SIAMO IN GUERRA, di Augusto Sinagra

Un male pernicioso si sta pian piano insinuando in tante società occidentali. Probabilmente non siamo ancora giunti al livello denunciato da Augusto Sinagra, ma la direzione presa è sempre meno incerta. Non è certo quella giusta_Giuseppe Germinario

 

SIAMO IN GUERRA

Alla distruzione di “Notre Dame” sono seguiti infiniti commenti. Non aggiungerò i miei.
Siamo in guerra. Le risate e i commenti di molti islamici, anche di seconda o terza generazione, lo attestano e hanno ferito ancor più dell’incendio della Cattedrale di Parigi (che solo i complici degli autori possono definire “accidentale”).

Siamo in guerra e non abbiamo un Governo degno di questo nome e adeguato alle gravi responsabilità del momento.

Il pampero argentino, il falso papa, non parla. Lui è troppo occupato a interferire negli affari interni dello Stato, a promuovere l’invasione islamica, a fare ignobili sceneggiate di bacia-scarpe con telecamera al seguito, a distruggere la fede e la Chiesa cattolica. Un certo Mons. Paglia dice che l’incendio di “Notre Dame” sarebbe “un attacco a tutte le religioni”: la complicità vestita con la più becera ipocrisia della tonaca.

Da parte sua, l’inverosimile Presidente del Consiglio dei Ministri, Conte Giuseppe, corre in Vaticano appena gli fanno un fischio. A fare cosa non si sa. Come l’ineffabile (ex “Lotta Continua”) Gentiloni Paolo con il pluriricercato George Soros.

Le Forze Armate non devono difendere i confini, come dice quel tale Ezio Vecciarelli, Capo di Stato Maggiore Generale della Difesa. Il Generale di Corpo d’Armata Claudio Graziano si inchina a 90° dinanzi all’alcolizzato J.C. Junker.

Del figlio di Bernardo Mattarella preferisco non parlare: si commenta da sé per quel che dice e che non dice, e per quel che fa.

Siamo in guerra. Una guerra esterna ed interna. Ognuno assuma le sue responsabilità senza – disertando – preoccuparsi di difendere egoisticamente il “proprio”: tra poco perderà anche quello.

Le Forze Armate ancora sane si uniscano al Popolo sovrano e compiano il loro dovere di difesa della Nazione e delle Istituzioni democratiche. Non è in gioco solo l’Italia. È in gioco l’Europa.

Nei suoi momenti più tragici questa nostra Patria amatissima sa rialzarsi e vincere: come quei ragazzi del “99” attestati caparbiamente sulla riva occidentale del Fiume Sacro, seppero resistere e vincere.

Il nemico più pericoloso è in casa. Cacciamo i ladri dal Tempio; cacciamo i traditori, e per questi non ci sarà più a proteggerli un nuovo art. 16 del c.d. “trattato di pace” del 1947.
Che nessuno debba poi dire ai propri figli e nipoti, con rimpianto e vergogna, “io non c’ero”.

L’Europa, gli Stati, l’Unione tra attualità e lunga durata. Intervista a Piero Visani

Tocca, dopo Pierluigi Fagan, a Piero Visani offrire il suo punto di vista sulle dinamiche politiche e geopolitiche in Europa. Lo spunto, ancora una volta, sono le prossime elezioni europee; l’intenzione è quella di individuare le dinamiche più profonde che stanno tracciando il solco e segnando l’esito del contenzioso tanto acceso quanto inadeguato a reggere il confronto geopolitico planetario. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

EUROPA SI EUROPA NO, di Antonio de Martini

Antonio de Martini ricostruisce da par suo a larghi tratti le dinamiche che hanno portato alla condizione attuale dell’Europa, in particolare dei suoi stati e dei suoi popoli. Ne evidenzia le fratture che hanno determinato ascesa e declino e conclude con un appello accorato: “L’Europa deve restare unita ad ogni costo come entità geopolitica e regolare i conti in famiglia. Se possibile, spietatamente.” E’ un appello realistico e corrispondente alla realtà? Sino a che punto il peccato d’origine dell’Unione Europea, la natura delle sue classi dirigenti, la conferma della sua espressione di dipendenza geopolitica con la implosione del blocco sovietico rendono praticabile una strategia interna di trasformazione della sua missione politica?

EUROPA SI EUROPA NO

Credevo di parlare a gente che sa cosa sia l’Europa e conosca le sue istituzioni. Mi sono accorto dell’errore.

Bisogna partire da zero.

Chi guarda all’Europa di oggi, scopre la caratteristica di una grande civiltà in guerra perenne con se stessa.

È un grande cervello – dove si è più volte pensato il pensiero del mondo – ma ha in se due segni di frattura che vengono definite CULTURE dagli intellettuali e che periodicamente degenerano in tumori che cercano di distruggerla.

La prima frattura è quella tra la cultura cattolica e quella protestante.
L’altra è la religione dell’attaccamento al patrio suolo, con confini che nell’ultimo trentennio hanno assunto addirittura dimensioni provinciali.

Il carattere di ogni società procede dalla sua filosofia, ossia dalla sua religione.

Prima del cinquecento, l’Europa ( e il mondo Mediterraneo di cui non parleremo) era unita e una sola era la religione, da quando Costantino imperatore l’aveva unificata accettando il cristianesimo e creando lo strumento unificante dei Concili per evitare scelte frazionistiche ( eresia = scelta).

L’Europa rimase sostanzialmente una – col nome di cristianità- fino alla Riforma e alle guerre che ne seguirono.

Dal punto di vista geopolitico, gli inglesi introdussero il concetto di “equilibrio europeo” che postulava la divisione dell’Europa in due blocchi e loro ago della bilancia.

I tentativi di ricreare l’Impero unito naufragarono regolarmente ma il danno si allargò perché ogni tentativo ( dei franchi, degli Hohenstaufen, degli Ottoni, degli Absburgo) contribuì, con morti e battaglie, a creare delle metastasi: il concetto di patriottismo e in successivi frazionamenti addirittura fedeltà a dinastie o singoli.

Tutti pretesero riti, cerimonie, giuramenti, ripresi dalla religione, il cui indebolimento progressivo veniva ad essere surrogato con la dimensione “ laica” territorio/signore.

Gli intrighi del papato fecero il resto, ossia cercavano di supplire all’indebolimento della capacità aggregante della religione con l’assunzione di un ruolo politicoe la stipula di alleanze.

Lo stesso “ laicismo “ nacque come concetto a causa delle scomuniche scagliate contro i re francesi.

Il massacro, enorme per l’epoca, della guerra dei trenta anni impose a tutti i trattati di Westfalia e l’accettazione di una serie di leggi internazionali ( che proibivano la pirateria, riconoscevano ai principi tedeschi la scelta religiosa , confini e diritti riconosciuti, princìpi di non ingerenza ecc).

L’affermarsi del nazionalismo in Francia ( Richelieu) e successivamente con Bismarck in Germania ( e gli intrighi inglesi) portarono a confronti armati sempre più cruenti fino al massacro inaudito di trenta milioni di persone nella prima guerra mondiale.

Si giurò che “mai più”, ma una pace mal concepita indusse la Germania ad affidarsi a chi prometteva la rivincita .

La seconda guerra mondiale portò il numero dei morti a sessanta milioni e alla creazione di strumenti bellici capaci di distruggere il pianeta.

Nessuna meraviglia che l’idea di riunificare l’Europa prendesse nuovamente piede assieme all’idea di bandire la armi nucleari.

Anche l’Inghilterra – stremata, surclassata dagli USA e con l’impero perduto – per qualche anno percorse questa strada, ( Churchill promosse anche con successo la costituzione del Consiglio d’Europa), ma riprese dapprima l’armamento nucleare e poi la strada della competizione con una Germania dimezzata ma ancora capace di produrre più ricchezza di un’ isola senza impero e senza agricoltura.

Nel frattempo era nata una forma di Europa economica in funzione anti sovietica, accettabile, perché importatrice solvibile , anche dalla nuova potenza anglosassone nata dai due conflitti mondiali.

La morte di Stalin raffreddò il processo di unificazione in atto ma non riuscì a fermarlo.

L’Inghilterra tentò di mettersi in competizione radunando – il vecchio sogno di Hitler- i paesi satelliti del nord del mondo creando “ la zona di libero scambio “, ma nel 1973 si arrese ed entro nella Comunità economica Europea

La caduta dei soviet e lo sfaldamento del patto di Varsavia produssero – come era già avvenuto per la morte di Stalin- una nuova sensazione di sicurezza appena temperata dalla riunificazione della Germania.

Siamo ormai ai tempi nostri. Senza entrare nel merito basterà dire che gli USA non potendo più reggere il loro ricco e dispendioso treno di vita, identificarono il pericolo per la loro egemonia politica ed economica, nel fattore Europa/ Germania.

L’Europa ha quasi il doppio degli abitanti/consumatori degli Stati Uniti, tecnologie se non superiori, uguali; capacità di sfruttamento dei paesi meno sviluppati e legami mondiali più soft.

Basterebbe la sola Germania, alleata con le riserve della Russia a piegare gli USA.

