Il gioco delle maschere, di Giuseppe Masala e Andrea Zhok

GIUSEPPE MASALA

Intanto un Palamara totalmente impazzito su #La7 definisce i processi a Berlusconi “un tema da sviluppare”. Lasciando intendere che l’abbiano perseguitato, non che ci voglia molto a capirlo. Chiaro che Palamara sta mandando messaggi del tipo:<<O mi tirate fuori o vuoto il sacco e crolla tutto>>, una sorta di Opzione Sansone la sua.
Ho sempre avversato Berlusconi non condividendo nulla delle sue idee politiche, ma un altro conto è sapere che parti della Magistratura lo perseguitavano giudiziariamente per farlo fuori dalla politica con accuse false e pretestuose così da consegnare il paese all’altra parte politica. Questo è un’attentato alla democrazia e alla Costituzione.

Noi abbiamo vissuto per trenta anni in una fiction. Un teatrino preordinato dove ci hanno fatto apparire un innocente come un criminale e una banda di criminali come dei galantuomini. E tutto parte da quelle maledette bombe del 1992 quando uccisero Falcone e Borsellino. Lì è iniziata la tirannide conosciuta come Seconda Repubblica. E anche lì tentarono – lo dico da anni – di buttare le colpe a Berlusconi come “mandante occulto” anche grazie all’incessante campagna di stampa del Gruppo L’Espresso-Repubblica (che il qui scrivente, all’epoca ragazzetto, prendeva come oro colato). No, cari, simili attentati li fa chi controlla i gangli vitali dello Stato (a partire dai Servizi) e per controllarli devi essere dentro lo Stato e dentro il Governo. Berlusconi entrò in politica nel 1994, dunque dopo che avvennero i fatti che deviarono la traiettoria della Storia nazionale.

Tutto parte in quell’anno maledetto e bisogna ragionare su chi allora stava al Governo (idem per le bombe stragiste dell’anno successivo).

ANDREA ZHOK

Il tema dei rapporti politica-magistratura, scoppiato col caso Palamara, è complicato, intricato, coinvolge personalità potenti e influenti, implica poteri fondamentali dello Stato, capaci di distruggere qualunque eventuale avversario, e menziona situazioni, incontri informali, accordi privati che per loro natura non verranno mai completamente alla luce.

In questo senso, la speranza, che “un’inchiesta faccia completa luce sulle responsabilità” fa la sua bella figura accanto alla speranza che Babbo Natale scenda dal camino o che gli asini spicchino il volo.
Semplicemente non avverrà mai.
Verranno cambiati alcuni suonatori nella stessa orchestra, con lo stesso spartito.

Esiste un’unica posizione che è possibile tenere su questo tema, se si vuole salvare una qualche credibilità istituzionale.

Il potere giudiziario è uno dei tre poteri fondamentali dello Stato (accanto a legislativo ed esecutivo).

L’indipendenza dei poteri fondamentali è la garanzia per un minimo funzionamento democratico, e nello specifico l’indipendenza tra potere giudiziario e i due poteri politici (legislativo ed esecutivo) è il livello di separazione di gran lunga più importante e decisivo.

Ergo, il potere giudiziario deve essere totalmente, integralmente ed irrevocabilmente estraneo al posizionamento politico.

E’ semplicemente folle che soggetti chiamati a decidere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, soggetti che hanno potenzialmente un potere di ricatto infinito rispetto a qualunque cittadino, si organizzino apertamente secondo linee di appartenenza politica (come le correnti dell’ANM).
E’ uno scandalo, che dura da troppo tempo.

Si dice: “Ma i magistrati, dopo tutto, non sono cittadini come gli altri? E non devono avere come tutti i cittadini il diritto ad organizzarsi politicamente?”

E la risposta è: “No, i magistrati non sono cittadini come tutti gli altri. Sono quei cittadini particolari chiamati a giudicare secondo equanimità e giustizia ogni altro cittadino. Sono i rappresentanti di un potere fondamentale dello Stato, capace di mettere in scacco ogni altro rappresentante di altri poteri fondamentali, e a maggior ragione ogni altro cittadino qualunque. Nessun altro singolo soggetto in una democrazia ha un potere simile.”

L’organizzazione dei magistrati secondo linee politiche, e la stessa esplicitazione pubblica di posizioni politiche, deve essere semplicemente vietata ad un magistrato, fino a che indossa quelle vesti.

Si vuol dire che poi comunque, privatamente, ciascun magistrato le proprie opinioni politiche le avrà comunque? Certo, ma almeno – e non è poco – non potrà utilizzare la sfera delle opinioni politiche come fattore utile a pervenire ad accordi intersoggettivi con altri suoi pari. Un’opinione coltivata meramente nel proprio foro interiore è infinitamente meno potente di un’opinione intorno a cui si possono esplicitare accordi.

Se un magistrato decide di entrare esplicitamente in politica, cosa che costituzionalmente non gli può essere negato, deve uscire definitivamente dal suo ruolo come magistrato.

Ogni altra mediazione è democraticamente inaccettabile.

il razzismo degli antirazzisti, di Giuseppe Germinario

Qui sotto la traduzione di un articolo della rivista statunitense di categoria delle forze di polizia particolarmente espressivo della situazione e dello stato d’animo delle forze dell’ordine. Una condizione non nuova, ma che sta trovando un momento di precipitazione nell’attuale situazione di conflitto politico e disordine sociale di quel paese. Questa volta anticipiamo la traduzione cui seguirà un lungo commento proprio per non scoraggiarne la lettura.

America, ce ne stiamo andando

Sembra ormai chiaro che il cambiamento degli equilibri geopolitici, gli squilibri della formazione socio-economica, l’insolita asprezza del conflitto politico stiano intaccando pesantemente l’assetto istituzionale ed inizino ad intaccare la fluidità di funzionamento degli apparati statali e pubblici sino a raggiungere le stesse forze dell’ordine statunitensi. L’ondata di proteste scatenata dall’uccisione di Floyd a Minneapolis rientra tra le spallate ormai sempre più frequenti in grado di accentuare l’instabilità di quell’edificio politico. Gli atti peggiori hanno però spesso bisogno di ammantarsi della più nobile delle motivazioni. https://twitter.com/RPD_PSI/status/1267202275895803904La denuncia di razzismo rientra a pieno titolo in questa casistica. Per cogliere al meglio il peso di tali valutazioni occorre porsi delle domande e fornire qualche dato.

Il comportamento delle polizie e delle forze dell’ordine possono essere tacciate oggi di discriminazione razziale? I dati diffusi confermano questa tesi e questa convinzione così diffusa in determinati ambienti sociali e politici?

Le forze dell’ordine americane hanno compiuto nel 2019 370 milioni di interventi con circa mille uccisioni di cittadini e la morte di diverse decine di poliziotti in un contesto di libera circolazione delle armi.

La percentuale di morti neri rispetto a quelli di origine europea è 2 volte e mezza maggiore. La percentuale di neri che hanno minacciato e aggredito con armi e automezzi le forze dell’ordine è di gran lunga maggiore rispetto a quella dei bianchi. I neri sono i maggiori responsabili della morte violenta di neri; uccidono molto più spesso i bianchi che viceversa. ( I dati sono tratti da https://www.washingtonpost.com/graphics/2019/national/police-shootings-2019/?fbclid=IwAR10teMtLb9P9kpFgMeDivzonaf6DBEXBvO3heztwArU43JqgD0TkdZd9JM e dalle statistiche della FBI).

I neri di recente immigrazione sono molto più integrati e riescono a migliorare la loro posizione sociale molto più dei neri delle comunità originarie americane. Si potrebbe continuare su questa falsariga. Questi, come altri dati, non ci dicono che il razzismo è scomparso da quella società. Ci dicono che non investe le istituzioni in quanto tali. Gli Stati Uniti attuali sono molto diversi da quelli di cinquanta anni fa. Ai propositi di “melting pot” si è sostituita la chiusura e la giustapposizione di comunità. Il degrado sociale e delle aspettative le attraversano sempre più trasversalmente. Il mercato elettorale, perché sempre più di mercato ormai si tratta, si è prontamente adeguato alla situazione. Più che preoccuparsi di creare un linguaggio comune fatto di significati condivisi e doveri e diritti comuni, le famiglie politiche conseguono il successo elettorale assecondando le rivendicazioni più disparate e i diritti e processi identitari più particolaristici. L’assetto democratico di quel paese sta rivelando limiti analoghi all’applicazione dei sistemi democratici nelle società di tipo tribale. I paradossi in effetti non mancano. Dal razzismo si sta passando ai razzismi. Una sorta di nemesi delle intenzioni dei progressisti. I disordini e le contestazioni hanno mostrato la loro maggiore virulenza proprio in quelle città, per lo più democratiche, dove più il ceto politico prevalente ha assecondato queste tendenze. Ha compreso e appoggiato i manifestanti e contemporaneamente è finito sotto accusa perché responsabile da decenni della organizzazione delle polizie locali così duramente contestate. Alla fine piuttosto che dimettere i responsabili, tra le forze dell’ordine, degli atti di arbitrio specifici e reprimere i pesanti atti di vandalismo e linciaggio, piuttosto che compromettere assetti di potere ultradecennali ha preferito assecondare gli istinti e sottomettersi al pubblico ludibrio https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/06/07/george-floyd-il-sindaco-di-minneapolis-si-unisce-ai-manifestanti-ma-viene-contestato-vergogna-torna-a-casa-ed-e-costretto-ad-andarsene/5827143/ e delegittimare le istituzioni in quanto tali con pubblici atti di prostrazione e contrizione.  

Atti che hanno trovato emuli patetici ed interessati anche qui a casa nostra

E’ la goccia che sta facendo traboccare il vaso. Lo scoramento e la disaffezione tra le forze dell’ordine sono al livello di guardia; l’abbandono delle fila assume dimensioni preoccupanti; corrispondentemente le forze anarcoidi e le bande si stanno ringalluzzendo.

https://www.foxnews.com/media/tulsa-police-travis-yates-law-enforcement-exodus?fbclid=IwAR1kANFZ4DhLMebJ40idwBEkpEimVmsqRXhL4z1zX1ROKSMuJyexxgxJOIo

La conseguenza sarà che per rimpolpare le fila dovranno abbassare gli standard qualitativi per le assunzioni di poliziotti avvicinandoli pericolosamente ai livelli sudamericani per non parlare delle tentazioni di autogoverno e di iniziative autonome. Se queste sono le tendenze di medio periodo, un discorso a parte merita una contingenza politica perfettamente inserita in queste dinamiche. Trump è sempre più il nemico delegittimato da abbattere. Alle soglie di una inchiesta che rischia di ribaltare le accuse del Russiagate e dell’Ucrainagate, di compromettere ex capi della FBI, di Stato ed aspiranti candidati alle presidenziali, di smascherare alla luce del sole le connivenze vergognose di uomini politici e funzionari degli apparati di sicurezza europei, le manifestazioni ed i disordini si stanno rivelando un provvidenziale diversivo teso a prendere tempo e distogliere l’attenzione. I sempre più frequenti appostamenti, aggressioni, agguati e uccisioni ai danni di singoli poliziotti, bianchi e neri e delle loro famiglie creano un clima di ingovernabilità che potrebbe legittimare la richiesta di decadenza prematura dell’attuale Presidente, ormai sempre più accerchiato da avversari e finti amici, da apparenti difensori che non fanno altro che perdere tempo prezioso nel concludere le indagini sulle manipolazioni delle inchieste. Una situazione che potrà portare alla vittoria non risolutiva di una fazione, non di una classe dirigente legittimata da tutto il paese. Una eventuale vittoria su Trump, per altro per nulla scontata, si rivelerebbe allora ancora più amara, più disastrosa e distruttiva di una sua riconferma sia per il paese che per lo stesso ceto politico a lui ostile; proprio per l’ostilità organizzata e al momento silenziosa che cinque anni di delegittimazione pretestuosa hanno fatto crescere nello zoccolo duro del suo elettorato ormai in possesso di qualche aggancio negli apparati. George Soros tre anni fa era stato profetico. Ma era solo preveggenza?

Le vere ragioni della morte di Abdelmalek Droukdal, di Bernard Lugan

Qui sotto la traduzione del notiziario di Bernard Lugan, il più puntuale analista francese della situazione sociopolitica del continente africano. Buona lettura_Giuseppe Germinario

Abdelmalek Droukdal, il capo di Al-Quaïda in tutta l’Africa del Nord e la fascia sahéliana, da due decenni l’uomo più ricercato in Algeria, ha abbandonato il suo santuario di Kabylia con il suo Stato Maggiore per raggiungere il nord del Mali laddove l’armata francese lo ha abbattuto. E’ stato «neutralizzato» nella regione di Tessalit, in territorio touareg; un dato dalla importanza fondamentale.

Sorgono due domande:
1) Perché ha corso questo rischio?
2) Perché era diventato imbarazzante per gli algerini i quali non potevano non sapere del suo “spostamento”?

1) Per diverse settimane, i gruppi jihadisti dalle obbedienze diverse e dalle motivazioni disparate si sono combattuti nella BSS (Fascia Sahelo-Sahariana). Un conflitto aperta e scoppiato contemporaneamente tra l’EIGS (Stato islamico nel Grand Sahara), legato a Daesh e i gruppi che si richiamano al movimento di Al Qaeda, gli EIGS accusati dai primi di tradimento. Di fatto, i due principali leader etno-regionali della nebulosa di Al Qaeda, vale a dire il Touareg ifora Iyad Ag Ghali e il Peul Ahmadou Koufa, capo della Katiba Macina, stanno attualmente negoziando con Bamako.

