Su Italia e il Mondo: Si Parla di Russia Una Russia che non c’è, almeno stando all’apparato mediatico dominante. Una Russia che con qualche ovvia difficoltà si sta rivelando in grado di affrontare l’aspro confronto con l’Occidente Una Russia che ha volto lo sguardo con successo e trovato accoglienza nella “maggioranza globale” e che sta convertendo a grandi passi la propria economia e il proprio assetto politico-sociale_Giuseppe Germinario
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Cosa c’è dietro il piano di Tony Blair per Gaza? Testo completo
Il disastro umanitario di Gaza sta diventando il laboratorio per una nuova governance tecno-imperiale.
Per decodificare il Piano Blair – e il suo Consiglio per la Pace, che l’amministratore delegato Donald Trump vorrebbe presiedere – dobbiamo comprendere Curtis Yarvin e la sua genealogia neoreazionaria.
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Sebbene la composizione di questi organismi rimanga poco chiara, nel piano americano un nome compare chiaramente tra le figure di spicco: Tony Blair.
Come rivela il New York Times , secondo questa proposta, Hamas verrebbe sostituita a Gaza “da un ‘comitato palestinese tecnocratico e apolitico’. Questo sarebbe supervisionato da un ‘Consiglio per la pace’ presieduto dal signor Trump, con il signor Blair in un ruolo di guida”. 1
La menzione di Tony Blair nel piano di Trump non è poi così sorprendente.
L’ex Primo Ministro ha sempre mantenuto stretti legami con Washington, in particolare quando sostenne l’intervento in Iraq nel 2003. È da tempo impegnato nella ricerca di una soluzione al conflitto israelo-palestinese. Nel maggio 2008, poco dopo la fine del suo mandato politico, divenuto inviato speciale del Quartetto (ONU, Unione Europea, Stati Uniti, Russia) in Medio Oriente, aveva già proposto un piano di pace.
Nel 2016, dopo aver lasciato il suo ruolo di inviato speciale, Blair ha creato il suo think tank, il Tony Blair Institute for Global Change, ora ampiamente sostenuto dal miliardario Larry Ellison, uno dei pilastri del progetto di Donald Trump per trasformare lo stato digitale americano.
Fu grazie a questo che il nome di Blair emerse come figura chiave nel nuovo piano per Gaza. L’Istituto aveva contribuito allo sviluppo del progetto “Gaza Riviera”, elaborato con il Boston Consulting Group, il cui documento di lavoro era stato pubblicato dal Financial Times lo scorso luglio. Poche settimane dopo, il 27 agosto, Tony Blair fu invitato alla Casa Bianca per discutere la questione con Donald Trump.
Il documento che stiamo traducendo qui è la tabella di marcia proposta da Tony Blair per l’istituzione del Comitato di transizione di Gaza, ora denominato Autorità internazionale di transizione di Gaza.
Dopo gli attacchi del 7 ottobre, Yarvin presentò agli abbonati della sua newsletter il suo progetto, ” Gaza Inc. “, che mirava a trasformare l’enclave palestinese in uno stato aziendale svuotato dei suoi abitanti.
L’influenza di Yarvin è chiaramente visibile nella concezione imprenditoriale e tecnocratica del Blair Project.
Questa entità viene presentata come la suprema autorità politica e giuridica, e l’ex Primo Ministro britannico si immagina in questo ruolo come amministratore delegato di un governo di transizione. Questa ambizione si rifletteva già nel suo libro ” On Leadership: Lessons for the 21st Century” , in cui Blair invitava a confrontare il ruolo di un leader politico con quello di un leader aziendale.
Un altro aspetto che rivela il peso delle idee neoreazionarie nel piano Blair è la volontà di trasformare Gaza in una zona franca: uno spazio favorevole agli investimenti ma svuotato dei suoi abitanti.
Nel suo testo, Yarvin proponeva di assegnare un “gettone” di Gaza a ciascun ex residente sfollato, con un valore commerciabile e trasferibile. Il piano Blair adotta in parte questa logica prevedendo la creazione di una ” Unità per la Preservazione dei Diritti di Proprietà “ incaricata di garantire legalmente i diritti dei cittadini di Gaza espulsi.
Questa unità rilascerebbe certificati di proprietà, presentati come garanzia della futura restituzione della proprietà al ritorno dei residenti, il che appare anche come un primo passo verso il sogno formalista di Yarvin .
Struttura istituzionale dell’Autorità internazionale di transizione per Gaza (ITAG)
Riepilogo della logica strutturale del piano
Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite: istituisce l’AITG tramite risoluzione e fornisce la base giuridica per la sua autorità.
Consiglio internazionale dell’AITG: esercita la suprema autorità strategica e politica, nomina i commissari e supervisiona tutti i componenti dell’AITG.
Presidente del Consiglio di Amministrazione: guida l’impegno strategico e la comunicazione pubblica, supportato da un’unità di implementazione dedicata.
Segreteria Esecutiva: funge da centro amministrativo e operativo dell’AITG. Coordina tutte le funzioni quotidiane, supervisiona l’Autorità Esecutiva Palestinese e si interfaccia con tutti i commissari di vigilanza.
Commissari di vigilanza: forniscono supervisione tematica e coordinamento in settori chiave: umanitario ; ricostruzione ; legale e legislativo ; sicurezza ; coordinamento con l’Autorità palestinese .
Gaza Investment and Economic Development Promotion Authority (GIEPA): opera come autorità economica autonoma che risponde direttamente al Consiglio di Amministrazione del GIEPA. Assume tutte le funzioni di supervisione degli investimenti.
Autorità esecutiva palestinese: implementa i servizi pubblici, tra cui sanità, istruzione, infrastrutture, polizia civile, giustizia, regolamentazione economica e amministrazione municipale, sotto la supervisione del Segretariato esecutivo.
Comuni e Polizia civile: forniscono servizi di governance e sicurezza a livello locale, coordinati rispettivamente dalla Segreteria esecutiva e dal Servizio di vigilanza sulla sicurezza.
Tribunali e pubblici ministeri: esercitano funzioni giudiziarie e penali indipendenti nell’ambito del quadro giuridico stabilito dall’AITG.
Forza di stabilizzazione internazionale (ISF): un attore separato schierato esternamente che garantisce la stabilità strategica e coordina le proprie azioni attraverso il Centro congiunto di coordinamento della sicurezza.
Ogni componente svolge un ruolo chiaramente definito all’interno di una struttura unificata di autorità, coordinamento e responsabilità, specificamente progettata per la governance transitoria a Gaza. Questo modello trova un equilibrio tra supervisione internazionale, attuazione da parte di un’autorità palestinese e graduale trasferimento a istituzioni locali riformate.
Le prime pagine del documento lasciano pochi dubbi sul fatto che non si tratti di una proposta di transizione politica, ma piuttosto di un progetto imprenditoriale. Infatti, mentre la maggior parte delle costituzioni contemporanee si basa – almeno formalmente – sulla separazione dei poteri, questo non viene menzionato qui. Mentre sono previste strutture giudiziarie con un ruolo limitato, il piano Blair prevede essenzialmente un ruolo esecutivo, estraneo alla prospettiva legislativa. Fin dall’inizio, l’area amministrata in via transitoria viene posta al di fuori di qualsiasi quadro normativo e privata dei principali attributi dello Stato.
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Durante la fase transitoria, precedente al pieno dispiegamento delle istituzioni dell’AITG a Gaza, l’implementazione operativa seguirà un modello ibrido graduale. Una cellula di coordinamento avanzata potrebbe essere basata a El Arish per facilitare un rapido accesso e l’interazione con i funzionari israeliani ed egiziani. Un centro amministrativo e politico principale potrebbe essere temporaneamente situato ad Amman o al Cairo, a seconda dell’accessibilità e della disponibilità di personale, mentre le funzioni diplomatiche di alto livello e di coordinamento dei donatori potrebbero essere svolte da altre sedi appropriate.
Questo dispiegamento provvisorio comprenderà tutte le funzioni principali dell’AITG, tra cui il Segretariato Strategico del Presidente, il Segretariato Esecutivo, i Commissari di Supervisione, i Team di Coordinamento dell’Autorità Palestinese, i pianificatori legali, umanitari e della ricostruzione e il personale chiave dell’Autorità Esecutiva dell’Autorità Palestinese. Tuttavia, alcune funzioni, in particolare quelle relative al coordinamento municipale, alla logistica umanitaria, alla supervisione della sicurezza e all’interfaccia tra la Polizia Civile e la Polizia Militare, richiederanno una presenza limitata ma continuativa all’interno di Gaza fin dalla prima fase del dispiegamento. Questi elementi sul campo saranno gradualmente rafforzati in base alle condizioni infrastrutturali, di sicurezza e politiche sul campo.
1 — Organo di governo internazionale
Consiglio Internazionale AITG (Consiglio di Amministrazione di Alto Livello)
Ruolo: suprema autorità politica e giuridica per Gaza durante il periodo di transizione.
Composizione: Circa 7-10 membri, incluso un presidente. I membri sono nominati dagli Stati contributori e confermati attraverso un processo coordinato dalle Nazioni Unite. Il Consiglio comprende:
Almeno unorappresentante palestinesequalificato (possibilmente proveniente dal settore commerciale o della sicurezza)
Una cimafunzionario delle Nazioni Unite(ad esempio, Sigrid Kaag)
Personaggi internazionali di spicco con esperienza in esecuzione e finanza (ad esempio Marc Rowan, Naguib Sawiris, forse Aryeh Lightstone)
Una forte rappresentanza di membri musulmanial fine di garantire legittimità regionale e credibilità culturale: membri che godono del sostegno politico dei loro paesi, ma anche, preferibilmente, di una credibilità di lunga data nel campo degli affari.
Funzioni:
Prende decisioni vincolanti.
Approva importanti leggi e nomine.
Fornisce una direzione strategica.
Rapporti al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
Relazioni:
Supervisiona l’intero sistema AITG.
Delega la sua autorità al Segretariato esecutivo.
Supervisiona e verifica il lavoro di ciascun pilastro di controllo e del ramo esecutivo.
Opera sotto l’autorità conferitagli dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e ne risponde.
L’entità politica più elevata è di fatto un Consiglio presieduto da un Presidente : Gaza non è concepita come un territorio sovrano destinato ad essere amministrato da una popolazione, ma come un’azienda.
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I. Presidenza del Consiglio di Amministrazione
A — Presidente del Consiglio di Amministrazione
Ruolo e responsabilità:
Il Presidente del Consiglio di Amministrazione Internazionale dell’AITG è il massimo funzionario politico , il principale portavoce e il coordinatore strategico dell’intera Autorità di Transizione. Nominato per consenso internazionale e approvato dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, il Presidente dirige le relazioni esterne dell’AITG, garantisce la coesione tra i suoi organi di governo e rappresenta l’AITG in tutti i forum diplomatici, intergovernativi e dei donatori.
Il Presidente :
Stabilisce la direzione politica e strategica in stretta consultazione con il Consiglio di amministrazione dell’AITG e l’Autorità Palestinese.
Guida la diplomazia esterna con gli Stati, le organizzazioni internazionali e i donatori.
Assicura l’unità di intenti all’interno della struttura istituzionale dell’AITG
Funge da punto di contatto per questioni intersettoriali, decisioni delicate o urgenti esigenze di coordinamento.
Guida la diplomazia strategica in materia di sicurezza con attori esterni, tra cui Israele, Egitto e Stati Uniti, e supervisiona la risoluzione delle escalation su questioni di sicurezza ad alto rischio, in consultazione con il Commissario di vigilanza per la sicurezza.
È significativo che il Presidente del Consiglio di amministrazione – in questo caso, per proiezione, Tony Blair in persona – otterrebbe prerogative esorbitanti in questioni di sovranità sovrana, come la politica estera e la strategia geopolitica del territorio di Gaza.
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B — Segreteria strategica del Presidente
Un team compatto e altamente performante che supporta il Presidente nei suoi impegni strategici, nel coordinamento interno e nella comunicazione esecutiva.
Funzioni:
Composto da un massimo di 25 persone, che rispondono direttamente al presidente.
Include consulenti senior che “camminano al fianco” delle principali aree funzionali dell’AITG (ad esempio, umanitaria, ricostruzione, legale, sicurezza, economica)
Fornisce ricerca politica, preparazione di briefing, supporto diplomatico e pianificazione di riunioni di gestione
Istituisce una “cellula di crisi” strategica per analisi, coordinamento e comunicazione rapidi
Relazioni:
Opera in modo indipendente dal Segretariato esecutivo, ma mantiene un coordinamento continuo con esso
Collabora strettamente con i Commissari di controllo e il Segretariato esecutivo sulle questioni emergenti
Serve da piattaforma per il presidente per la diplomazia, le relazioni con i donatori e la consapevolezza politica
C — Unità di protezione esecutiva (EPU)
Forza di sicurezza specializzata responsabile della protezione dei vertici aziendali e delle funzioni strategiche dell’AITG.
Ruolo :
Fornisce protezione e sicurezza al Presidente, ai membri del consiglio di amministrazione dell’AITG e al personale dirigente; protegge strutture, convogli e impegni diplomatici a Gaza.
Funzioni:
Fornire una stretta protezione al Presidente e al Consiglio di Amministrazione durante le loro operazioni a Gaza.
Sicurezza di complessi direzionali, uffici e strutture di sicurezza
Protezione e scorta protocollare per inviati e personalità in visita
Mantiene una rapida capacità di estrazione e rimane pronto a rispondere agli incidenti
Coordinamento con la Forza Internazionale di Stabilizzazione (ISF) e la Polizia Civile per garantire la sicurezza dei locali.
Struttura e supervisione:
Lei è strategicamente allineata con il presidente, masupervisionato operativamente dal commissario di controllo responsabile della sicurezza
Integrato nelCentro congiunto di coordinamento della sicurezzaper l’integrazione con l’ISF e la polizia civile
Composto da personale d’élite composto da collaboratori arabi e internazionali
Equilibrio politico che riflette neutralità, professionalità e legittimità
Questa “unità di protezione esecutiva” ricorda le guardie presidenziali dotate di ampi poteri, caratteristiche dei regimi autoritari.
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II. Segreteria esecutiva dell’AITG (SEG)
A — Ufficio SEG
Ruolo: Centro amministrativo e organo attuatore dell’AITG. Supervisiona direttamente l’Autorità Esecutiva Palestinese (ramo di erogazione dei servizi), garantendo il raggiungimento degli obiettivi, l’allineamento strategico e il rispetto delle normative.
Funzioni:
Coordina le operazioni quotidiane.
Gestisce le risorse umane e gli stipendi; garantisce il completamento dei compiti.
Implementazione di servizi governativi digitali e sistemi di identità, tra cui la gestione dello stato civile e piattaforme digitali per licenze e permessi.
Relazioni :
Risponde al Consiglio di Amministrazione dell’AITG.
Gestisce i commissari e tutte le istituzioni esecutive.
Si coordina con tutti gli altri organismi che fanno capo al Consiglio dell’AITG, tra cui agenzie umanitarie, di ricostruzione, legali, di sicurezza ed economiche, per garantire un allineamento politico bidirezionale e una coerenza operativa.
Unità specializzate:
Ufficio Affari Legali e Normativi
Unità di pianificazione e performance
Unità di coordinamento transitorio
B — Coordinamento finanziario e di bilancio
Il Segretariato esecutivo dirige tutti gli aspetti della pianificazione del bilancio, dell’esecuzione e della rendicontazione finanziaria all’interno dell’AITG attraverso due unità specializzate:
Unità di gestione finanziaria (FMU):Coordina e integra il bilancio istituzionale dell’intera AITG, comprendendo la Segreteria del Presidente, la Segreteria Esecutiva, i Commissari di Controllo e gli organi di supporto. Garantisce l’allineamento del bilancio con il mandato strategico dell’AITG, consolida i contributi finanziari, presenta le bozze di bilancio al Consiglio Internazionale dell’AITG per l’approvazione e si coordina conServizio di rendicontazione finanziaria e sovvenzioni (SRFS)per erogazioni e rendicontazioni. L’UGF monitora anche il rispetto delle scadenze di spesa e le performance istituzionali.
Unità di gestione finanziaria dell’Autorità esecutiva palestinese (PEFAMU):È specializzata nello sviluppo e nel monitoraggio dei bilanci per ministeri, municipalità e sezioni operative dell’Autorità Esecutiva Palestinese (PEA). L’UBAEP collabora a stretto contatto con i ministeri tecnici e gli stakeholder municipali e riferisce tramite l’UGF per garantire la coerenza con il quadro finanziario dell’AITG. Garantisce che i fondi per l’erogazione dei servizi siano basati sulle prestazioni e allineati ai cicli di pianificazione dell’AITG.
Relazioni:
L’UGF e l’UBAEPoperano come unità interconnesse, con l’UBAEP che fornisce i dati di bilancio del settore al processo UGF consolidato.
L’UGFè direttamente correlato alSRFSper tutti gli obblighi di rilascio e rendicontazione dei fondi, mentreUBAEPgarantisce la responsabilità a valle a livello dei ministeri e dei comuni competenti.
Entrambe le unità collaborano a stretto contatto con: l’Unità di pianificazione e performance (per l’integrazione di budget e performance), l’APIDEG (per le spese relative agli investimenti e il finanziamento delle ZES), i Commissari di controllo (per le allocazioni orientate alle politiche), il Consiglio di amministrazione internazionale dell’AITG (che approva tutti i budget consolidati).
Gli attributi amministrativi dello Stato sono qui ridotti al minimo indispensabile, ma con una responsabilità molto ampia: questa cancelleria è infatti l’organo di collegamento tra il comando del Consiglio e la “prestazione di servizi” quotidiana da parte dei palestinesi, di cui assicura la supervisione.
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III. Pilastri della supervisione strategica (funzioni di supervisione)
Questi pilastri non forniscono servizi, ma assicurano regolamentazione, coordinamento e supervisione in tutti gli ambiti di governance.
Ciascuna è guidata da un Commissario che risponde al Segretariato esecutivo e al Consiglio di amministrazione dell’AITG.
A — Supervisione umanitaria
Ruolo :
Funge da organo di coordinamento centrale per tutti gli attori umanitari che operano a Gaza. Garantisce che l’assistenza umanitaria sia basata su principi, risponda ai bisogni e sia allineata ai sistemi di erogazione dei servizi di transizione nell’ambito del quadro di governance dell’AITG. Fornisce una supervisione strategica dell’accesso umanitario, del coordinamento e della risoluzione dei conflitti, nel rispetto del diritto internazionale umanitario e della protezione dei civili.
Funzioni:
Supervisiona le attività di tutte le agenzie di aiuti umanitari e garantisce il rispetto degli standard umanitari, la neutralità e la trasparenza.
Guida la piattaforma congiunta per l’accesso umanitario, coordinando tutti gli attori in materia di autorizzazioni di accesso, corridoi logistici, zone di risoluzione dei conflitti e siti umanitari protetti.
Mantiene un registro centrale dei partner umanitari, garantendo che le operazioni siano guidate dalle esigenze, complementari e libere da interferenze politiche
Coordina la programmazione umanitaria intersettoriale in settori quali la sicurezza alimentare, l’alloggio, la salute, l’acqua, i servizi igienico-sanitari e la protezione umana
Facilita la transizione graduale dalla risposta di emergenza alla fornitura di servizi da parte delle istituzioni palestinesi, in particolare nei settori della sanità, dell’istruzione e della protezione sociale
Collabora con il Segretariato esecutivo, l’Unità di pianificazione e i ministeri dell’Autorità esecutiva palestinese per allineare le operazioni umanitarie ai piani di ripresa istituzionali e ai parametri di riferimento dell’AITG.
Fornisce consulenza sulle implicazioni umanitarie delle restrizioni di movimento, degli incidenti di ordine pubblico e dei quadri giuridici transitori che influenzano la fornitura di aiuti
Relazioni:
Assicura il coordinamento con i ministeri e le agenzie dell’Autorità esecutiva palestinese, in particolare quelli che gestiscono la sanità, il benessere sociale, la governance locale e la protezione civile
Collabora strettamente con le istituzioni municipali e gli attori dei servizi alla comunità per garantire una copertura umanitaria in prima linea
Assicura un’interfaccia diretta con il Segretariato esecutivo, la Supervisione della ricostruzione e la Supervisione legislativa e legale per garantire la coerenza delle politiche umanitarie
Assicura il coordinamento operativo e politico con le agenzie umanitarie delle Nazioni Unite, le ONG internazionali, la Gaza Humanitarian Foundation e i fornitori di aiuti bilaterali
Riferisce al Consiglio di amministrazione internazionale dell’AITG sulle prestazioni umanitarie, le lacune e i rischi e funge da garante istituzionale dei principi umanitari.
B — Supervisione della ricostruzione
Ruolo :
Fornisce una supervisione strategica del processo di ricostruzione fisica a Gaza durante il periodo di transizione. Garantisce che tutti gli sforzi di ricostruzione infrastrutturale (alloggi, servizi pubblici, trasporti e beni pubblici) siano coerenti con le priorità nazionali di ricostruzione, gli standard tecnici internazionali e i principi di trasparenza e legittimità pubblica.
Funzioni:
Guida lo sviluppo, il perfezionamento e il monitoraggio del Gaza Reconstruction Framework, compresi i parametri di riferimento per la ripresa e le tempistiche di pianificazione.
Esamina e approva i principali progetti di ricostruzione presentati da APIDEG, ministeri o donatori, garantendo il rispetto degli standard strategici, sociali e ambientali
Stabilisce criteri di ricostruzione, strumenti di monitoraggio delle prestazioni e standard tecnici per l’edilizia abitativa, l’energia, l’acqua, i servizi igienico-sanitari, gli edifici pubblici e le infrastrutture di trasporto
Si coordina con l’unità di gestione finanziaria dell’AITG (FMU) e il servizio di responsabilità finanziaria e sovvenzioni (FAGS) per garantire la trasparenza finanziaria e l’integrità dell’attuazione
Monitorare i progressi dell’attuazione in tutti i settori, in coordinamento con il Segretariato esecutivo, l’Unità di pianificazione e i partner donatori
Supervisiona la politica sull’uso del territorio, la pianificazione urbana e le iniziative abitative su larga scala per garantire una ricostruzione equa, depoliticizzata e resiliente
Relazioni :
Collabora strettamente con i ministeri e le agenzie dell’Autorità esecutiva palestinese, in particolare nei settori dell’edilizia abitativa, dei lavori pubblici, delle infrastrutture e dei servizi pubblici
Coordina con il Segretariato esecutivo la revisione dei progetti, l’allineamento interistituzionale e la rendicontazione sulla governance della ricostruzione
Assicura un collegamento regolare con APIDEG, che guida la strutturazione degli investimenti e l’impegno del settore privato nell’attuazione della ricostruzione
Collabora con donatori internazionali, istituzioni finanziarie per lo sviluppo e consulenti di pianificazione urbana per garantire le migliori pratiche e l’allineamento dei finanziamenti
Fornisce consulenza al Consiglio di amministrazione internazionale dell’AITG sulle priorità, i rischi e i progressi della ricostruzione.
C — Vigilanza legislativa e legale
Ruolo :
Guida lo sviluppo, la codificazione e la supervisione del quadro giuridico e normativo per l’AITG. Garantisce che tutte le riforme transitorie in materia di governance, amministrazione civile e istituzioni siano basate su una legislazione coerente e sulla continuità giuridica. Il Commissario fornisce inoltre la supervisione legale dei meccanismi sensibili che garantiscono il rispetto dei diritti individuali, tra cui la giustizia di transizione, la tutela della proprietà e i sistemi di documentazione civile. I quadri giuridici devono essere conformi alle migliori pratiche regionali e internazionali.
Funzioni :
Redige le leggi, i regolamenti e gli strumenti giuridici vincolanti necessari per la governance transitoria
Coordina con il Consiglio giudiziario, i tribunali, i comuni e le istituzioni pubbliche l’attuazione e l’interpretazione dei quadri giuridici transitori
Supporta la codificazione delle tutele legali relative ai diritti di proprietà, allo stato civile e ai documenti di residenza
Fornisce consulenza sui processi di giustizia transitoria, sulle garanzie legali per i gruppi vulnerabili e sull’integrità istituzionale
Esamina e standardizza le regole in tutte le istituzioni AITG, per raggiungere una sorta di coerenza giuridica e una procedura standard.
Relazioni:
Collabora con l’Ufficio Affari Legali del Segretariato Esecutivo e sottopone gli strumenti giuridici definitivi al Consiglio Amministrativo Internazionale dell’AITG per la ratifica
Garantisce che l’Autorità esecutiva palestinese, gli enti municipali e i commissari di vigilanza agiscano nell’ambito del mandato legale dell’AITG.
Fornisce la supervisione legale dell’Unità per la salvaguardia dei diritti di proprietà, in coordinamento con l’Autorità esecutiva palestinese e il Consiglio giudiziario
Fornisce consulenza al Presidente e al Segretariato esecutivo dell’AITG sui rischi legali, sui limiti costituzionali e sull’armonizzazione giuridica interistituzionale
D — Supervisione della sicurezza
Ruolo :
Il Commissario per la Supervisione della Sicurezza assicura una supervisione civile unificata di tutte le operazioni di sicurezza interna ed esterna durante il periodo di transizione, lasciando il processo decisionale operativo nelle mani degli organismi designati a tale scopo. Ciò include la supervisione complessiva delle politiche della Polizia Civile Palestinese, della Forza Internazionale di Stabilizzazione (ISF), dell’Unità di Protezione Esecutiva (EPU) e del Centro Congiunto di Coordinamento della Sicurezza (JSC). Il Commissario garantisce che tutti gli attori della sicurezza autorizzati dall’AITG operino all’interno di un quadro giuridico, istituzionale e operativo coerente, in linea con il diritto internazionale e con il mandato transitorio dell’AITG.
Funzioni:
Supervisiona i mandati e il coordinamento del FIS, della Polizia Civile e dell’UPE, nonché l’adempimento dei loro compiti.
Presiede il Centro congiunto di coordinamento della sicurezza (JSCC), la piattaforma principale dell’AITG per l’integrazione operativa, la risoluzione dei conflitti e la pianificazione congiunta.
Stabilisce e applica le regole di ingaggio, gli standard per l’uso della forza e i protocolli di ordine pubblico
Coordina con l’Autorità Palestinese la riforma del settore della sicurezza (SSR), il disarmo, la smobilitazione e la reintegrazione (DDR)
Garantisce la protezione dei corridoi umanitari, dei siti di ricostruzione e delle infrastrutture sensibili
Fornisce consulenza al Consiglio Internazionale AITG sui rischi per la sicurezza, sulle prestazioni istituzionali e sulle soglie di escalation
Centro congiunto di coordinamento della sicurezza (JSCC)
Il CCCS è il centro nevralgico dell’AITG per il coordinamento interagenzia della sicurezza. Supporta la pianificazione integrata, la risposta agli incidenti e il flusso di informazioni tra le forze autorizzate dall’AITG, garantendo al contempo la neutralità politica e il rispetto degli standard internazionali.
Funzioni:
Coordina la pianificazione operativa quotidiana tra il FIS, la Polizia Civile e l’UPE
Gestisce la risoluzione dei conflitti in tempo reale per l’accesso umanitario, la risposta alle emergenze e la protezione delle infrastrutture
Facilita la condivisione di informazioni e la consapevolezza situazionale comune tra gli attori della sicurezza
Funge da interfaccia tattica con i team di coordinamento umanitario quando problemi di sicurezza incidono sulla distribuzione degli aiuti
Composizione:
Presieduto da un ufficiale di collegamento nominato dal Commissario per la supervisione della sicurezza
Include rappresentanti permanenti: dal comando FIS, dal comando, dalla polizia civile
Può includere, a rotazione, osservatori di organismi di sicurezza, umanitari o di ricostruzione.
Stato operativo:
Funziona come una piattaforma di coordinamento, non come una struttura di comando
Riferisce al Commissario per la supervisione della sicurezza e può segnalare questioni irrisolte al Consiglio di amministrazione dell’AITG
Relazioni:
Esercita la supervisione istituzionale su tutti gli attori e i meccanismi di sicurezza dell’AITG
Lavora in coordinamento permanente con il Segretariato esecutivo, il Consiglio giudiziario e la Commissione legale e di supervisione legale, per garantire che le operazioni di sicurezza siano conformi agli standard legali e ai diritti umani
Si coordina con la supervisione della ricostruzione e dell’assistenza umanitaria per garantire la sicurezza pubblica nelle aree critiche della ricostruzione
Riferisce al Consiglio Internazionale dell’AITG sulla coerenza, la conformità e le prestazioni complessive del processo di sicurezza.
