il nuovo trattato franco-tedesco, a cura di Giuseppe Germinario

Qui sotto il testo del trattato franco-tedesco che verrà sottoscritto il 22 gennaio prossimo ad Aquisgrana in occasione del 59° anniversario del primo storico trattato sancito dai due governi.

Il contesto storico è molto diverso; l’autorevolezza e la credibilità dei due attuali contraenti non è paragonabile a quella dei primi garanti; gli stessi mallevadori di quel primo accordo, gli Stati Uniti, sembrano combattuti al proprio interno riguardo al destino da riservare alla attuale Unione Europea. La grandezza emotiva di quell’accordo poggiava su un retaggio; la memoria di due potenze l’una decaduta, l’altra distrutta da un conflitto estremo e risolutivo. La sua ambivalenza veniva dissolta in appena un paio di anni con il naufragio dei propositi gaullisti di separare l’alleanza politico-diplomatica atlantica dal sodalizio militare della NATO attraverso la creazione di un polo militare e di deterrenza nucleare autonomi franco-tedesco. L’ambivalenza del prossimo rischia di dissolversi nel momento stesso del concepimento dell’accordo. Esso poggia sul proposito di un unico mercato mondiale senza barriere, o per meglio dire con barriere e regole mirate, reso ipotizzabile solo da un dominio unipolare pressoché totale di una superpotenza. Ipotesi manifestamente impraticabile da parte di Stati Uniti e Cina, del tutto velleitaria da parte dell’asse franco-tedesco. Ciò non ostante, la forza di inerzia dei centri decisionali sostenitori di questo processo è ancora rilevante e può portare ad ulteriori sviluppi e sussulti dei rapporti comunitari prima e non ostante gli evidenti segni di decomposizione. I prossimi mesi ci diranno se si tratta ancora di un processo comunitario che interessa l’intero subcontinente europeo oppure della costruzione surrettizia di una area di influenza franco-tedesca più limitata all’interno dell’Europa, ma che consenta alla Francia di mantenere, pur se in condominio, una parvenza di egemonia nel Nord-Africa e nel Vicino Oriente. Sta di fatto che tutti i passi concreti, ancorché velleitari, di questo trattato, compresa la proposta di assegnazione del seggio dell’ONU alla Germania, contrasta con una retorica europeista sempre più spenta e autoreferenziale. Un progetto, nell’una e nell’altra veste che vede designata come vittima sacrificale la sorella Italia. In qualche maniera il nostro paese sembra aver superato la pressoché totale passività che ha contraddistinto la propria politica estera degli ultimi trenta anni; i nuovi centri politici in via di formazione non sembrano però ancora in grado di comprendere la natura, l’entità e la drammaticità dello scontro politico in atto. Le tentazioni di trasformismo e ritorno a Canossa sono ricorrenti non ostante il contenzioso tra Commissione Europea e stati nazionali sembra allargarsi ad altri protagonisti di tutto rispetto come la Spagna. La gestione della trattativa sui vincoli finanziari e la piega che sta prendendo la conformazione della futura Unione bancaria e dell’ESM non lasciano presagire granché di buono non ostante gli spazi aperti dal nuovo corso americano. Si spera che finiscano almeno le pratiche degli annunci roboanti seguite da “momenti Tsipras”. Il primo compito di queste forze è quello di assumere e far comprendere la durezza e le pesanti implicazioni di politiche di interesse nazionale magari meno urlate, ma più assertive. Un popolo va temprato e reso responsabile_Germinario Giuseppe

https://www.latribune.fr/economie/union-europeenne/le-nouveau-traite-franco-allemand-qui-sera-signe-le-22-janvier-804036.html

https://www.les-crises.fr/urgent-texte-integral-et-analyse-du-traite-franco-allemand-daix-la-chapelle-qui-sera-signe-le-22-janvier/

Trattato tra la Repubblica francese e la Repubblica federale di Germania sulla cooperazione e l’integrazione franco-tedesche

La Repubblica francese e la Repubblica federale di Germania

Riconoscendo lo storico successo della riconciliazione tra i popoli francese e tedesco a cui il trattato del 22 gennaio 1963 tra la Repubblica francese e la Repubblica federale di Germania sulla cooperazione franco-tedesca ha dato un contributo eccezionale e da cui è nata una rete senza precedente per le relazioni bilaterali tra le loro società civili e le loro autorità pubbliche a tutti i livelli,

Convinti che sia giunto il momento di elevare le loro relazioni bilaterali a un livello superiore e di prepararsi alle sfide che affliggono sia gli Stati che l’Europa nel 21 ° secolo, e di convergere le loro economie e modelli sociali, a promuovere la diversità e avvicinare le loro società e i loro cittadini,

Convinto che la stretta amicizia tra Francia e Germania sia stata decisiva e resti un elemento indispensabile di un’Unione europea unita, efficace, sovrana e forte,

Impegnati ad approfondire la loro cooperazione in materia di politica europea al fine di promuovere l’unità, l’efficacia e la coesione dell’Europa, pur mantenendo questa cooperazione aperta a tutti gli Stati membri dell’Unione europea,

Impegnato nei principi, nei diritti, nelle libertà e nei valori fondatori dell’Unione europea, che difendono lo stato di diritto in tutta l’Unione europea e lo promuovono all’estero,

In allegato a lavorare verso la convergenza sociale ed economica verso l’alto all’interno dell’Unione europea, per rafforzare la solidarietà reciproca e promuovere il costante miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro in conformità con i principi di base europea dei diritti sociali, compresi prestando particolare attenzione alle donne di empowerment e la parità di genere,

Riaffermando l’impegno dell’Unione europea a favore di un mercato mondiale aperto , equo e basato su regole, con l’accesso sulla base di reciprocità e di non discriminazione e governata da elevati standard ambientali e sociali,

Consapevoli dei loro diritti e obblighi derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite,

Impegnato fermamente a un ordine internazionale e al multilateralismo basato su regole, di cui le Nazioni Unite sono l’elemento centrale,

Convinti che prosperità e sicurezza possono essere raggiunte solo agendo con urgenza per proteggere il clima e preservare la biodiversità e gli ecosistemi,

Agire secondo le rispettive norme costituzionali e giuridiche nazionali e all’interno del quadro giuridico dell’Unione Europea,

Riconoscendo il ruolo fondamentale della cooperazione decentrata dei comuni, dipartimenti, regioni, Länder, il Senato e il Bundesrat, nonché la cooperazione tra il plenipotenziario della Repubblica federale di Germania per gli Affari Culturali del Trattato di cooperazione franco-tedesca e competenti ministri francesi,

Riconoscendo il ruolo essenziale della cooperazione tra l’Assemblea nazionale e il Deutscher Bundestag, in particolare nel quadro del loro accordo interparlamentare del 22 gennaio 2019, che costituisce una dimensione importante degli stretti legami tra i due paesi, hanno convenuto quanto segue :

Capitolo 1: Affari europei

Articolo 1 st

I due stati stanno approfondendo la loro cooperazione sulla politica europea. Promuovono una politica estera e di sicurezza comune efficace e forte e rafforzano e approfondiscono l’Unione economica e monetaria . Si sforzano di ultimare il completamento del mercato unico e di costruire un’Unione competitiva basata su una solida base industriale, che serva da base per la prosperità, promuovendo la convergenza economica, fiscale e sociale , nonché il carattere duraturo in tutte le sue dimensioni.

Nota OB: ma in nome di cosa dovremmo convergere con gli standard tedeschi, e non con quelli italiani, ad esempio?

Articolo 2

I due Stati membri si consultano regolarmente a tutti i livelli preliminarmente i principali eventi europei, cercando di stabilire posizioni comuni e di concordare prese di posizione coordinate tra i loro ministri. Si coordinano sul recepimento della legge europea nella propria legislazione nazionale.

Capitolo 2: Pace , sicurezza e sviluppo

Articolo 3

I due stati stanno approfondendo la loro cooperazione in materia di politica estera, difesa, sicurezza esterna e interna e sviluppo, cercando al contempo di rafforzare la capacità di azione autonoma dell’Europa. Si consultano a vicenda al fine di definire posizioni comuni su qualsiasi decisione importante che riguardi i loro interessi comuni e di agire congiuntamente in tutti i casi in cui ciò sia possibile.

Nota OB: ma in nome di cosa dovremmo convergere con le visioni e le esigenze tedesche, e non quelle spagnole ad esempio? Ci sono paesi di seconda classe nell’Unione?

Articolo 4

(1) In seguito agli impegni che li vincolano ai sensi dell’articolo 5 del trattato del Nord Atlantico del 4 aprile 1949 e dell’articolo 42, paragrafo 7 del trattato sull’Unione europea del 7 febbraio 1992, modificato dal trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 che modifica il trattato sull’Unione europea e il trattato che istituisce la Comunità europea, i due Stati, convinti dell’indissociabilità dei loro interessi di sicurezza, convergono sempre più i loro obiettivi e le loro politiche di sicurezza e difesa , rafforzando in tal modo i sistemi di sicurezza collettiva di cui fanno parte. Si prestano aiuto e assistenza con tutti i mezzi a loro disposizione, compresa la forza armata, in caso di aggressione armata contro i propri territori. L’ambito di applicazione territoriale della seconda frase del presente paragrafo corrisponde a quello dell’articolo 42, paragrafo 7, del trattato sull’Unione europea.

(2) I due Stati agiranno congiuntamente in tutti i casi, ove possibile, in conformità con le rispettive norme nazionali, al fine di mantenere la pace e la sicurezza. Continuano a sviluppare l’efficienza, la coerenza e la credibilità dell’Europa nel campo militare . In tal modo, si impegnano a rafforzare la capacità d’azione dell’Europa e a investire congiuntamente per colmare le lacune in termini di capacità, rafforzando così l’Unione europea e l’Alleanza del Nord Atlantico .

Nota OB: Ricordiamo che i deputati tedeschi silurarono il Trattato dell’Eliseo durante la ratifica aggiungendo nel preambolo un riferimento alla NATO che non apparve lì …

(3) I due Stati si impegnano a rafforzare ulteriormente la cooperazione tra le loro forze armate al fine di stabilire una cultura comune e schieramenti congiunti. Stanno intensificando lo sviluppo di programmi di difesa comuni e li espandono ai partner. In tal modo, intendono promuovere la competitività e il consolidamento della base industriale e tecnologica della difesa europea. Sono favorevoli alla cooperazione più stretta possibile tra le loro industrie della difesa, sulla base della loro reciproca fiducia. Entrambi i paesi svilupperanno un approccio comune alle esportazioni di armi attraverso progetti comuni.

Nota OB: esportazione di armi, una priorità …

(4) I due stati istituiscono il Consiglio franco-tedesco di difesa e sicurezza come organo politico per gestire questi reciproci impegni. Questo Consiglio si riunirà al più alto livello a intervalli regolari.

Articolo 5

I due stati estendono la cooperazione tra i ministeri degli affari esteri, incluse le loro missioni diplomatiche e consolari. Si scambieranno alti funzionari. Stabiliranno scambi all’interno delle loro rappresentanze permanenti presso le Nazioni Unite a New York, in particolare tra le loro squadre del Consiglio di sicurezza, le loro rappresentanze permanenti presso l’Organizzazione del trattato del Nord Atlantico e le loro rappresentanze permanenti presso le Nazioni Unite. Unione europea, nonché tra gli organismi dei due Stati responsabili del coordinamento dell’azione europea.

Nota OB: ma in nome di cosa dovrebbe convergere con le visioni e le esigenze tedesche, e non l’inglese per esempio?