2) L’Algeria è inquieta nel vedere Daesh avvicinarsi  alle sue frontiere. Or dunque, poiché considera il BSS come propria retrovia, l’Algeria ha sempre “patrocinato” un accordo di pace. Il suo uomo sul posto è Iyad ag Ghali la cui famiglia vive in Algérie dove possiede una casa. Politicamente egli dispone di quattro referenze:
– Egli è touareg ifora;
– è musulmano «fondamentalista».
– Oltre al sostegno dei touareg, dispone di una base popolare a Bamako grazie alla fedeltà dell’imam Mahmoud Dicko.
– Soprattutto, è contrario alla dissoluzione del Mali, una assoluta priorità per l’Algeria, che non vuole un Azawad indipendente; rappresenterebbe un faro per i propri Touareg.
La negoziazione che procede al momento «discretamente» ha per scopo la regolazione di due conflitti differenti i quali, non ostante le apparenze e la versione popolare, non hanno una matrice islamica. Si tratta in effetti di conflitti iscritti nella notte dei tempi, come descritti da me nel libro Les Guerres du Sahel delle origini in nessun viaggio,  di risorgenze etno-storico-politiche-oggi mimetizzate dietro il paravento islamico.
Questi due conflitti, ciascuno dalla propria dinamica sono:
– Quello del Soum-Macina-Liptako, condotto dai Peul; da qui l’importanza di Ahmadou Koufa.
– Quello del nord Mali, l’attualizzazione della tradizionale contestazione dei touareg; da qui l’importanza dell’Iad di Agha.
Or dunque, Abdelmalek Droukdal era contrario a questi accordi, e aveva deciso o ancora era stato persuaso a recarsi nella zona, forse per ristabilire un modus vivendi con Daech. Mais, surtout, per riprendere in mano e imporre la propria autorità a sua volta a Ahmadou Koufa e a Iyad ag Ghali.
Rappresentava dunque l’ostacolo al piano di pace regionale tendente a isolare i gruppi di Daech, in modo da regolare  rispettivamente il problema touareg in Mali e il problema peul nel sud del Mali e nel nord del Burkina Faso. Ecco il perché della sua morte.

Lo stratagemma della “salsiccia” dei gruppi terroristi è perfettamente riuscito. Prova due cose:

1) L’Algeria è tornata nel conflitto.

2) I militari francesi che hanno condotto l’operazione si sono ispirati alla massima di Kipling secondo il quale “il lupo afghano è inseguito in Afghanistan dal levriero afghano”.

In altre parole, non cesso di dirlo dall’inizio del conflitto, una raffinata conoscenza delle popolazioni che è indispensabile

Se la strategia dovesse essere coronata da successo, con il ritorno al gioco politico dei Touareg uniti dalla guida di Iyad ag Ghali e  dei Peul, al seguito di Ahmadou Koufa,

si potranno concentrare tutti i mezzi  sull’EIGS, con uno scivolamento delle operazioni verso l’est del Niger e della BSS.

Il problema è ormai è di sapere se il Fezzan Libico sta sfuggendo al generale Haftar (voce del comunicato del 28 maggio 2020 ). Nel caso la Turquie, nostro «buono» e «leale» alleato in seno alla NATO, avrebbe dunque un corridoio che consentirebbe ai propri servizi una linea diretta per sostenere i combattenti dell’EIGS. L’imperativo sarà quindi di riprendere il controllo fisico della regione di Madama, in modo da impedire la rianimazione del terrorismo attraverso la Libia.

Maggiori informazioni sul blog di Bernard Lugan

COVID-19 E POLITICA: LO STATO DELLE COSE, di Vincenzo Cucinotta

Continuiamo il dibattito non tanto sull’aspetto sanitario, quanto sulla gestione politica della crisi pandemica e sulle enormi implicazioni che stanno entrambe comportando. Di queste non vi è ancora una chiara percezione anche se una profonda inquietudine sta percorrendo l’intero paese_Giuseppe Germinario

I fatti dovrebbero ormai essere noti a tutti, visto dall’Italia, osserviamo verso la metà di gennaio una straordinaria campagna mediatica che vede quelli che almeno allora c’apparivano come casi sporadici in Cina conquistare i titoli di prima pagina. Nel giro di due settimane, senza apparentemente che succedesse qualcosa che riguardasse direttamente il nostro paese, ma soprattutto nel silenzio assoluto dei media, il governo dichiara lo stato di emergenza, cosa che veniamo a conoscere due settimane circa più tardi, quando, siamo ormai a metà febbraio, si comincia a creare un clima di panico che la stampa coltiva abilmente.

Quindi, proprio all’inizio della vicenda COVID-19, siamo in presenza di eventi incomprensibili, da una parte la stampa fa esattamente l’opposto di quanto ha fatto in tutte le altre occasioni, invece di minimizzare l’effetto di epidemie per contrastare ogni forma di allarmismo, fa l’esatto contrario, lo alimenta ad arte, dall’altra una decisione così delicata, rara e grave come la dichiarazione dello stato d’emergenza non solo non viene comunicata dal governo, ma viene oscurata dai giornali che non potevano ignorare quanto accaduto, visto che fa parte del loro mestiere controllare dettagliatamente l’operato del governo e nel contempo seguire ciò che viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Quindi, sanno, ma tacciono, e nessuno si è preso la briga di spiegarci perché.

Fatto sta che nelle settimane che ci separano da allora, si viene ad attuare un gigantesco piano di sospensione della costituzione con un governo che decide in assenza di qualsiasi controllo parlamentare, visto che addirittura nelle prime settimane il parlamento è rimasto chiuso ermeticamente, di operare attraverso il meccanismo del DPCM che ha la forma del provvedimento amministrativo, ma che è stato in questa occasione ripetutamente utilizzato per adottare decisioni politiche su temi tra l’altro della massima delicatezza.

In sostanza, da un giorno all’altro, c’hanno sottoposto tutti quanti a detenzione domiciliare, una misura che ordinariamente può essere comminata soltanto dal potere giudiziario a seguito di accertamento in sede processuale di violazione di norme penali.

Una situazione così eccezionale intanto dal punto di vista giuridico, in ogni caso mai prima verificatasi nei 75 anni di storia della Repubblica Italiana viene motivata da esigenze sanitarie che vengono dichiarate eccezionalmente gravi.

Faccio presente che nella prima settimana di vigenza dello stato di emergenza, ancora il segretario del PD sfidava la Lega che chiedeva di isolarci dalla Cina, addirittura organizzando un party in onore dell’ambasciatore cinese in Italia, mentre nel frattempo ed ancora per le successive settimane, il governo non ha preso nessuna iniziativa per rafforzare le strutture sanitarie. Ricordo che perfino un cospicuo quantitativo di mascherine venivano inviate sottraendoli alla disponibilità del nostro paese come gesto di solidarietà a uno dei paesi dove la COVID-19 già circolava.

Adesso, c’è del positivo nella solidarietà internazionale, come ci può essere del politicamente appropriato nel volersi distanziare dai partiti avversari sul tema mai sopito dell’accoglienza, ma ciò che risulta del tutto inaccettabile è che questi eventi avvenivano quando già a nostra insaputa ci trovavamo in stato di emergenza. Mi pare evidente che la dichiarazione di stato di emergenza è stata imposta dall’estero al nostro governo come confermato dalla circostanza che i nostri governanti neanche sapevano quale fosse l’emergenza e continuavano tranquillamente ad operare come se non vi fosse.

Se queste conclusioni raggiunte su una base del tutto logica mi fanno definire complottista, ebbene sì, sono orgoglioso di essere un complottista perchè l’alternativa sarebbe quella di bersi tutto, un livello di credulità così alto da rischiare di sconfinare nell’imbecillità conclamata.

Coerentemente con questa impostazione orgogliosamente complottistica, dico che sarebbe fondamentale sapere chi sia stato il soggetto a dare al governo questo imperioso suggerimento. A me pare ragionevole che esso coincida col soggetto che aveva ordinato alla stampa mondiale di lanciare la campagna allarmistica dalla quale rischiamo di non uscire più. Capire questa primissima fase della vicenda COVID-19 è a mio parere l’unico modo per capire poi tutto ciò che seguirà, perché proprio allora si sono creati i presupposti per la gestione futura. Dirò anzi che tutto ciò che conta è avvenuto entro febbraio, il resto, pur contornato da chiacchiericcio vario ed eventuale, ne è solo lo sviluppo necessitato. Così, la funzione di questi medici che si sono dati alla consacrazione mediatica, hanno soltanto svolto il ruolo di conferma di quanto diceva il governo che a sua volta confermava quanto stabilito dai media. I media hanno guidato le danze, gli altri più o meno riluttanti sono venuti al seguito.

Dire che l’iniziativa è avvenuta sotto la guida dei media, significa anche dire che il punto fondamentale dell’intera vicenda risieda nella campagna mediatica e nel panico deliberatamente così diffuso. Chi poteva essere convinto a starsene rintanato nella propria abitazione rinunciando alle proprie relazioni sociali extra-familiari, al sole della primavera incipiente, allo stare liberamente all’aria aperta obbedendo a a un CdM irresponsabile perchè sottratto al controllo parlamentare col sotterfugio di sfruttare la modalità amministrativa che aveva a disposizione, per scopi legislativi, direi un vero e proprio colpo di stato per eccesso di potere direi da profano di giurisprudenza (i miei amici giuristi spero mi giustificheranno)?

L’unico modo poteva essere quello di dirgli che se avesse messo il naso fuori di casa, sarebbe morto, e devo dire che l’assurda e criminale gestione della vicenda da parte della Regione Lombardia ha finito con l’aiutare la diffusione del panico incrementando enormemente i decessi. Non so se senza il clamoroso flop lombardo il panico si sarebbe diffuso così capillarmente.

Sulla base di quanto qui ho ripreso dalla cronaca di queste settimane che c’hanno preceduto, mi sono fatto l’opinione che il fine della gestione partita dall’estero dell’intera vicenda fosse proprio verificare fino a che punto in presenza di un pericolo più o meno vero ma presentato pure come un pericolo estremo, la gente fosse stata disposta a rinunciare praticamente a tutto tranne alla propria nuda vita, cioè alla sopravvivenza fisica, quasi in quel letargo nel quale alcun animali trascorrono la stagione fredda. L’esperimento è perfettamente riuscito come sappiamo, io credo ben al di là delle loro più ottimistiche previsioni.

Rispondo alla ovvia obiezione che viene fatta a tale ipotesi e cioè che i capitalisti mai avrebbero deciso di impoverirsi come si sono impoveriti di già per il calo vertiginoso della domanda. Bisogna ricordare che la ricchezza non è in sé un fine naturale dell’uomo, cioè l’uomo naturale non tende certo alla ricchezza visto che tra l’altro non ha modi concreti per accumularla in modo stabile nel tempo. Ciò che invece è una costante non solo dell’uomo ma di tutti gli animali superiori è la ricerca del potere. I capitalisti amano il potere e se lo assicurano con la ricchezza. Tuttavia, vista da questa prospettiva, ciò che realmente conta per detenere il potere non è il livello assoluto della ricchezza, ma quello relativo, per schiavizzare gli altri uomini è più importante il rapporto tra i rispettivi redditi e capitali posseduti. Ci impoveriamo tutti, ma per me quella riduzione di ricchezza non è nulla s enon un numeretto sul computer che cala, non cambia la mia vita come invece la cambia per noi che sentiamo subito una riduzione reddituale. I capitalisti potrebbero avere scientemente scelto di impoverire la società e perfino loro stessi perchè attraverso tale impoverimento, escono dalla crisi finanziaria incombente e aumentano il loro potere sulle masse di diseredati.

La malattia tuttavia rimane col suo grado non trascurabile di pericolo, soprattutto a causa della sua contagiosità, e i suoi effetti si fanno ancora sentire, ci sono ancora decessi a tre cifre giornalmente, e ciò contribuisce a mantenere alto il grado di terrore nella popolazione.

Qui, si divaricano due differenti ipotesi che quanto accadrà nel futuro più prossimo ci chiarirà.

L’una considera che la vendita di un vaccino sia il fine che obbliga a non disperdere il panico esistente, a mantenerlo vivo per aumentare il valore del vaccino prossimo futuro. A me appare francamente eccessivo che questo fine possa giocare un ruolo così determinante nella vicenda perchè il Gates di turno non dovrebbe avere a che fare solo con cittadini inermi come noi, ma con altri capitalisti che egli danneggerebbe se spingesse per mantenere l’attuale situazione. D’altra parte, non ricordo chi, avanzava un’ipotesi interessante, che basandosi sulla mutabilità dei coronavirus, Gates puntasse a una specie di tagliando di manutenzione come egli del resto fa come Microsoft con il suo software, imponendo di fatto un continuo costoso aggiornamento Ciò sicuramente gli assicurerebbe un margine di profitto davvero enorme. Continuo tuttavia a mantenere un grande scetticismo verso questo scenario perché appunto non capisco come un singolo pezzo di potere finanziario possa riuscire a dettare legge anche danneggiando il resto della finanza mondiale.

Propendo quindi per un secondo scenario. Esso prevede che chi ne aveva interesse, abbia sfruttato adeguatamente la pandemia per utilizzarla successivamente e io penso con una certa gradualità. Se ci siamo adattati a cedere i nostri diritti individuali e collettivi, e i nostri diritti politici per una volta, basterà creare artificialmente una nuova situazione di emergenza per sottrarceli ancora e poi a poco a poco l’emergenza diverrà la norma, saremo proiettati in un futuro di società autoritaria. In questo scenario, chi ha lanciato la campagna allarmistica non ha quindi alcun interesse a proseguirlo. Infatti, penso che oggi sia davvero il governo a mostrare questa ostinazione a mantenere i divieti.

Bisogna capirli, devono mostrare un certo grado di coerenza, non puoi far chiudere tutti e tutto per una malattia e improvvisamente, seguendo la curva dei casi che ci segnalano che decresce in modo molto lento, dare il “liberi tutti”. Inoltre, essi credono davvero che il contagio possa scoppiare nuovamente, e sanno che la gente non glielo perdonerebbe. Quindi, si trovano tra due opposti fuochi, far ripartire l’attività economica prima che la povertà approfondisca i suoi effetti, ma nel contempo evitare una nuova fiammata da coronavirus.

