Dopo l’ operazione Carola: la fine dell’inizio, di Roberto Buffagni

Dopo l’ operazione Carola: la fine dell’inizio

 

 

Cari amici vicini & lontani, è finito l’inizio. Che cosa comincia, dopo?

Si è conclusa con un completo successo la prima parte dell’abile e professionale azione di guerra ibrida (5th generation war)[1] della quale è stata eroina eponima Carola Rackete.

La definizione più sintetica della guerra ibrida si deve al Tenente Colonnello Stanton S. Coerr, Corpo dei Marines[2]: “l’arma preferita della guerra di quinta generazione è lo stallo politico. Chi combatte una guerra di quinta generazione vince dimostrando l’impotenza della potenza militare tradizionale…questi combattenti vincono quando non perdono, mentre noi perdiamo quando non vinciamo”.

Basta riandare con la memoria ai recentissimi episodi che hanno scandito l’ operazione Carola per verificare che la vicenda si è svolta in conformità alla definizione del Ten. Col. Coerr. Carola ha vinto perché non ha perso; noi – lo Stato italiano, le sue FFOO e FFAA, il Ministro Salvini che si è autodesignato a obiettivo principale dell’operazione e i molti milioni di italiani che lo sostengono –  abbiamo perso perché non abbiamo vinto; la potenza militare dello Stato italiano, incomparabilmente superiore a quella a disposizione di Carola, ha dimostrato la sua impotenza; e il sistema d’arma impiegato per condurre l’operazione bellica  è stato uno stallo politico creato con il decisivo contributo di collaboratori interni al campo bersaglio dell’attacco, l ’Italia nel suo insieme: governo, istituzioni dello Stato, nazione e popolo. Nomi, cognomi e qualifiche professionali dei suddetti collaboratori interni sono facilmente reperibili da chiunque abbia seguito le notizie, né la collaborazione implica sempre la piena consapevolezza del ruolo effettivamente svolto: buona e mala fede sono entrambe utili, e anzi, entrambe necessarie al successo dell’operazione (è stata arruolata nell’ operazione Carola persino l’Antigone sofoclea, insospettabile di complicità).

Quale sia il centro direttivo dell’ operazione Carola è impossibile dire senza informazioni riservate delle quali non dispongo. Osservando lo svolgimento dell’operazione, si può star certi di due cose: a) l’operazione è stata messa in cantiere parecchi mesi fa, probabilmente in coincidenza con il varo del Decreto Sicurezza voluto da Salvini, che, sia detto per inciso, secondo alcuni competenti presenta criticità e punti deboli che hanno fornito opportunità favorevoli all’attacco b) chi l’ha concepito e organizzato è professionalmente ben preparato e in grado di accedere a una vasta rete di contatti e finanziamenti in Italia e all’estero, specie in Germania. Siccome la preparazione professionale in questo campo si acquisisce nelle FFAA e nei servizi d’informazione, è verisimile che almeno il case officer dell’ operazione Carola si sia formato così, anche se magari non appartiene (più) ai quadri di un servizio d’informazione o di una forza armata.

L’ operazione Carola è il primo episodio operativo di una guerra ibrida di logoramento appena iniziata, che si propone i seguenti obiettivi:

  1. dimostrare che nonostante il vasto e maggioritario consenso del popolo italiano di cui gode, il Ministro dell’Interno Matteo Salvini, eroe eponimo della linea anti-immigrazione e del “sovranismo” italiano ed europeo, è affatto impotente a realizzare i suoi obiettivi
  2. accentuare le divisioni interne al governo gialloverde: divisioni tra i gialli e i verdi, divisioni interne ai gialli e a verdi tra linee politiche e gruppi dirigenti con interessi e basi sociali diverse
  3. abbattere il morale e provocare una crisi di fiducia sia nella maggioranza di italiani che sostengono la linea Salvini, sia (soprattutto) nelle FFOO e nelle FFAA italiane, che in questa circostanza hanno dovuto constatare due fatti gravi in sé, ma per loro gravissimi: uno, che per le istituzioni italiane sono sacrificabili e disonorabili (Carola ha potuto beffare e mettere a rischio la vita di cinque finanzieri che eseguivano ordini superiori senza subirne la minima conseguenza, neppure la minima riprovazione istituzionale); due, che Matteo Salvini, il politico che si è proposto come principale difensore dell’interesse nazionale, per quanto si possano accreditare le sue intenzioni di tutta la sincerità e buona volontà del mondo, non soltanto non riesce a difenderli quando compiono il loro dovere,  ma neppure a garantirgli il rispetto e l’onore a cui un militare non rinuncia senza abdicare alla sua vocazione
  4. menomare le capacità di sfruttare le opportunità politiche che la crisi UE presenta all’attuale governo, compromettendone coesione politica e lucidità anche psicologica.
  5. rinsaldare la coesione del campo avverso a Salvini e ai “sovranisti” (opposizione politica, ceti dirigenti ad essa collegati dall’europeismo e dalla solidarietà culturale e d’interessi+ loro base sociale ed elettorale)
  6. promuovere le condizioni di fattibilità di una nuova alleanza politica maggioritaria, che può vedere associati sia una parte del Movimento 5*+PD, sia una Lega nella quale la “linea Salvini” di difesa dell’interesse nazionale sia battuta o conservata a solo scopo cosmetico/elettorale + partiti centristi già esistenti (Forza Italia) o in via di formazione (progetti Calenda & Renzi + altri eventuali), sia qualunque altra combinazione atta allo scopo di battere il “sovranismo”
  7. Prevenire la formazione di un governo italiano abbastanza stabile, coeso ed esperto da perseguire non solo a parole ma nei fatti l’interesse nazionale, cioè anzitutto il dettato geopolitico connaturato alla nostra posizione nel Mediterraneo, che ci spinge a influenzare il Nordafrica e le nazioni che si affacciano sull’Adriatico. Quest’ultimo è l’obiettivo strategico decisivo che fa convergere gli interessi permanenti della potenza britannica con quelli, mutevoli, di Germania, Francia e, in caso di ritorno alla Casa Bianca dei Democrats clintoniani o loro avatar, USA.

Ripeto: L’ operazione Carola è il primo episodio operativo di una guerra ibrida di logoramento appena iniziata. Appena iniziata vuol dire che sono già in preparazione, probabilmente avanzata, altri attacchi di crescente violenza e del medesimo tipo.

Le sconfitte operative diventano sconfitte strategiche ( = le battaglie perse diventano guerre perdute) solo quando dalle sconfitte non si impara e non si mettono in campo nuove e appropriate contromisure, culturali e operative.

La primissima cosa da fare è non cercare la soluzione dove non c’è. Una vecchia barzelletta illustra bene questo frequente errore. Eccola.

 

 

Le chiavi e il lampione

Notte fonda, buio pesto. Antonio rincasa. In fondo alla via, nel cerchio di luce di un lampione, vede l’amico Giovanni chino a terra. “Che stai facendo, Giovanni?” “Cerco le chiavi, Antonio.” “Le hai perse qui?” “No, le ho perse chissà dove. Ma qui almeno ci si vede.”

Morale: bisogna cercare le chiavi dove possono essere, anche se c’è buio, anche se si devono cercare a tastoni, brancolando nel buio. Cercarle dove c’è luce anche sapendo che non ci possono essere, perché lì ci vediamo, perché quelle sono le cose che l’esperienza ci ha abituati a vedere, non va bene: le chiavi non le troveremo mai.

Nel caso della Lega e in particolare di Salvini, la barzelletta delle chiavi e del lampione dice questo. Per la sua formazione di partito radicatissimo nel territorio, che esprime con coerenza e con forza il proprio interesse immediato e locale, la Lega è abituata a vedere anzitutto due cose: la politica locale e la politica elettorale (radicamento identitario+ mediazione degli interessi+ amministrazione). Alla politica estera non ha mai rivolto seriamente l’attenzione (non è illuminata dal cerchio di luce del lampione) perché se ne occupava il suo avversario principale, “Roma ladrona”, il governo nazionale; col quale la Lega ha sempre condotto una trattativa volta a strappare quanto più possibile per “la Padania”, ma che non ha mai pensato di soppiantare e surrogare: le chiacchiere secessioniste, i duecentomila bergamaschi con la pallottola in canna del simpatico fantasista Umberto Bossi sempre furono, appunto, chiacchiere e guasconate da bar Sport dopo il quarto Campari.

Grazie all’inesauribile immaginazione della Storia , alla prodigiosa, immortale fantasia degli italiani, e alla disfunzionalità arrogante e catastrofica del baraccone UE che ha spalancato autostrade politiche a venti corsie ai propri oppositori, i principi attivi che hanno dato origine alla Lega – radicamento identitario + difesa dell’interesse immediato – sono diventati il razzo vettore della Nuova Lega nazionale di Salvini. A Roma ladrona si è sostituita Bruxelles ladrona, al popolo padano (con tanto di corna celtiche e Dio Po) si è sostituito il popolo italiano (con tanto di tricolore, rosario e invocazione all’Immacolata Concezione); e al 3% si è sostituito il 38% dei consensi.

