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L’ANGELO DELLA STORIA, di Pierluigi Fagan
L’ANGELO DELLA STORIA. (tratto da facebook) Ogni tanto, come saprete, torno a studiare la c.d. “nascita delle società complesse”, in particolare il caso a noi più vicino ovvero quello del Vicino Oriente mesopotamico. Sono in gioco le “origini” della gerarchia sociale, dell’ineguaglianza, del ruolo dell’economia nella strutturazione della società, l’immagine di mondo ed i suoi amministratori, la nascita dello Stato e della guerra sistematica. Insomma il “pacchetto” che contraddistingue le nostre società contemporanee.
L’indagine ha molti motivi per esser condotta, ma oggi ha anche una attualità in più. Un terremoto demografico come quello che si è prodotto tra inizi ‘900 ed oggi o anche meglio, dal 1950 ad oggi, disegna un “mondo” completamente diverso dal precedente. Poiché storicamente le “novità” si producono quasi sempre nel contesto ovvero esternamente alle società, sebbene poi noi si legga le trasformazioni come interne a queste (in realtà sono “adattamenti”), le “cause” dei cambiamenti profondi sono per lo più esterne.
Uno spazio fisico fisso (il mondo) che triplica la sua densità in settanta anni (1950-2020 da 2,5 a 7,5 miliardi di individui e da 70 a 200 Stati) è un terremoto di contesto che ha, e sempre più avrà, molte ripercussioni sull’organizzazione della nostra vita associata. Quindi il come si originò lo standard attuale torna d’attualità per provare a capire come potrebbe evolversi. Viepiù se va incontro a vari tipi di problematica ambientale. Non è detto che questo sguardo indietro serva davvero per lo sguardo in avanti (l’angelo della storia di Klee-Benjamin), ma è l’unica o comunque la prima, strada che abbiamo. Aggiornerò quindi sulle ultime evidenze macro della ricerca sull’argomento su cui ho fatto una recente, ennesima, full immersion di studio.
L’oggetto di studio è il Vicino Oriente (mezzaluna fertile) che transita dal Mesolitico al Neolitico e finisce con Uruk ovvero: 1) la prima città; 2) il primo Stato centralizzato con Uruk al centro di un sistema di villaggi tributari; 3) presenza inequivoca di stratificazione sociale e divisione del lavoro, ed anche di genere e di generazione oltreché etnica (con molta probabilità, questa fu la prima ragione di differenziazione sociale in tempi addietro alle vere e proprie “società complesse”); 4) agricoltura irrigua con logistica complessa; 5) dominio di élite bipartite tra sacerdoti e re o poi fuse in un’unica entità (il re “divino”); 6) alte e spesse mura di contenimento della città e presenza di specialisti armati; 7) leggi e tasse; 8) sistemi di notazione scritta. Il tutto a partire grossomodo dal 3300 a.C. anticipato da un periodo di progressiva formazione ed espansione che inizia forse nel 4000 a.C., tempo registrato come data del Diluvio nella mitologia sumera. Come soro arrivati a ciò e perché?
1) La prima novità degli studi connessi è il doppio ampliamento dello spazio e del tempo di osservazione. Uruk era praticamente sulla costa sud dell’Iraq dove oggi c’è Bassora, alla foce del Tigri ed Eufrate, il suo tempo parte, come detto, dal 3200 a.C. Oggi questo è considerato il punto d’arrivo di una più ampia e lunga dinamica che porta non solo alla c.d. Mezzaluna fertile ma anche al sud dell’attuale Turchia che è forse l’inizio del processo ed altri spazi contigui. Altresì il tempo del processo inizia nel 12.000 a.C., novemila anni prima di Uruk.
2) Il processo ha tre linee di sviluppo generale:
a) scende da nord a sud, dall’Anatolia al Persico. I siti scavati dagli archeologi, temporalmente compaiono lunga una sequenza storica (dal 12.000 al 3000) che va dalla catena del Tauro al bassopiano che sfocia nel Persico, passando per il nord siriano ed iracheno (l’ex Stato islamico). Questo asse verticale, ha poi un incrocio orizzontale che ingloba il Levante (Israele e Giordania) tanto quanto i monti Zagros (Iran occidentale). Interazioni progressive si hanno tanto con la civiltà egiziana che con quella della Valle dell’Indo,
b) prevede un costante aumento della popolazione, qualche volta con veloci aumenti seguiti da stasi, ma nel complesso unidiretto dal meno al più;
c) il processo è oggetto di almeno due cambiamenti climatici che rendono l’approvvigionamento idrico (non solo agricolo, anche a piante ed animali oggetto di caccia e raccolta) sempre più difficile. Questi scrolloni climatici incidono ovviamente sulla sussistenza che a sua volta cambia la struttura sociale che già cambiava di suo per l’incremento demografico.
3) L’estrema sintesi di ciò che pare sia successo dovrebbe essere questa: tribù seminomadi di cacciatori raccoglitori, tendono a sedentarizzarsi nell’Anatolia meridionale probabilmente per l’aumento della consistenza demografica dovuta anche a condizioni climatiche molto favorevoli e cominciano a ricorrere sempre più, prima ad una forma di cura del selvatico ed orticultura, poi di agricoltura. Ma l’out put agricolo è solo un integratore di dieta che permane largamente di caccia e raccolta e la sua produzione è detta “secca” ovvero ricorre alle semplici precipitazioni naturali, all’umidità, forse a pozzi scavati. Siamo tra 12.000 e 9000. In seguito, tra 9000 e 6000, scendono verso il nord siriano-iracheno in cerca di spazi pedemontani più ampi per maggiori opportunità di coltivazione ed allevamento, sempre lungo i tratti iniziali dei due grandi fiumi. Qui si notano due fenomeni importanti: a) si formano “culture” ovvero reti di villaggi anche molto piccoli ma interconnessi tra loro in un più vasto areale. Questi villaggi avevano una divisione del lavoro naturale poiché alcuni agricoli, altri pastorali, altri vicino alle materie prime del Tauro (ossidiana, malachite, rame), altri produttori di bellissima ceramica, ed erano legate da scambi commerciali e culturali; b) si cominciano a trovare segni di immagini di mondo che legavano tra loro le mentalità delle genti di quell’areale; c) tra 6000 e 4000 continua lo spostamento verso sud anche in seguito ad un cambiamento climatico. Le comunità si allargano e di converso cresce il ricorso all’agricoltura, ora irrigua sebbene a logistica semplice ovvero con una sola striscia campi contigui i corsi dei fiumi. Nell’alluvio precipitano cacciatori raccoglitori dell’est e poi pescatori del sud. Verso la fine del periodo (Eridu) compaiono i primi templi ovvero luoghi fisici in cui un sacerdote o gruppi di, amministrano l’immagine di mondo, parte del raccolto è centralizzato e ridistribuito; d) Infine da 4000 al pieno Uruk, siamo ormai all’estremo sud quindi alla foce dei due fiumi di cui inizialmente si sfruttano le piene ma poi si incanalano lungo sistemi di logistica irrigua molto complessa, pianificata ed amministrata centralmente. Ai centri templari si affiancano quelli palaziali, nasce lo Stato. Prima città, poi territorio con colonie, poi impero.
