, ancora una volta, ad inibire l’emersione di forze più sane ed assennate. Nel prosieguo, sulla base delle nostre scarse forze, ci sforzeremo di documentare il merito e le fonti di questa narrazione così perniciosa. Buon ascolto Giuseppe Germinario.
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Adeguiamo le nostre categorie, voltiamo pagina per proteggerci—non importa se inutilmente—e conserviamo quel poco di capacità critica che probabilmente ci rimane.
Tastandoci con cura, possiamo sentirla rantolare nel fondo recondito di quel taschino interno della nostra coscienza.
Se siamo arrivati fin qui, mantenendo platonico contegno, abbiamo facoltà di rincorrere questo destino, salpando verso un nuovo mondo, così com’è, senza lodi e con talmente tanta infamia che la stiva straborda.
L’unica condizione necessaria per intraprendere la traversata è stringere ben salda alla polena la memoria storica occidentalizzante, quella che tutti abbiamo a lungo relativizzato per evitare di fare i conti con ciò che altri ci hanno assicurato fosse giusto.
Ormai è tardi. Cucurrucucù, Paloma.
Un palco affollato, utile a stordire e disattivare la messa a fuoco, ci offre, al centro dell’obiettivo, figure fortemente caratterizzate, segno inequivocabile della grande considerazione che lor signori hanno verso la raffinata platea che, pur fingendo di esserne alieni, ne fa interamente parte.
Non stupiamoci se lo schema diventa esponenziale e l’obiettivo funzionale al rafforzamento assoluto di polarizzazioni che dividono.
Trump e Putin come Nerone e Caligola, resi protagonisti di rappresentazioni allegoriche digeribili per chi ha lasciato le categorie interpretative a quando, saltando scuola, si godeva le avventure di MacGyver come esempio fulgido di neorealismo escapista.
In epoca romana, i cronisti senatoriali descrivevano i due imperatori come simboli di eccesso e follia, spingendosi fino al grottesco per giustificare i cambiamenti politici successivi alla loro investitura.
Oggi, le immagini di Trump come il grande disgregatore e di Putin come il maestro di giochi oscuri non sono meno scenografiche delle cronache di transizione tra Repubblica e Impero.
In entrambi i casi, il silenzio dei Giambattista di ogni epoca ha giocato un ruolo chiave, sottolineando il contrasto tra l’esplosiva teatralità dei protagonisti e il mutismo calcolato delle controparti segretamente conniventi.
La schizofrenia narrativa ambisce a una coerenza apparente, segno che la passività del gregge ha portato a una sopravvalutazione dei mezzi di chi scrive la sceneggiatura.
A livello assoluto è insignificante, ma è sano e giusto rammentare loro quanto sia scadente il copione.
Le dinamiche che si sviluppano negli Stati Uniti e in Europa riflettono modelli diversi, ma ugualmente rivelatori.
Negli USA, la narrativa cambia rapidamente: i nemici diventano amici e viceversa a una velocità tale da antropomorfizzare il caos come fosse il protagonista.
Chi si attendeva il game changer, finalmente avrà soddisfazione:
eccolo qua. Guardi fuori dal finestrino, tutto si muove così rapidamente che il prima diventa dopo e viceversa.
Latte versato e senno di poi: esercizi di stile.
In Europa, l’apparente coerenza è spesso il risultato di un immobilismo che non evolve, ma si consolida.
Quella “coerenza granitica” di cui si parla non è una virtù, ma l’incapacità di reagire, condita di inettitudine.
L’unica flessibilità alle sfide in rapida evoluzione è l’imperativo assoluto verso la sudditanza alle consorterie finanziarie di riferimento, anche a costo di diventare maestri No Limits di arrampicata sugli specchi.
Vedere i leader stringersi attorno all’enfant prodige responsabile dell’azzeramento di due generazioni del popolo che dovrebbe aver a cuore è uno spettacolo che lascia davvero poco spazio alla moderazione. Anche rispettando una dieta a base di Maalox e bicarbonato.
In entrambi i casi, il silenzio calcolato di chi non partecipa attivamente alla retorica – con buona pace di un Giambattista ogni tempo – diventa un segnale importante.
La linea che separa chi osserva da chi è intrappolato nel circo mediatico.
La regola dei corsi e ricorsi vacilla, abbiamo levato le ancore verso un paradigma inedito e onestamente poco accattivante.
Nerone e Caligola non erano semplicemente figure folli o megalomani.
I loro regni sono stati narrati come esperimenti estremi di potere personale, sinonimi di crisi passeggera, edulcorati senza ritegno come esempi da evitare .
E damnazio memoriae sia .
La caricatura grottesca è un potente strumento di controllo: più le azioni di un leader vengono distorte in senso negativo, più è facile giustificare il ritorno a un sistema rigido e “morale”.
Pensate a Napoleone. Ha fatto più di chiunque altro per la modernizzazione dello Stivale, eppure, a chi la storia l’ha scritta, piaceva Radetzky.
Colonna sonora compresa.
Questo accadeva nella Roma antica, nella Restaurazione e nel sedicente Risorgimento tanto caro ai sovranisti nostalgici di tutto un po’.
E accade, soprattutto, in questo buffo presente, indipendentemente se ti ricordi o no si cliccare sulla Campanella .
Le narrazioni attorno a Trump e Putin superano gli eventi, mutando in rappresentazioni degne del dualismo fiabesco , quasi fossero orgogliosi centurioni in quel di Teutoburgo , eroi funzionali solo al radicamento di tifoserie polarizz-Anti .
A volte è meglio chiedersi se David Copperfield sia diventato illusionista dopo aver capito che Claudia si era solo prodigata nel fargliela vedere e non vedere .
Quella sí che è la vera Magia .
Mistero della Fede .
Giambattista , che per sua fortuna non conosceva i Tabloid , é simbolo di chi osserva in silenzio – rappresenta l’antitesi di questo meccanismo :
non alimenta il grottesco, ma lo lascia scorrere, consapevole che è il tempo a definire il vero significato di ogni figura, di qualunque tipo sia ,dando per scontato il vizio capitale come “Tacito consenso-assenso”.
La responsabilità suggerisce il silenzio come atto di dissenso.
Se manca la profondità di analisi, forse è saggio evitare di sommare rumore al caos e scrivere di filato tre parole che finiscono per enso , perché come diceva il vate dei mediocri , “di senso non c’è né ” .
Mentre Trump e Putin dominano i titoli e vengono reinterpretati all’infinito , l’unica certezza che affiora in questo stagno è il bisogno di delegare , delegare , delegare .
E se mentre schiacciando la paperella, qualcuno ripete 800 mila volte la storia delle pale o del condizionatore , da qualche parte è assicurato c’é qualcuno che ride e escalama : “diglielo ! “
Subito ci si dimentica dei bei tempi della
“Casaleggio Associati ” e del partner addetto al ristoro del Medio Oriente .
Un segreto?
Silenziare il rumore delle stazioni radio in voga e scegliere la complessità che regola il creato.
Non fa differenza che tu sia Buddista con l’armadietto comprato da Cargo ( in saldo) o nostalgico di baffoni , barbe incolte , pelate luccicanti , chi si guadagna l’assoluzione é solo colui che ancora si arrovella sfogliando le figurine “Edizioni Porta Pia” alla ricerca del senso della vita e del perché Bergoglio e Loyola giochino nella stessa squadra .
Il silenzio non è rassegnazione, ma lealtà.
La trappola è violarlo trasformandolo in una tendenza da social del tuo network .
Quindi, se qualcuno scambia la tua paperella per un citofono , é meglio che tu non apra .
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Mentre la nuova amministrazione statunitense e i leader europei si scontrano sull’opportunità di porre rapidamente fine alla guerra in Ucraina o di continuare a sostenere Kiev, vale la pena ricordare che i tre attori dietro questo conflitto che sta lacerando l’Europa dal febbraio 2022 sono:
– Gli Stati Uniti, attraverso il loro desiderio di indebolire – o addirittura smembrare – la Russia e di mettere all’angolo le sue risorse umane e materiali in vista di un possibile confronto con la Cina. Dal crollo dell’URSS, Washington ha costantemente rinnegato gli impegni presi con Mosca, espandendo continuamente la NATO – arrivando persino a installare i suoi missili ai confini della Russia (Polonia e Romania) -, ritirandosi dai trattati di limitazione degli armamenti che regolavano la Guerra Fredda, armando Kiev e respingendo con forza tutte le proposte di una nuova architettura di sicurezza in Europa avanzate da Mosca.
– Ucraina, il cui regime, va ricordato, è emerso da un colpo di stato antidemocratico organizzato e sostenuto dall’Occidente (2014) e che ha dato il via, il 17 febbraio 2022, La popolazione russofona del Donbass si era ribellata al divieto imposto da Kiev sulla propria lingua e chiedeva una maggiore autonomia all’interno dell’Ucraina, non l’indipendenza. Il regime di Zelensky e le sue milizie neonaziste hanno risposto ricorrendo alla violenza (15.000 morti tra il 2014 e il 2021). Inoltre Kiev ha chiesto l’adesione alla NATO nonostante i seri e legittimi avvertimenti di Mosca.
