Russia, strage al Krokus! Con R. Buffagni, G Gabellini, Max Bonelli, Flavio Basari, Dmitry Kuznetsov

Fonti dell’amministrazione statunitense e l’intera stampa occidentale continuano a sottolineare con enfasi sospetta che gli unici dati certi dell’attentato al Crucus di Mosca sono le vittime e la natura islamica della strage. L’accusa al Cremlino di strumentalizzazione del fatto è implicita e, spessp, esplicita. Dobbiamo necessariamente andare avanti per ipotesi, ma i punti oscuri ed ambigui della vicenda già emersi sono troppi per un giudizio così inequivoco. Ci soffermiano a lungo in proposito nella discussione. Più che di matrice islamica, sono ambiguità che spingerebbero a definire l’atto a coloritura islamica. Sono tesi che, comunque, non escludono, non sono incompatibili con ispirazioni, contributi, pianificazioni ed operatività di ben più alto livello strategico e respiro geopolitico. Comprovata la reiterata connivenza e il contributo di settori dell’intelligence statunitense e britannica sin dagli albori, ma anche di altri paesi europei a noi prossimi operanti in Africa, nella formazione e nella copertura delle formazioni islamiste più militanti e radicali. Probabilmente la completa verità resterà solo nelle mani degli ispiratori e potrebbe essere svelata, per opportunità e in tempi da definire solo dalle parti in causa vittime e/o protagoniste di queste scelte. Dobbiamo affidarci ad ipotesi e, al solito, all’interrogativo: cui prodest? I partecipanti alla conversazione cercano con arguzia di approfondire, ma la risposta appare verosimile e credibile, destinata a pesare, se confermata, come un macigno sul futuro delle dinamiche geopolitiche. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Finlandia e Scandinavia! Ambizioni a rimorchio_con Max Bonelli e Giacomo Gabellini

La crescente ostilità statunitense nei confronti della Russia sta alimentando e sostenendo pericolosamente le ambizioni egemoniche, sopite da decenni, se non da secoli, di potenze minori lungo l’intero arco dei confini russi. Tra questi stanno emergendo i paesi scandinavi, ivi compresi la Svezia e la Finlandia. Mezzo secolo di postura neutrale, pur annacquata da evidenti complicità e simpatie con il mondo anglostatunitense e da una atavica russofobie, improvvisamente rimosse. Ambizioni che, per essere coltivate nei secoli scorsi, hanno avuto bisogno di un largo sistema di alleanze che comunque non hanno evitato tragiche disfatte. Gli attuali propositi poggiano, se vogliamo, su una condizione ancora più fragile, totalmente dipendente dalle intenzioni e dal supporto statunitense. La facilità e il cinismo con il quale gli ambienti angloamericani riescono a scaricare alleanze e rinnegare giuramenti di sostegno incondizionato dovrebbero spingere alla cautela le classi dirigenti di quei paesi e contemperare le ambizioni nel loro vicino oriente e nell’area artica alla loro reale forza e autorevolezza. Autorevolezza che, abbandonata la postura neutralista, è scemata vistosamente. Quello che è certo è che la condizione di servaggio sta trascinando gli stati e le classi dirigenti europee in una condizione di potenziale conflittualità interna al continente del tutto subordinata ai disegni egemonici esterni e ben peggiore, negli esiti, di quella già conosciuta nelle due guerre mondiali passate. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
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Finlandia, una Ucraina 2 0? Con Roberto Buffagni e Giacomo Gabellini

La linea di contatto tra NATO e Russia si allunga sino all’Artico con l’ingresso della Finlandia e la repentina ospitalità da essa concessa alle basi statunitensi. Gli enormi spazi vuoti sono comunque un problema per tutti e due i contendenti. Non fanno altro che creare le condizioni per atti estremi dalle quali sarà sempre più difficile sottrarsi pena la totale caduta di autorevolezza. Avventurismo statunitense e cieco servilismo europeo. Un mix sempre più esplosivo. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Stati Uniti! Crisi egemonica, rovesci militari e di credibilità, con G Gabellini e Roberto Buffagni