Il tutto è stato accompagnato da una fase molto umida e ricca d’acqua con clima temperato continentale (12.000 – 8000), un primo scrollone di improvvisa secchezza intorno al 6400 a.C. ed un secondo ancora più deciso post-diluviano. In breve, le popolazioni aumentavano con condizioni ecologico-climatiche favorevoli ma poi dovevano fare i conti con le inversioni climatico-ecologiche. Prima è aumentata la densità abitativa in aree più ospitali, dopo la dimensione dei singoli centri che hanno fatto da centro a sistemi più ampi, poi formalizzati in Stati (regni) e poi Imperi (2200 a.C. Akkad – Sargon). L’agricoltura non fu una invenzione ma una pratica millenaria. Se ne fece sempre maggior ricorso per necessità demografico-ecologica. La guerra nasce dal confitto sulla terra e le risorse in ambienti affollati, solo alla fine del processo. Tutto ciò, qui come altrove (dalla Cina alle Americhe), è stato basato sulla relazione demografia-ecologia e il semplice aumento dei gruppi (prima del numero, poi della consistenza) ha portato all’auto-organizzazione che è stata gerarchica poiché più semplice. Il precursore dei sistemi gerarchici furono le credenze condivise amministrate da sacerdoti. Tali prime forme furono auto-organizzate e non imposte.
Nota a parte: i materialisti storici dovrebbero forse rivedere le loro convinzioni. C’è un problema di organizzazione dei grandi gruppi umani alla base delle gerarchie sociali ed il modo in cui organizzano la loro economia è solo un derivato oltretutto dipendente anche da fattori di contesto (adattamento). I rapporti struttura – sovrastruttura sono del tipo uovo-gallina, sono cioè coevolventi e reciprocamente causali. Le gerarchie sono il modo più semplice e diretto sin qui trovato dall’umanità per organizzare i grandi gruppi umani, nei piccoli il problema o non si pone o si pone molto diversamente. L’ipotesi che cambiando il sistema economico si annulli la stratificazione della società è come pensare che sia lo scodinzolio a muovere il cane, anche se certo, la può mitigare.
SE QUESTO É ANCORA UNO STATO?!, di Augusto Sinagra
SE QUESTO É ANCORA UNO STATO?!
La “comandante” della Sea Watch III, la ormai famosa pasionaria Carola Rackete, in commissione di una serie interminabile di reati e da ultimo l’ingresso illegale in acque territoriali italiane e, prima, di complicità con scafisti e trafficanti di esseri umani, fingendo di salvare naufraghi (i filmati ne sono prova), oltre che di sequestro di persona e tratta di esseri umani e violazione delle leggi sull’immigrazione (delitti che prevedono l’arresto suo e dell’equipaggio), pretende di scaricare in Italia e solo in Italia la sua mercanzia umana facendosi beffe del Governo italiano e delle sue leggi.
E ciò a scopo di suo lucro personale (diversamente non la pagano) e a illegittimo scopo della ONG di riferimento.
Premesso che uno dei principali “gestori” della ONG in questione è quel tale Gregor Gysi, già agente della polizia segreta della DDR (la famigerata STASI: sicuramente Rebecca Merkel se lo ricorda) e la medesima ONG fa capo a ignobili speculatori di ogni genere e si colloca nel più vasto contesto di una preordinata destabilizzazione dello Stato italiano oltre che specificamente del Governo in carica, se lo Stato italiano esiste ancora e non si è trasformato in un “cabaret”, esso attraverso i suoi organi deve:
1. trarre in arresto l’equipaggio della Sea Watch e per prima la sua “comandante”.
2. Sequestrare la nave come corpo di reato per poi procedere alla confisca e quindi alla demolizione (Patronaggio permettendo ma sicuramente l’aria è cambiata anche per lui).
3. Procedere all’immediato fermo di tutti i clandestini con immediato trasbordo su unità della Marina Militare italiana, con adeguata scorta armata, riportandoli al punto della loro partenza volontaria e cioè in Libia anche perché pure in Libia funzionano bene i costosissimi cellulari di ultima generazione di cui sono in possesso.
4. Richiamare immediatamente l’Ambasciatore italiano all’Aja e dichiarare l’Ambasciatore olandese a Roma “persona non grata” dandogli 48 ore di tempo per lasciare il territorio nazionale.
Il Ministro dell’Interno Matteo Salvini si sta giocando tutta la sua credibilità e il vasto consenso elettorale che ha avuto. Lui sa bene che i voti vanno e vengono. Ne tiri le conseguenze anche a costo di provocare una crisi parlamentare di governo.
Il figlio di Bernardo Mattarella non si permetta di aprire bocca. Non ha più autorità istituzionale né politica e né morale. Lui è finito.
Il pampero argentino si taccia e la finisca di frantumare le balle al Popolo italiano e lo si avverta che le intese concordatarie possono essere anche denunciate così i suoi “dipendenti” e cioè i vescovi delle Diocesi italiane che ammorbano l’aria, e fanno perdere la fede ai credenti. La finiscano di interferire negli affari interni dello Stato fino al punto di istigare alla disapplicazione delle leggi.
Alla denuncia del Concordato non fa ostacolo l’art. 7 della Costituzione, come ben sanno i miei Colleghi costituzionalisti. E se è necessario si modifichi l’art. 7 della Costituzione. Qualcuno avverta il pampero argentino che in Italia non c’è più la “religione di Stato”.
A parte il fatto che è proprio il pampero argentino che nega la religione cattolica, offendendo Cristo, i Santi, gli Apostoli e falsificando il Vangelo e le Scritture. Lui non è solo scismatico o eretico, lui è un apostata.