Per il coordinamento dell’AITG con gli attori della sicurezza esterna, tra cui i governi di Israele ed Egitto e i partner internazionali come gli Stati Uniti, vedere la Sezione 4: Coordinamento della sicurezza.
E — Supervisione del coordinamento con l’Autorità Palestinese
Ruolo :
Supporta il coordinamento istituzionale tra l’AITG e l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) in aree di comune interesse tecnico, con l’obiettivo di promuovere la coerenza negli sforzi di riforma, negli standard di governance e nei sistemi di erogazione dei servizi. Questa funzione facilita la condivisione delle informazioni, l’armonizzazione delle politiche e la cooperazione pratica, ove opportuno, senza pregiudicare il mandato indipendente e le responsabilità transitorie dell’AITG. Dovrebbe garantire che le decisioni dell’AITG e quelle dell’ANP siano, per quanto possibile, armonizzate e coerenti con l’eventuale unificazione dell’intero territorio palestinese sotto l’Autorità Nazionale Palestinese.
Funzioni:
Funge da canale di collegamento designato tra l’AITG e l’Autorità Palestinese a livello strategico e tecnico
Facilita la cooperazione pratica tra le istituzioni dell’AITG e le entità dell’Autorità Palestinese in settori quali lo sviluppo della pubblica amministrazione, la riforma del settore giudiziario e la gestione finanziaria
Coordina la partecipazione delle istituzioni dell’Autorità Palestinese ai programmi di fornitura di servizi o di riforma, ove appropriato e fattibile dal punto di vista operativo
Sostiene lo sviluppo di parametri di riferimento comuni per le riforme, le valutazioni delle capacità e le tabelle di marcia istituzionali per la futura reintegrazione.
Fornisce consulenza sulla progettazione di una strategia di trasferimento graduale, inclusa la compatibilità legale, la transizione del personale e la continuità dei sistemi di governance.
Monitora gli sforzi di riforma dell’Autorità Palestinese in coordinamento con i donatori internazionali, le istituzioni finanziarie e i partner arabi impegnati nello sviluppo istituzionale palestinese
Relazioni:
Risponde direttamente al Consiglio di amministrazione internazionale dell’AITG.
Assicura il coordinamento con tutti i commissari di vigilanza, in particolare nei settori della sorveglianza legale, umanitaria ed economica
Collabora con il Segretariato esecutivo, l’Unità di pianificazione e performance e il Segretariato strategico del Presidente per garantire una pianificazione integrata delle riforme
Collabora regolarmente con istituzioni PA approvate, team di riforma e partner esterni per promuovere l’armonizzazione, ridurre le duplicazioni e preparare l’eventuale reintegrazione
La menzione dell’Autorità Nazionale Palestinese compare tardi nel documento e viene inclusa solo per una questione di “coordinamento”. Mentre viene menzionato il piano per “l’unificazione finale dell’intero territorio palestinese sotto l’Autorità Nazionale Palestinese”, lo Stato palestinese non viene menzionato. Tuttavia, dal 21 settembre, è stato riconosciuto dal Regno Unito, di cui Tony Blair era Primo Ministro .
↓Vicino
IV. Autorità per la promozione degli investimenti e lo sviluppo economico di Gaza (APIDEG)
Ruolo :
L’organismo principale responsabile della promozione degli investimenti, della pianificazione economica e dello sviluppo e della supervisione delle aree strategiche di ricostruzione e crescita di Gaza, in particolare nei settori dell’edilizia abitativa, delle infrastrutture e dello sviluppo industriale. APIDEG è un’autorità a orientamento commerciale, guidata da professionisti del settore e incaricata di generare progetti di investimento che offrano reali rendimenti finanziari.
Funzioni:
Supervisiona la progettazione, l’assemblaggio e l’implementazione di progetti di investimento ad alto impatto, tra cui programmi di edilizia abitativa, grandi infrastrutture e zone economiche speciali (SEZ).
Guida l’implementazione di partenariati pubblico-privati (PPP) e strumenti finanziari misti che generano rendimenti commercialmente sostenibili a lungo termine
Regolamenta i flussi di investimenti esteri e nazionali e fornisce servizi di facilitazione e protezione agli investitori
Gestisce portafogli di investimento e si coordina con donatori, fondi sovrani e istituzioni finanziarie per lo sviluppo
Fornisce garanzie e meccanismi di mitigazione del rischio per attrarre capitali privati
Guida la pianificazione economica intersettoriale in linea con il quadro di ricostruzione e sviluppo dell’AITG
Relazioni:
Risponde direttamente al Consiglio di Amministrazione Internazionale dell’AITG, bypassando la Segreteria Esecutiva
Assorbe tutte le precedenti funzioni e responsabilità del pilastro “Supervisione degli investimenti”
Coordina con la Segreteria Esecutiva l’esecuzione operativa, la concessione dei permessi e la logistica istituzionale
Lavora in collaborazione diretta con ministeri tecnocratici, autorità municipali e sviluppatori del settore privato
V. Servizio di trasparenza finanziaria e sovvenzioni AITG (STFS)
Ruolo :
Un meccanismo di finanziamento neutrale e gestito tecnicamente, responsabile della ricezione, della detenzione e dell’erogazione di tutti i contributi di sovvenzione ai programmi correlati all’AITG, garantendo piena trasparenza, revisione indipendente e fiducia dei donatori.
Funzioni:
Funge da piattaforma fiduciaria per tutte le sovvenzioni internazionali assegnate ad AITG e Gaza.
Mantiene conti separati per i flussi finanziari destinati agli aiuti umanitari, alla ricostruzione e alla governance
Garantisce la conformità agli standard internazionali nella gestione delle finanze pubbliche
Fornisce resoconti esterni al Consiglio di amministrazione dell’AITG, ai donatori e al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite
Gestisce quadri di audit di terze parti in collaborazione con la Banca Mondiale, la Norvegia o altre istituzioni neutrali
Struttura e supervisione:
Opera in modo indipendente, sotto l’autorità fiduciaria delegata dal Consiglio di Amministrazione dell’AITG
È gestito da un fiduciario terzo qualificato (ad esempio, la Banca Mondiale o un fondo amministrato da un paese terzo, neutrale e credibile)
Fornisce resoconti mensili al consiglio e informazioni trimestrali trasparenti a tutti i donatori
2 — Autorità esecutiva palestinese (ramo di erogazione dei servizi)
Ruolo :
Fornisce servizi pubblici essenziali sotto l’autorità dell’Autorità Internazionale di Transizione per Gaza (ITAG) attraverso un’amministrazione professionale e imparziale. I ministeri tecnocratici fungono da motore principale per l’erogazione dei servizi a Gaza durante il periodo di transizione e sono guidati dai principi di integrità, efficienza e responsabilità pubblica.
A — Struttura di gestione
Il sistema di erogazione dei servizi è guidato da un Direttore Generale (DG) palestinese, formalmente nominato dal Consiglio di Amministrazione Internazionale dell’AITG. Il DG supervisiona tutti i ministeri tecnocratici e riferisce al Segretariato Esecutivo. È responsabile di garantire un’erogazione dei servizi professionale, imparziale ed efficiente, in conformità con il Quadro di Governance Transitoria dell’AITG.
Come già affermato sopra nel testo, l’Autorità esecutiva palestinese, che non ha nulla a che vedere con l’Autorità palestinese in quanto legittimo interlocutore internazionale, è in realtà un “fornitore di servizi” locale, agli ordini dell’amministrazione provvisoria guidata da Tony Blair.
↓Vicino
I dipartimenti dell’Autorità Palestinese, tra cui sanità, istruzione, infrastrutture, pianificazione e finanza, sono guidati da direttori nominati dall’Amministratore Delegato dell’Autorità Palestinese e soggetti a nomina formale da parte del Consiglio di Amministrazione Internazionale dell’AITG. L’Amministratore Delegato guida il processo di identificazione e selezione, assicurando che i candidati soddisfino gli standard di competenza tecnica, integrità e neutralità. Il Consiglio di Amministrazione dell’AITG esamina e conferma le nomine per garantire la legittimità e l’indipendenza dell’istituzione. Tutti i responsabili di dipartimento sono soggetti a valutazione delle prestazioni e possono essere rimossi o sostituiti in conformità con le procedure di governance transitorie.
Funzioni:
Gestire il sistema sanitario pubblico, compresi ospedali, cliniche di assistenza primaria, programmi di vaccinazione e pronto soccorso
Gestire il sistema educativo a tutti i livelli, inclusa la riforma del curriculum, il reclutamento e la formazione degli insegnanti, la ricostruzione delle scuole e le piattaforme di insegnamento digitale
Ricostruire e gestire infrastrutture critiche quali la produzione e la distribuzione di energia elettrica, l’approvvigionamento idrico e la desalinizzazione, il trattamento delle acque reflue, la gestione dei rifiuti solidi e le reti di trasporto
Supervisionare la governance finanziaria, compresi i bilanci pubblici, i sistemi di pagamento delle retribuzioni, l’amministrazione fiscale e i meccanismi di trasparenza finanziaria
Gestire le politiche del mercato del lavoro, compresi i servizi per l’impiego, la formazione della forza lavoro, l’applicazione dei diritti dei lavoratori e i programmi di impiego pubblico.
Fornitura di servizi nel settore della giustizia, come tribunali civili e penali, assistenza legale, amministrazione giudiziaria e supervisione normativa della professione legale
Implementare servizi governativi digitali e sistemi di identità, tra cui la gestione dello stato civile e piattaforme digitali per licenze e permessi
Supportare la ricostruzione degli alloggi e la pianificazione urbana in coordinamento con le autorità di pianificazione e i comuni
Gestire programmi di protezione sociale, tra cui assistenza in denaro, sussidi alimentari e servizi per le popolazioni vulnerabili come orfani, vedove e persone con disabilità
Facilitare la fornitura di servizi economici, tra cui licenze commerciali, agevolazioni commerciali, amministrazione doganale e coordinamento di zone economiche speciali con APIDEG.
Supervisionare la promozione della salute pubblica, i programmi di inclusione di genere e le iniziative anticorruzione, in conformità con gli standard legali ed etici dell’AITG
Relazioni:
Risponde al Segretariato esecutivo, che supervisiona le prestazioni istituzionali e l’allineamento strategico
Opera nel quadro delle normative stabilite dai commissari competenti, in particolare in materia umanitaria, di ricostruzione, giuridica ed economica
Coordina con l’Unità di pianificazione e performance del Segretariato esecutivo per la stesura del bilancio, il monitoraggio dei risultati e l’attuazione delle politiche
B — Comuni di Gaza
Ruolo :
I comuni sono responsabili della fornitura di servizi locali di base, della manutenzione delle infrastrutture urbane e della promozione del coinvolgimento della comunità in tutta la Striscia di Gaza. Durante il periodo di transizione, la governance comunale opera sotto l’autorità dell’AITG, in conformità con gli standard transitori dei servizi pubblici e i criteri di integrità istituzionale.
Funzioni:
Fornire servizi locali essenziali, tra cui acqua, servizi igienico-sanitari, gestione dei rifiuti, manutenzione stradale e igiene pubblica
Gestire le funzioni locali di licenza, ispezione e regolamentazione in coordinamento con i ministeri tecnocratici
Supportare la protezione civile, la gestione della comunità e la risposta municipale ai disastri naturali
Gestire piattaforme cittadine per raccogliere feedback sui servizi, incoraggiare l’impegno locale e affrontare i reclami
Coordinarsi con gli attori umanitari, i pianificatori della ricostruzione e i ministeri competenti per l’attuazione locale integrata
Relazione :
Opera sotto la supervisione amministrativa del Segretariato esecutivo
Tutti i sindaci e gli alti funzionari comunali sono nominati dall’Autorità esecutiva palestinese e formalmente designati dal Consiglio di amministrazione internazionale dell’AITG.
I nominati devono soddisfare rigorosi standard di neutralità politica, qualificazione professionale e integrità nel servizio pubblico.
Le strutture comunali possono essere mantenute, ristrutturate o sostituite dall’AITG a seconda delle prestazioni del servizio e della conformità agli standard di governance transitori
L’AITG svilupperà un quadro per le future elezioni locali, in coordinamento con partner internazionali fidati, per sostenere la continuità istituzionale e una forma di legittimità.
C — Forze di polizia civile di Gaza
Ruolo :
La Forza di Polizia Civile di Gaza è una forza di polizia reclutata a livello nazionale, soggetta a supervisione professionale e imparziale, incaricata di mantenere l’ordine pubblico, proteggere i civili e far rispettare le leggi transitorie sotto la supervisione dell’AITG. È la principale agenzia di polizia nelle aree urbane e municipali di Gaza e svolge un ruolo centrale nel ripristino della sicurezza della comunità e della credibilità giuridica durante la transizione.
Funzioni:
Assicura il mantenimento quotidiano dell’ordine civile e l’applicazione visibile della legge nelle aree urbane, municipali e dei campi
Mantiene l’ordine pubblico durante eventi, manifestazioni e tensioni sociali.
Garantisce la prevenzione dei reati, conduce le indagini e segnala i casi alla procura
Supporta l’applicazione delle normative civili e amministrative emanate nell’ambito giuridico dell’AITG
Collabora con il Consiglio giudiziario per garantire la corretta esecuzione degli ordini del tribunale e delle procedure di detenzione
Si coordina con i comuni locali e i fornitori di servizi in materia di sicurezza della comunità, controllo del traffico e meccanismi di reclamo pubblico
Partecipa alle operazioni congiunte con le ISF quando la sicurezza pubblica o le operazioni sovrapposte richiedono un’escalation
Relazioni:
Risponde istituzionalmente all’Autorità esecutiva palestinese, che supervisiona il reclutamento, la formazione, l’impiego e le procedure disciplinari
Assicura il coordinamento operativo attraverso il Centro congiunto di coordinamento della sicurezza (JSCC) per garantire l’allineamento con la Forza internazionale di stabilizzazione (ISF) e l’Unità di protezione esecutiva (EPU)
È soggetto alla supervisione normativa del Commissario per la vigilanza sulla sicurezza per questioni relative all’impegno delle forze, alla gestione delle situazioni di escalation e alla posizione di sicurezza comune delle agenzie.
Collabora con il Consiglio giudiziario sulle procedure legali e con la Segreteria esecutiva sulla politica amministrativa, sui sistemi di dati e sulla valutazione delle prestazioni
D. Consiglio giudiziario
Ruolo :
Supervisiona l’integrità, l’indipendenza e l’efficienza del sistema giudiziario durante il periodo di transizione. Fornisce supervisione istituzionale sui tribunali e sulla Procura per garantire il giusto processo, il rispetto della legge e la riforma del settore giudiziario.
Composizione:
Presieduto da un rinomato giurista arabo, preferibilmente palestinese
Include da 5 a 7 membri provenienti da comunità legali regionali e internazionali
Nominato dal Consiglio di Amministrazione Internazionale dell’AITG in consultazione con il Commissario per la Vigilanza Legislativa e Legale
Enti vigilati:
Tribunali e servizi giudiziari
Gestisce i tribunali civili, penali e amministrativi in tutta la Striscia di Gaza
Garantisce il rispetto delle procedure legali, l’imparzialità dei giudizi e il rapido accesso alla giustizia
Gestire l’infrastruttura giudiziaria e i sistemi di gestione digitale dei casi
Ufficio del Procuratore Generale
Conduce indagini penali
Persegue i reati nell’ambito giuridico dell’AITG
Garantisce la conformità legale e l’integrità dei procedimenti legali
Coordinamento:
Stretto coordinamento con il pilastro “Supervisione legislativa e legale” per la redazione di testi legislativi, riforma giudiziaria e meccanismi di giustizia transitoria
Presenta relazioni periodiche al Consiglio di amministrazione dell’AITG sulle prestazioni giudiziarie, sui parametri di riforma e sull’indipendenza istituzionale
E. Unità di tutela dei diritti di proprietà
Ruolo :
Garantire che qualsiasi partenza volontaria dei residenti di Gaza durante il periodo di transizione sia documentata, legalmente tutelata e non comprometta il diritto dell’individuo a trasferire o mantenere la proprietà dei propri beni. Questa funzione è amministrata dall’Autorità Esecutiva Palestinese (PEA) e supportata dall’AITG attraverso il coordinamento e le garanzie legali. L’AITG non facilita né approva lo sfollamento della popolazione, ma garantisce che tutti gli sfollamenti volontari siano effettuati nel rispetto del diritto internazionale e della tutela dei diritti.
Sebbene appaia in modo relativamente discreto e tardivo nel documento, questa sezione è in realtà la chiave di volta del piano Blair e riecheggia ampiamente la proposta neoreazionaria e di ispirazione libertaria “Gaza Inc.” La presentazione positiva della tutela dei diritti di proprietà dei residenti di Gaza è in realtà il pretesto per una struttura di incentivi volta a incoraggiare le “partenze volontarie”.
Nel suo testo, Curtis Yarvin proponeva di trasformare Gaza in una società per azioni quotata in borsa: “la prima città con statuto sostenuta dalla legittimità americana: Gaza, Inc. Acronimo nelle borse mondiali: GAZA”.
↓Vicino
Funzioni:
Registra e certifica le decisioni di viaggio volontarie prese da individui o famiglie
Assicura la documentazione dei titoli di proprietà terriera, dei diritti abitativi e delle rivendicazioni territoriali prima della partenza
Emette certificati di partenza protetti che garantiscono i futuri diritti di rimpatrio e l’idoneità alla restituzione
Si coordina con gli attori esterni coinvolti nello sfollamento volontario per garantire il rispetto dei diritti umani e degli standard giuridici internazionali
Lavora in consultazione con il Consiglio giudiziario e il pilastro di vigilanza legislativa e legale per codificare le tutele legali e le rivendicazioni territoriali transitorie
Pur prevedendo un organismo che garantisca la continuità territoriale, questa sezione non specifica di che tipo di garanzia si tratterebbe, né suggerisce che eventuali controversie tra ex residenti e investitori nell’autorità transitoria verrebbero risolte in modo indipendente.
↓Vicino
3. Forza di sicurezza internazionale (ISF)
Ruolo :
La Forza di Sicurezza Internazionale (ISF) è una forza multinazionale con mandato internazionale, istituita per garantire stabilità strategica e protezione operativa a Gaza durante il periodo di transizione. Garantisce l’integrità dei confini, scoraggia la ricomparsa di gruppi armati, protegge le operazioni umanitarie e di ricostruzione e assiste l’applicazione della legge coordinandosi con le autorità locali, senza sostituirsi ad esse.
Funzioni:
Sicurezza di confine e perimetrale:garantisce le vie d’accesso a Gaza, alle coste e alle aree periferiche, in coordinamento con le parti regionali competenti.
Antiterrorismo e risposta alle minacce ad alto rischio:conduce operazioni mirate per prevenire la ricomparsa di gruppi armati, interrompere il contrabbando di armi e neutralizzare le minacce asimmetriche all’ordine pubblico e alle funzioni istituzionali.
Protezione delle infrastrutture e degli aiuti umanitari:sorveglia i principali siti di ricostruzione, i corridoi di accesso per le organizzazioni umanitarie, i centri logistici e le strutture essenziali per la fornitura dei servizi e la ripresa.
Sostegno alla Polizia Civile Palestinese:fornisce supporto alla polizia civile palestinese reclutata localmente durante incidenti gravi, eventi di massa o operazioni coordinate, in particolare in ambienti ad alto rischio.
Struttura e distribuzione:
Il FIS è composto da unità fornite dagli Stati partecipanti sotto un comando multinazionale unificato, operante sotto l’autorizzazione dell’AITG.
Non è integrato nella Polizia civile palestinese, ma collabora con essa attraverso meccanismi di coordinamento strutturati.
Il personale FIS è dispiegato in unità mobili incaricate di:
operazioni di frontiera;
zone di protezione strategica;
dello spiegamento delle forze in risposta alle crisi.
Relazioni:
Opera in modo indipendente ma è integrato nel Centro congiunto di coordinamento della sicurezza, dove collabora con il Commissario per la supervisione della sicurezza, il Segretariato esecutivo e la polizia civile palestinese.
Le operazioni della Forza di sicurezza internazionale (ISF) sono regolate da regole di ingaggio conformi al diritto internazionale umanitario e fanno parte del quadro giuridico concordato congiuntamente dall’AITG e dai paesi contributori dell’ISF.
4. Coordinamento della sicurezza
Il modello AIGT per il coordinamento della sicurezza è concepito per bilanciare efficacia operativa, supervisione istituzionale e diplomazia strategica in un contesto regionale altamente sensibile. Un coordinamento efficace con gli attori esterni, tra cui i governi egiziano e israeliano e i partner internazionali come gli Stati Uniti, è essenziale per mantenere la sicurezza delle frontiere, garantire l’accesso umanitario e prevenire l’escalation.
A — Coordinamento operativo
La Forza di Sicurezza Internazionale (ISF) guida il coordinamento tattico nei punti di accesso a Gaza e nelle aree periferiche. Ciò include:
autorizzazione al movimento dei convogli umanitari e di ricostruzione
Risoluzione dei conflitti e risposta alle emergenze
Collegamento con le forze di sicurezza israeliane ed egiziane sul territorio
Coordinamento diretto tramite ufficiali di collegamento integrati e protocolli di sicurezza concordati
L’intero coordinamento del FIS è regolato dalle regole di ingaggio concordate congiuntamente con l’AITG e integrate dal Centro congiunto di coordinamento della sicurezza (JSCC) per garantire l’allineamento con le operazioni della polizia civile palestinese, delle agenzie umanitarie e della dirigenza dell’AITG.
B — Vigilanza istituzionale
Il Commissario per la supervisione della sicurezza è responsabile di:
Mantenere quadri di coordinamento delle politiche con i governi e le agenzie esterne
Supervisionare le regole di ingaggio, i protocolli e l’architettura di sicurezza interagenzia
Garantire la conformità al mandato legale dell’AITG e agli standard di governance transitori
C — Impegno strategico
Il Presidente del Consiglio di Amministrazione mantiene la responsabilità politica complessiva della posizione dell’AITG in materia di sicurezza esterna. Il Presidente:
guida l’impegno strategico con Israele, Egitto, Stati Uniti e altri stakeholder internazionali, per quanto riguarda il percorso verso la sicurezza, lo spiegamento delle forze e la risoluzione delle crisi
Funge da punto di contatto principale per incidenti ad alto rischio e situazioni di escalation che vanno oltre la portata degli attori operativi
Garantisce che la diplomazia della sicurezza dell’AITG sia allineata con i suoi più ampi obiettivi politici, legali e umanitari
In un briefing stampa congiunto del 29 settembre alla Casa Bianca con il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu, il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha svelato un piano in 20 punti per porre fine alla guerra di quasi due anni a Gaza. Il punto più importante, il 15, riguarda chi si assumerà la responsabilità della sicurezza – e, per estensione, della governance – nella Striscia di Gaza. Washington collaborerà con i partner arabi e internazionali per istituire un’entità nota come Forza internazionale di stabilizzazione, che servirà come soluzione di sicurezza interna a lungo termine e come partner di Israele ed Egitto nel garantire i confini dell’enclave palestinese. Le sue due responsabilità principali saranno quelle di supervisione del disarmo di Hamas e della smilitarizzazione di Gaza, nonché la creazione di un corpo di polizia palestinese che diventi la forza di sicurezza permanente dell’area.
Ma prima che ciò possa accadere, c’è la questione di chi costituirà l’ISF. I rapporti attuali indicano che comprenderà truppe provenienti da nazioni arabe e a maggioranza musulmana. Gli incontri tenuti da Trump a margine dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite suggeriscono che Turchia, Arabia Saudita, Pakistan, Egitto, Indonesia, Qatar, Emirati Arabi Uniti e Giordania forniranno la maggior parte del personale. Altri stati arabi e musulmani potrebbero unirsi, e potrebbe essere incluso anche personale proveniente da paesi non musulmani. Il linguaggio del piano suggerisce che gli Stati Uniti potrebbero avere un ruolo nella mobilitazione di questa forza.
In linea con la nuova dottrina geostrategica dell’amministrazione Trump, Washington si aspetta che le nazioni arabe e musulmane si assumano la maggior parte della responsabilità in materia di sicurezza. Potrebbero farlo sotto l’egida della Coalizione Islamica Militare Antiterrorismo, composta da 41 membri, lanciata dall’Arabia Saudita nel 2017 e guidata nominalmente dal generale pakistano in pensione Raheel Sharif. Tuttavia, l’alleanza non dispone di truppe permanenti e non è mai stata schierata come forza permanente di mantenimento della pace o di stabilizzazione sotto un comando unificato. Una coalizione composta esclusivamente da forze arabe e musulmane per il mantenimento dell’ordine pubblico o la stabilizzazione in un territorio terzo sarebbe senza precedenti nella storia moderna.
La prima priorità è stabilire una chiara catena di comando. La creazione di una struttura militare funzionale richiede un’intesa politica multilaterale tra le nazioni partecipanti. I due principali attori regionali, Turchia e Arabia Saudita, sono centrali in questo negoziato, e la disposizione dei posti alla riunione delle Nazioni Unite – il presidente turco Recep Tayyip Erdogan a capotavola e il ministro degli Esteri saudita Faisal bin Farhan alla sinistra di Trump – illustra lo squilibrio tra le rispettive forze militari di Ankara e Riad. Questo è almeno in parte il motivo per cui l’Arabia Saudita ha formalizzato un accordo strategico di difesa reciproca con il Pakistan una settimana prima.
Per l’Arabia Saudita, l’SMDA mira a migliorare la propria influenza nei negoziati e, di conseguenza, la propria influenza sulla missione a Gaza. Per il Pakistan, eleva Islamabad a attore chiave, soprattutto se si assumerà la maggior parte delle responsabilità militari previste dall’accordo bilaterale con Riad. La posizione geografica e il coinvolgimento storico dell’Egitto con Gaza lo rendono inoltre un attore fondamentale in questo sforzo di sicurezza collettiva. In definitiva, una coalizione di forze militari deve concordare una struttura e regole di ingaggio sotto un unico comandante, un processo che si preannuncia lungo e difficile.
Se Hamas accetta i termini, il suo primo e più difficile compito sarà disarmare il movimento islamista palestinese. Il disarmo, la smobilitazione e la reintegrazione sono sempre difficili, ma saranno particolarmente ardui a Gaza, data la diffusione dei tunnel sotterranei. Resta poi aperta la questione di quali garanzie debbano essere fornite per impedire ad Hamas di ricostituirsi come forza militare. Gaza, dopotutto, è il suo territorio e ha una storia di quasi quarant’anni come organizzazione militante.
Supponendo che Hamas scelga di rinunciare alla sua natura di organizzazione militante, non è ancora chiaro cosa ne sarà di Hamas come organizzazione politica. Garantire che il gruppo non abbia alcun ruolo nella futura governance di Gaza sarà estremamente impegnativo, considerando che governa Gaza da 18 anni e che non ci sono altri gruppi tradizionali concorrenti nel territorio. Hamas è emerso nel 1987 dalla branca palestinese dei Fratelli Musulmani, che operava come movimento sociale e religioso dal 1946. Le Forze di Sicurezza Interne (ISF), quindi, dovranno anche confrontarsi con Hamas in quanto fenomeno sociale, pur cercando di creare un ambiente in cui non possa prendere il sopravvento.
Ciò significa che le Forze di Sicurezza Interne (ISF) dovranno collaborare con i clan da cui le milizie hanno già iniziato a colmare il vuoto lasciato da Hamas. Dovranno inoltre interagire con fazioni non appartenenti ad Hamas per reclutare e addestrare una nuova forza di sicurezza indigena. Nel frattempo, dovranno collaborare con il nuovo organismo internazionale di transizione noto come Board of Peace, presieduto dallo stesso Trump e probabilmente coordinato dall’ex Primo Ministro britannico Tony Blair. Le Forze di Sicurezza Interne dovranno inoltre garantire la sicurezza degli aiuti umanitari immediati (cibo, acqua, alloggio, assistenza medica) da distribuire ai quasi 2 milioni di sfollati di Gaza.
Nel lungo termine, il piano di pace di Trump prevede la ripresa, la ricostruzione e lo sviluppo di Gaza e l’istituzione di una nuova struttura di governance – un programma che, secondo la proposta, sarà guidato dalla Banca Mondiale. Per non parlare poi della riforma dell’Autorità Nazionale Palestinese prima che possa diventare l’organismo ufficiale di governo di Gaza.
In altre parole, l’ISF dovrà guardare in faccia un impegno di almeno 10 anni. Per paesi come l’Arabia Saudita e il Pakistan, che non hanno legami formali con Israele, la partecipazione richiederà un coordinamento diretto senza precedenti con Israele per stabilire una nuova architettura di sicurezza in territorio palestinese.