Questa straordinaria vittoria/ribaltone, per la quale il popolo italiano deve sul serio ringraziare l’Immacolata Concezione o altri avatar del numinoso a piacere, pone però alla Lega e al suo Capitano Matteo Salvini una serie di problemi per risolvere i quali affidarsi a Dio non basta (“aiutati che Dio t’aiuta”). I problemi immediati da risolvere sono i seguenti:

  1. Non c’è più Roma ladrona che si occupa della politica internazionale
  2. Mentre Roma ladrona era un avversario, con il quale si tratta anche con durezza ma che non vuole e non può, senza suicidarsi, mettere a rischio esistenziale “la Padania”, Bruxelles ladrona forse è (secondo me senza forse, ma lasciamo il dubbio che possa non esserlo) un nemico, un nemico che può benissimo mettere a rischio esistenziale, senza suicidarsi, l’intera Italia e la Padania in essa (Digressione: la linea “lombardo-veneta” interna alla Lega pensa che sia possibile e opportuno salvare la Padania all’interno della UE lasciando affondare il Meridione: un’idea che più sballata non si potrebbe, perché senza Meridione l’Italia conta come una Croazia con più soldi, ma che raccoglie consenso in ragione dell’abitudine leghista di vedere e interpretare anzitutto l’interesse immediato)
  • Dall’istante in cui si è proposta, con successo, come interprete dell’interesse nazionale italiano, la Lega del Capitano è entrata nel campionato di serie A delle potenze, un campionato nel quale l’Italia non può non giocare perché il Padreterno l’ha piazzata irrevocabilmente in un luogo decisivo per gli equilibri geopolitici mondiali: il Mediterraneo.
  1. Quando l’Italia non è riuscita a giocare con una propria squadra nel suddetto campionato di serie A delle potenze, ne è diventata il campo di gioco. Il gioco delle potenze è il gioco più violento che si conosca, in confronto la boxe professionistica è il tamburello. Diventarne il campo di gioco è molto pericoloso. Questo è un dato permanente dello storia.
  2. Dunque il Capitano d’Italia Matteo Salvini, volens nolens, deve imparare a giocare – anzi, a guidare il gioco della squadra Italia – nel campionato di serie A delle potenze. Non ci ha mai giocato, non ha neanche mai studiato i manuali di gioco: però alla guida della squadra c’è lui, e non un altro. Quindi tocca a lui. Un tempo si diceva che il principe riceve “la grazia di stato”, cioè l’aiuto divino commisurato ai compiti che il suo ruolo gli impone. La grazia certo non si merita, ma bisogna disporsi a riceverla dall’alto impegnandosi a fondo in questa valle di lacrime.

I provvedimenti immediati da prendere sono:

  1. Sono già in corso di avanzata preparazione ulteriori attacchi di guerra ibrida contro l’Italia. Riunire una task force di competenti in materia, che ci sono (nei servizi d’informazione, nelle FFAA, nelle FFOO) e mettere allo studio a) contromisure difensive b) contrattacchi simmetrici
  2. Riparare lo strappo alla fiducia delle FFOO e FFAA. Visitarne e lodarne reparti va bene ma non basta. E’ di importanza decisiva, per prevenire la destabilizzazione dello Stato, stringere un’alleanza strutturale con le divise. Nella Prima Repubblica, spina dorsale dello Stato erano l’IRI, i partiti e il Vaticano. Oggi l’IRI non c’è più, i partiti nemmeno e il Vaticano è un nemico politico. Senza spina dorsale effettuale uno Stato si destabilizza facilmente con azioni endogene ed esogene, ancor più se abilmente combinate. Spina dorsale dello Stato italiano odierno possono (secondo me devono) diventare FFAA e FFOO. Un metodo semplice, efficace, del tutto legale e pacifico è il seguente.
  3. Tutti gli ufficiali in servizio permanente effettivo dal grado di maggiore in su sono anche funzionari pubblici. Le FFAA ed FFOO italiane hanno troppi ufficiali, molti dei quali sanno che non supereranno mai il grado di tenente colonnello. Tutti gli ufficiali hanno esperienza amministrativa e di comando di uomini; i carabinieri sono laureati in legge, i finanzieri in economia, gli aviatori e i marinai in ingegneria rispettivamente aereonautica e navale, i fanti in scienze strategiche. La selezione psicofisica del personale è la più severa di tutta l’amministrazione pubblica, la sua correttezza salvo rare eccezioni esemplare. Si impieghi dunque il maggior numero possibile di ufficiali dei gradi intermedi delle FFOO e FFAA come pubblici funzionari nell’amministrazione civile, statale e non. Il primo effetto positivo di questa misura si vedrà nell’immediato calo delle ruberie e degli sprechi (non mi ci vedo un fornitore della ASL proporre tangenti a un ufficiale dei carabinieri). Ma l’effetto positivo più importante e durevole sarà l’introduzione di una esperienza del conflitto geopolitico, e di una fedeltà all’interesse nazionale, che per gli ufficiali delle FFOO e FFAA fanno parte dell’addestramento di base e della vocazione professionale.
  4. Prendere immediatamente l’iniziativa sul tema dell’immigrazione con una proposta nuova che prenda in contropiede la propaganda immigrazionista dell’opposizione e dimostri la sua impotenza e inefficacia (che faccia cioè la stessa identica cosa che ha tentato con successo, a parti rovesciate, l’ operazione Carola). Insistere ciecamente, sbattendo la testa contro il muro, sulla sola linea “porti chiusi” è sbagliato e autolesionista, perché a) si offre al nemico il destro di mostrare facilmente che non si riesce ad applicarla sul serio b) è effettivamente vero che la politica dei porti chiusi, per quanto benemerita e necessaria, non basta a fermare l’immigrazione di massa. Una iniziativa efficace, e già disponibile perché a uno stadio di elaborazione avanzata, è il progetto di collaborazione tra governo italiano e governo tunisino per la creazione di un mare artificiale nel deserto del Sahara, presentata qui: https://www.medinsahara.org/ . Per avviare questa iniziativa, che creerebbe la condizioni di un rovesciamento dell’impostazione culturale e politica del problema migratorio e tapperebbe la bocca all’opposizione costringendola a rincorrere Salvini sul suo terreno, basta finanziare con trecentomila euro le tre Università italiane che sponsorizzano il progetto e ne eseguirebbero lo studio di fattibilità. Sì, avete letto bene: non trecento milioni, trecentomila euro.

A lungo termine, naturalmente, c’è da proporsi compiti più importanti e difficili: anzitutto, la formazione di una cultura non solo politica che sia anche una cultura della potenza: che non vuol dire una cultura delle prepotenza e dell’aggressione, ma una cultura del realismo che integri la dimensione tragica della storia, alla quale nessuno, nemmeno l’Italia dell’Arcadia e della Commedia dell’Arte, si può sottrarre.

Una cultura del realismo che sappia, ad esempio, che essere ricchi – anche ricchi di voti – ed essere potenti sono due cose molto, molto diverse.

Ma di questo, se ci arriveremo vivi e interi, si potrà discutere in seguito.

That’all, folks.

[1] Qui alcuni riferimenti di base: https://en.wikipedia.org/wiki/Generations_of_warfare ; http://mil-embedded.com/guest-blogs/defining-fifth-generation-warfare/ . Le elaborazioni teoriche e operative che hanno condotto alla messa a punto della guerra ibrida si ritrovano qui, nei manuali della Albert Einstein Institution fondata da Gene Sharp, ispiratore delle rivoluzioni colorate in tutto il mondo. Suggerisco di leggere con attenzione i manuali, scaricabili gratuitamente dal sito: https://www.aeinstein.org/ . Da seguire sul nostro sito questa recentissima intervista al polemologo Piero Visani: http://italiaeilmondo.com/2019/07/07/guerra-ibrida-navi-corsare-a-sud-e-pokeristi-a-bruxelles-con-piero-visani/

[2] Da leggere con molta attenzione tutto questo articolo del Tenente Colonnello Stanton S. Coerr del Corpo dei Marines, apparso per la prima volta sulla Marine Corps Gazette: https://www.scribd.com/doc/50049562/Fifth-Generation-War-Warfare-versus-the-nonstate-by-LtCol-Stanton-S-Coerr-USMCR

 

GUERRA IBRIDA: NAVI CORSARE A SUD E POKERISTI A BRUXELLES, con Piero Visani

Detto fatto! Il colpo di cannone è partito dal Tribunale di Agrigento. Il segnale è stato raccolto immediatamente e con esso l’assalto ai porti. La meta però è Roma. Ad una forma di guerra ibrida riesumata dalle guerre corsare si son aggiunte le scaramucce a Bruxelles. I passi felpati non hanno però impedito di entrare ai soliti noti con i piedi nel piatto. Le nomine a Bruxelles lasciano presagire poco di buono. Eppure in quella sede le contraddizioni non mancano; come pure la complessità dello scacchiere geopolitico, con attori sempre più numerosi a tenere il banco, offrirebbe margini di iniziativa. Ci mancano una squadra sufficientemente coesa e qualche giocatore audace e di classe. Due partite apparentemente distanti tra loro. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