Una interessante discussione con Roberto Buffagni, curata da Giacomo Gabellini sul suo canale YOUTube “il Contesto”. Roberto Buffagni associa la crisi egemonica degli Stati Uniti alla caduta di credibilità della leadership statunitense. I rovesci militari si accompagnano ormai alla incapacità di garantire un equilibrio al proprio sistema egemonico. Più la conflittualità si diffonde e viene alimentata, più gli Stati Uniti sono costretti a scegliere apertamente tra le fazioni in campo e a perdere la funzione di equilibrio ambita dalla propria aspirazione di gestione unipolare del mondo. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Politica e geopolitica. La matrice anglosassone Con Federico Bordonaro, Giacomo Gabellini, Roberto Buffagni

Il rapporto tra scuole geopolitiche ed azione politica nelle relazioni internazionali tra centri decisori strategici è particolarmente controverso, come lo è quello tra il politico, come definito da Freund e le decisioni politiche, come lo sono le “onde lunghe” e le costanti della storia da una parte e le fibrillazioni del confronto e conflitto politico sul terreno determinato dai soggetti in azione, in particolare quelli decisori. Non vi è nulla di strettamente determinato su di un medesimo piano. All’egemonia inglese e statunitense degli ultimi due secoli ha corrisposto l’egemonia e alla fine il dominio delle chiavi interpretative geopolitiche anglosassoni nel mondo sino ad indurre le élites dominanti occidentali ad assumere un atteggiamento deterministico e dogmatico tale da allontanarle dalla adeguata interpretazione della realtà e da rappresentare le proprie scelte politiche in un quadro schizofrenico sempre meno credibile ed autorevole. Una crisi dalla quale faticano ad emergere con successo nuove chiavi interpretative più adeguate a definire strategie, obbiettivi e tattiche in un contesto multipolare. Una difficoltà che testimonia dell’incapacità di emersione nel mondo occidentale di nuove élites in grado di comprendere e sostenere adeguatamente il confronto e lo scontro che si prospetta sempre più drammaticamente. Il carattere asfittico del dibattito politico in Italia, compreso quello nel magmatico e sterile movimento “sovranista”, è forse l’aspetto più penoso, pur se innocuo per le sorti del mondo, che ci tocca riscontrare. Il libro di Federico Bordonaro può offrire in proposito al dibattito tanti spunti, come evidenziato, si spera, dalla discussione. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
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L’arte della guerra russa in Ucraina Ne discutono Giacomo Gabellini e Roberto Buffagni

Riprendiamo dal canale YouTube “il contesto” https://www.youtube.com/@Il-Contesto una conversazione tra Giacomo Gabellini e Roberto Buffagni https://www.youtube.com/watch?v=S8h5TvjvISw sul tema delle ipotesi e delle interpretazioni sulle quali i contendenti del conflitto in Ucraina hanno definito scelte, strategie e tattiche di guerra. La base di discussione poggia su una pubblicazione della Rand Corporation della quale cureremo a breve la traduzione. Roberto Buffagni ha già pubblicato su www.italiaeilmondo.com numerosi articoli e saggi e curato diverse traduzioni sull’argomento https://italiaeilmondo.com/category/dossier/autori-dossier/roberto-buffagni/ Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Su un appello alla riforma dell’esercito degli Stati Uniti. Con Giacomo Gabellini e Roberto Buffagni

La sicumera di una élite, per oltre un ventennio certa di aver raggiunto il predominio militare assoluto e il controllo egemonico del pianeta e l’elezione a nemico di avversari incapaci di sostenere con qualche probabilità di successo un confronto militare in campo aperto da una parte; dall’altra la reazione determinata ed efficace del governo russo alla drammatica crisi di decomposizione degli anni ’90 e l’emersione definitiva, anche se non del tutto consolidata, ma sottovalutata, di nuovi attori protagonisti nello scenario geopolitico. E’ il contesto nel quale ha potuto crogiolarsi l’inerzia della macchina militare statunitense e l’elefantiasi del suo complesso industriale, pur con gli innegabili punti di forza tuttora esistenti. E’ la guerra a mettere a nudo i limiti e i pregi delle forze in campo. La Russia ha dimostrato di possedere la necessaria flessibilità e riserva di potenza pur tra i tanti problemi emersi. Gli Stati Uniti possono godere della posizione della conduzione dall’esterno del conflitto in Ucraina, senza mettere sul terreno di battaglia forze dalle perdite significative. Vedremo se sarà il pungolo sufficiente a riformare l’apparato militare secondo i canoni definiti dal documento di riferimento della conversazione http://italiaeilmondo.com/2023/09/15/…. Buon ascolto, Giacomo Gabellini, Giuseppe Germinario

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Il disadattamento delle élites occidentali. Intervista a Giacomo Gabellini

Abbiamo posto giorni fa ad Aurelien quattro domande alle quali l’analista ci ha rapidamente e compiutamente risposto. Abbiamo pubblicato il 23 agosto qui la sua replica.