Ho l’impressione che abbiano imboccato una strada sbagliata pensando a soluzioni di compromesso che nella situazione data non ci possono essere. Non puoi pensare di rilanciare l’economia, citerò il caso del turismo dove il tutto appare molto evidente, seguitando a imporre norme di distanziamento, perchè così viene a mancare un elemento fondamentale, quel senso di libertà fosse pure apparente che fa della vacanza un evento ludico. Andare in vacanza per seguire pedissequamente le norme, magari portandoti dietro un metro oltre la rituale mascherina e i guanti, per tanti potrebbe apparire non essere più di alcun interesse, e con i pochi soldi disponibili si può farsi tentare a rinunciarvi e magari mettere da parte i soldi così risparmiati, proprio quella scelta che dal punto di vista economico andrebbe evitata accuratamente.

Se quindi come ho tentato di argomentare prima, il principale effetto del lockdown è stata il panico verso una malattia peraltro di media gravità, non una semplice influenza, ma neanche la malattia che possa portare a chissà che effetti catastrofici, basta guardare alle cifre già di per sé probabilmente gonfiate, panico a mio parere deliberatamente creato e amplificato il più possibile, si può uscire da questa fase soltanto se si pone fine a tale stato di panico.

Ora, questa fuoruscita non è cosa che si possa attuare facilmente, già sospetto che ci siano robusti interessi perchè si crei un clima autorizzativo, nel quale cioè i nostri comportamenti sociali sono rigidamente regolamentati in modo quantitativo, ad esempio stabilendo la minima distanza interpersonale, bisogna che qualcuno che ne abbia l’autorevolezza affermi con assoluta certezza che il contagio non è più pericoloso.

Ciò a sua volta crea un problema addizionale, poiché i miglioramenti osservati non sono tali in sé da giustificare un tale capovolgimento di giudizio sulla malattia, occorrerebbe una piena sconfessione delle scelte precedenti. Qui, sta la contraddizione principale, è necessario che la gente smetta di avere paura, ma ciò non avverrà se non affrontando apertamente la valutazione spietata della cosiddetta fase 1. Dobbiamo capire che come dicevo la fase 1, o meglio ancora la fase 0,.. cioè quella addirittura antecedente, è l’unica decisiva. Lì, si creano intanto i presupposti ideologici per imporre il lockdown, proprio la fase che appare eterodiretta, da quel momento il governo riprende l’iniziativa proseguendo la stessa logica, ma con modalità scelte autonomamente.

Parlare oggi della fase 2 è distrarre l’attenzione dal nodo politico-ideologico che risulta determinante nelle modalità di vita alle quali ci troviamo sottoposti. Qui, porsi il problema di quanto aprire e di quanto chiudere è ignorare il nucleo fondamentale della vicenda, facendosi distrarre da decisioni spicciole che per quanto rilevanti ad esempio dal punto di vista economico, non possono alterare la questione di fondo, se cioè sia lecito allontanarsi dal quadro costituzionale per una sventurata malattia con la quale possiamo in ogni caso convivere pagandone prezzi socialmente ragionevoli.

Vi invito pertanto a guardarvi da chi invita ad andare avanti, a sfruttare questa occasione per liberarci di tutto quanto andava male prima della pandemia. E’ un’autentica stupidaggine, non si può fare nulla di buono partendo da una tale sconfitta verticale della democrazia, dall’essersi arresi a una politica dettata non si sa da chi in un processo assolutamente opaco.

Si può sempre ottenere bene dal male, ma prima bisogna sconfiggere senza tentennamenti ciò che ha provocato questo male, senza tale chiarezza, resteremo impantanati nel clima in cui c’hanno condotto, ci sarà qualcuno che in nome di qualsivoglia competenza ci spiegherà l’esigenza e i vantaggi di darci martellate sui genitali.

II parte

La rimozione, così ci insegnano gli psicologi, invece di costituire una soluzione, rappresenta soltanto l’incancrenirsi di un problema.
Credo che per la situazione storico-politica attuale, la chiave giusta per analizzarla sia proprio questa, di considerare il modo attraverso cui si vuole uscire dal lockdown come una forma di rimozione collettiva. Si pretende cioè di proporre una fuoruscita che ci si rifiuta di considerare ancora come ritorno a uno stato di normalità, senza esprimere un giudizio su queste settimane che ci precedono e che, ormai credo diventi sempre più una convinzione condivisa, segneranno profondamente il nostro futuro e non solo quello più prossimo, forse il futuro di un’intera generazione che ci subentrerà.
Come dicevo, il governo, i media e i medici mediatici se mi passate l’espressione sono molto cauti a parlare di ritorno alla normalità per timore che si scateni una reazione sociale eccessiva come se si liberasse una molla che si è continuato a comprimere per mesi.
Tatticamente, cioè, si tratta di un’operazione con una sua logica, ma rimane sempre la situazione da Scilla e Cariddi, attraversare lo stretto di Messina senza finire sugli scogli siciliani ma evitando nel contempo quelli calabresi.
La verità, e la trasmissione su Radiotre Rai di stamattina, mi pare che la rubrica si chiami “Tutta la città ne parla”, me lo conferma, è che siamo impantanati a causa del tabù che ci siamo imposti evidentemente sotto dettatura, di giudicare la fase precedente, quella di adottare un lockdown così severo, come se fosse possibile dire adesso che le misure di distanziamento non servono mentre allora erano necessarie, e nel contempo pretendere che sia possibile andare dal barbiere per appuntamento come ho dovuto verificare oggi quando pensavo, magari facendo un po’ di fila di potere avere tagliati i capelli oggi e mi sono sentito rinviare al 3 giugno, cioè di ben due settimane. Non si possono salvare capre e cavoli, che scelgano ciò che vogliono fare, continuare con il lockdown magari nella forma ammorbidita che a quanto ho capito il decreto prevede, e allora consegnarci alla miseria prossima ventura e forse a qualche scontro perchè la gente c’ha le palle gonfie di dovere subire tanti condizionamenti. Alternativamente, chiedano scusa agli Italiani, dicano che si sono fatti travolgere dal panico recando danni enormi al paese, e allora ribaltino di colpo le norme.
Come dicevo già in un altro post, salvare tutto non si può, si decida in un clima di follia collettiva che 30 mila morti è un numero di morti eccessivo e quindi aspettiamo che siano diciamo meno di dieci al giorno, e che il resto vada a ramengo.
Adesso, dobbiamo pretendere dalle forze politiche sia di maggioranza che di opposizione, posizioni chiare e univoche, li malediremo se sbagliano o forse verranno assassinati da un popolo che è stato portato al macello, se continuano con questo balletto che somma i difetti di entrambi le posizioni opposte, è evidente che non sono in grado di farci uscire da dove c’hanno portati.
Guardate, noi non stiamo nel minimo della parabola, il minimo di libertà, di agibilità politica, di PIL non corrisponde col massimo nelle condizioni di disagio in cui ci troviamo. Dopo una terribile carestia che ha colpito una zona, sarà anche possibile contrarre prestiti e continuare a mangiare con questi, ma il peggio verrà quando qualcuno ci costringerà a pagarli, e a questo punto non siamo ancora arrivati, ancora siamo nell’ora della solidarietà pelosa nella UE, delle dichiarazioni di non condizionalità e fregnacce simili. I veri guai verranno dopo, quando nessuno la citerà più la solidarietà, parlerà soprattutto della correttezza nel restituire quanto ti è stato prestato.
Oggi e già domani potrebbe essere troppo tardi, serve un partito sovranista che con logica sovranista affronti tutti questi temi recidendo e non alimentando i rapporti con i nostri aguzzini che ci danno credito a strozzo.

NB_tratti da facebook

 

Il Potere e l’Emersione/Caduta delle Nazioni, Di George Friedman

[Traduzione di Piergiorgio Rosso]

Qui sotto un interessante articolo di George Friedman che pone al centro la questione tra percezione e realtà di potenza nelle dinamiche geopolitiche. L’attenzione ovviamente si rivolge al confronto tra Stati Uniti e Cina, ovvero tra la potenza storica e quella emergente nel nuovo millennio. Un salutare invito al realismo dei rapporti di forza, ma anche una eccessiva schematicità, al limite della sicumera che lo spinge a glissare sul dirompente conflitto interno alle classi dirigenti americane e a quello potenziale e più sottotraccia che potrà investire quello cinese nel prossimo futuro. Un confronto che comunque, a prescindere dall’esito, non potrà ormai più ricacciare la Cina ad un ruolo marginale. Una dinamica che potrebbe mettere a nudo anche sorprendenti collusioni fra settori dei rispettivi gruppi dirigenti. Buona Lettura_Giuseppe Germinario

Il Potere e l’Emersione/Caduta delle Nazioni

Di George Friedman – 5 maggio 2020 – https://geopoliticalfutures.com/power-and-the-rise-and-fall-of-nations/
La settimana scorsa sono apparso su una stazione televisiva turca e ho parlato con un gruppo di imprese in Svizzera. La stessa domanda è stata al centro di entrambi gli eventi: a seguito della crisi del coronavirus, la Cina sostituirà gli Stati Uniti come potenza guida nel sistema internazionale? Era una domanda sconcertante dal mio punto di vista, ma il fatto che due gruppi intelligenti l’abbiano sollevata significa che deve essere capita o, se ciò non è possibile, almeno esaminata.

Percezione e Realtà

Non è una domanda nuova per me. Gli Stati Uniti sono da sempre stati visti come la potenza egemone e confrontata con le altre potenze emergenti. Con una certa regolarità la pubblica opinione americana e di altri paesi, arrivava alla conclusione che gli USA erano in declino e stavano per essere sorpassati da uno sfidante qualche volta dal punto di vista economico, qualche volta da quello militare, altre volte ancora in maniera coperta.

Negli anni cinquanta c’era una certa dose di maccartismo nel sostenere che gli USA fossero in declino e l’URSS stavano sorpassandoli. Quando i sovietici lanciarono lo Sputnik e mandarono Yuri Gagarin nello spazio, molti nel mondo erano convinti della superiorità sovietica, e molti negli Stati Uniti andarono nel panico a proposito della mancanza di enfasi sulla educazione scientifica. Quando gli USA furono sconfitti in Vietnam molti, anche fra gli analisti americani esperti,   conclusero che fossero in ritirata. Quando Nixon fu spodestato, il sospetto divenne certezza. Per quanto riguarda la Cina il fatto che avrebbe sorpassato gli USA economicamente era largamente accettato verso la fine degli anni ’90 ed i primi anni 2000. La velocità di crescita cinese era alta perché era stata preceduta dal disastro maoista. Estrapolando su questa base il PIL cinese avrebbe superato quello combinato del resto del mondo, incluso gli Stati Uniti.

Per buona parte del mondo il declino degli USA era auspicato ai fini della loro propria emersione. In altri casi era schadenfreunde [così nel testo. In tedescogodimento per le disgrazie altrui” – NdT]. In altri casi ancora era l’amarezza di vecchie potenze che stavano per essere rimpiazzate da una nazione che loro vedevano come del tutto inadatta all’egemonia.

Gli Usa erano al centro del sistema globale e la speranza che fallisse faceva vedere ogni errore come segno del collasso americano. Speranze simili riguardarono la Grecia alessandrina, Roma, l’Inghilterra e l’impero ottomano. Ogni passo falso ed ogni sfortuna era sottolineata come evidenza che la loro caduta era imminente. Nel tempo tutti questi imperi caddero, ma durarono per diversi secoli.

Le anticipazioni non derivavano da analisi spassionate ma dalla speranza. Come poteva Roma sopravvivere all’assalto di Annibale o i sovietici a quello di Hitler?

La percezione pubblica del potere è radicata in eventi che potrebbero avere poco a che fare con il potere. La realtà del potere può essere semplicemente definita come la capacità di costringere gli altri ad agire secondo i vostri desideri, anche contro i loro stessi interessi. Questa è un’equazione complessa. Da un lato è una definizione di come le nazioni possono costringere i comportamenti. Dall’altro lato c’è la valutazione da parte dell’oggetto del potere, se sia maggiore la pena della resistenza o la pena della capitolazione. Tutto questo può essere compreso solo nei dettagli: le nazioni coinvolte, cosa viene loro chiesto, l’intensità della pena e così via.

Ma gli strumenti generali del potere possono essere facilmente compresi. Esiste il potere militare, che è in definitiva la minaccia o la realtà della morte e della distruzione fisica. Esiste quindi un potere economico, che è il dolore che può essere inflitto da una vasta gamma di azioni economiche, come l’embargo di prodotti necessari o la manipolazione della valuta. Questo tipo di potere non infligge morte, ma limita la vita minacciando di infliggere povertà o abbassare il tenore di vita.

Il terzo tipo di potere è politico. È la manipolazione del sistema politico o dell’opinione pubblica in un paese da parte della minaccia o dell’applicazione della forza militare, l’imposizione di sofferenze economiche o la creazione di un senso della realtà che fa reagire l’opinione pubblica in modi che indeboliscano la nazione.

Il potere non è semplicemente la capacità di forzare, a volte comporta l’uso di incentivi. Entrambi possono costringere a cambiamenti nell’azione. Il potere non deve essere esplicito. Il programma spaziale sovietico diede ai sovietici un’influenza aprendo le porte alla possibilità che il potere sovietico ad un certo punto nel futuro non lontano avrebbe travolto il potere americano. Quella percezione, che in retrospettiva era assurda, nel breve periodo era molto reale. Le nazioni che avevano sottovalutato il potere militare sovietico rispetto al potere militare degli Stati Uniti dovevano rivalutare la loro posizione ed essere aperte ai desideri sovietici. Anche senza essere un uso diretto del potere, l’evento Sputnik-Gagarin ha generato un potenziale spostamento del potere che ha portato alcune nazioni a modificare le loro relazioni. Il potere in tutte le sue dimensioni è più sottile dell’uso diretto della forza o del potere economico.