Qui sotto, invece, le dichiarazioni dell’Ammiraglio Nicola De Felice, fino al 2018 comandante di Mariscilia
“Caso Sea Watch: arrestare la Comandante e convocare gli ambasciatori di Paesi Bassi e Germania*
Le convenzioni internazionali sul diritto del Mare delle Nazioni Unite, Il Codice Italiano della Navigazione e le direttive nazionali sulla Sicurezza richiedono delle azioni politiche e giuridiche inoppugnabili: le infrazioni commesse dal Comandante della nave Sea Watch sono tali da richiederne l’immediato arresto se non addirittura l’estradizione in Libia qualora richiesto visto che le prime infrazioni sono state commesse in acque di competenza libica. Inoltre, il passaggio illegale dei migranti è stato commesso in territorio olandese e – in ottemperanza all’articolo 13 del Trattato di Dublino dell’UE – l’Olanda deve farsi carico dei migranti saliti a bordo sulla Nave battente bandiera olandese. La Germania è la nazione della ONG responsabile del misfatto. Ai sensi delle più elementari regole diplomatiche internazionali, gli ambasciatori di tali Stati devono essere immediatamente convocati per giustificare l’inerzia dei rispettivi Governi in tali misfatti. La nave va sequestrata, vanno applicate le sanzioni amministrative previste ivi comprese le spese sostenute dallo Stato per la gestione del caso, come previsto dall’art 84 del codice di navigazione. Tutto ciò va fatto in tempo reale onde evitare che il misfatto sua emulato da altri incoscienti. Ne va della dignità di uno Stato sovrano come il nostro”
Maffeo Pantaleoni, Il manicomio del mondo, di Teodoro Klitsche de la Grange
Maffeo Pantaleoni, Il manicomio del mondo, pp. 184, € 18,00, Liberilibri, Macerata 2019.
Iniziativa meritoria questa dell’editore, di aver ristampato un’antologia degli Erotemi di economia di Pantaleoni curata da Sergio Ricossa negli anni ’70 per l’editore Volpe (ora arricchita da un’introduzione di Manuela Mosca). Meritoria perché Pareto e Pantaleoni furono gli studiosi italiani i quali tra al fine dell’800 e il primo quarto del 900 riportarono la scienza economica italiana all’attenzione di quella internazionale; ma mentre per Pareto, almeno fuori d’Italia, quella è mai mancata, Pantaleoni è stato dimenticato.
L’antologia prova quanto a torto: e ciò per due ragioni principali: la prima che quanto scrive Pantaleoni spesso si può utilmente applicare a eventi accaduti nel (quasi) secolo trascorso dalla morte dell’economista. Ad esempio alla lotta di classe, intesa nel senso marxista del conflitto tra borghesi e proletari. Scrive Pantaleoni “Gli uomini si sono sempre distinti con contrassegni in classi, le quali hanno avuto e hanno tutt’ora i più svariati criteri di classificazione: la nobiltà, la professione, l’appartenenza ai conquistatori o ai conquistati, la fede politica, la fede religiosa, il sesso, l’età e via dicendo”; in ogni società, ma in quelle moderne soprattutto “L’appartenenza dei medesimi individui, cioè di tutti gli individui costituenti un consorzio politico, a molti e diversi gruppi di interessi, e la crescente moltiplicazione delle specie di interesse alle quali ciascun individuo appartiene simultaneamente, è un fatto che rende impossibile, ossia annulla, i contrasti di classe, le bipartizioni e tripartizioni della società, che sono il fondamento di molte speculazioni socialistiche e socialistodi”; per cui “Il fatto vero è che il medesimo individuo appartiene in un medesimo momento a un gruppo etnico avente interessi in lotta con coloro che appartengono a altri gruppi etnici… che sarà cattolico o massone e quindi in lotta con massoni o cattolici, che sarà monarchico o repubblicano o socialista o sindacalista o conservatore, o progressista, o radicale”. Orbene dopo il crollo del comunismo è evidente che il conflitto borghesi/proletari è stato neutralizzato e spoliticizzato; ne hanno preso il posto altri conflitti i quali con la scriminante della proprietà (o meno) dei mezzi di produzione hanno poco (o punto) a che fare (e talvolta neppure matrice economica).
La seconda è che l’opera appare una confutazione dei luoghi comuni del socialbuonismo di ieri come di oggi a leggere in particolare (tra gli altri) i capitoli sul merito e sulla giustizia.
In conclusione, come scrive Manuela Mosca nell’introduzione “il presente volume resta prezioso anche per i non specialisti. Pubblicato da Ricossa per far conoscere il suo originalissimo pensiero a chiunque desiderasse farsi un’idea di chi egli fosse e di che cosa pensasse, resta il libro da consigliare senza esitazione a coloro che volessero incontrare per la prima volta questo grande italiano”.
Teodoro Klitsche de la Grange
IL NEMICO PRINCIPALE, di Piero Visani
Punti di vista_Giuseppe Germinario
IL NEMICO PRINCIPALE, di Piero Visani
Immagino che questa considerazione potrà non piacere a tutti, ma la prima esigenza di una politica è quella di chiarire chi sia il nemico principale, quello che crea maggiori problemi e preoccupazioni.
A giudizio di chi scrive, è l’Unione Europea, per cui certe derive statunitensi forse sono – per chi le effettua – scelte di vita e di campo. Per me, sono al momento l’unico modo disponibile per affrancarsi dal peso soffocante del nemico principale.
Quando un Paese è piccolo, guidato da una classe dirigente di piccoli (e grandi) cialtroni, fare riferimento al servilismo – sempiterna risorsa dei cialtroni – è una delle pochissime carte che si hanno in mano, specie se si è fortemente miopi.
Giocarsi quelle carte è una minuscola risorsa tattica, non una soluzione strategica, ma personalmente – visto che individuo nell’UE l’attuale nemico principale (il che non equivale a dire che lo sia la costruzione di una “massa critica” europea, da cui l’UE è lontana come il sottoscritto dal diventare Napoleone Buonaparte) – non vedo molte altre soluzioni.
A differenza dei tedeschi, inoltre, agli americani interessa pochissimo della virtù dei conti altrui, e questo per me è già positivo.
Per il resto, quando si è piccoli e poco illuminati da prospettive strategiche, non si ha che fare leva sulla guerra di movimento e quella asimmetrica.
Triste, ma realistico, specialmente per un popolo di soddisfatti fancazzisti, statalisti e vacanzieri in SPE: andare alla “House of Cards” e vedere se se ne la qualcuna da giocare…
AGNULUS DEI, di Andrea Zhok
canovacci e stereotipi_la costruzione di personaggi volatili
AGNULUS DEI
Ieri, servizio sulla BBC
Titolo: “Cinque adolescenti che hanno cambiato il mondo”
(“Five teens who changed the world”)
Vi si narra la moderna epopea di Greta Thunberg (impegnata contro il cambiamento climatico), Malala Yousafzai (eroina dell’emancipazione femminile antitalebana), Emma González (sopravvissuta di una sparatoria scolastica USA e attivista per il controllo delle armi da fuoco), Jack Andraka (inventore di un test medico in una fiera americana per piccoli inventori), Amika George (sostenitrice del diritto per le meno abbienti ad avere assorbenti gratis).