Su suggerimento di alcuni lettori abbiamo esteso ad altri autori ed analisti l’invito a rispondere alle medesime. Proseguiamo con la pubblicazione del punto di vista di Giacomo Gabellini. Nella voce “dossier” sulla barra orizzontale abbiamo creato una apposita raccolta. Buona lettura, Giuseppe Germinario

  • Quali sono le ragioni principali dei gravi errori di valutazione commessi dai decisori politico-militari occidentali nella guerra in Ucraina?

Credo che le ragioni degli sbalorditivi errori di calcolo compiuti siano da attribuire al senso di onnipotenza che ha pervaso le classi dirigenti statunitensi a partire dal collasso dell’Unione Sovietica. Questa percezione distorta ha atrofizzato il pensiero critico e alimentato un sostanziale disinteresse per il resto del mondo; il conformismo dilagante che ne è scaturito ha pregiudicato la capacità sia di formulare valutazioni realistiche delle potenzialità proprie e del nemico, sia di comprendere le implicazioni strategiche delle proprie scelte politiche. Hanno quindi trasformato deliberatamente la questione ucraina da crisi regionale in sfida esistenziale per la Russia, senza rendersi pienamente conto dei pericoli che comporta la decisione di mettere con le spalle al muro quello che si configura come il Paese più grande del mondo dotato di oltre 6.000 testate atomiche e vettori ipersonici in grado di trasportarle verso l’obiettivo. Hanno quindi sottovalutato la capacità industriale, la coesione sociale, le competenze tecnologiche e la forza militare latente della Federazione Russa, sovrastimando allo stesso tempo la propria capacità di condizionamento e dissuasione nei confronti dei Paesi terzi, l’impatto delle sanzioni, le implicazioni della sempre più spiccata tendenza a “militarizzare” il dollaro e i circuiti attraverso cui circola la moneta Usa. Si sono quindi illusi di strangolare l’economia russa come avevano fatto con quella cilena negli anni ’70, di poter agevolmente convincere il resto del mondo ad aderire alla campagna sanzionatoria orchestrata dall’Occidente contro la Federazione Russa e di infliggerle una sconfitta strategica sul campo di battaglia contando sulla presunta superiorità della propria dottrina militare, oltre che dei propri sistemi d’arma. Nei confronti della Cina hanno commesso errori di calcolo paragonabili, se non peggiori. Hanno ritenuto di poterla “occidentalizzare” includendola nell’ordine globalizzato, e quindi favorendo il trasferimento dei migliaia di stabilimenti produttivi presso la principale potenza demografica al mondo, che nel corso dei millenni è rimasta straordinariamente fedele a se stessa facendo affidamento su un bagaglio culturale inestimabile. Hanno quindi posto le condizioni per la trasformazione di un Paese poverissimo in una superpotenza a tutto tondo, con intenti palesemente anti-egemonici. Un risultato sbalorditivo.

 

  • Sono errori di una classe dirigente o di un’intera cultura?

Credo si tratti del frutto avvelenato di un processo di “imbarbarimento” culturale generalizzato. Negli Stati Uniti, il concetto paretiano di “circolazione delle élite” ha trovato applicazione fino a degenerare nel ben noto sistema delle “porte girevoli” (revolving doors), già analizzato a suo tempo da Charles Wright Mills nel suo eccellente Le élite del potere. Militari, politici, banchieri e finanzieri che passano con grande disinvoltura dal pubblico al privato e poi di nuovo al pubblico, dando origine a grovigli di interessi particolari profondamente confliggenti con quelli della nazione nel suo complesso. La funzione politica diviene così ostaggio del più bieco affarismo, che si esprime sotto forma di peculiarissimo sodalizio che l’ex analista della Cia Ray McGovern ha definito “Military-Industrial-Congressional-Intelligence-Media-Academia-Think-Tank Complex”, in cui la circolazione del denaro per via tangentizia interconnette i mezzi di comunicazione di massa, le università, i “pensatoi”, le agenzie spionistiche e il Congresso orientando le direttrici strategiche del potere pubblico. L’enormità degli sforzi profusi in propaganda al fine di modellare l’opinione pubblica interna e “costruire consenso” a livello domestico dà la misura del livello di corruzione raggiunto dagli Stati Uniti, che a mio avviso tendono a somigliare sempre di più all’Unione Sovietica degli anni ’80. Ultimamente, quando rifletto sull’entità del degrado che orai caratterizza gli Usa, mi sovvengono spesso le amare valutazioni formulate in quel periodo da Nikolaj Ivanovič Ryžkov, ex ufficiale e politico sovietico, in riferimento al suo Paese.  «L’ottusità del paese – affermò Ryžkov – ha raggiunto un picco: dopo, c’è solo la morte. Nulla è fatto con cura. Rubiamo a noi stessi, prendiamo e diamo mazzette, mentiamo nei nostri rapporti, sui giornali, dal podio, ci rivoltoliamo nelle nostre menzogne e intanto ci conferiamo medaglie a vicenda. Tutto questo dall’alto in basso, e dal basso in alto».