– La Russia, infine, che di fronte a questa situazione ha dapprima deciso di impadronirsi della Crimea nel 2014 (anche perché Kiev si era offerta di affittare la base di Sebastopoli alla US Navy) ; non avendo altri mezzi per far valere i propri interessi di sicurezza, Mosca ha scatenato la sua operazione militare speciale (non un’invasione) per spingere l’Ucraina a cambiare la propria politica, rovesciare il regime di Zelenski e proteggere la popolazione russofona del Donbass, perseguitata da Kiev.
Quindi, nonostante la narrazione ideata dagli Spin Doctors americani e ucraini e randellata dai media occidentali che prendono ordini, la colpa è in gran parte condivisa. E l’Europa c’entra poco. Certo, Francia e Germania sono colpevoli di aver violato gli accordi di Minsk, con l’acquiescenza di Washington. Ma gli Stati dell’Unione Europea hanno semplicemente eseguito la politica statunitense, accettando di sostenere il regime corrotto di Kiev e piegandosi alle direttive della NATO.
Eppure oggi è l’UE che si ostina a proseguire la guerra e a sostenere il regime criminale di Kiev. Criminale perché Zelenski e la sua cricca hanno deciso di continuare a mandare i loro concittadini al fronte e a morire, anche se l’esito del conflitto è già stato deciso. Criminale perché i membri di questo regime, le cui malefatte sono ben note anche se taciute dai nostri media (appropriazione indebita, riciclaggio di denaro, traffico d’armi, messa al bando dei partiti e dei media di opposizione, retate e arresti, sospensione delle elezioni, menzogne, ecc.), beneficiano direttamente del sostegno finanziario dell’Occidente per arricchirsi personalmente. Trump e il suo team lo hanno visto molto chiaramente e vogliono porre fine tanto a questo conflitto quanto a questa commedia pseudo-democratica e pseudo-eroica.
Finire la guerra
Va detto che dopo tre anni di conflitto, la situazione è drammatica per i belligeranti e i loro sostenitori : morti, feriti, emigrazione di massa, distruzione di infrastrutture, disgregazione politica ed economica Russia/Occidente, sanzioni, crisi energetica ed economica….
Coloro che hanno pagato il prezzo più alto sono, ovviamente, gli ucraini di entrambe le parti. Poi ci sono gli europei, per i quali il costo di questa guerra è stato proibitivo, anche se non l’hanno causata – ma ne sono diventati corresponsabili attraverso il loro sostegno sconsiderato a Kiev – causando l’indebolimento della loro economia e la distruzione della loro industria.
La Russia ha anche perso molti uomini e le sue relazioni con i vicini europei sono diventate antagoniste. Ma la sua situazione economica non è stata alterata dalle sanzioni, nonostante le false speranze dell’Occidente, e ha dimostrato una notevole capacità di recupero. Il Sud globale non lo ha abbandonato nonostante le pressioni, consapevole dell’iniqua politica degli americani e dei loro ausiliari europei. Al contrario, il mondo sta diventando sempre più insofferente al diktat occidentale, caratterizzato da due pesi e due misure. Soprattutto, le forze russe stanno vincendo militarmente sul terreno e stanno raggiungendo obiettivi che Mosca non aveva mai previsto prima di questa crisi, perché la Russia non ha mai rivendicato il Donbass.
Per gli Stati Uniti, infine, si tratta di una situazione contrastante. Certo, sono riusciti a provocare una rottura duratura nelle relazioni UE-Russia, a riprendere in mano la NATO e a sottomettere l’Europa, a indebolire il suo status di concorrente economico e ad arricchirsi vendendole massicce quantità di GNL in sostituzione del gas e delle armi russe. In realtà, però, si tratta di una grande battuta d’arresto per la strategia avviata dai neoconservatori, che non hanno raggiunto il loro obiettivo principale di indebolire la Russia. Al contrario, la Russia appare ora più forte rispetto all’inizio del conflitto e il multilateralismo sostenuto dai BRICS sembra sfidare l’unilateralismo americano.
Tutto questo è ben visibile a chi è in grado di analizzare il conflitto con obiettività. È quello che hanno fatto Trump e la sua squadra, che si sono resi conto che le politiche dei loro predecessori non li stavano portando da nessuna parte. Da qui il loro desiderio di porre rapidamente fine a questo massacro, che non serve più ai loro interessi.
Va ricordato che il primo esito di questo conflitto è stato sfiorato alla fine di aprile del 2022, appena sei settimane dopo l’inizio dell’operazione militare speciale russa. Kiev e Mosca avevano raggiunto un accordo grazie all’intercessione di Israele e Turchia. Ma i neoconservatori dell’amministrazione Biden si sono opposti all’accordo e hanno inviato Boris Johnson a Kiev con l’ordine di continuare la guerra. Questa folle decisione, a cui Zelensky ha prontamente acconsentito, li rende indiscutibilmente corresponsabili delle centinaia di migliaia di vittime dei prossimi tre anni.
Illusioni europee e miraggi ucraini
È ormai urgente porre fine a questo confronto, il cui destino è deciso militarmente.
Eppure l’Europa e i suoi leader sono determinati a continuare a sostenere Kiev, continuando ad affermare che l’Ucraina è solo una vittima e che deve riconquistare la sua integrità territoriale senza alcuna base storica reale, e invocando la forte probabilità di una prossima invasione russa dell’Europa, un argomento infondato e falso costruito dalla NATO.
Tutti questi leader che si oppongono coraggiosamente alle politiche della nuova amministrazione Trump, sostenendo che l’indipendenza dell’Europa è inalienabile, e che ora affermano in coro che il Vecchio Continente non può essere vassallo degli Stati Uniti, dimenticano o cercano di far dimenticare il fatto che sono stati gli ossequiosi esecutori della strategia dei neoconservatori della squadra di Biden dal 2021. Ma questa non è nemmeno lontanamente una contraddizione.
Perché persistono? Le ipotesi sono diverse: o perché sono ideologicamente impegnati nelle idee neoconservatrici dell’altra sponda dell’Atlantico; o perché vogliono approfittare di questa crisi per trasformare l’UE in uno Stato federale gestito da Bruxelles, mettendo i cittadini di fronte al fatto compiuto; o perché hanno un interesse personale; o semplicemente perché sono stupidi, come Edgar Quinet sospettava che fossero certi politici già nel 1865:
” Troppo spesso incolpiamo il tradimento e la perfidia per ciò che appartiene alla follia. Gli storici non danno alla stoltezza il grande ruolo che merita nelle vicende umane. È una mancanza di lungimiranza? È uno sciocco orgoglio che acconsente a riconoscersi come criminale piuttosto che come imbroglione? Preferiamo il tradimento e il crimine, perché rendono l’uomo un soggetto più tragico e lo mettono meno sul patibolo. .
Per quanto mi riguarda, ho visto meno grandezza in lui ai miei tempi. Ho visto nei grandi affari una tale follia, una così inveterata ostinazione nell’accecarsi, una così assoluta volontà di perdersi, un così appassionato, istintivo amore per il falso, un così radicato orrore per l’ovvio, e, a dir poco, una così grande, così miracolosa follia, che Sono, al contrario, disposto a credere che essa spieghi la maggior parte dei casi controversi, e che la perfidia, il tradimento, il crimine, siano solo un’eccezione[1] “. .
L’ostinazione dei leader europei è ancora più disastrosa se si considera che gli ultimi tre anni hanno dimostrato che questo conflitto è stato devastante per l’economia europea e che i suoi Stati membri sono stati incapaci di garantire la propria sicurezza e di sostenere efficacemente l’Ucraina in termini di armamenti.
*
Questo conflitto finirà presto, con o senza la partecipazione dell’Europa. L’amministrazione Trump ha già avviato colloqui con la Russia, segno che si tratta davvero di una guerra americano-russa tra ucraini, NATO ed europei. Il nuovo padrone di casa della Casa Bianca ha già annunciato che l’Ucraina non entrerà nella NATO e, dopo il burrascoso incontro con Zelensky alla Casa Bianca, sta seriamente pensando di sospendere il sostegno finanziario e militare a Kiev. Gli Stati Uniti hanno fatto un dietrofront, cosa a cui la loro politica pragmatica di difesa dei propri interessi ci ha abituato da tempo. Solo gli ingenui o gli ignoranti storici si sorprendono. Dopo aver trascinato ucraini ed europei nel conflitto, li abbandonano e convalidano una forma di vittoria russa.
Siamo chiari: l’Ucraina non riavrà la Crimea o il Donbass. Speriamo che non entri nell’Unione Europea, cosa che destabilizzerebbe e criminalizzerebbe ulteriormente le nostre economie, già notevolmente indebolite da questo conflitto. Pace, ricostruzione e neutralità sono le uniche soluzioni realistiche. Questo è il punto di arrivo per Zelensky. Ma Zelensky e i suoi complici europei non se ne sono ancora resi conto.