In altre parole, dovranno collaborare con le Forze di Difesa Israeliane, che manterranno il controllo sui confini di Gaza e manterranno una presenza all’interno del territorio. Una cooperazione a lungo termine in materia di sicurezza tra gli stati arabo-musulmani partecipanti e le IDF ha il potenziale per ridisegnare la geopolitica della regione. Il processo degli Accordi di Abramo è stato silurato dall’attacco di Hamas quasi due anni fa e ha reso impossibile la normalizzazione dei rapporti tra Arabia Saudita e Israele nel breve termine. Pertanto, la presenza a lungo termine di una forza di sicurezza arabo-musulmana a Gaza potrebbe, in teoria, creare un rapporto di collaborazione di fatto tra Israele e paesi come l’Arabia Saudita e il Pakistan.
https://geopoliticalfutures.comKamran Bokhari, PhD, è un collaboratore abituale ed ex analista senior (2015-2018) di Geopolitical Futures. Il Dott. Bokhari è ora Direttore Senior del Portafoglio Sicurezza e Prosperità Eurasiatica presso il New Lines Institute for Strategy & Policy di Washington, DC. Il Dott. Bokhari è anche specialista in sicurezza nazionale e politica estera presso il Professional Development Institute dell’Università di Ottawa. Ha ricoperto il ruolo di Coordinatore per gli Studi sull’Asia Centrale presso il Foreign Service Institute del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti. Seguitelo su X (ex Twitter) all’indirizzo
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Perché la distribuzione internazionale del potere è importante? Questi sono i miei appunti per una tavola rotonda che ho moderato al Valdai Discussion Club di Sochi, in Russia.
Secondo la mia esperienza, esistono ipotesi e aspettative fortemente contrastanti su come la distribuzione internazionale del potere influisca sulla sicurezza. Il rischio è quindi quello di operare con presupposti diversi e di non capirsi.
Bipolarità
Durante la Guerra Fredda, la distribuzione del potere era bipolare (due centri di potere). Alcuni ricordano questo periodo come più stabile grazie alla chiarezza, alla prevedibilità e alla fedeltà duratura. Per l’Europa occidentale, ha creato le condizioni per l’unità sotto la guida degli Stati Uniti.
Altri ritengono che il bipolarismo sia causa di instabilità, poiché la presenza di due soli centri di potere crea una logica estrema a somma zero. Se una parte perde, l’altra guadagna. Senza una terza parte che potrebbe finire in testa, un centro di potere sarebbe disposto a soffrire molto economicamente o militarmente, purché le perdite siano maggiori dall’altra parte.
Unipolarità
Dopo la Guerra Fredda, abbiamo avuto una distribuzione unipolare del potere (un unico centro di potere). Molti (soprattutto in Occidente) ritenevano che questo sistema offrisse stabilità, in quanto l’anarchia internazionale e la competizione per la sicurezza erano attenuate. Con un unico centro di potere, c’era meno rischio di rivalità tra grandi potenze e si pensava che offrisse un universalismo che rafforzasse valori e regole comuni (fine della storia). Per l’Europa, l’ordine unipolare estendeva l’unità, poiché gli europei aspiravano a un’egemonia collettiva con gli Stati Uniti.
Altri ritengono che la distribuzione unipolare del potere abbia introdotto un’estrema instabilità, in quanto è improbabile che possa accogliere un vero multilateralismo, necessario per la complessità e il pluralismo delle civiltà. Anche il diritto internazionale basato su vincoli reciproci diminuirà, poiché un egemone non si auto-limiterà. Prevedibilmente, il diritto internazionale basato sull’uguaglianza sovrana è stato sostituito dall'”ordine internazionale basato sulle regole”, che si basa sull’ineguaglianza sovrana. Inoltre, l’unipolarismo è intrinsecamente un fenomeno temporaneo, poiché il sistema dipende dal contenimento delle altre grandi potenze, che esaurisce l’egemone e incentiva quindi il bilanciamento collettivo da parte delle potenze in ascesa. L’egemone è anche propenso ad abbracciare ideologie di superiorità per legittimare la concentrazione di potere, il che lo rende più ostile ad accettare l’emergere di un equilibrio.
Multipolarità
L’epoca attuale è definita da un sistema multipolare che, a differenza del sistema multipolare precedente alla Seconda Guerra Mondiale, non è più incentrato sull’Occidente.
I presupposti di stabilità creano ottimismo per i BRICS, la SCO e il Grande Partenariato Eurasiatico. La fine dell’egemone che deve dividere e governare dovrebbe creare le condizioni per la pace. La capacità di accogliere la diversità, la complessità e il multilateralismo dovrebbe produrre stabilità. I Paesi di piccole e medie dimensioni sono ottimisti, poiché l’opportunità di diversificare la connettività economica si traduce in una maggiore prosperità e autonomia politica. Inoltre, un adeguato multilateralismo e un diritto internazionale basato su vincoli reciproci e sull’uguaglianza dei sovrani diventano possibili.
Altri si aspettano un’instabilità dovuta al ritorno della rivalità tra grandi potenze, all’imprevedibilità e al cambiamento di lealtà. Per l’Europa, un sistema multipolare comporta l’allontanamento degli Stati Uniti dall’Europa e la perdita di solidarietà e stabilità del continente. Inoltre, per la prima volta dopo secoli, il mondo non occidentale sarà in grado di chiedere una rappresentanza paritaria.
Ci si dovrebbe aspettare il panico, poiché i secoli di identificazione come egemoni benigni che governano il mondo per il bene del mondo finiranno. Tuttavia, i conflitti successivi possono essere visti come una conseguenza temporanea della transizione dall’unipolarismo al multipolarismo.
Non c’è nessuna utopia in attesa. I conflitti dell’ordine unipolare saranno sostituiti da un’altra serie di conflitti di un sistema multipolare.
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E come sempre, grazie a tutti coloro che forniscono instancabilmente traduzioni nelle loro lingue. Maria José Tormo pubblica traduzioni in spagnolo sul suo sito qui , e Marco Zeloni pubblica traduzioni in italiano su un sito qui , e Italia e il Mondo: le pubblica qui . Sono sempre grata a coloro che pubblicano occasionalmente traduzioni e riassunti in altre lingue, a patto che citino la fonte originale e me lo facciano sapere. E ora:
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Ho scritto diverse volte della situazione scomoda derivante dall’imminente sconfitta in Ucraina e delle spiacevoli conseguenze per l’Europa che potrebbero derivarne. Ora vorrei avanzare alcuni suggerimenti provvisori su come potrebbe essere sensato per l’Europa reagire. (Gli Stati Uniti sono diversi, e semplicemente non conosco abbastanza il Paese per poter esprimere un parere adeguato.) Il mio scopo qui non è quello di dare consigli non richiesti ai governi (a meno che non abbiate lavorato nel governo, non avete idea di quanto possa essere irritante), ma piuttosto di esporre in termini semplici ciò che potrebbe essere fattibile. Inizio con la situazione strategica, passo ai vincoli e poi espongo alcune possibili vie da seguire.
In primo luogo, i paesi europei si troveranno in una situazione senza precedenti nella loro storia. Ricordiamo che, nonostante l’Europa venga pigramente definita il “Vecchio Continente”, la sua struttura politica attuale è molto recente. La Germania, nella sua forma attuale, risale solo al 1990, la Repubblica Ceca e la Slovacchia al 1993. La disgregazione dell’ex Jugoslavia in nazioni indipendenti non si è realmente conclusa fino all’indipendenza del Kosovo nel 2008. (A proposito, la Norvegia ha ottenuto la propria indipendenza solo nel 1905). Ma soprattutto, lo Stato nazionale non era tradizionale in Europa: nel 1914 , la maggior parte degli europei viveva in imperi, come aveva sempre fatto. Inoltre, ampie zone dell’Europa sudorientale si erano liberate solo di recente da secoli di dominazione dell’Impero Ottomano: il colonialismo durò più a lungo in Europa che nell’Africa subsahariana, ad esempio.
Quindi, l’unico momento vagamente paragonabile nella storia europea a quella odierna è tra, diciamo, il 1921 e il 1938: tra la fine della guerra russo-polacca e l’inizio dell’espansione territoriale tedesca. Quel periodo fu caratterizzato da una disperata ricerca di alleati per evitare di essere circondati o isolati, e da una grottesca e complessa danza diplomatica che coinvolse, tra gli altri, Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, Polonia, Cecoslovacchia, Unione Sovietica e Giappone, in varie combinazioni. Non finì bene, come forse avrete sentito. Dalla fine degli anni ’40 fino alla fine della Guerra Fredda, le relazioni furono strutturate, a Est dalla dominazione e dall’occupazione sovietica, e a Ovest dall’adesione alla NATO e all'(allora) Comunità Europea. Ci furono casi speciali come Svezia, Finlandia e Austria, ma erano meno “speciali” in realtà di quanto fossero sopravvissuti alle norme di un’altra epoca. Da allora, la profusione di nuovi Stati e il progressivo allargamento dell’UE e della NATO hanno portato con sé una maggiore complessità strutturale in Europa, senza grandi vantaggi compensativi.
La settimana scorsa ho sostenuto che le attuali strutture politiche e di sicurezza in Europa non dureranno ancora a lungo in termini sostanziali, poiché non sono più utili, sebbene probabilmente continueranno a vivere un’esistenza spettrale per un certo periodo. E in effetti, la loro esistenza formale farà poca differenza per le questioni che sto discutendo oggi. La NATO non è più un’alleanza militare efficace e l’UE sarà sempre più irrilevante per il tipo di questioni politiche e di sicurezza che emergeranno presto. Ma in ogni caso, sarebbe sbagliato presumere che le politiche estere e di sicurezza degli Stati membri siano mai state interamente dominate dalle due organizzazioni. Dopotutto, greci e turchi hanno avuto le loro dispute private nell’Egeo per generazioni, e per i greci il nemico non era a Mosca, ma ad Ankara. E a un livello di intensità inferiore, il complesso e sfaccettato rapporto tra Francia e Germania era una parte fondamentale della politica di ciascun paese. Nel frattempo, la solidarietà del Benelux, la solidarietà scandinava, le relazioni tra Germania e Austria e Germania e Turchia, complicavano gli affari interni di queste organizzazioni, spesso oltrepassandone i confini.
Ma qualunque siano le strutture formali che continueranno a esistere, la realtà è che, per la prima volta dagli anni ’20, le nazioni europee dovranno riflettere seriamente sulle proprie situazioni strategiche individuali e su come sfruttarle al meglio. Non siamo negli anni ’90, quando la Russia era in difficoltà, gli Stati Uniti sembravano onnipotenti e sia l’UE che la NATO sembravano strutture promettenti a cui aderire. Anzi, siamo quasi esattamente agli antipodi di una simile situazione. Per gli europei, come ho già sostenuto in precedenza, il legame transatlantico ha esaurito qualsiasi utilità potesse aver mantenuto negli ultimi anni: gli Stati Uniti non hanno più alcun valore come contrapposizione alla Russia, né ci si può fidare della loro parola. D’altra parte, l’UE, a prescindere dalle sue altre virtù, non è un forum in cui le questioni di sicurezza europea possano essere affrontate adeguatamente. Quindi un ritorno agli accordi bilaterali e multilaterali sembra inevitabile. Ma su quali basi? Cercherò di rispondere a questa domanda di seguito.
Ora, ci sono due tentazioni opposte qui, e dovreste tenerle d’occhio nel torrente di parole che inizierà a scorrere con l’avvicinarsi della sconfitta. La prima potrebbe essere descritta come “riorganizzare i mobili”. La domanda sarà: qual è il minimo che possiamo effettivamente fare, pur continuando a far finta di fare qualcosa ? Questa è una soluzione standard dei governi, e nel mondo spaventoso e confuso che si sta sviluppando, possiamo aspettarci che si manifesti molto rapidamente. “Un migliore coordinamento” tra gli Stati europei. “Un programma di cooperazione intensificato” tra l’UE e la NATO, inevitabilmente “un ruolo più forte per la Commissione” e qualche stravagante espediente come una rete europea di istituti di studi sulla difesa e maggiori scambi tra scuole di guerra europee e industrie di difesa europee. Sì, è un elenco piuttosto cupo e privo di fantasia, ma basta premere un pulsante e questo è ciò che si otterrà a breve termine. Noterete che tutte queste proposte partono dalla soluzione, senza chiedersi quale sia il problema.
Ma un “miglior coordinamento” è necessariamente parte della risposta? In astratto, il coordinamento internazionale è una buona cosa. In realtà, spesso significa solo che i rappresentanti di diversi paesi siedono in stanze soffocanti a discutere all’infinito sui dettagli e a torturare testi scritti fino a ottenere una forma finale che a nessuno piace, ma che tutti possono accettare. Un processo del genere molto spesso rivela ed esacerba le differenze anziché risolverle, e genera testi e persino “piani d’azione” che riflettono solo il minimo comune denominatore, e molto spesso non producono alcun valore. L’idea alla base di tali proposte è necessariamente che gli interessi dei diversi paesi siano sufficientemente simili da rendere possibile un compromesso con un po’ di flessibilità da entrambe le parti. In realtà, questo accade raramente quando si tratta di questioni significative. Esercitazioni NATO con altri paesi? Chi se ne frega abbastanza da discutere? Squadra di addestramento dell’UE in Guinea-Bissau? Chi se ne frega? Da decenni ormai, gli stati europei non sono obbligati a schierarsi su questioni veramente difficili e divisive. L’Ucraina sembrava inizialmente una vittoria facile per l’Europa, e tutti volevano essere associati a una vittoria. Ora le nazioni europee si stanno unendo per paura di essere considerate le prime a gettarsi dalla nave che affonda.
Ma arriverà il momento in cui la nave sarà affondata, e a quel punto diventeranno evidenti enormi divergenze di interessi. Questo è ovvio anche ora, ma lo sarà molto di più man mano che si manifesteranno tutte le tristi e divisive conseguenze di secondo e terzo ordine, comprese molte che al momento possiamo solo immaginare. E naturalmente le differenze e il dissenso all’interno di un’organizzazione sono sempre molto più dannosi di qualsiasi discussione tra stati indipendenti, perché danneggiano l’organizzazione stessa.
La seconda tentazione è quella di ricorrere a progetti azzardati e poco pratici, a volte seriamente intenzionati, a volte semplicemente proposti per fare colpo politicamente. Quasi sempre seguono il modello di soluzioni offerte a problemi sostanzialmente non identificati (ricordate “Dobbiamo fare qualcosa. Questo è qualcosa. Ok, facciamolo?”). Sotto questa voce vedremo proposte per una “NATO europea”, un nuovo Trattato di Difesa Europeo, un Deterrente Nucleare Europeo, alleanze strategiche con altri paesi (vi contatteremo per i dettagli), un nuovo Esercito Europeo, un Commissario per la Difesa nell’UE e senza dubbio molte altre, la maggior parte delle quali saranno state sperimentate in passato e fallite.
I recenti annunci sull’acquisto di equipaggiamenti e sull’aumento della spesa per la difesa rientrano in questa categoria, perché non si considera a cosa servano effettivamente tali iniziative o a cosa siano destinate a produrre. Sono essenzialmente dei gesti: (“Dobbiamo fare qualcosa…”). Alcune cose sono chiare fin da subito. Le nazioni non spenderanno il 5% del loro PIL per la difesa, perché anche se lo volessero e i loro parlamenti votassero la somma, non potrebbero essere spesi. L’economia occidentale, compresa quella degli Stati Uniti, semplicemente non è in grado di fornire le risorse per investire il denaro, e non vi è alcun segno che gli stati occidentali possano comunque aumentare significativamente le dimensioni delle loro forze armate, né tramite reclutamento né tramite coscrizione. L’effetto principale della disponibilità di denaro extra sarebbe l’inflazione, poiché la domanda aumenterebbe ma probabilmente non l’offerta. (Ironicamente, la spesa per beni di prima necessità come abbigliamento, edilizia e veicoli probabilmente andrebbe a beneficio dell’economia nel suo complesso, ma solo in piccola misura.)
E a cosa serve questo equipaggiamento? Nessuno lo sa, se non per sostenere slogan politici sulla “difesa dalla Russia”. Per quanto ne so, non è stata presa in considerazione alcuna questione pratica. Quindi, Ministro, lei aumenterà la sua flotta di carri armati da 150 a 250 veicoli. Sa che nessuno costruirà una fabbrica per lei, quindi il suo ordine verrà aggiunto a quello di altri, e ci vorranno almeno cinque anni prima che lei veda il suo primo carro armato. Non l’ha saputo? E che dovrà rivedere completamente la struttura del suo esercito, creare nuove unità, trovare nuovi comandanti e subordinati e ordinare ogni sorta di equipaggiamento ausiliario e di supporto. Non l’ha saputo? Dovrà decidere un concetto operativo e se, ad esempio, desidera brigate corazzate o meccanizzate e se saranno destinate alla difesa interna o al dispiegamento, poiché i requisiti saranno diversi. Non l’ha saputo? Poiché i carri armati da soli non servono a nulla, dovrai definire gli ordini di battaglia, capire quali altri tipi di armi ti serviranno (veicoli corazzati da combattimento, artiglieria, ecc.) e impartire ordini per essi. Non l’hai fatto?
Abbiamo a che fare, ovviamente, con una classe politica straordinariamente debole e con strutture governative che oggigiorno funzionano a malapena. Ma abbiamo anche a che fare con una situazione del tutto inedita, in cui, per la prima volta in cento anni, i governi europei devono elaborare una propria strategia nazionale di difesa e sicurezza. Dalla strategia derivano, in ultima analisi, missioni, compiti e dottrina – cosa vuole che facciano le forze armate, Signor Presidente? – e senza dottrina non ha senso acquistare questo o quell’equipaggiamento. Durante la Guerra Fredda, la NATO aveva sviluppato dottrine e un elaborato insieme di Obiettivi di Forza. Questi Obiettivi venivano raramente raggiunti nella pratica, ma fornivano una sorta di contesto per la pianificazione della difesa nazionale. Dopo la Guerra Fredda, ci furono dispiegamenti in Bosnia e poi in Afghanistan per fornire un certo contesto collettivo e, da allora, le cose hanno, beh, preso una certa direzione. Improvvisamente, le nazioni occidentali si trovano di fronte a domande esistenziali con cui non hanno esperienza e per le quali, a mio avviso, probabilmente non esistono comunque risposte soddisfacenti.
Consideriamo: negli anni ’20 e ’30, la difesa in Europa era sostanzialmente autoctona. Il servizio militare era la regola e persino i paesi più piccoli spesso avevano una propria industria della difesa. La tecnologia progrediva rapidamente e gli equipaggiamenti avevano generalmente una vita breve prima di essere sostituiti da una versione più avanzata, o da qualcos’altro: cinque anni di servizio per un aereo da caccia sarebbero stati un lungo periodo. La produzione era rapida e il supporto non era così complicato. Letteralmente niente di tutto ciò è vero oggi: immagina che la tua Aeronautica Militare abbia disperatamente bisogno di un nuovo aereo multiruolo. Ce n’è un numero limitato sul mercato, l’investimento è colossale, ci vorranno dieci anni per la consegna completa della tua flotta e l’aereo, con gli aggiornamenti, rimarrà in servizio fino al 2060. Devi cercare di immaginare quali possibili ruoli l’aereo potrebbe avere tra una generazione, tenendo conto, naturalmente, dei piani dei tuoi vicini e di eventuali alleati.
Ma per molti versi il problema è più profondo. A cosa servono realmente le vostre forze armate ? (Non sono ammesse risposte superficiali su come combattere e vincere guerre). È passato così tanto tempo da quando i governi nazionali sono stati obbligati ad affrontare questo problema che non è nemmeno chiaro come potrebbero affrontarlo. Almeno negli anni ’30, quando il timore di una guerra generale era diffuso, le nazioni europee potevano guardare ai loro vicini, o ai loro nemici tradizionali, per avere un’idea da dove cominciare. Oggi questo non è possibile. In effetti, uno dei vantaggi della NATO e dell’UE è stato quello di seppellire le inimicizie tradizionali al punto che una guerra tra stati dell’Europa occidentale sembra ormai impensabile. In ogni caso, nessuno stato occidentale dispone di forze militari realmente in grado di danneggiare gli altri.
Strategicamente, quindi, l'”Europa” (torneremo sulle virgolette) si trova ora militarmente debole, senza la possibilità di ricostruire seriamente il proprio potenziale militare, incapace di fare affidamento sugli Stati Uniti come fattore di bilanciamento e confrontata con una superpotenza militare arrabbiata e risentita che probabilmente perseguirà i propri interessi senza una grande sensibilità verso quelli dei suoi vicini occidentali. L’Europa sarà limitata dalla mancanza di una strategia chiara, dalla necessità di investire in sistemi senza sapere se saranno mai necessari e dal declino e dalla possibile scomparsa delle strutture multinazionali esistenti.
Il limite più grande, tuttavia, è di gran lunga la mancanza di un vero e proprio concetto di politica di sicurezza. Ora è importante capire che “sicurezza” in questo senso significa molto più di “difesa”, per non parlare di “militare”. È una politica per garantire la sicurezza del Paese, con qualsiasi mezzo sembri migliore. Ma le espressioni di rabbia cieca, rancore e ostilità nei confronti della Russia non contano come politica di sicurezza, e finché continueranno, l’Europa rimarrà sospesa in un vuoto intellettuale. Ci vorrà del tempo prima che l’attuale gruppo di imbroglioni politici e manager psicotici venga spazzato via dal sistema, ma deve succedere. Se ciò significa un attacco russo sul territorio europeo in rappresaglia per qualche assurdità lanciata da lì, allora temo che sia quello che otterremo. E poi, esaminando il disastro con incredulità, una nuova serie di leader, per fortuna più saggi o almeno meno deliranti dei loro predecessori, dovrà ripartire effettivamente da zero.
Il successivo importante vincolo è l’impossibilità di qualsiasi sfida militare alla Russia. Ora, non c’è motivo di supporre che i russi desiderino impegnarsi direttamente in un conflitto con l’Occidente (anche se si veda più avanti), né che vedano alcun vantaggio nel farlo. Nella misura in cui un tale conflitto dovesse mai iniziare, i missili convenzionali russi devasterebbero gran parte dell’Europa occidentale, mentre l’Europa (o, peraltro, gli Stati Uniti) non sarebbero in grado di rispondere a tono. I russi dispongono di uno schermo di difesa aerea pressoché impenetrabile e qualsiasi aereo occidentale che si avvicinasse abbastanza da lanciare missili sarebbe fortunato a sopravvivere. Le forze aeree occidentali sarebbero fortunate a gestire un paio di missioni prima che loro e le loro basi aeree venissero sostanzialmente distrutte. In teoria, questo vincolo potrebbe essere superato con lo sviluppo di sistemi antimissile e il loro dispiegamento su larga scala, ma in pratica ciò non accadrà. Poiché i russi non cercheranno una guerra di terra e il paese è troppo lontano per lanciare attacchi aerei seri contro di esso, questa è una notevole complessità, oltre che un vincolo importante.
In tale contesto, il terzo vincolo principale è la mancanza di un evidente interesse strategico collettivo, sia all’interno della NATO che dell’UE (e tenendo presente che le due sono in gran parte, ma non del tutto, identiche in termini di appartenenza). In passato, questo era un problema minore. Durante la Guerra Fredda, ad esempio, tutte le nazioni europee della NATO potevano aspettarsi di essere coinvolte in qualche modo in una guerra generale con il Patto di Varsavia. L’accesso ai documenti di pianificazione sovietici dopo il 1990 ha confermato ciò che molti avevano sospettato: per l’Unione Sovietica, una possibile guerra, che avrebbero potuto seriamente aspettarsi che l’Occidente scatenasse, sarebbe stata la Grande Guerra, la Battaglia Finale, che avrebbe comportato l’uso di armi nucleari e l’occupazione dell’intera Europa. (Erano previsti piani dettagliati per l’occupazione della penisola iberica, ad esempio). Sebbene la NATO non abbia mai elaborato piani di tale livello di ambizione o dettaglio per ragioni politiche, era comunque generalmente accettato che una guerra futura sarebbe stata apocalittica e onnicomprensiva. Oggi non esiste nulla di lontanamente simile a quella situazione. La preoccupazione russa non è quella di acquisire territorio, ma di proteggere i propri confini e di allontanare il più possibile le possibili minacce. Come vedremo, si tratta di un gioco a somma zero, in cui le richieste russe saranno principalmente politiche e militari, piuttosto che territoriali.
Nella NATO, le nazioni sono disposte per convenzione in ordine alfabetico inglese, quindi ora la Polonia si trova accanto al Portogallo e la Svezia accanto alla Spagna. Ma chiedetevi per un attimo quale sovrapposizione ci sia nei loro interessi strategici. È giusto, la Svezia è vicina a San Pietroburgo e alla base navale di Murmansk, la Polonia ha una storia complicata e violenta con la Russia. Ma la loro situazione strategica non è la stessa, e nessuna delle due ha nulla a che fare con quella strategica di Spagna e Portogallo.
In effetti, esiste già una divisione implicita dell’Europa in vicini prossimi della Russia (tra cui Norvegia, Svezia, Paesi Baltici e Finlandia), vicini più lontani tra cui Polonia, Romania, Bulgaria ecc., e vicini lontani tra cui Germania, Francia, Italia, Spagna e Regno Unito. In quest’ultimo caso, è difficile vedere una reale comunanza di interessi con i vicini prossimi della Russia. Tuttavia, alleanze e persino intese politiche tendono a dare per scontato questo punto di vista: l’Estonia è membro della NATO, la Macedonia del Nord è membro della NATO, quindi… beh, forse non molto, in realtà. Il pensiero alla base delle alleanze e dei legami politici è spesso espresso come “la libertà è indivisibile” o “la sicurezza di uno è la sicurezza di tutti”, o qualche formula simile, la cui verità è solo discutibile se si considera la storia.
Non solo le interrelazioni tra un gran numero di stati diventano ingestibili oltre una certa soglia, ma anche il fatto che la propria lite si trasforma rapidamente in una lite di tutti gli altri. Non c’è motivo di supporre che, in un’eventuale futura crisi tra Lituania e Russia, le nazioni più a ovest abbiano qualcosa da guadagnare schierandosi dalla parte della Lituania. Possono o meno provare simpatia per una parte o per l’altra, ma fornire effettivamente un sostegno pratico o addirittura politico rischia più di infiammare la crisi che di prevenirla. La storia suggerisce che le alleanze non sono sempre una buona idea. Sebbene l’immagine “a orologeria” dell’inizio della Prima Guerra Mondiale sia riconosciuta come una semplificazione eccessiva, è vero che la guerra si generalizzò in quel momento perché la Russia sentiva di non avere altra alternativa che sostenere la Serbia contro l’Austria, mentre la Germania sentiva di non avere altra scelta che sostenere il suo alleato Austria contro la Russia. In ogni caso, la coda scodinzolava il cane. Negli anni ’30 la Francia credeva di rafforzare la propria posizione stringendo alleanze con Polonia e Cecoslovacchia, ma capì che ciò non stava scoraggiando la rinascita della Germania e che i suoi alleati fittizi erano in realtà una fonte di debolezza, una situazione molto più comune di quanto si voglia ammettere.
Questo non vuol dire che gli stati geograficamente lontani dalla Russia non avranno problemi con quel paese. (I francesi sono comprensibilmente arrabbiati per il fatto che i russi abbiano minato la loro posizione in Africa, ad esempio). Ma è difficile immaginare cosa la continuazione di un’alleanza militare potrebbe fare per risolvere, o addirittura alleviare, tali problemi. Il vero pericolo è che stati lontani vengano risucchiati in conflitti che non hanno ideato né cercato. Questo accade da quando esistono stati, e non c’è motivo di pensare che il pericolo sia scomparso. È molto probabile che si manifesti in una reazione irrazionale e inutilmente conflittuale alla sconfitta in Ucraina. Non c’è niente di più sciocco che fare smorfie e insultare quando non si ha nulla con cui sostenerle, ma la Russia, erede dopotutto di secoli di sospetto nei confronti dei nemici dell’Occidente, rischia di interpretare eccessivamente bronci e accessi d’ira come qualcosa di più serio. Dopotutto, potete immaginare un esperto russo che dice: “Guardate, la Germania è stata di fatto disarmata nel 1931, e guardate dove si trova dieci anni dopo”. Non si è mai troppo prudenti! In effetti, se non ci accontentiamo del disastro ucraino e ne vogliamo un altro più grande, questa potrebbe essere una reazione eccessiva della Russia alle infantili minacce occidentali.