Questa carrellata di ‘nuovi eroi’, al netto di qualche involontario effetto comico nella giustapposizione un po’ impari dei casi, risulta assai illuminante. Essa ci mostra una forma significativa con cui l’apparato mediatico dell’occidente industrializzato tutela gli interessi dei ceti che firmano i loro assegni.
Ogni questione intorno al valore umano o alla reale eccezionalità dei suddetti ragazzi va subito messa da parte. Può ben darsi che i giovani in questione siano tutti persone meravigliose, capaci e virtuose. Non sono loro qui i protagonisti.
Ciò che conta è il tipo di modello umano che viene così proposto al grande pubblico.
Quattro sono i punti da sottolineare, che possiamo elencare come segue.
1) Giovanilismo.
Il primo punto che salta agli occhi è il fatto di elevare a modello etico proprio dei teenager. Qual è il senso di questa peculiare attenzione? Non è difficile da capire. Un giovane ha radici superficiali, corte, non ha (necessariamente) né profonde conoscenze, né solide esperienze, né un radicamento sociale. Esso da un lato appare come qualcuno che non deve niente a nessuno, e dall’altro ha una limitata autonomia. Un fiore da vaso, che può essere spostato a piacimento, finché dura. In mancanza di radicamento questi adolescenti devono tutto all’occhio della telecamera, che li porta ad esistenza come simboli ad uso altrui. Non avendo un retroterra strutturato e controllabile possono difficilmente dare adito a imprevisti ‘colpi di testa’. E, se mai dovessero farlo, in fondo son ragazzi, no? Finché servono possono essere adulti onorari, e se dovessero iniziare a disturbare possono essere lasciati cadere nel nulla del silenzio mediatico in qualunque momento.
2) Individualismo.
I nostri giovani modelli sono rappresentati secondo il canone letterario dell’eroe solitario. La narrazione intorno a loro viene costruita in modo da rimarcarne l’immagine di ‘eccellenze’ che si impongono per virtù proprie, contro tutto e contro tutti. Self-made (wo)men in erba, essi vengono presentati come giovani idealisti che non hanno bisogno di interagire, discutere, concordare, convincere nessuno. La via maestra è, come in ogni film di Hollywood che si rispetti, ‘fai la cosa giusta’ e il mondo ti seguirà.
3) Particolarismo.
In terzo luogo, si tratta di soggetti che, si suppone, possano ‘cambiare il mondo’ senza avere alcuna idea del ‘mondo’ che starebbero ‘cambiando’. (E peraltro, come pretendere che possano averne, a quell’età?). Le loro vicende sono lì a testimoniare come i tentativi di comprensione sistemica, di visione complessa e d’insieme, siano roba noiosa e superflua. Per ‘migliorare il mondo’ tutto ciò di cui c’è bisogno è seguire l’ispirazione del momento e gettare il cuore oltre l’ostacolo, dedicandosi a quello spicchio problematico di mondo in cui sei inciampato. L’idea qui è che il mondo migliorerà automaticamente se si moltiplicano benintenzionate pretese di soluzione settoriale.
4) Innocuità.
Infine va notato come i temi su cui essi si concentrano appartengano a ordini di idee con due caratteristiche: essere già mediaticamente sdoganati (cose che presso le élite occidentali sono accreditate come Bene), ed essere temi definiti in maniera tale da non creare imbarazzi ai padroni del vapore (i firmatari degli assegni di cui sopra). Cose che fanno sentire buoni, ma senza costare niente di significativo a quelli che tengono la cassa.
Naturalmente non c’è alcun bisogno di una ‘pianificazione centralizzata’ perché questi progetti mediatici partano. Sono contenuti che hanno una funzione, e dunque possono nascere e proliferare come frutti spontanei dell’impegno dei ‘professionisti dell’informazione’.
Si tratta di frammenti di un’etica mediatica che danno l’impressione a tutti che ‘vi sia speranza’ senza bisogno di fare nulla, senza bisogno di azioni collettive o di verità comuni. Come fiori di campo, belli, selvatici e vigorosi, i ‘giovani’ salveranno il mondo, e mentre lo fanno noi saremo a bordo campo a filmare l’evento, mangiare pop corn e applaudirli. Diversamente dalle ingombranti forme tradizionali dell’ “uomo della Provvidenza”, qui avremo “ragazzini della Provvidenza”, che senza incorrere nelle fastidiose forme coercitive degli esemplari adulti, rimetteranno il mondo nei suoi binari con atti spontanei, individuali, puri, senza l’onere degli argomenti e senza alcuna forma coattiva. Da un lato la “politica”, sporca, torbida, invadente, un male forse necessario, ma se possibile da evitare; dal lato opposto lo spontaneismo giovanile di chi non ha bisogno di nulla, non deve niente a nessuno, non è compromesso né invadente, e, soprattutto, fa tutto lui, senza bisogno di niente da noi se non la nostra simpatia.
Agnellini di Dio venuti a toglierci i peccati dal mondo senza turbare lo zapping.
NB_tratto da facebook https://www.facebook.com/andrea.zhok.5/posts/1239826039532126
FRAMMENTI DI UN’APOCALISSE CIVILE, di Andrea Zhok
FRAMMENTI DI UN’APOCALISSE CIVILE
Ieri sera il nuovo segretario del Partito Democratico Nicola Zingaretti ha preso finalmente posizione sul caso ANM, che coinvolge esponenti del PD ed in special modo l’ex ministro renziano Luca Lotti.
Con un intervento in televisione, Zingaretti, quello che ha vinto le primarie PD nel nome del rinnovamento, del riavvicinamento alle periferie, e della presa di distanza dal renzismo, ha difeso senza remore Lotti, adottandone la linea difensiva (“non ci sono reati; erano solo chiacchiere private.”)
Secondo le ricostruzioni della Guardia di Finanza, tra il 9 e il 16 maggio, in diversi alberghi di Roma si sono incontrati: Luca Palamara (ex presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati), i consiglieri del CSM (massimo organo di autogoverno della magistratura) Criscuoli, Morlini, Lepre, Cartoni e Spina, e infine i deputati del PD Lotti e Ferri.
Dalle intercettazioni di Palamara emerge un esercizio sistematico di pressioni per condizionare nomine e promozioni alle più alte cariche della magistratura nazionale.
Nello specifico, Palamara e Lotti discutono di come orientare la nomina del successore di Giuseppe Pignatone a capo della procura di Roma, e del trasferimento del PM Creazzo a Reggio Calabria, liberando così Firenze, in seguito all’inchiesta promossa dallo stesso Creazzo a carico dei genitori di Matteo Renzi.