L’Europa Unita legata a Russia o Cina relegherebbe gli USA al rango potenza secondaria.

Da quando il presidente George Bush senior annunziò IL NUOVO ORDINE MONDIALE, gli USA hanno incoraggiato la rottura tra l’Unione Europea e l’Inghilterra; distrutta la Jugoslavia che minacciava da tergo i paesi dell’est Europa; occupato , di fatto, il continente africano con 86 nuove basi e presidi militari ; polverizzato le velleità indipendentistiche del mondo arabo; indebolito i paesi dell’Europa Mediterranea esportandovi la loro crisi finanziaria e proibendo loro di commerciare con la Russia e l’Iran ; destrutturato la Libia, l’Irak e il Venezuela , ipotecando così l’intera produzione petrolifera del mondo ( eccetto la Russia e Kazakistan).

Unici ostacoli : l’Asia, dove l’Afganistan, e la Siria resistono in armi da 17 e 8 anni rispettivamente e l’Iran ( sono gli stessi paesi che resistettero nel XIX secolo agli attacchi inglesi, con l’aggiunta della Siria all’epoca, ottomana ) .

Il cemento unificante della unità Europea , la cristianità, è in crisi profonda e fu respinta , col silenzio, quando Benedetto XVI lo propose.
L’unico cemento comune rimasto , la democrazia, vissuta dai più come sinonimo di benessere, è crollato sotto i colpi della crisi finanziaria “ globale”.

Manca, oggi, la motivazione filosofica per l’Unità Europea, ma sussiste l’imperativo categorico geopolitico senza il quale saremo condannati all’oscurità per il resto dei tempi.

L’urto più subdolo , sotterraneo, violento è decisivo si sta avendo – nel contempo- tra il mondo cattolico e quello protestante, con quasi gli stessi protagonisti di un tempo, ( Irlanda, Cuba, America Latina, Africa sub sahariana) ma con “una guerra senza guerra” giocata a colpi di comunicazione planetaria. Chi primo conquisterà la Cina vincerà la partita.

Il Papa è gradito a circa il 55% del mondo ( con punte dell’80 % in zone strategiche come Italia-Spagna-Polonia mentre gli USA sono attorno al trenta e arrancano con la palla sul piede di Israele al 20%. del gradimento mondiale e in discesa.

Di qui la “scoperta” della omosessualità dei preti e l’accusa di “ inazione” mossa al Papa da parte di paesi che pur fanno della omosessualità una bandiera di libertà e degli stupri sistematici di interi orfanotrofi del Galles un hobby per intoccabili lords.

Il Papa è in difficoltà sopratutto interna ( replica della operazione wikileaks in chiave vaticana, vicenda omosessualità dei prelati e frazionismo del Papa dimissionario che sembra non aver chiara la situazione geopolitica per concentrarsi su aspetti dottrinari, permettetemi di dirlo, desueti) .

Le prossime elezioni Europee sono l’opportunità che si offre agli USA per dare una ulteriore spallata alla costruzione europea con stati e partiti neo costituiti e dai finanziamenti opachi, i cui protagonisti sono costantemente “ pompati” dai media.

Questi stati e liste quisling sono guidate da marionette al cui confronto i collaborazionisti del terzo Reich erano dei premi Nobel di ogni disciplina e dei gran signori.

Salvini e Di Maio hanno avuto in sei mesi più copertura stampa ( anche internazionale) che Andreotti in quaranta anni. E c’è ancora chi ha dubbi.

L’Agente USA Bannon è venuto in Italia per seminare discordia tra le file dei cattolici, specie tradizionalisti, dispone di ingenti fondi ( ad esempio, ha stipulato un affitto ventennale della Abbazia di Trisulti ( 24.000 metri quadri) e ha detto a Salvini che il vero nemico è il Papa.

I suoi consigli di strategie politiche può darli qualsiasi pubblicitario con cinque anni di esperienza, ma capisco che a costoro sembrino oracoli. Gira con un seguito da magnate con fondi “ di proprietà di una signora”.

L’Europa deve restare unita ad ogni costo come entità geopolitica e regolare i conti in famiglia. Se possibile, spietatamente.

Gli Inglesi – che mostrano segni di europeismo tardivo- sono già fuori. The sooner, the better.

Gasdotto EastMed: un’occasione mancata per l’Italia? – di Piergiorgio Rosso

tratto da http://www.conflittiestrategie.it/gasdotto-eastmed-unoccasione-mancata-per-litalia-2-a-parte-di-piergiorgio-rosso

Lo scorso 24 marzo Gli Occhi della Guerra hanno pubblicato un interessante analisi di Andrea Muratore a proposito di gasdotti ed interessi nazionali italiani, con particolare riferimento alla proposta del Consorzio IGI Poseidon per l’EastMed.

Riassumiamo qui di seguito i principali aspetti tecnici della proposta – e del contesto generale in cui si inserisce –  per poi avanzare qualche nostra considerazione, in aggiunta a quelle espresse nell’articolo citato.

Il nuovo gasdotto EastMed partirebbe da Cipro ed arriverebbe in Grecia dalle parti di Igoumenitsa, innestandosi sul gasdotto IGI Poseidon (Interconnettore Italia-Grecia) che è previsto connettersi a Otranto con la rete italiana (SNAM ReteGas).  Con una capacità di 10 miliardi di m3/anno (MMm3/a) – espandibile a 20 MMm3/auna lunghezza di 1900 km ed appoggiato su fondali che arrivano a 3000 m. di profondità, EastMed batterebbe tutti i recordmondiali nella costruzione di gasdotti offshore. La società proponente è la franco-greca IGI Poseidon, partecipata pariteticamente da Edison SpA (di proprietà della francese EDF) e Depa SA, entrambe aziende focalizzate sulla distribuzione di energia. Edison è posizionata immediatamente dietro a ENI nel mercato italiano.

1

(Immagine da http://www.igi-poseidon.com/en)

Da dove arriverebbe il gas? Il gasdotto IGI Poseidon – che arriva a Kipoi, al confine greco-turco – era stato concepito per trasportare 15 MMm3/a di gas dal Mar Caspio in parte destinati all’Italia, ma è stato battuto dal concorrente TAP ed ora pertanto non ha un’alimentazione certa …. che non sia il gas di Gazprom (!) che non aspetta altro per avviare la costruzione della seconda linea del Turkish Stream attraverso il Mar Nero. Ma costruire un gasdotto per far arrivare in Europa il gas russo – bypassando l’Ucraina, poi! – non va di moda nella UE, ecco quindi che il consorzio IGI Poseidon promuove la nuova direttrice EastMed destinata a raccogliere il gas dei giacimenti israeliani (Leviathan e Tamar) e ciprioti (Afrodite, Calipso e Glauco) scoperti tra il 2009 ed il 2018(vedi fig.1). Ed in questo modo si assicurano la dichiarazione di Progetto di Interesse Comune e la possibilità di accedere a finanziamenti UE.

Come si nota in figura, da quelle parti esistono anche giacimenti egiziani (Zohr e Noor) che però il consorzio non menziona nel suo sito. Ed infatti l’incontro a Gerusalemme di cui parla A. Muratore è stato fra Israele, Grecia e Cipro con la straordinariapartecipazione del Segretario di Stato USA, Mike Pompeo. Egitto ed Italia assenti. Se gli italiani possono essere stati distratti dalle beghe interne fra 5S e Lega sulla necessità o meno delle “infrastrutture”, oppure dalla irrefrenabile ed infantile voglia di fare un dispetto ai francesi – come sembra sostenere  A.Muratore – è possibile, ma l’assenza dell’Egitto va spiegata.

2

Fig.1 (slide presentata dalla Fondazione ENI E.Mattei a OMC2019/27.3.2019)

La spiegazione è indicata nel titolo della fig.2: dopo il soddisfacimento dei fabbisogni interni di Cipro, Israele ed Egitto, quanto gas resta per l’esportazione?

3

Fig.2(slide presentata da ENI a OMC2019/27.3.2019)

Mentre Cipro e Israele, con popolazioni stabili. non sono grandi consumatori di gas naturale – fra tutti e due consumano circa 12 MMm3/a – l’Egitto ha invece letteralmente fame di gas naturale – un consumo pari a ca. 50 MMm3/a – per servire la sua crescente popolazione e garantire ad essa un adeguato sviluppo industriale e civile.

Oltre alla produzione interna – compreso il giacimento Zohr che non opera ancora alla potenzialità massima prevista – oggi ne importa da Israele attraverso un gasdotto che va da Askhelon a ElArish (Sinai) aggirando via mare la Striscia di Gaza. Ne farebbe volentieri a meno per ovvie ragioni di sicurezza e sfere d’influenza: mentre Gaza non potrà mai accettare gas israeliano, potrebbe volentieri accettare gas egiziano.

A questa spiegazione fondamentale se ne aggiunge una accessoria – citata anche da A.Muratore – costituita dall’esistenza di due impianti di liquefazione del gas naturale a Idku e Damietta al momento fermi, per mancanza di gas da esportare (!).