UN COLPO DIETRO L’ALTRO; LA NON TANTO LENTA AGONIA DEL GIGANTE DI ARGILLA, di Gianfranco Campa

 

UN COLPO DIETRO L’ALTRO; LA NON TANTO LENTA AGONIA DEL GIGANTE DI ARGILLA

 

Le prime avvisaglie si erano viste alla fine dello scorso anno quando a Dicembre la Bayer aveva annunciato il taglio di 12.000 posti di lavoro sparsi per il mondo. Successivamente, lo scorso aprile, l’annuncio da parte del gigante farmaceutico e agricolo che di questi 12.000 posti di lavoro, circa 4.500 sarebbero toccati alla Germania. La nazione teutonica dovrebbe quindi sostenere l’urto maggiore dei tagli previsti dall’azienda. Praticamente un terzo dei tagli colpisce i lavoratori in Germania, una decisione dettata dalla necessità di rafforzare le finanze della Bayer dopo il fiasco Monsanto. Superfluo dire che a nulla sono servite le proteste dei lavoratori tedeschi, proteste direi più che giustificate sia dalla quantità sia dalle modalità dei tagli annunciati. Le perdite di posti di lavoro interesseranno le filiali Bayer di Berlino, Wuppertal e Monheim.

Il caso dei tagli della Bayer sembrava inizialmente isolato e forse anche in un certo senso necessario,  giustificati direi, visto l’ingente somma di denaro che Bayer prevede di dover pagare per far fronte alle oltre 13.000 cause legali contro Monsanto attualmente in corso presso le corti di giustizia statunitensi. Nell’agosto 2018, una giuria, in California, ha ordinato a Monsanto di risarcire un ex-giardiniere, malato di linfoma, per 289 milioni di dollari di danni. Il tumore sarebbe stato causato dall’uso dell’erbicida Roundup che contiene una sostanza chimica chiamata glifosato. La Monsanto sostiene che il glifosato, se usato in modo appropriato, non è una sostanza nociva. Il 13 maggio 2019 un’altra giuria californiana ha ordinato a Monsanto di pagare 80 milioni di dollari di danni a una coppia che sostiene di essersi ammalata di cancro usando Roundup. Se tanto mi da tanto, visto i sostanziosi pagamenti punitivi fino ad ora sentenziati contro Monsanto, le 13,000 vertenze verranno a costare alla Bayer più 10 miliardi di dollari in risarcimenti alle vittime di Roundup.  La Bayer ha acquistato la Monsanto per 63 miliardi di dollari, dovrà investire, nel prossimo decennio,  almeno altri 6 miliardi per la ricerca e lo sviluppo in sostanze non pericolose, alternative al glifosato. Ricapitolando; 63 miliardi per l’acquisto di Monsanto, piu 6 miliardi per investimenti nella ricerca, più 10 miliardi di danni da pagare per le cause civili e si può facilmente dedurre come la Bayer si sia cacciata, con l’acquisto di Monsanto, in un tunnel oscuro.

Se i problemi della Bayer non bastassero, per la Germania gli ultimi due mesi sono stati da apocalisse. Al colosso chimico si aggiunge la casa automobilistica Ford che ha reso ufficialmente noto l’intenzione di tagliare complessivamente 12.000 posti di lavoro in Europa, dei quali quasi la metà, 5.400, solo in Germania. Un colpo durissimo per il paese teutonico che subisce il peggio dei tagli, visto che la Ford costruisce gran parte delle proprie vetture destinate al mercato Europeo in Germania, dove impiega un totale di 24.000 persone. Solo nella sede Ford di Colonia, lavorano circa 18.000 persone. La  Ford impiega un totale di circa 51.000 persone e gestisce 24 stabilimenti in tutta Europa. Chiusure di fabbriche sono previste anche in Galles, Russia, Francia e Slovacchia .

L’annuncio della Ford rientra nel programma di ristrutturazione e riorganizzazione che la casa automobilistica americana ha intrapreso. Probabilmente si tratta del primo concreto passo verso la smobilitazione e la vendita degli assetti societari in Germania e in Europa. A conferma Ferdinand Dudenhöffer, esperto del settore automobilistico, accademico dell’Università di Duisburg-Essen, ha dichiarato che: “Questo potrebbe essere il primo passo verso una vendita completa o parziale” del business automobilistico Ford in Europa.

Alla Bayer e alla Ford si aggiunge il gigante bancario Deutsche Bank il quale secondo il quotidiano Frankfurter Allgemeine Zeitung sta contemplando il taglio di più di un quinto della sua forza lavoro. I tagli fanno parte del programma di ristrutturazione della banca tedesca. Si parla di eliminare oltre 20.000 posti di lavoro su un totale di 91.500 dipendenti. Il futuro della Deutsche Bank è irto di ostacoli; se ne saprà di piu quando la banca presenterà i risultati operativi del secondo trimestre, il 24 luglio.

Con la Bayer, la Ford e la Deutsche Bank non finisce qui: La compagnia chimica tedesca BASF ha annunciato che taglierà 6.000 posti di lavoro su 122.000 dipendenti sparsi per il mondo.Il problema è che di questi 6000 posti, la metà, quindi 3000, saranno soppressi in Germania. La maggior parte presso la sua sede centrale a Ludwigshafen sul Reno, nella Germania occidentale. I dirigenti di BASF mirano a “migliorare il sistema organizzativo per operare in modo più efficace ed efficiente“, ha detto l’amministratore delegato Martin Brudermüller.

Alla Bayer, Ford, Deutsche Bank, BASF; si aggiungono altre: La multinazionale Siemens ha annunciato che taglierà 2.700 posti di lavoro a livello mondiale di cui la maggior parte, 1.400 posti, concentrati  in Germania. La maggior parte di questi posti saranno eliminati nelle sedi di Berlino e di Erlangen, in Baviera.

Potrei continuare all’infinito con queste fosche notizie per la Germania. Notizie che si accavallano di giorno in giorno, una dietro l’altra, mostrando preoccupanti crepe nel corpaccione del gigante di argilla. Un crescendo che negli ultimi due mesi ha visto un’accelerazione vertiginosa.  Ci sono, per esempio, altre industrie importanti come la Goodyear e la Nokia che hanno annunciato, all’inizio del 2019, una riduzione di 1.100 posti di lavoro in Germania rispettivamente per la Goodyear e 1.330 posti di lavoro per la Nokia.

Secondo gli economisti, confortati dai dati elaborati dall’Ufficio federale di statistica del Paese, l’economia della Germania ha evitato per miracolo di scivolare  in recessione durante gli ultimi tre mesi dello scorso anno, il 2018. La potenza economica più grande d’Europa ha registrato una crescita uguale a zero durante il quarto trimestre del 2018.  Questi problemi, legati al ridimensionamento e alla ristrutturazione dei processi produttivi, sono aggravati dalla situazione geopolitica.  La guerra commerciale di Trump con la Cina complica non poco la fluidità delle esportazioni tedesche, che si affidano principalmente alle due maggiori economie mondiali per i loro mantenimento e crescita.

Le case automobilistiche tedesche pendono inoltre sotto la costante minaccia del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, di imporre tariffe e dazi alle auto provenienti dall’Unione Europea. Trump si potrebbe svegliare una mattina e avendo dormito storto la notte precedente potrebbe imporre dazi dannosi ai prodotti europei, soprattutto tedeschi.

L’associazione di ingegneria VDMA (Verband Deutscher Maschinen- und Anlagenbau – VDMA), con sede a Francoforte, ha dichiarato che le tariffe di ritorsione sui beni importati imposti dagli Stati Uniti e dalla Cina contribuirebbero a un calo della produzione del 2% solo per il 2019. Tutto ciò senza tener conto nei prossimi mesi dell’impatto negativo che i tagli a migliaia di posti di lavoro potrebbero avere sull’andamento dell’economia della Germania. Ricordiamoci che non si parla soltanto dei posti di lavoro persi direttamente nelle industrie specifiche; ad essi dobbiamo aggiungere la perdita di posti indiretti nel settore dell’indotto, coinvolto in un giro di affari con le industrie madri alle prese con i tagli alla loro forza lavoro. Un indotto che possiede importanti propaggini in Europa Orientale e in Italia. I prossimi mesi ci diranno se la Germania sopravviverà all’apocalisse, oppure se morirà e di che tipo di morte narreranno le cronache; quanti paesi europei, purtroppo, trascinerà con sè, nel proprio destino.  Germania, un gigante in Europa, scopertosi all’improvviso dai piedi d’argilla di fronte a giochi geopolitici mondiali più grandi di lei. Il bullo lo puoi fare in Europa, al cospetto della Cina e degli Stati Uniti puoi solo osservare e sperare…

 

 

https://www.reuters.com/article/germany-economy/germanys-export-dependent-industry-feels-pain-of-trade-conflicts-idUSL8N2432YX