Emergono richieste di “dare un messaggio forte” al membro del CSM Ermini, che si presentava in qualche misura come ‘intrattabile’.
Si parla di dossier raccolti per fare pressione su alcuni magistrati sgraditi (come il suddetto Ermini), per ottenerne il trasferimento.
Il tono generale delle discussioni (tutto reperibile in rete) non lascia alcun dubbio sul senso e il tenore delle operazioni: non sono ‘scambi di opinioni’, non sono chiacchierate pour parler, sono processi deliberativi in cui si adottano strategie particolareggiate per ottenere specifici obiettivi.
Ora, il problema di una notizia del genere è che è talmente clamorosa che si fa fatica a dare la priorità ad un aspetto specifico.
La prima cosa da osservare è che non parliamo dei vertici di una bocciofila, e neppure di un posto all’università, ma parliamo dei vertici della magistratura, cioè dell’unico potere che, sulla scorta della separazione dei poteri di Montesquieu, è in grado di arginare e controllare il potere politico.
Parliamo cioè della nomina di persone che sono in grado, con decisioni personali, letteralmente di distruggere l’onorabilità e la carriera di chiunque.
Ebbene, decisioni intorno a promozioni e trasferimenti dei vertici delle procure italiane vengono presi da un gruppo di pressione privato, di cui fanno parte alti esponenti di partito (alla faccia di Montesquieu).
La seconda cosa da notare è che per anni una parte politica (a me lontanissima) ha lamentato l’esistenza di un ‘partito delle toghe’, con specifico riferimento ad influenze sulla magistratura da parte di forze del centro-sinistra.
E per anni, di fronte a quelle accuse, milioni di persone (tra cui il sottoscritto) replicavano in buona fede sdegnate che delegittimare la magistratura era un atto vergognoso e imperdonabile.
Oggi mi chiedo se qualcuno abbia la percezione di quale devastazione morale comporti quanto appena accaduto.
E infine, a scanso di equivoci, interviene il segretario del Partito Democratico, a difesa del principale accusato del proprio partito, togliendo ogni possibile dubbio sull’estensione del marcio.
Ciò che in definitiva lascia esterrefatti è la totale mancanza di comprensione in personaggi come Zingaretti di quale impressione faccia al cittadino comune sentire quelle intercettazioni, sentire alti magistrati e vertici politici, forti dei propri agganci privati, complottare per mettere le persone gradite nei posti giusti o per screditare persone sgradite.
Ma questi davvero pensano che il punto sia se, in punta di diritto, si possa arrivare o meno ad una condanna? E peraltro decisa da chi? E con quale credito?
Mi chiedo se ci sia la minima consapevolezza di quale danno mortale ad una democrazia sia rappresentato da una cosa del genere, quale ingiuria, quale schiaffo ad una popolazione sempre più in condizione di sudditanza. Di quale impressione faccia a persone, cui viene rinfacciato ogni momento la responsabilità delle proprie sconfitte, della propria irrilevanza e talvolta miseria, sentire come un ceto di ottimati governi il paese in colloqui privati; salvo poi ergersi a censori della morale quando sono sulla scena pubblica.
E infine, a coronamento di eventi di tale gravità, non è possibile non notare i silenzi, le cautele, i mezzi toni, sommessi e prudenziali da un lato della grande stampa e dall’altro del Presidente della Repubblica (capo del CSM e rappresentante di tutti gli italiani).
Un quadro devastante le cui conseguenze pagheremo tutti a lungo.
NB tratto da facebook https://www.facebook.com/andrea.zhok.5/posts/1240885962759467
BANDE E BANDERUOLE, DI SINAGRA, CUCINOTTA, de Martini, MASALA
GUERRA TRA BANDE, di Augusto Sinagra
È superfluo aggiungere commenti allo schifo che stiamo vivendo per la ignobile immagine che la magistratura e il CSM stanno dando di sé per colpa di pochi o tanti, non importa.
Certamente ci sono magistrati che in silente e diuturna fatica danno eccellente prova di essere veramente servitori della legge. Ma come tutti gli onesti, non fanno notizia, specie se sono minoranza.
Desidero ora riprendere una acuta osservazione del Prof. Vincenzo Cucinotta, Ordinario nell’Università di Messina e del quale mi onoro di essere Collega e amico.
Che il cosiddetto “gruppo Palamara” ricomprendente molti altri magistrati e componenti del CSM, ha agito (e agisce ancora?) come un gruppo di potere, una lobby, un centro di interferenze, un comitato d’affari ovvero, per semplicità di linguaggio e per sintesi, come una “banda”, è evidente, ma per una esigenza logica oltre che per una evidenza pratica, è altrettanto evidente che tale “banda” non poteva agire solitariamente bensì in contrapposizione ad altra “banda” portatrice di interessi altrettanto illeciti e altrettanto contrapposti.
Dunque, le indagini che attualmente svolgono gli inquirenti dovrebbero essere rivolte anche alla individuazione e al perseguimento dei componenti di altra “banda” o di altre “bande” contrapposte.
Signori, questa è oggi la magistratura!
Questo è oggi il Consiglio Superiore della Magistratura!
Del figlio di Bernardo Mattarella ho già detto. Non occorre aggiungere altro. Basta il suo silenzio.
Altro Capo di Stato che per molti versi ha onorato la Repubblica e che mi voleva bene, il Prof. Francesco Cossiga, in un’occasione certamente meno grave mandò i Carabinieri al CSM per porre termine ad una seduta illegittimamente convocata.
Come ho già detto altre volte, ormai sono vecchio e come fanno i vecchi amo ricordare cose del passato: ero da due anni in magistratura e partecipai al Congresso della ANM che si svolgeva a Catania nel 1967. Incautamente portai con me mia mamma per farle rivedere Catania dove io nacqui. Presi la parola e proposi la immediata abolizione del CSM. Fui coperto di insulti ma rivendico a me stesso capacità profetiche o di preveggenza.
Se non si vuole abolire il CSM, urge riformarlo funditus con la preliminare abolizione per legge delle “correnti” attraverso le quali si combattono i magistrati dell’una e dell’altra banda. Il CSM venga composto da soli magistrati che, divisi per grado e per funzioni, vengano estratti a sorte, abolendo altresì le designazioni da parte del Parlamento dell’attuale quota di componenti. I Partiti devono restare fuori dal CSM che va presieduto, sì, dal Capo dello Stato ma prima questi deve essere eletto all’esito di un suffragio popolare.
Siamo stanchi e troppo abbiamo subito dai Napolitano e dai Mattarella, per citare solamente gli ultimi due.