Articolo 6

Nel settore della sicurezza interna, i governi dei due Stati stanno rafforzando ulteriormente la loro cooperazione bilaterale nella lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata, nonché la loro cooperazione nel settore giudiziario e in materia di intelligence e polizia. Esse attuano misure comuni di formazione e impiego e creano un’unità comune per le operazioni di stabilizzazione nei paesi terzi.

Nota OB: poter andare in guerra allora. Perché non è indicato “dopo l’approvazione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite”?

Articolo 7

I due Stati si impegnano a stabilire un partenariato sempre più stretto tra l’Europa e l’Africa rafforzando la loro cooperazione nei settori dello sviluppo del settore privato, dell’integrazione regionale, dell’istruzione e della formazione professionale, dell’uguaglianza di genere e dell’emancipazione femminile, con l’obiettivo di migliorare le prospettive socioeconomiche, la sostenibilità, il buon governo e la prevenzione dei conflitti, la risoluzione delle crisi, compreso il mantenimento della pace, e la gestione delle situazioni post-conflitto. I due Stati stabiliscono un dialogo politico annuale sulla politica di sviluppo internazionale per intensificare il coordinamento della pianificazione e dell’attuazione delle politiche.

Articolo 8

(1) Nel quadro della Carta delle Nazioni Unite, i due Stati coopereranno strettamente in tutti gli organi delle Nazioni Unite. Essi coordineranno strettamente le loro posizioni, come parte di un più ampio sforzo di consultazione tra gli Stati membri dell’UE in seno al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e in conformità con le posizioni e gli interessi dell’Unione europea. Agiranno di concerto per promuovere alle Nazioni Unite le posizioni e gli impegni dell’UE nei confronti delle sfide e delle minacce globali. Faranno del loro meglio per raggiungere una posizione unitaria dell’Unione europea negli organi competenti delle Nazioni Unite.

(2) I due Stati si impegnano a proseguire i loro sforzi per completare i negoziati intergovernativi sulla riforma del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. L’ammissione della Repubblica Federale di Germania come membro permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite è una priorità della diplomazia franco-tedesca.

Nota OB: No. La priorità è portare India, Nigeria o Sud Africa e Brasile o Argentina, in modo che il loro continente sia rappresentato …

Capitolo 3 Cultura, istruzione, ricerca e mobilità

Articolo 9

Entrambi gli stati riconoscono il ruolo decisivo svolto dalla cultura e dai media nel rafforzare l’amicizia franco-tedesca. Di conseguenza, sono determinati a creare per i loro popoli uno spazio condiviso di libertà e opportunità, nonché uno spazio culturale e mediatico comune. Sviluppano programmi di mobilità e di scambio tra i loro paesi, in particolare per i giovani nel quadro dell’Ufficio gioventù franco-tedesco, e definiscono obiettivi quantificati in questi settori. Al fine di promuovere collegamenti sempre più stretti in tutti i settori dell’espressione culturale, anche attraverso istituti culturali integrati, stanno mettendo in atto programmi specifici e una piattaforma digitale, in particolare per i giovani.

Articolo 10

I due stati stanno avvicinando i loro sistemi educativi sviluppando l’apprendimento reciproco delle rispettive lingue, adottando, in conformità con la loro organizzazione costituzionale, strategie per aumentare il numero di studenti che studiano la lingua del partner, azioni per il riconoscimento reciproco dei diplomi e l’istituzione di strumenti di eccellenza franco-tedeschi per la ricerca, l’istruzione e la formazione professionale, nonché programmi integrati doppi franco-tedeschi sotto l’egida di istruzione superiore.

Nota OB: tedesco, ovviamente, la lingua strategica del XXI ° secolo …

Articolo 11

Entrambi gli stati promuovono il collegamento in rete dei loro sistemi di istruzione e ricerca, nonché le loro strutture di finanziamento. Continuano lo sviluppo dell’Università franco-tedesca e incoraggiano le università francesi e tedesche a partecipare a reti di università europee.

Articolo 12

I due stati stanno istituendo un fondo comune dei cittadini per incoraggiare e sostenere le iniziative dei cittadini e il gemellaggio tra città allo scopo di avvicinare i loro due popoli.

Capitolo 4 Cooperazione regionale e transfrontaliera

Articolo 13

(1) I due Stati riconoscono l’importanza della cooperazione transfrontaliera tra la Repubblica francese e la Repubblica federale di Germania al fine di rafforzare i legami tra cittadini e imprese su entrambi i lati della frontiera, compreso il ruolo essenziale delle autorità locali e di altri attori locali a questo riguardo. Intendono facilitare la rimozione degli ostacoli nei territori di confine al fine di attuare progetti transfrontalieri e facilitare la vita quotidiana degli abitanti di questi territori.

(2) A tal fine, conformemente alle rispettive norme costituzionali dei due Stati e nei limiti del diritto dell’Unione europea, i due Stati dotano gli enti regionali e locali frontalieri e le entità transfrontaliere come gli Eurodistretti di poteri appropriati , risorse dedicate e procedure accelerate per superare gli ostacoli all’attuazione di progetti transfrontalieri, in particolare nei settori economico, sociale, ambientale, sanitario, energetico e dei trasporti. Se nessun altro mezzo consente loro di superare questi ostacoli , possono essere concesse adeguate disposizioni legali e amministrative, comprese deroghe . In questo caso, dipende dai due Stati adottare la legislazione appropriata.

Nota OB: Ma si tratta di avere regioni di prima e seconda zona in Francia!

(3) Entrambi gli Stati rimangono impegnati a preservare standard elevati nei settori del diritto del lavoro, della protezione sociale, della salute e sicurezza e della protezione ambientale.

Articolo 14

I due stati hanno istituito un comitato di cooperazione transfrontaliera comprendente parti interessate quali le autorità statali e locali, i parlamenti e entità transfrontaliere come i distretti dell’euro e, se necessario, le euroregioni interessate. Tale comitato è responsabile del coordinamento di tutti gli aspetti dell’osservazione territoriale transfrontaliera tra la Repubblica francese e la Repubblica federale di Germania, definendo una strategia comune per la scelta dei progetti prioritari e monitorando le difficoltà incontrate nei territori frontalieri. e presentare proposte per rimediarvi, nonché per analizzare l’impatto della nuova legislazione sui territori di confine.

Articolo 15

Entrambi gli stati si impegnano a raggiungere l’obiettivo del bilinguismo nelle aree di confine e sostengono le comunità di confine per sviluppare e attuare strategie appropriate.

Nota OB: tedesco, ovviamente, la lingua strategica del XXI ° secolo …

Articolo 16

I due stati faciliteranno la mobilità transfrontaliera migliorando l’interconnessione tra le reti digitali e fisiche tra loro, compresi i collegamenti ferroviari e stradali. Lavoreranno a stretto contatto nel campo della mobilità innovativa, sostenibile e universalmente accessibile per sviluppare approcci o standard comuni per entrambi gli stati.

Articolo 17

Entrambi gli Stati incoraggiano la cooperazione decentrata tra comunità nei territori non frontalieri. Si impegnano a sostenere le iniziative lanciate da queste comunità implementate in questi territori.

Capitolo 5 Sviluppo sostenibile, clima, ambiente ed affari economici

Articolo 18

Entrambi gli Stati stanno lavorando per rafforzare il processo di attuazione degli strumenti multilaterali relativi allo sviluppo sostenibile, alla salute globale e alla protezione dell’ambiente e del clima, in particolare l’Accordo di Parigi del 12 dicembre 2015 e l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile. A tal fine, collaborano strettamente per formulare approcci e politiche comuni, tra cui la messa in atto di misure per la trasformazione delle loro economie e la promozione di azioni ambiziose per combattere i cambiamenti climatici. Garantiscono l’integrazione della protezione del clima in tutte le politiche, compresi regolari scambi trasversali tra i governi nei settori chiave.

Articolo 19

I due Stati promuoveranno la transizione energetica in tutti i settori pertinenti e, a tal fine, svilupperanno la loro cooperazione e rafforzeranno il quadro istituzionale per finanziare, sviluppare e attuare progetti comuni, in particolare nei settori delle infrastrutture, energia rinnovabile ed efficienza energetica.

Articolo 20

(1) I due stati stanno approfondendo l’integrazione delle loro economie al fine di stabilire una zona economica franco-tedesca con regole comuni. Il Consiglio economico-finanziario franco-tedesco promuove l’armonizzazione bilaterale della loro legislazione, in particolare nel campo del diritto commerciale, e coordina regolarmente le politiche economiche tra la Repubblica francese e la Repubblica federale di Germania per promuovere la convergenza tra i due stati e migliorare la competitività delle loro economie.

Nota OB: Incredibile. È vero che non eravamo abbastanza legati dall’UE, mettiamo uno strato con la Germania …

(2) I due Stati istituiscono un “Consiglio degli esperti economici franco-tedesco” composto da dieci esperti indipendenti per presentare a entrambe i governi le raccomandazioni riguardanti la loro azione economica.

Nota OB: ah, il ritorno di esperti economici “indipendenti” non eletti …

Articolo 21

I due stati stanno intensificando la loro cooperazione nel campo della ricerca e della trasformazione digitale, tra cui l’intelligenza artificiale e innovazioni dirompenti. Promuoveranno linee guida internazionali sull’etica delle nuove tecnologie . Per promuovere l’innovazione, creano iniziative franco-tedesche aperte alla cooperazione a livello europeo. I due Stati metteranno in atto un processo di coordinamento e finanziamenti congiunti per sostenere programmi congiunti di ricerca e innovazione.

Articolo 22

Le parti coinvolte e gli attori interessati di entrambi gli stati si riuniscono in un forum per il futuro franco-tedesco per lavorare sui processi di trasformazione delle loro società.

Capitolo 6 Organizzazione

Articolo 23

Le riunioni tra i governi dei due Stati hanno luogo almeno una volta all’anno,alternativamente nella Repubblica francese e nella Repubblica federale di Germania. Dopo l’entrata in vigore del presente trattato, il Consiglio dei ministri franco-tedesco adotta un programma pluriennale di progetti di cooperazione franco-tedeschi. I segretari generali per la cooperazione franco-tedesca responsabili della preparazione di questi incontri monitorano l’attuazione di questo programma e riferiscono al Consiglio dei ministri.

Articolo 24

Un membro del governo di uno dei due Stati parteciperà, almeno una volta a trimestre, in alternanza al Consiglio dei ministri dell’altro Stato.

Nota dell’OB: Bene, vediamo … E se no, gli spagnoli, gli italiani, i polacchi sentiranno odore di petrolio? 

La prospettiva di avere davanti a sé un simile mastodonte piacerà sicuramente a tutti gli altri stati medio-piccoli dell’UE …

Articolo 25

I consigli, le strutture e gli strumenti della cooperazione franco-tedesca sono soggetti a revisione periodica e, se necessario, sono adattati senza indugio agli obiettivi concordati. La prima di queste verifiche dovrebbe aver luogo entro sei mesi dall’entrata in vigore del trattato e proporre gli adeguamenti necessari. I segretari generali per la cooperazione franco-tedesca valutano regolarmente i progressi. Informano i parlamenti e il Consiglio dei ministri franco-tedesco dello stato generale di avanzamento della cooperazione franco-tedesca.

Articolo 26

I rappresentanti delle regioni e dei Länder, nonché il comitato di cooperazione transfrontaliera, possono essere invitati a partecipare al Consiglio dei ministri franco-tedesco.

Capitolo 7: Disposizioni finali

Articolo 27

Il trattato integra il trattato del 22 gennaio 1963 tra la Repubblica francese e la Repubblica federale di Germania sulla cooperazione franco-tedesca ai sensi del paragrafo 4 delle disposizioni finali del presente trattato.