Ci sembra ovvio pertanto che l’Egitto non sia molto interessato a spedire il suo gas in Europa via gasdotto, mentre – una volta soddisfatto il fabbisogno interno – potrebbe eventualmente utilizzare, saturare o anche potenziare i suoi due liquefattori ed esportare GNL.

E ci sembra altresì comprensibile e giustificato che ENI – che partecipa alla proprietà e gestione del liquefattore di Damietta – non promuova il gasdotto EastMed bensì promuova la rimessa in funzione dei liquefattori egiziani.

Se questo è il quadro complessivo degli interessi materiali in gioco, è ancora da notare che il consorzio franco-greco IGI Poseidon, già scottato dalla perdita del gas azero (dal Mar Caspio)a favore del TAP, fa di tutto per convincere fornitori e clienti a sostenere l’alternativa EastMed. Dal punto di vista finanziario, il consorzio si pone come un investitore privato che – detenendo la proprietà del gasdotto – si remunererà tramite le tariffe di trasporto, non avendo la proprietà del gas che verrà venduto sui mercati greco e italiano. A nostro modesto parere né Edison né DEPA hanno la forza finanziaria per sostenere un progetto così sfidante sia a livello tecnologico che geopolitico. Arriverà il momento in cui il consorzio dovrà imbarcare qualcuno che abbia un interesse sostanziale: la presenza di Mike Pompeo a Gerusalemme è un indizio sufficiente?

In questo contesto qual è dunque l’interesse nazionale italiano nei confronti del futuribile gasdotto EastMed? Proveremo a discuterne più diffusamente nella 2.a parte.

2aparte

Nella prima parte di questa analisi abbiamo illustrato le basi tecnico-industriali su cui si fonda l’iniziativa per il gasdotto EastMed. Oltre alla società franco-greca IGI Poseidon che si occuperebbe della costruzione e gestione della nuova infrastruttura, ci sono gli interessi diretti dei proprietari del gas, scoperto in abbondanza negli ultimi dieci anni, e quelli più generalmente geopolitici di altri attori. In particolare gli interessati da questo punto di vista sono Cipro, Israele e Grecia con sullo sfondo USA, Italia, Unione Europea e Turchia.

 

Per la Grecia si tratta di acquisire un ruolo ancora più importante nei confronti della UE, come nazione di transito e re-distribuzione di una fonte energetica ancora fortemente necessaria nei Paesi dell’Europa sia Occidentale che Orientale, dopo il successo dell’iniziativa TAP. La Grecia è in una posizione ideale essendo al centro del  Mediterraneo. Incassando inoltre la rendita del transito. Inoltre ha ambizioni di sfruttamento del gas che potrebbe trovare nelle sue acque profonde a ovest di Creta. Dal punto di vista geopolitico si è ultimamente molto avvicinata a Israele in chiave anti-turca, avvicinamento segnato dalla visita ufficiale del primo ministro israeliano, Netanyahu, e da esercitazioni militari congiunte fra le due aviazioni. Da qualche tempo Israele usa lo spazio aereo greco per le sue esercitazioni aeronautiche. Da questo quadro si intuisce come l’interesse greco economico e geopolitico sia decisamente spostato a favore di un gasdotto piuttosto che verso terminali GNL, men che meno quelli egiziani che la taglierebbero fuori.

 

Per Cipro si tratta di guadagnare una rilevanza internazionale e sfruttare economicamente al meglio una risorsa di valore, abbondante nella sua Zona Economica Esclusiva. Sfruttamento che però necessita di cooperazione con altri partner sia per la fase di esplorazione e produzione – ad oggi affidate a TOTAL, EXXON, ENI e NOBLE (vedi Fig.3) – che per la fase vendita.

1

Fig.3 – (slide da OMC 2019/27.3.2019)

 

Dal punto di vista geopolitico Cipro deve fare i conti con la forte opposizione della Turchia a che si sfruttino le ricchezze cipriote senza il suo assenso e la sua compartecipazione. La Turchia occupa Cipro-Nord e rivendica diritti sulle risorse marine dell’isola.

In questo quadro possiamo intravedere come Cipro possa essere neutrale rispetto alla tecnologia – gasdotto o liquefattori – utilizzata per sfruttare il suo gas, ma abbia nel contempo assoluta necessità che l’infrastruttura pianificata sia finanziata in modo sostenibile e protetta, anche militarmente, dalle minacce turche.

 

Israele ha un rilevante interesse economico e geopolitico alla costruzione del gasdotto EastMed. L’enorme capacità dei suoi giacimenti di gas Tamar e Leviathan – che eccede le necessità di consumo interno per i prossimi 50 anni – determina un forte interesse a esportare gas in Europa, il più grande mercato di gas naturale del mondo, in cerca di diversificazione delle sue fonti. La via turca – cioè collegarsi al gasdotto TANAP/TAP – che sarebbe la più economica, è stata a questo punto scartata dagli israeliani a seguito dello stato dei rapporti con Ankara, deterioratisi progressivamente fin dai tempi dell’incidente della nave Marmara di fronte a Gaza, per giungere all’attuale allineamento tra Ankara, Mosca e Teheran.

Questa nuova partnership nel Mediterraneo Orientale fra Israele, Grecia e Cipro darebbe una spinta vigorosa a due obiettivi strategici che Israele condivide con gli USA: tagliare le unghie alla prevalenza russa nel mercato energetico europeo e controbilanciare l’accesso al Mediterraneo dell’Iran, via Siria. Proprio perché il gasdotto EastMed sarà più costoso di altre soluzioni, l’interesse USA si paleserà anche in termini di supporto finanziario. Al momento la UE ha garantito un finanziamento limitato, per completare gli studi di fattibilità.

 

E veniamo all’Italia. La competitività di prezzo è tutta da dimostrare, finora il gas russo ha dimostrato di saper battere – sul mercato europeo – qualsiasi concorrente. Per quanto riguarda la necessità di diversificazione e la ridondanza delle provenienze, citiamo: … nel 2018 abbiamo importato quasi 68 miliardi di mc. Arrotondando, Russia (Tarvisio) 29,6; Algeria (Mazara) 17; Nord Europa (Gries) 7,7; Libia (Gela) 4,4; GNL (Cavarzere, Panigaglia, Livorno) 16,8. A fronte del volume importato, le nostre infrastrutture hanno una capacità continua di importazione di 127 miliardi di mc/anno; che con il TAP a pieno regime (2026) diventeranno 137.  Il Piano decennale di Snam Rete Gas ci predice una sostanziale stabilità del volume delle nostre importazioni da qui al 2035 (con un’oscillazione che al massimo supera da un anno all’altro il 7,5%). A primissima vista sembreremmo più che ridondanti e l’andare oltre, equivalente ad assicurarci contro la nevicata di giugno a Palermo; insomma verrebbe da dire che per infrastrutture di importazione abbiamo più che raggiunto un ragionevole quantum di sicurezza.”

Quanto agli “elevati profili di rischio geopolitico” di cui soffriremmo attualmente, adombrati nel Piano Energia e Clima del governo (PNIEC), non ci sembra che EastMed stante le premesse fatte sopra possa definirsi una provenienza stabile ed affidabile. Sarebbe senza alcun dubbio il gasdotto più militarizzato del pianeta.

Mettere in sicurezza i contratti italiani con Libia e Algeria sembrerebbe la vera priorità. ENI sta facendo la sua parte industriale non solo in Egitto, ma anche in Libia dove ha finalizzato un accordo con BP e NOC per ottenere una quota del 42,5% dei diritti di esplorazione e produzione di tre nuove aree – limitando tra l’altro le ambizioni di TOTAL – ed in Algeria dove ha siglato un accordo con SONATRACH per nuove esplorazioni offshore – in questo caso insieme a TOTAL.

E se proprio vogliamo dirla tutta, sviluppare e sfruttare il gas naturale che abbiamo in casa (onshore e offshore) dovrebbe essere la prima opzione di qualsiasi strategia energetica e industriale del Paese.

Il Ministro Salvini, in una recente visita in Israele, si è espresso a favore dell’EastMed, mentre i 5S, reduci dalla battaglia persa sul TAP, difficilmente potranno digerire un altro gasdotto che arrivi a Otranto. L’EastMed sembra pertanto assumere qui in Italia la forma di uno dei tanti possibili casus belli che si succederanno dopo le elezioni europee per far saltare questo governo.

La conclusione dell’articolo de Gli Occhi della Guerra è amara: “ E così ora l’Italia si trova costretta a dover nicchiare su EastMed per ragioni che esulano quelle che sarebbero le legittime cautele espresse dall’Eni, per mera conflittualità politica; a non poter recuperare il gap che la separa dalla Germania nella costruzione dell’hub per il gas russo; a non poter sfruttare la rendita geopolitica che la posizione nel Mediterraneo e le esplorazioni di Eni consentirebbero di conseguire. Con il rischio di dover scrivere la storia di questi nostri tempi come una lunga sequela di occasioni mancate.