Il quarto tipo di potere è la gestione delle percezioni. L’Unione Sovietica è crollata nel 1991. Diciassette anni dopo, nel 2008, la Russia è andata in guerra con la Georgia. Questo conflitto non ha invertito il catastrofico crollo dell’Unione Sovietica, le sue cause erano ancora lì. Ma la Russia non poteva permettersi di essere vista come debole. La guerra georgiana non ha spostato in modo significativo il potere relativo della Russia, ma ha cambiato la percezione del potere russo. Allo stesso modo, l’intrusione in Siria ha fatto ben poco per rafforzare la potenza russa, ma ha generato una percezione di una maggiore potenza russa. L’applicazione diretta del potere – il potere militare in questo caso – non è necessaria per cambiare le percezioni. Dato che le azioni della Russia erano più propaganda che risultati militari, l’uso della propaganda (ora chiamato guerra ibrida per qualche ragione) può in alcuni casi creare percezioni utili senza l’applicazione del potere reale.

Cina e USA

Questo ci riporta all’inizio e all’idea che la Cina sostituirà o sta per sostituire gli Stati Uniti come principale potenza globale. Militarmente, gli Stati Uniti controllano gli oceani Atlantico e Pacifico. La Cina non controlla nessuno dei due. Da un punto di vista militare, può usare missili e innescare uno scambio nucleare, ma ha una marina limitata e una forza missilistica vulnerabile. La Cina, quindi, non è nemmeno vicina ad essere una potenza globale.Economicamente, il PIL degli Stati Uniti prima del coronavirus era di $21 trilioni. La Cina era di $14 trilioni. Entrambe le economie si sono ovviamente contratte, ma non ci sono prove che le contrazioni trasformeranno sostanzialmente il divario tra di loro. Circa il 19% del PIL cinese proviene dalle esportazioni, di cui circa il 5% è destinato agli Stati Uniti. Circa il 13% del PIL degli Stati Uniti proviene dalle esportazioni, circa la metà delle quali è destinata al Nord America e solo lo 0,5% delle quali va in Cina. La Cina ha una popolazione molto più grande degli Stati Uniti, quindi il suo reddito pro capite è molto più basso degli Stati Uniti. Ciò significa che l’impatto di una contrazione economica sugli standard di vita sarà molto maggiore negli Stati Uniti, dove il cuscinetto è maggiore, rispetto alla Cina.In termini di potere politico, la Cina si è messa in una posizione pericolosa. Non è riuscita a disinnescare i sospetti statunitensi sul comportamento e le intenzioni cinesi. Inoltre, non ha gestito con successo i negoziati commerciali con gli Stati Uniti. Ciò significa che la Cina ha lasciato che aumentassero le tensioni economiche e militari proprio con il suo cliente più importante. In un momento di contrazione economica in cui le importazioni statunitensi diminuiranno, la Cina affronta minacce sproporzionate a causa della sua dipendenza dalle esportazioni.Il punto forte della Cina è la dipendenza da una catena di approvvigionamento che si basa su manodopera a basso costo. Ma il coronavirus ha dimostrato alle aziende che hanno creato la catena di approvvigionamento, che un’eccessiva dipendenza da qualsiasi paese, come nel caso dell’industria farmaceutica americana, può distruggere un’azienda. La crisi ha trasformato questo in una debolezza, piuttosto che in una forza, poiché le imprese americane spostano le loro catene di approvvigionamento dalla Cina. In alcuni casi, questa non è una cosa complessa o costosa da fare.

 

La Cina si concentra sulla percezione per compensare la debolezza. Idee strane come la costruzione di un sistema di trasporto via terra verso l’Europa (ovvero la Belt and Road Initiative) sono volte a dimostrare le capacità di una nazione. La doccia di prestiti sui paesi fa lo stesso, anche quando i prestiti non si materializzano completamente. A costi relativamente bassi, la Cina si posiziona come un potere finanziario. Allo stesso modo, i movimenti militari statunitensi nel Mar Cinese Meridionale non hanno lo scopo di esercitare il potere degli Stati Uniti, ma di creare la percezione di una forte potenza navale.

Pio Desiderio

La Cina è economicamente e militarmente molto più debole degli Stati Uniti. Ma la sua manipolazione della percezione del suo potere è abile, tanto che i turchi e gli europei tendono a vedere il coronavirus come una transizione al potere cinese. Si dice che la percezione sia realtà. Non lo è davvero. A un certo punto, la finzione del potere porta un avversario a credere in quel potere, e ciò può portare a un conflitto economico, politico o militare che il potere percepito non può vincere. La guerra sulle percezioni va bene per guadagnare tempo. Ma se seguita troppo a lungo, alla fine il guerriero della percezione è creduto, gli viene messa paura e poi ingaggiato. Ora che siamo nel mezzo della crisi del coronavirus, gli Stati Uniti hanno inondato il paese di denaro-stimolo e ciò avrà conseguenze. Così sarà per la contrazione dell’economia cinese, insieme alla preoccupazione politica interna per l’affidabilità del governo cinese in un momento in cui è davvero importante. Mentre ci vorranno diversi anni prima che entrambi i paesi si riprendano, l’idea che la crisi abbia aperto le porte al dominio cinese è strana o forse un pio desiderio. La sofferenza è reale, ma l’ordine delle cose è forte.

LO SHOW DELLA LIBERAZIONE DI SILVIA ROMANO: UNA UMILIAZIONE INACCETTABILE PER L’ITALIA, di Giuseppe Angiuli

LO SHOW DELLA LIBERAZIONE DI SILVIA ROMANO:

UNA UMILIAZIONE INACCETTABILE PER L’ITALIA

 

 

Un curioso destino ha voluto che la nostra connazionale Silvia Romano, a distanza di circa un anno e mezzo dal suo sequestro avvenuto in Kenya per mano di rapitori mercenari e dopo il suo passaggio nelle mani del gruppo di fanatici terroristi qaedisti di Al Shabaab, sia stata finalmente rilasciata nella notte tra l’8 ed il 9 maggio scorso, ossia a 42 anni esatti di distanza da quella notte del maggio 1978 in cui il nostro insigne statista Aldo Moro trovò la morte al termine di un ben più celebre ed intricato sequestro di persona.

Non disponiamo di molti particolari e dettagli sulle fasi conclusive del rilascio della cooperante milanese ma tutte le fonti giornalistiche appaiono concordi quanto meno su alcuni elementi: il rilascio sarebbe avvenuto in una località a circa 30 chilometri da Mogadiscio (Somalia), avrebbe visto il determinante ruolo dei servizi segreti della Turchia del neo-sultano ottomano Recep Tayyip Erdoğan (che avrebbero preso in consegna la ragazza per poi passarla nelle mani degli uomini del nostro servizio estero, l’AISE) e nell’occasione il Governo italiano avrebbe versato al gruppo di rapitori un ingente riscatto che i più prudenti tra gli analisti quantificano tra i 2 e i 4 milioni di euro.

Come si sa, nel nostro Paese le regole ed i princìpi etico-morali hanno le maglie larghe e trovano applicazione con modalità non sempre coerenti e uniformi.

Nel 1978, quando era in gioco la vita di Aldo Moro, la gran parte della classe politica italiana dell’epoca – con poche eccezioni, tra cui vanno ricordati Bettino Craxi e l’allora Presidente della Repubblica Giovanni Leone – si trincerò in una ipocrita e gesuitica “linea della fermezza” onde giustificare al Paese la radicale impossibilità per le istituzioni di avviare una qualsiasi forma di trattativa con le Brigate Rosse: col senno di poi, in tanti abbiamo compreso che l’invocazione di quel severo e rigoroso principio era servito in realtà come foglia di fico per i tanti che a quel tempo smaniavano dalla voglia di liberarsi del troppo ingombrante statista democristiano e che grazie a quel sequestro così anomalo riuscirono a coronare il loro cinico desiderio.

In verità, se vogliamo evitare di prenderci in giro, occorre ammettere che quasi tutti i Governi al mondo, anche quelli apparentemente più ligi al canonico rispetto delle regole, quando viene sequestrato un loro cittadino in contesti di guerra o guerriglia, trattano eccome coi rapitori, ancorchè fingano di non farlo e/o dichiarino di non poterlo fare.

L’opinione pubblica del Belpaese è sempre stata emotivamente partecipe, per ragioni antropologiche congenite, a questo genere di vicende, finendo quasi sempre per immedesimarsi inesorabilmente nella vittima del sequestro, spesso per pure ragioni istintive di genuina empatia umanitaria.

Se così stanno le cose, poniamo subito un punto fermo nella ricostruzione del caso della giovane Silvia Romano, affermando che è stato oltremodo giusto e sacrosanto che il nostro Stato – come peraltro già avvenuto in molti casi analoghi nel recente passato – si sia attivato sul campo per ottenere la sua liberazione, anche al prezzo di avere dovuto attingere ai fondi riservati che ogni Governo solitamente mette a disposizione dei nostri servizi di intelligence per fare fronte a necessità di questo tipo.

Un gruppo di miliziani islamisti del gruppo somalo Al Shabaab, affiliato ad Al Qaeda

 

Pertanto, al fine di sgomberare il campo dai consueti argomenti manipolatori che in questi giorni hanno fatto strappare i capelli ad una certa stampa conformista e ad una certa opinione pubblica di casa nostra, è bene chiarire che, nella vicenda di Silvia Romano, non è stato l’intervento sul campo del Governo Conte a lasciarci perplessi in sé e per sé, né ci ha scandalizzati più di tanto la assai verosimile circostanza dell’avvenuto pagamento di un riscatto quale condizione irrinunciabile per l’ottenimento del rilascio della ragazza.

Piuttosto, in questa vicenda dai contorni assai ambigui, a lasciarci basiti sono state le modalità spettacolari e insolite dell’arrivo della nostra concittadina all’aeroporto di Ciampino, la quale è apparsa tutta agghindata con una vistosa tunica dallo stile castigato, esplicitamente richiamante ai simboli di quel medesimo gruppo di fondamentalisti islamici che l’hanno detenuta quanto meno nella seconda parte del suo sequestro e che infine l’hanno rilasciata nelle mani dei servizi segreti turchi, previo incameramento dei milioni di euro (due? quattro?) di riscatto.

Sono apparse altrettanto stupefacenti le dichiarazioni che la ragazza milanese ha rilasciato a caldo, appena dopo avere abbracciato i suoi congiunti, sotto lo sguardo compiaciuto del nostro Presidente del Consiglio e dell’inquilino della Farnesina, quando ha alluso, nell’ordine, all’ottimo trattamento ricevuto dai suoi rapitori, ad una sua presunta e sbandierata conversione all’islam e al suo non celato desiderio di fare rientro appena possibile nello stesso contesto in cui è maturato il suo sequestro.

Nella civiltà delle immagini e della comunicazione, soprattutto in casi delicati come questo, ogni particolare assume inevitabilmente un significato politico e allora sorgono spontanei i seguenti quesiti: come è stato possibile che a nessuno degli uomini della nostra intelligence sia venuto in mente di riferire a Silvia Romano, a ridosso della sua presa in consegna, che non era proprio il caso di presentarsi allo scalo di Ciampino con indosso degli abiti che richiamano esplicitamente non già all’islam in quanto tale (né tanto meno ai costumi tradizionali delle donne somale) bensì alla tenuta ufficiale della formazione islamica fondamentalista Al Shabaab, ossia la filiale somala della galassia terroristica di Al Qaeda?

Donne somale libere dai condizionamenti del fondamentalismo islamico con indosso il tipico abito locale Dirac

 

E che dire del nostro ineffabile Presidente del Consiglio Giuseppe Conte (così smanioso di annunciare su twitter la liberazione della ragazza e di correre a farsi fotografare con lei sulla pista di Ciampino) nonché del nostro Ministro degli Esteri, Luigi Di Maio? E’ mai possibile che essi non abbiano provato nessun imbarazzo nel fare da contorno, col loro pesante ruolo istituzionale, a quello che è stato oggettivamente un atto di propaganda mediatica a favore di una tra le più brutali organizzazioni del fanatismo jihadista?[1]

A questo proposito, è bene chiarire che non è stata nemmeno la conversione di Silvia alla religione di Maometto (vera o falsa che sia) ad averci scandalizzati in sé e per sè.

Anche l’islam merita tutto il nostro rispetto in quanto cultura religiosa millenaria.

Ma si dà il caso che i rapitori della nostra connazionale non pratichino l’islam autentico bensì una forma di islam spurio, artificiale, creato in laboratorio per evidenti finalità di destabilizzazione geopolitica, un tipo di islam fondamentalista e fanatico che, da quando è stato messo in circolazione sotto la regia dello spregiudicato turco Erdogan e della vecchia amministrazione USA Clinton-Obama, agendo col terrore e con le stragi, ha seppellito decenni di conquiste e di diritti civili di molti dei popoli dell’Africa e del medio oriente.

Trattasi peraltro di quella stessa branca di islam jihadista che spesso ha agito impunemente – giacchè purtroppo munito di alcune coperture inconfessabili – anche nel cuore dell’Europa, con l’obiettivo di creare caos e terrore, come i numerosi attentati di questi ultimi anni (che fino ad ora hanno colpito prevalentemente Parigi e la Francia ma che molto presto, Dio non voglia, potrebbero interessare anche l’Italia) stanno a dimostrare.

Inoltre, trattasi di quella stessa forma di islam oppressivo e jihadista che la Turchia di Erdogan promuove e supporta non solo nel Corno d’Africa ma anche in Libia, dove il nostro Paese, dopo avere subito ignominiosamente e passivamente (agendo contro i suoi stessi interessi) la defenestrazione di Gheddafi nel 2011, vede oggi legare i suoi destini proprio a quelli del Governo filo-islamista di Al Serraj, uomo prediletto da Erdogan e arroccato a Tripoli per gestire il presente e il futuro della ex colonia italiana nel cuore del Mediterraneo.

