Il giorno di Mario Draghi_con Antonio de Martini

Ieri, martedi 10 maggio, è stato il giorno di Mario Draghi al cospetto di Biden. E’ stato il suo giorno di gloria. Non sappiamo se è stato il suo momento fugace o il riconoscimento e la sanzione duratura di un ruolo internazionale riconosciuto. La postura assunta nell’incontro, così come la hanno presentata, è stata particolarmente significativa: un gran consigliere, nel pieno della sua dignità e del suo ruolo di dignitario, al cospetto di un principe sovrano, dal cospetto incerto e dallo sguardo perso nel vuoto. Il merito e gli argomenti affrontati nell’incontro corrispondono esattamente all’immagine offerta: hanno sottolineato la fedeltà assoluta e la linearità dei comportamenti del governo italiano rispetto agli indirizzi e alle pesanti scelte americane riguardanti il conflitto russo-ucraino. Grazie a questo, Mario Draghi si è concesso il lusso di richiamare Biden e la sua amministrazione alle conseguenze di queste scelte e di segnalare che è arrivato il momento di preservare i frutti di queste scelte: l’acquisita coesione della allenza atlantica in funzione antirussa e la consapevolezza della crescente ritrosia dei popoli europei a protrarre ulteriormente lo stato di belligeranza. Ha parlato volutamente di popoli ed opinione pubblica europea un po’ per ipocrisia diplomatica, soprattutto per evidenziare la difficoltà crescente dei ceti politici locali nel gestire e giustificare per troppo tempo un livello così esasperato di tensione. Una raccomandazione a non tirare ulteriormente la corda, almeno per il momento. Negli ultimi mesi, la figura di Mario Draghi è parsa appannarsi soprattutto come politico impegnato nelle beghe interne all’Italia, ma anche nello stesso agone della Unione Europea, non ultima la sua apparizione al parlamento europeo. Lo abbiamo più volte sottolineato su Italia e il mondo. Nel campo europeo sono risaltati molto di più la petulanza di Macron, il tira e molla dietro le quinte di Sholz e l’oltranzismo avventurista di polacchi e paesi baltici, almeno sino a quando Draghi ha potuto e saputo mettere a frutto la ormai tradizionale italica remissività ed accondiscendenza, guadagnandosi addirittura un possibile ruolo di mediatore o cerimoniere tra Stati Uniti, Ucraina e Russia. Il pallino e il dibattito più impegnativo sulla conduzione degli affari internazionali, nel versante occidentale, rimane comunque in mano ai centri decisori statunitensi. Quello che succede in Europa, rispettivamente la delicata pressione di Draghi, corroborata dalla parziale conversione di Letta e dalla petulanza di Macron, da una parte e l’iniziativa ucraina, presumibilmente ispirata da Nuland & C. dall’altra, di rallentamento dei flussi di gas, traggono alimento da e sono almeno in parte sponde esterne di posizioni presenti nell’amministrazione americana. Al netto del terrore che pervade lo staff presidenziale ad ogni apparizione pubblica di Biden, l’assenza di una conferenza stampa comune assume comunque un significato. Al beneficio che riuscirà a trarre Mario Draghi ne corrisponderà almeno uno parziale per il paese? Il dubbio volge pressoché verso la certezza di una stridente divaricazione, vista la pressoché totale inconsistenza di un ceto politico e di una classe dirigente, entrambi tanto petulanti quanto inconcludenti e dimessi, sia nella fazione assolutamente predominante dei consenzienti a prescindere che nella gran parte dei contestatori ed oppositori velleitari. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Stati Uniti, Europa, Ucraina! La selezione di un ceto politico_con Antonio de Martini

Man mano che si segue l’impulso e la necessità di serrare le fila, viene meno una selezione adeguata del ceto politico chiamato a condurre e seguire dinamiche complesse e situazioni intricate. Il mondo occidentale si trova nella condizione di disporre dell’apparato ancora più sofisticato e complesso con personale appena sufficiente a gestire le routine più banali, molto meno ad operare assennatamente i necessari strappi dei momenti di crisi aperta ed eccezionali.E’ il momento dei condizionamenti tragicamente pesanti che fanno scivolare per inerzia le situazioni verso tragici epiloghi. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Guerra ibrida ed eserciti in campo, 2a parte_Con Alessandro Visalli

Siamo alla seconda parte della conversazione. Proseguiamo soffermandoci maggiormente su alcune caratteristiche dell’armamentario a disposizione nella conduzione di un conflitto sempre più aperto e dichiarato tra Stati Uniti e mondo occidentale da una parte e la Russia, in qualità di anello debole o presunto tale la cui rottura sarebbe in grado di interrompere il processo di formazione multipolare e di porre la Cina come interlocutrice subordinata. Quest’ultima, per ragioni di cultura politica e per la condizione oggettiva di aver lucrato copiosamente da questa modalità di sviluppo della globalizzazione, è restìa a creare un sistema statico di alleanze concorrenti, prodromico ad un conflitto aperto. Sta di fatto che la gran parte del mondo ha quantomeno assunto un atteggiamento di aperta diffidenza, se non di ostilità, alle lusinghe occidentali con la conseguenza che il sofisticato arsenale di soft ed hardpower occidentale, compreso quello finanziario, rischia paradossalmente di essere ritorto ai danni dei detentori. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Guerra ibrida ed eserciti in campo 1a parte_con Alessandro Visalli