 

https://www.destatis.de/EN/Press/2019/02/PE19_050_811.html;jsessionid=2DA9660940D2D85A1E568DE5B0D14546.InternetLive2

 

https://www.autonews.com/automakers-suppliers/ford-targets-5000-job-cuts-germany

 

https://www.bloomberg.com/news/articles/2019-04-08/bayer-job-cuts-are-said-to-include-4-500-positions-in-germanyhttps://www.bloomberg.com/news/articles/2019-04-08/bayer-job-cuts-are-said-to-include-4-500-positions-in-germany

 

https://www.dw.com/en/german-chemical-firm-basf-to-cut-6000-jobs/a-49378811

 

https://www.dw.com/en/germanys-siemens-to-cut-2700-jobs/a-49253017

 

https://www.marketwatch.com/story/goodyear-to-cut-1100-jobs-in-germany-as-it-cuts-tire-production-modernizes-plants-2019-03-19

 

 

ANCORA IRAN_QUESITI INQUIETANTI, di Antonio de Martini

Le acute considerazioni di Antonio de Martini iniziano con due interrogativi inquietanti, giustamente inquietanti. Il giudizio impietoso e senza attenuanti sulla Presidenza Trump, senza dubbio più severo e senza attenuanti rispetto a quello espresso su altre presidenze, oscura e sottovaluta alcuni dati di fatto:

  • sino ad ora Trump non si è invischiato in nessun conflitto militare e ha sempre sottolineato l’intenzione di uscire al più presto da quelli ereditati dalle precedenti presidenze; uno dei paletti fissati da Trump ai componenti del suo staff avvicendatisi sino ad ora è stato proprio quello di evitare di innescare confronti armati aperti
  • l’andamento schizofrenico della politica estera è legato oltre che alla complessità delle attuali dinamiche geopolitiche, alla contrapposizione inedita, nella loro evidenza e virulenza, tra strategie e tattiche antitetiche dei vari centri decisionali statunitensi, gran parte dei quali fuori dal controllo della Presidenza
  • l’affermazione di strategie, alleanze e tattiche chiaramente alternative comporta la destrutturazione degli attuali sistemi di alleanze. Ciò che appare come un desolante isolamento, potrebbe rivelarsi come un isolamento relativo teso a creare un sistema di alleanze più limitato, ma più coeso in una cornice di multipolarismo sempre più definita. Una fase di transizione che porti al logoramento definitivo delle vecchie élite, in particolare europee. Da questo punto di vista è eloquente la discrezione e la prudenza coltivata da Putin verso Trump, pur in presenza di pesanti provocazioni americane

Detto questo, l’attuale gioco con l’Iran potrebbe in effetti rivelarsi alla fine la trappola perfetta per far cadere o annichilire l’inquilino della Casa Bianca, in un confronto che all’interno del paese lo vede altrimenti vincente, almeno per il momento. Una trappola che potrebbe scattare sulla base di una quantomeno oggettiva convergenza di interessi tra le componenti oltranziste e antitrumpiane americane e dei loro alleati esterni e quelle iraniane, responsabili in buona parte anch’esse, anche se non in prevalenza, della situazione caotica in Medio Oriente, ad iniziare dal sacrificio della questione palestinese. Anche in questa oggettiva convergenza le visioni strategiche sono piegate spesso, in ultima analisi, ai fini dei conflitti politici interni. Una dinamica valida per tutti gli schieramenti, non solo per quello che risale a Trump_Germinario Giuseppe

ANCORA IRAN_QUESITI INQUIETANTI

Quante volte andrà fino al limite della guerra per poi ritornare indietro in sicurezza?
Quante volte ancora prima di restare solo, con la May?

Mentre si avvicina la data del 27 giugno in cui – in base al trattato Iran-EU e potenze europee- l’Iran si renderà libero di riprendere la marcia al nucleare,
l’Iran annunzia di aver abbattuto un drone della Marina USA MQ-4C Triton.

L’accusa è di violazione dello spazio aereo a scopo di spionaggio.

In pratica, ad ogni passo indietro americano dal “brinkmanship”, corrisponde adesso un passo avanti iraniano.

Il controllo dell’area dello stretto di Hormuz diventa sempre più difficile dato che gli USA accusano la perdita di due drone ( un Reaper il 6 giugno e un Triton ieri). Niente morti per fortuna, ma così si facilitano gli scontri.

Il tentativo di creare una “coalizione dei volenterosi “ in Asia – dopo il “fin de non recevoir” europeo sembra essersi rivelato inefficace. Nessun ritiene che il duo Trump- Netanyahu sia dalla parte della ragione.

Se pensiamo che, agli inizi della vicenda “ nuovo ordine mondiale” di Bush senior i “ volenterosi” erano 34 abbiamo la misura di quanto la politica estera americana sia stata piegata alle esigenze di politica interna elettorale.

E di come siano considerati gli alleati dal governo degli Stati Uniti. Entità sacrificabili sull’altare dell’elettorato del Massachusetts.

SOR SALVINI VIEN DA ROMA CON
LE SCARPE ROTTE AI PIÈ

Se il piano USA era quello di piegare l’Iran e la sua dirigenza ai voleri angloamericani e trascinarli a un nuovo tavolo di negoziati, ebbene, è fallito.

Se volevano mostrare al mondo chi comanda, non ci sono riusciti.

Per questi due fallimenti hanno pagato un ulteriore prezzo di immagine in medio Oriente.

Sembra però che questa volta l’ abbiano capita in meno dei nove anni che ci sono voluti per la Siria.

l’Iran ha subìto, tacendo, ogni genere di pressioni economiche e procedure diplomatiche, ma ha reagito unicamente nei tempi e termini previsti dal trattato che lo ha legato all’occidente.

Trascorso un anno dal recesso unilaterale USA, ha applicato i termini usati dal trattato ( e pensati per un Iran violatore del patto) e dato i sessanta giorni di preparazione previsti agli altri partner perché procedessero al richiamo del dissenziente a rientrare nei termini del patto.

Il primo successo persiano è stato che nessuno degli altri sottoscrittori – in questo anno trascorso- ha rinnegato l’impegno preso. Nemmeno l’Onu e nemmeno l’Inghilterra.

Il secondo è l’espressione di stizza e meraviglia del dipartimento di Stato che si è trovato di fronte al muro di gomma degli europei e all’intransigenza iraniana che ha rifiutato ogni dialogo .

La meraviglia si è trasformata in stupore quando di fronte all’accusa del Presidente Trump di sabotaggio al traffico petrolifero, gli iraniani gli hanno dato del bugiardo ed è venuto un gesto di solidarietà dal solo governo inglese dimissionario ( non di denunzia del trattato però ).

A questo punto, il fido Bolton (detto “ due baffi appesi sul nulla”) dalla certezza di colpevolezza, è passato alla quasi certezza ( “almost sure”) e due giorni dopo il CENTCOM medio oriente ( che aveva diffuso il filmato ) ha cambiato apparentemente discorso lamentando che gli Houtis ( tribù yemenita in guerra con l’Arabia Saudita da tre anni ) tentavano, a volte – e di recente con successo – di abbattere i drone americani. ( un MQ 9 Reaper il 6 giugno).

Dopo aver dato questa anticipata spiegazione circa l’assenza di filmati che mostravano DOVE si era ritirato il pattugliatore IRGC classe Gashti del film, hanno ripreso la marcia indietro parlando di missili S A 6 ( automontati) e poi di S A 7 ( missili da spalla) di cui la penisola arabica è gonfia come un otre.

La ragione per cui l’Iran si rifiuta ostinatamente di trattare è duplice.
Da una parte, perché rifiuta di trattare sotto minaccia ( il sistema fu inventato da loro tremila anni fa e citato nel trattato di strategia dell’imperatore di Costantinopoli Maurizio, citato da Luttwark ne “ la grande strategia dell’impero bizantino”) .

Seconda e decisiva ragione è che gli iraniani ( e nemmeno noi) hanno/abbiamo capito quali siano le richieste USA, stante che ancora oggi gli iraniani – persino nello scontro diplomatico- hanno scrupolosamente seguito quanto stabilito dal trattato e non rispondono alle incursioni israeliane in Siria.

Per rimediare a questa sconfitta isolante, il povero Pompeo fa un giro dell’Asia-Pacifico in cerca di alleati per una azione comune non meglio specificata, perché inesistente, contro l’Iran che è tra i principali se non il principale fornitore di petrolio di India, Indonesia, Malesia. Pakistan, Corea e Giappone. ( tanto che alle Sanzioni precedenti furono esonerati dall’embargo dagli stessi USA) .

In questo frangente, giunge la visita a Washington di un vice presidente italiano ( con delega all’interno) che offrirà il sostegno di mezzo governo.

Tornerà indietro con foto ricordo e la notizia che Trump si lamenta di Draghi
“ che ha svalutato l’Euro” ( Deo gratias) e dichiara che si ricandiderà per un altro quadriennio.