Condividiamo la sostanza di queste parole, ma non se e quando fossero espressione di una scelta a favore della partecipazione italiana all’EastMed, che, per le cose rappresentate in questa analisi, assume chiaramente i connotati di un progetto che utilizza l’Italia come mercato di consumo, senza contropartite in termini di sicurezza e scambi commerciali. E ci legherebbe ad un progetto geopolitico di prevalente interesse USA, ostile rispetto a Russia e Turchia con i quali abbiamo al contrario forti legami commerciali e comuni interessi strategici.

Nei confronti della nascente area energetica e geopolitica del Mediterraneo Orientale, la scelta più coerente con l’interesse nazionale italiano, sta nello sviluppare accordi con l’Egitto per commercializzare gas naturale liquefatto di provenienza varia: egiziana, israeliana, cipriota. L’Egitto tra l’altro offre all’industria italiana un mercato di 100 milioni di cittadini in via di modernizzazione, rispetto ai 10 milioni di israeliani super-tecnologizzati. E può contribuire in modo decisivo alla creazione di nuova stabilità in Libia e Algeria, aree di prevalente interesse italiano nel Mediterraneo.

Un’ultima considerazione: il gasdotto EastMed senza la partecipazione italiana non si fa. Parola di IGI Poseidon.

legami proibiti, di Roberto Buffagni

Commentino al documento di papa Benedetto XVI[1]

 

Premessa: parlare di pedofilia è improprio. La pedofilia vera e propria è un fenomeno moralmente gravissimo ma sociologicamente marginale, nella Chiesa e fuori. Nella Chiesa il problema è l’omosessualità. In soldoni: i preti omosessuali gradiscono spesso la carne fresca (ragazzi ventenni, anche ragazzini sedici-diciottenni), esattamente come gli eterosessuali. Nella Chiesa l’omosessualità è dilagante, perchè in una istituzione esclusivamente maschile gli omosessuali selezionano, cooptano e fanno salire in posizioni apicali altri omosessuali, dando luogo a una crescita esponenziale, numerica e di potere, della loro tribù. Nella Chiesa non può avvenire la stessa cosa per gli eterosessuali, perché  i preti che preferiscono le donne NON le possono cooptare nell’istituzione, almeno fino a quando non verrà introdotto il sacerdozio femminile; altrimenti, al tempo di Alessandro VI Borgia, che dava festicciole con diecine di puttane nude a cui lanciava le caldarroste per godersi il panorama quando le raccoglievano, avremmo avuto un Collegio Cardinalizio composto per il 73% da belle ed esperte cortigiane (c’erano magari i loro figli, ma non è la stessa cosa). Sul piano dottrinale e istituzionale, l’ effetto provocato DIRETTAMENTE dall’altissimo tasso di omosessuali nel clero e nelle gerarchie è questo: che quando la propria condotta di vita è incompatibile con l’istituzione della quale si fa parte, ci sono tre possibilità. Uno, cambi condotta. Due, non cambi condotta ma sapendo che è sbagliata la nascondi ipocritamente e ti senti, in grado maggiore o minore, colpevole. Tre: cambi la valutazione istituzionale della tua condotta, rendendola meno incompatibile con le tue preferenze. Dal pdv psicologico, la soluzione tre è la più egosintonica (fai meno fatica + ci stai meglio), ma si può adottare solo quando sei in grado di cambiare l’ideologia dell’istituzione, ciò ch’è possibile solo quando a) hai consenso a livello anzitutto dirigenziale b) il clima culturale generale, interno ed esterno all’istituzione, lo permette (per esempio, difficile dire “evadere le tasse è un peccatuccio” in Germania, facile dirlo in Italia). Nel caso di specie, per ragioni culturali molto complesse che non si possono certo ricondurre all’omosessualità, nella Chiesa cattolica si può dire senza tema d’errore che almeno a partire dal Concilio Vaticano II il concetto di “peccato” (centrale nella dottrina) è stato abbondantemente annacquato, psicologizzato, etc. L’annacquamento del concetto di peccato incontra immediatamente un interesse primario dei preti omosessuali. Segnalo che, giusto o sbagliato che lo si ritenga, l’omosessualità (praticata) è, nella dottrina tradizionale della Chiesa, un “peccato che grida vendetta al Cielo”, molto ma molto più grave dell’eterosessualità praticata anche in contrasto alla severa morale tradizionale cattolica (=bene nel matrimonio, male fuori, stop). E’ quindi effetto della pura e semplice dinamica degli interessi, se una larga maggioranza di preti omosessuali è favorevole all’ “aggiornamento” e “modernizzazione” della dottrina cattolica: perché  risponde a un interesse personale e psicologico vitale dei preti omosessuali, che come tutti desiderano dormire tranquilli alla notte, e non farsi venire la gastrite tormentandosi con i rimorsi per la propria ipocrisia. >Insomma: nella Chiesa cattolica, omosessualità e modernismo SI RINFORZANO A VICENDA retroagendo ciberneticamente l’uno sull’altra. Nel passato “pre-sessantotto”, invece, la dinamica istituzionale era assai diversa. Anche qui, una premessa. Nel cattolicesimo, il tema della sessualità ha un’importanza decisiva, perché  al contrario del protestantesimo, il cattolicesimo è fortemente “materialista”: ritiene cioè che il mondo creato in generale, e in particolare quella parte del creato che è il corpo umano, sia “divinizzabile”, come illustrano plasticamente i dogmi dell’ Incarnazione e della Presenza Reale del corpo e del sangue di Cristo nell’Eucarestia. Di qui, forti divieti e prescrizioni nel campo della sessualità. Un forte divieto attrae sempre, per una legge psicologica ben nota, un forte desiderio di trasgredirlo, specie se si unisce a prescrizioni perentorie e difficili da rispettare come il voto di celibato per il clero. Ma torniamo all’istituzione-Chiesa “pre-sessantotto”. In essa, i preti omosessuali c’erano senz’altro, anche se in percentuale penso assai minore rispetto alla Chiesa “post-sessantotto”, perché  nella Chiesa prima della cura sessantottina non poteva svolgersi pacificamente la dinamica “selezione-cooptazione” che ho tratteggiato sopra (la cultura dominante nell’istituzione e nella società non lo permetteva, l’omosessuale doveva reprimersi e/o camuffarsi con la massima cura). Preti omosessuali ed eterosessuali che venivano frequentemente meno al voto di celibato, allungavano le mani o peggio, etc., naturalmente ce n’erano, vista la forza travolgente dell’impulso sessuale e del desiderio erotico nell’uomo; di più o di meno a seconda del clima culturale prevalente nella società in generale e nell’istituzione in particolare, in conformità al quale si strutturano le direttrici educative e repressive del personale ecclesiastico (es., di più nel Rinascimento, di meno nella Controriforma). Nella Chiesa “pre-sessantotto”, che era una istituzione molto forte, avveniva quel che sempre avviene nelle istituzioni molto forti: che l’istituzione faceva quadrato intorno al membro trasgressore, ne negava e copriva le colpe, intimidiva e/o tacitava le vittime delle trasgressioni, etc. (a meno che una fazione le utilizzasse per colpire la fazione avversa). Non si verificava MAI, invece, che un comportamento sessuale trasgressivo del clero, anche molto diffuso, costituisse una forte concausa nel mutamento della dottrina, come invece avviene nella Chiesa “post-sessantotto”; la quale è un’istituzione molto ma molto più debole, dove è assai più facile che si instauri la dinamica “adattiamo la dottrina o almeno la pastorale ai nostri gusti & interessi”. Ora, è evidente che una discrasia clamorosa tra quel che una istituzione predica e quel che i suoi membri effettivamente fanno, da una certa soglia imprecisabile in su costituisce un grave problema istituzionale, che può contribuire in modo decisivo a una crisi anche gravissima dell’istituzione (v. ad es. il rapporto, indubbio, tra enorme corruzione della Chiesa e Protesta). E’ però infinitamente più grave, dal punto di vista istituzionale, se una istituzione finisce per distorcere seriamente o negare, nei fatti o addirittura nel diritto, ciò che la legittima: in questo caso la dogmatica e la dottrina cattolica. In parole povere: se finisce per saltare agli occhi che “neanche il papa ci crede più” a Dio, al peccato, alla salvezza, al paradiso inferno purgatorio eccetera, l’istituzione, molto semplicemente, non ha più ragione di esistere e finisce, not with a bang but with a whimper. Nel caso della Chiesa cattolica, per chi ci crede ci sarebbe la promessa dei Piani Superiori che “portae inferi non praevalebunt”. Ma in ogni caso, i Piani Superiori NON hanno mai promesso che “tutto andrà bene” e che i bilanci della Vaticano Spa. viaggeranno tranquilli di bene in meglio. Anzi, i Piani Superiori hanno ripetutamente avvisato che il principe di questo mondo NON tifa per la Chiesa: tutt’altro. That’s all, folks.

[1] https://www.corriere.it/cronache/19_aprile_11/papa-ratzinger-chiesa-scandalo-abusi-sessuali-3847450a-5b9f-11e9-ba57-a3df5eacbd16.shtml?fbclid=IwAR3WQupfF4r4fZdD4uu8XylXlrL3pHQnRiqg_cyek54BxJUXJec8FSGyzJM Consiglio: meglio leggere la versione inglese, l’italiana è mal fatta.