Articolo 28

I due Stati si informano reciprocamente, tramite il canale diplomatico, del completamento delle procedure nazionali necessarie per l’entrata in vigore del presente trattato. Il presente trattato entra in vigore alla data di ricevimento dell’ultima notifica.

Fonte: la Tribune , 16/01/2019

Ridislocamenti nel Vicino Oriente_traduzione di Roberto Buffagni

I documenti mostrano che gli  Stati Uniti stanno espandendo in modo massiccio la loro presenza presso la base aerea della Giordania tra screzi Turchia e Iraq

 

Era stato annunciato un ritiro, in realtà è una ridislocazione dello schieramento militare americano nel Vicino Oriente. Non riguarda solo la Siria, ma l’insieme delle relazioni con i paesi di quell’area, in particolare la Turchia e l’Iraq. Se poi si aggiunge che per la prima volta una portaerei a propulsione nucleare di prima classe, con tutta la sua squadra, si è avventurata nel Golfo Persico, nelle immediate vicinanze dell’Iran il quadro comincia a definirsi meglio. Ancora una volta gli alti e bassi nello scontro politico interno alla classe dirigente americana determinano involontariamente il solco profondo entro il quale si muove la politica estera americana_Giuseppe Germinario

http://www.thedrive.com/the-war-zone/25955/docs-show-us-to-massively-expand-footprint-at-jordanian-air-base-amid-spats-with-turkey-iraq?fbclid=IwAR3zI3kGt38ssi7CDAA-gW7OsGq_vouy7lXathP3CV-743SSvz7Zr4V–3w

Decine di milioni di dollari trasformeranno questa base in Giordania in un nuovo importante hub regionale per jet da combattimento, droni, aerei cargo e altro.

di Joseph Trevithick, gennaio 14, 2019

Le forze armate statunitensi stanno portando avanti piani per espandere notevolmente la propria presenza nella base aerea di Muwaffaq Salti in Giordania, per ospitare meglio un ampio mix di aerei da combattimento, aerei da attacco al suolo, droni armati, aerei da carico e altro ancora. Il progetto di costruzione da svariati milioni di dollari arriva quando l’amministrazione del presidente Donald Trump sta per ritirare le forze americane dalla vicina Siria. Ma mentre le nuove strutture della base giordana potrebbero aiutare a sostenere le operazioni siriane in via indiretta, serviranno uno scopo ben più importante nel fornire un’alternativa ad altre importanti sedi operative nella regione, specialmente in Turchia, dove dissidi politici potrebbero ostacolare l’accesso degli Stati Uniti in nel mezzo di una crisi.

 

Il Corpo dei Genieri dell’Esercito degli Stati Uniti, che sta supervisionando il lavoro a Muwaffaq Salti, ha rilasciato specifiche e disegni relativi ai nuovi piazzali, alle vie di rullaggio e ad altre strutture associate su FedBizOpps, il sito web principale delle opere pubbliche federali degli Stati Uniti, l’11 gennaio 2019. I documenti stessi risalgono all’autunno del 2018. Il bilancio della difesa per l’anno fiscale 2018 includeva più di $ 140 milioni per gli ammodernamenti alla base della Royal Jordanian Air Force, che gli Stati Uniti hanno utilizzato attivamente per le operazioni regionali almeno dal 2013.

 

I documenti contrattuali non menzionano Muwaffaq Salti per nome, che le forze armate statunitensi descrivono generalmente come una “posizione segreta”, ma includono immagini satellitari annotate che mostrano chiaramente che si tratta della base in questione. Precedenti annunci contrattuali hanno indicato che il 407th Air Expeditionary Air della US Air Force attualmente supervisiona le operazioni di ordinaria amministrazione nella base.

 

Il nuovo incremento delle forze armate statunitensi sembra focalizzato sulla crescita della presenza dell’Air Force specificamente nella base; e la maggior parte dei miglioramenti sarà effettuata sulla pista meridionale della base. Questi includono un piazzale attrezzato per gli aerovelivoli, un piazzale attrezzato per l’addestramento delle forze speciali e la preparazione delle operazioni speciali, un piazzale attrezzato per l’appoggio aereo al suolo (CAS) per le operazioni di intelligence, sorveglianza e ricognizione (ISR).

Google Earth

A satellite image of Muwaffaq Salti Air Base as of May 2017.

USACE

An annotated satellite image of Muwaffaq Salti Air Base, showing the locations of the various planned upgrades.

Il piazzale attrezzato per gli aerovelivoli di quasi 28.000 mq. con annesso spazio di carico e scarico di 3700 mq., sarà abbastanza grande da ospitare fino a due aerei da carico C-17 Globemaster III e uno C-5 Galaxy contemporaneamente. Ciò consentirà il movimento di grandi quantità di personale, munizioni, carburante e altri materiali all’interno e all’esterno della base, il che sarebbe fondamentale per le operazioni aeree di lunga durata.

 

Muwaffaq Salti potrebbe anche fungere da punto di trasbordo, con squadre che trasferiscono il carico su aeromobili più piccoli, come il C-130 Hercules, per spostarsi verso altre sedi operative in altre parti della regione. I C-17 hanno anche la capacità di operare da piste di atterraggio non rinforzate. Il piano di costruzione degli Stati Uniti a Muwaffaq Salt comprende anche un “hot point” di carico  di quasi 26.000 mq. sul lato nord della base per lo scarico rapido e il caricamento di materiale da aerei in transito.

USAF

C-17s at an undisclosed location supporting US operations against ISIS in Iraq and Syria in 2018.

Nella parte meridionale della base, gli Stati Uniti prevedono anche di aggiungere un piazzale attrezzato 41.000 mq. per il recupero del personale e le operazioni speciali. Questo avrà spazi di parcheggio dimensionati per l’airlifter C-130J-30 di della misura maggiore, ma molto probabilmente sarà la sede di distaccamenti di operazioni speciali MC-130. Ci sarà anche spazio per quattro rotori inclinabili Osprey CV-22B.

 

Gli MC-130 dell’Air Force possono fungere da navi cisterna per i CV-22, contribuendo a estendere la loro portata e dando alle forze operative speciali la capacità di spostare rapidamente piccole unità e carichi da e verso i siti dispersi nella regione, o di appoggiare attacchi aerei su specifici obiettivi . Inoltre, gli Ospreys hanno un vantaggio di velocità rispetto agli elicotteri tradizionali, nonché varie contromisure elettroniche e altri sistemi di autodifesa e capacità di volo a bassissima quota (NOE), che consentono all’aereo di raggiungere rapidamente l’area obiettivo e ridurre la sua vulnerabilità alle difese ostili.

 

Come tali, i CV-22 in Giordania potrebbero essere chiamati per inserire rinforzi, esfiltrare i feriti o le forze sotto il fuoco, eseguire missioni di ricerca e soccorso (CSAR) e altre funzioni di recupero del personale. Il CASR è una considerazione particolarmente importante per le operazioni aeree sostenute e una in cui gli Stati Uniti hanno opzioni storicamente limitate nella regione. Ad esempio, al momento, le forze armate statunitensi hanno reparti in Kuwait, Iraq e Turchia per fornire quel tipo di capacità in Iraq e in Siria.

USACE

A more detailed breakdown of the personnel recovery/special operations forces apron, showing the C-130J-30- and CV-22-sized parking spaces.

Il cosiddetto grembiule “CAS / ISR” sarà di gran lunga la più grande aggiunta singola, coprendo quasi 125.000 mq. Ciò consentirà agli Stati Uniti di costruire tre dozzine di spot con rivestimenti protettivi e tettoie, tutti dimensionati per caccia F-15 o F-16, nonché pere gli aerei d’ attacco terrestre A-10. Ci sarà un altro piazzale con quattro spot per MQ-9 Reapers, oltre a più shelter chiusi, ciascuno in grado di ospitare due dei droni, anch’essi collegati a quest’area.

Sebbene descritto come CAS / ISR focalizzato per scopi di pianificazione edilizia, ciò darebbe agli Stati Uniti la possibilità di utilizzare Muwaffaq Salti per estese operazioni di combattimento aereo. L’aereo che questo piazzale  può ospitare può eseguire pattugliamenti aerei di combattimento, interdizione e varie altre missioni.

USACE

A closer look at the CAS/ISR apron with the MQ-9 shelters at the top and additional parking spaces for those drones to the right.

Il dimensionamento degli spazi di parcheggio potrebbe consentire lo spiegamento di altri jet da combattimento, anche da servizi diversi dall’aeronautica militare statunitense, a seconda delle necessità. Nel settembre 2018, l’Air Force ha condotto uno schieramento temporaneo di caccia stealth Raptor F-22 dalla base aerea di Al Dhafra negli Emirati Arabi Uniti a Muwaffaq Salti, insieme al personale di supporto in un aereo cisterna KC-10 Extender.

Questo è qualcosa che potrebbe diventare più comune e richiedere meno supporto esterno, con gli aggiornamenti dell’infrastruttura. Il Corpo dei Marines degli Stati Uniti gestisce anche una forza di risposta alle crisi terrestri con calabroni F / A-18C / D, tra gli altri velivoli, che potrebbero utilizzare le strutture ampliate.

The video below shows the F-22s from the Air Force’s 380th Air Expeditionary Wing deploying to an “undisclosed location” September 2018.

Il video qui sopra mostra gli F-22 della 380a Air Expeditionary Wing dell’Air Force che si sta dispiegando in una “località sconosciuta” nel settembre 2018.

 

Oltre ai vari piazzali, le forze armate statunitensi costruiranno nuove piste di rullaggio, strade di accesso, aree di supporto vitale e altre infrastrutture per sostenere la più ampia presenza americana a Muwaffaq Salti. Il Corpo dei Genieri dell’Esercito stima che il lavoro avrà un costo tra $ 25 e $ 100 milioni, lasciando anche dei fondi significativi per altre aggiunte. La data di scadenza per  presentare le offerte su questo contratto è il 19 febbraio 2019, ma non è prevista una data per la conclusione dei lavori.

 

Il piano chiarisce che gli Stati Uniti stanno cercando di accrescere la propria presenza sul sito e trasformarlo in una base strategica più permanente. Questo potrebbe essere importante, considerando gli sforzi dell’amministrazione Trump per sradicare le forze americane dalla Siria.

 

La tempistica esatta per il ritiro non è chiara. Resta inoltre da vedere in che modo si evolverà la politica degli Stati Uniti in merito alla lotta in corso contro ISIS in Siria e in Iraq, nonché al più ampio conflitto in Siria.

 

Sono stati segnalati casi in cui è probabile che le forze statunitensi si trasferiscano in strutture in altri paesi limitrofi. Da lì, potrebbero rimanere vicini per appoggiare le forze locali sostenute dagli americani e altri partner statunitensi che ancora combattono in Siria, se necessario.

USAF

A US Air Force F-16C Viper taxies at Muwaffaq Salti during the multi-national Falcon Air Meet in 2011.

Il video qui sopra mostra gli F-22 della 380a Air Expeditionary Wing dell’Air Force che si sta dispiegando in una “località sconosciuta” nel settembre 2018.

 

Oltre ai vari piazzali, le forze armate statunitensi costruiranno nuove piste di rullaggio, strade di accesso, aree di supporto vitale e altre infrastrutture per sostenere la più ampia presenza americana a Muwaffaq Salti. Il Corpo dei Genieri dell’Esercito stima che il lavoro avrà un costo tra $ 25 e $ 100 milioni, lasciando anche dei fondi significativi per altre aggiunte. La data di scadenza per  presentare le offerte su questo contratto è il 19 febbraio 2019, ma non è prevista una data per la conclusione dei lavori.