 

  • La guerra in Ucraina manifesta una crisi dell’Occidente. È reversibile? Se sì, come? Se no, perché?

Direi di sì. Intendiamoci; l’Occidente ha ancora numerose frecce al proprio arco, ma mi pare stia scivolando ormai irreversibilmente su un ripidissimo piano inclinato. Come ho cercato di spiegare nei miei lavori, il conflitto russo-ucraino ha palesato urbi et orbi l’inaffidabilità dell’“occidente collettivo” e l’arbitrarietà del cosiddetto “ordine basato su regole” (rules based order) di cui i portavoce di Washington magnificano senza sosta le inesistenti virtù. Ma soprattutto, ha messo a nudo la debolezza strutturale degli Stati Uniti e la falsa coscienza delle classi dirigenti euro-statunitensi, le quali inquadrano il conflitto russo-ucraino come scontro tra democrazie e autocrazie mentre il resto del mondo lo vede come una guerra per procura tra Nato e Russia, che vede quest’ultima tenere testa dal punto di vista sia economico che militare all’intera Alleanza Atlantica. Sono molto d’accordo con Emmanuel Todd, secondo cui «la resistenza dell’economia russa spinge il sistema imperiale americano verso il precipizio. Nessuno aveva previsto che l’economia russa avrebbe tenuto testa al “potere economico” della Nato. Credo che i russi stessi non lo avessero anticipato. Se l’economia russa resistesse alle sanzioni indefinitamente e riuscisse a esaurire l’economia europea, laddove essa rimanesse in campo, sostenuta dalla Cina, il controllo monetario e finanziario americano del mondo crollerebbe e con esso la possibilità per gli Stati Uniti di finanziare il proprio enorme deficit commerciale dal nulla. Questa guerra è quindi diventata esistenziale per gli Stati Uniti». Agli Stati Uniti occorrerebbe un “adattamento morbido” a un mondo in rapida evoluzione, ma il Paese non dispone di apparati dirigenti all’altezza del compito.

 

  • Cina e Russia, le due potenze emergenti che sfidano il dominio unipolare degli Stati Uniti e dell’Occidente, dopo il crollo del comunismo si sono ricollegate alle loro tradizioni culturali premoderne: Il confucianesimo per la Cina, il cristianesimo ortodosso per la Russia. Perché? Il ritorno all’indietro, letteralmente “reazionario”, può attecchire in una moderna società industriale?

La riscoperta delle radici culturali ha permesso a Cina e Russia di erigere “grandi muraglie” sufficientemente robuste da resistere all’ostinato tentativo tutto statunitense di occidentalizzare il mondo intero. Il recupero del passato costituisce uno strumento formidabile per entrambi questi Stati-civiltà, in un’ottica di affermazione della propria identità differenziata rispetto alle altre, e di compattamento della società attorno a valori millenari specifici. Credo che “innestare” queste tradizioni in una società moderna rappresenti un compito difficile a livello generale, ma che per nazioni come Cina e Russia possa risultare molto meno arduo perché si tratta di Paesi che non hanno mai realmente rinnegato il proprio passato. In un modo o nell’altro, i capisaldi di entrambe le culture sono sempre riemersi, anche quando sono stati sottoposti a prove durissime come la Rivoluzione Culturale o i progetti trockysti miranti alla creazione del cosiddetto “uomo del futuro”. La deriva nichilistica dell’Occidente rende invece particolarmente difficile l’attuazione di un processo di rivalutazione del passato analogo a quello realizzato da Cina e Russia.