E allora, una volta chiarito che la tunica verde indossata da Silvia Romano al momento del suo arrivo in Italia non c’entra un bel nulla con i costumi tradizionali delle donne somale bensì è identificabile unicamente con l’abito che i miliziani fondamentalisti di Al Shabaab impongono di indossare alle povere donne che finiscono tra le loro mani ed una volta accertato il ruolo di protagonisti rivestito dai servizi segreti turchi nella risoluzione del suo sequestro, ecco allora che la sceneggiata o show di Ciampino svela tutto il suo significato propagandistico tanto ripugnante quanto inquietante.

Abbiamo più di una buona ragione per potere ipotizzare che la conversione all’islam di Silvia Romano, esibita dinanzi alle telecamere e a cui ha poi fatto eco la rivendicazione compiaciuta dei miliziani somali di Al Shabaab, possa avere fatto parte integrante del riscatto, cioè sia stata tra le condizioni imposte dai sequestratori jihadisti e dai servizi segreti turchi per il suo rilascio.

Più precisamente, possiamo legittimamente ritenere che la ex sequestrata, al momento di mettere piede nel nostro Paese, si sia fatta portatrice di un messaggio o avvertimento sinistro rivolto a noi italiani da Erdogan, il vero protettore dell’islamismo jihadista che ha già sconquassato Siria, Libia e Corno d’Africa.

L’arrivo a Ciampino di Silvia Romano il 10 maggio 2020

In ogni caso, come già saggiamente osservato in un condivisibile articolo comparso sul sito Analisi Difesa[2], la gestione mediatica che il Governo Conte ha fatto della liberazione della ragazza è stata a dir poco disastrosa e costituisce la rappresentazione icastica dello stato di profonda decadenza morale e culturale, prima che della perdita di influenza geopolitica, del nostro Paese.

Altrettanto condivisibile ci è sembrato il parere espresso da Maryan Ismail, docente di antropologia dell’immigrazione, donna di origine somala, intervenuta la sera del 12 maggio alla trasmissione televisiva Quarta Repubblica condotta da Nicola Porro: «L’esibizione dell’arrivo di Silvia data in pasto all’opinione pubblica senza alcun pudore o filtro è stato uno spettacolo immorale e devastante»[3].

A nostro avviso, se la scelta di collaborare con i servizi segreti di Erdogan deve essere apparsa al nostro Governo come una strada inevitabile, visti i rapporti di forza nel territorio della ex Somalia italiana – e infatti sul punto non possiamo che rispettare la decisione dei nostri servizi di sicurezza impegnati all’estero – non possiamo tuttavia ritenere accettabile che il nostro Paese, per mano dei suoi rappresentanti istituzionali più altolocati, abbia accettato di farsi umiliare con uno show grottesco allestito sul nostro territorio sotto il diktat di una delle bande più sanguinarie del jihadismo globale.

Con grande mestizia e imbarazzo, dobbiamo dunque registrare che mentre l’Italia appena 40/50 anni fa era protagonista sia nel Mediterraneo che nel Corno d’Africa e con uomini come Moro e Craxi riusciva a tutelare degnamente i nostri interessi nazionali, sviluppando delle ottime strategie di politica estera che ne salvaguardavano l’onore e la autorevolezza nel campo delle relazioni internazionali, oggigiorno, al fine di salvare la vita di una nostra concittadina in mano a dei sequestratori in una ex colonia italiana, siamo stati costretti a prostrarci a Erdogan e a mendicare l’intervento mediatore decisivo dei suoi servizi segreti, accettando di pagare una cambiale in termini di immagine che dovrebbe apparire umiliante a tutti quegli italiani che ancora conservano almeno un briciolo di dignità e fierezza.

Il logo ufficiale della formazione islamista al Shabaab

 

A tutto ciò si aggiunge infine un ulteriore elemento, tra i più paradossali che dobbiamo registrare a conclusione della vicenda della liberazione della cooperante milanese: il Governo Conte, avendo in questo caso agito in perfetta sintonia con i servizi di intelligence della filo-islamista Turchia e contro il parere ufficiale di Washington, sta riuscendo nel capolavoro politico di voltare le spalle agli USA proprio adesso che alla Casa Bianca c’è un Presidente che, in evidente intesa di ruoli con la Russia di Putin, mostra di avere deciso seriamente di porre un netto freno alle scorrerie dell’islamismo jihadista in giro per il mondo.

In conclusione, dobbiamo per lo meno auspicare che la cambiale che Conte e Di Maio si sono impegnati a pagare a Erdogan per ottenere la salvezza di Silvia Romano non debba comportare chissà quali altre umiliazioni e sottomissioni per l’Italia nello scenario libico, in un  periodo di inesorabile decadenza per il nostro Paese che somiglia ogni giorno di più ad una buia notte senza fine, in cui l’alba sembra non volere arrivare mai.

 

Giuseppe Angiuli

[1] Per un approfondimento sulle caratteristiche essenziali del gruppo islamista radicale Al Shabaab, operante in Somalia e in Kenya ed affiliato ad Al Qaeda, rimandiamo al dossier intitolato Storia, struttura e obiettivi del gruppo jihadista del Corno d’Africa, a cura di Gaetano Magno, pubblicato su www.osservatorioglobalizzazione.it

[2 ]Gianandrea Gaiani, L’Italia fa un regalo (anzi due) ai jihadisti, rintracciabile all’indirizzo http://www.analisidifesa.it/2020/05/litalia-fa-un-bel-regalo-anzi-due-ad-al-qaeda/?fbclid=IwAR1lAgGxwvJoLsyn5Uc5wfjaCNnHt6A9g4UEc9YDjjODJquO8VbisdtQPyQ

[3]www.liberoquotidiano.it/news/personaggi/22600704/silvia_romano_maryan_ismail_immorale_devastante_islam_falso_conversione_non_scelta_liberta_

CRISI PANDEMICA, MODELLO SVEDESE e non solo. Una conversazione con Max Bonelli

Esiste un modello svedese, ancor più un modello scandinavo nell’affrontare la crisi epidemica del coronavirus? La rappresentazione che viene offerta in Italia dal sistema mediatico si avvicina alla realtà o è frutto soprattutto di pregiudizi e di manipolazione ad uso politico interno? Sono due quesiti ai quali cerca di rispondere in questa interessante intervista Max Bonelli, forte della sua esperienza professionale e della frequentazione sul campo di quei paesi. Scopriremo che in realtà le linee guida adottate dal governo svedese sono molto più articolate e denotano una conoscenza ed una autorevolezza di quella classe dirigente nonché una coesione di quella formazione sociale sconosciute nel nostro paese. In altre due interviste e in alcuni articoli precedenti Max Bonelli ci ha svelato in maniera inedita le crepe e i lati oscuri di quella società e della corrispondente classe dirigente. Con questa intervista ci offre un’altra preziosa pennellata. Ci offre inoltre due osservazioni valide per leggere le vicende dei vari paesi coinvolti nella crisi, in particolare quelli occidentali. La prima è che la crisi epidemica mette a nudo il valore, la capacità, l’autorevolezza e l’autonomia di ciascuna classe dirigente, proprio perché la diffusione dell’epidemia è in gran parte indipendente dalle gerarchie delle dinamiche geopolitiche e le classi dirigenti, comprese quelle abituate ad attendersi e obbedire ad imput esterni, sono costrette a misurarsi più autonomamente sul problema. La seconda è che nei sistemi politici occidentali a democrazia rappresentativa l’adozione di provvedimenti generalizzanti, nominalmente draconiani e indiscriminatamente restrittivi rivelano, più che una forza ed una volontà ed un consapevole disegno autoritari, una scarsa conoscenza del proprio paese e della propria popolazione, un deficit di autorevolezza che conducono ad una incapacità di articolare gli interventi sulla base delle differenze e delle esigenze specifiche dei vari settori ed ambiti della formazione sociale e ad una disabitudine a decisioni appropriate. In un contesto obbiettivamente ostico e inedito, la classe dirigente italiana, in particolare il suo ceto politico, dedito ormai da decenni alla contingenza quotidiana e all’attesa di lumi, ha rivelato tutti i suoi limiti e la sua pochezza. Non sono mancati, né mancheranno, esempi luminosi e gratificanti, vedi l’esempio del Veneto e della Campania, di un ceto politico dotato di fermezza e buon senso. Hanno rivelato in sovrappiù l’esistenza e l’utilità di professionisti preparati e competenti sui quali l’intero paese potrebbe contare. Altri, tra questi, continuano ad operare eroicamente nell’oscurità quotidiana in altre realtà territoriali meno fortunate. Entrambi stanno evidenziando paradossalmente le potenzialità grandissime del nostro popolo, ma anche le enormi disfunzioni istituzionali e la sistematica repressione delle energie positive che stanno affossando il paese. Una contraddizione già paralizzante nella fase relativamente semplice da affrontare quale quella del contenimento costrittivo della diffusione pandemica; figuriamoci quanto pietrificante nella fase prossima ventura della ricostruzione economica e sociale. Un dramma per un ceto politico perennemente in attesa di lumi e sostegni dall’esterno, tanto più se dai versanti sbagliati e più ostili.

Nell’ultima parte dell’intervista Max Bonelli indugia sulla possibile origine artificiale del virus, ipotizzando una responsabilità statunitense diretta nella accensione dei focolai in Cina. La guerra batteriologica in effetti non è una novità nella storia. Con mezzi e tecnologie diverse e più approssimative l’hanno già utilizzata gli americani stesi contro i nativi, i turchi contro i genovesi in Crimea agli albori della modernità e tanti altri nei vari contesti conflittuali nel mondo. Nell’attuale contesto di conflitto e confronto militare ancora latente tra superpotenze l’arma batteriologica assume più, a parere dello scrivente, un valore di deterrenza considerate anche le controindicazioni e la scarsa selettività e capacità di controllo dello strumento. Rimangono per altro le ipotesi di un’origine naturale delle mutazioni del virus, legate alle condizioni ambientali di quell’area come di una manipolazione sfuggita al controllo dei cinesi da quel laboratorio P4, frutto di una collaborazione sino-francese e sino-americana ma localizzata in un paese ansioso e frenetico nell’acquisire le capacità tecnologiche e scientifiche anche in quel campo. La verità, probabilmente non la conosceremo mai seno tra molti anni; se dovesse emergere ora, non fosse che per un ulteriore repentino inasprimento del conflitto geopolitico e soprattutto interno alla dirigenza americana, rimarrebbe sommersa nelle mille diverse versioni della propaganda propinata da tutti gli attori. Non è dopotutto un aspetto essenziale, se non per valutare il livello dello scontro. Molto più importante è prendere atto dell’esistenza della pandemia e dell’uso politico e geopolitico che si fa e sempre più si farà del virus e della pandemia. Contribuirà a ridefinire in geopolitica e in geoeconomia le gerarchie, a disegnare le sfere di influenza politiche e a conformare ad essa le future sfere di influenza economica. Diventerà l’arma per una guerra sui titoli di debito sovrani. Sarà il terreno di coltivazione di enormi interessi economici, di primato scientifico e tecnologico e di dissesti, disarticolazione e riarticolazione delle varie formazioni sociali. In Cina lo percepiremo con qualche ritardo, come pure in Russia dove il problema sta esplodendo con qualche settimana di ritardo e con qualche disfunzione di troppo successiva al primo impatto; negli Stati Uniti potrebbe diventare l’occasione e lo strumento definitivo di un regolamento di conti fra due ceti politici e decisionali ormai in contrasto mortale da anni. Il conflitto, inizialmente sordo ma ormai sempre più manifesto, tra il Presidente Trump e Fauci, il consulente scientifico dalle acclarate connessioni finanziarie e di indirizzo scientifico con il laboratorio cinese di Wuhan, potrebbero essere la miccia per la deflagrazione definitiva dello scontro politico negli Stati Uniti e per una definizione più lineare della politica estera in funzione più anticinese e meno antirussa. https://www.facebook.com/groups/ilgreg/permalink/863677510782498/Un conflitto che dietro le relazioni apparentemente lineari tra gli stati, nasconde un intreccio di conflitti e connivenze tra i vari centri strategici presenti in essi, Cina compresa. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

UN GIURISTA EUROSCOMODO, di Teodoro Klitsche de la Grange

UN GIURISTA EUROSCOMODO

Il 17 aprile scorso è venuto a mancare Giuseppe Guarino, illustre giurista ed avvocato, oltre che deputato e più volte ministro. In tempi di MES e di euro-furberie, buona parte dei commenti a caldo (specie sui media ad elevata diffusione) hanno voluto ricordare che era un europeista. Dato che purtroppo oggigiorno l’aggettivo non accomuna tanto ad Adenauer, Martino, Monnet e ai “padri fondatori”, ma a qualche grigio euroburocrate o a governanti nazionali euroasserviti , il rischio di equivocare il pensiero di Guarino, strumentalizzandone la figura, è alto. Per la verità, scendendo nell’audience, i “coccodrilli” sul giurista sono più equilibrati, e ricordano come avesse criticato l’andazzo preso dall’Unione europea nell’ultimo trentennio, che aveva tradito – in larga parte – la visione dei fondatori.

E lo fece da giurista, sostenendo l’invalidità di atti dell’U.E., contrari ai trattati e alla “funzione” dell’Unione europea.

Il saggio che sviluppa in modo più completo le tesi critiche di Guarino è “Cittadini europei e crisi dell’euro”, pubblicato nel 2014 dall’Editoriale Scientifica. La recensii quasi subito nel numero 55 (on-line) di “Behemoth”. Dopo poco tempo l’editore (mi si disse su segnalazione del prof. Guarino) chiese l’autorizzazione a pubblicarla anche (in stampa) sulla rivista “Diritto comunitario e degli scambi internazionali”.