Lo scontro militare in Ucraina sta sempre più assumendo le caratteristiche di un confronto a tutto campo tra Russia e Stati Uniti. Le apparenze dettate dalla propaganda e dall’enorme impegno del sistema mediatico narrano di una Russia isolata, impacciata nella sua autorevolezza e capacità di argomentazione, in stallo militarmente, completamente esposta alle sanzioni economiche e alla onnipotenza del sistema finanziario.L’Occidente in realtà rischia di rimanere vittima della propria propaganda. Nella realtà, gli spazi e le opportunità offerte da un mondo ormai multipolare offrono margini crescenti di azioni e di contromisure alle forze di fatto antagoniste sino a ritorcere e ad erodere l’efficacia degli strumenti più in voga del dominio statunitense; tra di essi quello finanziario. E’ una novità, ma non è una condizione inedita nella storia. Alessandro Visalli ci offre numerosi spunti in proposito. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Ucraina, il conflitto militare_3a parte_con Max Bonelli

Con il passare del tempo affiora sempre più il pieno coinvolgimento occidentale nel conflitto russo-ucraino. Non solo nel coordinamento, nella rilevazione dei dati e nelle forniture militari. Arrivano le prime immagini di militari catturati al fronte, in attesa che la prossima resa all’acciaeria Azovstal rigurgiti il boccone più grosso. Potrebbe essere una grande vittoria di immagine; potrebbe al contrario rivelarsi un importante episodio di un progressivo processo di assuefazione alla guerra tale da rendere accettabile un intervento diretto delle forze di singoli paesi della NATO. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Stati Uniti! Turbolenze interne e avventure esterne_con Gianfranco Campa

Una amministrazione e una compagine politica in crescente difficoltà. Il tentativo di recuperare una narrazione che riesca ad attirare almeno in parte i consensi nel ceto medio professionale americano migrato ormai nell’area repubblicana. L’impossibilità di far corrispondere alle parole i fatti. La percezione che gli equilibri interni e il dominio degli attuali centri decisori siano ormai scossi definitivamente dal consolidamento della fase multpolare. Un mix esplosivo che sta spingendo i centri decisori verso scelte di vero e proprio avventurismo militare e di pura provocazione. La guerra in Ucraina è solo un momento di uno stillicidio sempre più frenetico. Il viaggio della famiglia reale di Giordania e di Mario Draghi negli Stati Uniti, l’opzione di ulteriore riarmo del Kossovo offrono qualche indizio sulle pedine più solerti e disponibili ad essere utilizzate in questa strategia della tensione continua e sulla geografia di questi futuri esercizi temerari. Le élites stanno cogliendo il punto di svolta e cominciano ad adeguarsi alla nuova realtà e ad approfittare delle nuove opportunità. E’ tempo di sollevare gli sguardi e uscire dall’apatia. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Ucraina, una realtà rimossa_con Max Bonelli

Poiché il Team di You Tube ha rimosso il video, l’unico link disponibile è quello di rumble. D’ora in poi si suggerisce di privilegiare tale accesso

La realtà della situazione in Ucraina fatica pesantemente ad emergere non ostante alcune crepe che qua e là cominciano ad emergere nel sistema mediatico nazionale. Una cappa opprimente comune a tutti i paesi europei, ma che in Italia sta raggiungendo i vertici della disinformazione più dozzinale. Negli Stati Uniti, come testimoniato anche dal filmato iniziale di questa conversazione, la situazione è in buona misura diversa e più favorevole. Merito soprattutto dello scontro politico aperto fra le compagini politiche e all’interno degli stessi centri decisori; grazie anche al fatto che quanto avviene in Europa e nell’Ucraina stessa non è solo la conseguenza, ma l’esito diretto di decisioni statunitensi prese sul campo con una catena di comando sempre più diretta. E le decisioni, per essere prese e per renderle efficaci, hanno bisogno di una relativa trasparenza nella fase di elaborazione. I paesi europei sono sempre più, con rare eccezioni, soggetti passivi di queste scelte. La mediocrità tragicamente banale del ceto politico e della classe dirigente italiani, a cominciare dai nostri due presidenti, ne sono l’emblema più disarmante e sconfortante. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Stati Uniti, Russia! Nebbia della guerra, nebbie nelle menti_con Gianfranco Campa