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I fattori dietro la (sorprendente) tenuta economica della Russia di Giacomo Gabellini

I fattori dietro la (sorprendente) tenuta economica della Russia

di Giacomo Gabellini

720x410c50kiuhnsaL’offensiva militare, economica, finanziaria e commerciale scatenata dal cosiddetto “Occidente collettivo” contro la Federazione Russa nasce da una palese sottovalutazione «della coesione sociale della Russia, del suo potenziale militare latente e della sua relativa immunità alle sanzioni economiche». L’intera campagna sanzionatoria imposta da Stati Uniti ed Unione Europea, in particolare, si fondava sulla previsione che la Russia non sarebbe stata in grado di reggere un lungo periodo di pressione economica e finanziaria esterna, in virtù della debolezza strutturale, dell’arretratezza e degli squilibri che caratterizzano il suo sistema produttivo.

I dati indicano che, alla fine del febbraio 2022, la Russia registrava un debito pubblico corrispondente ad appena il 12,5% del Pil, una posizione finanziaria netta fortemente positiva e riserve auree pari a circa 2.300 tonnellate. L’oro riveste una rilevanza particolare, trattandosi del tradizionale “bene rifugio” che tende sistematicamente a rivalutarsi proprio in presenza di congiunture critiche come quella delineatasi per effetto dell’attacco all’Ucraina. Stesso discorso vale per tutte le commodity di cui la Russia è produttrice di primissimo piano, dal petrolio al gas, dall’alluminio al cobalto, dal rame al nichel, dal palladio al titanio, dal ferro all’acciaio, dal platino ai cereali, dal legname all’uranio, dal carbone all’argento, dai mangimi ai fertilizzanti.

L’incremento combinato dei prezzi delle materie prime e dei prodotti raffinati i cui mercati risultano fortemente presidiati dalla Federazione Russa – la cui posizione si è ulteriormente rafforzata con l’incorporazione dei giacimenti di carbone, ferro, titanio, manganese, mercurio, nichel, cobalto, uranio, terre rare di vario genere e idrocarburi non convenzionali presenti nei territori delle repubbliche secessioniste di Donec’k e Luhans’k – ha per un verso penalizzato enormemente la categoria dei Paesi importatori netti, in cui rientra gran parte dell’“Occidente collettivo”.

Per l’altro, ha assicurato alla Russia un volume di proventi talmente imponente da attenuare in maniera sensibile l’impatto dirompente prodotto dal congelamento delle riserve russe detenute presso istituzioni finanziarie estere.

 

I settori dell’economia russa ad alto valore aggiunto

Le principali categorie merceologiche di cui si compone l’export russo (petrolio, gas, materie prime, prodotti agricoli) delineano i contorni di un’economia non all’avanguardia, ma il discorso cambia completamente se si tengono in debita considerazione sia le punte di eccellenza raggiunte dal Paese in campo nucleare, aerospaziale, informatico e militare, sia il volume assai considerevole di entrate assicurato allo Stato dalla vendita all’estero di macchinari ed equipaggiamenti. Le attuali economie avanzate, strutturatesi nella forma odierna sulla base degli indirizzi strategici affermatisi a partire dagli anni ’80, poggiano soprattutto su attività ad alto valore aggiunto riconducibili al settore terziario, che apportano un contributo alla formazione del Pil di gran lunga superiore a quello assicurato dai comparti ricompresi nei settori primario e secondario. Nelle economie moderne, servizi finanziari e assicurativi, consulenze, nuovi sistemi di comunicazione e design risultano predominanti rispetto ad agricoltura, manifattura, estrazione di idrocarburi e minerali.

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Un Paese come gli Stati Uniti può quindi contare sul colossale apporto alla “produzione di ricchezza” fornito dalle spese sanitarie gonfiate a dismisura, dalla crescita esorbitante delle cause legali fittizie che arricchiscono interi eserciti di avvocati, dal sistema carcerario privatizzato che fa lobby al Congresso per ottenere leggi in grado di garantire il maggior numero di detenuti possibile, ecc.

Alcuni economisti sia europei che statunitensi si sono addirittura spinti a sostenere l’integrazione della prostituzione e del traffico di stupefacenti nel paniere dei servizi che concorrono alla formazione del Pil.