Lo rileggeranno trionfalmente, salvo poi accorgersi che saranno rimasti soli assieme a questi moderni voltagabbana sovranisti de Milan.

IL NEMICO PRINCIPALE, di Piero Visani

Punti di vista_Giuseppe Germinario

IL NEMICO PRINCIPALE, di Piero Visani

Immagino che questa considerazione potrà non piacere a tutti, ma la prima esigenza di una politica è quella di chiarire chi sia il nemico principale, quello che crea maggiori problemi e preoccupazioni.
A giudizio di chi scrive, è l’Unione Europea, per cui certe derive statunitensi forse sono – per chi le effettua – scelte di vita e di campo. Per me, sono al momento l’unico modo disponibile per affrancarsi dal peso soffocante del nemico principale.
Quando un Paese è piccolo, guidato da una classe dirigente di piccoli (e grandi) cialtroni, fare riferimento al servilismo – sempiterna risorsa dei cialtroni – è una delle pochissime carte che si hanno in mano, specie se si è fortemente miopi.
Giocarsi quelle carte è una minuscola risorsa tattica, non una soluzione strategica, ma personalmente – visto che individuo nell’UE l’attuale nemico principale (il che non equivale a dire che lo sia la costruzione di una “massa critica” europea, da cui l’UE è lontana come il sottoscritto dal diventare Napoleone Buonaparte) – non vedo molte altre soluzioni.
A differenza dei tedeschi, inoltre, agli americani interessa pochissimo della virtù dei conti altrui, e questo per me è già positivo.
Per il resto, quando si è piccoli e poco illuminati da prospettive strategiche, non si ha che fare leva sulla guerra di movimento e quella asimmetrica.
Triste, ma realistico, specialmente per un popolo di soddisfatti fancazzisti, statalisti e vacanzieri in SPE: andare alla “House of Cards” e vedere se se ne la qualcuna da giocare…

LA GUERRA COME POLITICA DEGLI USA a cura di Luigi Longo

LA GUERRA COME POLITICA DEGLI USA

a cura di Luigi Longo

La distruzione dei territori siriani, in particolare della provincia di Idlib, da parte degli USA, tramite le diverse sigle dei Jihadisti, non si ferma. Si va dall’attacco chimico ad Idlib da parte del gruppo Tahrir as-Sham (il nuovo nome di Al Nusrah) per addossare la colpa al governo di Damasco con pronta dichiarazione del Dipartimento di Stato statunitense che vede i“ […] segnali che il regime di Assad potrebbe ripetere il suo uso di armi chimiche, incluso un presunto attacco di cloro nella Siria nord-occidentale la mattina del 19 maggio 2019 […] Stiamo ancora raccogliendo informazioni su questo incidente, ma ripetiamo il nostro avvertimento: se il regime di Assad usa armi chimiche, gli Stati Uniti e i nostri alleati risponderanno rapidamente e in modo appropriato […] la colpevolezza del regime di Assad negli orribili attacchi di armi chimiche è innegabile”. Alla distruzione di migliaia di ettari di grano per affamare la popolazione (la risorsa grano come arma di guerra) ad opera dell’Isis con l’intervento dell’ONU (a servizio degli Stati Uniti d’America) che insinua la mano del governo di Assad dietro i campi di grano bruciati.

L’obiettivo statunitense è l’asse Iran-Siria come configurazione di una potenza regionale egemone nel Medio Oriente (a danno dei loro sicari israeliani) da sottrarre all’area di influenza russa e cinese sempre più in coordinamento tra di loro. Sullo sfondo il conflitto tra le potenze mondiali per l’egemonia: gli USA per un dominio monocentrico, la Russia e la Cina per un dominio multicentrico.

Per quanto sopra riporto l’articolo di Leone Grotti, Siria. L’Isis brucia i campi di grano e affama la popolazione di Idlib apparso su www.tempi.it del 11/6/2019 e una sintesi dell’intervista rilasciata da Noam Chomsky curata da Salvo Ardizzone con il titolo Chomsky spiega l’ostilità degli USA verso l’Iran uscita su www.ilfarodelmondo.it del 12/6/2019.

 

 

 

SIRIA. L’ISIS BRUCIA I CAMPI DI GRANO E AFFAMA LA POPOLAZIONE DI IDLIB

Leone Grotti

 

La Stampa spiega come i jihadisti utilizzano il cibo come «arma di guerra». Ma l’Onu porta avanti la sua guerra dell’informazione e accusa in modo surrettizio l’esercito di Bashar Assad

 

 

La provincia siriana di Idlib è controllata da decine di migliaia di ribelli e jihadisti. Eppure, quando le Nazioni Unite hanno dato settimana scorsa la notizia che «migliaia di ettari di campi» di grano sono stati bruciati, ha accusato dei generici «combattenti». L’Onu ha aggiunto poi che la zona interessata è quella dove il governo di Bashar Assad appoggiato dalle truppe russe sta attaccando. L’insinuazione su chi stesse utilizzando il cibo come «arma di guerra» era evidente.

 

È L’ISIS A BRUCIARE I CAMPI

 

Oggi, a una settimana di distanza, l’inviato a Beirut della Stampa, Giordano Stabile, racconta però un’altra storia. Non è il regime di Assad che affama volontariamente la popolazione, ma l’Isis. Scrive Stabile:

«All’inizio gli incendi sono stati collegati all’offensiva governativa lanciata alla fine di aprile nella provincia di Idlib. Un giornale critico con il regime come «Asharq al-Wasat» ha scoperto però che il grosso degli incendi è stato applicato da gruppi jihadisti che volevano impedire ai contadini di vendere il raccolto al governo. Damasco offre 185 lire siriane per ogni chilo di frumento, un prezzo allettante. La reazione è stata spietata. Secondo «Asharq al-Wasat» nel mese di maggio fra i 15 mila e i 20 mila ettari di campi coltivati a cereali sono andati in fiamme nelle zone controllate dai ribelli e dai curdi»

 

GUERRA DELL’INFORMAZIONE

 

Il conflitto siriano è entrato nel suo nono anno e la provincia di Idlib è l’ultima roccaforte jihadista in Siria. Ma l’Onu e la comunità internazionale non sembrano stanchi di pubblicare notizie false o tendenziose per orientare l’opinione pubblica a riguardo. I jihadisti non si fanno scrupoli ad affamare la popolazione di Idlib su cui esercitano ancora il controllo pur di protrarre la guerra. I civili usati come scudi umani sono una triste realtà a Idlib.

Eppure un’importante fetta della stampa mondiale e degli organi internazionali continuano a difendere in modo inspiegabile ribelli e terroristi islamici. Persino il Washington Post, che non è mai stato tenero con Assad, ha riportato le testimonianze di contadini che si sono visti i campi bruciati dall’Isis solo perché hanno osato vendere il proprio grano al governo per guadagnarsi da vivere. In Siria è cominciato l’ultimo capitolo di una guerra estenuante, ma la guerra dell’informazione non accenna a finire.

 

 

 

CHOMSKY SPIEGA L’OSTILITÀ DEGLI USA VERSO L’IRAN

a cura di Salvo Ardizzone

 

Noam Chomsky, il noto storico e filosofo americano, spiega che gli Usa sono ostili verso l’Iran perché non possono accettare uno stato indipendente in Medio Oriente. In un’intervista, Chomsky ha dichiarato che l’establishment e i media Usa considerano la Repubblica Islamica il Paese più pericoloso del pianeta perché sostiene i movimenti della Resistenza come Hezbollah e Hamas.

Secondo la narrazione bugiarda di Washington, l’Iran è una doppia minaccia, perché sarebbe il principale sostenitore del terrorismo e i suoi programmi nucleari costituirebbero una minaccia esiziale per Israele, una minaccia talmente grave da aver costretto gli Usa a posizionare un sistema antimissile sui confini russi per proteggere l’Europa dalle (inesistenti) testate nucleari iraniane, malgrado non si comprenda come e perché la leadership della Repubblica Islamica avrebbe dovuto lanciare un simile attacco, dando agli Usa l’opportunità d’incenerirla un attimo dopo.

Chomsky ha denunciato la mistificazione statunitense, affermando che nella realtà il cosiddetto sostegno iraniano al terrorismo si traduce nel supporto dato a Hezbollah, il cui crimine principale è di essere il solo deterrente contro un’altra rovinosa invasione israeliana del Libano, e ad Hamas, colpevole di aver vinto una libera elezione nella Striscia di Gaza, un crimine che ha suscitato immediate e severe sanzioni, oltre ad aver portato gli Usa a tramare per scalzarla dal governo della Striscia.

Lo storico ha continuato affermando che le colpe principali per cui Hezbollah e Hamas sono considerate organizzazioni terroristiche dagli Stati Uniti, risiedono nella loro ferma opposizione all’espansionismo aggressivo del regime israeliano; i sionisti hanno sempre aspirato al Grande Israele, o Terra Promessa, che secondo Theodor Herzl si sarebbe dovuto estendere dal Nilo all’Eufrate, da buona parte della Turchia alla Penisola Arabica. Se non ci fossero stati i movimenti di Resistenza come Hezbollah o Hamas, i sionisti si sarebbero impadroniti di gran parte del Medio Oriente.