Un presidente ormai isolato, ignorato, oltre il limite del patetico. Un ceto politico sempre più privo di senso istituzionale, tutto preso dallo scontro politico e dalle beghe interne. E’ la situazione paradossale della più grande potenza mondiale, laddove solo il Pentagono e quindi gran parte delle più alte cariche militari sembrano aver conservato prudenza e lucidità in un contesto geopolitico sempre più mutevole e conflittuale. L’Ucraina è attualmente il centro focale delle attenzioni, ma è sicuramente uno soltanto degli episodi che costelleranno la scacchiera internazionale in uno stillicidio di provocazioni e risposte. L’Ucraina è attualmente un porto delle nebbie dove la verità pretende di essere dettata dai detentori della propaganda e del sistema mediatico. Vedremo se il castello di menzogne riuscirà a reggere sino al logoramento dell’iniziativa russa oppure andrà incontro al crollo di una realtà politica e socioeconomica che, specie in Europa, si avvia sempre più velocemente verso un drammatico dissesto. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Russia, Ucraina! Guerra civile e guerra tra stati_con Antonio de Martini

Tutta la saggezza e la maestria di Antonio de Martini. Siamo tutti impegnati a seguire e decifrare i movimenti militari nella guerra in Ucraina. Con essi i risvolti tragici legati ad esecuzioni e rappresaglie con il corollario delle morti dei civili; inevitabili queste ultime come in una qualsiasi guerra moderna, ma in una dimensione molto ridotta almeno sino ad ora, se comparato con quanto successo in Iraq, in Siria, in Afghanistan. Una condotta militare dettata da una scelta politica precisa da parte di Putin. La dovizia di fatti e di immagini induce e serve a nascondere il filo conduttore delle strategie politiche in corso. De Martini lo sottolinea continuamente. Strategie il cui filo conduttore si può ricondurre agli antefatti della guerra civile in Russia di un secolo fa con la diretta partecipazione di anglosassoni e a quelli della seconda guerra mondiale, riconducibili alla rete di contatti costruita dai tedeschi e riportata nella loro integrità agli statunitensi nel secondo dopoguerra. Una trappola ordita dal mondo anglosassone, dalla quale il governo russo mostra di poterne uscire con grande difficoltà. Più il conflitto rischia di assumere i connotati di una guerra civile, più lo scontro rischia di impantanarsi seguendo direzioni imprevedibili. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Stati Uniti, Ucraina e il punto di rottura_con Gianfranco Campa

Joe Biden e lo staff presidenziale, se non il momento di sintesi, avrebbero quantomeno dovuto essere il punto di mediazione del coacervo di interessi e di indirizzi politici in grado di sconfiggere con qualsiasi mezzo Trump ed imporre la conduzione di una linea politica che ristabilisse all’interno il pieno controllo del paese senza modificarne sostanzialmente gli equilibri, sarebbe meglio dire gli squilibri politico-sociali e all’esterno il predominio statunitense unipolare o tutt’al più bipolare, ma con una Cina appesa al processo di globalizzazione da essi disegnato. L’impresa era di per sè ardua ed improbabile; la vivacità e distruttività dello scontro politico interno ne hanno reso la conduzione talmente oscillante ed inaffidabile sino a suscitare la diffidenza e l’ostilità persino nel complicato sistema di alleanze in divenire contro la Cina e la Russia, riuscendo a rafforzare un asse sino-russo ed un loro timido avvicinamento ad una pletora di paesi altrimenti in aperto o sordo conflitto sino ad un decennio fa. L’unica miserabile eccezione a questa volatilità rimangono i centri decisori dei paesi europei aggrappati a qualsiasi prezzo ad una parte dei centri decisori statunitensi, anche a costo di vedersi trascinati in una guerra come vittime designate. Una postura suicida che condannerà al dissesto intere nazioni e ad una sopravvivenza precaria le loro classi dirigenti. La evidente mediocrità dello staff presidenziale e i limiti fisici stessi di Joe Biden hanno trasformato in pochi mesi l’intera compagine in un vaso di coccio strattonato e stritolato da tendenze contrapposte. Il punto in comune di esse sono la russofobia; quello che li divide è il livello di conflittualità nei confronti della Cina. Una situazione aperta a svariati punti di arrivo ma pericolosissima ed esposta a colpi di mano imprevedibili. In questi spazi il movimento di Trump, pur tra mille limiti ed esposto ad operazioni trasformistiche, potrebbe trovare enormi praterie da percorrere con esiti altrettanto imprevedibili per gli Stati Uniti e di riflesso nel mondo. Joe Biden sarà la prima vittima designata, per meglio dire il caproespiatorio da sacrificare; Kamala Harris, nella sua vacuità, lo seguirà a ruota. Riemergono in lizza vecchie cariatidi e nuove figure dal futuro incerto. Nel frattempo l’offensiva russa in Ucraina si consolida e consegue i primi significativi successi; il battaglione Azov ha perso ormai i 3/4 dei suoi effettivi e l’intero comando abbattuto questo pomeriggio; il resto delle compagini neonaziste si avvicinano alla stessa fine, sperando che il resto dell’esercito ucraino riesca a separare da esse il proprio destino; la minaccia nucleare somiglia sempre meno ad un videogame. Ascoltate Gianfranco Campa! E’ una voce unica nel panorama italiano. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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