 

Il piano chiarisce che gli Stati Uniti stanno cercando di accrescere la propria presenza sul sito e trasformarlo in una base strategica più permanente. Questo potrebbe essere importante, considerando gli sforzi dell’amministrazione Trump per sradicare le forze americane dalla Siria.

 

La tempistica esatta per il ritiro non è chiara. Resta inoltre da vedere in che modo si evolverà la politica degli Stati Uniti in merito alla lotta in corso contro ISIS in Siria e in Iraq, nonché al più ampio conflitto in Siria.

 

Sono stati segnalati casi in cui è probabile che le forze statunitensi si trasferiscano in strutture in altri paesi limitrofi. Da lì, potrebbero rimanere vicini per appoggiare le forze locali sostenute dagli americani e altri partner statunitensi che ancora combattono in Siria, se necessario.

Sebbene l’Iraq sia stato citato come il paese più probabile per accogliere le unità che si ritirano dalla Siria, la Giordania potrebbe facilmente essere un’altra opzione, e già ospita una significativa presenza militare americana. Oltre a ciò, alcuni membri del parlamento iracheno erano irritati dal fatto che Donald Trump non si fosse incontrato personalmente con il primo ministro Adil Abdul-Mahdi durante la sua visita a sorpresa nel paese nel dicembre 2018.

 

I membri dell’attuale governo di coalizione in Iraq, che sta anche cercando di migliorare le relazioni con l’Iran, hanno richiesto un ritiro completo delle forze americane dal paese. Qualunque sia l’esito di questo particolare contrasto, esso potrebbe limitare la capacità delle forze armate statunitensi di utilizzare le basi in quel paese in futuro.

 

L’espansione di Muwaffaq Salti potrebbe ridurre la necessità di altre sedi operative regionali, che sono diventate negli ultimi anni sempre più politicamente insostenibili, in generale. Quando il piano generale divenne pubblico per la prima volta nel 2017, arrivò in un momento in cui c’erano anche preoccupazioni significative sulla continuità della base aerea di Al Udeid in Qatar, che è la più grande base aerea americana del Medio Oriente ed è stato un hub centrale per le operazioni nella regione e oltre per decenni. Puoi leggere di più su quanto sia vitale questa base per l’esercito americano qui.

Sfortunatamente, il Qatar rimane invischiato in un importante dissidio politico con Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti ed Egitto, tra gli altri, che hanno interrotto le relazioni diplomatiche e bloccato il paese economicamente. Tuttavia, il Segretario di Stato americano Mike Pompeo ha firmato un memorandum d’intesa con i funzionari del Qatar per avviare piani per espandere significativamente Al Udeid, anche durante una visita nel paese il 13 gennaio 2019.

US Department of State

US Secretary of State Mike Pompeo, at center in suit, arrives in Qatar on Jan. 13, 2019.

“Siamo tutti piùforti quando lavoriamo insieme”, ha detto Pompeo in una conferenza stampa, in cui ha anche affermato che la disputa di quasi 20 mesi tra il Qatar e altri paesi della regione si è “trascinata troppo a lungo”. L’alto diplomatico è ora in Arabia Saudita e, tra le altre cose, probabilmente continuerà a sostenere una risoluzione della situazione.

 

Oltre a ciò, Muwaffaq Salti si trova a circa 1.000 miglia da Al Udeid, rendendolo mal posizionato per essere un sostituto di quella base. Sembra più probabile che la principale forza trainante dell’espansione in Giordania sia le tensioni a lungo latenti tra Stati Uniti e Turchia. Nonostante entrambi siano membri della NATO, entrambi i paesi si sono allontanati a causa di una serie di dispute, tra cui la decisione della Turchia di acquistare missili S-400 dalla Russia, i crescenti legami di Ankara con Mosca in generale, e il sostegno degli Stati Uniti ai gruppi curdi in Siria, che le autorità turche considerano terroristi.

USAF

A-10 Warthog ground attack aircraft arrive at Incirlik Air Base in Turkey to support operations against ISIS in 2015.

 La Turchia e gli Stati Uniti sono anche coinvolti in una disputa su Fethullah Gülen, un ex alleato politico del sempre più dittatoriale presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, che ora vive in esilio auto-imposto negli Stati Uniti. Le autorità turche accusano Gülen di aver architettato un tentato colpo di stato del 2016 contro Erdoğan, ma gli Stati Uniti hanno finora negato, adducendo l’insufficienza di prove.

 

La questione del sostegno americano ai curdi, in particolare, è stato un fattore importante nella decisione iniziale di Trump di ritirare le forze statunitensi dalla Siria e la sicurezza dei civili curdi in tutte le aree in cui le forze turche o turche potrebbero prendere il controllo della situazione. . Da allora le autorità statunitensi hanno chiesto assicurazioni dalla Turchia che non tenterà di attaccare i curdi e Trump stesso ha minacciato di “devastare economicamente la Turchia” se Ankara non è d’accordo con queste condizioni.

 

Inizia il lungo ritiro della Siria colpendo duramente il poco rimanente califfato territoriale ISIS, e da molte direzioni. Attaccherà di nuovo dalla base vicina esistente se riformerà. Distruggerà economicamente la Turchia se colpiscono i curdi. Crea una zona sicura di 20 miglia ….

– Donald J. Trump (@realDonaldTrump), 13 gennaio 2019

 

 

 

Il presidente ha anche insistito sul fatto che non voleva che i curdi “provocassero” la Turchia. Non è del tutto chiaro se i “curdi” in questo caso si riferisce a civili curdi, il gruppo di forze democratiche siriane a maggioranza curda appoggiato dagli Stati Uniti che sta combattendo contro l’ISIS, o entrambi. La Turchia ha ripetutamente dichiarato l’intenzione di schiacciare i combattenti curdi, anche se sono allineati con l’SDF, attraverso la Siria settentrionale.

 

Vale anche la pena notare che gli Stati Uniti forniscono intelligence e altro supporto alle operazioni militari turche contro altri gruppi militanti curdi attivi in ​​Turchia. Quindi, come il governo turco potrebbe interpretare eventuali richieste da parte delle loro controparti americane e quanto gli Stati Uniti potrebbero essere disposti a rispondere a qualsiasi apparente violazione di tali clausole resta da vedere.

 

…. Allo stesso modo, non voglio che i curdi provocino la Turchia. La Russia, l’Iran e la Siria sono stati i maggiori beneficiari della politica a lungo termine degli Stati Uniti di distruggere l’ISIS in Siria: nemici naturali. Ne beneficiamo anche noi, ma è ora di riportare a casa le nostre truppe. Fermate le GUERRE INFINITE!

– Donald J. Trump (@realDonaldTrump), 13 gennaio 2019

 

Tutto ciò rappresenta un rischio permanente per l’accesso alla base aerea di Incirlik, un importante hub regionale per l’esercito americano che funge da base per i jet da combattimento che operano nella regione, un sito di stoccaggio di armi nucleari tattico e un importante punto di trasbordo , potrebbe finire in un momento critico. Muwaffaq Salti, a meno di 400 miglia a sud, è ben posizionato per soppiantare Incirlik, così come altre località operative in Turchia, per operazioni convenzionali se il governo turco dovesse fermare le operazioni americane da quelle basi.

 

Tutto sommato, gli aggiornamenti a Muwaffaq Salti aumenteranno la capacità dell’America di operare in quella parte del Medio Oriente al di fuori di qualsiasi operazione attualmente in corso, in Siria o altrove, per gli anni a venire e cementeranno ulteriormente le relazioni USA-Giordania. Con questo in mente, potremmo iniziare a vedere lavori in altri siti in Giordania oltre a Muwaffaq Salti nei prossimi anni. Se le stime del Corpo dei Genieri  sono accurate, ci saranno decine di milioni di dollari per progetti di costruzione nel paese.

 

 

il tabu dell’Unione Europea_Traduzione di Giuseppe Germinario

http://www.lefigaro.fr/vox/politique/2019/01/14/31001-20190114ARTFIG00262-coralie-delaume-l-union-europeenne-sera-le-sujet-tabou-du-grand-debat.php?fbclid=IwAR1vLJGy_QqKuzWXeI1qYpJYcWyf9xaeOzHLMAGBBwbsER0VgDbUYthy6Qw&redirect_premium

https://www.lemonde.fr/politique/article/2019/01/13/document-la-lettre-d-emmanuel-macron-aux-francais_5408564_823448.html

FIGAROVOX / INTERVISTA –  La “Lettera ai francesi” di Emmanuel Macron è appena apparsa per delineare il grande dibattito nazionale; Coralie Delaume rileva l’assenza di un argomento che lei considera essenziale: l’Unione europea.


Coralie Delaume è una saggista, ha scritto The End of the European Union (Michalon, 2017) e ha appena pubblicato La coppia franco-tedesca non esiste (Michalon, 2018). Dal 2011, ospita anche il blog L’Arčne nue .


FIGAROVOX.- In una lunga lettera ai francesi per il lancio del “grande dibattito nazionale”, Emmanuel Macron parla di “ricostruzione di un nuovo contratto sociale”. Cosa ti suggerisce questa lettera?

Coralie DELAUME.- Questa stessa idea di “grande dibattito nazionale” è strana quanto a Emmanuel Macron, un presidente recentemente eletto. Se la Francia avesse ancora una normale vita democratica, potremmo considerare che il “grande dibattito” ha avuto luogo nel 2017 e che è stato definito “campagna presidenziale”. In un ambiente sano, il momento del dibattito è quello della campagna elettorale. Diversi progetti sociali – anche opposti – si confrontano, i programmi sono presentati, spiegati, difesi. Dopo di che i cittadini votano e governa il candidato che ha sostenuto il progetto vincitore. Se necessario, e se una questione cruciale sorge durante il mandato, gli elettori possono essere consultati tramite referendum, che dà luogo a un “grande dibattito nazionale” chiamato “campagna referendaria”. I cittadini hanno due opzioni, dicono “si” o “no”. In linea di principio, il verdetto delle urne dovrebbe essere rispettato. Insisto: in linea di principio. Nel maggio 2005, durante l’ultimo referendum tenutosi in Francia (quello sul progetto di trattato costituzionale europeo), è stato diverso.

Finché non vogliamo mettere in discussione l’Unione europea, non esiste un “grande dibattito”.

Da allora, non c’è mai stato un referendum ed è probabilmente questo – questo tipo di “frustrazione del referendum” che ha avuto origine nel 2005 – che spiega il successo del tema del RIC (referendum d’iniziativa popolare) .

Ci si chiede: come mai le campagne presidenziali e legislative del 2017 non hanno sostituito “un grande dibattito nazionale”? La risposta è semplice: nella misura in cui non vogliamo mettere in discussione né i metodi di lavoro della globalizzazione, né quelli di questa piccola globalizzazione su scala locale (e la principale cintura di trasmissione della “grande” globalizzazione) che è l’Unione europea, non c’è più un “grande dibattito” che regge, non ci sono più alternative possibili. Più esattamente, l’alternanza serve solo a cambiare lo staff, ma non consente alcun cambiamento di politica. Questo è ciò che Jean-Claude Michéa chiama “l’alternanza unica”, e che altri prima di lui chiamavano “alternanza senza alternativa”. L’importanza assunta dal National Gathering nel panorama politico sta chiudendo la vita democratica francese. Affrontando Marine Le Pen nel 2017, Emmanuel Macron poteva permettersi di avere come unico progetto “me o il caos”, vale a dire “rinnovato fondamentalismo di Maastricht o il caos”.