Se si accetta quindi che l’Europa (con o senza gli Stati Uniti) non abbia serie possibilità di affrontare militarmente la Russia, e che in ogni caso gli interessi strategici dei suoi Stati membri saranno troppo diversi per renderlo praticabile, gran parte dell’attuale nube di incertezza si dissiperà, o lo sarà quando la realtà finalmente ci afferrerà. Tuttavia, comprendere questo e trarre le giuste conclusioni va francamente oltre l’attuale schiera di nani da giardino che abbiamo come leader. A un certo punto, però, in modi diversi nei diversi Paesi, emergeranno leader più realistici, perché è sempre così. Dobbiamo sperare che non ci voglia troppo tempo.
Cosa possiamo dire delle opzioni che avranno? Beh, in primo luogo, queste opzioni saranno in gran parte il risultato di fattori geografici e demografici. Per i vicini prossimi della Russia, non ci sarà altra scelta che adottare una politica conciliante nei confronti di Mosca, cercare buoni rapporti ed evitare di fare qualsiasi cosa che possa turbare il Cremlino. Gestito in modo intelligente – come è stato il caso con la Finlandia dopo il 1945 – questo non deve necessariamente essere un disastro. Anzi, i politici saggi, se ce ne sono, dovrebbero essere in grado di bilanciare la situazione tra Russia e Occidente: la difficoltà ora è che un lato della bilancia è molto più debole di quanto non fosse in passato. Il pericolo, naturalmente, è che un diffuso risentimento per questo status subordinato porti i nazionalisti al potere, con risultati imprevedibili. Qui, temo, c’è la concreta possibilità di una reazione eccessiva da parte di Mosca. Agire nei Paesi Baltici, ad esempio per incoraggiare gli altri, non sarebbe difficile (è già stato fatto in passato) e non c’è nulla che l’Occidente possa fare concretamente al riguardo.
Anche i vicini più lontani dovranno evitare di provocare Mosca e iniziare il lento e delicato processo di ricostruzione delle relazioni politiche ed economiche. Saranno sicuramente gli attori più deboli, ma d’altra parte, nel prossimo futuro la Russia non sarà particolarmente interessata a loro, finché non sembreranno rappresentare una minaccia. Saranno incoraggiati a chiedere alle forze statunitensi rimaste di andarsene e a diventare di fatto neutrali. Dubito che ciò sia fattibile con una classe politica europea come l’attuale: anzi, interi sistemi politici potrebbero non sopravvivere alla straziante serie di cambiamenti richiesti.
I vicini lontani, tra cui possiamo includere Gran Bretagna e Francia, ma anche Germania, Italia e Spagna, avranno la massima libertà d’azione, e gran parte del resto di questo saggio è dedicato a loro. Essere relativamente distanti non significa necessariamente che il compito sia facile. (Ad esempio, gli inglesi dovranno accettare, per quanto difficile possa essere, la profondità della storica paranoia russa sulle attività “nascoste” di Londra, e imparare a tenerne conto). Ma una cosa è chiara: l’Europa sta uscendo dallo schema post-1945 e tornando a qualcosa di molto più tradizionale. In questo contesto, i vicini lontani si staccheranno sempre più dagli altri, anche perché non hanno risorse disponibili per influenzare il comportamento russo nei confronti dei vicini più prossimi.
E che dire di questo comportamento russo? Non ho idea di cosa faranno i russi, e non sono un esperto del paese. Ma possiamo usare la Probabilità Politica Intrinseca e un po’ di storia, e considerare cosa potrebbe fare una nazione grande e potente in questa situazione. Prima di tutto, vorranno assicurarsi che i sacrifici della Guerra non siano vani e non possano essere facilmente annullati. Ciò significa che nessuna minaccia militare può essere lanciata contro la Russia che metta in discussione nessuno di quei guadagni. Ciò richiede una cerchia di stati attorno alla Russia che non siano minacciosi, non solo perché la loro capacità militare è molto limitata, ma soprattutto perché nessuna forza straniera è autorizzata sul loro territorio. Questo di fatto impone un regime Quisling a Kiev, che diventa un alleato efficace di Mosca e si assume la responsabilità primaria di dare la caccia ed eliminare qualsiasi nazionalista fanatico che sopravviva. Richiede anche un’effettiva neutralità negli Stati Baltici e in Finlandia, e possibilmente anche in Svezia e Romania.
In secondo luogo, e su un punto leggermente diverso, vorranno poter affermare che gli obiettivi più ampi della guerra sono stati raggiunti. Ciò potrebbe richiedere lo smembramento totale dell’Ucraina e il controllo effettivo del suo sistema politico e della sua economia, nonché una sostanziale influenza sui sistemi politici dei suoi vicini prossimi. Più in generale, cercheranno qualcosa di simile al risultato previsto nella loro bozza di trattato con la NATO del 2021. Quella bozza è stata respinta – cosa prevedibile, dato che accettarla sarebbe stato politicamente impossibile all’epoca – ma sospetto che i russi torneranno presto con qualcosa di sostanzialmente simile. Pertanto, incoraggeranno, con mezzi palesi e occulti, le voci in Europa che promuovono buoni rapporti con la Russia, e creeranno problemi a qualsiasi attore più assertivo. Esistono diverse leve politiche ed economiche disponibili per farlo apertamente, e naturalmente se vorranno agitare le sciabole, non mancheranno di certo le sciabole da agitare. Esiste anche una gamma pressoché illimitata di possibili operazioni segrete, con cui i russi hanno molta esperienza.
In terzo luogo, vorranno indebolire e indebolire l’influenza occidentale altrove. Ad esempio, la perdita della base aerea statunitense di Rammstein in Germania complicherebbe enormemente qualsiasi tentativo statunitense di organizzare operazioni in Medio Oriente. I russi sono già impegnati a indebolire la posizione francese in Africa occidentale, alimentandosi di una tradizione velenosa di risentimento antifrancese di cui la maggior parte degli anglofoni ignora l’esistenza, e dei resti di una memoria storica del sostegno di Mosca ai “movimenti di liberazione” durante la Guerra Fredda. È dubbio che i russi intendano sostituire la Francia in questi paesi – non hanno la conoscenza approfondita o le capacità necessarie, e Wagner si è dimostrata incapace di combattere i jihadisti – ma il loro scopo è essenzialmente negativo: indebolire l’influenza francese lì. Possiamo aspettarci lo stesso tipo di tentativi nel resto dell’Africa e anche in America Latina, dove i russi tenteranno di indebolire la posizione statunitense. Più in generale, cercheranno di indebolire la NATO, che considerano una minaccia, e probabilmente anche l’UE.
Tutto questo è abbastanza elementare. La domanda è come reagire, se reagire. Dico “se reagire” perché ormai credo che abbiamo superato il punto in cui un’opposizione istintiva a tutto ciò che fanno i russi abbia senso. In termini pratici, i vicini prossimi della Russia dovranno essere considerati parte della sua sfera di influenza, e non c’è molto che si possa fare al riguardo. Ma ricordate, ho detto prima che la mia preoccupazione è la sicurezza.politica , non solo, o anche principalmente, questioni militari e di difesa. La politica di sicurezza comprende tutto, dalla diplomazia alla polizia e alle dogane, all’intelligence, alla difesa e all’esercito, il tutto, almeno in teoria, come parte di una strategia comune. Quindi la prima cosa che deve essere elaborata è una strategia complessiva per una Russia vittoriosa e infuriata.
La prima priorità, ovviamente, non è peggiorare la situazione. L’Occidente ne uscirebbe significativamente peggio in qualsiasi scontro armato e ha tutto l’interesse a de-escalation e calmare la situazione. Detto questo, non è scontato, per le ragioni sopra esposte, che “l’Occidente” sarà in grado di sviluppare una posizione comune. Limitiamo quindi la discussione ai vicini lontani, in particolare Gran Bretagna, Francia, Germania, Spagna e Italia, che sono tutti molto lontani dalla Russia e non hanno bisogno di coinvolgersi con i suoi vicini più immediati. Per loro, la Russia non deve essere l’unica, né tantomeno la principale, priorità. Ad esempio, molti stati dell’Europa occidentale e meridionale affrontano una minaccia molto maggiore a causa dell’immigrazione incontrollata, generalmente organizzata da cartelli criminali e accompagnata dai loro rappresentanti. Ci sono zone di molte città europee dove ora dominano di fatto le bande di narcotrafficanti e dove le forze dello Stato, compresi i servizi sanitari e di emergenza, non possono recarsi per timore di attacchi. Voci sobrie ora descrivono paesi come il Belgio e i Paesi Bassi come narco-stati incipienti, dove il monopolio statale della violenza legittima non è più garantito. Ci sono zone delle città francesi gestite da bande di narcotrafficanti più numerose e più pesantemente armate della polizia. L’opinione pubblica, soprattutto tra le stesse comunità di immigrati, è molto più preoccupata per queste questioni che per le nebulose minacce provenienti dalla Russia. Questa, a sua volta, è solo una parte della più ampia minaccia rappresentata dalla criminalità organizzata transnazionale e da varie forme di terrorismo, che collettivamente superano di gran lunga qualsiasi “minaccia” proveniente dalla Russia.
Detto questo, la prossima priorità sarà ovviamente quella di sviluppare una migliore comprensione della Russia e delle aspirazioni dei suoi leader. Il tipo di approccio ignorante, superiore e sprezzante che ha caratterizzato l’ultima generazione non sarà più sufficiente. Saranno necessari veri esperti del Paese e la politica generale dovrebbe essere orientata a “vivere con la Russia”, non a opporsi in modo sconsiderato a ogni azione russa. Allo stesso modo, l’impegno complessivo di intelligence deve essere intensificato e migliorato in termini di qualità (con particolare attenzione all'”intelligence”), ma questo non significa che la Russia sarà l’ obiettivo principale per tutti, o addirittura per la maggior parte, dei Paesi europei. Al contrario, ci saranno aree in cui i Paesi europei e la Russia potranno effettivamente cooperare, ed è inutile cercare di fare dispetto ai russi solo per il gusto di farlo, soprattutto perché ciò non farà che incoraggiare ulteriormente una Russia infuriata a ricambiare.
Detto questo, ci saranno ruoli per le forze militari e le risorse di difesa in generale, ma principalmente politici e strategici. Il detto di Machiavelli secondo cui chi è disarmato non viene rispettato è purtroppo vero nelle relazioni internazionali, dove gli stati con eserciti capaci ed efficaci forniscono ai governi punti di forza e vantaggi che altrimenti non avrebbero. Non si tratta di una semplice relazione aritmetica: le forze armate dell’Egitto sono più numerose di quelle dell’Algeria, ma l’Algeria è una potenza militare regionale e l’Egitto no.
Uno dei due ruoli principali è l’affermazione della sovranità: una parola (e un concetto) che è stata in gran parte dimenticata. L’esistenza di forze armate, anche su scala limitata, è un’affermazione di sovranità e indipendenza nazionale. Non si tratta banalmente di “difendere” il Paese, ma piuttosto, come è stato storicamente normale ed è ancora normale al di fuori dell’Europa, di fornire un simbolo politico nazionale visibile. Tornare a un tale concetto dopo generazioni di marce sotto bandiere multinazionali sarà difficile da accettare per alcuni, ma in realtà contribuirà notevolmente a ottenere il sostegno pubblico per le forze armate e a promuoverne il reclutamento. È interessante notare che in Francia, che ha sempre avuto una visione inequivocabilmente nazionalista delle sue forze armate, il sostegno pubblico è ancora forte e il reclutamento è un problema minore rispetto a molti altri Paesi. Paradossalmente, tutto ciò rende in realtà più facile la cooperazione internazionale, perché si baserà su un autentico interesse comune, non su obblighi.
Naturalmente, non si tratta solo di parate. Il controllo delle frontiere aeree e marittime è un ruolo pratico importante per i militari e contribuirà a determinare la destinazione dei fondi. In questo contesto, ruoli tradizionali come l’intercettazione di aerei russi sul Mare del Nord manterranno la loro importanza. Non importa se, in pratica, l’A123 europeo sia tecnicamente inferiore allo Z456 russo, perché gli aerei non sono destinati a combattere: stanno giocando una partita tradizionale che influenza i calcoli politici dei vari Paesi.
Il secondo ruolo deriva dalla massima di Clausewitz, spesso citata erroneamente e fraintesa, secondo cui l’esistenza dell’esercito consente “la continuazione della politica statale con l’aggiunta di altri mezzi”. In altre parole, l’esercito è uno strumento in più a disposizione, se necessario. Qui, la cruda realtà è che le potenze militari serie hanno più influenza, sia a livello regionale che globale, di quelle meno serie, e questo si riflette all’ONU e altrove, nelle discussioni sulle crisi nel mondo, nella gestione di queste crisi e nelle soluzioni proposte. Se i canadesi si presentassero con un piano per una forza di peacekeeping a Gaza, nessuno si preoccuperebbe di ascoltarli.
L’Europa avrà ancora due dei cinque stati membri, e quindi due degli stati dotati di armi nucleari al mondo. Una sorta di “Eurobomb” è un’altra idea sciocca su cui non vale la pena riflettere, e l’idea di un “ombrello” nucleare è sempre stata una fallacia giornalistica. Ma avere due potenze nucleari in Europa ha effetti visibili e misurabili sull’equilibrio politico, e la cooperazione tra Gran Bretagna e Francia sulle armi nucleari, che è ovviamente sensata, ha fatto solo piccoli passi avanti, ma probabilmente diventerà inevitabile.
Un continente che pratica quella che un tempo veniva chiamata “difesa non provocatoria” e utilizza le sue forze armate come mezzo per preservare il massimo grado di sovranità e indipendenza è ben lontano dai sogni febbrili della nostra attuale classe politica, ma è l’unica strada sensata da percorrere. In passato, questa sarebbe stata liquidata con disprezzo come “finlandizzazione”, sebbene in realtà i finlandesi abbiano tratto notevoli vantaggi da questa politica. Ora dobbiamo imparare le regole della finlandizzazione 2.0.
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Questo pur condivisibile commento di Massimo Morigi mi ha spinto a domandarmi : ma cosa è la “democrazia” ? E a CHI serve e per cosa ?
Innanzitutto deve essere chiaro che la “democrazia” con cui noi siamo cresciuti è un accidente della Storia confinato al solo mondo “occidentale”. Altre civiltà hanno loro peculiarità e i loro meccanismi di “ratifica popolare” che la nostra “democrazia” altro non è.
Infatti nella eterna “lotta di classe” tra” chi deve lavorare per poter vivere (peggio) e chi può vivere (meglio) senza dover lavorare”, il potere politico apparterrà sempre a questa ultima classe perché solo essa ha il tempo e i mezzi per fare politica.
E questo è un concetto banalissimo già chiaro ne “la democrazia in Atene” scritta da un “Anonimo Ateniese” quattro secoli prima di Cristo e come tale anche il primo libro di politica mai scritto.
Questa ” classe” che non ha necessità di lavorare, allora si potevano chiamare gli “Ottimati” , si impadronisce sempre e inesorabilmente di tutto il potere e di tutte le ricchezze, salvo laddove UNO di LORO , un “autarca”, si impadronisca del potere assoluto appoggiandosi alla ” classe lavoratrice” , ovviamente a sua volta SCONTENTA di essere completamente espropriata del suo.
Il quale “autarca” spesso poi si faceva “re” e lasciava il potere ad un figlio generalmente non all’altezza del padre, provocando di nuovo una rivolta “popolare” astutamente guidata dagli “ottimati” per riprendersi il potere.
In “occidente”, nel mondo antico, la politica ha sempre oscillato tra questi due sistemi salvo due “luminose” eccezioni : Atene e Roma, le quali hanno prodotto due diverse ” democrazie”.
Ma che cosa è “la democrazia “? Nella sostanza essa è solo il metodo con cui l’ elite verifica il consenso popolare rispetto alle PROPRIE decisioni .
Questo ” mercato” è tutt’altro che “libero”; “la democrazia” però funziona meglio, quando funziona, della semplice autarchia e della ” dittatura degli ottimati” semplicemente perché, concedendo dei ” diritti politici inalienabili alla “classe lavoratrice”, ne mobilita maggiormente le energie che con le esemplari bastonate usate dalle altre due.
E qui occorre spiegare, a chi fosse interessato, la differenza tra le due “democrazie” sopra citate .
La democrazia ateniese era semplicemente la concessione DIRETTA di tutti i diritti politici alla massa dei cittadini ateniesi, i quali erano quindi obbligati comunque a perdere tempo per far politica; in mancanza del quale lasciandone il monopolio agli “Ottimati” .
Per MITIGARE questo problema fu introdotta una democrazia rappresentativa in cui gli “eletti” DIRETTAMENTE dalle assemblee ricevevano una paga per tutta la durata dell’ incarico. Probabilmente questa è stata la ” democrazia” più “democratica”, ma con un limite “fisico” così posto all’espansione dello Stato Ateniese, perché solo un ridotto numero di cittadini poteva partecipare “fisicamente “alle assemblee.
Roma invece “coinvolse” la massa dei cittadini solo attraverso una “democrazia rappresentativa ” che non aveva questo “limite di crescita”.
La repubblica romana era quindi molto più “inclusiva” ma la sua direzione politica rimase invece sempre completamente “aristocratica ” in quanto solo i “ricchi” potevano servire “gratuitamente ” lo stato; non c’era però preclusione a nessun cittadino che ne avesse i mezzi, spesso guadagnati, immaginate come, “servendo” lo stato in guerra nei livelli di potere sottostanti.
Si trattava quindi di un “patto tra “popolo ” e “elite” guidata da una oligarchia “aperta ad una “scala sociale”offerta al “populus”.
Quando questo famoso SPQR fu rotto dagli “Ottimati”, anche “la democrazia” Romana andò in pezzi, ma la lotta POLITICA fu interna all’elite, tra ” senatores” ( aka vecchia elite) ed “equites ( quella nuova ) a cui veniva precluso ciò che prima era permesso.
Bene , quale è il senso di questo mio “pippone”? Anche “l’ occidente” si è sviluppato sullo schema della Repubblica Romana e anche qui “il patto ” è ora stato rotto dagli “Ottimati” ( i senatores) e su questo anche la attuale “classe lavoratrice ” OVVIAMENTE non è d’accordo.
Ed è inevitabile che, come nella tarda repubblica Romana , i “meccanismi” elettorali ora siano sempre più manipolati da “Senatus” contro gli interessi del “Populus “, con il risultato che “la repubblica” va in pezzi precipitando giù dai suoi fasti , finché , dopo tanto sangue e tanta ingiustizia, un “senator” prende tutto il potere per sé appoggiandosi sui “populares”.
Ma gli “attuali “Ottimati” della “tardorepubblica” in cui stiamo vivendo sono convinti che grazie a nuove schiaccianti tecnologie “stavolta sarà diverso” .
Bah ! Forse stavolta sarà così, ma chi può saperlo ?
L’ unica cosa sicura è che comunque “la democrazia ” nei fatti non esisterà più e che magari passerà un millennio prima che qualcuno si reinventi una “democrazia diretta “ alla ateniese” e forse un altro ancora ce ne vorrà per una più sofisticata, “alla romana”.
Insomma “democrazia “ come “rara avis” che risorge dalle sue ceneri come “l’ Araba fenice” .
Anche della “ democrazia” tutti dicono che ci sia , ma dove veramente sia nessun lo sa.
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Il Times riporta che la nuova direttrice dell’MI6, la più giovane nella storia dell’agenzia e per di più donna, ha iniziato il suo mandato nella misteriosa ziggurat che ospita le macchinazioni più malvagie del mondo.
Ma guardate il suo viso: notate qualcosa di sospetto? Beh, ci arriveremo.
Blaise Metreweli, 48 anni, è diventata mercoledì la prima donna a guidare l’agenzia di intelligence britannica e la più giovane “C” di sempre, dopo aver preso il posto di Sir Richard Moore, diplomatico di carriera molto stimato e capo dei servizi segreti con profondi legami con la Turchia.
L’articolo tratta il punto di vista mediorientale, sostenendo che il Regno Unito sia stato “emarginato” a Gaza a favore degli Stati Uniti, sostenuti dal peso schiacciante dell’inerzia di Trump; ma questo è un argomento per un’altra occasione.
La curiosità più interessante è accennata verso la fine dell’articolo:
Il nuovo capo dei servizi segreti è anche considerato “altamente qualificato” in materia di Russia, una questione fondamentale per Moore durante il suo mandato e che sarà tra le sue priorità quando questa settimana si siederà con la sua penna verde alla sua nuova scrivania a Vauxhall.
Il governo britannico si affiderà a organismi come l’MI6 per tenere sotto controllo qualsiasi minaccia proveniente dal Cremlino, in un contesto di crescente preoccupazione per l’intensificarsi degli attacchi ibridi della Russia contro l’Europa.
Metreweli, ex direttore generale “Q”, responsabile della tecnologia e dell’innovazione presso il servizio, guiderà l’agenzia attraverso un’era di trasformazione mentre cerca di attirare nuove spie online, in particolare russe, attraverso il proprio portale dedicato sul dark web.
Per chi ha correttamente intuito che “Metreweli” non aveva il tipico aspetto britannico: avete un occhio attento.
A quanto pare Blaise è ucraina e discende direttamente da un famigerato traditore nazista. Dalla sua pagina ufficiale su Wiki:
Il padre di Metreweli, Constantine Metreweli, nacqueConstantine Dobrowolski, figlio del collaboratore nazista Constantine Dobrowolski, a Snovsk, nell’oblast di Chernigov della Repubblica Socialista Sovietica Ucraina occupata dai nazisti, nel 1943. Giunse in Inghilterra con la madre, che nel 1947 sposò David Metreweli nello Yorkshire. Dopo aver frequentato la Latymer School, l’Università di Cambridge e l’Università di Oxford, è diventato medico e radiologo ed è stato presidente di radiologia diagnostica presso l’Università cinese di Hong Kong. Si è anche formato nell’esercito britannico e ha svolto un tirocinio medico a Riyadh dal 1982 al 1985. Ha preso il cognome Metreweli, di origine georgiana, dal suo patrigno. Dopo che il Daily Mail ha pubblicato la notizia sul nonno paterno di Metreweli nel giugno 2025, in seguito all’annuncio che Metreweli sarebbe diventato capo dell’MI6, il Ministero degli Esteri ha dichiarato che lei non lo aveva mai conosciuto e che la sua complessa eredità culturale dell’Europa orientale aveva “contribuito al suo impegno a prevenire i conflitti e proteggere il pubblico britannico dalle minacce moderne provenienti dagli Stati ostili di oggi, in qualità di prossimo capo dell’MI6”.
Esatto, suo nonno era nientemeno che il famoso collaboratore nazista Constantine Dobrowolski, che secondo Wikipedia ha un fascicolo penale di “centinaia di pagine” nell’Archivio militare federale tedesco. Basta dare un’occhiata alle sue numerose opere, per le quali è stato soprannominato “il Macellaio”:
Tornato nel suo distretto natale di Sosnytsia, organizzò un’unità di polizia ucraina composta da 300 uomini che aiutò a radunare e uccidere ebrei e partigiani ucraini. Divenne capo dei servizi segreti locali dei nazisti a Chernigov, dopo aver collaborato inizialmente con gli Hiwi, prima di entrare a far parte della polizia militare segreta della Wehrmacht, la Geheime Feldpolizei, nel luglio 1942. Fu soprannominato “il Macellaio” dai partigiani e ci sono testimonianze che lo vedono coinvolto nel saccheggio delle vittime dell’Olocausto e complice dello stupro delle prigioniere. I sovietici offrirono una taglia di 50.000 rubli, pari a 200.000 sterline odierne, su Dobrowolski, definendolo “il peggior nemico del popolo ucraino”. L’ultima annotazione nel fascicolo risale all’agosto 1943, quando l’esercito sovietico avanzò nella regione.
Il quotidiano russo Gazeta aveva già riportato in precedenza questa strana coincidenza:
In Occidente, avere un antenato nazista non è più un fattore negativo nella biografia politica degli alti funzionari. Questa opinione è stata espressa dallo storico, personaggio pubblico e politico Nikolai Starikov in un’intervista a aif.ru, commentando la nomina di Blaise Metreveli, nipote di un sicario della Wehrmacht, a capo dell’MI-6 britannico.
«La tendenza è chiaramente neonazista: (Cancelliere tedesco) Friedrich Merz, (ex Ministro degli Esteri tedesco) Annalena Baerbock, (membro della Camera dei Comuni del Canada) Chrystia Freeland, (ex presidente della Georgia) Salome Zurabishvili. Ora possiamo aggiungere il capo dell’MI6, Blaise Metreveli”, ha sottolineato.
Secondo Zakharova, qualcuno sta “deliberatamente e consapevolmente” collocando i discendenti dei nazisti in posizioni di leadership nei paesi occidentali.
Anche altri funzionari russi hanno definito questa tendenza in crescita in Occidente:
In Europa si sta verificando una “reincarnazione” del nazismo, dovuta a fattori fondamentali, ha affermato Dmitry Novikov, primo vicepresidente della commissione per gli affari internazionali della Duma di Stato, commentando la notizia secondo cui il nonno del futuro capo dei servizi segreti britannici era legato ai nazisti.
«La reincarnazione del nazismo nel mondo moderno è legata ai tentativi del grande capitale di uscire dalla crisi facendo rivivere il nazismo. I tentativi di ripulire l’immagine del nazismo sono anche legati alle biografie di famiglie influenti nell’Europa moderna, i cui nonni e bisnonni hanno sostenuto l’ascesa al potere di Hitler», ha affermato il deputato.
In un colpo di scena alquanto strano e forse appropriatamente simbolico, l’architetto originale responsabile dell’iconica mostruosità babilonese del quartier generale dell’MI6, soprannominato Babylon-on-Thames da alcuni —è morto pochi giorni prima che Blaise Dobrowolski assumesse l’incarico:
Il quartier generale dell’MI6 a Vauxhall, inaugurato nel 1994, è forse l’edificio più famoso di Farrell. Descritto una volta dal critico di architettura Rowan Moore come uno “ziggurat color carne”, era tipico dei “grandi ed imponenti edifici per istituzioni potenti” in cui Farrell era specializzato.
Beh, quando una Babilonia cade, ne sorge un’altra, o almeno così dicono.
È interessante notare che tutti avevamo dato per scontato che fosse l’Occidente a usurpare e cooptare l’Ucraina, mentre invece si è rivelato esattamente il contrario. O forse, semplicemente, l’Occidente si sta fondendo con gli elementi più infernali dell’Ucraina in un’unica, nociva Idra.
Una cosa è certa: ciò che alcuni hanno interpretato come uno slogan apparentemente strumentale della Russia sul nazismo come causa principale del conflitto ucraino si sta lentamente rivelando vero. Sembra che nella sua spinta esistenziale a cancellare la Russia, l’Occidente abbia fatto ricorso alle arti più oscure della negromanzia per resuscitare l’unica forza storica dormiente che ritiene in grado di svolgere questo compito.
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L’accordo Usa-Cina su TikTok apre un nuovo capitolo nella sovranità digitale, trasformando una questione aziendale in un nodo geopolitico e di sicurezza nazionale. La vicenda stabilisce un precedente per la governance internazionale di dati e algoritmi
Con la firma di un atteso ordine esecutivo, Donald Trump ha imposto la trasformazione di TikTok in un’azienda a maggioranza americana: ByteDance resterà sotto il 20%, consegnando il controllo a un consorzio guidato da Oracle, Silver Lake e dal fondo di Abu Dhabi MGX.
Il valore imposto dall’ordine esecutivo – 14 miliardi di dollari – è ben al di sotto delle stime di mercato, e restano incognite legate all’approvazione di Pechino e alle pressioni bipartisan del Congresso per garantire un reale disimpegno cinese.
Ripercorriamo le tappe e il contesto di questa vicenda, anche per comprenderne l’impatto sull’assetto futuro della governance globale dei dati.
Partiamo dall’accordo quadro raggiunto il 15 settembre 2025 tra Stati Uniti e Cina sulla proprietà di TikTok: un passaggio cruciale nel dibattito globale sulla sovranità digitale.
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L’intesa, in seguito alla quale ByteDance (società proprietaria della piattaforma) ha accettato di trasferire la titolarità dell’app negli Stati Uniti a soggetti americani, oltre a evitare il rischio di un ban totale sul mercato statunitense, riflette il nuovo paradigma in cui la regolazione delle piattaforme digitali non si limita a profili antitrust o di tutela dei consumatori, ma si colloca in una dimensione geopolitica, di sicurezza nazionale e di controllo sugli algoritmi.
Il quadro normativo: il PAFACA Act e la minaccia del divieto
Il contesto legislativo statunitense è determinato dal Protecting Americans from Foreign Adversary Controlled Applications Act (PAFACA), approvato dal Congresso nel 2024. La norma prevede che applicazioni considerate sotto il controllo di “foreign adversaries” (in particolare, Cina, Russia, Iran e Corea del Nord) debbano essere cedute a entità americane entro termini stabiliti, pena l’esclusione dal mercato statunitense (su TikTok, la comunicazione ufficiale su come l’amministrazione applica la legge alla piattaforma, con definizioni, tempistiche e misure previste).