Ivan Krastev – Gli ultimi giorni dell’Unione, di Teodoro Klitsche de la Grange

Ivan Krastev – Gli ultimi giorni dell’Unione. Luiss University Press, Roma 2019, pp. 133 € 16,00

L’autore ha vissuto da giovane il crollo del comunismo, la cui “ragione sociale) era l’emancipazione definitiva dell’umanità e la durata – nel caso più longevo, come l’URSS – è stata poco più di settant’anni. In questo saggio Krastev ritiene assai probabile anche il collasso dell’Unione europea.

Causa principale è l’esaurirsi dello “spirito” originale. Scrive Saraceno nella prefazione “A partire dagli anni Ottanta del Ventesimo secolo, le sfide della globalizzazione hanno messo in crisi questo modello e il suo motore principale, quelle classi medie ormai impoverite, strette fra un élite globale di plutocrati sempre più ricchi che di fatto si sono sottratti al patto sociale, e le classi medie dei Paesi emergenti, che reclamano il posto che compete loro sulla scena globale. A questo si aggiunge in economia un “Nuovo consenso”, anch’esso sviluppatosi negli anni Ottanta e che, in nome di una supposta supremazia dei mercati, rifiuta un ruolo proprio a quello Stato regolatore e al patto sociale che avevano costituito due dei pilastri del modello sociale ed economico europeo. A questo si aggiunge che nel nuovo quadro della globalizzazione “è diventato impossibile effettuare scelte democratiche a livello di Stati nazionali; … essendo la cessione di sovranità all’Unione Europea una chimera, i popoli europei maltrattati dalla globalizzazione hanno cercato spazi di democrazia nel sovranismo e nella protezione dell’interesse nazionale”.

La profezia di “fine dell’Europa” non è auspicata: è anche (e soprattutto) un monito; “è un pugno in faccia alle élite compiaciute che soffrono di “disturbo autistico”.

Tuttavia che il recupero di una piena sovranità nazionale porti alla risoluzione dei problemi pare non meno utopico all’autore del progetto federale in via di decomposizione. Certo occorre cambiare (politiche ed élite dirigenti). Il saggio è pieno di intuizioni originali o poco frequentate: ad esempio il “peso” della concezione di Fukuyama nell’ideologia della globalizzazione. O l’emergere di nuovi conflitti. “I conflitti tra esponenti di visioni Da Ovunque e Da qualche Posto, tra globalisti e nativisti, tra società aperte e società chiuse influenzano l’identità politica degli elettori più di quanto facessero le precedenti identità basate sulle classi”; il tutto mette in crisi, con riduzioni a percentuali sempre più modeste, il consenso ai partiti di sinistra (e non solo) che sulla scriminante di classe avevano investito.

È costante poi la stigmatizzazione di Krastev sull’inadeguatezza delle elite politiche ed economiche europee ad affrontare la crisi; onde hanno in effetti lavorato per i loro avversari sovranisti e populisti. Chi abbia visto (e sopportato) l’opera del governo Monti, principale ostetrico del sovran-populismo italiano, non può che concordare.

Chiudendo tale recensione (breve per definizione di genere) il crescere del populismo ha prodotto anche una copiosa produzione di saggi sul medesimo, che ne attribuiscono l’emergere impetuoso alle cause più varie: dalla decadenza delle élite alla globalizzazione, da uno stile di propaganda alla crisi economica, dalla difesa dell’identità nazionale a quella della democrazia. Verosimilmente tutte (o quasi) compresenti. Se si vuole ascrivere a uno di tali “filoni interpretativi” il saggio di Krastev, questo è a quello – forse il più antico – che risale al saggio di C. Lasch sulla “Ribellione delle élite” di oltre vent’anni orsono.

La tesi di Lasch era che le nuove élite globalizzate, erano separate dalle masse per cultura, aspirazione, modi di vita. Èlite e masse non condividevano non solo l’idem sentire de republica ma molto di più. Se quindi basta la non condivisione dell’idem sentire per generare una crisi di legittimità, ancora più facile e determinante che si produca se quella distinzione è a “tutto tondo”: coinvolge pubblico e privato, lavoro, tempo libero, famiglia e svago, morale e scelte religiose. E da una crisi siffatta si esce in un solo modo: ricostruendo quell’almeno “idem sentire” e, meglio, anche qualcosa di più.

Teodoro Klitsche de la Grange

TRE EQUIVOCI SU VERONA E ALTRE CONSIDERAZIONI, di Elio Paoloni

A proposito del Congresso sulla famiglia a Verona. Dopo Antonio de Martini http://italiaeilmondo.com/2019/04/03/il-processo-di-verona-di-antonio-de-martini/ prosegue Elio Paoloni

Primo equivoco

 

Molti dei miei amici hanno bevuto distrattamente le false narrazioni sul congresso di Verona e si sono rintanati sussiegosamente nel ‘giusto mezzo’, disdegnando gli ‘opposti estremismi’, ovvero lerciume vario contro bigottismo. Ora, in attesa degli atti, possiamo solo attenerci al programma della manifestazione: La bellezza del matrimonio – I diritti dei bambini – Ecologia umana integrale – La donna nella storia – Crescita e crisi demografica – Salute e dignità della donna – Tutela giuridica della Vita e della Famiglia – Politiche aziendali per la famiglia e la natalità.

Dove sarebbe l’estremismo, esattamente? I miei amici sono troppo colti per tirar fuori lo spauracchio del Medioevo, luminosissima epoca, ma lanciano accuse di lesa modernità, di donne incatenate, di visioni oscurantiste. Ma a cosa si appoggiano, veleno dei soliti media a parte? Ogni insulto è lecito verso i congressisti e minacce pesanti sono state rivolte alle personalità che desideravano intervenire dagli stessi personaggi e dagli stessi media che si affannano a diffamare le politiche che i miei amici sostengono. Di colpo, però, lor signori paiono divenuti gli esclusivi, scrupolosi, attendibili cronisti di Verona.

 

Paginoni indignati sono stati dedicati a un gadget di dubbio gusto, un piccolo feto.

Si parla spesso del “dovere della memoria”: non bisogna dimenticare, perciò beccatevi queste tremende immagini del cadavere scheletrico bruciato in un forno crematorio. Perché quest’ultima – si chiede Franco Cardini – viene di continuo ostentata in film, reportage e fiction mentre la seconda è proibita e nascosta? Certo, sulla shoah si è tutti d’accordo mentre sul fatto che l’aborto sia o meno una pratica delittuosa esiste una radicale divergenza che attraversa e spacca la nostra società. Proprio per questo, però, dovremmo mostrare come si trucidano i bambini.

Nulla di così eclatante, a Verona: semplicemente qualcuno ha voluto rappresentare un bambino non nato. Senza clamori, in contemporanea, all’Osservatorio Prada la mostra “Surrogati: Un amore ideale” documentava le opere dei reborner, che realizzano bambole realistiche su ordinazione per darle poi “in adozione” alle loro mamme “eterne”, donne infertili o, più spesso, “avverse” alla gravidanza. Le fotografe di Surrogati ritraggono in modo vivido e “senza pregiudizi” le interazioni tra gli uomini e i loro compagni inanimati, obbligando l’osservatore a “riconsiderare la propria visione di amore e riflettere sul valore di un oggetto in grado di sostituire un essere umano”. Questi bambolotti non hanno destato scalpore. La nostra civiltà si estingue, ben rappresentata dal suicidio-omicidio delle due lesbiche californiane alla quale era stato concesso da illuminate istituzioni scevre da bigottismo di adottare ben sei bambini, abusati, poi drogati e trascinati alla morte. Ma in tv passa solo il gadget “estremista” di Verona.

 

Se comprare bambini e privarli di un’infanzia sana è un diritto, allora sì, il Congresso era zeppo di estremisti. Del resto, da quando i capricci di una minuscola parte degli omosessuali sono diventati diritti inalienabili, ogni persona di buon senso può essere incriminata. “Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate” scriveva Chesterton. Chi sguaina oggi queste spade – le spade del buon senso, delle semplicissime, evidenti verità – viene accusato di estremismo anche da menti che non si sono mai piegate – politicamente –  alle idee dominanti.

 

Io accuso i congressisti, invece, di eccessiva moderazione: sono state lanciate esortazioni per la piena applicazione della legge 194. Piena applicazione? Da vero estremista io mi auguravo appelli per l’abolizione. Ma a Verona, forse giustamente, lo si è ritenuto non proponibile in queste circostanze e ci si è accontentati – sobriamente – di ottenere il massimo da una legge che è stata applicata come se si trattasse di uno sbrigativo quanto tardivo mezzo anticoncezionale.

 

 

 

Secondo equivoco

 

Qualsiasi posizione a favore della famiglia, della natalità, della possibilità di scelta della donna (tra il lavoro domestico e l’umiliante quanto ineluttabile – grazie alle magnifiche sorti capitaliste – lavoro ‘emancipato’) così come ogni argomentazione contraria al divorzio e all’aborto, viene immediatamente etichettata come confessionale, bigotta, cattolica. Cascame vaticano. Ma sfugge ai più che in Vaticano si sono sbracciati per prendere le distanze dai ‘veronesi’. Gli accoglienti sono terrorizzati dalle scomode verità che i congressisti possono spiattellare. Non sia mai il mondo gender se ne avesse a male. Leggetevi Avvenire, ascoltate le dichiarazioni dei prelati ben allineati con Santa Marta. I principali avversari dei congressisti sono proprio loro. Ma quale natalità! Bergoglio la aborre più dei maltusiani.