[1] Edgar Quinet, La Révolution (tomo 2, 1865), Belin, Parigi, ristampa 1987, Livre XXIV, pp. 1030-1033.
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Onorevoli Presidenti, First Lady ed ex First Lady, Signor Presidente, illustri visitatori provenienti da oltre i nostri confini, Signore e Signori.
Dopo il notiziario, il presentatore del meteo fa il seguente annuncio: “Prima di darvi le previsioni di domani, vorrei modificare quelle di oggi e scusarmi per quelle di ieri”. È un mestiere affine, un lavoro difficile, ma c’è una differenza: se il meteorologo si sbaglia, il peggio che ci può capitare è di inzupparci; se il Primo Ministro si sbaglia, ciò di cui abbiamo bisogno non sarà un ombrello, ma una scialuppa di salvataggio. È difficile dire cosa succederà domani, e in politica è difficile anche dire cosa è successo ieri. Ho imparato da Imre Pozsgay che nulla è mutevole come il passato. E lui lo sapeva… Così ogni anno, quando preparo il mio discorso annuale, leggo prima quello dell’anno scorso. Appartengo alla vecchia scuola: Mi piace che quello che ho detto ieri e quello che dico oggi scavino lo stesso solco. Non è più di moda. Ricordo lo stupore suscitato trent’anni fa quando [il primo ministro socialista] Gyula Horn fu messo di fronte a una dichiarazione che aveva fatto in precedenza; rispose: “E allora?”. Quando oggi i nostri avversari vengono messi di fronte al fatto che stanno mentendo, rispondono semplicemente: “Quello era ieri, oggi è oggi”. Credo che questo si chiami “progresso”. Non stupiamoci se molte persone non vogliono essere in voga.
Per farla breve, oggi è un giorno facile per me, perché l’anno scorso ho detto quanto segue: “Grandi opportunità si stanno dispiegando davanti a noi. Alla fine dell’anno la scena politica mondiale sarà molto diversa da come appariva all’inizio di quest’anno; e, con l’aiuto di Dio, il margine di manovra dell’Ungheria non si ridurrà, ma si amplierà in una misura che non si vedeva da molto tempo”. E così è stato: dalle dimissioni del Presidente della Repubblica a febbraio fino alla nostra vittoria alle elezioni del Parlamento europeo a giugno. Guerra o non guerra, inflazione o non inflazione, Fidesz-KDNP ha vinto con la seconda percentuale di voti in tutta Europa: solo a Malta c’è stata una vittoria più grande – ma ciò che accade a Malta rimane a Malta. Oggi a Bruxelles la parola “patriota” risuona più forte che mai. È una gran cosa, perché parlare di patriottismo a Bruxelles richiede lo stesso coraggio di chi si aggira nel settore “B Central” del Fradi [squadra di calcio del Ferencváros] indossando una sciarpa viola [i colori dei rivali dell’Újpest].
Signore e signori,
L’anno scorso, quando ci siamo ritrovati qui, il cuore era pesante. Avevamo perso il nostro Presidente della Repubblica e il candidato alla guida della nostra lista di partito per le elezioni del Parlamento europeo. La guerra si stava aggravando sempre di più e le sanzioni, l’inflazione e gli alti prezzi dell’energia facevano sì che le prospettive economiche sembrassero miserevoli. Era un incubo. L’ambasciatore statunitense era il leader dell’opposizione, eravamo sotto tiro da Washington e Bruxelles, e gli agenti di George Soros qui in Ungheria erano impegnati a incendiare pagliai e avvelenare pozzi. E, come spesso accade, il tradimento non era lontano. È emerso che non c’è molta strada da percorrere dalla prima fila del discorso sullo Stato della Nazione alla cassa del signor Weber a Bruxelles. Questo ci ha insegnato una buona lezione: chi tradisce i propri amici tradirà il proprio partito. Una persona del genere tradirebbe chiunque alla prima occasione; quindi perché non dovrebbe tradire il proprio Paese? Ma le virtù e i punti di forza della nostra comunità si basano proprio sulla lealtà. Questo è il nostro nome, Fidesz: fede, lealtà, fiducia. Chi non lo capisce, o non ne sente la bellezza, dovrebbe andarsene dall’uscita più vicina. Alla fine, tutti avranno la loro giusta ricompensa: questa è la legge;
Cari amici,
Anche se prima delle elezioni europee il cielo tuonava, siamo rimasti calmi. Questo perché abbiamo imparato che ciò che conta è il tempo. Il tempo è esperienza. Sappiamo che in politica l’unica costante è il cambiamento. C’è sempre qualcosa di imprevedibile che accade, sia in positivo che in negativo. E proprio quando si pensa di aver visto tutto, beh, ecco che arriva la sorpresa: wham! Sferriamo colpi e riceviamo colpi; a volte riceviamo più di quanto diamo. Il segreto è rimanere in piedi in questi momenti. Sappiamo da Laci Papp che il pugilato è lo sport in cui chi vince viene anche picchiato. E in politica è esattamente la stessa cosa. Non c’è vittoria senza sofferenza, e il dolore è nostro amico. Poi tutto viene compensato dalla vittoria. Sapete anche che questo è il rimedio migliore. E dobbiamo aspettare solo altri quattordici mesi per il prossimo;
Signore e signori,
L’anno scorso, il 2024, è stato un anno che ha messo alla prova il nostro coraggio. Abbiamo visto che l’Ungheria può farcela se lavoriamo insieme. Ieri eravamo eretici, oggi mezzo mondo si sta dirigendo verso la nostra porta. Ci hanno descritto come il passato. Si è scoperto che siamo il futuro. Siamo evergreen, come i Rolling Stones. Ciò che è bello non passa mai di moda.
Cari amici,
Sono quindici anni che combattiamo. Un pugno di ribelli ungheresi contro un impero. Solitari, soli, con il vento in faccia. Un ragazzo Szekler terrorizzato grida al padre: “Stanno arrivando e sono più numerosi di noi di dieci a uno!”. Il vecchio risponde: “Beh, è il numero di cui hanno bisogno!”. Naturalmente, guardando indietro dall’ombra fredda della vittoria elettorale americana, la memoria conferisce a tutto un bagliore attraente. Ma sappiamo che la situazione era sul filo del rasoio. Come si dice nello spogliatoio: la torta era bollente. La posta in gioco era alta. È un bel risultato rimanere in gioco per anni con in mano solo carte basse. Ci vuole coraggio.
Amici miei,
Siamo orgogliosi del fatto che noi ungheresi abbiamo dato il nostro contributo al cambiamento del mondo, ben al di là di quanto suggeriscono le nostre dimensioni, la nostra forza economica e la nostra popolazione. Siamo stati i pionieri, gli araldi e gli iniziatori di questa ribellione. Padre Pio predisse che l’Ungheria era una gabbia dalla quale un giorno sarebbe volato un bellissimo uccello. Avranno molte sofferenze davanti a loro, scrisse, ma la gloria che avranno sarà senza pari in tutta Europa. È possibile che intendesse questo? A volte è stato maledettamente difficile, e ci sono stati momenti in cui sembrava miseramente senza speranza. Non parlo per Fidesz, non parlo per il governo, parlo per gli ungheresi. La nazione ungherese ci ha sostenuto per tutto il percorso, collettivamente e individualmente. Dobbiamo rendere omaggio alla perseveranza e alla determinazione del popolo ungherese. Non si sono arresi nemmeno per un momento, non si sono tirati indietro e non hanno mai detto “Arrendetevi a Soros”. Non una volta ci hanno detto di arrenderci a Bruxelles. Grazie a tutti gli ungheresi ribelli che hanno difeso il loro Paese contro l’Impero con la loro instancabilità, il duro lavoro e la grinta. Sono grato di poter servire un tale popolo. È qualcosa che ogni politico del mondo può invidiare. Con o senza vento contrario, abbiamo dato al Paese una nuova Costituzione nazionale cristiana, ci siamo protetti dall’immigrazione, abbiamo protetto i nostri figli dagli attivisti di genere, abbiamo difeso la pace e ci siamo tenuti lontani dalla guerra. Abbiamo protetto l’Ungheria da Soros, i titolari di mutui in valuta estera dalle banche e le famiglie dalle bollette alle stelle. Abbiamo dato a un milione di persone in più la possibilità di lavorare e ora abbiamo 4,7 milioni di persone che lavorano. Mai prima d’ora l’Ungheria ha avuto un numero così alto di persone che lavorano. Naturalmente, non c’è nulla di male nell’essere prudenti. Quando al Papa è stato chiesto quante persone lavorano in Vaticano, ha risposto: “Circa la metà”. A proposito del Santo Padre, lo ringraziamo per essere con noi sotto la bandiera della pace. Anche da qui, gli auguriamo una pronta guarigione!