Emmanuel Macron afferma che questo dibattito chiarirà le posizioni della Francia a livello europeo e internazionale. Pensi che modificherà la sua politica europea in base alle opinioni espresse?

No. Nella sua lettera, il Presidente scrive che non ci sono “domande proibite”. Tuttavia, quando esaminiamo le domande elencate, ci rendiamo conto che non c’è alcun dubbio sull’Unione europea.

L’altro argomento vietato era in linea di principio l’immigrazione, ma è tornato dalla porta di servizio (” In materia di immigrazione, una volta soddisfatti gli obblighi in materia di asilo, vuoi che siamo in grado di fissare obiettivi annuali fissati da Parlamento? “). Perché no? In una democrazia, dobbiamo essere in grado di discutere di tutto, compresi gli argomenti più ostici. La questione della migrazione è una questione politica come le altre e farne un tabù è il modo migliore per trasformarlo in un eccesso di fissazione.

Notiamo che la domanda europea non viene posta. Il vero tabù è questo?

»LEGGI ANCHE – Giubbotti gialli:« Macron ha i piedi e i pugni legati dall’Unione Europea »

D’altra parte, notiamo che la domanda europea non viene posta. Il vero tabù è questo? Questo mi ricorda quello che è successo in Italia al momento della formazione del governo “Lega / 5 stelle”. Quando i soci della coalizione hanno voluto nominare per l’economia una personalità che ha apertamente discusso la sua opposizione all’euro (Paolo Savona), il presidente italiano Sergio Mattarella ha sollevato un’eccezione di irricevibilità. Sono state prese in considerazione diverse opzioni per evitare che ciò accadesse, tra cui l’istituzione di un “governo tecnico” e qualunque cosa possa costare in termini di democrazia. Mattarella ha fatto tante storie sulla nomina di Matteo Salvini agli interni? Certo che no, Salvini è nell’interno ma è Giovanni Tria che è stato finalmente nominato per l’Economia.

Le potenziali riforme emerse dal dibattito saranno sufficienti per cambiare lo stato del paese?

No, non finché esiste il tabù sull’Europa o, più esattamente, il tabù sull’Unione europea. Bisogna infatti ricordare che l’Unione europea non è l’Europa, ma una particolare modalità di organizzazione di essa, coerente con gli interessi superiori del capitale, che rende il primato della sovranità del mercato su quello dei popoli.

Come ho spiegato di recente nelle tue colonne , non esiste una politica economica alternativa nel quadro attuale. I trattati costituiscono una “costituzione economica” per l’Europa, e che il termine “costituzione” significa “fissità”. Le politiche economiche sono predeterminate nei testi in vigore; possono essere modificate solo dall’unanimità degli Stati membri. Guarda come funzionano le cose. La Francia non ha più politica monetaria o politica valutaria autonoma poiché è nell’euro.

Il dibattito non porterà in alcun modo a mettere in discussione la politica fiscale condotta da Macron.

Non ha più una politica fiscale autonoma dal momento che deve rispettare il criterio del “deficit pubblico del 3%” e, nel quadro del “semestre europeo”, la Commissione sovrintende alla preparazione dei bilanci nazionali. Non ha più una politica commerciale autonoma poiché questa è una “competenza esclusiva dell’Unione”. Infine, non può più condurre una politica industriale volontarista poiché i trattati proibiscono la “distorsione della concorrenza” attraverso interventi statali nell’economia.

Cosa rimane? Politica fiscale? L’organizzazione del mercato unico in quanto esiste dall’atto unico del 1986 significa che i paesi europei sono impegnati in una concorrenza sfrenata in questo settore, che i nostri paradisi fiscali interni (Lussemburgo, Irlanda) hanno già ampiamente vinto. Inoltre, Macron ha annunciato il colore: il grande dibattito non condurrà in alcun modo a una sfida alla politica fiscale che sta conducendo da quando è salito al potere (” Non torneremo sulle misure che abbiamo preso per correggere questo e per incoraggiare gli investimenti e far crescere di più il lavoro; sono stati appena votati e stanno appena iniziando a lavorare “).

LEGGI ANCHE – La secessione dell ‘”élite” o di come viene abolita la democrazia, di Coralie Delaume

Cosa puo fare, secondo te, Emmanuel Macron?

In definitiva, le opzioni rimarranno le stesse: ridurre il “costo del lavoro”, privatizzare alcuni servizi pubblici e finanziare quelli rimasti. Queste sono tutte le possibilità di aggiustamento economico disponibili.

Un palliativo, tuttavia. La spesa aggiuntiva annunciata dal Presidente della Repubblica a dicembre per rispondere alla crisi dei Gilet gialli devierà la Francia dalla sua traiettoria fiscale. Il Commissario europeo per gli affari economici Pierre Moscovici ha certamente fatto sapere che il criterio del 3% non era un totem, almeno non per la Francia poiché è il suo paese. D’altra parte, l’Italia non ha omesso di denunciare il “doppio standard” della Commissione. Dal lato tedesco, la Bundesbank è febbricitante e il suo capo, Jens Weidmann, ha detto in dicembre che è rimasto molto impegnato a rispettare rigorosamente le regole. Per quanto riguarda il commissario tedesco Günther Oettinger, ha anche menzionato la possibilità di sanzionare Parigi.

L’Unione europea è molto fragile oggi.

È improbabile che ciò accada perché il nostro paese svolge un ruolo vitale come “utile idiota” della Germania in Europa: Berlino può permettersi tutto non appena Parigi l’approva per conto della “coppia franco-tedesca”. Tuttavia, resta il fatto che l’Unione europea è oggi molto fragile, che la minima avventura porta rischi di collasso e che un nulla può produrre una catena di conseguenze incontrollabili. Cosa accadrà se la “disobbedienza” francese sarà presa come esempio da altri paesi? Se tutti cominciano a “disobbedire”? Dov’è la soglia di tolleranza della Repubblica Federale?

Questo è ciò che vedremo nei prossimi mesi e potremo finalmente parlarne nel contesto di un “grande dibattito nazionale” chiamato “campagna elettorale europea del maggio 2019”.

L’EPICENTRO DELL’EUROPA, di Pierluigi Fagan

tratto da Facebook https://www.facebook.com/pierluigi.fagan/posts/10216883739541348

TRATTATO DI AQUISGRANA. Il prossimo 22, Merkel e Macron, firmeranno il trattato di Aquisgrana che aggiorna e rilancia l’asse stabilito con il trattato dell’Eliseo del 1963, a suo tempo firmato da De Gaulle ed Adenauer, già riconfermato e rinforzato dall’accordo Mitterand e Kohl del 1988 da cui l’UE e l’euro.

Questa sottile linea rossa nel tempo, verrà intersecata dalla sottile linea rossa dello spazio. Aquisgrana, infatti, è città di confine tra i due Paesi, oltre ad essere stata in passato capitale dei Merovingi, sede principale dell’inquieto Carlo Magno e sede di incoronazione di ben 37 imperatori del Sacro Romano Impero. In realtà, Aquisgrana non è proprio al confine con la Francia ma perfettamente incastonata alla giunzione tra Belgio, Olanda e Germania, poco sopra il Lussemburgo e a 40 km da Maastricht. Siamo dunque nel cuore del cuore del motore storico dei tentativi di superare lo stato-nazionalismo europeo che aveva portato al doppio conflitto bellico della prima metà del Novecento. Quella CECA (1951) promossa da belgi, olandesi, lussemburghesi che, terrorizzati di trovarsi in mezzo ai due giganti che si erano fatti ben sette guerre nel precedente secolo e mezzo, convinsero i francesi a tender la mano ai rivali germanici stremati e paralizzati dal peso della tremenda e mefistofelica eredità prussiano-nazista. L’Italia di De Gasperi venne invitata ad aggiungersi per ragioni cosmetiche, come far sembrare continentale un processo che riguardava specificatamente solo questa problematica parte dello spazio geo-storico che si chiama Europa.

Nel tanto vociare che si fa sull’Unione europea, fa specie proprio la mancanza di storici che ricordino le radici lunghe dei processi di cui vediamo il finale affioramento. Seppelliti da analisi monetariste, econometriche, ricostruzioni sul pensiero neoliberale, riviscenza della teoria delle élite ed altre letture last minute in cui si riflettono su i fatti i presupposti che fondano singoli sguardi conoscitivi trovando magicamente corrispondenza tra questi ed i fatti stessi, la ragione geo-storica non trova posto. Non essendo di moda, rimane inutilizzata. Peccato perché invece si mostra palesemente come sia questa ad ordinare il processo: gli interessi dei popoli (gli interessi di quei popoli nella specifica interpretazione che ne hanno dato le loro élite, ovvio) che da più di 15 secoli abitano quella zona, popoli poi formalizzati in nazioni ma di origine, abitanti quello che è un continuum geografico. Ciò che deriva da questa storia di lunga durata, arriva infine a spiegare l’essenza dell’Unione europea e dell’euro stesso, il sospettoso darsi la mano tra i due storici rivali mentre le ancelle che stanno in mezzo spargono essenze di gelsomino per celebrare.

Per questo chi scrive, si ostina periodicamente a riproporre l’idea di una Unione latino-mediterranea (idea nata da un francese, per quanto di origine russa), strappare la Francia a quell’abbraccio e metterla nel suo altro contesto antropo-storico, opponendo alle origine franche quelle gallo-celtiche-cattolico romane. Doppia identità che è intrinseca all’identità francese, contraddizione da sfruttare per noi italiani altrimenti condannati a vivere accanto ad un sistema che ancorché oggi frazionato in stati diversi, in prospettiva potrà contare su 180 milioni di individui per un Pil teorico oggi di 7mila mld di US$, terzo soggetto economico planetario. Ma è predicare nel deserto, logica aliena, ragionamento incomprensibile per chi ragione in termini monetari, economici, di fatti politici evenemenziali.

A gli italiani val bene invece scoprire il “sovranismo” o sbavare alla finestra per esser invitati come valletti a questa partouze agghindata da premessa dei finti ed impossibili Stati Uniti d’Europa. Ci ritroveremo o servi loro o servi dei loro nemici, britannici, americani, russi. Ad Arlecchino del resto, si pone sempre e solo la scelta di quale padrone servire, dal tempo dei Romani, per “noi” non si rinviene altra alternativa.

“Approfondire e sviluppare ulteriormente la collaborazione economica, sociale, politica, culturale e tecnologica, climatico ed ambientale” il contenuto del trattato secondo il portavoce del governo tedesco S. Seibert. Siamo all’inseminazione in vitro dei reciproci DNA stato-nazionali. C’è da dire che i due più recenti interpreti del decennale processo, Merkel e Macron, non sono certo all’apice della loro forza e legittimità, ma qui gli interpreti contano fino ad un certo punto, contano di più le élite alle loro fondamenta. E quelle élite che fanno il cuore della ricchezza europea, ben sanno dei loro interessi e ben sanno che navigare nei procellosi mari dell’era complessa senza una strategia di lungo corso, equivale ad andare a schiantarsi. Strategia, quella forma di pensiero ad idee incatenate tra loro che fonda la filosofia politica proprio qui da noi con Machiavelli. Avremmo potuto e dovuto rivendicare nei fatti questa ben più nobile discendenza, abbiamo invece preferito quella della Commedia dell’Arte che nacque proprio alla morte del fiorentino.