Riagganciandosi a questo, Chomsky ha spiegato che l’inconciliabile ostilità di Usa e Israele nei confronti dell’Iran sta nel fatto che essi non possono tollerare una potenza indipendente in una regione che essi pretendono di dominare. Per questo la Repubblica Islamica non può essere perdonata per aver rovesciato il regime dittatoriale insediato da Washington nel 1953.

Lo studioso americano ricorda che allora un colpo di Stato ordinato dagli Usa e messo in atto dalla Cia ha rovesciato Mohammad Mossadeq, il Primo Ministro iraniano colpevole agli occhi dell’Occidente di voler nazionalizzare le risorse petrolifere dell’Iran e usarle per far progredire il Paese. Una colpa grave che ha spinto l’Inghilterra (allora padrona di quel petrolio) a chiedere l’aiuto degli Stati Uniti che diedero il via all’Operazione Ajax, ufficialmente ammessa dalla Cia 60 anni dopo; fu la fine della prima esperienza democratica in Iran e l’inizio del risentimento del Popolo iraniano verso le ingerenze americane.

Ma gli Usa non si limitarono a questo, Chomsky ricorda che per 26 anni Washington ha sostenuto Reza Pahlavi, un brutale dittatore che regnava torturando e uccidendo ogni oppositore grazie alla Savak, la sua polizia segreta. Tuttavia, malgrado il costante appoggio degli Stati Uniti e di tutto l’Occidente al regime sanguinario, nel 1979 il Popolo iraniano, sotto la guida dell’Ayatollah Khomeini, è riuscito a far crollare il potere dei Pahlavi.

Nel descrivere la costante ostilità statunitense verso l’Iran, lo storico americano ha affermato che negli ultimi 60 anni non è passato un giorno senza gli Usa non si accanissero contro gli iraniani: a parte il colpo di stato ed il sostegno a un dittatore descritto nel peggiore dei modi da Amnesty International, dopo il rovesciamento di Pahlavi ci fu l’aggressione che Washington condusse attraverso Saddam Hussein; a causa di essa, nel corso di una guerra durata 8 anni, centinaia di migliaia di iraniani sono stati uccisi, molti di essi con armi chimiche, senza che nessuno protestasse.

Chomsky ha ricordato che gli Usa intervennero apertamente al fianco di Saddam Hussein, allora considerato uno strettissimo amico da Reagan, tanto che l’attacco iracheno all’Uss Stark, che causò la morte di 37 marinai Usa, fu seguito solo da un blando richiamo. Saddam era un dittatore utile per gli Usa ed essi tentarono anche d’incolpare l’Iran per le stragi di curdi che egli commise con i gas. Più tardi, George Bush padre invitò negli Stati Uniti ingegneri nucleari iracheni per formarli alla produzione di ordigni nucleari che minacciassero l’Iran senza “sporcare” Washington. E naturalmente, ha continuato lo studioso, Washington è stata la causa prima e determinante delle sanzioni contro l’Iran, che nei fatti gli Usa mantengono ancora oggi.

Nella sua analisi Chomsky ha denunciato la retorica anti iraniana di Trump, che critica l’Iran ma si accosta ai peggiori regimi repressivi; mentre egli compiva il suo viaggio in Medio Oriente, la Repubblica Islamica ha tenuto le sue elezioni, evento impensabile nell’Arabia Saudita che l’ospitava, il Paese che è la fonte del wahabismo che avvelena la regione e il mondo islamico. Ma non è solo il Presidente ad essere ostile all’Iran, lo è tutta l’Amministrazione in quanto espressione dell’establishment.

Nel descrivere l’Arabia Saudita, il maggior alleato mediorientale degli Usa e nemica giurata dell’Iran, Chomsky l’ha descritta come una dittatura brutale e repressiva, dove i diritti umani vengono calpestati, ma un luogo dove Trump si sente a proprio agio. A Riyadh, il Presidente americano ha stipulato accordi per 320 Mld di dollari, essenzialmente enormi forniture di armi per la felicità dell’industria degli armamenti, ma le conseguenze immediate sono state il via libera agli “amici” sauditi a continuare le loro atrocità in Yemen, e ad isolare il Qatar, colpevole di voler essere troppo indipendente.

Ancora una volta è principalmente l’Iran il motivo: il Qatar condivide con la Repubblica Islamica un enorme giacimento di gas naturale ed intrattiene con essa rapporti commerciali e culturali, cosa intollerabile per i sauditi (e per gli Usa).

Nella sua analisi Chomsky ha tratteggiato le ragioni profonde dell’irriducibile ostilità che gli Usa hanno verso l’Iran, e i tanti crimini che nel corso di sessant’anni hanno perpetrato nei confronti del Popolo iraniano per tentare di dominarlo; un atteggiamento che permea l’establishment statunitense e che è praticamente impossibile sradicare. Un atteggiamento a cui si somma la dichiarata inimicizia di Israele, che vede nella Repubblica Islamica e nella Resistenza che essa sostiene i suoi peggiori nemici, coloro che gli sbarrano la strada al dominio della regione, e che minacciano l’esistenza stessa dell’entità sionista e il permanere della sua occupazione della Palestina.

 

 

LA COMMISSIONE EUROPEA PROPONE UNA PROCEDURA DI INFRAZIONE PER DEBITO ECCESSIVO ALL’ITALIA. PERCHE’? a cura di Luigi Longo

LA COMMISSIONE EUROPEA PROPONE UNA PROCEDURA DI INFRAZIONE PER DEBITO ECCESSIVO ALL’ITALIA. PERCHE’?

a cura di Luigi Longo

 

Riporto la nota di Domenico Rondoni [referente economico del MMT (Modern Money Theory) – Umbria], apparsa sul sito www.ariannaeditrice.it del 6/6/2019, per porre la seguente domanda: perché l’Italia che ha aumentato il rapporto debito/Pil meno degli altri paesi europei nel periodo 1992-2017 verrà sottoposta alla procedura di infrazione per debito eccessivo?

Propongo una riflessione non interessata ad evidenziare a) la debolezza e il degrado peculiare politico e sociale dell’Italia (attacco alle risorse mobili e immobili, assalto definitivo al cosiddetto made in Italy, distruzione delle imprese strategiche ormai definitivamente in mano straniere…); b) l’ideologia (nell’accezione negativa del termine) del governo per il cambiamento (sic) dei cosiddetti sovranisti, populisti in Italia (e in Europa) che non hanno una strategia per liberarsi dal giogo assurdo dei sub-dominanti europei (Germania e Francia): per loro la politica non è la reale prassi di cambiamento ma è un gioco di potere maldestro dentro la logica del capitale; c) l’Italia e l’Europa come espressioni geografiche dei predominanti statunitensi a prescindere dal loro insanabile (un indicatore del declino irreversibile) conflitto interno tra gli agenti strategici; d) il nuovo ri-equilibrio che la fine della UE comporterà con le nuove relazioni tra i sub-dominanti europei e i pre-dominanti statunitensi.

La riflessione che qui avanzo è interessata piuttosto a rilevare la mancanza di un progetto strategico di ri-fondazione dell’Europa che passa attraverso la fuoriuscita dei Paesi europei dalla NATO (il progetto Usa della fase multicentrica) che è una delle importanti istituzioni mondiali per il dominio Usa.

Altro che fuoriuscita dall’euro: per fare cosa? Per rimanere ancora sotto la sudditanza statunitense? Per rimanere nella incapacità di aprire relazioni di cambiamento con l’Oriente le cui potenze mondiali (soprattutto Russia, Cina) sono per un equilibrio multicentrico del dominio?

La UE (il progetto USA del secondo dopoguerra) è finita e occorre ri-pensare un’altra Europa fondata su nazioni autodeterminate e sovrane (con la loro storia, il loro territorio, la loro geografia, la loro cultura) con una idea di sviluppo e di ri-pensamento della modernità a partire dalla rottura del dominio statunitense perché gli Stati Uniti d’America restano il grande collante culturale ed il grande garante geopolitico-militare della riproduzione capitalistica mondiale.

La crisi della modernità occidentale è un altro indicatore del declino egemonico statunitense.

 

 

 

 

 

RICAPITOLIAMO

di Domenico Rondoni

Ci fanno entrare nell’euro con un rapporto debito/pil piu alto di tutti.
In questi 25 anni difficilissimi aumentiamo il rapporto debito/pil di meno di tutti.
E ora ci aprono una procedura di infrazione per DEBITO ECCESSIVO!?!?
Cioé è come se convinco uno zoppo a fare i cento metri con i normodotati, lo zoppo facendo un miracolo e lasciandoci quasi le penne arriva primo, ed io gli azzoppo pure l’altra gamba perché non ha fatto il record del mondo!!
Ma ci rendiamo conto in che gabbia di matti ci hanno cacciato?
Se questi non capiscono che il cosidetto debito pubblico è uno STRUMENTO DI CRESCITA ECONOMICA che va GESTITO ed AUMENTATO, non resta davvero altro da fare che evadere dal manicomio….