Cari amici,
Quest’anno sarà diverso. Noi siamo sulla strada maestra della storia, mentre i nostri avversari si aggirano per le strade fangose ai margini della città. Ho visto le immagini dei nostri alleati europei alla riunione di Parigi. Sembrava che stessero mordendo dei limoni. L’Unione Europea è indignata per il fatto che i negoziati siano iniziati senza di loro e vuole sedersi al tavolo. Una volta Sándor Demján mi ha detto questo: “Se vuoi sederti al tavolo dove giocano i grandi, guardati intorno e cerca di trovare il fesso. Se non lo trovi, devi essere tu”. Alla faccia di Parigi.
Signore e signori,
Dopo la cupa ballata dell’anno scorso, quest’anno si tratta di un rock and roll incalzante. Allacciate le cinture, perché la lotta continua, ma con un’importante differenza. Questa volta l’obiettivo non è superare l’astuzia, né sopravvivere, ma vincere. Ci siamo ribellati, ma ora vogliamo vincere. Dopo l’Ungheria, gli Stati Uniti si sono ribellati. La situazione è quindi immediatamente diversa. Ma non pensiamo che il successo della ribellione americana porti alla vittoria dell’Ungheria. Non possono vincere per noi, possono solo migliorare le nostre possibilità. Il Presidente Trump non è il nostro salvatore, ma il nostro fratello d’armi. Inoltre, non ha nemmeno finito il suo lavoro, avendolo appena iniziato. Lo attendono ancora gravi battaglie, non solo in politica mondiale, ma anche in patria. Per quanto riguarda l’Ungheria, è successo che, durante la battaglia di Davide contro Golia, è arrivato il fratello di Davide, che sembra un tipo piuttosto robusto. Ci è stata data la possibilità di uscire dalla fortezza assediata – e non solo di uscire, ma di sfondare le difese dell’Impero. È il momento di pensare con coraggio e di pensare in grande. La mia proposta a voi e a noi stessi è che il 2025 sia l’anno della svolta.
Cari amici,
Non innamoriamoci dei nostri successi dell’anno scorso. Anche se i nostri avversari sono stati gravemente feriti, e per la prima volta vedo la paura nei loro occhi, e per la prima volta devono ritirarsi, sarebbe un errore sottovalutarli. Tuttavia, in queste circostanze possiamo sfondare solo con una campagna disciplinata e pianificata. Vediamo cosa dobbiamo fare. L’Impero ha due teste e un deposito centrale. Una testa è a Washington, una a Bruxelles e il deposito di Soros è qui a Budapest. Lo sappiamo perché gli americani hanno tirato fuori gli scheletri dall’armadio. Hanno scoperto ed esposto la macchina del potere repressivo e totalmente corrotto che ha pompato miliardi dal bilancio degli Stati Uniti in organizzazioni della società civile fasulle, ha comprato giornalisti, giudici e procuratori, politici, fondazioni, burocrati, per una vasta macchina che ha gestito la dittatura liberale dell’opinione e la repressione politica in tutto il mondo occidentale – Ungheria compresa. Questa è la verità. Si è scoperto che non c’è nulla di quello che si diceva: tolleranza, diversità, sensibilizzazione, organizzazioni della società civile, pari opportunità, Stato di diritto… Andiamo! Era esattamente come noi ungheresi l’avevamo sempre vista: una pesante macchina finanziaria e di potere creata per abbattere, schiacciare e divorare la libertà e l’indipendenza delle nazioni in modo che l’Impero potesse durare. L’Impero è in ascesa, le nazioni sono sottomesse, fino a quando la vita non viene spremuta e si afferma l’ordine perpetuo dell’Impero. E così è stato da sempre. “Siamo stati giù così a lungo che non sappiamo cosa significhi essere su”, cantava [il cantante blues ungherese] Hobo. E aveva ragione. Per quindici anni l’Ungheria è stata l’opposizione di Bruxelles. Mentre eravamo al governo abbiamo dovuto agire come opposizione. Sarebbe una prova anche per Chuck Norris. Sarebbe orgoglioso di riuscirci – e la sua maggioranza è di quattro terzi.
Cari amici,
Ciò che sta accadendo in America è bello e stimolante, ma lasciamo che sia per gli americani. Ora noi ungheresi dobbiamo remare verso casa dalle acque internazionali e occuparci dei nostri affari. Prima di tutto, dobbiamo occuparci del deposito dell’Impero a Budapest. Il nome del metodo di lavoro è questo: full instep drive. Arriva una palla alta, il piede è fermo, il corpo si piega in avanti, ci si gira sulla palla dalla vita, si esegue lo swing e si tira. Per renderlo comprensibile a coloro che praticano sport più gentili, questo significa inviare un inviato del governo negli Stati Uniti e raccogliere tutti i dati e le prove relative all’Ungheria. Poi creeremo con urgenza le condizioni costituzionali e legali che ci consentiranno di non restare inermi mentre false organizzazioni della società civile servono interessi stranieri e organizzano operazioni politiche sotto il nostro naso. Non dovremo stare a guardare impotenti mentre intascano la loro paga da mercenari sotto i nostri occhi, ostentando la loro impunità, citando e aspettandosi protezione internazionale. “Miklós [Toldi] lo ha sopportato, finché ha potuto sopportarlo”. Oggi ne abbiamo abbastanza. L’ambasciatore statunitense se n’è andato, la protezione internazionale è finita. Su questo punto è suonata la campana finale. Facciamo una nuova legge come il Magnitsky Act americano. Chiudiamo le saracinesche finanziarie della rete di Soros, lasciamo che gli organi statali facciano il loro dovere nel proteggere la sovranità e facciamo rispettare la legge agli attuali responsabili. Faremo entrare aria fresca dall’Occidente. “Posso irrompere a Dévény [Devín] / Con le nuove canzoni dei nuovi tempi?”. Puoi! Finora c’è stata un’apertura verso est, ma ora sarà verso ovest! Dopo tutto, è quello che hanno chiesto tanto. Possiamo chiudere il deposito dell’Impero a Budapest entro Pasqua. C’è una tradizione politica in questo senso in Ungheria: l’articolo di Pasqua [di Ferenc Deák], la Costituzione di Pasqua, le pulizie di primavera per Pasqua.
Cari amici,
Ma dobbiamo allocare bene le nostre forze. Nel frattempo, dobbiamo combattere una battaglia continua e sempre più complessa con il capo dell’Impero brussellese. Gli esponenti delle reti liberali si stanno ritirando a Bruxelles. È una strada ben percorsa dall’America, già utilizzata durante la prima presidenza di Donald Trump. Inoltre, leggi simili alla nostra vengono approvate in Paesi patriottici – lo si può vedere in Israele e in Georgia; potrebbero essercene altre in arrivo, e i liberali si dirigeranno a Bruxelles anche da lì.
Cari amici,
Sappiamo che la verità è dalla nostra parte e non da quella di Bruxelles. Ma questo non basta. Bruxelles è stata messa in difficoltà dalla verità molte volte in passato, ma in qualche modo è sempre tornata in piedi ed è andata avanti. La verità non è sufficiente, dobbiamo anche mostrare forza. Stiamo combattendo contemporaneamente cinque grandi battaglie con i burocrati di Bruxelles. Non ci piace la guerra e come popolo siamo pacifici, amanti della pace e persino miti. Ma ci sono cose su cui non possiamo e non vogliamo cedere. Sulla migrazione, arriveremo al limite estremo, se necessario, e anche oltre. Non accetteremo mai il patto migratorio che Bruxelles vuole usare per portare qui i migranti. Ci ribelleremo e inciteremo alla ribellione gli altri. I polacchi e gli olandesi hanno già preso posizione, gli italiani sono sul punto di farlo e i tedeschi sembrano fare lo stesso. E naturalmente non dobbiamo cedere, non dobbiamo rinunciare a proteggere i nostri figli. Trascinarci davanti a un tribunale di Lussemburgo non servirà a nulla. Anzi, suggerisco di passare al contrattacco. Scriviamo nella Costituzione che una persona è maschio o femmina. Punto e basta. Anzi, consiglio agli organizzatori del Pride di non preoccuparsi di preparare la parata di quest’anno. Sarebbe uno spreco di tempo e denaro – non importa cosa dicano il Distriktskommandant Weber e i suoi agenti ungheresi.
Signore e signori,
Bruxelles sostiene che il sistema pensionistico ungherese non è sostenibile e chiede quindi l’abolizione della tredicesima. Ma la verità è che il sistema pensionistico ungherese è sostenibile se tutti continuano a lavorare e se manteniamo i salari su un percorso di crescita. Ed è questo che vogliamo: il nostro obiettivo è un reddito medio di un milione di fiorini. Naturalmente, anche Bruxelles lo sa. Infatti, vogliono che non spendiamo i nostri soldi per la tredicesima, ma che li diamo alle multinazionali. Ci dispiace, Herr Weber: la tredicesima rimarrà;
E chiedono anche la fine delle riduzioni delle bollette energetiche domestiche. Lo dicono con inimitabile eleganza: “Eliminiamo le norme che impediscono la determinazione dei prezzi di mercato”. Amici miei, la posta in gioco è alta. Per milioni di famiglie queste riduzioni sono un mezzo di sopravvivenza. Ecco i numeri: una bolletta di 250.000 fiorini all’anno nel nostro Paese equivale a 600.000 fiorini in Romania, 650.000 in Slovacchia, 900.000 in Polonia e più di un milione nella Repubblica Ceca. Per non parlare dell’Austria, dove le bollette sono alle stelle. Ecco a cosa andremmo incontro se ci arrendessimo a Bruxelles. Ma il Ministro Lantos non si arrenderà.