[Evitate i rimbrotti sulla coazione auto-denigratoria che offende l’italico orgoglio. Sottolineare la mancanza di statura strategica del pensiero italiano non è lesa maestà, è realistica auto-critica. Del resto se i giganti del nostro pensiero politico attuale sul tema sono i Calenda ed i Bagnai, i Borghi e le Bonino, abbiamo ben poco da offenderci.]

nuovi paradigmi della sinistra del socialismo, con Andrea Zhok

Italia e il mondo continua ad offrire il proprio spazio a quelle forze e personalità che puntano a superare l’impostazione economicistica dell’azione politica; che cercano quindi di valorizzare la funzione della cooperazione, confronto e del conflitto tra centri politici nei vari ambiti della società. Attraverso questo percorso diventa essenziale la ricollocazione nella società e nell’agone politico del ruolo dello stato , l’analisi delle sue dinamiche interne e la funzione che svolgono i processi identitari  nelle forme particolari di coesione delle formazioni sociali. Con questa intervista Andrea Zhok ci offre il suo punto di vista partendo da un’area politica che sino a non molto tempo fa sembrava avulsa da questi contenuti. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

psicosi da “mala tempora”, di Giuseppe Germinario

 

https://twitter.com/sotiridi/status/1081979084488564736

è accaduto il 6 gennaio in Olanda. Una signora con in dosso un gilet giallo e con un passeggino al seguito, nel corso di una tranquilla passeggiata in città, è stata fermata da due poliziotti e intimata ad esibire i documenti. In mancanza di essi le è stato ordinato di togliersi il gilet giallo; al suo rifiuto, con l’ausilio di due poliziotti a cavallo ed altri due emersi da un furgone blindato, la donna è stata arrestata senza troppe premure. Una reazione a prima vista del tutto sproporzionata rispetto a quanto accaduto.

Si potrebbe trattare di una iniziativa arbitraria e autonoma di un gruppo di poliziotti. Forse un fenomeno isolato, almeno per ora. Può essere molto probabilmente il sintomo di una psicosi che sta pervadendo le élite ancora imperanti nel nostro continente ma non più sicure di poter mantenere il controllo della situazione e soprattutto di riuscire a trovare alternative sufficienti a procrastinare, magari sotto altre spoglie, il loro potere.

Elite così a loro agio negli spazi di comunicazione e di azione interni al loro mondo, apparentemente svincolato dai retaggi e dalle limitazioni spaziali e territoriali, ma così impacciate e attonite quando si tratta di governare con duttilità quelle avversità che provengono e sorgono proprio dai territori limitrofi nei quali comunque tocca loro posare in qualche maniera le terga. Alla tv ci hanno propinato  le prestazioni atletiche quasi disperate di un ex pugile ai danni di un malcapitato poliziotto francese bardato di tutto punto.

Non hanno ricevuto una visibilità almeno paragonabile le violenze spropositate e le prestazioni agonistiche di numerosi elementi delle forze dell’ordine nella capitale parigina e in altre grandi città francesi a suon di granate e di decine di migliaia di proiettili di gomma ad altezza d’uomo. Non è stato dappertutto così in Francia. Ma il solco che sta dividendo l’attuale elite dominante francese dalla gran parte del popolo di Francia, non solo dagli strati più popolari, rischia di trasformarsi in abisso. Le loro cittadelle fortificate rischiano di trasformarsi in prigioni di una classe dirigente sempre più priva di credibilità ed autorevolezza. E’ il motivo della caduta rovinosa del Presidente Macron, come di tanti sodali europei, nonché della persistenza di consensi della Presidenza Trump e del Governo Conte in Italia non ostante le ambiguità e i grossolani errori della loro conduzione politica. Questi due anni da venire lasceranno probabilmente segni profondi_Giuseppe Germinario

Sulla “globalizzazione”: una recensione di Teodoro Klitsche de la Grange al libro di Carlo Calenda

Sulla “globalizzazione”: una recensione di Teodoro Klitsche de la Grange al libro di Carlo Calenda

Carlo CalendaOrizzonti selvaggi, Feltrinelli, Milano 2018, pp. 216, € 16,00.

pubblicato anche su http://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/search?q=Teodoro+Klitsche+de+la+Grange&max-results=20&by-date=true

Il saggio di Calenda è una riflessione sulla globalizzazione e sull’antagonista da esso generato, ossia il populismo. Al contrario di altri, critica gli eccessi della globalizzazione, con la conseguenza che ha indotto. Scrive l’autore che nel ventennio tra il 1989 (caduta del muro di Berlino) e il 2008 (inizio della crisi) si è avuta una separazione tra politica e potere “La separazione tra politica e potere deriva da errori interni alla politica, ma è anche un frutto guasto della prima fase della globalizzazione e dell’ideologia che l’ha ispirata. La politica deve tornare ad avere il potere di indirizzare gli eventi a partire dall’oggi… La ricerca della rappresentanza è stata sostituita dalla retorica della competenza. La tecnica ha sostituito il pensiero politico e poi la politica stessa”. Si è rotta la relazione di fiducia tra i cittadini e la classe dirigente “Questa frattura si è allargata rapidamente, poi nel 2008 la prima fase della globalizzazione si è chiusa, traumaticamente e i suoi dogmi sono crollati, insieme al progetto egemonico dell’Occidente iniziato nell’89”.

L’ “ideologia del potere”, cioè il progresso non è più creduta dalle masse. È la paura del presente su cui insistono le forze populiste a determinare la loro ascesa “I populisti prevalgono, pur rimanendo inconsistenti sul piano delle proposte, perché riconoscono le paure contemporanee, mentre i progressisti hanno venduto e continuano a vendere le meraviglie di un futuro lontano”.

A differenza di altri, pregio di questo libro è di fare l’autocritica (dei favorevoli alla globalizzazione) e di riflettere sulle cause di una decadenza, specie in Italia assai accelerata dalla vecchia élite e dal sistema politico da essa costituito.

L’autore ricorda i dieci fallimenti del “progetto egemonico dell’Occidente” indotto dalla globalizzazione: il lavoro che è diventato una commodity, l’iniquità della distribuzione del carico fiscale, la sregolarizzazione della finanza, l’insostenibilità del modello di sviluppo (ed altri). Ma anche i successi: il progresso economico dei paesi in via di sviluppo (è il dato più favorevole) la diminuzione dei prezzi nei paesi sviluppati (sul che ci sarebbe da discutere) le istituzioni digovernance internazionale.

Il populismo, di converso rifiuta l’ipotesi tecnocratica e “ha ridato centralità all’oggi ma soprattutto alla rappresentanza contro la retorica della competenza”, mentre “le classi dirigenti liberali hanno pensato di poter sostituire la rappresentanza con la competenza per un trentennio, in forza del fatto che il pensiero liberale era l’unica “narrazione globale” sopravvissuta, compito della politica era esclusivamente applicare tecnicamente i principi di questo pensiero”. Ma “la democrazia non si fonda sul cv, ma sulla rappresentanza, e le elezioni non sono un colloquio di lavoro. La rappresentanza non dipende dalla competenza tecnica ma dalla capacità di essere in contatto con la società”. Peraltro il tutto, nella migliore delle ipotesi, ha provocato uno iato tra efficienza e giustizia; ma “la mancanza di etica nel capitalismo contemporaneo è una delle cause fondamentali della sua crisi di reputazione”. L’ideologia della globalizzazione ha favorito ildumping da parte della Cina “L’industria dell’acciaio è stata distrutta dalla competizione scorretta cinese dovuta a una sovrapproduzione largamente incentivata dallo Stato in barba a ogni norma del Wto”. L’antagonista sovran-populista ha soprattutto sfruttato la paura provocata dalla crisi, dalla migrazione e dalla “revisione” dello Stato sociale; d’altra parte, scrive – a ragione – Calenda, la sinistra ha perso il contatto con la propria base “Un caso esemplificativo della mancanza di qualsiasi riflessione sulle ragioni della sconfitta è quello della manifestazione che il Pd ha deciso di dedicare “all’Italia che non ha paura”. Vale a dire ai vincenti, gli unici che infatti continuano a votarlo. Non sono un appassionato di distinzioni tra destra e sinistra ma una cosa mi è chiara: la sinistra nasce per difendere chi ha paura, non per allontanarlo. Qualsiasi nuovo progetto politico che abbia l’ambizione di diventare maggioranza deve partire da qui: dare rappresentanza all’Italia che ha paura”. Il progetto politico proposto è “aperto”: “Le linee di demarcazione tra destra e sinistra si sono spostate. La vera discriminante oggi è tra chi vuole rinnovare la democrazia liberale mantenendone i valori di fondo e chi invece vuole sostituirla con una democrazia illiberale, infetta e manipolata”. In altri termini il nascente “partito globalista”.

Questo libro ha due pregi, che sono anche due difetti: tiene conto che è cambiato il contenuto dell’opposizione amico/nemico, per cui riproporre la vecchia scriminante del secolo breve, ossia borghese/proletario è inutile e politicamente debole. Se il comunismo dal 1991 è stato collocato nell’archivio della Storia, è inutile combatterci contro. Tuttavia, specie in Italia, la lentezza delle classi dirigenti, ma quella di centrosinistra ancor più che quella di centrodestra, nel valutare la nuova situazione, rende problematico recuperare il (troppo) tempo perduto.

Dall’altra la seconda componente fondamentale del successo del populismo, già sottolineato negli anni ’90 del XX secolo, tra gli altri, da Lasch e Paul Piccone, e cioè la frattura tra popolo ed élite che non condividono più l’ethos delle masse, così che “si sono estraniate totalmente dalla vita comune” (Lasch), appare altrettanto forse più difficile da superare. Il rigetto dell’elettorato nei confronti dell’ “ancien régime”, specie in Italia e così esteso e diffuso che anche una radicale rottamazione potrebbe non bastare.

Anche perché molti delle “nuove leve” condividono (gran parte degli) errori e degli idola delle vecchie volpi, almeno di quelle della “seconda Repubblica”. Comunque, malgrado la strada in salita, il percorso di Calenda è nella direzione giusta. Auguri.

Teodoro Klitsche de la Grange

Lo spionaggio economico: un’antica arte nata in Italia, di Giuseppe Gagliano

https://www.ilprimatonazionale.it/cultura/spionaggio-economico-antica-arte-nata-in-italia-100119/

Roma, 6 gen – Dal punto di vista storico nel corso del medioevo spetta certamente ai paesi mediterranei, ed in particolare all’Italia, il merito di avere travalicato gli avamposti asiatici sulle sponde del Mar Nero, in Siria e in Terrasanta. L’opera di predicazione dei mis.sionari non impedì loro di osservare e di svolgere una collaterale azione diplomatica e di spionaggio economico ragguagliando i propri committenti – ora papi ora sovrani – sulla presenza di determinati prodotti nelle piazze mercantili, sulle condizioni delle strade e sulle città lungo le piste carovaniere. Alle spalle dei più avventurosi viaggi di mercatura durante il medioevo ci furono spesso importanti compagnie commerciali e talora cancellerie degli Stati che avevano bisogno di informazioni strategiche sia in ambito strettamente economico che in ambito militare.

A questo proposito pensiamo al viaggio commissionato da Papa Innocenzo IV nel 1245 al francescano Giovanni del Carpine allo scopo di studiare – fra l’ altro – la strategia e la tattica militare dei mongoli (viaggio che si concretizzerà in un’opera composta nel 1247 dal titolo Storia dei mongoli). Oppure pensiamo al viaggio fatto dal francescano Odorico da Pordenone, attorno al 1318, in direzione di Costantinopoli – partendo da Venezia – grazie al quale sarà in grado di fornire un prezioso quanto preciso elenco di merci, di prodotti esotici e di spezie che troverà nei paesi orientali (dalla manna della Caldea al pepe di Malabar, dallo zenzero di Ceylon alla canfora e alla noce moscata dell’isola di Giava). Un’altra fonte preziosa di informazioni sia economiche che di natura politica furono quelle date dal mercante Nicolò de’ Conti a Papa Eugenio IV nel 1400 relative ai suoi 25 anni di viaggio tra Damasco, India e Sumatra.