 

I (veri) dati dell’economia russa

Se, come evidenziano i dati della Banca Mondiale, in termini di Pil nominale l’economia russa (1.779 miliardi di dollari nel 2022) risulta paragonabile per dimensioni a quella italiana (2.108 miliardi), sotto il profilo della parità di potere d’acquisto (4.808 miliardi, contro i 2.741 dell’Italia) tende invece ad avvicinarsi a quella tedesca (4.848 miliardi). Ma, evidenzia l’economista Jacques Sapir, neppure il Ppa riflette appieno la rilevanza della Federazione Russa, i cui vantaggi strategici connessi a “stazza”, posizione geografica e struttura economica a trazione agricolo-industriale-edilizia le conferiscono una capacità di resistenza pressoché inconcepibile per ogni altro Paese.

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L’economia della Russia, che con una popolazione universitaria di 2,2 volte inferiore rispetto a quella degli Stati Uniti forma il 30% di ingegneri in più, si incardina infatti su produzioni fondamentali, perché necessarie alla soddisfazione dei bisogni primari. Idrocarburi, metalli, cereali, fertilizzanti, mangimi sono risorse imprescindibili per garantire riscaldamento e sicurezza sia alimentare che energetica.

Condizioni assicurate in periodi di stabilità, ma che divengono improvvisamente vacillanti in presenza di congiunture geopolitiche altamente conflittuali, in cui si riscopre il primato di petrolio, gas, alluminio, nichel, grano, ecc. rispetto a tutto il resto. La rivista «The American Conservative» nota in proposito che:

«la spettacolare crescita dei settori ad alta intensità di capitale, insieme alla loro ricchezza nominale e produttività, ha portato molti a Washington e in varie capitali occidentali non solo ad abbracciarli, ma anche a preferirli politicamente, culturalmente e ideologicamente. Noi americani siamo particolarmente orgogliosi, ad esempio, del successo dei nostri giganti della tecnologia come motori di innovazione, crescita e prestigio nazionale. Internet e le varie applicazioni per gli smartphone sono considerate da molti intrinsecamente democratizzanti, fungendo effettivamente da canale di diffusione per i valori americani e di promozione degli interessi nazionali statunitensi. Questo amore per i settori dei servizi si traduce in una tendenza a identificare le industrie ad alta intensità di manodopera del passato – energia, agricoltura, estrazione di risorse, produzione – come reliquie del passato. Ma questa prospettiva distorta ci ha lasciato impreparati per un mondo in cui i beni tangibili sono ancora una volta di vitale importanza, come dimostrato plasticamente dalla guerra in Ucraina».

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Il conflitto in Ucraina: i numeri del complesso militare industriale

Come ha dichiarato nel febbraio 2023 il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, lo schieramento atlantista aveva fino a quel momento assicurato all’Ucraina un’assistenza militare, finanziaria e umanitaria senza precedenti, quantificata in 120 miliardi di dollari. Il trasferimento di materiale bellico a Kiev si è rivelato talmente ingente da svuotare letteralmente gli arsenali di molti Paesi membri della Nato. La Danimarca ha consegnato tutti e 19 gli obici semoventi di fabbricazione francese Caesar in proprio possesso. Il Ministero della Difesa tedesco ha ammesso che, qualora si fosse ritrovata a combattere una guerra ad alta intensità come quella russo-ucraina, la Germania avrebbe esaurito le munizioni nell’arco di appena due giorni. Stesso discorso vale per Francia e Gran Bretagna, mentre il Pentagono ha avanzato dubbi circa la capacità degli Stati Uniti di continuare a rifornire l’Ucraina senza distogliere armi ed equipaggiamenti da teatri di primario interesse quali quello del Mar Cinese meridionale. Alla fine del 2022, rilevava il Royal United Services Institute britannico, il Dipartimento della Difesa statunitense aveva ceduto all’Ucraina «circa un terzo delle riserve di missili anticarro Javelin e di quelli antiaerei Stinger: ripianare tali scorte richiederà rispettivamente 5 e 13 anni». Per quanto concerne le munizioni dei lanciarazzi campali multipli Himars, «a fronte di una produzione di 9.000 razzi all’anno, le forze armate ucraine ne consumano almeno 5.000 al mese».