Infine, c’è l’Ucraina. Non si tratta della guerra, ma di ciò che verrà dopo. La guerra si sta avviando verso la sua conclusione. La guerra non riguarda l’Ucraina: si tratta di portare il territorio ucraino – che in precedenza era una zona cuscinetto, uno Stato cuscinetto tra la NATO e la Russia – sotto il controllo della NATO. È ancora un mistero il motivo per cui i liberali europei e americani pensassero che i russi sarebbero rimasti fermi a guardare. Ciò che è chiaro è che il tentativo è fallito. L’Ucraina – o ciò che ne rimane – sarà ancora una volta una zona cuscinetto. Non sarà un membro della NATO. Ma diventerà membro dell’Unione Europea? Questo lo decideranno gli ungheresi. L’Ucraina non diventerà mai un membro dell’Unione Europea di fronte all’opposizione dell’Ungheria e degli ungheresi. L’adesione dell’Ucraina rovinerebbe gli agricoltori ungheresi – e non solo loro, ma l’intera economia nazionale ungherese;
Cari amici,
Anche l’economia ungherese ha bisogno di una svolta. Dobbiamo mantenere i posti di lavoro, cosa che non sarà facile. Sulle nostre teste si addensano le nubi di una guerra tariffaria. Non possiamo fermarla, perché questa è la divisione del peso dei grandi. Ma dobbiamo capire dove colpiranno i fulmini: dove ci saranno licenziamenti, chiusure di fabbriche e altre miserie economiche. Ci sono Paesi in Europa che non hanno alcuna possibilità di evitare i problemi, né tantomeno di pianificare una svolta. Noi abbiamo buone possibilità. Dobbiamo lottare per le nostre fabbriche, sia quelle che già producono qui, sia quelle che stanno trovando il loro posto nel mondo. Vi ricordo i dibattiti in cui la sinistra denigrava le fabbriche di automobili ungheresi come semplici officine di montaggio e attaccava la nostra politica industriale. Oggi il nuovo presidente degli Stati Uniti vuole acquisire queste fabbriche e trasferirle in America. Non credo che raccoglierebbe rifiuti. Anche i servizi, l’economia basata sulla conoscenza e il turismo sono importanti; ma nessun Paese può sopravvivere senza produzione, senza un’economia basata sul lavoro. Il nostro obiettivo è che – mentre le fabbriche chiudono e decine di migliaia di persone vengono licenziate in tutto il mondo, anche in Germania – l’Ungheria si sviluppi, si espanda e crei anche nuovi posti di lavoro. La migliore forma di difesa è l’attacco. È per questo che annunciamo il programma delle 100 nuove fabbriche, perché è l’unico modo per garantire che in futuro ogni ungherese che voglia lavorare abbia un posto di lavoro. I ministri Szijjártó e István Nagy avranno un anno impegnativo.
Amici miei,
Dobbiamo anche fare in modo che, nel mezzo di questa grande lotta, non perdiamo di vista il futuro e non ci chiudiamo nel presente. Entro il 2030 – mancano pochi anni – il cambiamento tecnologico inaugurerà un nuovo mondo in cui, per la prima volta nella storia dell’umanità, nel settore manifatturiero ci saranno più computer che cervelli umani, più sensori artificiali che occhi umani e più braccia robotiche che lavoro umano. Si tratta di un fenomeno tanto importante quanto lo era l’elettricità cento anni fa. In termini di preparazione non stiamo andando male, ma il ritmo deve essere aumentato. Lo dimostra il fatto che qualche anno fa la più grande azienda automobilistica del mondo era la Volkswagen. Oggi ha 670.000 lavoratori che producono 8 milioni di auto, mentre la Toyota ha 380.000 lavoratori che ne producono 11 milioni. Un terzo di lavoratori in meno produce un terzo di auto in più! In Germania, decine di migliaia di persone rischiano il licenziamento; nel frattempo, 7 dipartimenti universitari si occupano del futuro della tecnologia nucleare e 130 di studi di genere. Noi non commetteremo questo errore: avremo abbastanza posti di lavoro e abbastanza lavoratori formati per la nuova industria. Ma i preparativi devono essere accelerati e il governo sa cosa deve fare. È ora di rimettere al lavoro László Palkovics;
Signore e signori,
Stiamo anche annunciando il più grande programma di tagli fiscali d’Europa. Se c’è una svolta, ben venga. Raddoppieremo il credito d’imposta per le famiglie con bambini in due fasi. Primo passo: 1° luglio. Seconda fase: 1° gennaio 2026. Le tasse e i contributi dei genitori saranno ridotti di 20.000 fiorini se hanno un figlio, di 80.000 per due figli e di 200.000 per tre o più figli. Questo interesserà più di un milione di famiglie. Stiamo introducendo l’esenzione totale dall’imposta sul reddito per l’assegno di maternità e l’assegno di assistenza all’infanzia. Stiamo introducendo l’esenzione totale dall’imposta sul reddito a vita per le madri con due o tre figli. Per le donne con tre figli, l’esenzione avverrà in un’unica soluzione a partire dall’ottobre 2025. Per le donne con due figli sarà a tappe, a partire da gennaio 2026. Si tratta di un’iniziativa sensazionale a livello mondiale, senza precedenti ovunque. L’esborso sarà enorme, ma la combinazione di un’economia in accelerazione, di programmi di sostegno alle imprese e di piena occupazione può generare l’importo necessario, riducendo al contempo il deficit di bilancio e il debito nazionale. Il sogno di sempre è che le persone che hanno figli non siano svantaggiate finanziariamente rispetto a quelle che non ne hanno. Chi ha figli sa che ciò che si perde in tasca nel crescere un bambino viene restituito al cuore. Se crescete un essere umano decente, alla fine ne trarrete un beneficio economico. Ma ci vorrà molto tempo, e si realizzerà tra molti anni. Per questo è giusto concedere esenzioni fiscali a chi cresce bambini piccoli. Sono anche convinto che nascano più bambini quando le madri possono sentirsi finanziariamente sicure di avere figli. Se non avessimo introdotto il nuovo sistema di sostegno alle famiglie nel 2010, oggi in Ungheria ci sarebbero 200.000 bambini in meno. Immaginate dove saremmo se quei 200.000 bambini ungheresi non fossero nati.
Signore e signori,
COVID, la guerra, i prezzi dell’energia e l’inflazione dei generi alimentari hanno trascinato le famiglie verso il basso; è ora che trovino un rifugio sicuro. Per questo abbiamo bisogno di una svolta anche nella creazione di case. Ecco cosa c’è già: sussidi per l’alloggio delle famiglie; sussidi per l’alloggio delle famiglie rurali; riduzione dell’IVA sull’acquisto di case; programma di ristrutturazione delle case rurali; sussidi per l’alloggio versati dai datori di lavoro. A tutto ciò si aggiungerà, a partire dal 1° aprile, un tetto massimo del 5% per i tassi di interesse sui prestiti per l’acquisto di immobili. La SZÉP Card [per i compensi non salariali] è in arrivo, così come il risparmio pensionistico volontario. Vedo anche all’orizzonte il progetto Student City, che prevede 18.000 stanze in alloggi per studenti.
Signore e signori,
Il Presidente Reagan disse ai suoi ministri: “Odio due cose: i comunisti e le tasse. Fate qualcosa per loro”. A questo possiamo tranquillamente aggiungere l’inflazione. Se non siamo in grado di controllare l’inflazione, non potremo fare progressi in politica e in economia. L’inflazione può minare il successo di altri programmi e rendere la vita delle persone miserabile. Soprattutto l’inflazione alimentare. Ecco perché, oltre a cento nuove fabbriche, agli sgravi fiscali e ai programmi per la creazione di case, abbiamo bisogno di un quarto programma, per frenare l’inflazione. Ricorderete che abbiamo già introdotto misure di riduzione dei prezzi una volta: un congelamento dei prezzi dei prodotti alimentari, un sistema di monitoraggio dei prezzi, riduzioni obbligatorie dei prezzi. E nel frattempo abbiamo aumentato i salari più e più volte. È logico pensare che il modo migliore per difendersi dall’aumento dei prezzi sia un aumento dei salari. Questo è generalmente vero. Ma non è sempre sufficiente e non lo è in tutte le circostanze. Qui e ora, per esempio, non è sufficiente. È successo che il prezzo di alcuni prodotti alimentari di base è stato aumentato in modo significativo dai rivenditori e dalle catene di supermercati – e con esso, ovviamente, i loro profitti. A gennaio di quest’anno il latte costava il 39% in più, le uova il 35% in più e l’olio da cucina l’11% in più. È davvero tanto! In effetti, è inammissibile! Pertanto non lo permetteremo. Ho incaricato il Ministro Márton Nagy di raggiungere un accordo con le catene di vendita al dettaglio per fermare l’aumento dei prezzi e di usare la diplomazia. Ma se non possiamo farlo con la diplomazia, lo faremo con i prezzi ufficiali. A nessuno piace il controllo dei prezzi, ma non c’è alternativa. Se non c’è accordo, si arriverà a una tariffazione ufficiale. E se ciò non bastasse, limiteremo anche il livello di profitto commerciale. Non vorrei arrivare a tanto, perché la pace è meglio e l’accordo è meglio. I pensionati meritano un’attenzione particolare, perché i prezzi dei prodotti alimentari sottraggono alle loro pensioni una quota maggiore rispetto agli stipendi dei lavoratori. Per questo motivo, nella seconda metà dell’anno, offriremo ai pensionati il rimborso dell’IVA su verdura, frutta e latticini, fino a un certo importo mensile. Una riduzione dell’IVA aumenterebbe soprattutto i profitti delle catene di vendita al dettaglio, quindi non è questa la nostra scelta; un rimborso dell’IVA, invece, andrà sicuramente a coloro a cui è destinato. Ecco cosa introdurremo.