Un altro illuminante esempio di “spionaggio medievale” ci viene offerto dal mercante di pietre preziose veneziano Cesare Federici che, intorno alla seconda metà del 1500, avrà modo di viaggiare a Baghdad e in India. In particolar modo descriverà, con estrema accuratezza, i movimenti commerciali dei porti indiani e degli empori sia di Ceylon che dell’arcipelago malese. Inoltre, dato l’interesse specifico per le pietre preziose, sarà in grado di redigere un vera e propria carta geografica delle pietre presenti sia a Delhi sia a Giava.

Tuttavia, a partire dal 1500, la presenza italiana ed in particolare quella veneziana, genovese e fiorentina, verrà profondamente ridimensionata a causa del dominio delle grandi potenze nazionali come la Spagna e il Portogallo in un primo momento e in un secondo momento a causa della spietata guerra economica tra le compagnie olandesi ed inglesi come d’altronde avranno modo di testimoniare sia il mercante Filippo Sassetti verso il 1578 che il mercante fiorentino Francesco Carletti nel 1602.

Ieri – come oggi – cercando di semplificare l’assenza di una politica statale di lungo respiro (quando non addirittura l’assenza dello stato in quanto tale), di una politica di potenza e l’assenza di una sinergia (certo contraddittoria e complessa) tra soggetti statali e attori economici privati saranno alcune delle cause che determineranno il tramonto delle potenze marinare italiane più propense a farsi guerra tra di loro che ad avere una politica comune come accade oggi nel contesto europeo.

Giuseppe Gagliano

INTERVISTA A MACHIAVELLI SUL POPULISMO, di Teodoro Klitsche de la Grange

INTERVISTA A MACHIAVELLI SUL POPULISMO

pubblicato anche su http://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/search?q=Teodoro+Klitsche+de+la+Grange&max-results=20&by-date=true

L’Italia è tornata ad essere laboratorio politico. Media, giornalisti, insegnanti d’università e di liceo, blogger, filosofi, banchieri, scienziati ed altri s’interrogano sul populismo e sul perché il nostro sia il primo paese europeo occidentale ad essere governato da un bicolore popul-sovran-identitario. Certezze scosse e novità impreviste rendono inutili strumenti (ed autori) usuali fino a pochi anni fa. Dato il carattere di svolta e novità epocale, abbiamo provato a chiedere lumi a Niccolò Machiavelli. Il quale ci ha gentilmente concesso questo colloquio.

Qual è la principale causa del successo populista?

Gli è che tutti i reggimenti politici sono come gli uomini: nascono, crescono, decadono e muoiono.

Il vostro reggimento, nato da una sconfitta militare, e con una classe divenuta dirigente “per grazia di chi lo concede” (il potere) è durato tanto: segno che quei governanti, divenuti tali per fortuna, non erano scarsi d’ “ingegno e virtù”. Ma col passare dei decenni l’uno e l’altro si sono consunti. I nipoti di quei vecchi, ossia i governanti di quella che chiamate la seconda repubblica, non potevano ereditare “ingegno e virtù” né comprarli al mercato.

Quindi i populisti vincono per demerito degli altri?

Non so se quanto per demerito o per il decorso del ciclo politico (nascita, crescita, decadenza, fine). Sicuramente un po’ per assenza di ingegno e virtù, un po’ per tale “regolarità” politica.

E perché nessuno ne parla?

Non sia ingenuo. Parlare della propria assenza di virtù è come ammettere di essere inadatto a governare da una parte; dall’altra sminuire i propri meriti di vincitori. Quanto al ciclo politico, tale idea è contraria a quella di progresso sulla quale le vecchie elite avevano costruito la propria fortuna. Ammettere che non avevano la ricetta per realizzarle le “magnifiche sorti e progressive”, è confessarsi dei Dulcamara, ricchi di parole e poveri d’ingegno. Per gli altri vale sempre il discorso sui loro meriti; che non sono gli stessi se dipendono da quella regolarità. Seneca scriveva volentem ducunt fata, nolentem trahunt: ma se è il fato a decidere, loro di che possono vantarsi?

Gli sfrattati dal governo dicono che quello populista durerà poco. Che ci può dire?

Che questi ragazzi (Salvini, Di Maio) non sono grulli! Forse non mi hanno letto ma hanno capito. Come ho scritto, quando qualcuno conquista il potere “con il favore degli altri suoi cittadini” e questi quel favore ce l’hanno perché hanno vinto le elezioni, l’essenziale è non inimicarsi il popolo: non hanno ottenuto il potere col “favore dei grandi” ma con quello del popolo e “debbe pertanto uno che diventi principe”, “mantenerselo amico”.

Ciò è facile, perché gli basta non opprimerlo. E così sarà sostenuto dal popolo anche nelle avversità, come quelle in cui vi trovate. Avendolo i loro predecessori oppresso, caricato di tasse e privato di risorse, non gli è difficile, con poco, far capire che la musica è cambiata.

Che ne pensa a proposito delle tasse degli italiani?

I predecessori non avevano capito che i cittadini possono perdonare o meglio sopportare governanti che gli hanno ammazzato il padre o il fratello, ma non perdonano né dimenticano chi gli ha tolto la roba. Quelli credevano di imbrogliarli con discorsi commoventi, ma alla lunga non hanno retto.

Ma i vecchi governanti distribuivano quanto prelevato. Non è così?

Se anche lo fosse – e non lo è o non lo è del tutto – hanno trascurato che un principe può essere liberale quando spende denaro d’altri, ma non quando distribuisce quello proprio o dei propri sudditi. Chi lo vota non lo dimentica. E c’è altro.

Che cosa?

I vecchi governanti contavano troppo di tenersi su col favore dei grandi più che del popolo. Grandi che sono alemani, francesi ed altro. Hanno persino dato la fiducia – loro eletti dal popolo – ad un governo di persone mai elette neanche in un condominio, ma graditi ai grandi. I quali hanno governato di guisa da non scontentare quelli (dal cui favore dipendevano), ma dispiacendo il popolo. Hanno dimenticato che quando si governa con i grandi, che sono – almeno – pari a loro, questi non si possono “comandare né maneggiare a suo modo”. E infatti, i grandi li hanno aiutati poco o punto, quando ne avevano necessità.

Non è che i vecchi pensavano di poter persuadere il popolo della bontà della loro politica?

Si può governare con due mezzi: la forza del leone o l’astuzia della volpe. Ma non si può credere che, ripetendo le stesse cose per anni, e con risultati coì modesti tutti potessero essere abbindolati per sempre credendo a quei ritornelli. A volte capita, come a Messer Nicia “Quanto felice sia ciascun sel vede/chi nasce sciocco ed ogni cosa crede”. Ma si trattava di uno e non di tutti. E lo stesso Messer Nicia era vittima dei raggiri di Ligurio in quell’occasione specifica. Questi pretendevano di andare avanti per sempre e con tutti, con le loro azioni buoniste.

E se le cose fossero andate bene, forse queste astuzie sarebbero state utili. Orazioni e cerimonie lo sono, quando c’è tempo buono “ma non sia alcun dì sì poco cervello/ che creda, se la cosa sua ruina che Dio lo salvi senz’altro puntello/ perché morrà sotto quella ruina”. Cosa, per l’appunto, loro capitato con la crisi.

In definitiva cosa consiglia ai nuovi governanti?

Di tenersi stretto il popolo, perché non possono contare – o possono poco – sul favore dei grandi.

Non pensa che alemani ed altri possono profittare della divisione degli italiani? E far cadere il governo?

Di sicuro: e dividere i nemici è la prima regola per il successo della lotta. Ma attenzione: “la cagione della disunione delle repubbliche … è l’ozio o la pace, la cagione della unione è la paura e la guerra”. A minacciare sempre spread, sanzioni ed altro, il consenso del popolo al governo viene ad essere rafforzato. Come capitato nella guerra tra Roma e Veio.

La ringrazio. Mi concederà un’altra intervista?

Certo. Sa qui sto bene come a S. Casciano tra una briscola e una scopetta con i beati. Ma son tutti così buoni! E io mi annoio un po’. Meglio così tornare di quando in quando con i viventi, tutti intenti a sporcarsi le mani con la politica.

Teodoro Klitsche de la Grange

Elogio dello Stato nazione, di Andrea Zhok

Elogio dello Stato nazione

Ogni tanto, più frequentemente di quanto si creda, si incontrano persone convinte in buona fede che gli Stati nazione siano un reperto archeologico, un vecchiume prossimo a finire nella famosa pattumiera della storia. Esse vagheggiano un mondo senza confini, magari governato in modo discreto e non intrusivo da un remoto ente amministrativo neutrale, premurosamente sollecito a garantire i diritti di ciascuno. In questo mondo da spot della Coca-Cola, tra un coro alla luce degli accendini ed eccitanti viaggi in luoghi esotici, essi sognano una serena grande famiglia umana, pacificata e cosmopolita…

Ed è a quel punto che suona la sveglia, fuori diluvia, e ti sta piovendo in casa.

Purtroppo i vagheggiamenti di questi garbati sognatori non sono mere fantasie ludiche, ma opinioni politiche che vanno a detrimento dell’unica cosa che li separa da qualcosa che è l’esatto opposto dei loro auspici.

  • Sull’origine degli Stati.

A partire dall’età del Bronzo, organizzazioni statali hanno cominciato a subentrare a quelle tribali come forma di governo secondo legge. Ogni comunità umana, anche la più primitiva ed esigua, ha sempre sentito il bisogno di munirsi di leggi, orali o scritte, per gestire i rapporti tra i membri della comunità al di là della ‘legge del più forte’ (che equivale all’assenza di legge). Le più diffuse e tradizionali forme di ordinamento politico ricalcavano le forme di autorità proprie dei nuclei famigliari, con un centro di comando inteso come ‘padre’ della comunità, cui ci si rivolge per ottenere giustizia. Questo modello, familistico e poi tribale si amplia ed estende enormemente nelle successive forme statali: regni o imperi. Continua qui a vigere un ordinamento autoritario e paternalistico in cui gli inferiori sono vincolati al potere del sovrano in quanto quest’ultimo è legittimo; al tempo stesso vige una ‘reciprocità asimmetrica’, tale per cui il superiore deve ‘prendersi cura dell’inferiore’ (difesa, sostentamento emergenziale).

La legittimità del sovrano premoderno è conferita dalla discendenza corretta (sangue reale) o dalla nomina secondo forme tradizionalmente legittimate (es.: l’adozione degli imperatori romani). In ogni caso al sovrano si deve assoluta lealtà in quanto è il garante di ogni ordine e in ultima istanza della stessa vita civile. (Il regicidio condivide con il parricidio/matricidio lo stigma di peggiore dei reati concepibili.) Dal vertice di comando discende poi una piramide di parziali, e revocabili, deleghe di potere ad altri soggetti, che emulano il ruolo del sovrano con funzioni e territori più circoscritti (ciò è evidente nel feudalesimo, ma onnipresente).

  • Le radici delle democrazie negli Stati nazione

Fino a tempi recenti gli ordinamenti statali democratici sono stati un’assoluta rarità, di cui trovavamo traccia episodica nel mondo antico. La precondizione per tentativi di governo su basi egualitarie era una forte unità popolare, culturalmente consapevole di sé, operante nei limiti circoscritti di una città-stato. Tutti i pochi casi registrati prima del mondo moderno hanno queste caratteristiche di località e omogeneità culturale, dalle città greche (Megara, Argo, Chio, e paradigmaticamente Atene) agli isolati esperimenti medievali in Svizzera e Islanda.