SCORRI BANDE, di Vincenzo Cucinotta
Ma sbaglio, o sta cominciando una narrazione della vicenda Palamara che non potrebbe mai stare in piedi?
Qui, si parla solo di questa cricca, ma è evidente che ce ne deve stare un’altra che avversa la prima.
Cioè, io non capisco, come si forma una maggioranza nel CSM, sia plenum che commissione? O è preordinata e allora è anche peggio, oppure ognuno va a cercare i membri con i quali costruire una maggioranza. I metodi di Palamara saranno indecenti, ma alla fine non è che se ne possano usare di molto migliori, si tratta sempre di meccanismi che inevitabilmente in qualche misura riproducono meccanismi mafiosi, cioè il consenso è sempre ottenuto in camera caritatis.
Una lettura credibile della faccenda potrebbe essere che una cricca che aveva elaborato un piano per portare il proprio uomo alla guida della procura di Roma, abbia incontrato sulla sua strada la cricca Palamara, e stia usando armi perfino peggiori di quelle di Palamara (io considero riprendere una ricevuta di un pranzo che ci si fa pagare dall’amministrazione, un metodo abietto per fare fuori una persona).
Una domandina sul perchè la stampa parli solo di una delle due cricche, mi parrebbe doveroso farsela.
Qualcuno poi dica a Mattarella che egli, da PdR protempore, ha la presidenza del CSM, mi pare che si sia voltato da tutt’altra parte, e anche questo è un dato di cui tenere conto.
I PRES. DELLA REP. E IL CSM, di Antonio de Martini
Come è noto, i magistrati del CSM vengono eletti in parte dal Parlamento con una votazione.
La dove c’è una votazione, li vi sono accordi politici che cercano equilibri tra i membri togati e quelli scelti dai Parlamentari.
Ho conosciuto il magistrato PALAMARA quando era un giovane assegnato a Roma dopo il prescritto primo periodo in Calabria.
Il padre era un magistrato morto in servizio. Era rimasto orfano giovanissimo e allevato da uno zio.
Accompagnato da un cugino, Palamara jr. veniva a casa mia a vedere con la mia TV la sua Roma alla domenica.
Non lo vedo da oltre venti anni e ho considerato non seria la sparata televisiva di Cossiga – ripescata negli archivi TV da qualcuno che deve aver lasciato tracce- come una delle tante di un personaggio umorale, ma oggi sintomo di una trappola ben preparata.
Tre giorni Prima, mi dice un uccellino, Mattarella aveva fatto un appello ufficiale a “ votare il candidato migliore”. Invano ?
Agnosco stilum romanae ecclesiae.
Per quanto possa valere la mia esperienza degli uomini e delle metodiche compromissorie, ritengo sia un uomo onesto e sospetto che il polverone sia stato alzato per descrivere sui giornali avvenimenti compromissori della pace familiare.
C’è evidentemente chi pensava – e Il presidente del CSM tra questi- che il procuratore generale di Roma dovesse essere scelto dallo Spirito Santo.
La democrazia – e l’autonomia della magistratura – prevedono invece che sia scelto dagli uomini e che la scelta sia preceduta da confronto, anche con oppositori e possibilmente senza intralciare il lavoro.
Contraddittorio il comportamento di chi – Mattarella per non fare nomi ma solo i cognomi- esalta regolarmente i processi democratici e il dialogo a patto che si risolvano in suo favore.
Quando i risultati gli sono avversi o avvengono a sua insaputa, si dichiara
“ sconcertato ”e vuole dare la colpa allo statuto che “va cambiato”.
Se un dibattito avviene anche fuori dalle sedi istituzionali, ritengo la responsabilità sia di chi dirige l’organismo e non ha creato spazi di confronto adeguati o li inquina con lo zittìo.
O no?
Il Testo, il Contesto e il Trojan, di Giuseppe Masala.
Quando la magistratura è scossa da un terremoto c’è un cambio di regime in corso. Cosa stia succedendo non lo sappiamo: non ne conosciamo né la genesi nè il reale decorso degli eventi. Però possiamo valutarne i primi effetti.
Chiaro indebolimento del Presidente della Repubblica: inutile che ci giriamo attorno; l’uomo era ed è evidentemente scosso, vuole metterci una pezza. Il Grande Burattinaio che ha spinto tutti i corifei dell’informazione a paventare una caduta del governo è lui. Voleva un governo amico e fedele per gestire la mina che è scoppiata al CSM. Vista la malaparata ha provato poi a sondare per sostituire Fofò Bonafede al Ministero della Giustizia facendo circolare il nome di un avvocato torinese vicino alla Lega. I due dioscuri hanno risposto picche. Il governo va avanti e niente rimpasti. E ci credo, i dioscuri non sono certamente dei giureconsulti né degli intellettuali ma da uomini d’azione cresciutia a calci in faccia dati e ricevuti hanno capito benone cosa sta succedendo. Infine il poveruomo ha ricevuto Bonafede a Palazzo. I giornali di regime con eloquio paludato hanno spiegato che il Ministro ha rappresentato al Grande Capo quello che stava succedendo, le sue preoccupazioni e, ovviamente, ha detto che le istituzioni sono compatte. Ce lo sto vedendo Fofò Bonafede che dice queste cose. Qui, l’unico preoccupato è l’inquilino, come usa dire, “del Colle”.
Anche Conte s’è scoperto: è schierato con l’uomo del Colle ma i due dioscuri se ne impippano altamente. Figuriamoci.
Cosa succederà non è dato sapere, ma chi ne esce indebolito già lo sappiamo. Il prossimo inquilino del Colle sarà votato dai Grandi Elettori e da un Trojan. Questa è la Costituzione materiale della Terza Repubblica.
NB_Tratti da facebook
Chi controlla lo spazio controlla il mondo: la nuova corsa alle stelle, di Giuseppe Gagliano
Dopo il 33° podcast di Gianfranco Campa http://italiaeilmondo.com/2019/05/28/33-podcast_appuntamento-sulla-luna_1a-parte-di-gianfranco-campa/ il tema della competizione nello spazio si arricchisce del contributo del professor Giuseppe Gagliano. Buona lettura, Giuseppe Germinario
Chi controlla il punto più alto dello spazio controlla il mondo. L’impero romano controllava il mondo perché poteva costruire strade. Più tardi, l’impero britannico dominò grazie alla sua marina. Ebbene, sotto il profilo storico, tutto ciò ci consente di affermare che lo spazio sia stato associato, fin dall’inizio della sua esplorazione, ad una prospettiva di difesa e sicurezza nazionale. Infatti durante i primi decenni dell’avventura spaziale, che coincideva con quelli della Guerra Fredda, la questione spaziale era essenzialmente strategica (dimostrazione di potere, intelligence) e ciò determinava la necessità di mobilitare enormi stanziamenti.