Cari amici,
vedo che ci restano solo pochi minuti. Parliamo anche di politica. Innanzitutto c’è la questione dell'[ex] Capo di Stato Maggiore. Consiglio a tutti di praticare la moderazione. Avrei suggerito lo stesso a lui. La politica dei partiti dovrebbe essere tolta dall’esercito, non portata al suo interno. Nell’esercito c’è posto solo per la strategia nazionale. Gli ufficiali devono sapere che questa si colloca su un piano più alto rispetto alla politica di partito. Rivalità, scontri di ego e questioni legate a una residenza ufficiale non sono degni delle forze armate e non appartengono alla scena pubblica – e soprattutto non alla scena politica. Mi aspetto che il Ministro Szalay-Bobrovniczky si assicuri che tutti i membri dell’esercito svolgano il proprio lavoro in modo adeguato. Rispetto per i soldati ungheresi!
Poi ci sono i dati preoccupanti sull’aumento del traffico, dello spaccio e del consumo di droga. C’è un problema. In questo momento il paese è invaso da intrugli tossici e a buon mercato, le droghe sintetiche. Dobbiamo porre un freno a questo fenomeno, a qualsiasi costo. Letteralmente ad ogni costo. Nominerò un commissario governativo speciale. Introdurremo una politica di tolleranza zero. E chiederò al Ministro Pintér di dare la caccia ai trafficanti e agli spacciatori di droga. I trafficanti e gli spacciatori rovinano e uccidono i figli degli altri, quindi non meritano né clemenza né pietà. Né ne avranno;
Cari amici,
Rispondiamo positivamente alla mozione parlamentare che chiede di garantire costituzionalmente il diritto all’uso del contante. Il contante è una questione di libertà; pertanto il suo utilizzo non è una consuetudine, ma un diritto. Ho sentito dire che il denaro digitale è il futuro. Forse, ma solo il denaro contante può essere una garanzia reale e tangibile. Non vogliamo essere schiavi delle banche. Le carte di credito sono per le banche, ma i contanti sono per voi. Attendiamo la mozione parlamentare del Ministro Lázár.
Cari amici,
sento l’odore di un serio dibattito sul diritto dei piccoli villaggi a difendersi. I piccoli villaggi hanno il diritto di difendere le loro dimensioni e la loro atmosfera rurale? Se sì, allora diamo loro i mezzi per far valere questo diritto e per porre fine all’intrusione. La campagna, il villaggio, la piccola città non sono una zona sperimentale, sono un patrimonio. Ministro Navracsics, diamo loro il diritto di difendersi.
Infine, Signore e Signori, dedichiamo due minuti all’opposizione. Dopo tutto, la cosa principale è mantenere il buon umore. Vedo che i nostri avversari ci minacciano di nuovo. Noi non minacciamo, ma non ci piace nemmeno essere minacciati. Non lo consigliamo a nessuno, nel caso in cui finissimo per prenderlo sul serio. Per motivi di ordine, stiamo introducendo l’obbligo per gli eurodeputati – compresi quelli attuali – di fare il tipo di dichiarazione patrimoniale che noi parlamentari ungheresi siamo obbligati a fare per legge. Incoraggiamo l’onorevole Máté Kocsis, leader del nostro gruppo parlamentare, a farlo.
Amici miei,
Non dimentichiamo mai che i nostri veri avversari non sono l’opposizione in Ungheria, ma i loro padroni. L’opposizione ungherese sta solo eseguendo un mandato, sta solo servendo la volontà imperiale che la finanzia, la nutre e la istruisce. Quante volte nella nostra storia li abbiamo visti: lacchè politici in varie vesti, comprati, mantenuti e comandati nelle corti imperiali. Erano sempre ciò che faceva comodo ai loro interessi, zapadniks, compagni di viaggio, reclute del Labanc. Erano tutto ciò che pensavano potesse giovare loro personalmente, ma non sono mai stati ungheresi o patrioti. E ora li abbiamo di nuovo, solo questa volta in veste brussellese. L’unica cosa che conta per Bruxelles è avere un governo ungherese sottomesso: un governo che non costruisce una recinzione, non tassa le multinazionali e le banche, non approva una legge sulla protezione dell’infanzia, non introduce una tredicesima e una riduzione delle bollette energetiche domestiche; ma un governo che invece lascia che saccheggino il Paese nel modo in cui sono abituati – a fondo, e a un ritmo piacevole e veloce. Sono sempre alla ricerca di persone che lo facciano. Hanno provato con un primo ministro “esperto”, un doppio cittadino canadese-ungherese, un sindaco con una padronanza “iperpassiva” delle lingue e un’alleanza di estrema sinistra e di estrema destra;
Ora c’è un nuovo spettacolo, un nuovo palcoscenico, un nuovo burattino; ma ci sono le stesse vecchie mani e il vecchio e familiare sorriso. Fino al 1990 Mosca dava l’immunità ai comunisti; ora Bruxelles dà l’immunità ai liberali. Che fortuna che Bruxelles non sia Mosca! Noi veniamo multati di un milione di euro al giorno per aver tenuto fuori i migranti, mentre i nostri avversari ottengono l’immunità per reati di diritto pubblico. Immunità in cambio di giuramenti di fedeltà. Ma dove finirà tutto questo? Ascoltiamo János Arany: “Lo scarabeo notturno ronza e colpisce il muro. Si sente un forte colpo, e poi tutto tace”
Dio sopra tutti noi, l’Ungheria prima di tutto!
Forza Ungheria, forza ungheresi!
Le risposte del Primo Ministro Viktor Orban ai deputati che rispondono al suo discorso in Parlamento
24/02/2025
Fonte: Ufficio di Gabinetto del Primo Ministro
Grazie per la parola, signor Presidente. Anche se le parole degli onorevoli deputati dell’opposizione sono solo tangenziali rispetto a quanto ho detto io, è giusto che, visto che mi hanno onorato con le loro opinioni, io risponda brevemente.
Al vice capogruppo della DK [Coalizione Democratica] posso dire che capisco che non vi piaccia questa svolta nella politica mondiale, ma non posso cambiarla. La prego di cercare di accettare la nuova situazione che dovremo affrontare nei prossimi decenni. Per quanto riguarda il suo desiderio, signora deputata, che il governo non si impegni nella NATO, o che sia addirittura contrario alla NATO, vorrei ricordarle il semplice fatto che quando lei era sottosegretario alla Difesa, come membro della NATO l’Ungheria spendeva l’1% del suo PIL per questo, mentre ora spende il 2%. Credo che due sia più di uno. Se l’impegno si misura con i contributi finanziari, allora posso dire che il nostro impegno nei confronti della NATO è almeno doppio rispetto a quello che avevate voi. Lei sa che io non mi lancio in insulti personali, ma seguo anche la regola che si dovrebbe dare quanto si riceve, altrimenti si rischia di fare la figura dei fessi. Capisco che lei ci accusi di non essere dalla parte dei poveri. Questo nonostante io abbia parlato del credito ai lavoratori, del regime di rimborso dell’IVA per i pensionati, dell’aumento del salario minimo e del sostegno alle famiglie. Ma purtroppo devo ricordarle che quando lei era al governo ha tolto un mese di pensione ai pensionati e un mese di stipendio ai lavoratori dipendenti. Nella storia ungherese non c’è mai stato un pacchetto politico così ostile ai poveri. Le chiedo quindi di tenerne conto quando ci attacca. E purtroppo devo farle notare – visto che ha usato il termine “accaparramento di libertà” e ci ha accusato di questo – che il leader del suo partito arriva qui ogni giorno sul posto di lavoro provenendo da una villa del valore di miliardi di fiorini, che è stata confiscata alle famiglie ebree. Tanto varrebbe essere impiccati per una pecora quanto per un agnello! Infine, onorevole, sulla questione del prestito per i bambini, posso informarla che il governo ha negoziato due volte con le banche e l’Associazione delle compagnie di assicurazione ungheresi; abbiamo chiesto loro – e cito dai verbali – “di sviluppare urgentemente un addendum, una garanzia di prestito per assistere in una situazione così tragica la vita dei beneficiari del prestito per i bambini”;
Onorevoli deputati,
Molti di voi ci hanno chiesto di rendere il recupero crediti un compito dello Stato. Sono d’accordo sul fatto che gli abusi nel recupero crediti debbano essere affrontati, ma suggerisco di discutere se sia meglio che se ne occupi il Governo o se i tribunali siano più adatti. A quanto ho capito, la maggior parte dei presenti si riferisce all’usura, che devo dire è una forma di sfruttamento diffusa in molti luoghi della campagna e che deve essere combattuta. Ma a mio avviso vale la pena discutere se l’azione debba essere intrapresa dal governo, dai tribunali o dalle autorità locali. Non sono sicuro che sia saggio suggerire di nazionalizzare il recupero crediti.