Per vedere la nascita di Stati democratici di estensione superiore a quella di una città dobbiamo prima vedere la nascita degli Stati nazione, che cominciano a germogliare dopo la Rivoluzione Francese. La Rivoluzione del 1789 fa venir meno le forme di legittimazione attribuite alle dinastie tradizionali (a partire dall’ereditarietà) e con ciò la capacità del sovrano di esigere lealtà e di esercitare la propria sovranità.

Con il venir meno del collante rappresentato dalla lealtà al sovrano gli Stati esistenti avevano bisogno di trovare un collante sociale alternativo. Tale collante non poteva essere semplicemente inventato dal nulla, pena l’inefficacia, e tuttavia esso non era già disponibile in forma compiuta: questo è il ruolo che è stato assegnato appunto all’idea di nazione come comunità naturale/culturale. Come ricorda Federico Chabod nella sua celebre analisi dell’Idea di Nazione (1961) il modello su cui si è costruita tale idea era tributario di due componenti, una di ordine naturalistico, legata all’identità territoriale ed etnica, ed una di ordine culturalistico, legata all’identità culturale e linguistica. Come ricorda Chabod, tra le nazioni che presero forma nel corso dell’800 la Germania presentava una preponderanza di tratti naturalistici e l’Italia una preponderanza di tratti culturalistici.

  • La nazione tra tradizione e volontarismo

La nazione è il popolo ‘accomunato da una medesima nascita’, dove tale comunanza di nascita può essere definita con riferimento a una pluralità di aspetti: territoriali, linguistici, religiosi, di costume, etnici, ecc. In questo senso la nazione non è mai bell’e pronta, pur non essendo mai una creazione fantastica: essa è, dall’inizio, in parte un fattore realmente dato in una tradizione storica, ed in parte un fattore che si cerca volontaristicamente di portare alla luce, e talora di inventare (si pensi all’omogeneizzazione di una lingua standardizzata in comune). L’operazione che porta alla luce le moderne nazioni è un’operazione politica straordinaria, la cui novità e potenza è spesso molto poco apprezzata.

Lo Stato nazione non è mai stato un mero fatto di cui prendere nota. La moderna mentalità politica, maturata ai banchi del supermercato, con l’idea che o qualcosa è pronto o ti rivolgi a un altro fornitore, tende a considerare lo Stato nazione come un artificio, perché non lo si trova mai pronto sul bancone della storia. Ma senza una componente volontaristica nessun consorzio umano, famiglie di sangue incluse, può esistere. Soltanto un’umanità enervata, che prende la dimensione della vita sociale come un ‘prodotto’ tra gli altri, può azzardare una tale assurdità. Nessuna famiglia, nessuna città, nessuno Stato possono funzionare senza che vi sia anche una componente volontaristica nel voler costruire qualcosa insieme.

Gli Stati nazione sono perciò nati da una base reale, ma ovviamente imperfetta, che ha richiesto uno sforzo storico costato fatica, lacrime e sangue. L’idea fondativa dello Stato nazione era quello di portare una struttura istituzionale e operativa all’altezza di un popolo in embrione, che aveva bisogno per esprimersi di disporre di un’organizzazione demografica e territoriale abbastanza ampia per potersi difendersi economicamente e militarmente. Lo Stato nazione era un’entità intermedia tra la dimensione politica della comunità locale (come la città stato) e quella anonima degli imperi, tenuti insieme dalla fedeltà ad una linea dinastica (l’ultimo di questi imperi sovranazionali fu quello austroungarico, il cui collante fino alla fine fu la fedeltà agli Asburgo). Lo Stato nazione moderno si presenta perciò come una sintesi tra l’esigenza di comunanza e affinità sufficiente a creare un corpo politico, e l’esigenza di forza e autonomia sufficiente a difendersi. In generale, omogenità culturale e limitatezza territoriale conferiscono forza come compattezza, mentre l’estensione demografica e territoriale conferiscono forza come potenza economico-militare; le due tendenze operano in senso inverso. Possono essere Stati nazione efficienti sia Stati relativamente piccoli, ma omogenei e compatti, sia Stati più vasti, ma meno omogenei: storie diverse in luoghi diversi hanno trovato compromessi diversi.

  • Il nesso interno tra nazione e democrazia

Come detto, è nel contesto dei moderni Stati nazione e solo qui che trovano spazio le istanze delle moderne democrazie. Le pretese democratiche degli stati moderni si fondano sullo spostamento del soggetto della sovranità dal monarca al popolo nazionale. Il processo di democratizzazione notoriamente non è stato immediato, tuttavia nel momento stesso in cui la sovranità dello Stato è stata attribuita alla nazione, cioè al ‘popolo accomunato da una medesima nascita’, il percorso verso l’estensione del suffragio e le istituzioni democratiche era aperto.

Il nesso tra democrazia e idea di nazione è profondo e non accidentale. Il primo presupposto della democrazia, infatti, è l’assunto per cui ciascun cittadino si affida al giudizio di tutti gli altri, accettando l’esito della volontà maggioritaria, anche quando avversa. In questo comportamento non c’è niente di scontato. La storia mostra come, chi sia convinto che una ‘maggioranza’ vuole distruggere la propria forma di vita, o la propria comunità, opponga ogni tipo di resistenza, legale o illegale, anche al prezzo eventualmente di soccombere a quella maggioranza. La maggioranza non conferisce automaticamente legittimità. Sul piano individuale, se un elettore dichiarasse di votare per massimizzare il danno verso il paese in cui vota difficilmente questa si presenterebbe come un’opzione di voto legittima: potrebbe essere tollerata, ritenendola ininfluente, ma essa resterebbe di principio inaccettabile.

L’accettazione degli esiti di un voto in una democrazia presuppone l’assunto che tutti i votanti siano idealmente accomunati dall’interesse per il proprio paese e dalla prosperità del suo popolo. Solo sotto questo assunto tacito si può accettare la sconfitta democratica come una sconfitta relativa e non come la resa ad un nemico. Il votante in una democrazia accetta che il proprio voto valga di diritto quanto quello di chiunque altro in quanto esiste un punto di vista accomunante da cui, nonostante tutte le differenze individuali, l’altro cittadino è un alter ego, un ‘altro-come-me’. E tale punto di vista è fornito dall’idea di un interesse comune per il bene del paese. Il diritto di voto, e in generale i diritti politici, sono idealmente definiti da un presupposto valoriale, ovvero dal comune ‘amore per il paese’.

Una democrazia non è un astratto esercizio istituzionale, ma un costrutto che ha come presupposto etico e pratico l’esistenza di uno Stato nazione. Se, o nella misura in cui, questo fattore accomunante viene meno, la democrazia perde di tenuta e legittimazione, fino all’ineffettualità o alla scomparsa.

La sovranità democratica esige un ampio spazio di condivisione di interessi e valori, per lo più taciti, in quanto è solo sotto queste premesse che essa può imporre il riequilibrio dei poteri alle parti più forti della società: solo nel nome di un superiore interesse comune divengono possibili, ad esempio, norme che impongono tassazioni redistributive o servizi pubblici universalistici.

Questo spazio di condivisione ha due caratteristiche essenziali:

1) Deve trattarsi di un spazio definito in termini territoriali e demografici: coloro i quali partecipano del patto sociale, conferiscono legittimità democratica, operano le scelte politiche, subiscono prelievi fiscali e godono dei servizi pubblici in un certo territorio devono essere sostanzialmente entità coincidenti, con piccoli margini di aggiustamento. Questa è la ragione di fondo dell’esistenza di confini amministrativi.

2) Deve essere uno spazio di condivisione che consente un’interazione fattiva tra i soggetti che lo abitano, che devono perciò avere tradizioni materiali, culturali e linguistiche comuni, o affini. Senza questo strato comune non c’è modo che un edificio normativo possa mai venire implementato. Ci possono essere gradi di comunanza variabili e differenze parziali, ma il grado di diversità deve essere sorvegliato e non può variare liberamente. Questo è un tratto che il liberalismo ha sistematicamente sottovalutato, ignorando il ruolo decisivo delle normatività silenti che abitano i significati sociali: parole, simboli, atti. (Questa sottovalutazione si percepisce in maniera trasparente nell’imbarazzo a trattare istanze etiche allotrie, come quelle mosse da ampie fasce della cultura islamica trapiantata in occidente).

Non basta dunque parlare di Stato per nominare un’istituzione capace di difendere i più deboli e di operare in una dimensione egalitaria. È necessario uno Stato dotato di un collante sociale diffuso, e questo è quanto lo Stato nazione ha fornito. Quando uno Stato viene depauperato del suo collante sociale, come accade con le moderne dinamiche di mercato, ad esso deve progressivamente subentrare un controllo autoritario, che supplisce alla tacita normatività condivisa con norme repressive rinforzate da sanzioni. Questo è in effetti il modello dello ‘Stato minimo’ o ‘Stato sentinella’ auspicato dal liberalismo, che, lungi dal rappresentare una garanzia delle libertà individuali, rappresenta invece una riduzione drastica di ogni libertà autentica. Lo ‘Stato sentinella’, infatti, è uno Stato dove il cittadino non è partecipe con altri cittadini ad alcun progetto comune, ma esiste in competizione costante con tutti gli altri. Questa situazione moltiplica gli spazi di conflitto potenziale e reale all’interno della società, che perciò esige interventi punitivi e securitari. In questo senso il destino paradossale dello Stato auspicato dalla tradizione liberale è di produrre una società sorvegliata, irrigidita, impaurita, in ultima istanza priva di libertà (salvo quella di contratto).

  • Conclusioni

Lo Stato nazione democratico è di gran lunga la più efficace forma istituzionale mai inventata a sostegno dell’egalitarismo e a tutela dei più deboli. I diritti, quali che siano, non fluttuano a mezz’aria e non cadono dal cielo: essi esistono solo se e dove c’è uno Stato. E solo uno Stato nazione democratico concepisce i diritti in forma egalitaria, cioè come appartenenti a tutti i cittadini parimenti soggetti alle medesime leggi. Solo dove ci sono giudici formati e nominati secondo procedure sorvegliate da uno Stato, e solo dove c’è un diritto forgiato democraticamente, esiste la possibilità che il debole sia giudicato come il forte, il povero come il ricco, che il più giusto possa avere la meglio sul più forte. A garantire tutto ciò è solo il potere sovrano dello Stato e nient’altro.

Chiunque vagheggi di un mondo dove non ci siano Stati, dove non ci siano confini, dove non ci siano appartenenze nazionali e linguistiche, o dove tutto ciò sia ridotto ai minimi termini, che lo sappia oppure no, sta supportando oggettivamente la legge del più forte.

Chi sostiene tali idee sta virtualmente consegnando ogni individuo all’arbitrio delle multinazionali, e/o alla prevaricazione della criminalità organizzata, e/o alle violenze dei signori della guerra, ecc.

Chiunque vagheggi la fine degli Stati nazione, senza sapere bene con cosa sostituirli, ma perseguendo qualche irenica visione cosmopolita, di fatto sta lavorando per il dominio di gruppi di interesse privato dalle agende imperscrutabili e fatalmente antidemocratiche.

Chiunque chiacchieri a cuor leggero di fine degli Stati nazione, potrà credersi la persona migliore del mondo, ma sta concretamente aiutando la presa di potere dei peggiori.

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