 

 

 

 

Chi controlla lo spazio controlla il mondo: la nuova corsa alle stelle, di Giuseppe Gagliano

Dopo il 33° podcast di Gianfranco Campa http://italiaeilmondo.com/2019/05/28/33-podcast_appuntamento-sulla-luna_1a-parte-di-gianfranco-campa/ il tema della competizione nello spazio si arricchisce del contributo del professor Giuseppe Gagliano. Buona lettura, Giuseppe Germinario

https://www.ilprimatonazionale.it/esteri/controlla-spazio-controlla-mondo-nuova-corsa-stelle-119930/?fbclid=IwAR0IGFrHkUD_YVZdCKcsRp3lplBwQw2dmhgKYXjoy4IqR5EOKrYzdFpM9pY

Chi controlla il punto più alto dello spazio controlla il mondo. L’impero romano controllava il mondo perché poteva costruire strade. Più tardi, l’impero britannico dominò grazie alla sua marina. Ebbene, sotto il profilo storico, tutto ciò ci consente di affermare che lo spazio sia stato associato, fin dall’inizio della sua esplorazione, ad una prospettiva di difesa e sicurezza nazionale. Infatti durante i primi decenni dell’avventura spaziale, che coincideva con quelli della Guerra Fredda, la questione spaziale era essenzialmente strategica (dimostrazione di potere, intelligence) e ciò determinava la necessità di mobilitare enormi stanziamenti.

Spazio strategico

Lo spazio militare assume una nuova dimensione nei primi anni ’80 con la Strategic Defense Initiative (SDI) di Ronald Reagan. L’obiettivo della SDI era duplice: in primo luogo, integrare la deterrenza nucleare con un sistema di prevenzione dell’aggressione sovietica, ma era anche quello di usare il potere tecnologico americano per dominare l’Unione Sovietica. Infine, il crollo del Patto di Varsavia limitò severamente questa iniziativa.

Tuttavia, l’idea di una difesa missilistica, in gran parte basata sullo spazio, non è mai stata abbandonata ed è stata ripresa con la visione tecnologica della rivoluzione negli affari militari degli anni ’90 e con la necessità di risposte rapide a causa della proliferazione delle capacità balistiche degli stati canaglia. A poco a poco, il campo spaziale è diventato un mezzo a pieno titolo di azione militare e nessuna altra operazione può fare a meno di questo strumento dal quale dipendono le forze armate.

Dominio Usa e irrilevanza europea

Nel febbraio 2018, il Pentagono ha ammesso che gli Stati Uniti sono dipendenti dallo spazio e che i loro avversari ne sono consapevoli. Infatti Russia e Cina mirano a disporre di armi controspaziali non distruttive e distruttive disponibili per un potenziale conflitto futuro, un futuro conflitto globale potrebbe iniziare nello spazio. Ciò ha spinto  Heather Wilson, segretario dell’Aeronautica degli Stati Uniti, a sottolineare che il paese ha  bisogno di organizzare e addestrare forze in grado di trionfare in qualsiasi tipo di conflitto futuro che si estendesse agli Usa spazio incluso e proprio per questo il presidente Donald Trump ha lanciato una vera e propria Space Force, annunciata come una forza autonoma  degli Stati Uniti.

Non deve sorprendere allora il fatto che il dominio degli Stati Uniti nello spazio militare sia schiacciante. Infatti, tra tutti i satelliti militari attivi nel 2017, circa 150 sarebbero americani, 40 sarebbero russi e meno di 50 cinesi. L’Europa chiude con 35 satelliti militari, di cui otto francesi, sette per ciascuno degli eserciti tedeschi, britannici e italiani, due spagnoli e quattro fatti in ambito europeo .

Gli importi di bilancio riflettono anche questa disparità. Se il budget dello spazio militare russo è di 1,5 miliardi di dollari e quella della Cina è di circa 2 miliardi quello degli Stati Uniti arriva a circa quaranta miliardi.

Al di là dello spazio strategico inteso come strumento militare, non vi è dubbio che le società moderne dipendano interamente dallo spazio (economico, industriale, bancario, ma anche sociale o sanitario, ecc.) e la loro capacità di recupero è in gran parte dovuta alla robustezza delle loro capacità spaziali (geolocalizzazione, comunicazioni, trasferimento dati, meteorologia, ecc.). La proliferazione di dispositivi orbitali è lì per testimoniare questa grande dipendenza. Più di 1.200 satelliti sono in servizio su 4.300 che sono stati lanciati dall’inizio dell’era spaziale e sono ancora in orbita. La metà di questi satelliti operativi sono civili, un terzo ha un uso strettamente militare e il resto ha  ìuna destinazione prevalentemente civile ma potenzialmente militare. Lo spazio, specialmente nelle sue orbite basse (prime centinaia di chilometri), è quindi molto impegnato se non affollato di satelliti perfettamente identificati nella loro missione civile o militare, ma alcuni di essi hanno un duplice uso. La cartografia dello spazio “militare” comporta quindi un grado di incertezza che rende necessario considerare qualsiasi satellite come vettore di potenza militare.

Con il collasso del blocco sovietico e l’emergere di nuove forme di conflittualità, le funzioni dello spazio militare supereranno quelle dello spazio strategico. In occasione dell’impegno delle sue forze nel Golfo, la dottrina militare statunitense ha trasformato l’uso dello spazio e dato un posto centrale all’azione operativa. Lo spazio è quindi concepito come un moltiplicatore di forza con satelliti con prestazioni sempre più impressionanti.

Giuseppe Gagliano

intervista al Generale Marco Bertolini_ Il concetto di sovranità e la sua declinazione in politica

Qui sotto una importante intervista al Generale Marco Bertolini. Si parte dalla sottolineatura del concetto di sovranità e della sua imprescindibile deglinazione in qualsivoglia azione politica. Si passa poi al riconoscimento dell’importanza degli strumenti dello Stato che consentono l’esercizio di queste prerogative in un contesto geopolitico sempre più complesso. Marco Bertolini, già Comandante della Folgore, ha assunto numerosi ed importanti incarichi nelle più svariate missioni all’estero dei contingenti militari italiani. Un patrimonio prezioso di esperienza al servizio del paese e della nazione. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

NB_In alcune parti la qualità dell’audio, dovuta ad un collegamento telematico non ottimale, non consente un ascolto agevole e lineare_Ce ne scusiamo con gli ascoltatori e con il Generale Marco Bertolini. Siamo sicuri che l’importanza degli argomenti rendano sopportabili tali mancanze

SALAMINA A ROVESCIO SUL 28° PARALLELO_Antonio de Martini e Pierluigi FAGAN

 

Salamina a rovescio di Antonio de Martini

 

Quasi mezzo millennio prima di Cristo, l’imperatore SERSE I organizzò una spedizione al confine estremo del regno.

I greci, che all’epoca erano il LIMES, si coalizzarono contro il gigante asiatico avanzante.

Temistocle , dopo aver incassato una sonora batosta sul mare, si arroccò dietro l’isolotto di Salamina -come Leonida alle Termopili dove un gruppetto di spartani tenne in scacco le fanterie persiane e vendette cara la pelle- e si sistemò a difesa.

Con la stessa tattica dieonida , nello stretto tra l’isola e il mare, Temistocle inflisse una battuta d’arresto alla flotta del gran re enormemente superiore e difficile da manovrare in spazi ristretti .

Facendo pagare ogni singola avanzata a caro prezzo, i greci guadagnarono tempo, fidando nella indisponibilità di Serse a restare troppo a lungo ai margini del suo impero a dar la caccia a quattro mangiatori di olive.

In caso di attacco USA , i persiani useranno la stessa tattica di Temistocle, tanto più che i due gruppi da battaglia della V e VI flotta , si sono già infognati in aree prive di spazi di manovra: il gruppo “Keasarge” ha superato lo stretto di Hormuz e si è inoltrato nella trappola.

Per uscire, dovranno passare a tiro anche di sasso dalle coste iraniane.

L’altro gruppo di battaglia ( sempre una portaerei ( Lincoln ) , una nave appoggio zeppa di Marines e patrioti che fanno la prima apparizione antiaerea da nave, più naviglio di scorta ) attende l’ordine di iniziare la lotta, ma è anch’esso incastrato nel mar rosso tra bab el mandeb e Suez.

A tiro dei guerriglieri houti e dei loro sofisticati droni.
Tutti a tiro di missile da entrambe le sponde che costeggiano.

Questo dispiegamento arrogante è la migliore garanzia che lo scontro non ci sarà. Nessuno è stupido fino a questo punto.

Si stanno impostando e propagandando incidenti veri e presunti – come quelli dell’articolo AP che ho allegato- , ma senza conseguenze, a meno di errori – voluti o no – di qualche zelota.

Le grida di allarme servono a condizionare i protagonisti politici e saggiare i tempi tecnici di reazione dell’avversario.