Onorevole Toroczkai,
Lei ha parlato di coppie sterili. Credo che questo sia importante. Vorrei sottolineare che non è un caso che il Governo abbia deciso di rendere pubbliche le istituzioni che aiutano le coppie sterili. Secondo i nostri dati, negli ultimi tempi il numero di bambini nati in questo modo è quasi raddoppiato, credo… Sì… Alcuni lo contestano. Non è raffinato discutere sui fatti. Le suggerisco di ampliare la sua conoscenza della realtà.
Per quanto riguarda il prezzo dei prodotti alimentari di base, non credo che sia accettabile aumentare il prezzo di alcuni prodotti del 40, 30 o 20 per cento in pochi mesi. Dobbiamo stare attenti a questo. Vedo che Jobbik – Movimento per un’Ungheria migliore si oppone alla regolamentazione dei prezzi – anche se temporanea; e devo dire che dovremmo usare questo strumento se necessario, anche se in termini filosofici siamo d’accordo con lei che l’intervento dello Stato nel commercio è piuttosto dannoso. Questo è vero in termini filosofici, ma per alcuni prodotti potremmo essere costretti a farlo temporaneamente. Devo dire che vale la pena studiare anche gli esempi forniti dai Paesi che ci circondano. In questo momento, a quanto mi risulta, la Croazia ci sta provando per un centinaio di prodotti. Suggerisco di non trasformare la questione in un dibattito politico, ma di concordare semplicemente sul fatto che non è tollerabile che i prezzi aumentino a tal punto da mettere pensionati e famiglie in una situazione impossibile. Dobbiamo agire contro questa situazione;
Non consiglio di fare ciò che propone il collega Komjáthi: abolire la tassa sulle catene di vendita al dettaglio multinazionali. Non sarei affatto d’accordo e ritengo che sarebbe inopportuno e ingiusto.
Il collega Toroczkai ha parlato della difesa dei confini. Prima di tutto, vorrei ringraziare le guardie di frontiera e gli agenti di polizia che vi lavorano per il loro lavoro. Stanno svolgendo un compito storico. Non è questo l’argomento della nostra discussione odierna, ma credo che sia compito della nostra generazione difendere l’Ungheria e l’Europa centrale dalle ondate di immigrati provenienti da sud; e sarà compito dei nostri figli fare lo stesso contro le ondate di immigrati provenienti da ovest. Si tratta quindi di una questione seria. Credo che la polizia e la difesa delle frontiere debbano essere prese sul serio e, a mio avviso, devono essere considerate la questione più importante per il Paese;
Non posso essere d’accordo con lei quando suggerisce di istituire una procura anticorruzione separata. A mio avviso, la Procura, che risponde al Parlamento, è unitaria e indivisibile, e lo dice la Costituzione. Ma questo non è il mio argomento principale: è la pratica e la realtà. A lei e ad altri che suggeriscono questo, consiglierei di esaminare l’esperienza dell’ufficio del procuratore speciale anticorruzione in Romania; e se non riuscite a trovare informazioni di prima mano, parlate con gli ungheresi e con i leader politici ungheresi di come l’agenzia creata a questo scopo sia stata usata contro di loro per scopi politici. Quindi, in questo caso, raccomanderei prudenza.
Al signor László György Lukács vorrei dire che anche secondo me c’è un problema di spaccio rurale. Lo spaccio urbano è un problema, ovviamente, ma c’è un nuovo fenomeno, questo fenomeno rurale, che si sta diffondendo come una piaga. In larga misura ne conosciamo la causa. Sono anche d’accordo con lei sulla necessità di intraprendere le azioni più forti possibili contro gli spacciatori. Una piccola macchia sul nostro grande consenso è il fatto che l’ultima volta che c’è stata un’elezione lei è entrato in Parlamento da una lista congiunta di partito che era a favore della liberalizzazione della droga. Quindi capisco quello che sta dicendo, ma non è lei il deputato che dovrebbe darci lezioni su questo argomento. Sì, lei è stato eletto nella lista di Gyurcsány, e quel partito e quella sinistra avevano un importante programma di politica sociale che definiva la liberalizzazione della droga. Questa è la verità;
E propongo di non continuare a nutrire e detenere i trafficanti di persone in Ungheria, ma di arrestarli ed espellerli dal Paese in tempi brevi. Dovremmo espellerli dal Paese con la minaccia, presa sul serio da tutti quelli che sono stati espulsi finora, che se torneranno saranno puniti due volte di più. Infatti, è per questo che oggi in Ungheria non ci sono trafficanti di esseri umani che abbiamo espulso in precedenza e che sono tornati. Quindi il fatto è che non continueremo a trattenere i trafficanti di esseri umani in Ungheria.
Onorevole parlamentare,
Le visioni apocalittiche che vedono la produzione di automobili, l’industria automobilistica, l’elettromobilità e la produzione di batterie fuori dall’agenda dell’economia occidentale moderna sono sbagliate. La trasformazione è in corso e l’elettromobilità sarà il processo determinante dei prossimi venti o trent’anni. Si può discutere sulla velocità con cui si sta muovendo, ma non ho dubbi che sia il futuro, chi investirà in questo settore vincerà la gara per il futuro e noi facciamo bene a concentrare i nostri sforzi lì.
Mi dispiace che il deputato Jobbik abbia attaccato il programma di credito per i lavoratori. Ritengo che, se usufruiranno del credito per i lavoratori, i giovani decideranno per cosa spendere i loro soldi. Non credo che debbano ascoltare i vostri allarmismi. Lei non ha votato per il programma di prepensionamento “Donne 40”, ma di questo si è già parlato.
Sono spesso d’accordo con Imre Komjáthi su molte questioni; ma ora, se mi permette, devo parlare del fatto che lei ha detto che avrebbe parlato di coloro che portano il Paese sulle spalle, perché non sono stati menzionati. Vorrei però far notare che qui si è parlato di tutti i tipi di persone che portano il Paese sulle spalle: insegnanti, giovani lavoratori, madri, medici e infermieri. Onorevole collega, la fluttuazione della produzione industriale non può essere evitata. Anch’io sarei felice di poter dire che la produzione industriale è in costante aumento. Ma il fatto è che nella situazione attuale – soprattutto nella situazione dell’economia tedesca – questa performance è destinata a fluttuare. Vedremo se, dopo le elezioni tedesche di ieri, ci sarà un governo in Germania in grado almeno di appianare le fluttuazioni della performance industriale tedesca e quindi di aiutarci;
Lei ha anche citato i dati sulla disoccupazione. Vorrei fare riferimento al numero di persone che lavorano. Quando lei era al governo, onorevole, il numero di occupati era inferiore di un milione rispetto a quello attuale – e attualmente sono 4,7 milioni. La prego di tenerne conto.
Per quanto riguarda Dunaferr [impianto metallurgico], posso dirvi che dobbiamo pagare i salari delle persone. Finché potremo, pagheremo i salari e contribuiremo a far sì che i lavoratori possano mantenere il loro posto di lavoro o trovarne un altro. Anche in questo caso, suggerisco che invece di attaccare il Governo si cerchino opportunità di cooperazione. Per quanto riguarda la sua domanda sull’obbligo per gli investitori di restituire gli aiuti ricevuti se non rispettano il loro lavoro o i loro obblighi, sono lieto di dirle che oggi questa è la legge. È così che deve essere e noi la faremo rispettare.
Forse è stato il nostro collega del Momentum a dire che il 70% degli operatori ospedalieri è depresso. Devo respingere questa affermazione. È sicuro di sapere di cosa sta parlando? Sta dicendo che il 70% dei medici e degli infermieri che lavorano negli ospedali sono depressi? Anche a nome loro, vorrei che si astenesse da queste esagerazioni in un’età così giovane e poetica, e che ringraziassimo i medici e gli infermieri per il loro lavoro, invece di descriverli come depressi – infermieri e medici che lavorano lì da una vita. Quindi, mostrate più rispetto per le persone che lavorano lì!