TikTok è stata l’app maggiormente interessata da questa normativa, sia per la sua popolarità (oltre 170 milioni di utenti negli USA) sia per i sospetti relativi alla raccolta e all’uso dei dati personali. Le autorità di Washington hanno più volte segnalato il rischio che i dati potessero essere accessibili a Pechino, o che l’algoritmo di raccomandazione potesse essere manipolato per finalità di disinformazione o propaganda.
Da quel momento si è aperta una fase di negoziati complessi, che vedeva, da un lato, la pressione del Congresso e delle agenzie di sicurezza americane, dall’altro l’esigenza politica di non alienare milioni di utenti, in gran parte giovani, che usano TikTok quotidianamente. La minaccia di un ban totale, con scadenze ravvicinate, ha costretto ByteDance a valutare l’opzione di un trasferimento di proprietà.
L’intesa, ufficializzata il 25 settembre mediante la firma dell’ordine esecutivo da parte di Trump che formalizza il passaggio di TikTok sotto controllo americano, rappresenta un punto di equilibrio, in quanto consente a TikTok di restare accessibile negli Stati Uniti, con la creazione di una nuova entità statunitense che opererà TikTok sul mercato USA.
Secondo quanto riportato dal Wall Street Journal e da Reuters, un consorzio di investitori americani guidato da Oracle, insieme a Silver Lake e Andreessen Horowitz, ora affiancati (come socio di minoranza) dal fondo sovrano degli Emirati Arabi Uniti, Mubadala, acquisirebbe circa l’80% della proprietà, mentre i soci cinesi di ByteDance manterrebbero una quota residua inferiore al 20%; tra i soci USA rientrerebbero in realtà anche investitori già presenti in ByteDance (Susquehanna, KKR, General Atlantic). La nuova società avrà un board a maggioranza statunitense, con un seggio designato direttamente dal governo USA, a garanzia del rispetto dei requisiti di sicurezza nazionale. La presenza di Mubadala è interpretata come un elemento strategico, che rafforza i legami tra Washington e Abu Dhabi e aggiunge solidità finanziaria al nuovo assetto proprietario.
In pratica, l’accordo bilaterale consentirebbe di evitare il ban e di aprire a un controllo rafforzato da parte delle autorità statunitensi, configurando un caso di “americanizzazione forzata” di un’infrastruttura digitale di origine cinese.
La dimensione politica: dall’account della Casa Bianca all’uso elettorale
Un elemento di rilievo, che evidenzia l’ambivalenza del dibattito, è rappresentato dall’apertura di un account ufficiale della Casa Bianca su TikTok, avvenuta lo scorso agosto, proprio nel momento in cui il governo stava per decidere se forzare la vendita o applicare il divieto.
La scelta, raccontata da Time Magazine, rivela quanto sia diventato impossibile per la politica americana ignorare il potere di comunicazione del social cinese come canale imprescindibile per raggiungere le fasce di elettorato più giovani. La stessa dinamica è riscontrabile a livello elettorale: candidati di entrambi gli schieramenti, incluso Donald Trump (tra i più attivi, nonostante le sue critiche nei confronti dell’app), hanno utilizzato TikTok per veicolare messaggi politici, con un linguaggio adatto al formato breve e visuale tipico della piattaforma.
Emblematico anche il caso di Xavier Becerra, candidato democratico alla carica di governatore della California, che ha lanciato una campagna su TikTok in lingua spagnola (Spanish-only) per raggiungere direttamente gli elettori ispanici, in quanto il segmento ispanico è molto attivo sulla piattaforma, più di altri gruppi demografici. L’idea di Becerra è comunicare politiche, momenti della campagna e intraprendere collaborazioni con influencer direttamente in spagnolo, abbassando così le barriere linguistiche comunicative.
Anche questo è un esempio concreto di come la politica statunitense stia usando i social come canale di massa e, allo stesso tempo, come strumento segmentato: linguistico, culturale, demografico. I candidati riconoscono che alcuni gruppi (come ad es. gli ispanici) non sono omogenei e rispondono meglio a messaggi culturalmente/linguisticamente aderenti. TikTok è quindi percepito come piattaforma efficace per raggiungere fasce di popolazione probabilmente meno presenti sui media tradizionali o su altri social.
Il pubblico di TikTok è giovane, mobile, disincantato verso i media tradizionali ma estremamente reattivo a contenuti brevi, visivi e “memetici”. Questa piattaforma è oggi parte integrante delle campagne elettorali perché è un canale capace di determinare la percezione di un candidato molto più rapidamente dei tradizionali spot televisivi.
Questa tendenza conferma il duplice status di TikTok che, da un lato viene percepito come minaccia alla sicurezza nazionale e, dall’altro, riconosciuto come strumento essenziale di comunicazione politica. Non si può ignorare che, una parte delle motivazioni dietro la spinta all’accordo, sia infatti la volontà di Trump di guadagnare consenso politico, cioè un vero “showpiece negoziale” per mostrarsi capace di “strappare” un’intesa con la Cina su un tema molto mediatico.
La cornice economica: rallentamento industriale cinese e politica dei dazi
La vicenda deve essere però interpretata anche alla luce della più ampia competizione economica tra Stati Uniti e Cina.
Negli ultimi anni la Repubblica Popolare ha registrato una frenata nella crescita industriale, in parte dovuta ai controlli americani sull’export di semiconduttori e tecnologie avanzate, nonché alla reintroduzione di dazi sulle importazioni cinesi da parte dell’amministrazione Trump, con l’obiettivo dichiarato di riequilibrare la bilancia commerciale e rafforzare la manifattura interna.
In tale contesto, l’accordo su TikTok può essere letto come una concessione tattica di Pechino, volta a preservare la presenza di una app strategica sul mercato statunitense in un momento particolarmente delicato della sua economia.
Algoritmo e dati: la posta in gioco strategica
Il vero nodo critico della vicenda riguarda la titolarità dell’algoritmo e la gestione dei dati. Per gli Stati Uniti, la questione non è soltanto legata a chi possiede la piattaforma, ma soprattutto a chi può esercitare un controllo effettivo sull’infrastruttura tecnologica che ne determina il funzionamento.
TikTok ha costruito il proprio vantaggio competitivo su un sistema di raccomandazione basato su machine learning avanzato, capace di analizzare in tempo reale i comportamenti degli utenti (tempo di visualizzazione, interazioni, preferenze implicite) per proporre contenuti altamente personalizzati. A differenza dei social tradizionali, incentrati sulle reti di contatti (il “social graph”), TikTok ha innovato attraverso il cosiddetto content graph, dove l’elemento centrale non è la connessione sociale, ma la capacità di anticipare gusti e interessi tramite dati e predizioni algoritmiche.
Questa architettura ha generato preoccupazioni negli Stati Uniti, in quanto il controllo dell’algoritmo implica due dimensioni di potere:
economica, poiché l’algoritmo è il principale asset di valore della piattaforma e determina la fidelizzazione degli utenti e l’efficacia pubblicitaria;
politica e strategica, perché la selezione dei contenuti veicolati può influenzare opinioni pubbliche, narrazioni politiche e processi democratici.
Resta da chiarire quale sarà l’effettivo destino dell’algoritmo a seguito dell’accordo. Tre, in astratto, le ipotesi principali e cioè (i) cessione integrale con trasferimento da parte di ByteDance potrebbe della titolarità e del controllo dell’algoritmo a una nuova entità americana; (ii) replica locale, ovvero sviluppo di una versione “americana” dell’algoritmo, con possibile separazione del codice sorgente e dei dataset di addestramento, così da mantenere la proprietà intellettuale in Cina ma garantire agli USA autonomia operativa; (iii)auditing indipendente con mantenimento dell’algoritmo originale con meccanismi di trasparenza e controllo da parte di terze parti o agenzie federali, che ne certifichino il funzionamento e impediscano interferenze.
Secondo le ultime informazioni, gli ingegneri di TikTok starebbero già sviluppando l’ipotesi della replica locale, ovverossia la creazione di una versione americana dell’app, con un sistema di raccomandazione ricreato sotto licenza di ByteDance. In questo scenario, l’algoritmo non verrebbe quindi ceduto integralmente, ma replicato e mantenuto da un team statunitense per ridurre l’influenza cinese, con la migrazione degli utenti USA verso la nuova app (cioè, non TikTok originale ma l’istanza americana con algoritmi replicati). L’algoritmo sarà quindi “in parte” quello originario, ma rieducato con dati statunitensi (si parla infatti di “addestramento su dati USA”). La gestione dei dati degli utenti americani sarebbe affidata a Oracle, che li conserverà nei propri data center in Texas, rafforzando il principio di “data localization” a garanzia di trasparenza e sicurezza.
Dalla governance dell’algoritmo dipende tanto il valore economico della piattaforma quanto la possibilità di garantire che i flussi informativi non siano manipolati da interessi geopolitici esterni. In un’epoca in cui i dati rappresentano una risorsa strategica comparabile alle materie prime del Novecento, il controllo sugli algoritmi equivale a detenere una leva di influenza globale.
Il tema della sovranità digitale europea si intreccia con le dinamiche globali: la capacità di esercitare auditing sugli algoritmi, la tutela della privacy, la resilienza delle infrastrutture critiche. In questo senso, l’accordo USA-Cina su TikTok potrebbe costituire un precedente per ulteriori interventi normativi in ambito UE, soprattutto in relazione alle piattaforme extraeuropee.
Per l’Italia e per il sistema industriale europeo, ciò implica la necessità di una strategia più organica, che consideri le piattaforme sia come operatori economici, che come attori geopolitici.
Questioni etiche e governance globale
La vicenda non è scevra da interrogativi di ordine etico e giuridico, dal momento che l’intervento diretto dello Stato sulla proprietà di un’applicazione digitale segna un superamento della tradizionale distinzione tra regolazione dei contenuti e assetto societario, sollevando il tema del bilanciamento delle esigenze di sicurezza nazionale con i principi di libertà di espressione e neutralità tecnologica.
A livello globale, emerge l’urgenza di una governance condivisa degli algoritmi, basata su standard comuni di trasparenza, auditing e responsabilità. Senza tali strumenti, il rischio è laframmentazione del cyberspazio in blocchi geopolitici, con regole divergenti e incertezza per cittadini e imprese.
I fattori di incertezza dell’accordo
Ci sono vari elementi che suggeriscono che l’accordo, pur probabile, potrebbe slittare o subire modifiche. Ecco i principali:
Le pressioni tariffarie e le condizioni di Pechino
La Cina ha già mostrato in passato disponibilità limitata a concedere condizioni che compromettano il suo potere di influenza, specie se collegati a dazi e misure commerciali imposte unilateralmente dagli USA. In alcuni momenti, questo ha portato a stalli nei negoziati.
Il ruolo instabile di Trump e il carattere politicizzato
Il Presidente Trump ha già prorogato il termine ultimo per il ban di TikTok dal 16 dicembre 2025 a gennaio 2026, concedendo margini di manovra più ampi per la formalizzazione dell’intesa (si tratta della quinta proroga). L’accordo può comunque dipendere da dinamiche interne di Congresso, opposizione, opinione pubblica su algoritmo o controllo dei dati potrebbe.
Approvazione cinese
Qualsiasi accordo che comporti cambi di proprietà o controllo richiede approvazione da parte delle autorità cinesi, che devono considerare non solo l’aspetto commerciale, ma anche la sicurezza nazionale, la politica interna, l’orgoglio nazionale. Le autorità cinesi hanno tuttavia espresso apertura al licensing dell’algoritmo, ma potrebbero imporre condizioni stringenti.
Ci sono comunque buone ragioni per credere che, al netto di ostacoli, qualcosa verrà formalizzato venerdì (o nei giorni immediatamente successivi). I fattori che lo rendono plausibile:
L’urgenza: gli Stati Uniti hanno forte incentivo a evitare il blocco totale di TikTok.
L’interesse reciproco a trovare un compromesso: gli USA intendono dimostrare coerenza con la legge (PAFACA) e la Cina preferirebbe senz’altro evitare l’isolamento economico e diplomatico.
L’esistenza già di un framework e di discussioni avanzate che coinvolgono investitori americani (i.e. Oracle).
Oltre l’accordo: TikTok spartiacque della sovranità tecnologica
L’accordo USA-Cina su TikTok rappresenta un punto di non ritorno nella geopolitica digitale: per Washington, costituisce un passo avanti verso la sovranità tecnologica e la tutela dei dati personali; per Pechino, una concessione in un momento di debolezza industriale; per la comunità internazionale, è un precedente che ridisegna i confini tra mercato, tecnologia e politica.
Pur presentato da Trump come un “accordo fatto”, il framework è ancora in fase di negoziazione e richiederà ulteriori accordi bilaterali per essere formalizzato, incluso il possibile incontro con Xi Jinping al vertice APEC (Asia-Pacific Economic Cooperation, che si terrà nelle prossime settimane). Da parte cinese, ancora oggi, le dichiarazioni sono rimaste caute e parlano di semplice consenso di principio e di accordo ancora in fase di negoziazione. Come osservato anche dal New Yorker, la vicenda mostra come l’accordo su TikTok sia non solo una questione di sicurezza nazionale e sovranità digitale, ma anche uno strumento politico utilizzato dal presidente americano per rafforzare la propria immagine di negoziatore. TikTok diventa un precedente strategico che potrà orientare le scelte future in tema di piattaforme digitali straniere nei mercati occidentali.
Nonostante l’ordine esecutivo del 25 settembre 2025 abbia dato veste ufficiale al framework, lo stesso resta da implementare nelle sue parti più delicate: la gestione dell’algoritmo, il licensing tecnologico e le autorizzazioni da parte delle autorità cinesi. Da Pechino, infatti, continuano a giungere dichiarazioni caute che parlano di consenso di principio ma condizionato a precise garanzie. Come osservato anche dal New Yorker, la vicenda mostra come l’accordo su TikTok sia non solo una questione di sicurezza nazionale e sovranità digitale, ma anche uno strumento politico utilizzato dal presidente americano per rafforzare la propria immagine di negoziatore. TikTok diventa un precedente strategico che potrà orientare le scelte future in tema di piattaforme digitali straniere nei mercati occidentali.
L’Europa, da parte sua, dovrà comunque decidere se limitarsi a recepire logiche statunitensi o proporre un modello alternativo di sovranità digitale fondato su diritti fondamentali e regole comuni.
Il caso TikTok, in ultima analisi è un contenzioso societario, ma soprattutto il simbolo della transizione verso un ordine digitale multipolare, in cui i dati sono sempre di più risorsa strategica e gli algoritmi strumenti di potere geopolitico.
Il presidente Lyndon B. Johnson, il più volgare – il secondo più volgare – occupante della Casa Bianca, era solito vantarsi di tenere il “pisello in tasca” del vicepresidente Hubert Humphrey.
Hump era un liberale della Guerra Fredda che tuttavia espresse delle riserve sul ruolo degli Stati Uniti in Vietnam in una nota a Johnson nel 1965. Non commise più quell’errore. HHH avrebbe trascorso i tre anni successivi a sbocconcellare baggianate sulla necessità che gli americani mostrassero la “pazienza di lavorare, sanguinare e morire a 5.000 miglia da casa”. Nell’autunno del 1968, inseguendo Richard Nixon, Humphrey ristabilì a fatica una certa indipendenza, ma era troppo tardi per salvare la sua campagna.
Guardando il Vicepresidente J. D. Vance, il cui record di voti al Senato lo colloca perfettamente nel piccolo ma agguerrito blocco scettico nei confronti della guerra, fare la parte dell’uomo d’affari, difendendo pubblicamente un bombardamento dell’Iran che sicuramente disapprovava in privato, si è rabbrividito al pensiero di un’altra fallectomia.
Ma forse sto esagerando. Se Vance è davvero fatto della grinta degli Appalachi che ha raccontato in Hillbilly Elegy, romperà, molto prima di quanto abbia fatto Humphrey, con il suo instabile capo. (Sto parlando di una sfida di principio, non di dimissioni. Secondo l’inopportunamente umoristica affermazione di Woodrow Wilson, “C’è ben poco da dire sul Vicepresidente. . . . La sua importanza consiste nel fatto che può cessare di essere vicepresidente”. Che è l’argomento contro le dimissioni).
Vance, a differenza dei suoi poco appariscenti predecessori Pence e Harris, è una rara avis della politica americana: un intellettuale, uno scrittore di talento e un uomo con un affetto impellente – così sembra – per un luogo. Poiché le esigenze della politica e le mansioni di un second banana si oppongono all’integrità intellettuale, alla buona prosa e soprattutto alla fedeltà al luogo, la situazione attuale di Vance è triplamente interessante. I diavoli – l’uno l’ambizione, l’altro il potere – sussurrano in ogni orecchio, e ci si chiede se questi possano soffocare gli echi di Jackson, Kentucky, che Vance rivendica come sua patria spirituale in Hillbilly Elegy.
Prima di leggerlo, avevo un parti pris nei confronti di Hillbilly Elegy. Dalle recensioni, mi era parso di capire che Vance si professasse “salvato” dalla sua famiglia violenta, in una cittadina di campagna dell’Ohio meridionale, da tre istituzioni: l’esercito permanente, la facoltà di legge di Yale e la Silicon Valley, ognuna delle quali, a mio avviso, ha contribuito in modo significativo alla distruzione della vita locale, della vitalità regionale e della salute (o addirittura dell’esistenza) della Repubblica americana;
Questa interpretazione di Hillbilly Elegy non è senza merito, ma non è nemmeno sufficiente. Da un lato, le ricette politiche di Vance, che nel 2016 si presentavano come standard conservatori, consumano solo la decina di pagine peggiori di Hillbilly Elegy; dall’altro, le sue idee politiche si sono evolute in modo sostanziale nel decennio trascorso dalla sua pubblicazione. (Grazie a Dio: Vance ha effettivamente votato nel 2016 per il candidato indipendente Evan McMullin, il glabro uomo di facciata dello Stato di sicurezza nazionale il cui curriculum vantava orgogliosamente il suo servizio presso la CIA e Goldman Sachs).
Ma Vance è tornato in Ohio nel 2017 e qualcosa sembra essere scattato. Un sano sentimento familiare ha spinto la sua politica in una direzione populista, e una traccia di quel patrizio statista Buckeye, il senatore Robert Taft, “Mr. Republican”, che non ha nulla a che vedere con la mamma, si è fatta strada nelle opinioni di Vance sulla politica estera;
Quando, nel Grande Dibattito del 1950-51, i difensori della Vecchia Repubblica misero disperatamente in guardia i loro connazionali dall’impegnare forze di terra statunitensi in Europa o in Asia, Taft dichiarò: “Lo scopo principale della politica estera degli Stati Uniti è quello di mantenere la libertà del nostro popolo. Il suo scopo non è quello di riformare il mondo intero o di diffondere dolcezza e luce e prosperità economica a popoli che hanno vissuto e lavorato alla propria salvezza per secoli, secondo i loro costumi e al meglio delle loro capacità”.
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L’anarchico che c’è in me si schernisce dicendo che sono un pazzo a riporre fiducia in qualsiasi politico, ma le persone che rispetto e che conoscono bene Vance ne parlano bene, quindi gli concedo il beneficio del dubbio. Mi piace anche l’uso di “America First” di Merle Haggard come tema musicale della convention del GOP e il fatto che il partito della guerra odia e teme Vance e farà di tutto per affossare la sua inevitabile campagna del 2028.
Inoltre, il suo ancestrale Bluegrass State ha fornito tre colombe repubblicane nel dibattito sul Vietnam (i senatori John Sherman Cooper e Thruston Morton e il rappresentante Eugene Siler) e oggi vanta la lodevole coppia formata dal senatore Rand Paul e dal rappresentante Thomas Massie – o “TOTAL LOSERS!” nel tweetese trumpiano.
Che la mamma, Bob Taft e i Kentuckiani possano fornire il coraggio necessario a una delle figure politiche nazionali più interessanti degli ultimi anni. Ci saranno altri attentati impulsivi, tweet idioti e gesti autocratici per mettere alla prova il suo coraggio e sfidare il suo onore. Speriamo, per il bene del Vicepresidente Vance e per il nostro, che custodisca i gioielli di famiglia.
Questo articolo è pubblicato nel numero di settembre/ottobre 2025.Iscriviti ora
L’autore
Bill Kauffman
Bill Kauffman è autore di 11 libri, tra cui Dispatches from the Muckdog Gazette e Ain’t My America.
Trump e Hegseth si rivolgono ai generali statunitensi
Stato dell’Unione: I discorsi hanno posto l’accento sulla prontezza militare e sulla criminalità nelle aree urbane.
Il Presidente Donald Trump e il Segretario alla Guerra Pete Hegseth hanno detto a centinaia di alti dirigenti militari che la missione del Dipartimento della Guerra è quella di raggiungere la “pace attraverso la forza” durante un discorso tenuto martedì mattina alla base del Corpo dei Marines a Quantico, in Virginia;
“Da questo momento in poi, l’unica missione del nuovo Dipartimento della Guerra è questa: combattere la guerra, prepararsi alla guerra e prepararsi a vincere, senza sosta e senza compromessi”, ha detto Hegseth in un discorso durante il quale l’ex conduttore di Fox News ha inveito contro la DEI e il cambiamento climatico;
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Trump, che ha seguito Hegseth, ha minacciato di licenziare i generali “sul posto” se non gli piacciono prima di avvertire di un'”invasione dall’interno” durante il suo discorso. Trump ha sottolineato il lavoro delle truppe della Guardia Nazionale a Washington D.C. e ha suggerito che misure simili potrebbero essere utilizzate per affrontare la criminalità in città guidate dai democratici come Chicago, San Francisco e New York.
“Sono luoghi molto insicuri e li raddrizzeremo uno per uno”, ha detto Trump. “E questa sarà una parte importante per alcune delle persone in questa stanza. Anche questa è una guerra. È una guerra dall’interno. Controllare il territorio fisico del nostro confine è essenziale per la sicurezza nazionale. Non possiamo far entrare queste persone”.
Trump ha anche ammesso di aver posizionato almeno un sottomarino nucleare al largo delle coste russe dopo essersi sentito “un po’ minacciato dalla Russia di recente”.
L’autore
Spencer Neale
Spencer Neale è Features Editor di The American Conservative. In precedenza ha lavorato per Citizen Free Press, il Washington Examiner, l’Università di Richmond e la Virginia Commonwealth University.
“Non possono credere quando dicono che la Russia sta per attaccare la NATO. È semplicemente impossibile crederci. Eppure lo stanno facendo credere al loro stesso popolo”.
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22° incontro annuale del Valdai International Discussion Club. 140 partecipanti da 42 Paesi.
Permettetemi di offrire il mio punto di vista su ciò che sta accadendo nel mondo, sul ruolo del nostro Paese in esso e su come vediamo le sue prospettive di sviluppo.
Il Valdai International Discussion Club si è infatti riunito per la 22a edizione del convegno.nde questi incontri sono diventati più di una buona tradizione. Le discussioni sulle piattaforme Valdai offrono un’opportunità unica di valutare la situazione globale in modo imparziale e completo, di rivelare i cambiamenti e di comprenderli.
“La forza sta nella determinazione e nella capacità dei suoi partecipanti di guardare oltre il banale e l’ovvio”.
Senza dubbio, la forza unica del Club risiede nella determinazione e nella capacità dei suoi partecipanti di guardare oltre il banale e l’ovvio. Non si limitano a seguire l’agenda imposta dallo spazio informativo globale, dove Internet dà il suo contributo – sia buono che cattivo, spesso difficile da distinguere – ma pongono le loro domande non convenzionali, offrono la loro visione dei processi in corso, cercando di sollevare il velo che nasconde il futuro. Non è un compito facile, ma spesso viene raggiunto qui a Valdai.
Abbiamo notato più volte che stiamo vivendo in un’epoca in cui tutto sta cambiando, e molto rapidamente; direi addirittura in modo radicale. Naturalmente, nessuno di noi può prevedere completamente il futuro. Tuttavia, questo non ci esime dalla responsabilità di essere preparati ad affrontarlo. Come il tempo e gli eventi recenti hanno dimostrato, dobbiamo essere pronti a tutto. In questi periodi storici, ognuno ha una responsabilità speciale per il proprio destino, per il destino del proprio Paese e per il mondo intero. La posta in gioco oggi è estremamente alta.
Come è stato detto, la relazione del Valdai Club di quest’anno è dedicata a un mondo multipolare e policentrico. Il tema è da tempo all’ordine del giorno, ma ora richiede un’attenzione particolare; su questo punto sono pienamente d’accordo con gli organizzatori. Il multipolarismo, che di fatto è già emerso, sta plasmando il quadro in cui agiscono gli Stati. Vorrei provare a spiegare cosa rende unica la situazione attuale.
In primo luogo, il mondo di oggi offre uno spazio molto più aperto – anzi, si potrebbe dire creativo – per la politica estera. Nulla è predeterminato; gli sviluppi possono prendere direzioni diverse. Molto dipende dalla precisione, dall’accuratezza, dalla coerenza e dalla ponderatezza delle azioni di ciascun partecipante alla comunicazione internazionale. Tuttavia, in questo vasto spazio è anche facile perdersi e perdere l’orientamento, cosa che, come possiamo vedere, accade molto spesso.
In secondo luogo, lo spazio multipolare è altamente dinamico. Come ho detto, i cambiamenti avvengono rapidamente, a volte all’improvviso, quasi da un giorno all’altro. È difficile prepararsi e spesso è impossibile prevederli. Bisogna essere pronti a reagire immediatamente, in tempo reale, come si dice.
In terzo luogo, e di particolare importanza, è il fatto che questo nuovo spazio è più democratico. Apre opportunità e percorsi per un’ampia gamma di attori politici ed economici. Forse mai prima d’ora così tanti Paesi hanno avuto la capacità o l’ambizione di influenzare i processi regionali e globali più significativi.
“Nessuno è disposto a giocare secondo le regole stabilite da qualcun altro, in qualche luogo lontano…”.
Avanti. Le specificità culturali, storiche e civili dei diversi Paesi giocano oggi un ruolo più importante che mai. È necessario cercare punti di contatto e di convergenza di interessi. Nessuno è disposto a giocare secondo le regole stabilite da qualcun altro, da qualche parte lontano – come cantava un chansonnier molto noto nel nostro Paese, “al di là delle nebbie”, o al di là degli oceani, per così dire.
A questo proposito, il quinto punto: qualsiasi decisione è possibile solo sulla base di accordi che soddisfino tutte le parti interessate o la stragrande maggioranza. In caso contrario, non ci sarà alcuna soluzione praticabile, ma solo frasi altisonanti e un infruttuoso gioco di ambizioni. Quindi, per ottenere risultati, l’armonia e l’equilibrio sono essenziali.
Infine, le opportunità e i pericoli di un mondo multipolare sono inseparabili l’uno dall’altro. Naturalmente, l’indebolimento del dettato che ha caratterizzato il periodo precedente e l’espansione della libertà per tutti è innegabilmente uno sviluppo positivo. Allo stesso tempo, in queste condizioni, è molto più difficile trovare e stabilire questo solidissimo equilibrio, che di per sé rappresenta un rischio evidente ed estremo.
La situazione del pianeta, che ho cercato di delineare brevemente, è un fenomeno qualitativamente nuovo. Le relazioni internazionali stanno subendo una trasformazione radicale. Paradossalmente, il multipolarismo è diventato una conseguenza diretta dei tentativi di stabilire e preservare l’egemonia globale, una risposta del sistema internazionale e della storia stessa al desiderio ossessivo di organizzare tutti in un’unica gerarchia, con i Paesi occidentali al vertice. Il fallimento di un simile tentativo era solo questione di tempo, cosa di cui abbiamo sempre parlato, tra l’altro. E per gli standard storici, è avvenuto abbastanza rapidamente.
Trentacinque anni fa, quando il confronto della guerra fredda sembrava terminare, speravamo nell’alba di un’era di autentica cooperazione. Sembrava che non ci fossero più ostacoli ideologici o di altro tipo che potessero impedire la risoluzione congiunta dei problemi comuni all’umanità o la regolazione e la risoluzione delle inevitabili controversie e dei conflitti sulla base del rispetto reciproco e della considerazione degli interessi di ciascuno.
“Il nostro Paese… ha dichiarato due volte di essere pronto ad aderire alla NATO”.
Permettetemi una breve digressione storica. Il nostro Paese, cercando di eliminare i motivi di scontro tra blocchi e di creare uno spazio comune di sicurezza, ha dichiarato per ben due volte la propria disponibilità ad aderire alla NATO. Inizialmente nel 1954, durante l’era sovietica. La seconda volta è stata durante la visita del Presidente degli Stati Uniti Bill Clinton a Mosca nel 2000 – ne ho già parlato – quando abbiamo discusso con lui anche di questo argomento.