In tempi in cui pompose mediocrità, per lo più affette da complesso euroancillare cercano di perseverare (anzi di aggravare) negli errori che il prof. Guarino con tanto acume (giuridico e politico) stigmatizzava, mi sembra utile riproporla ai lettori.

Teodoro Klitsche de la Grange

Giuseppe Guarino, Cittadini europei e crisi dell’euro, Editoriale scientifica, Napoli 2014, pp. 185, € 14,00.

 

Questo è un libro denso di idee, E quel che parimenti interessa, aderenti alla realtà: quella da cui molti giuristi, in specie quelli più à la page, rifuggono.

È scritto da un giurista dotato di visione non limitata al proprio ambito scientifico (in genere strettamente inteso). La cui tesi di fondo è che i guai provocati dall’euro (che siano guai è sicuro, e Guarino cita – all’uopo – ripetutamente i dati, drammaticamente sconfortanti, della stagnazione dei paesi dell’area “euro”), siano dovuti ad un regolamento, illegale perché contrario al TUE (Maastricht), che ha realizzato un vero e proprio golpe. Scrive l’autore “Il golpe è stato attuato a mezzo del reg. 1466/97. Per la formazione del regolamento, come si è detto, si è fatto ricorso alla procedura di cui agli artt. 103, n. 5 e 189 c) TUE che, nello stesso momento in cui è stata utilizzata, è stata anche violata perché ce se ne è avvalsi per uno scopo diverso dall’unico previsto.

La procedura di cui agli artt. 103, n. 5 e 189 c) TUE in nessun modo avrebbe potuto essere impiegata per modificare norme fondamentali del Trattato. L’essersene avvalsi configura una ipotesi non di semplice illegittimità, bensì di incompetenza assoluta. Gli atti adottati sono di conseguenza non illegittimi, ma nulli/inesistenti”. Il che comporta, a ragionare con precisione e consequenzialità giuridiche, la responsabilità degli organi dell’Unione e delle persone fisiche che lo hanno posto in essere. Per cui abrogare il predetto regolamento attraverso un contrarius actus non è nulla di illegale o illegittimo, ma è semplicemente il ripristino di una situazione di legalità internazionale, perché le norme mutate dal regolamento 1466/97 sono disposizioni di Trattato internazionale. Ma cosa ha prescritto il regolamento 1466/97 in violazione sia delle norme dei Trattati sia degli obiettivi dell’Unione, come dei diritti degli Stati. Scrive Guarino: “Quanto all’Unione è stato modificato, in modo radicale ed irreversibile, l’obiettivo principale, consistente (artt. 2 e 3 TUE) nel conseguimento di uno sviluppo dalle caratteristiche e secondo le modalità previste nei suddetti articoli e nell’aver abrogato, per aver regolato in modo diverso la intera materia, l’art. 104 c) TUE, contenente la disciplina dei mezzi di cui gli Stati si sarebbero potuti avvalere per l’adempimento all’obbligo di promuovere sviluppo.

Quanto agli Stati la illecita variazione consiste nell’averli privati, con l’abrogazione degli artt. 102 A, 103, 104 c) TUE, nonché degli altri connessi, a mezzo di norme (quelle del reg. 1466/97) regolanti in modo diverso l’intera materia , degli unici poteri politici ad essi attribuiti in funzione alla conduzione economica dell’Unione”, e aggiunge l’autore che ciò “ha inciso sul carattere fondamentale dell’Unione, in assenza del quale gli Stati non sarebbero stati legittimati a parteciparvi, quello della democraticità. È l’affermazione che tra tutte genera la massima incredulità”.

L’acuto giurista sostiene che, per rimediare, e data la comprovata dannosità dell’attuale disciplina dell’euro, tra l’altro non conforme al TUE, ma in violazione dello stesso, occorre,per i paesi a rischio, un’uscita concertata dalla moneta unica, che non ha nulla di illegale, dato che significa il passaggio da paese senza deroga a paese con deroga, come ce ne sono – allo stato – undici nell’U.E. La soluzione migliore sarebbe che lo facessero di concerto quattro o cinque Stati. Meglio se tra i promotori ci fossero la Francia e l’Italia.

Ci sono tante cose in questo libro, e con dispiacere il recensore, ratione officii le  deve tralasciare per concentrarsi su due che colpiscono più di altre i giuristi, e che sottolinea per i lettori.

La prima che Guarino, a proposito della disciplina dell’euro, la definisce robottizzata: ossia di una moneta che non ha – sopra – un vertice politico decidente e decisivo, ma solo una regolazione normativa. Ma se è così (e così è) la regolamentazione dell’euro ha un pregio: verificare sul piano fattuale la non praticabilità di un assetto fondato sulla perfezione (bontà, saggezza) della normazione, senza un potere che diriga e all’occorrenza ne deroghi. L’idea del nomos basileus applicata, nel caso, alla moneta comune, si è rivelata illusoria . Il pensiero va a de Maistre e al suo giudizio tranchant  “il n’est pas au pouvoir de l’homme de créer une loi qui n’ait besoin d’alcune axception”. L’eccezione  serve di tanto in tanto: ma la necessità di adeguarsi ai cambiamenti è costante. E la regolamentazione dell’euro non ne ha tenuto conto; essendo stato pensato (e ri-pensato) in un periodo di cambiamento, ha una disciplina che poteva essere congrua in periodi di stabilità – come quello dalla fine del secondo conflitto mondiale al crollo del comunismo – non lo è quando la situazione si “mette in movimento” (ossia negli ultimi vent’anni), per cui occorrono flessibilità, adeguamenti; cioè decisioni. Il tutto ricorda la critica che un altro acuto giurista, Hauriou, rivolgeva ad Hans  Kelsen e al normativismo: che il giurista austriaco aveva immaginato un sistema statico, e per ciò inadatto alla vita, che è movimento ed alla quale il diritto si deve adeguare.

Ma come ci si può adeguare se il potere “adeguatore”, cioè quello politico, manca? Essere guidati dall’impersonalità della norma, piuttosto che dalla personalità della decisione è una prospettiva forse seducente, ma del tutto irreale, come salire su un automobile senza conducente:prima o poi si va a sbattere. É quello che hanno constatato gli europei. Si è sognata – nel XX secolo, la “Costituzione senza sovrano” (Kirkheimer – e tanti altri, dopo) per verificare che senza sovrano  non può funzionare neppure la moneta.

La seconda: a prescindere dalla lettera della normativa, farcita di buone ed appetibili intenzioni è al contenuto effettivo, e al senso delle norme che deve guardarsi. Come scrive Guarino “la modifica introdotta dal reg. 1466/97 rispetto al TUE (Maastricht), sul piano formale, è consistita nell’abrogazione di un diritto-potere, quello degli Stati di concorrere alla crescita con la propria “politica economica”, concorrendo così anche alla crescita dell’Unione, sostituendola con un obbligo/obbligo, gravante sugli Stati, avente come contenuto il pareggio del bilancio a medio termine, da conseguirsi nel rispetto di un programma predeterminato. Gli elaboratori delle norme non si sono resi conto delle conseguenze che sarebbero derivate dall’aver messo a base del sistema, un “obbligo” al posto di un “potere”. Di conseguenza il sistema ha leso la libertà degli Stati, ossia delle comunità di decidere come, quanto e in quali direzioni crescere. La libertà politica comunitaria è in primo luogo quella di scegliere scopi, mezzi e forme del vivere comune e si chiama sovranità; adesso non “va di moda” ma non se ne può prescindere, ancor meno di quanto si possa fare a meno della libertà individuale.

Nel complesso un libro che si consiglia di leggere dato il surplus di idee che lo connota. In un coro di banali cortigianerie agli idola ed ai potenti (economici, burocratici e politici) di turno sentire qualcuno che non canta nel coro (ed è molto intonato) è salutare e necessario.

Teodoro Katte Klitsche de la Grange

FINESTRA DI AGGIORNAMENTO SULLA SITUAZIONE IN NORD COREA

 

04/28/2020 Ore 03:32

Donald Trump durante la conferenza stampa di oggi alla Casa Bianca alla domanda sulla situazione in Nord Corea e se aveva un aggiornamento sulla salute di Kim Jong-Un, Trump ha risposto con convinzione dichiarando il seguente: “Kim Jong Un? Non posso dirtelo esattamente. Sì, ho un’ottima idea di quella che è la situazione, ma non posso parlarne adesso, Gli auguro solo del bene. Spero che sia in salute. So come sta, relativamente parlando. Vedremo. Probabilmente sentirai di lui in un futuro non troppo lontano.”

Trump ha anche negato con veemenza le notizie sulla salute di Kim, etichettando come “fake news” il rapporto originale della CNN secondo cui il leader nordcoreano appariva essere gravemente malato.

A QUESTO PUNTO CON LE DICHIARAZIONI DI TRUMP POSSIAMO CHIUDERE TEMPORANEAMENTE LA FINESTRA DI AGGIORNAMENTO. DOPO LA DICHIARAZIONE DEI SUDCOREANI, DEI DISSIDENTI NORDCOREANI, DELLA MANCANZA DI SIGNIFICATIVI MOVIMENTI AL CONFINE TRA LA CINA E LA COREA, POSSIAMO TRARRE SOLO UNA LOGICA CONCLUSIONE: KIM JONG-UN È ANCORA VIVO. PROBABILMENTE LE NOTIZIE SUI PROBLEMI DI SALUTE SONO FONDATI, MA SIAMO QUASI DEL TUTTO CONVINTI CHE IL LEADER SUPREMO SIA ANCORA VIVO.

 

 

04/28/2020 Ore 01:11

Un amico mi ha appena ricordato che nel 2014 Kim Jong Un scomparse dalla scena pubblica per riemergere qualche settimana dopo usando un bastone per camminare (cosa di cui mi ero completamente dimenticato-grazie Bob). Potremmo trovarci di nuovo di fronte a una situazione simile,  anche se la diagnosi medica potrebbe essere diversa rispetto al 2014.  Kim Jong Un potrebbe ritornare sulla scena pubblica appena recupera le forze.

 

04/27/2020 Ore 22:05

Ieri abbiamo riportato la notizia, che secondo i servizi di intelligence occidentali, attivita` di mezzi e truppe di militari cinesi si sarebbero messe in movimento verso il confine nordcoreano. Oggi , grazie ai video disponibili su Open-source intelligence (OSINT) , possiamo verificare, che se movimenti di truppe ci sono state, queste non sono movimenti massicci. Dai video girati che arrivano dal distretto cinese di Changbai, quello che confina con la città Hyesan in Corea; tutto sembra normale, non c’è nessun segno di movimenti militari insoliti.  Da questo possiamo dedurre che la situazione in Nordcoreana e per il momento sotto controllo. 

Strada principale di Changbai che porta la confine con la Corea del Nord

 

Video del lato cinese a Changbai, dall’altra parte dello Yalu River si trova la citta nordcosreana di Hyesan, dai video non si notano cose fuori dall’ordinario.

 

 

04/27/2020 Ore 19:45

La TV nordcoreana ha terminato le trasmissioni per la giornata di oggi senza riportare nulla di straordinario. La novità principale è stata, come abbiamo riportato in precedenza, il messaggio di ringraziamento che Kim Jong Un ha inviato agli operai di Wonsan. Ripetiamo che il messaggio di Kim non e stato accompagnato da nessuna immagine del leader supremo.  Le trasmissioni riprenderanno a mezzanotte ora italiana. Se ci sono novità vi aggiorneremo durante la notte.

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04/27/2020 Ore 19:12

Christian Whiton, ex consigliere del Dipartimento di Stato di Trump e Bush, risponde alle domande delle giornaliste di Fox News sulla situazione in Nord Corea. Whiton afferma, (giustamente) che in presenza di un disabilitato leader supremo i vertici dell’esercito Coreano assumo pieno potere e si innalzano a guida del paese, fino a quando Kim si riprende oppure viene nominato il suo successore (la sorella…)

Whiton afferma anche che l’epidemia di coronavirus nella Corea del Nord è probabilmente devastante, questo avanzerebbe l’ipotesi che Kim possa essere rimasto colpito dal Coronavirus e sarebbe morto oppure in fin di vita, intubato in un reparto di terapia intensiva. La versione dell’operazione al cuore andata male sarebbe solo quindi una copertura, ricordiamo che Kim e sovrappeso, beve e fuma pesantemente…

https://video.foxbusiness.com/v/6152312477001/?playlist_id=3166411554001#sp=show-clips

 

04/27/2020 Ore 18:52

Secondo alcune fonti di stampa occidentale, Kim Jong Un, potrebbe essere rimasto ferito durante esercitazioni militari. Il Daily Mail, cita il dissidente politico Lee Jeong Ho, rifugiatosi nella Corea del Sud ed ex funzionario del Partito dei Lavoratori, che avrebbe avanzato oggi, sul quotidiano sudcoreano Dong-a Ilbo, l’ipotesi che Kim potrebbe essere rimasto ferito durante lancio di missili balistici, lo scorso 14 Aprile.

PER PRECISAZIONE; NON C’È NESSUNA AGENZIA DI INTELLIGENCE OCCIDENTALE  CHE AVANZA QUESTA IPOTESI, QUINDI AL MOMENTO NON DAREI TROPPO CREDITO A QUESTA VERSIONE DEI FATTI…

https://www.dailymail.co.uk/news/article-8260075/Kim-Jong-injured-missile-test.html

 

04/27/2020 Ore 17:45

L’albero di famiglia di Kim Jong-Un, in rosso la linea diretta di parentela, in grigio le spose, le amanti e le consorti. 

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04/27/2020 Ore 17:30

Secondo l’agenzia di stampa di stato nordcoreana; Kim Jong Un avrebbe inviato oggi un messaggio al presidente sudafricano Cyril Ramaphosa per celebrare la festa nazionale del paese. Inoltre la TV di stato avrebbe letto un messaggio di ringraziamento di Kim Jong Un ai lavoratori che stanno costruendo il Wonsan-Kalma Tourist Resort.