Nemmeno il rapido e imponente incremento (500%) della produzione di proiettili d’artiglieria realizzato dal “complesso militar-industriale” è risultato sufficiente a compensare l’erosione delle riserve strategiche di armi e munizioni a disposizione degli Usa. Al punto da indurre Washington a rivolgersi alla Corea del Sud, il cui governo ha «accettato di fornire in prestito agli Stati Uniti 500.000 proiettili di artiglieria da 155mm che non saranno però forniti a Kiev ma consentiranno all’Us Army di non depauperare troppo le sue riserve di munizioni ridottesi in seguito alle massicce forniture all’Ucraina». Come ha riconosciuto Stoltenberg, «il nostro attuale ritmo di produzione delle munizioni è di molte volte inferiore al livello di consumo da parte dell’Ucraina», che risulta a sua volta enormemente ridotto rispetto a quello della Russia. La quale è riuscita a sparare fino a 50.000-60.000 proiettili d’artiglieria al giorno a fronte dei 5.000-6.000 esplosi dall’Ucraina e – secondo fonti di intelligence britanniche riportate dal «Washington Post» – a produrne nell’arco del 2022 qualcosa come 1,7 milioni di unità, contro le 180.000 fabbricate dagli Usa. Segno di una capacità industriale notevolissima, supportata da catene di approvvigionamento di materiali critici e componentistica solide e perfettamente funzionanti.

Il finanziamento dello sforzo bellico, per di più, non ha comportato alcuna distorsione della struttura economica russa; lo si evince da una stima formulata da una fonte “al di sopra di ogni sospetto” come l’«Economist», secondo cui le spese militari sostenute da Mosca nel corso del primo anno di guerra avrebbero assorbito circa 67 miliardi di dollari, pari ad “appena” il 3% del Pil russo. Una percentuale tutto sommato modesta, specialmente se raffrontata a quelle raggiunte sia dall’Unione Sovietica (61%) che dagli Stati Uniti (53%) nelle fasi più acute della Seconda Guerra Mondiale.

La vera forza dell’arsenale difensivo a disposizione della Russia risiede quindi nelle caratteristiche della sua struttura economica nella centralità che il Paese riveste rispetto al commercio internazionale, oltre che nell’indisponibilità del resto del mondo ad aderire alla campagna sanzionatoria imposta dal cosiddetto “Occidente collettivo”. Nonché dall’attivismo della Repubblica Popolare Cinese; di fronte al deflusso delle multinazionali occidentali dal Paese, Mosca ha reagito non soltanto nazionalizzandone gli asset e affidando la gestione degli stabilimenti sottoposti a confisca ad amministratori esterni secondo una logica di preservazione della continuità aziendale implicante necessariamente anche il sequestro dei brevetti (in assenza dei quali la produzione rimane pressoché impossibile), ma anche schiudendo le porte del mercato nazionale alle società sia pubbliche che private cinesi. Le quali hanno prontamente occupato gli spazi lasciati vuoti – soltanto parzialmente – dalle aziende europee e statunitensi, e costituito allo stesso tempo alleanze strategiche con le imprese locali operanti nei cruciali settori energetico, minerario e metallurgico.

Tutti aspetti, questi ultimi, che politici e specialisti di spicco del cosiddetto “Occidente collettivo”, persuasi che le misure punitive “da fine del mondo” avrebbero condannato la Russia all’isolamento e alla bancarotta nell’arco di poche settimane, non sono stati minimamente in grado di prevedere, nell’ambito di quello che l’economista Patricia Adams considera «il più monumentale errore di calcolo della storia moderna».

https://www.sinistrainrete.info/estero/25728-giacomo-gabellini-i-fattori-dietro-la-sorprendente-tenuta-economica-della-russia.html

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-i_fattori_dietro_la_sorprendente_tenuta_economica_della_russia/5871_49924/

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Da “le ali del brujo”: UN ANNO DI GUERRA BILANCI E PROSPETTIVE. Con Gen. M. Bertolini R. Buffagni e G. Gabellini

Il primo anniversario dall’intervento diretto della Russia in Ucraina ha offerto l’occasione di offrire un bilancio politico di un evento che si rivelerà un vero e proprio catalizzatore di profondi mutamenti delle dinamiche geopolitiche. Pubblichiamo una conversazione sull’argomento tra Roberto Buffagni, Giacomo Gabellini e il generale Marco Bertolini organizzata dal sito “le ali del brujo”. Un bilancio che, unitamente a tutta la produzione, tra i vari siti, di “italiaeilmondo”, può offrire numerosi spunti riguardo alle prospettive future in quell’area e in tutto lo scacchiere mondiale. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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