In entrambe le occasioni, abbiamo ricevuto un netto rifiuto. Lo ripeto: eravamo pronti a un lavoro comune, a passi non lineari nella sfera della sicurezza e della stabilità globale. Ma i nostri colleghi occidentali non erano disposti a liberarsi dalle catene degli stereotipi geopolitici e storici, da una visione semplificata e schematica del mondo.
Ne ho parlato pubblicamente anche quando ne ho discusso con il signor Clinton, con il Presidente Clinton. Lui ha detto: “Sai, è interessante. Penso che sia possibile”. E poi la sera ha detto: “Mi sono consultato con i miei collaboratori: non è fattibile, non è fattibile adesso”. “Quando sarà fattibile?”. E così è stato, tutto è scivolato via.
In breve, avevamo una vera e propria possibilità di spostare le relazioni internazionali in una direzione diversa e più positiva. Ma, ahimè, ha prevalso un approccio diverso. I Paesi occidentali hanno ceduto alla tentazione del potere assoluto. Si trattava di una tentazione potente, e resistere ad essa avrebbe richiesto una visione storica e un buon background, intellettuale e storico. Sembra che coloro che presero le decisioni all’epoca non avessero entrambe le cose.
“Non c’è mai stata, né mai ci sarà, una forza capace di governare il mondo”.
In effetti, la potenza degli Stati Uniti e dei suoi alleati ha raggiunto il suo apice alla fine degli anni ’20, quando il governo americano ha deciso di non fare più nulla.thsecolo. Ma non c’è mai stata, né mai ci sarà, una forza capace di governare il mondo, di imporre a tutti come agire, come vivere, persino come respirare. Tentativi del genere sono stati fatti, ma tutti sono falliti.
Tuttavia, dobbiamo riconoscere che molti hanno trovato il cosiddetto ordine mondiale liberale accettabile e persino conveniente. È vero, una gerarchia limita fortemente le opportunità per chi non è in cima alla piramide o, se preferite, in cima alla catena alimentare. Ma chi si trovava in basso era sollevato dalle responsabilità: le regole erano semplici: accettare le condizioni, inserirsi nel sistema, ricevere la propria parte, per quanto modesta, e accontentarsi. Altri avrebbero pensato e deciso per te.
E a prescindere da ciò che si dice ora, da come si cerca di mascherare la realtà, le cose sono andate così. Gli esperti qui riuniti lo ricordano e lo capiscono perfettamente.
Alcuni, nella loro arroganza, si consideravano autorizzati a dare lezioni al resto del mondo. Altri si accontentavano di stare al gioco dei potenti come obbedienti merce di scambio, desiderosi di evitare problemi inutili in cambio di un bonus modesto ma garantito. Ci sono ancora molti politici di questo tipo nella vecchia parte del mondo, in Europa.
Coloro che hanno osato opporsi e hanno cercato di difendere i propri interessi, diritti e punti di vista, nel migliore dei casi sono stati liquidati come eccentrici e gli è stato detto, in effetti: “Non avrete successo, quindi arrendetevi e accettate il fatto che, rispetto al nostro potere, siete una nullità”. Quanto ai veri testardi, venivano “educati” dagli autoproclamati leader globali, che non si preoccupavano più di nascondere le loro intenzioni. Il messaggio era chiaro: la resistenza era inutile.
Ma questo non ha portato nulla di buono. Non è stato risolto un solo problema globale. Al contrario, se ne moltiplicano continuamente di nuovi. Le istituzioni di governance globale create in un’epoca precedente hanno smesso di funzionare o hanno perso gran parte della loro efficacia. E per quanto uno Stato, o addirittura un gruppo di Stati, possa accumulare forza e risorse, il potere ha sempre dei limiti.
“Non c’è niente di meglio di un piede di porco, se non un altro piede di porco…”.
Come il pubblico russo sa, in Russia esiste un detto: “Non c’è niente di meglio di un piede di porco, se non un altro piede di porco”, cioè non si porta un coltello in uno scontro a fuoco, ma un’altra pistola. E in effetti, quell'”altra pistola” si può sempre trovare. Questa è l’essenza stessa degli affari mondiali: emerge sempre una controforza. E i tentativi di controllare tutto generano inevitabilmente tensioni, minando la stabilità in patria e spingendo la gente comune a porre una domanda molto giusta ai propri governi: “Perché abbiamo bisogno di tutto questo?”.
Una volta ho sentito qualcosa di simile dai nostri colleghi americani, che hanno detto: “Abbiamo guadagnato il mondo intero, ma abbiamo perso l’America”. Posso solo chiedere: ne è valsa la pena? E avete davvero guadagnato qualcosa?
È emerso un chiaro rifiuto delle ambizioni eccessive dell’élite politica delle principali nazioni dell’Europa occidentale, che sta crescendo tra le società di quei Paesi. Il barometro dell’opinione pubblica lo indica in modo trasversale. L’establishment non vuole cedere il potere, osa ingannare direttamente i propri cittadini, inasprisce la situazione a livello internazionale, ricorre a ogni sorta di trucco all’interno dei propri Paesi – sempre più ai margini della legge o addirittura al di là di essa.
Tuttavia, trasformare continuamente le procedure democratiche ed elettorali in una farsa e manipolare la volontà dei popoli non funzionerà. Come è successo in Romania, per esempio, ma non entriamo nei dettagli. Questo sta accadendo in molti Paesi. In alcuni di essi, le autorità stanno cercando di mettere al bando i loro avversari politici che stanno ottenendo una maggiore legittimità e una maggiore fiducia da parte degli elettori. Lo sappiamo dalla nostra esperienza nell’Unione Sovietica. Ricordate le canzoni di Vladimir Vysotsky: “Anche la parata militare è stata cancellata! Presto metteranno al bando tutto e tutti!”. Ma non funziona, i divieti non funzionano.
Nel frattempo, la volontà del popolo, la volontà dei cittadini di quei Paesi è chiara e semplice: lasciare che i leader dei Paesi si occupino dei problemi dei cittadini, si occupino della loro sicurezza e della qualità della vita, e non inseguano chimere. Gli Stati Uniti, dove le richieste dei cittadini hanno portato a un cambiamento sufficientemente radicale del vettore politico, sono un caso emblematico. E possiamo dire che gli esempi sono noti per essere contagiosi per altri Paesi.
La subordinazione della maggioranza alla minoranza, insita nelle relazioni internazionali durante il periodo di dominazione occidentale, sta lasciando il posto a un approccio multilaterale e più cooperativo. Si basa su accordi tra i protagonisti e sulla considerazione degli interessi di tutti. Questo non garantisce certo l’armonia e l’assenza assoluta di conflitti. Gli interessi dei Paesi non si sovrappongono mai completamente e l’intera storia delle relazioni internazionali è, ovviamente, una lotta per raggiungerli.
Tuttavia, l’atmosfera globale fondamentalmente nuova, in cui il tono è sempre più imposto dai Paesi della Maggioranza Globale, promette che tutti gli attori dovranno in qualche modo tenere conto degli interessi reciproci quando cercano soluzioni alle questioni regionali e globali. Dopo tutto, nessuno può raggiungere i propri obiettivi da solo, isolandosi dagli altri. Nonostante l’escalation dei conflitti, la crisi del precedente modello di globalizzazione e la frammentazione dell’economia globale, il mondo rimane integro, interconnesso e interdipendente.
Lo sappiamo per esperienza diretta. Sapete quanti sforzi hanno fatto i nostri avversari negli ultimi anni per, diciamolo chiaramente, spingere la Russia fuori dal sistema globale e portarci all’isolamento politico, culturale, informativo e all’autarchia economica. Per numero e portata delle misure punitive che ci sono state imposte, e che loro chiamano vergognosamente “sanzioni”, la Russia è diventata il detentore del record assoluto nella storia del mondo: 30.000, o forse più, restrizioni di ogni tipo immaginabile.
E allora? Hanno raggiunto il loro obiettivo? Credo sia superfluo dirlo per tutti i presenti: questi sforzi sono completamente falliti. La Russia ha dimostrato al mondo il più alto grado di resilienza, la capacità di resistere alle più potenti pressioni esterne che avrebbero potuto spezzare non solo un Paese ma un’intera coalizione di Stati.E a questo proposito, proviamo un legittimo orgoglio. Orgoglio per la Russia, per i nostri cittadini e per le nostre Forze Armate.
“Lo stesso sistema globale da cui volevano espellerci si rifiuta di lasciare andare la Russia”.
Ma vorrei parlare di qualcosa di più profondo. È emerso che lo stesso sistema globale da cui volevano espellerci si rifiuta di lasciare andare la Russia. Perché ha bisogno della Russia come parte essenziale dell’equilibrio globale: non solo per il nostro territorio, la nostra popolazione, la nostra difesa, il nostro potenziale tecnologico e industriale o la nostra ricchezza mineraria – anche se, ovviamente, tutti questi sono fattori di importanza critica.
Ma soprattutto, l’equilibrio globale non può essere costruito senza la Russia: né quello economico, né quello strategico, né quello culturale o logistico. Non c’è proprio nulla. Credo che coloro che hanno cercato di distruggere tutto questo abbiano cominciato a rendersene conto. Alcuni, tuttavia, cercano ancora ostinatamente di raggiungere il loro obiettivo: infliggere alla Russia, come dicono, una “sconfitta strategica”.
Se non riescono a capire che questo piano è destinato a fallire e persistono, spero che la vita stessa dia una lezione anche ai più ostinati. Hanno fatto molto rumore molte volte, minacciandoci di un blocco totale. Hanno persino detto apertamente, senza esitazione, che vogliono far soffrire il popolo russo. Questa è la parola che hanno scelto. Hanno elaborato piani, uno più fantasioso dell’altro. Credo che sia giunto il momento di calmarsi, di guardarsi intorno, di orientarsi e di iniziare a costruire relazioni in modo completamente diverso.
Siamo anche consapevoli che il mondo policentrico è altamente dinamico. Appare fragile e instabile perché è impossibile fissare in modo permanente lo stato delle cose o determinare l’equilibrio di potere a lungo termine. Dopo tutto, i partecipanti a questi processi sono molti e le loro forze sono asimmetriche e complesse. Ognuno ha i suoi aspetti vantaggiosi e i suoi punti di forza competitivi, che in ogni caso creano una combinazione e una composizione unica.
Il mondo di oggi è un sistema eccezionalmente complesso e sfaccettato. Per descriverlo e comprenderlo adeguatamente, le semplici leggi della logica, le relazioni di causa-effetto e i modelli che ne derivano sono insufficienti. È necessaria una filosofia della complessità, qualcosa di simile alla meccanica quantistica, che è più saggia e, per certi versi, più complessa della fisica classica.
Eppure è proprio a causa di questa complessità del mondo che la capacità complessiva di accordo, a mio avviso, tende comunque ad aumentare. Dopo tutto, le soluzioni unilaterali lineari sono impossibili, mentre le soluzioni non lineari e multilaterali richiedono una diplomazia molto seria, professionale, imparziale, creativa e a volte non convenzionale.
“Sono convinto che assisteremo… a una rinascita dell’alta arte diplomatica”.
Sono quindi convinto che assisteremo a una sorta di rinascimento, una rinascita dell’alta arte diplomatica. La sua essenza risiede nella capacità di dialogare e raggiungere accordi, sia con i vicini e i partner affini, sia – cosa non meno importante ma più impegnativa – con gli avversari.
È proprio in questo spirito – lo spirito di 21stdiplomazia del secolo – che si stanno sviluppando nuove istituzioni. Queste includono la comunità dei BRICS, in espansione, le organizzazioni di grandi regioni come l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, le organizzazioni eurasiatiche e le associazioni regionali più compatte ma non meno importanti. Molti gruppi di questo tipo stanno emergendo in tutto il mondo: non li elencherò tutti, perché li conoscete già.
Tutte queste nuove strutture sono diverse, ma sono accomunate da una qualità fondamentale: non operano secondo il principio della gerarchia o della subordinazione a un unico potere dominante. Non sono contro nessuno, sono per se stessi. Lo ribadisco: il mondo moderno ha bisogno di accordi, non dell’imposizione della volontà di qualcuno. L’egemonia – di qualsiasi tipo – semplicemente non può e non vuole affrontare la portata delle sfide.
Il video e il doppiaggio del Guardian sono qui sotto.
Il gigantesco discorso di Putin a Valdai (parte 2)
“Non possono credere quando dicono che la Russia sta per attaccare la NATO. È semplicemente impossibile crederci. Eppure lo stanno facendo credere al loro stesso popolo”.
Leggi Parte 1 qui, oppure continuare con la parte 2 qui sotto…
Garantire la sicurezza internazionale in queste circostanze è una questione estremamente urgente che presenta molte variabili. Il numero crescente di attori con obiettivi, culture politiche e tradizioni diverse crea un ambiente globale complesso che rende lo sviluppo di approcci per garantire la sicurezza un compito molto più intricato e difficile da affrontare. Allo stesso tempo, si aprono nuove opportunità per tutti noi.
“[L’Europa] vuole superare le divisioni e puntellare la traballante unità di cui si vantava un tempo, non affrontando efficacemente le questioni interne, ma gonfiando l’immagine di un nemico”.
Le ambizioni di blocco pre-programmate per esacerbare il confronto sono diventate, senza dubbio, un anacronismo senza senso. Vediamo, ad esempio, con quanta diligenza i nostri vicini europei cercano di ricucire e intonacare le crepe che attraversano la costruzione europea. Eppure, vogliono superare le divisioni e puntellare la traballante unità di cui un tempo si vantavano, non affrontando efficacemente le questioni interne, ma gonfiando l’immagine di un nemico. È un vecchio trucco, ma il punto è che la gente di quei Paesi vede e capisce tutto. Ecco perché scendono in piazza nonostante l’escalation esterna e la continua ricerca di un nemico, come ho detto prima.
Stanno ricreando l’immagine di un vecchio nemico, quello che hanno creato secoli fa, ovvero la Russia. La maggior parte dei cittadini europei fatica a capire perché dovrebbero avere così tanta paura della Russia da dover stringere ancora di più la cinghia, abbandonare i propri interessi e perseguire politiche chiaramente dannose per se stessi. Eppure, le élite al potere dell’Europa unita continuano a fomentare l’isteria. Sostengono che la guerra con i russi è quasi alle porte. Ripetono questa assurdità, questo mantra, in continuazione.
Francamente, quando a volte osservo e ascolto ciò che dicono, penso che non possano assolutamente crederci. Non possono credere quando dicono che la Russia sta per attaccare la NATO. È semplicemente impossibile crederci. Eppure lo fanno credere al loro stesso popolo. Quindi, che tipo di persone sono?O sono del tutto incompetenti, se ci credono davvero, perché credere a una simile assurdità è semplicemente inconcepibile, o semplicemente disonesti, perché non ci credono loro stessi ma cercano di convincere i loro cittadini che è vero. Quali altre opzioni ci sono?
Francamente, sono tentato di dire: calmatevi, dormite tranquilli e occupatevi dei vostri problemi. Guardate cosa succede nelle strade delle città europee, cosa succede all’economia, all’industria, alla cultura e all’identità europea, ai debiti enormi e alla crescente crisi dei sistemi di sicurezza sociale, all’immigrazione incontrollata e alla violenza dilagante, anche politica, alla radicalizzazione di gruppi di sinistra, ultraliberali, razzisti e altri gruppi marginali.
Prendete nota di come l’Europa stia scivolando verso la periferia della competizione globale. Sappiamo benissimo quanto siano infondate le minacce sui cosiddetti piani aggressivi della Russia con cui l’Europa si spaventa. Ne ho appena parlato. Ma l’autosuggestione è una cosa pericolosa. E non possiamo ignorare ciò che sta accadendo; non abbiamo il diritto di farlo, per il bene della nostra sicurezza, per ribadire, per il bene della nostra difesa e sicurezza.
Ecco perché stiamo monitorando da vicino la crescente militarizzazione dell’Europa. È solo retorica o è arrivato il momento di rispondere? Abbiamo sentito, e anche lei ne è a conoscenza, che la Repubblica Federale Tedesca dice che il suo esercito deve tornare a essere il più forte d’Europa. Bene, ascoltiamo con attenzione e seguiamo tutto per capire cosa si intende esattamente.
Credo che nessuno abbia dubbi sul fatto che la risposta della Russia non tarderà ad arrivare. Per usare un eufemismo, la risposta a queste minacce sarà molto convincente. E sarà una risposta – noi stessi non abbiamo mai avviato un confronto militare. È insensato, inutile e semplicemente assurdo; distrae dai problemi e dalle sfide reali. Prima o poi, le società chiederanno inevitabilmente conto ai loro leader e alle loro élite di aver ignorato le loro speranze, aspirazioni e necessità.
“La nostra storia ha dimostrato che la debolezza è inaccettabile, perché crea tentazioni… La Russia non mostrerà mai debolezza o indecisione.
Tuttavia, se qualcuno è ancora tentato di sfidarci militarmente – come diciamo in Russia, la libertà è per i liberi – che ci provi. La Russia ha dimostrato più volte che quando si presentano minacce alla nostra sicurezza, alla pace e alla tranquillità dei nostri cittadini, alla nostra sovranità e alle fondamenta stesse del nostro Stato, rispondiamo prontamente.
Non c’è bisogno di provocare. Non c’è stato un solo caso in cui ciò sia finito bene per il provocatore. E non bisogna aspettarsi eccezioni in futuro: non ce ne saranno.
La nostra storia ha dimostrato che la debolezza è inaccettabile, perché crea la tentazione – l’illusione che si possa usare la forza per risolvere qualsiasi questione con noi. La Russia non mostrerà mai debolezza o indecisione. Che se lo ricordino coloro che si risentono del fatto stesso della nostra esistenza, coloro che coltivano il sogno di infliggerci questa cosiddetta sconfitta strategica. Tra l’altro, molti di coloro che hanno parlato attivamente di questo, come diciamo in Russia, “alcuni non sono più qui, altri sono lontani”. Dove sono ora queste figure?
Ci sono così tanti problemi oggettivi nel mondo – derivanti da fattori naturali, tecnologici o sociali – che spendere energie e risorse in contraddizioni artificiali, spesso inventate, è inammissibile, dispendioso e semplicemente sciocco.
La sicurezza internazionale è diventata un fenomeno talmente sfaccettato e indivisibile che nessuna divisione geopolitica basata sui valori può dividerlo. Solo un lavoro meticoloso e completo, che coinvolga diversi partner e che si basi su approcci creativi, può risolvere le complesse equazioni di 21st-sicurezza del secolo. In questo quadro, non ci sono elementi più o meno importanti o cruciali: tutto deve essere affrontato in modo olistico.
Il nostro Paese ha sempre sostenuto – e continua a sostenere – il principio della sicurezza indivisibile. L’ho detto molte volte: la sicurezza di alcuni non può essere garantita a spese di altri. Altrimenti, non c’è sicurezza per nessuno. L’affermazione di questo principio si è rivelata fallimentare. L’euforia e la sete incontrollata di potere di coloro che si consideravano vincitori dopo la Guerra Fredda – come ho ripetutamente affermato – hanno portato a tentare di imporre a tutti nozioni unilaterali e soggettive di sicurezza.
Questa, infatti, è diventata la vera causa scatenante non solo del conflitto ucraino, ma anche di molte altre crisi acute della fine del XX secolo.th secolo e il primo decennio del 21stsecolo. Di conseguenza – proprio come avevamo avvertito – oggi nessuno si sente veramente sicuro. È ora di tornare ai fondamentali e correggere gli errori del passato.
Tuttavia, la sicurezza indivisibile oggi, rispetto alla fine degli anni ’80 e all’inizio degli anni ’90, è un fenomeno ancora più complesso. Non si tratta più solo di equilibrio militare e politico e di considerazioni di interesse reciproco.
La sicurezza dell’umanità dipende dalla sua capacità di rispondere alle sfide poste da disastri naturali, catastrofi provocate dall’uomo, sviluppo tecnologico e rapidi processi sociali, demografici e informativi.
Tutto questo è interconnesso e i cambiamenti avvengono in gran parte da soli, spesso, l’ho già detto, in modo imprevedibile, seguendo la propria logica e le proprie regole interne, e a volte, oserei dire, anche al di là della volontà e delle aspettative della gente.
L’umanità rischia di diventare superflua in questa situazione, solo un osservatore di processi che non sarà mai in grado di controllare. Che cos’è questa se non una sfida a livello di sistema per tutti noi e un’opportunità per tutti noi di lavorare insieme in modo costruttivo?
Non ci sono risposte pronte, ma credo che la soluzione alle sfide globali richieda, in primo luogo, un approccio libero da pregiudizi ideologici e pathos didattico, del tipo “Ora vi dico cosa fare”. In secondo luogo, è importante capire che si tratta di una questione veramente comune e indivisibile che richiede sforzi congiunti da parte di tutti i Paesi e le nazioni.
Ogni cultura e civiltà deve dare il suo contributo perché, ripeto, nessuno conosce la risposta giusta separatamente. Essa può nascere solo attraverso una ricerca costruttiva comune, unendo – e non separando – gli sforzi e le esperienze nazionali dei vari Paesi.
Lo ripeto ancora una volta: i conflitti e le collisioni di interessi ci sono stati e, ovviamente, ci saranno sempre – la questione è come risolverli. Un mondo policentrico, come ho già detto oggi, è un ritorno alla diplomazia classica, quando la composizione richiede attenzione, rispetto reciproco ma non coercizione.
La diplomazia classica era in grado di tenere conto delle posizioni dei diversi attori internazionali, della complessità del “concerto” composto dalle voci delle diverse potenze. Tuttavia, a un certo punto è stata sostituita dalla diplomazia di tipo occidentale, fatta di monologhi, prediche infinite e ordini. Invece di risolvere i conflitti, alcune parti hanno iniziato a far valere i propri interessi egoistici, considerando gli interessi di tutti gli altri indegni di attenzione.
Non c’è da stupirsi se, invece di trovare una soluzione, i conflitti si sono ulteriormente inaspriti fino a passare a una sanguinosa fase armata che ha portato a un disastro umanitario. Agire in questo modo significa non riuscire a risolvere alcun conflitto. Gli esempi degli ultimi 30 anni sono innumerevoli.
“Il conflitto israelo-palestinese non può essere risolto seguendo la sbilenca diplomazia occidentale che ignora grossolanamente la storia… e la cultura dei popoli che vi abitano”.
Uno di questi è il conflitto palestinese-israeliano, che non può essere risolto seguendo le ricette della sbilenca diplomazia occidentale che ignora grossolanamente la storia, le tradizioni, l’identità e la cultura dei popoli che vi abitano. Né aiuta a stabilizzare la situazione del Medio Oriente in generale che, al contrario, si sta rapidamente degradando. Ora stiamo conoscendo più nel dettaglio le iniziative del Presidente Trump. Mi sembra che in questo caso possa ancora apparire una luce alla fine del tunnel.
Anche la tragedia dell’Ucraina è un esempio orribile. È un dolore per ucraini e russi, per tutti noi. Le ragioni del conflitto ucraino sono note a chiunque si sia preso la briga di approfondire i retroscena dell’attuale fase più acuta. Non le ripercorrerò. Sono certo che tutti i presenti sono ben consapevoli di queste ragioni e della mia posizione in merito, che ho espresso più volte.
Si sa bene anche un’altra cosa. Coloro che hanno incoraggiato, incitato e armato l’Ucraina, che l’hanno spinta ad inimicarsi la Russia, che per decenni hanno alimentato un nazionalismo dilagante e neonazismoin quel Paese, francamente – scusate la franchezza – non gliene frega niente degli interessi della Russia o, se è per questo, dell’Ucraina. Non provano nulla per il popolo ucraino. Per loro – globalisti ed espansionisti in Occidente e i loro tirapiedi a Kiev – sono materiale sacrificabile. I risultati di questo avventurismo sconsiderato sono sotto gli occhi di tutti e non c’è nulla da discutere.
Sorge un’altra domanda: sarebbe potuta andare diversamente? Lo sappiamo anche noi, e torno a ciò che ha detto una volta il presidente Trump. Ha detto che se fosse stato in carica all’epoca, tutto questo si sarebbe potuto evitare. Sono d’accordo. In effetti, si sarebbe potuto evitare se il nostro lavoro con l’amministrazione Biden fosse stato organizzato in modo diverso; se l’Ucraina non fosse stata trasformata in un’arma distruttiva nelle mani di qualcun altro; se la NATO non fosse stata usata a questo scopo mentre avanzava verso i nostri confini; e se l’Ucraina avesse infine conservato la sua indipendenza, la sua vera sovranità.
C’è un’altra domanda. Come si sarebbero dovute risolvere le questioni bilaterali russo-ucraine, risultato naturale della disgregazione di un vasto Paese e di complesse trasformazioni geopolitiche? Tra l’altro, credo che la dissoluzione dell’Unione Sovietica fosse legata alla posizione dell’allora leadership russa, che cercava di liberarsi dal confronto ideologico nella speranza che ora, scomparso il comunismo, saremmo stati fratelli. Non è seguito nulla di simile. Entrarono in gioco altri fattori, sotto forma di interessi geopolitici. Si scoprì che le differenze ideologiche non erano il vero problema.
Come risolvere questi problemi in un mondo policentrico? Come sarebbe stata affrontata la situazione in Ucraina? Penso che se ci fosse stato il multipolarismo, i diversi poli avrebbero provato il conflitto ucraino, per così dire, su misura. Lo avrebbero misurato con i loro potenziali focolai di tensione e fratture nelle proprie regioni. In questo caso, una soluzione collettiva sarebbe stata molto più responsabile ed equilibrata.
L’accordo si sarebbe basato sulla comprensione del fatto che tutti i partecipanti a questa difficile situazione hanno i propri interessi fondati su circostanze oggettive e soggettive che non possono essere ignorate. Il desiderio di tutti i Paesi di garantire sicurezza e progresso è legittimo. Senza dubbio, questo vale per l’Ucraina, la Russia e tutti i nostri vicini. I Paesi della regione dovrebbero avere la voce principale nella definizione di un sistema regionale. Hanno le maggiori possibilità di concordare un modello di interazione accettabile per tutti, perché la questione li riguarda direttamente. Rappresenta il loro interesse vitale.
Per altri Paesi, la situazione in Ucraina è solo una carta da giocare in un gioco diverso, molto più grande, un gioco tutto loro, che di solito ha poco a che fare con i problemi reali dei Paesi coinvolti, compreso questo in particolare. È solo una scusa e un mezzo per raggiungere i loro obiettivi geopolitici, per espandere la loro area di controllo e per fare soldi con la guerra. È per questo che hanno portato le infrastrutture della NATO proprio davanti alla nostra porta di casa, e per anni hanno guardato con aria di sufficienza alla tragedia del Donbass, e a quello che è stato essenzialmente un genocidio e uno sterminio del popolo russo nella nostra stessa terra storica, un processo iniziato nel 2014 sulla scia di un sanguinoso colpo di stato in Ucraina..
In contrasto con la condotta dimostrata dall’Europa e, fino a poco tempo fa, dagli Stati Uniti sotto la precedente amministrazione, ci sono le azioni dei Paesi appartenenti alla maggioranza globale. Essi rifiutano di schierarsi e si impegnano sinceramente per contribuire a stabilire una pace giusta. Siamo grati a tutti gli Stati che negli ultimi anni si sono sinceramente impegnati per trovare una via d’uscita alla situazione. Tra questi ci sono i nostri partner, i fondatori dei BRICS: Cina, India, Brasile e Sudafrica. Tra questi anche la Bielorussia e, per inciso, la Corea del Nord. Sono i nostri amici nel mondo arabo e islamico – soprattutto Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Egitto, Turchia e Iran. In Europa, questi includono la Serbia, l’Ungheria e la Slovacchia. E ci sono molti Paesi di questo tipo in Africa e in America Latina.
Purtroppo le ostilità non sono ancora cessate. Tuttavia, la responsabilità non è della maggioranza, che non è riuscita a fermarle, ma della minoranza, in primo luogo l’Europa, che continua a inasprire il conflitto e, a mio avviso, oggi non si intravede nemmeno un altro obiettivo. Tuttavia, credo che la buona volontà prevarrà e, a questo proposito, non c’è il minimo dubbio: credo che anche in Ucraina si stiano verificando dei cambiamenti, anche se gradualmente – lo vediamo. Per quanto le menti delle persone possano essere state manipolate, si stanno comunque verificando dei cambiamenti nella coscienza pubblica e nella stragrande maggioranza delle nazioni del mondo.