Spazio strategico
Lo spazio militare assume una nuova dimensione nei primi anni ’80 con la Strategic Defense Initiative (SDI) di Ronald Reagan. L’obiettivo della SDI era duplice: in primo luogo, integrare la deterrenza nucleare con un sistema di prevenzione dell’aggressione sovietica, ma era anche quello di usare il potere tecnologico americano per dominare l’Unione Sovietica. Infine, il crollo del Patto di Varsavia limitò severamente questa iniziativa.
Tuttavia, l’idea di una difesa missilistica, in gran parte basata sullo spazio, non è mai stata abbandonata ed è stata ripresa con la visione tecnologica della rivoluzione negli affari militari degli anni ’90 e con la necessità di risposte rapide a causa della proliferazione delle capacità balistiche degli stati canaglia. A poco a poco, il campo spaziale è diventato un mezzo a pieno titolo di azione militare e nessuna altra operazione può fare a meno di questo strumento dal quale dipendono le forze armate.
Dominio Usa e irrilevanza europea
Nel febbraio 2018, il Pentagono ha ammesso che gli Stati Uniti sono dipendenti dallo spazio e che i loro avversari ne sono consapevoli. Infatti Russia e Cina mirano a disporre di armi controspaziali non distruttive e distruttive disponibili per un potenziale conflitto futuro, un futuro conflitto globale potrebbe iniziare nello spazio. Ciò ha spinto Heather Wilson, segretario dell’Aeronautica degli Stati Uniti, a sottolineare che il paese ha bisogno di organizzare e addestrare forze in grado di trionfare in qualsiasi tipo di conflitto futuro che si estendesse agli Usa spazio incluso e proprio per questo il presidente Donald Trump ha lanciato una vera e propria Space Force, annunciata come una forza autonoma degli Stati Uniti.
Non deve sorprendere allora il fatto che il dominio degli Stati Uniti nello spazio militare sia schiacciante. Infatti, tra tutti i satelliti militari attivi nel 2017, circa 150 sarebbero americani, 40 sarebbero russi e meno di 50 cinesi. L’Europa chiude con 35 satelliti militari, di cui otto francesi, sette per ciascuno degli eserciti tedeschi, britannici e italiani, due spagnoli e quattro fatti in ambito europeo .
Gli importi di bilancio riflettono anche questa disparità. Se il budget dello spazio militare russo è di 1,5 miliardi di dollari e quella della Cina è di circa 2 miliardi quello degli Stati Uniti arriva a circa quaranta miliardi.
Al di là dello spazio strategico inteso come strumento militare, non vi è dubbio che le società moderne dipendano interamente dallo spazio (economico, industriale, bancario, ma anche sociale o sanitario, ecc.) e la loro capacità di recupero è in gran parte dovuta alla robustezza delle loro capacità spaziali (geolocalizzazione, comunicazioni, trasferimento dati, meteorologia, ecc.). La proliferazione di dispositivi orbitali è lì per testimoniare questa grande dipendenza. Più di 1.200 satelliti sono in servizio su 4.300 che sono stati lanciati dall’inizio dell’era spaziale e sono ancora in orbita. La metà di questi satelliti operativi sono civili, un terzo ha un uso strettamente militare e il resto ha ìuna destinazione prevalentemente civile ma potenzialmente militare. Lo spazio, specialmente nelle sue orbite basse (prime centinaia di chilometri), è quindi molto impegnato se non affollato di satelliti perfettamente identificati nella loro missione civile o militare, ma alcuni di essi hanno un duplice uso. La cartografia dello spazio “militare” comporta quindi un grado di incertezza che rende necessario considerare qualsiasi satellite come vettore di potenza militare.
Con il collasso del blocco sovietico e l’emergere di nuove forme di conflittualità, le funzioni dello spazio militare supereranno quelle dello spazio strategico. In occasione dell’impegno delle sue forze nel Golfo, la dottrina militare statunitense ha trasformato l’uso dello spazio e dato un posto centrale all’azione operativa. Lo spazio è quindi concepito come un moltiplicatore di forza con satelliti con prestazioni sempre più impressionanti.
Giuseppe Gagliano
La Scienza, articolo di Fede, di Elio Paoloni
La Scienza, articolo di Fede
Gli alfieri dell’ateismo “scientifico” sbeffeggiano i fedeli, che accettano supinamente sciocchezze come la Trinità, l’Incarnazione, la Resurrezione, la Transustanziazione e una serie di altre assurdità che vengono definite Misteriperché la nostra povera mente non è in grado di comprenderle. Ma come si fa a credere – ghignano gli adepti della Scienza – a cose che cozzano contro ogni evidenza? Come si può abdicare alla ragione e accettare cose che la Fisica ci insegna essere impossibili? Succede però che i fieri razionalisti si vadano scontrando con scientifiche insensatezze, con un’irrazionalissima Fisica.
Gli viene spiegato che due particelle quantisticamente gemellate (entangled) lanciate nell’universo restano intimamente connesse anche a grandi distanze; e l’atto di osservare una delle due particelle influenza istantaneamente l’altra, non importa quanto lontano questa sia andata, quasi ci fosse tra le particelle correlate una trasmissione di informazione istantanea che se ne infischia della decretata impossibilità di superare la velocità della luce: due fotoni gemelli che “sentono” lo stesso problema contemporaneamente.
Dettaglio curioso: l’entanglement è “monogamo”, e il fotone Y può essere gemellato quantisticamente solo con X o con B, ma non con entrambi. I fotoni sono insensibili alle istanze poligamiche correnti.
Già questa simultaneità appare come una bufala difficile da digerire. Ma c’è di peggio: il mondo quantistico è influenzato da connessioni retrocausali, che operano a ritroso nel tempo: l’equazione d’onda completa (equazione di Klein-Gordon) comporta due soluzioni, una corrisponde alla “semplice” e più familiare equazione di Schrödinger, l’altra descrive la propagazione a ritroso delle onde anticipate: dal futuro verso il passato, in aperto contrasto con la logica comune.
Andiamo avanti: uno degli esperimenti più famosi della fisica quantistica è quello della doppia fenditura, nel quale, secondo le parole di Richard Feynman è racchiuso il “mistero centrale” della meccanica quantistica: un fascio di elettroni lanciati contro uno schermo con due fessure produce una figura d’interferenza (non è importante sapere cosa significa esattamente); gli elettroni devono quindi muoversi sotto forma di onda. Tuttavia, all’arrivo, generano un solo punto di luce, comportandosi quindi come particelle; gli elettroni insomma viaggiano come onde ma giungono all’arrivo come particelle. Fin qui siamo ancora nel campo del quasi ragionevole. Il punto è che il singolo elettrone attraversa i due fori contemporaneamente. Non solo, ha anche una sorta di consapevolezza del passato e del futuro, cosicché ognuno di essi può scegliere di dare il suo contributo alla figura d’interferenza nel punto corretto.