Chi ha deciso che la morale, il pudore, il buon senso, l’unità della famiglia, l’amore per la tradizione, la volontà di perpetuazione, il rispetto della vita non possano essere laici, civili, universali? Eppure li abbiamo visti ben presenti anche nelle società pagane. George Orwell, che viene dato per ateo, si riferiva costantemente alla common decency, naturale predisposizione morale delle classi popolari, “un sentimento intuitivo delle ‘cose che non si devono fare’ se si vuol restare degni della propria umanità”.

 

 

Terzo equivoco

 

Buona parte dei commentatori ha affrontato la faccenda come se si trattasse di un fenomeno di costume, di una questione di buon gusto, di etichetta; nel migliore dei casi, di un dibattito etico – o scientifico – del tutto svincolato dai temi politici che tanto premono loro. La cosa mi lascia allibito. Davvero non sanno chi finanzia e organizza le Femen? Hanno potuto dimenticare che tutte le ‘conquiste’ contestate a Verona sono parte imprescindibile dell’agenda Dem? Che non vi è nulla di casuale nell’insistenza sui diritti individuali contrapposti a quelli sociali? L’annientamento dell’ultima cellula solidale, dopo i sindacati e i partiti politici, quella che ha resistito a tutti gli indottrinamenti e i totalitarismi, è un obiettivo irrinunciabile per i potentati economici. Non si tratta di folklore ma di riduzione dei cittadini a monadi. Due, tre, quattro divorzi. Non è rispetto delle scelte, è deliberata frantumazione, lotta tra i sessi, lotta tra i genitori, lotta tra i figli; una variante della lotta tra poveri sobillata con l’immigrazione selvaggia. Senza la dissoluzione della famiglia la sospirata società liquida non potrà pienamente realizzarsi.

Costanzo Preve, come Alain De Benoist, aveva capito da tempo che lo smantellamento delle forme di vita tradizionali borghesi e proletarie, fatto in nome della modernizzazione nichilisticamente permanente, era funzionale ad un allargamento globale del mercato e del connesso potere del denaro che questo comporta.

 

 

Nel merito

 

Sul congresso di Verona è apparso da poco in questo sito un post di Antonio de Martini. Dopo aver premesso che ‘la questione è complessa’ l’ha affrontata in poche righe, con qualche esempio.

 

Esaminiamo qualche punto.

 

1 – Unioni omosessuali. Sono sempre esistite e non vedo perché proibirle. Hanno certamente alcuni dei diritti e doveri tipici di una unione familiare. Possono ottenere ogni cosa, ma non l’equiparazione alla famiglia perché non sono la strada maestra per la perpetuazione della società. Sono una strada privata.

 

Sono sempre esistite. Falso. Neanche nell’Impero romano in decadenza, al vertice della depravazione compulsiva è stata contemplata alcuna unione, intesa come stabile e parificata al matrimonio. Alcuni matrimoni burla sono stati messi in scena da qualche imperatore folle con lo stesso spirito con il quale Caligola si proponeva di nominare senatore (o forse console) il suo cavallo. L’imperatore intendeva solo esprimere il suo disprezzo per le istituzioni romane. Proprio come i fans delle nozze omo, che costituiscono uno sberleffo intenzionale all’istituzione più sacra (in senso del tutto laico, mazziniano, come sacra è la Patria). La cosa che più si avvicinava a un riconoscimento pubblico era il concubinato maschile, mai giunto allo status legale della concubina, perché i concubini erano sempre schiavi, sottomessi e disprezzati come chiunque assumesse un ruolo passivo (exoletus, spintria, debilis, discintus e morbosus). Le relazioni, di solito temporanee, si svolgevano tra adulti bisessuali, già sposati e padri, e ragazzi, così come avveniva in Grecia. Quando sarebbero esistite, dunque, queste unioni? Nel Medioevo?

 

Sono una strada privata. Mi permetto di dissentire: quando i municipi mettono nero su bianco siamo in autostrada. E i diritti che si andrebbero affermando in questa unione possono essere tranquillamente acquisiti tramite le norme del codice civile vigente. Non ero contrario alle ‘unioni’ in linea di principio ma tutti abbiamo visto che si trattava di un cavallo di Troia. Il grimaldello, un primo passo.

 

 

2 – Divorzio. Ogni essere umano ha diritto a sbagliare e avere un’altra opportunità, ma non indefinitamente. Dopo un secondo matrimonio/unione la terza volta dovrebbe essere preceduta da un test psicologico che assista chi ha evidentemente difficoltà a non ripetere scelte che lui/lei stesso considera poi errate.

 

Sono d’accordo sulla valutazione psicologica da somministrare al convolante seriale ma resto oppositore anche del divorzio unico. Serenamente e laicamente. Non mi dilungo, però: la questione è tanto complessa che mi è servito un libro – di prossima pubblicazione – per trattarla. Mi limito a citare Bauman:

“Nel mondo liquido-moderno la solidità delle cose, così come la solidità dei rapporti umani, tende a essere considerata male, come una minaccia: dopotutto, qualsiasi giuramento di fedeltà e ogni impegno a lungo termine (per non parlare di quelli a tempo indeterminato) sembrano annunciare un futuro gravato da obblighi che limitano la libertà di movimento e riducono la capacità di accettare le opportunità nuove e ancora sconosciute che (inevitabilmente) si presenteranno. La prospettiva di trovarsi invischiati per l’intera durata della vita in qualcosa o in un rapporto non rinegoziabile ci appare decisamente ripugnante e spaventosa”.

Chi – e perché – ha tanto lavorato per renderci avulsi dalla responsabilità?

Laddove De Martini – insieme a tanti altri – vede un’altra opportunità, è in atto, pervicacemente (che sia breve, sempre più breve, l’autostrada del divorzio) la precarizzazione dei legami familiari, speculare a quella lavorativa.

 

3 – Aborto. È certamente un diritto dei concepitori abortire, ma, se non si è psicolabili capricciosi e non vi sono inderogabili esigenze terapeutiche, cinque mesi sono un lasso di tempo sufficiente per prendere una decisione tanto drammatica e abortire ripetutamente non può essere consentito, salvo serie ragioni mediche.
Abortire è un diritto, ma – non illudiamoci- specie se fatto dopo il quinto mese, resta un omicidio. In Francia, un deputato ottenne la bocciatura delle legge facendo sentire in aula il battito del cuore del nascituro
.

 

Come molti dei miei amici De Martini si sforza di adottare un approccio equilibrato, finendo per assommare asserzioni contraddittorie. Avversa l’aborto solo se ripetuto. Ma se è un banale intervento chirurgico, perché limitarne l’uso? Puoi rimuovere due nei dalle natiche ma al terzo, eh no, suvvia, non esageriamo! Subito dopo l’apodittico “E’ certamente un diritto” ci scontriamo col “non illudiamoci, è un omicidio”. Dopo il quinto mese, però. Cosa gli faccia indicare questa precisa scadenza non è dato sapere: in quasi tutti i paesi il termine, tranne che per l’aborto terapeutico, è di tre mesi.

Termine, arbitrario, grottescamente simile al termine – anch’esso ‘scientifico’ – del 3 per cento del rapporto debito/PIL. Convenzioni, pezze a colore, ipocrisia pura ammantata di scientificità. Medici, biologi e giuristi hanno discettato scioccamente su dettagli insignificanti per decidere un termine. E’ un bambino quando gli crescono le orecchie, no, quando si ingrossa il pistolino, no, quando tira calci. Follia pura. Oggi, dopo le acquisizioni scientifiche vere, quelle sul DNA, tutti questo cianciare si è rivelato per quello che era. Ora siamo costretti ad accettare che nell’embrione c’è tutto l’uomo, chiaro e delineato, malattie comprese. Forse all’atto del concepimento non nascerà un’anima, ma di sicuro c’è tutto un destino. Come si passa dal ‘certo diritto’ all’omicidio, da una settimana all’altra? Se è un’escrescenza del corpo della madre lo è anche al nono mese, se è un essere umano lo è l’istante dopo il concepimento.

Gli ingenui danno per scontato che la determinazione della presenza o dell’assenza di vita o meglio di diritti – tot settimane, tot mesi – preceda e determini la formulazione della legge. Ma è sempre il contrario: avendo deciso di avallare l’omicidio si è cercata la giustificazione “scientifica”.

La inaffidabilità dei compromessi bioetici appare chiara leggendo la nuova legge dello Stato di New York. Apparentemente simile ad altre leggi che consentono l’aborto anche dopo la ventiquattresima settimana nel caso di grave pericolo per la vita della madre, ne differisce perché parla genericamente di ‘salute’ della madre (anche psichica, e ormai sappiamo che pure la melanconia è diventata una malattia secondo il DSM, la Bibbia della psichiatria) e perché depenalizza l’aborto in toto, autorizzando all’effettuazione anche figure non mediche.