In caso di scontro reale i persiani, nel peggiore dei casi, affonderanno almeno una portaerei e naviglio minore, senza contare la pioggia di missili che lanceranno su Israele di cui – coi missili da Gaza nei giorni scorsi – hanno saggiato l’operatività del sistema anti missile Iron Dome.

Cinque anni fa, durante una manovra coi quadri nella zona del golfo persico tenutasi al Pentagono, i “ nemici” rappresentati da un ammiraglio in pensione noto per la sua indipendenza di giudizio, affondò ( coi barchini) quattro navi USA. Uno smacco per lo stato maggiore della Marina USA sia pure ad opera di un collega “ Maverick “.

Chissà se al presidente lo hanno detto.

 

 

ESTATE AL 28°N PARALLELO di Pierluigi FAGAN.

 

Il costante conflitto che accompagnerà la difficile transizione al mondo multipolare, sembra voler convergere nello spazio e nel tempo in un punto particolare dello spazio-mondo.

Da più parti, si nota che:

a) gli americani stanno dislocando una portaerei in direzione del Golfo Persico. Hanno già mosso altre navi da guerra, rifornito di bombardieri le basi intorno all’Iran, nonché disseminato batterie missilistiche ed anti-missilistiche. In più Bolton a Pompeo, non passano giorno senza qualche buona parola incendiaria verso l’Iran. Altri sostengono che in USA si nota grande fermento operativo pre-bellico ;

b) Trump annuncia ulteriori sanzioni all’Iran che si sommano alle precedenti, dopo aver ulteriormente stretto il cordone di divieto alle relazioni con l’Iran tra cui quelle italiane e greche prima permesse. Dopo aver del tutto isolato Teheran dagli europei, è ora la volta dei tre compratori di energie fossili iraniane ovvero Turchia, India e Cina. Gli iraniani hanno dato due mesi di tempo a gli altri firmatari del precedente accordo teso a bloccare lo sviluppo atomico dell’Iran, per dare segni di vita. In assenza di un chiaro atteggiamento di conferma dell’accordo che isolerebbe gli USA, Rouhani ha fatto sapere che riprenderà l’arricchimento dell’uranio, ma è molto probabile abbia già iniziato ;

c) infatti Israele segue Bolton e Pompeo annunciando di imminenti attentati sciiti tra Gaza ed obiettivi americani in Medio Oriente mentre l’Egitto ha bloccato petroliere iraniane a Suez;

d) davanti a gi EAU, qualcuno ha sabotato petroliere saudite che hanno preso fuoco;

e) Isis si ripresenta in Kashmir e nel sud del Pakistan a Gwadar, terminale della Via della Seta cinese, accendendo l’irredentismo del Belucistan. Anche lo Sri Lanka e lo stesso Kashmir rientrano nelle rotte logistiche della Via della Seta cinese. In Iran, invece, c’è un porto strategico per le proiezioni esterne dell’India.

Naturalmente torna di moda la classica minaccia di autoaffondamento di navi dismesse in un punto particolarmente basso dello stretto di Hormuz da parte iraniana che rappresenterebbe un Armageddon petrolifero-finanziario dalle conseguenze terribili per l’intera economia-mondo, in particolare asiatica.

Con Trump non si sa mai se sta a suo modo trattando e quanto è disposto ad andare fino in fondo se la trattativa non andasse all’esito sperato o se “questa volta è diverso”. Una cosa pare certa, come ogni estate, la temperatura dalle parti del 28° parallelo, tenderà a salire. Da seguire …

Lluch De Sa Font Infatti credo che la carta vincente sarà a giugno quando presenterà il suo piano di pace per la Palestina, in cui si dice verrà coinvolto Hamas e, se va in porto, sarà utile ad una rielezione. Certo che i potenti nemici che ha in casa e all’estero faranno il possibile per mettere i bastoni fra le ruote…

 

 

TROPPE TRUPPE MARISCIÀH di Antonio de Martini

 

(Trump ha comunque smentito la presenza e anche l’intenzione di schierare i 130.000 uomini a meno di una pesante provocazione dell’Iran, definendo una fake la notizia del NYT_A dire il vero gli attori locali interessati a trascinare gli USA in guerra sono però almeno due._ https://news.yahoo.com/trump-denies-planning-send-120-000-troops-counter-161151316.html?fbclid=IwAR3kizBenzZV93nvAV2HZiES4EC6i9BZkJETXExb0NEhMEWGgaaWNDRd2nM Giuseppe Germinario)

 

A partire dal 1991 resta impresso in mente un dato costante sull’esercito degli Stati Uniti: esiste una forza armata che potremmo definire “ territoriale “ e un’altra che chiamerei “ forza mobile” composta da 120/130.000 uomini che è il vero ferro di lancia dell’US Army.

La forza territoriale presidia e occupa basi e territori sfoggiando un apparato logistico impressionante e ben alimentato. Questa aliquota, in continua crescita, fa la parte del leone nel bilancio della Army.

Centinaia di basi nel mondo dove la forza aerea e la Marina possono contare di fare sosta, rifornimento o riposo. Da dove si può far partire una spedizione, ma di dubbia efficacia combattiva.

Lo sforzo strategico di tutti i presidenti che si sono succeduti da Eisenhower in poi è consistito nel cercare di erodere questa posta di bilancio a favore dell’aliquota “ combattente” da impiegare sul campo.

Obama aveva cercato di creare reparti speciali da aggiungere al “ corpo combattente” puntando sulla estrema specializzazione di 30.000 uomini in battaglioni capaci di operare a 360 gradi. Trump ha scelto diversamente.

Trump ha fatto la scelta di aumentare il bilancio in termini assoluti senza capire che la macchina finanziaria del Pentagono – di terra e di mare- non sarà mai sazia per definizione e assorbirà qualsiasi cifra venga stanziata perché la normale amministrazione è fatta così dappertutt: è onnivora.

Comunque la si giri, lo Stato Maggiore non riesce a mettere in campo più di 130.000 uomini realmente disponibili per il combattimento.

È il brillante corpo corazzato che ha vinto le due campagne irachene, ma si è rivelato incapace di domare gli Afgani nemmeno per un momento. Che lamenta di essere impantanato a Kabul e alla frontiera messicana. Che inizia a logorarsi in West Africa.

Oggi lo S.M. USA ha nuovamente messo a disposizione del Presidente questo contingente e lo ha bardato con due corpi di combattimento della marina e i missili antiaerei Patriots in versione navale, ma l’avversario Iran è un’altra cosa.

L’Iran, nella guerra 1980/88 contro l’Irak, ha perso settecentomila uomini senza batter ciglio e ha la natura e la storia e la geografia dalla sua parte.

Il suo territorio è vasto ( quasi sei volte l’Italia) e montagnoso quanto basta, il 60% della popolazione è nomade ad onta degli sforzi dello Scià Ali Reza per sedentalizzare gli abitanti.

Non può essere piegato dai bombardamenti come la Jugoslavia perché non ha industrie leader o grandi infrastrutture da abbattere; non può essere “ridotta allo stato pastorale,” perché lo è già in buona parte; non può essere parcellizzata perché è un paese di grande omogeneità culturale con minoranze sostanzialmente leali; dispone di via di fuga, non bloccabile, attraverso il Caspio. Con centotrentamila uomini possono dirigere il traffico, ma non invadere ne presidiare, ne condurre con successo uno sbarco dimostrativo.

Un bombardamento – anche agli impianti petroliferi- otterrebbe una doppia replica e nessun risultato.

Ha amici potenti ( Russia, Cina, Turchia, India) e nemici impopolari ( Israele) ; controlla il 30% flusso dei prodotti petroliferi destinati all’Europa.

Anche i peggiori avversari degli Ayatollah – come la casa imperiale rifugiatasi negli USA o qualche ex primo ministro parcheggiato a Parigi – si sono rifiutati di prendere parte al coro anti iraniano.

La comunità israelita all’interno ( presente con continuità da tremila anni) o la diaspora benestante di Francia e California all’estero ( da 40 anni) prenderebbero posizione contro ogni intervento mirante a destabilizzare un paese che da cinque secoli non ha mai attaccato nessun vicino.

Unici alleati degli USA i mujaheddin al Khalk – gli ex giovani comunisti del 1979 già nell’elenco USA delle organizzazioni terroriste – oggi “ graziati” e parcheggiati da Obama in Albania dopo aver organizzato qualche assassinio di “ scienziati atomici” che possono fare qualche sanguinoso attentato ma nulla di più.

Voler attaccare durante il Ramadan sarebbe il colmo della provocazione psicologica e dell’improntitudine.

A parte la rappresaglia contro Israele che metterebbe in crisi i rapporti interni agli USA, creerebbe una immediata reazione tra un miliardo e mezzo di mussulmani nel mondo e il braciere del focolaio afgano rischierebbe di estendersi al subcontinente indiano ( Pakistan e India mussulmana).

Alla Casa Bianca dovrebbero proprio decidersi a cambiare pusher.

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