Il comportamento delle particelle, inoltre, viene influenzato dall’apparato sperimentale anche se tale apparato subisce mutazioni mentre esse sono già in viaggio; ciò implica che esse abbiano una sorta di precognizione della futura struttura dell’apparato, prima ancora di attraversarlo nel loro breve percorso.
Siete già sull’orlo della follia? Tenetevi forte: ciò che la particella ha deciso di fare (passare da un solo foro o da entrambi) dipende da una scelta successiva al transito stesso! Infatti nell’esperimento il rilevatore viene inserito dopo che il fronte d’onda è transitato da entrambi i fori. Come dice Wheeler, la “scelta” di un fotone di passare da un solo foro o da entrambi è “ritardata”, cioè avviene dopo che il fotone è passato! Se non è follia questa: una particella cambia il suo “stato” di adesso se le capita qualcosa dopo! Il concetto stesso di tempo sembra perdere senso.
Una breve carrellata di articoli di fede:
– HVT (Hidden Variable Theories): è una “famiglia” di interpretazioni basate sul presupposto che tutte le versioni abituali della Meccanica Quantistica siano incomplete, e che ci sia un livello di realtà sottostante (una sorta di mondo sub-quantistico) contenente informazioni addizionali, presenti nella forma di variabili nascoste, sulla natura della realtà. Realtà sottostante? Variabili nascoste? Ma non c’era già qualche concetto molto antico che poteva venir definito in questi termini?
– De Broglie-Bohm GWI (Guide Wave Interpretation): ad ogni tipo di particella può essere associata un’onda che guida il moto della particella stessa, come un radar guida una nave. Da qui il termine teoria delle onde pilota. A differenza dell’Interpretazione di Copenhagen (non chiedetemi quale sia), tale onda pilota è reale e permea tutto l’universo, guidando qualsiasi particella. Ma va!?
– MWI (Many Worlds Interpretation): proposta da Everett agli inizi degli anni ‘50 e sostenuta da Wheeler, tale teoria consiste nell’idea che ogni qualvolta il mondo deve affrontare una scelta a livello quantistico (ad esempio, se un elettrone può scegliere in quale fenditura passare nel noto esperimento della doppia fenditura), l’universo si divide in tante parti quante sono le scelte possibili. Secondo uno studio del 2014, il comportamento duale della luce, onda-particella, può scaturire dall’interazione tra 41 mondi.
Oh perbacco! Ma tutto ciò è illogico. Cozza contro l’evidenza, infrange le leggi della fisica classica, è privo di senso. Il nostro vocabolario e la nostra sintassi sono insufficienti a rendere il concetto. Dobbiamo fidarci delle interminabili formule che i matematici hanno apprestato, dar credito a strane “osservazioni” avvenute in inaccessibili laboratori.
Questi comportamenti sconcertavano persino Einstein, che non riusciva ad accettare una «misteriosa azione a distanza» e sperava che i fisici potessero trovare un modo per liberarsene.
Lo stesso ideatore del principio d’indeterminazione, Heisenberg, diceva: “Ricordo le lunghe discussioni con Bohr, che ci facevano stare svegli fino a tarda notte e ci lasciavano in uno stato di profonda depressione, per non dire effettiva disperazione. Continuavo a girare da solo nel parco e continuavo a pensare che era impossibile che la Natura fosse così assurda come ci appariva dagli esperimenti”.
E quando Erwin Schrödinger si rese conto del modo in cui la sua funzione d’onda era stata reinterpretata, fino a diventare un’onda di probabilità dai connotati quasi mistici, commentò: “Non mi piace, e non avrei mai voluto avere a che fare con qualcosa del genere!”.
Bryce DeWitt, che aveva perfezionato negli anni ’60 la MWI, descrisse poi su Physics Today lo shock subito contemplando per la prima volta la possibilità che esistessero circa «10100 copie di se stesso, leggermente diverse, che continuano a duplicarsi all’infinito».
Il grande Feynman, riferimento essenziale per la divulgazione della MQ, diceva: “Nessuno capisce la meccanica quantistica”. Ed è la sacrosanta verità. Nessuno può capirla proprio perché nessuno conosce qualcosa che le assomigli. Gli stessi scienziati che la descrivono, illustrano, in fondo, una visione personale di una realtà irraggiungibile per definizione dai nostri sensi. In altre parole, ogni grande fisico cerca di esprimere concetti, ormai consolidati, secondo la propria immaginazione. E tutti gli altri fanno finta di comprenderli o dichiarano onestamente la propria incapacità.
Cosa fa a questo punto il nostro scettico a corrente alternata? Sillaba, serio e compunto come Maurizio Ferrini a Quelli della notte: “Non lo capisco ma mi adeguo”. Oops, che fine ha fatto il nostro senso critico? Esistono dunque cose insensate nelle quali “dobbiamo” credere? Eh sì, questa dannata fisica quantistica ci propone ogni giorno Misteri ai quali non possiamo sottrarci, cose che superano la nostra ragione, scardinano ogni caposaldo della nostra esistenza, tutta la scienza e tutta la tecnica che reggono il tetto di casa, sopra la nostra testa. E i sacerdoti della Dea Ragione, consapevoli della inadeguatezza della loro misera mente, si inchinano ossequienti a codesti Misteri. Mumble mumble, cosa mi ricorda tutto questo?
Lasciatemi raccontare un gustosissimo aneddoto. Quel cascame medioevale di Padre Pio veniva continuamente consultato sulla condizione delle anime dei defunti; e Lui rispondeva: “Non ti preoccupare, è con Dio” oppure “Prega per lui”. Una volta però, dopo aver detto “Tranquilla, il tuo congiunto è in pace” aveva soggiunto “Falla dire, però, qualche Messa in suffragio”. Di fronte a tanta cialtroneria la fedele sbottò: “Ma se mi ha detto che è già in Paradiso!”. E Lui: “Perché, credi che Lassù le cose avvengano secondo i nostri tempi, le nostre meccaniche?”. Il residuato oscurantista, insomma, ignorante come una capra, sepolto in una celletta senza un solo testo che non fosse devozionale, pensava – o meglio vedeva – secondo modernissimi principi di inversione temporale, di connessioni retrocausali, di universi paralleli.