In effetti, il fenomeno della maggioranza globale è un nuovo sviluppo negli affari internazionali. Vorrei spendere qualche parola anche su questo tema. Qual è la sua essenza? La stragrande maggioranza degli Stati del mondo è orientata a perseguire i propri interessi civili, primo fra tutti il proprio sviluppo equilibrato e progressivo. Questo sembrerebbe naturale – è sempre stato così. Ma nelle epoche precedenti, la comprensione di questi stessi interessi è stata spesso distorta da ambizioni malsane, egoismi e dall’influenza dell’ideologia espansionistica.
Oggi la maggior parte dei Paesi e dei popoli – proprio questa maggioranza globale – riconosce i propri veri interessi. E aggiungo che, nel promuovere e sostenere i propri interessi, sono pronti a lavorare con i partner, trasformando così le relazioni internazionali, la diplomazia e l’integrazione in fonti di crescita, progresso e sviluppo. Le relazioni all’interno della maggioranza globale rappresentano un prototipo di pratiche politiche essenziali ed efficaci in un mondo policentrico.
Si tratta di pragmatismo e realismo: il rifiuto della filosofia dei blocchi, l’assenza di obblighi rigidi imposti dall’esterno o di modelli che prevedano partner senior e junior. Infine, è la capacità di conciliare interessi che raramente si allineano completamente, ma che raramente si contraddicono in modo sostanziale. L’assenza di antagonismo diventa il principio guida.
Una nuova ondata di decolonizzazione sta sorgendo ora, poiché le ex colonie stanno acquisendo, oltre alla statualità, anche la sovranità politica, economica, culturale e di prospettiva.
“Finora non c’è niente di meglio dell’ONU, e dobbiamo ammetterlo”.
Un’altra data è importante a questo proposito. Abbiamo recentemente celebrato l’80° anniversario dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Non si tratta solo di un’organizzazione politica universale e la più rappresentativa del mondo, ma anche di un simbolo dello spirito di cooperazione, di alleanza e persino di fratellanza combattiva, che nella prima metà del secolo scorso ci ha aiutato a unire le forze nella lotta contro il peggior male della storia – una spietata macchina di sterminio e schiavitù.
Il ruolo decisivo nella nostra vittoria comune sul nazismo, di cui siamo orgogliosi, è stato svolto ovviamente dall’Unione Sovietica. Uno sguardo al numero di vittime per ogni membro della coalizione anti-Hitler lo dimostra chiaramente.
L’ONU è l’eredità della vittoria nella Seconda Guerra Mondiale e, finora, l’esperienza più riuscita di creazione di un’organizzazione internazionale volta a risolvere gli attuali problemi globali.
Oggi si dice spesso che il sistema delle Nazioni Unite è paralizzato e sta attraversando una crisi. È diventato un luogo comune. Alcuni sostengono addirittura che abbia superato se stesso e che dovrebbe essere riformato radicalmente, come minimo. Certo, ci sono molte, moltissime carenze nelle operazioni delle Nazioni Unite. Tuttavia, non c’è nulla di meglio dell’ONU finora, e dobbiamo ammetterlo.
In realtà, il problema non è l’ONU, che ha un grande potenziale. Il problema sta nel modo in cui noi, nazioni unite che sono state disunite, stiamo usando questo potenziale.
Non c’è dubbio che le Nazioni Unite debbano affrontare delle sfide. Come qualsiasi altra organizzazione, deve adattarsi alle realtà in continua evoluzione. Tuttavia, è estremamente importante preservare l’essenza fondamentale dell’ONU durante la sua riforma e il suo aggiornamento, non solo l’essenza che era incorporata al suo inizio, ma anche l’essenza che ha acquisito nel complicato processo del suo sviluppo.
A questo proposito, vale la pena ricordare che il numero di Stati membri delle Nazioni Unite è quasi quadruplicato dal 1945. Negli ultimi decenni, l’organizzazione nata su iniziativa di alcuni grandi Paesi non si è limitata ad espandersi, ma ha anche assorbito molte culture e tradizioni politiche diverse, acquisendo diversità e diventando una struttura realmente multipolare molto prima che il mondo lo diventasse. Il potenziale del sistema delle Nazioni Unite ha solo iniziato a dispiegarsi e sono fiducioso che questo processo si completerà molto rapidamente nella nuova era nascente.
In altre parole, i Paesi della Maggioranza Globale costituiscono ora una maggioranza schiacciante all’interno dell’ONU, e la sua struttura e i suoi organi di governo dovrebbero quindi essere adattati a questo fatto, che sarà anche molto più in linea con i principi fondamentali della democrazia.
Non lo nego: oggi non c’è consenso su come il mondo debba essere organizzato, su quali principi debba poggiare negli anni e nei decenni a venire. Siamo entrati in un lungo periodo di ricerca, che spesso si muove per tentativi ed errori. Quando un nuovo sistema stabile prenderà finalmente forma – e quale sarà la sua struttura – rimane sconosciuto. Dobbiamo essere pronti al fatto che, per un periodo di tempo considerevole, lo sviluppo sociale, politico ed economico sarà imprevedibile, a volte persino turbolento.
Per mantenere la rotta e non perdere l’orientamento, tutti hanno bisogno di una base solida. A nostro avviso, questa base è costituita soprattutto dai valori maturati nei secoli all’interno delle culture nazionali. Cultura e storia, norme etiche e religiose, geografia e spazio: sono questi gli elementi chiave che danno forma a civiltà e comunità durature. Essi definiscono l’identità, i valori e le tradizioni nazionali, fornendo la bussola che ci aiuta a resistere alle tempeste della vita internazionale.
Le tradizioni sono sempre uniche; ogni nazione ha le sue. Il rispetto delle tradizioni è la prima e più importante condizione per relazioni internazionali stabili e per risolvere le sfide emergenti.
Il mondo ha già vissuto tentativi di unificazione, di imposizione di modelli cosiddetti universali che si sono scontrati con le tradizioni culturali ed etiche della maggior parte dei popoli. Una volta l’Unione Sovietica ha commesso questo errore imponendo il suo sistema politico – lo sappiamo e, francamente, non credo che qualcuno possa contestarlo. In seguito gli Stati Uniti hanno raccolto il testimone e anche l’Europa ci ha provato. In entrambi i casi, il tentativo è fallito. Ciò che è superficiale, artificiale, imposto dall’esterno non può durare. E chi rispetta le proprie tradizioni, di norma, non invade quelle degli altri.
Oggi, in un contesto di instabilità internazionale, si attribuisce particolare importanza alle fondamenta dello sviluppo di ogni nazione: quelle che non dipendono dalle turbolenze esterne. Vediamo paesi e popoli che si rivolgono a queste radici. E questo accade non solo nella Maggioranza Globale, ma anche nelle società occidentali. Quando ognuno si concentra sul proprio sviluppo senza inseguire inutili ambizioni, diventa molto più facile trovare un terreno comune con gli altri.
Come esempio, possiamo guardare alla recente esperienza di interazione tra Russia e Stati Uniti. Come sapete, i nostri Paesi hanno molti disaccordi; le nostre opinioni su molti problemi del mondo sono diverse. Ma questo non è niente di strano per le grandi potenze, anzi è assolutamente naturale. Ciò che conta è il modo in cui risolviamo queste divergenze, e se riusciamo a risolverle in modo pacifico.
L’attuale amministrazione della Casa Bianca è molto diretta nei suoi interessi, dichiarando ciò che vuole in modo diretto – a volte anche senza mezzi termini, come sicuramente converrete – ma senza inutili ipocrisie. È sempre preferibile essere chiari su ciò che l’altra parte vuole e su ciò che sta cercando di ottenere. È meglio che cercare di indovinare il vero significato dietro una lunga serie di equivoci, linguaggio ambiguo e accenni vaghi.
Possiamo vedere che l’attuale amministrazione statunitense è guidata principalmente dai propri interessi nazionali – così come li intende. E credo che questo sia un approccio razionale.
Ma poi, se volete scusarmi, la Russia ha anche il diritto di essere guidata dai propri interessi nazionali. Uno dei quali, tra l’altro, è il ripristino di relazioni a pieno titolo con gli Stati Uniti. A prescindere dai nostri disaccordi, se due parti si trattano con rispetto, i loro negoziati – anche quelli più impegnativi e ostinati – saranno comunque finalizzati a trovare un terreno comune. E questo significa che alla fine si possono raggiungere soluzioni reciprocamente accettabili.
Il multipolarismo e il policentrismo non sono solo concetti, ma una realtà che è destinata a rimanere. La tempestività e l’efficacia con cui riusciremo a costruire un sistema mondiale sostenibile all’interno di questo quadro dipende ora da ciascuno di noi. Questo nuovo ordine internazionale, questo nuovo modello, può essere costruito solo attraverso sforzi universali, un’impresa collettiva a cui tutti partecipano. Voglio essere chiaro: l’epoca in cui un gruppo ristretto di potenze più forti poteva decidere per il resto del mondo è finita, ed è finita per sempre.
Questo è un punto ricordato soprattutto da coloro che provano nostalgia per l’epoca coloniale, quando era comune dividere i popoli in quelli che erano uguali e quelli che erano, per usare la famosa frase di Orwell, “più uguali degli altri”. Conosciamo tutti questa citazione.
La Russia non ha mai sostenuto questa teoria razzista, non ha mai condiviso questo atteggiamento verso altri popoli e culture, e non lo farà mai.
Siamo per la diversità, per la polifonia, per una vera sinfonia di valori umani. Il mondo, come certamente converrete, è un luogo noioso e incolore quando è monotono. La Russia ha avuto un passato molto turbolento e difficile. Il nostro stesso Stato è stato forgiato attraverso il continuo superamento di colossali sfide storiche.
“La Russia è un Paese particolare”.
Con questo non voglio dire che gli altri Stati si siano sviluppati in condizioni di incubazione – ovviamente non è così. Eppure, l’esperienza della Russia è unica per molti aspetti, così come il Paese che ha creato. Sia chiaro: non si tratta di una pretesa di eccezionalità o superiorità, ma semplicemente di una constatazione. La Russia è un Paese particolare.
Abbiamo attraversato numerosi tumultuosi sconvolgimenti, ognuno dei quali ha dato al mondo spunti di riflessione su una vasta gamma di questioni, sia negative che positive. Ma è proprio questo bagaglio storico che ci ha permesso di essere meglio preparati alla complessa, non lineare e ambigua situazione globale in cui ci troviamo oggi.
Attraverso tutte le sue prove, la Russia ha dimostrato una cosa: era, è e sarà sempre. Siamo consapevoli che il suo ruolo nel mondo sta cambiando, ma rimane sempre una forza senza la quale è difficile – e spesso impossibile – raggiungere una vera armonia e un vero equilibrio. Questo è un fatto provato, confermato dalla storia e dal tempo. È un fatto incondizionato.
Nel mondo multipolare di oggi, questa armonia e questo equilibrio possono essere raggiunti solo attraverso uno sforzo comune e congiunto. E oggi voglio assicurarvi che la Russia è pronta per questo lavoro.
“Si propone che il signor Blair ne sia il capo… Lo conosco personalmente. Sono persino andato a trovarlo a casa sua, ho trascorso lì la notte e… bevendo un caffè in pigiama, abbiamo parlato a lungo.”
Il professor Seyed Mohammad Marandi interroga Putin al Valdai 2025
“Ci sono stati alcuni casi in cui ho deciso che non avremmo fatto nulla perché il danno derivante dall’agire sarebbe stato maggiore rispetto alla semplice dimostrazione di moderazione e pazienza.” – Putin
Il discorso di Putin al Valdai del 2 ottobre è stato condiviso come Parte 1 e Parte 2. Ha poi partecipato a una maratona di domande e risposte a cui hanno partecipato Fyodor Lukyanov (Direttore di ricerca della Fondazione per lo sviluppo e il supporto del Valdai International Discussion Club), Ivan Safranchuk (ricercatore senior presso l’Istituto di studi internazionali), il professor Seyed Mohammad Marandi (analista politico americano-iraniano) e altri.
Fyodor Lukyanov : Signor Putin, la ringrazio molto per questo suo intervento così esaustivo…
Vladimir Putin : Ti ho stancato? Scusa.
Fyodor Lukyanov : Niente affatto, hai appena iniziato. (Risate.) Ma hai subito posto l’asticella della nostra discussione molto in alto, quindi naturalmente coglieremo molti dei temi che hai sollevato.
Soprattutto perché un mondo veramente policentrico e multipolare è ancora agli inizi. Come hai giustamente osservato nel tuo intervento, è così complesso che possiamo comprenderne solo alcune parti, come in una vecchia parabola in cui ognuno tocca una parte dell’elefante e pensa che sia il tutto, ma in realtà è solo una parte.
Vladimir Putin : Sa, queste non sono solo parole. Parlo per esperienza. Mi trovo spesso di fronte a questioni molto specifiche che devono essere affrontate in una parte o nell’altra del mondo. In passato, durante l’Unione Sovietica, c’era un blocco contro l’altro: ci si accordava all’interno del proprio blocco e si partiva.
No, sarò onesto con te: più di una volta ho dovuto soppesare una decisione: fare questo o quello. Ma il mio pensiero successivo è stato: no, non posso farlo perché danneggerebbe qualcuno; sarebbe meglio fare qualcos’altro. Ma poi: no, danneggerebbe qualcun altro. Questa è la realtà. A dire il vero, ci sono stati alcuni casi in cui ho deciso di non fare nulla perché il danno derivante dall’agire sarebbe stato maggiore che dal semplice mostrare moderazione e pazienza.
Questa è la realtà di oggi. Non ho inventato nulla: è semplicemente così che vanno le cose nella vita reale, nella pratica.
Fyodor Lukyanov : Giocavi a scacchi a scuola?
Vladimir Putin : Sì, mi piacevano gli scacchi.
Fyodor Lukyanov: Bene. Allora riprenderò da quanto hai appena detto sulla pratica. È vero: non è solo la teoria a cambiare, ma anche le azioni pratiche sulla scena internazionale non possono più essere quelle di una volta.
Nei decenni precedenti molti si affidavano a istituzioni (organizzazioni internazionali, strutture interne agli Stati) create per affrontare determinate sfide.
Ora, come hanno notato molti esperti a Valdai negli ultimi giorni, queste istituzioni, per vari motivi, si stanno indebolendo o addirittura perdendo la loro efficacia. Ciò significa che sui leader stessi ricade una responsabilità molto maggiore rispetto al passato.
Quindi la mia domanda per te è: ti senti mai come Alessandro I al Congresso di Vienna, mentre negoziavi personalmente la forma del nuovo ordine mondiale, da solo?
VladimirPutin: No, non lo so. Alessandro I era un imperatore; io sono un presidente, eletto dal popolo per un mandato specifico. Questa è una grande differenza. Questo è il mio primo punto.
In secondo luogo, Alessandro I unì l’Europa con la forza, sconfiggendo un nemico che aveva invaso il nostro territorio. Ricordiamo cosa fece: il Congresso di Vienna, e così via. Quanto a dove andò il mondo dopo, lasciamo che siano gli storici a giudicare. È discutibile: le monarchie avrebbero dovuto essere restaurate ovunque, come per cercare di far tornare un po’ indietro la ruota della storia? O non sarebbe stato meglio guardare alle tendenze emergenti e aprire la strada al futuro? Questo è solo un commento – a proposito, come si dice – non direttamente correlato alla tua domanda.
Per quanto riguarda le istituzioni moderne, qual è il problema, dopotutto? Hanno subito un degrado proprio nel periodo in cui alcuni paesi, o l’Occidente nel suo complesso, hanno cercato di sfruttare la situazione post-Guerra Fredda dichiarandosi vincitori. In questo contesto, hanno iniziato a imporre la propria volontà a tutti – questo è il primo punto. In secondo luogo, tutti gli altri hanno gradualmente, dapprima in silenzio, poi in modo più attivo, iniziato a opporre resistenza.
Durante il periodo iniziale, dopo la cessazione dell’Unione Sovietica, le strutture occidentali inserirono un numero significativo di personale nelle vecchie strutture. Tutto questo personale, seguendo scrupolosamente le istruzioni, agì esattamente come gli veniva ordinato dai superiori di Washington, comportandosi, a dire il vero, in modo molto rozzo, ignorando tutto e tutti.
Ciò ha portato la Russia, tra le altre, a cessare completamente di interagire con queste istituzioni, ritenendo che non si potesse ottenere nulla. A cosa serviva l’OSCE? Per risolvere situazioni complesse in Europa. E a cosa si riduceva tutto questo? L’intera attività dell’OSCE si è ridotta a una piattaforma per discutere, ad esempio, dei diritti umani nello spazio post-sovietico.
Fëdor Lukyanov
“Anche il Dipartimento di Stato americano ha notato che in Gran Bretagna sono emersi problemi di diritti umani.” – Putin
Bene, ascolta. Sì, ci sono molti problemi. Ma non ce ne sono forse molti anche in Europa occidentale? Guarda, mi sembra che proprio di recente persino il Dipartimento di Stato americano abbia notato che in Gran Bretagna sono emersi problemi di diritti umani. Sembrerebbe assurdo – beh, buona salute a chi lo ha fatto notare.
Tuttavia, questi problemi non sono emersi all’improvviso; sono sempre esistiti. Queste organizzazioni internazionali hanno semplicemente iniziato a concentrarsi professionalmente sulla Russia e sullo spazio post-sovietico. Ma non era questo il loro scopo. E questo vale per molti ambiti.
Pertanto, hanno in gran parte perso il loro significato originario, il significato che avevano quando furono creati nel sistema precedente, quando esistevano l’Unione Sovietica, il blocco orientale e il blocco occidentale. Ecco perché si sono degradati. Non perché fossero mal strutturati, ma perché hanno smesso di svolgere i ruoli per cui erano stati creati.
Eppure non c’è e non c’è stata alternativa alla ricerca di soluzioni basate sul consenso. Tra l’altro, ci siamo gradualmente resi conto che era necessario creare istituzioni in cui i problemi venissero risolti non come i nostri colleghi occidentali cercavano di risolverli, ma basandosi autenticamente sul consenso, basandosi autenticamente sull’allineamento delle posizioni. È così che è nata la SCO, la Shanghai Cooperation Organisation.
Da cosa è nato originariamente? Dall’esigenza di regolamentare le relazioni di confine tra i Paesi – ex repubbliche sovietiche e Repubblica Popolare Cinese. Ha funzionato molto bene, davvero. Abbiamo iniziato ad ampliarne il raggio d’azione. E ha preso piede! Vedete?
È così che sono nati i BRICS, quando il Primo Ministro dell’India e il Presidente della Repubblica Popolare Cinese sono stati miei ospiti e ho proposto un incontro a tre – questo è successo a San Pietroburgo. È nato il RIC – Russia, India, Cina. Abbiamo concordato che: a) ci saremmo incontrati; e b) avremmo ampliato questa piattaforma di lavoro per i nostri ministri degli Esteri. E il progetto ha avuto successo.
Perché? Perché tutti i partecipanti hanno subito visto, nonostante qualche asperità, che nel complesso si trattava di una buona piattaforma: non c’era alcun desiderio di prevaricare, di promuovere i propri interessi a qualsiasi costo. Al contrario, tutti hanno capito che bisognava ricercare un equilibrio.
Poco dopo, Brasile e Sudafrica chiesero di aderire, e nacquero i BRICS. Si tratta di partner naturali, uniti da un’idea comune su come costruire relazioni per trovare soluzioni reciprocamente accettabili. Iniziarono a riunirsi all’interno dell’organizzazione.
Lo stesso ha iniziato ad accadere in tutto il mondo, come ho accennato prima a proposito delle organizzazioni regionali. Osservate come l’autorevolezza di queste organizzazioni sta crescendo. Questa è la chiave per garantire che il nuovo mondo multipolare e complesso abbia comunque la possibilità di essere stabile.
Fyodor Lukyanov: Hai appena usato una metafora chiara e popolare secondo cui la forza ha ragione, a meno che non ci sia una forza più forte. Può essere applicata anche alle istituzioni, perché quando le istituzioni sono inefficaci, bisogna ricorrere alla forza, cioè alla forza militare, che è tornata alla ribalta nelle relazioni internazionali.
Se ne parla spesso, e noi del forum di Valdai abbiamo dedicato una sezione a questo tema: il carattere di una nuova guerra, la guerra moderna. È chiaramente cambiato. Cosa può dire, in qualità di comandante supremo in capo e leader politico, sui cambiamenti nel carattere della guerra?
Vladimir Putin: È una domanda molto specifica e tuttavia estremamente importante.
In primo luogo, ci sono sempre stati metodi non militari per affrontare le questioni militari, ma stanno acquisendo un nuovo significato e producendo nuovi effetti con lo sviluppo della tecnologia. Ciò che intendo sono attacchi informatici e tentativi di influenzare e corrompere la mentalità politica del potenziale avversario.
Ecco cosa mi è venuto in mente in questo momento. Di recente mi è stato raccontato della rinascita di un’antica tradizione russa, secondo cui le giovani donne vanno alle feste, anche nei bar e nei club, indossando abiti e copricapi tradizionali russi. Sapete, non è uno scherzo, e questo mi rende felice. Perché? Perché significa che i nostri nemici non hanno raggiunto il loro obiettivo, nonostante tutti i tentativi di corrompere la società russa dall’interno, e che l’effetto è addirittura opposto a quello che si aspettavano.
È molto positivo che i nostri giovani abbiano questa difesa contro i tentativi di influenzare la mentalità pubblica dall’interno. È la prova della maturità e della forza della società russa. Ma questo è solo un lato della medaglia. L’altro sono i tentativi di danneggiare la nostra economia, il settore finanziario e così via, il che è estremamente pericoloso.
Per quanto riguarda la componente puramente militare, ci sono ovviamente molti elementi di novità legati allo sviluppo tecnologico. È sulla bocca di tutti, ma lo ripeto: si tratta di veicoli senza pilota che possono operare in tre ambiti: aria, terra e mare. Tra questi rientrano imbarcazioni senza pilota, veicoli terrestri senza pilota e velivoli senza pilota.
Inoltre, tutti hanno un duplice utilizzo. Questo è estremamente importante; è una delle caratteristiche peculiari dell’era moderna. Molte tecnologie impiegate in combattimento hanno un duplice utilizzo. Prendiamo i velivoli senza pilota, che possono essere impiegati in medicina e per consegnare cibo o altri carichi utili ovunque, anche durante le ostilità.
Ciò richiede lo sviluppo anche di altri sistemi, come i sistemi di intelligence e di guerra elettronica. Questo sta cambiando le tattiche di guerra. Molte cose stanno cambiando sul campo di battaglia. Non servono più le formazioni a cuneo di Guderian o le cariche di Rybalko, che furono eseguite durante la Seconda Guerra Mondiale. I carri armati ora vengono utilizzati in modo completamente diverso, non per caricare attraverso le difese nemiche, ma per supportare la fanteria, cosa che avviene da posizioni coperte. Anche questo è necessario, ma è un metodo diverso.
Ma sapete qual è la cosa più straordinaria? La rapidità del cambiamento. I paradigmi tecnologici possono cambiare in un mese, a volte in una settimana. L’ho detto molte volte. Supponiamo di implementare un’innovazione chiave, come armi ad alta precisione, compresi i sistemi a lungo raggio, che sono una componente vitale della guerra moderna, e che improvvisamente diventi meno efficace.
Perché? Perché l’avversario ha schierato sistemi di guerra elettronica ancora più innovativi. Ha analizzato le nostre tattiche e adattato la sua risposta. Di conseguenza, ora dobbiamo trovare un antidoto nel giro di pochi giorni, al massimo una settimana. Questo accade con sorprendente regolarità e ha profonde implicazioni pratiche, dal campo di battaglia stesso ai nostri centri di ricerca. Questa è la realtà dei conflitti armati moderni: un processo di continuo aggiornamento.
Tutto cambia, tranne una cosa: il coraggio, la bravura e l’eroismo del soldato russo. È il nostro immenso orgoglio. E quando dico “russo”, non mi riferisco solo all’etnia o al passaporto. I nostri stessi soldati hanno abbracciato questa idea. Oggi, ognuno di loro, indipendentemente dalla religione o dall’origine etnica, dice con orgoglio: “Sono un soldato russo”. E lo sono.
Perché? Vorrei rispondere rivolgendomi a Pietro il Grande. Qual era la sua definizione? Chi, ai suoi occhi, era russo? Chi conosce la citazione, la riconoscerà. Chi non la conosce, la condividerò con voi ora. Pietro il Grande disse: “È russo chi ama e serve la Russia”.
Fyodor Lukyanov : Grazie.
Per quanto riguarda i copricapi, i kokoshnik, ho capito. La prossima volta indosseremo abiti appropriati.
Vladimir Putin : Non hai bisogno di un kokoshnik.
Fyodor Lukyanov : No? Bene, come dici tu.
Signor Presidente, passando a un tono più serio, lei ha parlato della rapidità del cambiamento, e in effetti il ritmo è sbalorditivo, sia in ambito militare che civile. Appare chiaro che questa realtà accelerata sarà ciò che definirà i prossimi anni e decenni.
Questo mi riporta alla mente le critiche che abbiamo dovuto affrontare più di tre anni fa, all’inizio dell’operazione militare speciale. All’epoca, i critici sostenevano che la Russia e il suo esercito fossero in ritardo in alcuni settori, e molti dei nostri passi infruttuosi erano direttamente collegati a questo.
“Siamo effettivamente in guerra con la potenza collettiva della NATO. Non lo nascondono nemmeno più.” – Putin
Questo mi porta a due domande chiave. Innanzitutto, secondo lei, siamo riusciti a colmare questo divario?
E in secondo luogo, visto che parliamo del soldato russo, qual è la sua valutazione della situazione attuale in prima linea?
Vladimir Putin : Innanzitutto, sia chiaro: non si è trattato di un semplice “ritardo”. C’erano interi campi in cui le nostre conoscenze erano semplicemente inesistenti. Il problema non era che non avessimo il tempo di sviluppare determinate capacità. Il problema era che non eravamo affatto consapevoli che tali capacità fossero possibili.
In secondo luogo, stiamo combattendo questa guerra e producendo il nostro equipaggiamento militare. Ma dall’altra parte della linea, siamo di fatto in guerra con la potenza collettiva della NATO. Non lo nascondono nemmeno più. Lo vediamo nel coinvolgimento diretto degli istruttori NATO e dei rappresentanti dei paesi occidentali nelle ostilità. In Europa è stato istituito un centro di comando allo scopo di coordinare lo sforzo bellico del nostro avversario: fornisce alle Forze Armate ucraine intelligence, immagini satellitari, armi e addestramento. E devo ribadire: questo personale straniero non è solo coinvolto nell’addestramento; partecipa direttamente alla pianificazione operativa e alle operazioni di combattimento.
Pertanto, questo rappresenta una sfida seria per noi, ovviamente. Ma l’esercito russo, lo Stato russo e la nostra industria della difesa si sono adattati rapidamente.
Ora, lo dico senza esagerare: non è un’iperbole o una vanteria, ma sono convinto che oggi l’esercito russo sia l’esercito più pronto al combattimento al mondo. Questo vale per l’addestramento del personale, le capacità tecniche e la nostra capacità di schierarle e aggiornarle costantemente. Lo stesso vale per la nostra capacità di fornire nuovi sistemi d’arma al fronte e persino per la sofisticatezza delle nostre tattiche operative. Questa, credo, è la risposta definitiva alla sua domanda.
Fyodor Lukyanov : I nostri interlocutori – e il vostro interlocutore dall’altra parte dell’oceano – hanno recentemente ribattezzato il loro Dipartimento della Difesa in Dipartimento della Guerra. Superficialmente, può sembrare la stessa cosa, ma come si dice, c’è una sfumatura. Crede che i nomi abbiano un significato sostanziale?
Vladimir Putin : Si potrebbe dire di no, ma allo stesso modo si potrebbe osservare che “come chiami la nave, così navigherà”. Probabilmente c’è un significato in questo, anche se “Dipartimento della Guerra” suona piuttosto aggressivo. Il nostro è il Ministero della Difesa: questa è sempre stata la nostra posizione, lo è ancora e continuerà ad esserlo. Non nutriamo intenzioni aggressive nei confronti di paesi terzi. Il nostro Ministero della Difesa esiste esclusivamente per salvaguardare la sicurezza dello Stato russo e dei popoli della Federazione Russa.
Fyodor Lukyanov : Eppure ci schernisce definendoci una “tigre di carta” – che ne dici?
Vladimir Putin : Una “tigre di carta”… Come ho detto, negli ultimi anni la Russia non ha combattuto le Forze Armate dell’Ucraina o l’Ucraina stessa, ma di fatto l’intero blocco NATO.
Per quanto riguarda la sua domanda sugli sviluppi lungo la linea di contatto, tornerò presto su queste “tigri”.