Attenzione dei messaggi di oggi inviati da Kim Jong-Un non ci sono ne video, ne messaggi registrati di Kim. Chiunque può inviare un messaggio da parte del leader supremo usando gli organi di stampa di stato, questi messaggi non provano lo stato di salute di Kim…

 

 

04/27/2020 Ore 08:41

Foto di Kim Jong-Un scattata il 6 Aprile a Wonsan: Osservando la foto si vede che Kim pur non essendo nel meglio della forma, appare nel viso molto meno afflitto rispetto alla foto del 10 Aprile. Ricordiamoci che intorno al 15 Aprile Kim e sparito di scena. Si può interpretare come un segno di deterioramento della salute del leader

This photo, carried by North Korea's state news agency on April 6, 2019, shows its leader Kim Jong-un (C) inspecting the Wonsan-Kalma coastal tourist area. (For Use Only in the Republic of Korea. No Redistribution) (Yonhap)

 

04/27/2020 Ore 08:15

La dissidente  Nordcoreana  Yeonmi Park sostiene il seguente: Secondo le mie fonti il dittatore codardo ed egoista; Kim Jong Un, non nè morto nè malato, si sta semplicemente nascondendo nel timore di contagiarsi di Coronavirus. Nonostante abbiano mentito al mondo che non esiste nessun caso nel paese; il Coronavirus si sta diffondendo in modo incontrollato all’interno della Corea del Nord.

Non oso criticare l’affermazione di una cittadina nordcoreana rifugiata politica, ma con tutto il rispetto, se fosse vero che Kim si sia solo nascosto per paura del coronavirus, basterebbe anche un veloce video, una foto verificabile ed attuale da trasmettere o pubblicare al paese per dissipare i petegolezzi sulla sua salute…

 

 

04/27/2020 Ore 07:51

La riunione sarebbe durata oltre 4 ore, secondo quanto riferito, Kim Yo-Jong ha detto ai dirigenti del partito che lei sarà la nuova leader Coreana

 

04/27/2020 Ore 07:37

I dirgenti del Partito dei Lavoratori della nord corea sono confluiti ieri sera in riunione, incluso il Vice Presidente e lo Stato Maggiore dell’Armata Del Popolo Coreano.

 

04/27/2020 Ore 04:00

Due foto satellitari della base di Sondok a confronto, prese a pochi giorni di distanze una dall’altra, più esattamente il periodo che va dal 13 al 24 Aprile. Queste foto suggeriscono  movimento di mezzi militari missilistici.

https://www.planet.com/stories/sondok-airfield-smFIfu3WR

 

04/27/2020 Ore 03:17

La fotografia più recente di Kim Jong Un datata 10 Aprile: Non siamo esperti medici ma pur essendo una foto che proviene da fonti di regime, dal viso e dal corpo, Kim Jong Un non appare in piena forma…

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https://en.yna.co.kr/view/AEN20200425000300315

 

04/27/2020 Ore 00:05

…e abbiamo i video…

 

 

04/27/2020 Ore 00:03

ATTENZIONE MOVIMENTO DI TRUPPE CINESI VERSO IL CONFINE NORD COREANO.

Mobilitazione al confine al confine tra Cina e Corea del Nord per prevenire probabilmente incidenti. Un segno che il leader Nordcoreano sia effettivamente morto…

 

04/26/2020 Ore 23:50

L’Intelligence americana sostiene che ci sarebbero movimenti di piattaforme mobili di missili balistici all’aerodromo di Sondok, questo in preparazione ad un possibile lancio, forse per distrarre l’opinione pubblica straniera sulle voci riguardanti Kim Jong Un e allo stesso tempo lanciare un messaggio di forza.

 

04/26/2020 Ore 23:27

In Pyongyang la gente comincia a commentare (con molta cautela) sulla presunta assenza del leader dalla capitale nordcoreana. Ci sarebbero anche voci che descrivono un numero consistente di elicotteri che starebbero sorvolando basso il cielo della capitale. Una possibile spiegazione sulla presenza degli elicotteri sarebbe la preparazione di un funerale di stato…

 

04/26/2020 Ore 23:23

Ancora nessuna foto del leader nordcoreano; Kim Jong Un, sulla prima pagina dei giornali di stato della Corea del Nord dell’edizione del Lunedì mattina. Questa la prima pagina in anteprima

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04/26/2020 Ore 23:05

Il treno di Kim Jong Un sembra essere ancora fermo nella stazione di Wonsan, 8 ore dopo l’ultima immagine satellitare della zona e stata pubblicata.

 

04/26/2020 Ore 20:20

“La posizione del nostro governo è chiara”, ha dichiarato Moon Chung-in, il principale consigliere di politica estera del presidente sudcoreano Moon Jae-in. “Kim Jong Un è vivo e vegeto. Si trova nell’area di Wonsan dal 13 aprile. Finora non sono stati rilevati movimenti sospetti…”  La dichiarazione dei sudcoreani però lascia perplessi poiché, per loro stessa ammissione, se Kim Jong Un si trova a Wonsan, ininterrottamente, dal 13 di Aprile, viene il dubbio che qualcosa sia successo…

https://kprcradio.iheart.com/content/2020-04-26-south-korea-says-kim-jong-un-alive-and-well-amid-rumors-of-his-death/

 

04/26/2020 Ore 17:40

Se siete interessati sotto trovate il link della televisione Nord Coreana. Sul lato a sinistra dello schermo, cliccando sul Korea Central TV,  ci sono due versioni; quella livestream e quella archivio. Buona Visione…

https://kcnawatch.org/

 

04/26/2020 Ore 16:01

Le speculazioni sulla stato di salute di Kim Jong-Un non possono essere verificate ed è presto per giungere a delle conclusioni, ha detto oggi il legislatore russo Kazbek Taysaev dopo i suoi colloqui con il nuovo ambasciatore nordcoreano a Mosca

https://sputniknews.com/world/202004261079095708-kim-jong-uns-health-not-deteriorated—russian-lawmaker-after-talk-with-north-korean-ambassador-/

 

04/26/2020 Ore 08:00

Domande sul perché il fratello maggiore non può appropriarsi del regno della Corea del Nord in caso di morte di Kim Jong Un sono facilmente esaudite dalla foto sotto:  Il fratello maggiore di Kim Jong-Un; Kim Jong-Chul ad un concerto di Eric Clapton a Londra, 2015.  In ogni caso, secondo Thae Yong-ho, ex vice ambasciatore della Corea del Nord a Londra, che disertò chiedendo asilo nella Corea del Sud; Kim Jong-Chul non si occupa di politica, conducendo una vita tranquilla a Pyongyang dove suona la chitarra in una band. 

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04/26/2020 Ore 07:29

Secondo il giornale The Korea Times, uno dei più importanti della Corea del Sud: sono due settimane che i media statali della Corea del Nord  sono silenziosi sulle attività pubbliche di Kim Jong Un.  Un segnale che non necessariamente ne conferma la morte, ma sicuramente rafforza almeno la possibilità che il leader supremo sia in gravi condizioni, incapacitato a muoversi.

https://www.koreatimes.co.kr/www/nation/2020/04/103_288496.html

 

04/26/2020 Ore 07:19

Quando nel 2008 il padre di Kim Jung Un, Kim Jong Il, ebbe un ictus, fu riferito che i medici cinesi erano coinvolti nel suo trattamento insieme ai medici francesi. Muori tre anni dopo.

 

04/26/2020 Ore 05:05

Il senatore Lindsey Graham durante un’intervista alla Fox News ha dichiarato il seguente:  “Credo che sia morto o seriamente inabilitato (riferendosi a Kim Jong Un), spero quindi che la lunga sofferenza del popolo nordcoreano otterrà un po di sollievo … Se questo uomo è morto, spero che la prossima persona lavorerà con Donald Trump per trasformare la Corea del Nord in un posto migliore”

 

04/26/2020 Ore 04:49

Qualcuno aspetta dietro le quinte

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04/26/2020 Ore 04:33

Il giornale sudcoreano; The Korea Herald , sostiene che Kim Jong Un non sarebbe ancora morto ma e` in uno stato vegetativo, tenuto in vita artificialmente quindi.

http://www.koreaherald.com/view.php?ud=20200426000101

 

04/26/2020 Ore 03:41

Massiccia operazione di spionaggio satellitare da parte della CIA (e non solo) attualmente in corso per verificare le notizie della presunta morte di Kim Jong Un. lo con ferma un articolo del NYT.

https://www.nytimes.com/video/world/asia/100000007099211/kim-jong-un-surveillance-intelligence.html?smtyp=cur&smid=tw-nytimes

 

04/26/2020 Ore 03:37

Secondo la rivista TMZ, citando fonti Giapponesi e Cinesi; Kim Jong Un sarebbe morto come risultato di un’operazione sbagliata al cuore. Notizia da prendere con le molle…Aspettiamo conferma…

https://www.tmz.com/2020/04/25/north-korea-dictator-kim-jong-un-dead-dies-heart-surgery-reports/

 

04/26/2020 Ore 03:20

Per Reuters: la Cina ha inviato un team di esperti medici a sostegno dell’equipe medica che si occupa della salute di Kim Jong Un

https://www.reuters.com/article/us-northkorea-politics-exclusive/exclusive-china-sent-team-including-medical-experts-to-advise-on-north-koreas-kim-sources-say-idUSKCN2263DW?utm_medium=Social&utm_source=twitter

 

04/26/2020 Ore 01:54

Un eventuale morte di Kim Jong Un, innalzerebbe sua sorella, Kim Yo-Jong, a leader supremo del paese Asiatico. Secondo fonti vicine al governo Nord Coreano la sorella di Kim Jong Un sarebbe molto più intelligente dell’attuale leader in carica. Cominciamo a familiarizzare con la nuova possibile leader: 

 

04/26/2020 Ore 01:30

Dal Tweet parodia del Governo Nord Coreano; il leader supremo Kim Jong-Un si starebbe godendo una meritata “vacanza” a casa… 🙂

 

 