 

L’embrione non è un’appendice del corpo della madre: è una creatura distinta legata alla sua ospite da un rapporto di simbiosi di tipo parassitico. Potenzialmente l’embrione potrebbe svilupparsi separatamente dal corpo materno, purché messo in un substrato nutritizio adeguato. E’ un’ospite. E’ più indifeso che mai. E’ sacro. Non appartiene alla madre. Appartiene a se stesso, all’umanità, alla comunità. E se proprio dovesse appartenere a una persona, allora appartiene anche al padre, al quale non si chiede neppure il parere “consultivo”, formula ipocrita che sta in tanti atti amministrativi, anche se, qualche mese dopo, si vedrebbe investito fino alla morte, in qualità di padre, da responsabilità giuridiche, economiche, morali. Negli Stati Uniti le esecuzioni capitali vengono affidate a più “operatori”: una centralina rende anonimo il pulsante letale e spartisce la responsabilità; nell’aborto le donne assumono invece contente il ruolo di boia unico.

 

Si tende a pensare che le parole cambino dopo che la realtà è cambiata. Non è così: non può cambiare nulla nella società, non c’è rivoluzione possibile, se prima una élite non impone un nuovo lessico. Quando si intende imporre una nuova legislazione, si cambiano i termini della questione: il resto segue. Se si decide di rinominare mamma e papà Genitore A e Genitore B, c’è un motivo preciso: si ha chiaro in mente un percorso distruttivo per la famiglia che non può prescindere da uno stravolgimento lessicale.

Interruzione volontaria di gravidanza, che si contrae in IVG. Un acrostico, una sigla. Neutra, deodorata, devitalizzata. L’eufemismo è un delitto. Uccide la verità, poi ci permette di sopprimere la vita. Ascoltate una donna incinta che parla della gravidanza che intende portare a termine: si rivolge al contenuto del suo grembo come a un bambino, da subito. Già nei primi giorni ne parla designandolo con un nome proprio, quello che gli darà al battesimo. Nell’altro caso, invece, si parla di embrione, feto, o, meglio ancora, non si nomina in alcun modo quel grumo di cellule. Si tenta di considerarlo un’escrescenza, una cisti. Così un omicidio diventa faccenda di donne, confuso tra perdite, mestruazioni e ritardi, quelle robe lì. Se usi il termine appropriato permetti anche alla ragazzina incinta di essere consapevole. Consapevole davvero, non intronata dalla speciosa terminologia adottata dalle riviste femminili e dai quotidiani progressisti.

 

Ascolto di continuo i belati degli osservatori comprensivi: ma cosa credi, è una scelta tanto difficile, le donne ne soffrono, abbi rispetto. Diamo per scontato che sia vero, anche se non sempre lo è (molti consultori fanno di tutto per renderla facile; non che ve sia bisogno: l’ideologia dominante, l’isteria femministoide, l’assuefazione, fanno sì che le ragazzine vi ricorrano come se si trattasse di prendere un’aspirina). Dopo anni, magari decenni, alla nascita di un figlio, alla morte di un congiunto o per la caduta della negazione, forse realizzeranno e si troveranno a far ricorso allo psicologo. Intanto molte la vedono facile. Ma la mia risposta, in tutti i casi, è: chi se ne frega. E’ abominevole sorvolare sul delitto perché l’assassino ci ha pensato su e, poer nano, è pure dispiaciuto. Ha fatto a pezzi la nonna, però, sai, è stata una decisione difficile. Ah, beh, allora…

https://eliopaoloni.jimdo.com/

Le armi e l’ombrello della Nato: così la Germania rafforza la sua egemonia sull’Europa, di Giuseppe Gagliano

Questo saggio di Giuseppe Gagliano assume una particolare importanza per due motivi. Sottolinea il carattere competitivo e conflittuale del sistema di relazioni tra gli stati europei con la Germania impegnata a conquistare una posizione di leadership continentale non assieme ma ai danni dei due altri grandi paesi fondatori, in particolare l’Italia. Una dinamica che però non intende mettere in discussione la funzione di guida degli Stati Uniti almeno nei prossimi dieci anni. Un arco di tempo biblico rispetto alla convulsione dei tempi. Il progressivo inserimento tedesco a capo di gran parte dei centri direzionali della NATO, l’integrazione delle strutture militari di alcuni paesi satelliti non sono avvenuti senza un qualche beneplacito del supervisore americano, quantomeno di una delle due componenti politiche di esso. La Germania, da sola, non è in grado di garantire una unità di azione, tanto meno politica, degli stati europei. Tanto meno può realizzare in queste condizioni l’ambizione di un confronto alla pari con gli Stati Uniti e con le altre potenze emergenti nell’agone internazionale. Quasi tutte le sue carte sembrano giocate nell’ambito economico ed energetico, comprese le esportazioni di armi. Per quanto importante è solo uno degli ambiti di applicazione delle strategie geopolitiche; uno spazio particolarmente esposto alle pressioni e alle incursioni di altre logiche e priorità. Le vicissitudini nel settore automobilistico, il preavviso di tempesta nel settore chimico, due settori trainanti dell’economia tedesca, la fragilità del settore finanziario sono lì a testimoniare la reale collocazione di una potenza probabilmente sovrastimata, incapace di offrire ai vicini una prospettiva comune accettabile. Una rideterminazione del sistema di relazioni degli stati europei e della loro collocazione rispetto ai protagonisti delle dinamiche geopolitiche mondiali, in particolare gli Stati Uniti, deve passare necessariamente attraverso la sconfitta delle attuali leadership tedesca e francese_Giuseppe Germinario

All’inizio del XXI secolo, la Germania si è posta l’ambizione di diventare il principale fornitore degli eserciti europei, e quindi di acquisire un monopolio tecnologico e industriale sui suoi vicini. Ciò avvenne in due modi: imbrigliando gli eserciti vicini nel suo complesso militare-industriale e indebolendo le industrie dei suoi “alleati”. Tale obiettivo può essere raggiunto perché Berlino ha un forte sostegno: la Nato. Pertanto, le procedure volte a bloccare le esportazioni di armi europee lasciano intravedere gli obiettivi reali dei tedeschi: rendere l’industria delle armi la spina dorsale di un’Europa della difesa purchè  questa sia sotto il suo controllo.

Armi ed esportazioni

Tutto ciò non deve destare alcuna sorpresa: la produzione del complesso militare-industriale tedesco è diventata di estrema rilevanza al punto che il mercato delle armi  è diventato molto dinamico.

La  Germania ha infatti, nel contesto dell’industria degli armamenti, ha una visione anglosassone poiché predilige una privatizzazione molto accentuata. Anche se allo stato attuale la Germania non è in grado di mantenere l’indipendenza militare ma è tuttavia in grado di esportare il suo equipaggiamento in Europa e in tutto il mondo per rafforzare l’economia tedesca. Insomma, Berlino sta utilizzando la Nato come un cavallo di troia per rafforzare la sua economia e per dominare, a livello europeo, l’Alleanza atlantica a danno degli altri alleati.

Egemonia sotto protezione Nato

L’ide del framework nation concept è stato sviluppato dalla Germania e proposto al vertice Nato nel 2014. La Nato si basa su questo principio per mettere assieme gli alleati in un sistema di difesa standardizzato ad alte prestazioni.

Già quando il concetto fu formulato era chiaro che la Germania stesse cercando in questo modo di ribaltare l’equilibrio della cooperazione a suo favore. Non a caso nel mese di agosto 2017, la Stiftung für Wissenschaft und Politik (SWP) ha raccomandato che la Germania potesse diventare il ​​pilastro europeo della Nato, anticipando un ritiro degli Stati Uniti e sottolineando altresì come la Bundeswehr potesse diventare una colonna portante della sicurezza europea nel lungo periodo. Questa integrazione tra la Germania e i paesi vicini ha già preso forma. I Paesi Bassi non sarebbero più in grado di schierare il loro esercito senza il supporto di quello tedesco a causa della loro integrazione troppo profonda. L’integrazione attuata dalla Germania è altrettanto profonda  per esempio sia in Norvegia (per i sottomarini) sia in Lituania, dove la Germania investirà 110 milioni di euro. Questo progetto fa parte del piano della Nato per lo schieramento di quattro battaglioni multinazionali negli Stati baltici e in Polonia, dove ancora una volta la Germania sta assumendo il ruolo di nazione ombrello. Berlino ha compreso in modo chiaro  come sfruttare la sua posizione all’interno della Nato per sostenere il complesso militare-industriale del paese.

Così la Germania “frega” i partner

Una delle strategie poste in essere da Berlino per  rafforzare la sua egemonia è quella di bloccare indirettamente le esportazioni di armi da altri paesi europei attraverso tempi di autorizzazione talmente lunghi da scoraggiare le imprese europee concorrenti e n el contempo, autorizzare l’esportazione se questa serve gli interessi tedeschi indipendentemente dal rispetto dei diritti umani o dalla lotta al terrorismo.