“Su quasi tutta la linea di contatto, le nostre forze avanzano con sicurezza.”
Attualmente, praticamente lungo l’intera linea di contatto, le nostre forze stanno avanzando con sicurezza. Cominciamo da nord: il Gruppo di Forze Settentrionale – nella regione di Kharkov, nella città di Volchansk, e nella regione di Sumy, nella comunità residenziale di Yunakovka – è stato recentemente posto sotto il nostro controllo. Metà di Volchansk è stata messa in sicurezza; la parte rimanente seguirà inevitabilmente a breve, man mano che i nostri combattenti completano l’operazione. Una zona di sicurezza viene istituita metodicamente e secondo i piani.
Il Gruppo di Forze Ovest ha in gran parte conquistato Kupyansk, un importante centro abitato (non completamente, ma due terzi della città). Il distretto centrale è già sotto il nostro controllo, con scontri in corso nel settore meridionale. Un’altra città importante, Kirovsk, è ora interamente sotto il nostro controllo.
Il Gruppo di Forze Sud è entrato a Konstantinovka, una linea difensiva chiave che comprende Konstantinovka, Slavyansk e Kramatorsk. Queste fortificazioni sono state sviluppate dall’AFU in oltre un decennio con l’assistenza di specialisti occidentali. Eppure, le nostre truppe sono ora penetrate in queste difese, e lì sono in corso combattimenti. Lo stesso vale per Seversk, un’altra importante comunità dove sono in corso le ostilità.
Il Gruppo di Forze Centrale continua a operare efficacemente, essendo entrato a Krasnoarmeysk – dall’accesso meridionale, se non ricordo male – e ora i combattimenti sono in corso all’interno della città. Mi asterrò da eccessivi dettagli, anche perché non ho alcun desiderio di informare il nostro avversario, per quanto paradossale possa sembrare. Perché? Perché sono allo sbando, e loro stessi non comprendono a sufficienza la situazione. Fornire loro ulteriore chiarezza non serve a nulla. State tranquilli, il nostro personale sta svolgendo i propri compiti con sicurezza.
Per quanto riguarda il Gruppo di Forze Orientale: sta avanzando rapidamente e con decisione attraverso la regione settentrionale di Zaporozhye e in parte nella regione di Dnepropetrovsk.
Anche il Gruppo di Forze del Dnepr opera con piena sicurezza. Circa… Quasi il 100% della regione di Lugansk è nostro – il nemico ne detiene forse lo 0,13%. Nella regione di Donetsk, controllano poco più del 19%. Nelle regioni di Zaporozhye e Kherson, questa percentuale si attesta rispettivamente sul 24-25%. Ovunque, le forze russe – lo sottolineo – mantengono un’indiscussa iniziativa strategica.
Eppure, se stiamo combattendo l’intera alleanza NATO, avanzando con incrollabile fiducia, e siamo considerati una “tigre di carta”, cosa significa questo per la NATO stessa? Che tipo di entità è allora?
Ma non importa. Ciò che conta di più è avere fiducia in noi stessi, e noi ce l’abbiamo.
Fyodor Lukyanov: Grazie.
Esistono giocattoli di carta ritagliati per bambini: tigri di carta. Puoi regalarne uno al Presidente Trump quando lo incontrerete la prossima volta.
Vladimir Putin: No, abbiamo un rapporto personale e sappiamo quali regali farci a vicenda. Sai, abbiamo un atteggiamento molto calmo al riguardo.
Non so in quale contesto sia stata pronunciata questa frase; forse è stata detta ironicamente. Vede, ci sono alcuni elementi… Quindi, ha detto al suo interlocutore che [la Russia] è una tigre di carta. Quali azioni potrebbero seguire? Si potrebbero intraprendere azioni per affrontare quella “tigre di carta”. Ma nella realtà non sta accadendo nulla di simile.
Qual è il problema attuale? Stanno inviando armi sufficienti alle Forze Armate ucraine, quante ne servono all’Ucraina. A settembre, le perdite delle Forze Armate ucraine ammontavano a circa 44.700 persone, quasi la metà delle quali erano perdite irrecuperabili. Nello stesso periodo, hanno mobilitato con la forza poco più di 18.000 persone. Circa 14.500 persone sono tornate nell’esercito dagli ospedali. Se sommiamo queste cifre e sottraiamo il totale dal numero delle vittime, vedremo che l’Ucraina ha perso 11.000 uomini in un mese. In altre parole, il numero delle sue truppe in prima linea non è stato reintegrato e sta diminuendo.
Se guardiamo ai dati da gennaio ad agosto, circa 150.000 ucraini hanno disertato dall’esercito. Nello stesso periodo, 160.000 persone sono state mobilitate nell’esercito, ma 150.000 disertori sono troppi. Considerando l’aumento delle perdite, sebbene il numero fosse più alto il mese precedente, questo significa che l’unica soluzione è abbassare l’età minima per la mobilitazione. Ma anche questo non produrrà il risultato desiderato.
Gli esperti russi e, tra l’altro, quelli occidentali ritengono che questo difficilmente avrà un effetto positivo, perché non hanno tempo per addestrare i coscritti. Le nostre forze avanzano ogni giorno, capisci? Non hanno tempo per consolidarsi o addestrare il nuovo personale, e stanno anche perdendo più militari di quanti ne possano reintegrare sul campo di battaglia. Questo è ciò che conta.
Pertanto, i leader di Kiev dovrebbero riflettere più seriamente sul raggiungimento di un accordo. Lo abbiamo ripetuto più volte, offrendo loro l’opportunità di farlo.
Fyodor Lukyanov: Abbiamo abbastanza personale per tutto?
Vladimir Putin: Sì, certo. Innanzitutto, purtroppo subiamo anche delle perdite, ma sono di gran lunga inferiori a quelle dell’AFU.
E poi, c’è una differenza. I nostri uomini si offrono volontari per il servizio militare. Sono volontari veri e propri. Non stiamo conducendo una mobilitazione su larga scala, tanto meno forzata, a differenza del regime di Kiev. Non me lo sono inventato io; fidatevi, sono dati oggettivi, confermati da esperti occidentali: 150.000 disertori [dall’AFU] da gennaio ad agosto. Qual è il motivo? Le persone sono state arrestate per strada e ora stanno disertando dall’esercito, e giustamente. Inoltre, li esorto a disertare. Li invitiamo anche ad arrendersi, il che è difficile perché chi cerca di arrendersi viene colpito dalle unità anti-ritirata o di barriera ucraine o ucciso dai droni. E i droni sono spesso pilotati da mercenari di altri paesi che uccidono gli ucraini perché non gli importa di loro. Per quanto riguarda l’esercito [ucraino], è un esercito semplice composto da operai e contadini. L’élite non combatte; manda solo i propri cittadini al massacro. Ecco perché ci sono così tanti disertori.
Abbiamo anche dei disertori, il che è normale nei conflitti armati. Alcuni lasciano le loro unità senza permesso. Ma sono pochi, davvero pochi, rispetto all’altra parte, dove la diserzione è diventata un problema enorme. Questo è il problema. Possono abbassare l’età minima per la mobilitazione a 21 o addirittura 18 anni, ma questo non risolverà il problema, e devono accettarlo. Spero che i leader del regime di Kiev se ne rendano conto e trovino la forza di sedersi al tavolo delle trattative.
Fyodor Lukyanov: Grazie.
“Niente mi ha sorpreso particolarmente, perché avevo previsto molto di quello che sarebbe successo.”
F yodor Lukyanov: Amici, fate pure le vostre domande. Ivan Safranchuk, fate pure, per favore.
Ivan Safranchuk : Signor Presidente, la ringrazio molto per il suo interessantissimo intervento introduttivo. Durante il suo scambio con Fyodor Lukyanov, ha già fissato un livello elevato per la nostra discussione.
Questo argomento è stato brevemente accennato nei vostri commenti precedenti, ma vorrei chiedere un chiarimento. Tra i cambiamenti fondamentali avvenuti negli ultimi anni, c’è qualcosa che vi ha davvero sorpreso? Ad esempio, l’enorme fervore con cui molti europei hanno perseguito il confronto con noi, e come alcuni abbiano smesso di vergognarsi della loro partecipazione alla coalizione di Hitler.
Dopotutto, ci sono sviluppi che fino a poco tempo fa erano difficili da immaginare. C’era davvero un elemento di sorpresa? Come è potuto accadere? Hai notato che nel mondo di oggi bisogna essere preparati a tutto, perché tutto può accadere, eppure fino a poco tempo fa sembrava esserci una maggiore prevedibilità. Quindi, in mezzo a questo rapido ritmo di cambiamento, c’è stato qualcosa che ti ha davvero stupito?
Vladimir Putin : Inizialmente… Nel complesso, in generale, no, niente mi ha particolarmente sorpreso, poiché avevo previsto molto di ciò che sarebbe accaduto. Tuttavia, ciò che mi ha stupito è stata questa prontezza – persino l’entusiasmo – di rivedere tutto ciò che era stato positivo in passato.
Considerate questo: all’inizio, con molta cautela, indagando, l’Occidente iniziò a equiparare il regime di Stalin al regime fascista in Germania – il regime nazista, il regime di Hitler – ponendoli sullo stesso piano. Ho osservato tutto questo con chiarezza; stavo osservando. Cominciarono a rivangare il Patto Molotov-Ribbentrop, dimenticando timidamente il Tradimento di Monaco del 1938, come se non fosse mai accaduto, come se il Primo Ministro [della Gran Bretagna] non fosse tornato a Londra dopo l’incontro di Monaco e non avesse sventolato l’accordo con Hitler dai gradini dell’aereo – “Abbiamo firmato un accordo con Hitler!” – brandendolo – “Ho portato la pace!”. Eppure, anche allora, c’era chi in Gran Bretagna dichiarava: “Ora la guerra è inevitabile” – quello era Churchill. Chamberlain disse: “Ho portato la pace”. Churchill replicò: “Ora la guerra è inevitabile”. Queste valutazioni furono fatte anche allora.
Dicevano: il patto Molotov-Ribbentrop – un’atrocità, in collusione con Hitler, l’Unione Sovietica ha cospirato con Hitler. Beh, ma voi stessi avevate cospirato con Hitler poco prima e vi siete spartiti la Cecoslovacchia. Come se non fosse mai successo. Propagandalmente – sì, si possono inculcare queste false equivalenze nella testa della gente, ma in sostanza, sappiamo come andarono veramente le cose. Quello fu il primo atto del Ballet de la Merlaison.
Poi la situazione degenerò. Non si limitarono a equiparare i regimi di Stalin e Hitler, ma tentarono di cancellare gli stessi esiti dei Processi di Norimberga. Strano, dato che si trattava di partecipanti a una lotta comune, e i Processi di Norimberga erano collettivi, celebrati proprio perché nulla di simile si ripetesse. Eppure iniziarono a farlo. Iniziarono ad abbattere monumenti ai soldati sovietici e così via, a coloro che avevano combattuto contro il nazismo.
Capisco i fondamenti ideologici di questa tesi. Ho affermato prima da questo podio che quando l’Unione Sovietica impose il suo sistema politico all’Europa orientale – sì, tutto questo è chiaro. Ma le persone che hanno combattuto il nazismo, che hanno dato la vita – cosa c’entrano? Non guidavano il regime di Stalin, non hanno preso decisioni politiche, hanno semplicemente sacrificato la propria vita sull’altare della Vittoria sul nazismo. Hanno iniziato questo – e poi oltre, e oltre…
Eppure questo mi ha sorpreso ancora: che non ci siano limiti, puramente, ve lo assicuro, perché questo riguarda la Russia e il desiderio di emarginarla in qualche modo.
Vedete, avevo intenzione di avvicinarmi al podio, ma non ho portato con me il mio libro – avevo pensato di leggervi qualcosa, ma me ne sono semplicemente dimenticato e l’ho lasciato lì. Cosa desidero trasmettere? Sulla mia scrivania a casa c’è un volume di Puškin. Ogni tanto mi piace immergermi nella sua lettura quando ho cinque minuti liberi. È intrinsecamente interessante, piacevole da leggere e, inoltre, mi piace immergermi in quell’atmosfera, percepire come vivevano le persone a quel tempo, cosa le ispirava e cosa pensavano.
Proprio ieri l’ho aperto, l’ho sfogliato e mi sono imbattuto in una poesia. Conosciamo tutti – i russi [tra i presenti qui] certamente – il Borodino di Michail Lermontov: “Ehi, dimmi, vecchio, se avessimo una causa…”, e così via. Tuttavia, non sapevo che Puškin avesse scritto su questo tema. L’ho letto e mi ha fatto una profonda impressione, perché sembra che Puškin l’abbia scritto ieri, come se mi stesse dicendo: “Ascolta, stai andando al Club Valdai – portalo con te, leggilo ai tuoi colleghi, condividi i miei pensieri sull’argomento”.
Francamente, ho esitato, pensando: “Benissimo”. Ma visto che la domanda è sorta, e ho il libro con me, posso? È affascinante. Risponde a molte domande. Si intitola “L’anniversario di Borodino”:
Il grande giorno di Borodino
Con fraterna commemorazione
Noi proclameremmo così: “Non avanzarono forse le tribù
e minacciarci di devastazione?
Non era forse qui riunita tutta l’Europa?
E quale stella li ha guidati nell’aria?
Eppure restammo fermi, con passo fermo,
E incontrò di petto la marea ostile
Di tribù governate da quell’orgoglio altezzoso
E la lotta impari si rivelò equa.
E adesso? La loro disastrosa fuga,
Vanitosi, ora dimenticano del tutto;
Ho dimenticato la baionetta russa e la neve,
Che seppellirono la loro fama nelle lande desertiche sottostanti.
Di nuovo sognano le feste a venire –
Per loro il sangue slavo è vino bevuto
Ma il loro mattino sarà amaro
Ma il sonno ininterrotto di questi ospiti,
All’interno di una nuova casa angusta e fredda,
Sotto il manto erboso del suolo settentrionale!
[Applausi]
Qui tutto è articolato. Ancora una volta, sono convinto che Aleksandr Puškin sia il nostro tutto. Tra l’altro, Puškin si appassionò parecchio in seguito – non lo leggerò, ma potete farlo voi se volete. Questo è stato scritto nel 1831.
Vedete, la stessa esistenza della Russia dispiace a molti, e tutti desiderano partecipare a questa impresa storica, infliggendoci una “sconfitta strategica” e trarne profitto: mordendo qui, mordendo là… Sono tentato di fare un gesto espressivo, ma ci sono molte signore presenti [in sala]… Ciò non accadrà.
Fyodor Lukyanov : Vorrei sottolineare un parallelismo molto significativo. Il presidente polacco Nawrocki ha letteralmente affermato – credo proprio l’altro ieri in un’intervista…
Vladimir Putin : A proposito, la Polonia viene menzionata più avanti [nella poesia].
Fyodor Lukyanov : Sì, beh, naturalmente – il nostro partner preferito. Quindi, ha dichiarato nell’intervista di “conversare” regolarmente con il generale Piłsudski, discutendo di questioni, comprese le relazioni con la Russia. Mentre tu – con Pushkin. Sembra un po’ discordante.
Vladimir Putin : Sapete, Piłsudski era una figura del genere – nutriva ostilità verso la Russia, e così via – e sotto la sua guida, guidata dalle sue idee, la Polonia commise molti errori prima della Seconda Guerra Mondiale. Dopotutto, la Germania propose di risolvere pacificamente la questione di Danzica e del Corridoio di Danzica – la leadership polacca dell’epoca si rifiutò categoricamente e alla fine divenne la prima vittima del nazismo.
Hanno anche respinto categoricamente quanto segue – anche se gli storici lo sanno sicuramente –: la Polonia si rifiutò di permettere all’Unione Sovietica di aiutare la Cecoslovacchia. L’Unione Sovietica era pronta a farlo; i documenti nei nostri archivi lo attestano – li ho letti personalmente. Quando furono inviate delle note alla Polonia, la Polonia dichiarò che non avrebbe mai permesso il passaggio delle truppe russe in aiuto della Cecoslovacchia e che, se gli aerei sovietici avessero sorvolato la Cecoslovacchia, la Polonia li avrebbe abbattuti. Alla fine, divenne la prima vittima del nazismo.
Se anche la famiglia politica polacca di più alto rango oggi se ne ricordasse, comprendendo tutte le complessità e le vicissitudini delle epoche storiche e tenendolo presente quando consulta Piłsudski, e tenendo conto di questi errori, allora non sarebbe davvero una cattiva cosa.
Fyodor Lukyanov : Eppure si sospetta che il contesto sia piuttosto diverso.
Bene. Prossima domanda, colleghi, per favore. Professor Marandi, Iran.
Seyed Mohammad Marandi : Grazie mille per l’opportunità, signor Presidente, e ringrazio anche Valdai per questa eccellente conferenza.
Siamo tutti addolorati perché negli ultimi due anni abbiamo assistito al genocidio a Gaza e al dolore e alla sofferenza di donne e bambini dilaniati giorno e notte. Di recente abbiamo visto il Presidente Trump presentare una proposta di pace che sembrava più una sottomissione e una capitolazione. E soprattutto presentare qualcuno come Blair con la sua storia è un danno oltre la beffa. Mi chiedevo cosa pensi possa fare la Federazione Russa per porre fine a questa miseria, che ha davvero oscurato i giorni di tutti. Grazie.
Vladimir Putin: La situazione a Gaza è uno degli eventi più tragici della storia recente. È anche noto che il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha ammesso pubblicamente – e spesso riflette le opinioni occidentali – che Gaza è diventata il più grande cimitero per bambini del mondo. Cosa potrebbe esserci di più tragico? Cosa potrebbe esserci di più doloroso?
Ora, per quanto riguarda la proposta del Presidente Trump su Gaza, potreste trovarla sorprendente, ma la Russia è complessivamente pronta a sostenerla. A patto, ovviamente, che porti davvero all’obiettivo finale di cui abbiamo sempre parlato. Dobbiamo esaminare attentamente le proposte avanzate.
Dal 1948 – e successivamente nel 1974, quando fu adottata la relativa risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite – la Russia ha costantemente sostenuto la creazione di due stati: Israele e uno stato palestinese. Credo che questa sia l’unica chiave per una soluzione definitiva e duratura al conflitto palestinese-israeliano.
Per quanto ne so – non ho ancora esaminato attentamente la proposta – suggerisce la creazione di un’amministrazione internazionale per governare la Palestina per un certo periodo, o più precisamente, la Striscia di Gaza. Si propone che Blair ne sia il capo. Ora, non è noto come un grande pacificatore. Ma lo conosco personalmente. Sono persino andato a trovarlo a casa sua, ho trascorso lì la notte e la mattina, bevendo un caffè in pigiama, abbiamo parlato a lungo. Sì, è vero.
Fyodor Lukyanov: Il caffè era buono?
Vladimir Putin: Sì, abbastanza bene.
Ma cosa vorrei aggiungere? È un uomo con forti opinioni personali, ma è anche un politico esperto. Nel complesso, se la sua conoscenza e la sua esperienza fossero orientate alla pace, allora sì, certo, potrebbe svolgere un ruolo positivo.
Tuttavia, sorgono spontanee diverse domande. Innanzitutto: per quanto tempo opererebbe questa amministrazione internazionale? Come e a chi verrebbe trasferito il potere? A quanto ho capito, questo piano prevede la possibilità di trasferire il potere a un’amministrazione palestinese.
Credo che sarebbe meglio trasferire il controllo direttamente al Presidente Abbas e all’attuale amministrazione palestinese. Forse potrebbero incontrare difficoltà nell’affrontare le questioni di sicurezza. Ma come ho sentito oggi dai colleghi, questo piano prevede anche che il trasferimento di potere possa coinvolgere gruppi di milizie locali al fine di garantire la sicurezza. È una cattiva idea? A mio parere, potrebbe essere una buona soluzione.
Ripeto: dobbiamo capire per quanto tempo questa amministrazione internazionale rimarrà in carica. Quali sono i tempi per il trasferimento dell’autorità civile? Non meno importanti sono le questioni di sicurezza. Credo che questo meriti sostegno.
Da un lato, stiamo parlando del rilascio di tutti gli ostaggi tenuti da Hamas e, dall’altro, del rilascio di un numero significativo di palestinesi dalle prigioni israeliane. È inoltre necessario chiarire quanti palestinesi, chi esattamente e in quale arco di tempo avverrebbe questo scambio.
E, naturalmente, la questione più importante: come considera la Palestina questa proposta? È assolutamente essenziale. Qui, l’opinione della regione e dell’intero mondo islamico conta, ma soprattutto quella della Palestina stessa e dei palestinesi, Hamas incluso. Ci sono atteggiamenti diversi nei confronti di Hamas, e anche noi abbiamo una nostra posizione e contatti con loro. È importante per noi che sia Hamas che l’Autorità Nazionale Palestinese sostengano tale iniziativa.
Tutte queste questioni richiedono uno studio approfondito e attento. Ma se questo piano venisse attuato, rappresenterebbe davvero un passo significativo verso la risoluzione del conflitto. Tuttavia, voglio sottolinearlo ancora una volta: il conflitto può essere risolto radicalmente solo attraverso la creazione di uno Stato palestinese.
Naturalmente, la posizione di Israele sarà cruciale. Non sappiamo ancora come ha reagito. Francamente, non ho ancora visto dichiarazioni pubbliche; semplicemente non ho avuto il tempo di guardare. Ma ciò che conta davvero non è la retorica pubblica, ma come la leadership israeliana reagirà a tutto questo e se sarà pronta ad attuare quanto proposto dal Presidente degli Stati Uniti.
Ci sono molte domande a riguardo. Ma nel complesso, se tutti questi elementi positivi che ho menzionato si unissero, potremmo assistere a una vera svolta. Una svolta di questo tipo sarebbe molto positiva.
Vorrei ripeterlo per la terza volta: la creazione di uno Stato palestinese è la pietra angolare di qualsiasi accordo globale.
Fyodor Lukyanov: Signor Presidente, è rimasto sorpreso quando un paio di settimane fa un alleato degli Stati Uniti, Israele, ha attaccato un altro alleato degli Stati Uniti, il Qatar? O ormai è considerato normale?
Vladimir Putin: Sì, sono rimasto sorpreso.
Fyodor Lukyanov: E che dire della reazione degli Stati Uniti? O meglio, della sua assenza? Come l’ha presa?
Secondo Gil Doctorow, che considero un amico, le élite di Mosca sono molto scontente di Vladimir Putin per non aver agito con maggiore decisione per porre rapidamente fine alla guerra in Ucraina. Se Putin si sente sotto pressione da parte di queste persone, non l’ha certo fatto sapere durante il suo discorso in plenaria e la successiva sessione di domande e risposte al 22° incontro del Valdai International Discussion Club a Sochi, oggi, 2 ottobre 2025. Ho prestato particolare attenzione a ciò che il Presidente Putin ha detto su Donald Trump e sui suoi recenti commenti bellicosi.
Il Presidente Putin ha fatto diversi riferimenti al Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, riflettendo sulle sue politiche, sulla sua retorica e sul suo potenziale impatto sulle relazioni tra Stati Uniti e Russia e sui conflitti globali. Queste osservazioni si sono inserite in discussioni più ampie sulla multipolarità, sul conflitto in Ucraina e sulla leadership occidentale. Ecco un riassunto dettagliato di ciò che Putin ha detto su Trump, basato sul testo completo del discorso e sulla copertura delle domande e risposte da fonti come TASS, RT e trascrizioni del Cremlino:
Sostegno alle iniziative di Trump in Medio Oriente:
Putin ha espresso approvazione per gli sforzi di Trump per affrontare il conflitto tra Israele e Hamas a Gaza, facendo specifico riferimento al Piano globale per porre fine al conflitto di Gaza annunciato il 29 settembre 2025. Ha dichiarato: ” Sosteniamo le iniziative del presidente Trump in Medio Oriente, in particolare i suoi sforzi per portare la pace nella regione “. Ha descritto la guerra di Gaza come una tragedia e ha inquadrato il piano di Trump come un passo costruttivo verso la de-escalation, in linea con la più ampia richiesta della Russia di soluzioni internazionali equilibrate. Avrebbe potuto definire il piano di Trump una cinica farsa, ma, come è nello stile di Putin, ha preso la strada maestra.
Conflitto in Ucraina e potenziale ruolo di Trump:
Nel contesto della guerra in Ucraina, Putin ha compiuto un altro gesto diplomatico nei confronti di Trump quando ha affermato che il conflitto avrebbe potuto essere evitato se Trump fosse stato al potere prima, affermando: ” Se Donald Trump fosse stato presidente, o se la NATO non si fosse spinta verso i confini della Russia, questa tragedia avrebbe potuto essere evitata”. Ha lasciato intendere che l’approccio di Trump alla politica estera, percepito come meno interventista, avrebbe potuto allentare le tensioni con la Russia rispetto alle precedenti amministrazioni statunitensi.
Durante la sessione di domande e risposte, a Putin è stato chiesto delle recenti dichiarazioni di Trump che definivano la NATO una tigre di carta e ne mettevano in dubbio la forza. Putin ha risposto con umorismo, affermando: ” Se Trump definisce la NATO una tigre di carta, e anche la Russia lo è, allora chi è la tigre più grande? Non facciamo questi giochetti”. Ha usato questa battuta per liquidare come assurde le narrazioni occidentali sull’aggressione russa alla NATO , riconoscendo indirettamente lo scetticismo di Trump sull’efficacia della NATO.
Relazioni tra Stati Uniti e Russia sotto Trump:
Putin si è dichiarato disponibile a ripristinare i pieni legami bilaterali con gli Stati Uniti sotto la guida di Trump, ma ha sottolineato che qualsiasi cooperazione sarà guidata dagli interessi nazionali della Russia. Ha affermato: ” Siamo pronti a collaborare con gli Stati Uniti e con il presidente Trump, ma deve avvenire a parità di condizioni, nel rispetto della nostra sovranità e dei nostri interessi”. Ciò riflette la sua posizione più ampia, secondo cui le relazioni tra Stati Uniti e Russia si sono deteriorate a causa delle politiche occidentali, non delle azioni russe.
Ha sottolineato i fallimenti passati nell’impegno tra Stati Uniti e Russia, facendo riferimento alle offerte respinte della Russia di aderire alla NATO, ma ha evitato di criticare direttamente Trump per le attuali politiche statunitensi, presentandolo invece come un potenziale partner per un dialogo pragmatico.
L’omicidio di Charlie Kirk e le fratture sociali negli Stati Uniti:
In un discorso di condoglianze, Putin ha brevemente menzionato l’assassinio di Charlie Kirk, affermando: ” Esprimiamo le nostre condoglianze per l’omicidio della vostra figura pubblica, Charlie Kirk. Tali atti riflettono profonde divisioni nella società americana, che speriamo possano essere affrontate”. Pur non rivolgendosi direttamente a Trump, questo è stato interpretato come un cenno alle sfide interne della presidenza Trump, forse a indicare un interesse comune a stabilizzare i disordini interni.
Invece di criticare aspramente Trump per le recenti notizie di stampa secondo cui gli Stati Uniti avrebbero fornito all’Ucraina informazioni di intelligence per attacchi missilistici a lungo raggio in profondità nel territorio russo, Putin si è concentrato sugli aspetti positivi. Mentre Putin si è riservato di commentare la questione, il colonnello in pensione dell’esercito russo Viktor Litovkin ha offerto la sua analisi di ciò che la Russia potrebbe fare. Litovkin ha affermato :
Come Starlink un tempo faceva per il campo di battaglia e le linee del fronte, ora si estende più in profondità nel territorio russo”, secondo . Le coordinate si riferiscono alla posizione di oggetti specifici all’interno del territorio russo e alla distanza da essi.
Non è la prima volta che gli Stati Uniti minacciano la Russia di attacchi in profondità: nel novembre 2024, l’allora presidente Joe Biden diede il via libera all’Ucraina per utilizzare missili a lungo raggio forniti dagli Stati Uniti per attaccare in profondità la Russia. La Russia dispone di tutti i mezzi necessari per intercettare e contrastare tali attacchi.
La Russia potrebbe “distruggere i sistemi progettati per colpire il suo territorio, distruggendo gli aerei sugli aeroporti, sulle linee ferroviarie e sulle stazioni di carico dei vagoni dove i vagoni vengono convertiti dallo scartamento europeo a quello russo/sovietico, e così via.
Potrebbe anche “distruggere i centri di comando dell’Ucraina, compresi quelli a Kiev: edifici governativi, Ministero della Difesa, Direzione principale dell’intelligence, Direzione principale della sicurezza, ecc.
Oggi ho ripetuto l’esibizione con Danny Haiphong e il colonnello Lawrence Wilkerson, oltre alla mia consueta apparizione del giovedì con Garland Nixon:
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