Coronavirus_Qualche risposta ai tanti perché, a cura di Giuseppe Germinario

Proseguiamo con la nostra carrellata sui diversi approcci alla crisi pandemica adottati dai vari paesi e spesso dalle varie regioni all’interno di essi. All’articolo iniziale (iniziatico?) di Roberto Buffagni, al podcast di Gianfranco Campa, agli elzeviri di Massimo Morigi, ai contributi preziosissimi di Giuseppe Imbalzano, alle riflessioni di T.K. de la Grange, ai contributi esterni, tutti raccolti in un apposito dossier, segue questo articolo dedicato alla Germania. Una modalità di azione sottotraccia quella adottata dal ceto politico e dalla classe dirigente dominanti di quel paese. Una costante delle tattiche adottate a partire dalla disastrosa disfatta militare del ’45. A cominciare dalla manipolazione di dati poco realistici. Non si tratta solo della casuale disparità dei criteri di rilevazione frutto ed indice della eterogeneità insopprimibile della galassia europea ed europeista e delle sue esigenze politiche. E’ probabilmente un accorgimento, certamente meno guascone rispetto a quello adottato dai francesi, teso a contenere l’allarmismo e il rischio di destabilizzazione interna, a giustificare misure meno draconiane e meno selettive nell’ambito delle relazioni sociali e soprattutto economiche e a porre, quindi, il paese in una posizione migliore rispetto a quella di paesi dai comportamenti più schizofrenici e massivi nell’agone internazionale, in particolare geoeconomico. Pur tuttavia, non si tratta di un mero espediente. L’articolo qui in basso rivela chiaramente anche il substrato di una gestione della crisi pandemica decisamente più accorta e preveggente sia nelle modalità operative che nella tempistica adottate. Probabilmente queste misure, in aggiunta alla annunciata valanga di sovvenzioni e di protezioni del proprio apparato economico, non saranno sufficienti a parare i terribili colpi di là da venire. La Germania è un paese troppo controllato, subordinato politicamente e militarmente, con una area di influenza diretta in un Est Europeo legato di contro a doppio filo piuttosto agli statunitensi ed una economia dai volumi e da una organizzazione impressionante, ma tecnologicamente poco innovativa e troppo vulnerabile dal punto di vista finanziario, troppo legata ai settori più speculativi della finanza anglosassone, troppo esposta alle crescenti instabilità e chiusure del commercio internazionale. Se a questo si aggiunge la sua atavica propensione a confondere le mire egemoniche in Europa con la predazione e l’annichilimento puri e semplici dei propri “fratelli europei” specie latini, non ci vorrà molto a valutare la effettiva dimensione e le conseguenze del suo progressivo e fatale isolamento. Al suo cospetto rifulge ancora di più la drammatica e sconsolante condizione nella quale si sta progressivamente cacciando il nostro paese. Un paese ormai da trenta anni dilaniato da conflitti politici tanto più virulenti quanto più privi di strategie e tattiche in grado di offrire prospettive nazionali dignitose e autonome. Un salto di qualità mancato e un degrado già ben avviato negli anni ’80 ma che ha conosciuto la propria apoteosi con l’epurazione di Tangentopoli e il progressivo emergere di un ceto politico particolarmente abile nell’annichilire ed asservire gli apparati e le competenze pubblici alle proprie baruffe di fazione. Una sterilità ed una miseria che ha trovato una ulteriore occasione di prevaricazione con questa crisi pandemica. Uno scontro ormai sordo e feroce disposto a sacrificare e strumentalizzare la stessa dedizione ed il coraggio manifestati dalle categorie professionali chiamate ad affrontare i rischi della crisi sanitaria. Uno scontro asimmetrico nella posizione dei belligeranti che lascia presagire la prevalenza di una fazione, quella più compromessa politicamente ma meno esposta amministrativamente, piuttosto che la possibilità di una emersione di una nuova classe dirigente o quantomeno di una vecchia almeno rinsavita, più accorta e autorevole. Da una parte le forze della maggioranza governativa detengono il controllo e quindi la più grave responsabilità politica di una gestione a dir poco contraddittoria e intempestiva della crisi. Appunto una responsabilità politica che facilmente potrà sfuggire alle pendenze giudiziarie e ai desideri di rivalsa delle vittime della mala conduzione che già si manifestano numerosi. Una elusione delle responsabilità  culminata nella mancata avocazione di poteri speciali, nella assenza di direttive univoche e cogenti, nella sovrapposizione di incarichi esecutivi a persone chiaramente inadatte e spesso compromesse con il processo di debilitazione delle strutture pubbliche. Figure di secondo piano destinate a non oscurare il futuro politico dei protagonisti e una insipienza a suo modo funzionale a scaricare le responsabilità sui centri amministrativi più esposti. Un rituale del cerino acceso destinato a rimanere in mano ai responsabili regionali e amministrativi. Lo stesso gioco se si vuole che, a parti rovesciate, sta probabilmente giocando Trump con i suoi avversari democratici, impelagati nel focolaio epidemico di New York. Ma con una differenza sostanziale: gli Stati Uniti sono appunto una Federazione di Stati, non di regioni dalle competenze sovrapposte. Dall’altra una opposizione, in particolare la Lega, sua componente maggioritaria, reduce già da numerosi e clamorosi errori politici che ne hanno minato credibilità e sicumera e gestore a buon titolo di una regione, il Veneto, capace di affrontare decorosamente l’emergenza, ma anche della Lombardia, epicentro della epidemia e degli errori di gestione più marchiani e dolorosi. Nei tempi ravvicinati vincerà probabilmente chi detiene il pallino dei mezzi di comunicazione e chi potrà eludere l’agorà giudiziaria. Su questo il centrosinistra è chiaramente avvantaggiato di parecchie spanne. Bisogna dar atto della resistenza di Conte alle profferte capziose degli ologrammi di Bruxelles di utilizzo dei fondi del MES e di prestiti obbligazionari con garanzie dei singoli stati; come pure del tentativo di fronte comune dei paesi mediterranei. Tentativo per altro già messo in forse dal comportamento ambiguo e subdolo di Macron, quindi della Francia. La partita non è ancora chiusa; qualche incrinatura si intravede anche nella stessa Germania e Olanda. L’esempio preclaro della devastazione della Grecia e del vacuo successo del miracolo spagnolo sono un avvertimento, un incubo chiaro più alle popolazioni che alle élites dominanti. Lo scontro all’ultimo sangue tra reciproche debolezze, il nocciolo dell’acceso scontro politico in Italia, non lascia presagire molto di buono. I ricatti, le minacce e le ritorsioni possono essere il preludio ad un ennesimo e clamoroso cedimento, ad una definitiva capitolazione seguiti da proteste ed opposizioni di comodo. Vedremo cosa succederà domani, 7 aprile. Sorge a questo punto un interrogativo angosciante. Come possono forze politiche paralizzate da una crisi sanitaria tutto sommato circoscrivibile, se gestita a suo tempo con maggiore accortezza, contrattare al meglio la propria posizione in Europa o gestire il piano B della uscita dall’euro e dalla attuale Unione Europea senza cadere in una visione assistenzialistica e parassitaria, residuale apparentemente alternativa all’attuale? Già in almeno tre occasioni l’attuale ceto politico è mancato all’appuntamento, a volte persino offerto, negli ultimi tre anni. La stessa sottovalutazione delle implicazioni geopolitiche del comunque ben accetto sostegno umanitario lascia intravedere il pressapochismo dei passi intrapresi. Si blatera tanto di volerci liberare della signoria statunitense, ignorandone le pesanti implicazioni; in realtà si fa fatica a liberarsi persino dalle angherie e dalle grettezze del suo maggiordomo tedesco, non ostante le spinte e gli incoraggiamenti nemmeno troppo velati a saltare il fosso. Al peggio non si intravede la fine. Scusate lo sfogo. Non saremo profeti in patria, almeno in Russia hanno avuto modo di apprezzare e riconoscere la competenza professionale dell’esperto che su questo blog ci ha illuminato di cotanta sagacia e supponenza nazionali. Un sincero augurio per la nuova avventura. Giuseppe Germinario

Ecco perché in Germania si muore molto meno per coronavirus rispetto all’Italia

In Germania il tasso di letalità è 1,4%, in Italia 12,5%

In Germania la percentuale delle persone che muoiono per coronavirus è bassissima rispetto ai casi rilevati in confronto alle percentuali di letalità indicate dai dati ufficiali in Italia. In parte la differenza può essere provocata da dati ufficiali poco affidabili. Ma questa da sola non può essere una spiegazione sufficiente.

Una inchiesta del NYT di cui riportiamo la traduzione di ampi stralci ci aiuta a capire perché. Ne emerge purtroppo un quadro impietoso per l’Italia

I “corona-taxi”

Heidelberg, Germania. Li chiamano “taxi corona”: medici equipaggiati con indumenti protettivi guidano per le strade deserte per controllare i pazienti che sono a casa. Prendono l’esame del sangue cercando segni che il paziente possa avere il covid19 e che le sue condizioni possano aggravarsi. Possono suggerire il ricovero in ospedale anche a un paziente che ha solo sintomi lievi: le possibilità di sopravvivere sono notevolmente più alte se si affronta il virus all’inizio.

I taxi corona di Heidelberg sono solo una delle iniziative. Ma illustrano un livello di impegno di risorse pubbliche nella lotta contro l’epidemia che aiuta a spiegare uno degli enigmi più intriganti della pandemia: perché il tasso di mortalità della Germania è così basso?

Un tasso di letalità inferiore di 9 volte a quello dell’Italia

Il virus e la malattia risultante, Covid-19, hanno colpito la Germania con forza: secondo la Johns Hopkins University il paese ha più di 90.000 infezioni confermate in laboratorio al 4 di aprile, più di qualsiasi altro paese tranne gli Stati Uniti, l’Italia e Spagna.

Ma con circa 1.300 morti, il tasso di letalità in Germania si attesta all’1,4 per cento, rispetto al 12,5 per cento in Italia, a circa il 10 per cento in Spagna, Francia e Gran Bretagna, al 4 per cento in Cina e al 2,5 per cento negli Stati Uniti. Anche la Corea del Sud, un modello di riferimento internazionale per la lotta al covid19, ha un tasso di letalità più elevato, l’1,7 per cento.

“Si è parlato di un’anomalia tedesca”, ha detto Hendrik Streeck, direttore dell’Istituto di virologia presso l’ospedale universitario di Bonn. Il professor Streeck ha ricevuto chiamate di colleghi dagli Stati Uniti e altrove. “‘Che cosa stai facendo diversamente?” mi chiedono. “Perché il tuo tasso di letalità è così basso?”

Ci sono diverse risposte dicono gli esperti, differenze molto reali nel modo in cui il paese ha affrontato l’epidemia rispetto ad altri.

Molti più test = molti casi rilevati in tempo

Una delle spiegazioni per il basso tasso di letalità è che la Germania ha testato molte più persone rispetto alla maggior parte delle nazioni. Ciò significa che individua più persone con pochi o nessun sintomo, anche tra i più giovani, aumentando il numero di casi noti ma non il numero di vittime.

Una delle conseguenze del gran numero di test è che l’età media delle persone rilevate come infette è inferiore in Germania rispetto a molti altri paesi. Molti dei primi pazienti hanno preso il virus nelle stazioni sciistiche austriache e italiane ed erano relativamente giovani e sani, ha detto il professor Kräusslich. “È iniziato come un’epidemia di sciatori”, ha affermato.

Poi con il diffondersi delle infezioni, sono state colpite più persone anziane e anche il tasso di letalità, solo lo 0,2 per cento due settimane fa, è aumentato. Ma l’età media di chi si sa che contrae la malattia rimane relativamente bassa, 49 anni in Germania, mentre in Italia è 62 anni secondo i rapporti ufficiali.

La Germania sta conducendo circa 350.000 test di coronavirus a settimana, (oltre 3 volte di più che in Italia) e comunque molto più di qualsiasi altro paese europeo. Test precoci e diffusi hanno permesso alle autorità di rallentare la diffusione della pandemia isolando i casi infettivi. Ha inoltre consentito di somministrare il trattamento salvavita in modo più tempestivo.

Preparati in anticipo alla pandemia

A metà gennaio, molto prima che la maggior parte dei tedeschi pensasse al virus, l’ospedale Charité di Berlino aveva già sviluppato un test e pubblicato la formula online.
Quando la Germania registrò il suo primo caso di Covid-19 a febbraio, i laboratori di tutto il paese avevano accumulato uno stock di kit di test.

Diagnosi precoci = meno morti

“Il motivo per cui in Germania abbiamo così poche morti al momento rispetto al numero di infetti può essere ampiamente spiegato dal fatto che stiamo facendo un numero estremamente elevato di diagnosi di laboratorio”, ha affermato il dott. Christian Drosten, capo virologo di Charité , il cui team ha sviluppato il primo test.

“Quando ho una diagnosi precoce e posso curare precocemente i pazienti (ad esempio collegarli a un ventilatore prima che le loro condizioni si deteriorino) – le possibilità di sopravvivenza sono molto più elevate”, ha affermato il professor Kräusslich.

Costanti test al personale medico

Il personale medico, particolarmente a rischio di contrarre e diffondere il virus, viene regolarmente testato. Per semplificare la procedura, alcuni ospedali hanno iniziato a eseguire test di blocco, utilizzando i tamponi di 10 dipendenti e dando seguito a test individuali solo se si riscontra un risultato positivo.

Da aprile test gratuiti su larga scala per trovare i possibili focolai

Alla fine di aprile, le autorità sanitarie hanno anche in programma di lanciare uno studio su larga scala, testando campioni casuali di 100.000 persone in Germania ogni settimana per valutare dove si sta accumulando immunità.

Una chiave per garantire test su larga scala è che i pazienti non pagano nulla per questo, ha affermato il professor Streeck. Questa, ha detto, è una notevole differenza con gli Stati Uniti nelle prime settimane dell’epidemia. “È improbabile che negli USA un giovane senza assicurazione sanitaria e prurito alla gola si rechi dal medico e quindi rischia di infettare più persone”, ha affermato.

Il caso della scuola di Bonn

Un venerdì di fine febbraio, il professor Streeck ha ricevuto la notizia che un paziente del suo ospedale di Bonn si era rivelato positivo per il coronavirus: un uomo di 22 anni che non aveva sintomi ma il cui datore di lavoro (una scuola) gli aveva chiesto di fare un test dopo aver saputo che aveva preso parte a un evento di carnevale in cui qualcun altro si era dimostrato positivo.

Nella maggior parte dei paesi, compresi Italia e Stati Uniti, i test sono in gran parte limitati ai pazienti più malati, quindi probabilmente all’uomo sarebbe stato rifiutato un test.

Non in Germania. Non appena i risultati del test sono arrivati, la scuola è stata chiusa e a tutti i bambini e il personale è stato ordinato di rimanere a casa con le loro famiglie per due settimane. Sono state testate circa 235 persone.

Test e monitoraggio sono la strategia che ha avuto successo in Corea del Sud e abbiamo cercato di imparare da ciò”, ha affermato il professor Streeck.

La Germania ha anche imparato a correggere i propri errori presto: la strategia di tracciamento dei contatti avrebbe dovuto essere utilizzata in modo ancora più aggressivo, ha affermato.

Tutti quelli che erano tornati in Germania da Ischgl, una stazione sciistica austriaca che aveva avuto un focolaio, per esempio, avrebbero dovuto essere rintracciati e testati, ha detto il professor Streeck e non lo abbiamo fatto ma poi abbiamo imparato.

Un robusto sistema di assistenza sanitaria pubblica

Prima della pandemia di coronavirus in tutta la Germania, l’ospedale universitario di Giessen aveva 173 letti di terapia intensiva dotati di ventilatori. Nelle ultime settimane, l’ospedale ha cercato di creare altri 40 posti letto e ha aumentato il personale che era in standby per lavorare in terapia intensiva fino al 50%.

“Abbiamo così tanta capacità ora che stiamo accettando pazienti da Italia, Spagna e Francia”, ha dichiarato Susanne Herold, specialista in infezioni polmonari che ha supervisionato la ristrutturazione. “Siamo molto forti nell’area della terapia intensiva.”

In tutta la Germania, gli ospedali hanno ampliato le loro capacità di terapia intensiva e sono partiti da un livello elevato. A gennaio la Germania aveva circa 28.000 letti di terapia intensiva dotati di ventilatori, cioè 34 ogni 100.000 persone, quasi 3 volte di più che in Italia dove il rapporto è di 12 ogni 100.000 persone.

Ora ci sono 40.000 letti di terapia intensiva disponibili in Germania.

Fiducia nel governo

La cancelliera Angela Merkel ha comunicato in modo chiaro, calmo e regolare durante la crisi, imponendo misure di distanziamento sociale sempre più rigorose nel paese. Le restrizioni, che sono state cruciali per rallentare la diffusione della pandemia, hanno incontrato poca opposizione politica e sono ampiamente seguite.

Le valutazioni di approvazione verso la Merkel sono aumentate vertiginosamente.

“Forse la nostra più grande forza in Germania”, ha affermato il professor Kräusslich, “è il processo decisionale razionale ai massimi livelli di governo combinato con la fiducia di cui il governo gode nella popolazione”.

Una fiducia che riesce a guadagnarsi grazie ai fatti.

https://www.peopleforplanet.it/ecco-perche-in-germania-si-muore-molto-meno-per-coronavirus-rispetto-allitalia/?fbclid=IwAR3SKu4ZclYWLzpPQqWFMKFKTGKqxeDbBbyWO3JVAeyKN3w_0FLetvzKuuY

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