Infine, si è parlato anche della guerra e della situazione in Ucraina. Sappiamo tutti che fin dall’inizio l’Ungheria è stata dalla parte della pace e che all’inizio solo noi e il Vaticano eravamo dalla parte della pace. Ciò che è cambiato ora è che anche gli Stati Uniti sono dalla parte della pace. Quindi, quando ci accusano di essere filorussi, ricordate che anche gli Stati Uniti sono accusati di essere filorussi. Questo è ciò che pensano molte persone qui, e vorrei congratularmi con lei per la sua opinione. Il mio suggerimento è che dovremmo cercare di valutare i negoziati di pace e l’imminente accordo di pace con gli occhi dell’Ungheria. Ciò che accade all’Ucraina è certamente una questione importante, ma la questione più importante è ciò che accade all’Ungheria. Per me è importante che si raggiungano negoziati di pace e un accordo di pace che garantisca la sicurezza dell’Ungheria. A differenza di lei, non parlo dell’indipendenza dell’Ucraina e dei suoi interessi: sbaglia a farlo, perché non è affar nostro. Abbiamo bisogno di un accordo di pace che garantisca la sicurezza dell’Ungheria e, attraverso di essa, la sicurezza degli europei. E se ne consegue che il tentativo di far entrare l’Ucraina nella NATO fallisce e l’Ucraina torna a essere uno Stato cuscinetto, allora gli accordi per questo Stato cuscinetto devono essere concepiti in modo tale da garantire la sicurezza di noi ungheresi; questa è la nostra unica preoccupazione. Vi suggerisco di prenderlo in considerazione.
Negoziati tra CDU/CSU e SPD per formare il nuovo governo: a porte chiuse, si devono prima elaborare le ferite della campagna elettorale. In trattative di questo tipo, non contano solo i contenuti, anche il rapporto di fiducia, l’aspetto umano tra gli attori è importante. Non sarà facile. Una cosa è già chiara: una questione chiave durante le consultazioni sarà il bilancio e il suo finanziamento, si cercano quindi vie d’uscita, cioè più debiti.
01-02.03.2025
Missione costruzione della fiducia
L’Unione e l’SPD trattano l’avvio dei loro colloqui esplorativi come una questione di comando segreto. Fin dall’inizio si tratta del tema chiave delle finanze. Durante il primo incontro, i team negoziali non si sono limitati a concordare un calendario e i temi più importanti.
La prossima settimana l’Unione e la SPD prepareranno i negoziati di coalizione. Il lato positivo: si conoscono. Il lato negativo: si conoscono. Ma cosa succede se la SPD rimane inflessibile su questioni cruciali?
La maggioranza dei tedeschi spera in un governo rosso-nero – Ampio sostegno a un governo rosso-nero. La maggioranza dei tedeschi (52%) è favorevole a un possibile governo formato da CDU/CSU e SPD, come dimostra un sondaggio INSA per il quotidiano BILD. Temi principali: respingimenti alle frontiere e riforma del freno all’indebitamento.
di ANGELIKA HELLEMANN, FLORIAN KAIN e BURKHARD UHLENBROICH
Il nuovo cancelliere in pectore Friedrich Merz prova a comporre la coalizione di governo tra cristiani sociali (Unione) e socialdemocratici, ora guidati dal capogruppo parlamentare Lars Klingbeil. Su questioni fondamentali i negoziatori delle due parti sono ancora molto distanti. Temi: la politica estera e di sicurezza ed il loro finanziamento, immigrazione (dopo le elezioni Merz formula tutto in modo più morbido), reddito di cittadinanza, pensioni e assistenza, regimi fiscali. Non mancano poi rivalità interne ai singoli partiti. A livello di politica interna, la coalizione si troverà stretta tra le due sponde della barricata, quella di destra e quella di sinistra.In profondità servirebbe qualcos’altro, una visione, un carisma: Unione e SPD devono trasmettere ai cittadini che esiste un’idea di futuro condivisa e che sono in grado di attuarla. Le consultazioni dovrebbero essere piuttosto brevi, nessuno vuole immaginare che ci si arrenda prima ancora di iniziare i negoziati per la coalizione. E Merz desidera un breve accordo di coalizione. La leader del gruppo parlamentare dell’AfD Alice Weidel ha annunciato che “darà la caccia” alla coalizione.
01.03.2025
È IN GRADO DI GESTIRE LA CRISI?
Come FRIEDRICH MERZ vuole governare il Paese. Aveva promesso un grande “cambiamento politico”. Ma già pochi giorni dopo le elezioni federali, il leader della CDU sta lottando contro le forze di resistenza della politica berlinese – nelle proprie file e con il suo unico partner realistico di coalizione, i socialdemocratici.
L’AfD è in agguato, Putin minaccia, Trump crea fatti: il cancelliere tedesco Friedrich Merz riuscirà con il nero-rosso ciò in cui il suo predecessore ha fallito? Almeno una cosa accomuna lui e il leader del gruppo parlamentare SPD Lars Klingbeil: una scala.
di Sophie Garbe, Konstantin von Hammerstein, Christoph Hickmann, Marc Hujer, Paul-Anton Krüger, Jonas Schaible, Christian Teevs
La paura della CDU per il successo dell’AfD nella Germania orientale
I cristiano-democratici sono in allarme: il partito blu è ora più del doppio più forte di loro nei cinque Länder della Germania orientale. I primi ministri Kretschmer, Haseloff e Voigt chiedono al leader del partito Merz di fornire soluzioni. La loro regione è un “sismografo” per lo sviluppo a livello nazionale
La paura della CDU per il successo dell’AfD nella Germania orientale
I cristiano-democratici sono in allarme: il partito blu è ora più del doppio più forte di loro nei cinque Länder della Germania orientale. I primi ministri Kretschmer, Haseloff e Voigt chiedono al leader del partito Merz di fornire soluzioni. La loro regione è un “sismografo” per lo sviluppo a livello nazionale
DI CLAUS CHRISTIAN MALZAHN Proseguire la lettura cliccando su:
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Il pessimo risultato della SPD alle recenti elezioni tedesche è “il peggior risultato nell’ultimo secolo di esistenza di questo partito” (è stata così indicato negli articoli che ho letto), induce due considerazioni congiunte tra loro.
La prima, che qui non ripeto, perché spesso ci sono tornato, è che è venuta meno l’opposizione principale nel “secolo breve” cioè quella tra proletariato e borghesia, a seguito del crollo del “socialismo reale”; onde viene meno anche la necessità di quei partiti che della suddetta opposizione erano la conseguenza e l’espressione (politica e organizzativa).
La seconda: di quella opposizione la SPD era il caso (e il prodotto) più importante. Quale espressione dell’evoluzione e dei travagli a un tempo del movimento operaio, del socialismo e della sinistra in genere da circa un secolo e mezzo
Il partito ispirato a Marx, Engelss e Lassalle, nato nel 1875, che aveva visto al proprio vertice Bebel, Kautsky, Bernstein fino a Willy Brandt e ai dirigenti successivi alla II guerra mondiale; il partito che è stato oggetto di studio anche di pensatori non proprio socialisti come Spengler e Michels è ridotto ai minimi termini. Spengler ne notava il carattere disciplinato (prussiano/comunitario) contrapposto allo spirito disordinato e individualista (francese e inglese). Mentre Michels vi trovava conferma della regolarità (Miglio) della classe politica e della ferrea legge delle oligarchie che dominavano anche in un movimento teso ad una prospettiva di liberazione totale (la società senza classi).
In effetti Spengler scriveva che “in quella classe operaia forgiata da Bebel in un potente esercito, nella sua disciplina e fedeltà, nel suo cameratismo, nella sua disponibilità ai più estremi sacrifici, sopravviveva quell’antico stile prussiano”.; e che un socialismo tedesco o meglio prussiano significa che questo si conforma alla convinzione generale (istinto/guida) che il potere appartiene alla comunità mentre in quello inglese appartiene all’individuo e in quella francese a nessuno. Combinandosi col socialismo questa convinzione (notata da altri come di derivazione luterana) genera un socialismo gerarchico-comunitario, in sostanza autoritario.
Nel secondo dopo guerra Kirchheimer coniava il termine di “partito pigliatutto” ispirandosi (anche) all’evoluzione dell’SPD; connotati salienti del “partito pigliatutto” erano (rispetto al “partito di classe” che l’aveva preceduto) di fare riferimento a un insieme di gruppi sociali e una evidente de-ideologizzazione.
A seguito del crollo del comunismo, della perdita dell’opposizione borghese-proletario e dell’emergere di una nuova frattura decisiva (globalizzazione-sovranpopulismo), anche un partito esemplare e glorioso come la SPD pare giunto ai minimi termini come i suoi analoghi di sinistra (e spesso anche di destra).
Né l’insediamento sociale, né l’aver governato per decenni, né la tradizione più che centenaria hanno retto alla neutralizzazione dell’opposizione che li ha generati e all’indebolimento dei fattori d’integrazione. Una lezione per l’avvenire.
Teodoro Klitsche de la Grange
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