Uno dei primi clienti di Berlino è Ankara. La Turchia, in conflitto con i curdi (che sono armati e addestrati da Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti e che sono la punta di diamante della lotta contro l’Isis in Oriente), sta combattendo con i carri armati tedeschi. Anche dopo l’inizio del conflitto con i curdi, gli industriali tedeschi hanno continuato a fornire alla Turchia attrezzature militari del valore di milioni di euro.

Un altro eloquente esempio è fornito dal viaggio fatto nel  2008 da Angela Merkel  in Algeria per parlare dei diritti umani e delle libertà religiose. Quattro anni dopo, l’Algeria acquisterà due fregate tedesche per 2,1 miliardi di euro e, per due anni e mezzo, i marinai algerini saranno formati dalla marina tedesca. Allo stato attuale, con buona pace dei francesi, l’Algeria è diventata  ufficialmente il primo cliente per l’esportazione dell’industria tedesca degli armamenti.

Nel 2017, inoltre, Angela Merkel ha incontrato il Re saudita con il  risultato di vendere 270 carri armati Leopard. D’altronde l’Arabia Saudita ha acquistato droni tedeschi al cui uso i soldati sauditi sono stati addestrati dai quadri del Bundeswehr e il fucile d’assalto tedesco G36 è prodotto su licenza sempre da Riad.

Se da un lato Berlino vuole egemonizzare a livello europeo la Nato dall’altro lato è evidente che sta con fermezza perseguendo non solo i propri interessi nazionali secondo una logica pragmatica (come la Francia ad esempio) ma sta marginalizzando sempre di più il nostro paese sia in Europa che nell’ambito dell’alleanza atlantica.

tratto da https://www.ilprimatonazionale.it/esteri/armi-ombrello-nato-germania-egemonia-europa-111872/?fbclid=IwAR18oQU-T6weEqyYKseWqsRMfhdJBygyyh9_wRaPACx0xTrVXQF0D1VdXW8

NUOVE INFLUENZE, di Antonio de Martini

Ormai imminenti le elezioni in Israele e tutti sembrano collaborare affinché Netanyahu mantenga la sua posizione alla testa del governo.

L’Egitto, che accetta di acquistare sottomarini da Israele e addirittura dal solo Netanyahu, in maniera da sistemare una pericolosa inchiesta poliziesca a carico del Premier.

Trump, che interviene con la dichiarazione unilaterale che attribuisce le alture del Golan a Israele, in contrasto con le risoluzioni delle Nazioni Unite del 1967 .

l’Iran, contribuisce mettendo la sordina alle periodiche dichiarazioni apocalittiche anti Israele. Si è letteralmente azzittato e sta ritirandosi dalle zone della frontiera tra Siria e Israele.

Hamas che lancia un petardo ( “sette feriti”) che consente al Premier di assumere misure militari atte a oscurare la fama bellica del concorrente Ganz.

Più notevole ed efficace, Putin che si impegna in prima persona assieme al capo di SM russo Guérassimov, nella ricerca e ritrovamento delle spoglie del capo carro Zachary Baumel, caduto nella pianura della Bekaa ( territorio libanese controllato da Hezbollah) il 10 giugno del 1982 .

Questa operazione – che Netanyahu ha definito “ storica” non si sarebbe potuta concludere senza la collaborazione attiva di Hezbollah ( che ha rinunziato a contropartite e restituito le spoglie e gli effetti personali), dell’Esercito siriano (che ha recuperato il corpo ), dei militari russi ( che hanno consegnato le spoglie avvolte nella bandiera nazionale agli israeliani attraversando la frontiera).

Tanto coordinamento , in una zona in cui si sono sbranati tra loro fino a poche settimane fa, non è frutto di un improvviso attacco di umanità, ma rivela che sono in corso negoziati fruttiferi per tutti e che nessuno vuole cambiamenti tra gli interlocutori.

Anche i media hanno contribuito attirando l’attenzione sulla crisi di Libia dove nulla si è in realtà mosso.

Positivo, con ogni evidenza, il ruolo a tutti Azimuth della Russia in questa mediazione con tutte le parti in causa e che ha saputo mettere a frutto anche la massiccia presenza dei propri emigrati in Israele.

Intelligente la scelta di Assad che ha evidentemente deciso di dimenticare le oltre cento incursioni aeree sulla Siria
durante il recente conflitto ( opzione possibile solo grazie al fatto che non deve affrontare elezioni ne a breve ne a lungo termine).

Attendista la posizione turca che ha congelato il contenzioso coi curdi alla frontiera siriana ( e non ha preso la solita difesa di Gaza) rinunziando a irrigidimenti soldateschi che gli avrebbero potuto fruttare qualche votarello alle elezioni della scorsa domenica.

Un periodo di tregua politico e militare così corale in tutta l’area nel vicino Oriente non si registrava da decenni.

Resta a vedere se le speranze pre elettorali saranno onorate o faranno la fine di quelle che vengono solitamente fatte intravvedere a noi poveri mortali.

Nullo il ruolo dei sauditi, dell’Europa e degli inglesi in tutt’altre faccende affaccendati.

Saltati a piè pari il nostro contingente ( attorno al quale tutto si è svolto) e il Vaticano.
Eppure il traffico di spoglie mortali sarebbe una tradizionale specialità della casa.

TRUMP PRESTO A CANOSSA ?, di Antonio de Martini

Pochi commentatori enfatizzano che le recenti elezioni in Turchia erano meramente amministrative e nessuno ha spiegato cosa è successo realmente.
Hanno preferito raccontare di “ ridimensionamento” dell’ AKP il partito di Erdogan il tiranno.

Le cose non stanno così.

Alle elezioni politiche precedenti al tentato colpo di stato del luglio 2016 – di cui fui l’unico a prevedere data e protagonisti nel meno visto dei miei interventi su you tube- gli Stati Uniti decisero di non appoggiare il partito laico e kemalista ( CHP) per promuovere un più ossequiente cartello di curdi, omosessuali, halevi e minoranze varie convinti di riuscire a scardinare la maggioranza del partito di Erdogan a suon di dollari.

Ci riuscirono in buona parte facendogli perdere una settantina di deputati, subito rimpiazzati da una alleanza a destra, che assicurò ugualmente una maggioranza di governo.

Gli USA avevano rifiutato di appoggiare il partito kemalista – tradizionale avversario dei “ clericali” perché troppo nazionalista e non obbediente quanto un avvocaticchio di provincia che fu spacciato dai soliti media internazionali per un grande leader.

L’annunziata recessione turca nel 2017 ha segnato un +7,6% mentre noi saremmo in crescita al +0,2%……

Questa volta, mossi dalla disperazione per il golpe fallito di cui sono accusati e dalla lobby delle armi che vede con terrore l’apparire sul mercato del sistema antiaereo russo AS 400 che rischia di fare “l’en plein” come il mitra Kalashnickov che ha ottenuto oltre 90 % del mercato mondiale delle armi portatili, sono venuti a più miti consigli ed hanno accettato – in questa tornata sperimentale amministrativa- di non sostenere cartelli raccogliticci e la Turchia è tornata al bipartitismo che le è naturale.

Il famoso cartello democratico “ froci&co” è praticamente scomparso, lo stesso partito curdo si è ridimensionato, mentre i seguaci di ATATURK , che in politica estera sono sempre più spesso in armonia col presidente, hanno ripreso fiato e spazi politici.

A Ankara, La capitale creata da Ataturk , la borghesia impiegatizia è tornata a casa e eletto il candidato kemalista.

Sapendo che a Istanbul i contendenti erano testa s testa, Erdogan – ex sindaco – si è lasciato convincere a promettere la riconversione del museo di Santa Sofia in moschea.

Troppo poco per convincere i clericali estremi e troppo tard (48 ore) i per galvanizzare i seguaci.

Adesso i media che riprendono fedelmente i temi dei think tank americani, fingono speranzosi che Erdogan “ capisca e si riavvicini all’occidente”.

In realtà, il governo turco si irrigidirà , insisterà a polemizzare con gli USA, Cipro e Israele ( la Grecia, irritata dal flirt con gli israeliani, ha invece ufficialmente riconosciuto non meglio specificati “ diritti” turchi sui giacimenti dell’Egeo) , confermerà l’acquisto degli AS400 russi e appoggerà con maggior fermezza l’Iran nella sua lotta contro le sanzioni.

Il ministro degli Esteri turco Cavusoglu ha fatto un impietoso elenco delle contrastanti dichiarazioni americane sulla Siria e sulla Turchia, in pratica rendendo noto che ormai considerano interlocutore il solo Trump.

Se vuole esca allo scoperto e chiarisca di chi è amico e alleato nel Vicino Oriente, oppure salterà tutto il quadro strategico tra Il Cairo e Kabul.

Questo non lo ha detto, ma lo ha fatto capire chiaramente.
Il capo è stufo di parlare coi camerieri, anche se tedeschi.
E il CHP – che condivide già le scelte di politica estera di Erdogan potrebbe dargli ragione e entrare in coalizione.

Condizionando la collaborazione a un rinnovato sforzo verso la Unione Europea che potrebbero essere loro a gestire.

1 315 316 317 318 319 377