Italia e il mondo

Al Capone e il caso Viganò, di Elio Paoloni

Al Capone e il caso Viganò

 

Bergoglio e Viganò? Pfui. Trovo pretestuosa questa faccenda. Ricordo che si tentò di giocare uno scherzo simile a Sua Santità Benedetto XVI. Già questo mi rende diffidente: so bene che quando c’è da attaccare la Chiesa un bel caso di pedofilia è sempre bello e pronto, senza bisogno di eccessive manipolazioni. Ma questa volta l’attacco viene direttamente, scopertamente, dall’interno, da un arcivescovo e da un giornalista cattolico. E’ per questo che la faccenda ha destato scalpore. La pedofilia propriamente detta qui c’entra poco. In effetti il prete pedofilo è un caso rarissimo, quasi inesistente: quella che è enormemente diffusa nel clero, oggi, è l’efebofilia (attrazione verso adolescenti già puberi) oppure, molto semplicemente, l’omosessualità. Chi ha relazioni con un sedicenne non è nemmeno imputabile. E se non ha particolari incarichi di educazione e custodia nei confronti del minore coinvolto non commette reato neppure se si tratta di un quattordicenne. Questo in Italia e in quasi tutto il mondo.

 

Negli Stati Uniti, però, l’età del consenso è rimasta fissa a 18 anni, quindi da quelle parti qualsiasi omosessuale può essere accusato di pedofilia, prima o poi. Ci sarebbe parecchio da argomentare su questa Babilonia che ha diffuso il disordine sessuale su tutto il pianeta, restando ancorata ipocritamente ad alcune norme anacronistiche. Un’ipocrisia che favorisce la più grande industria americana, quella dell’azione legale. Nel paradiso degli avvocati, a casa della gente arrivavano lettere di questo tenore: “Volete un milione di dollari? Mandate vostro figlio in parrocchia e al resto pensiamo noi”. Viganò, nunzio apostolico negli Stati Uniti per diversi anni, lo sa bene.

 

Cinque anni fa nel “Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders”, la “bibbia” occidentale per gli psichiatri, la pedofilia venne declassata da “malattia” a “disordine”, poi a un “orientamento sessuale o dichiarazione di preferenza sessuale senza consumazione”. C’è stato in seguito un mezzo passo indietro, ma la strada è segnata: la pedofilia – quella vera, non quella dei preti – rientrerà presto nella norma. Negli Stati Uniti e in Olanda si sono affacciati veri e propri partiti politici per la legalizzazione della pedofilia – http://lanuovabq.it/it/la-candidatura-di-un-pedofilo-e-limbarazzo-progressista   https://it.sott.net/article/1914-La-Normalizzazione-Della-Pedofilia-Gli-Psicopatici-Cercano-Di-Ricreare-La-Societa-Nella-Loro-Stessa-Immagine  http://www.rompereilsilenziolavocedeibambini.it/2017/12/04/lapice-della-violenza-orgoglio-pedofilo-e-legittimazione-della-pedofilia/  e girano in rete tranquillamente video dove si mostra come insegnare ai bambini a masturbarsi – https://www.youtube.com/watch?time_continue=128&v=-0vPqxSVaG4 (l’accettazione della sessualità precoce è propedeutica allo sdoganamento della pedofilia). Nessuno si è scandalizzato.

 

Intendo minimizzare? Niente affatto, sappiamo bene cosa disse Cristo di questa gentaglia. Sia dei pedofili che dei sodomiti. E già, perché lo scandalo pedofilia fa da cortina fumogena al vero scandalo di questa Chiesa, la schiacciante preponderanza ai vertici di sodomiti e filosodomiti.

 

Ma veniamo al caso. Il mese scorso il corrotto e corruttore Mc Carrick viene privato della berretta cardinalizia. Con notevole ritardo – o perfetto tempismo (in concomitanza con l’incontro mondiale delle famiglie a Dublino) –  in undici pagine talmente dense di circostanze, di nomi e di andirivieni temporali da risultare illeggibili al comune lettore, Viganò – che confonde, forse volutamente, l’accusa di pedofilia (venuta fuori nel 2018, mezzo secolo dopo i fatti) con la datata corruzione di seminaristi – denuncia Bergoglio per avere in precedenza coperto il cardinale. Le accuse all’argentino possono essere così (faticosamente) riassunte:

 

  • Mc Carrick si è vantato di aver fatto eleggere il tanguero
  • Mc Carrick incontra Viganò a Santa Marta, e riferisce di aver incontrato Papafrancisco
  • nel successivo incontro con l’ex nunzio, Bergoglio apostrofa Viganò invitandolo a essere un pastore, a non essere ideologizzato; poi gli fa una battuta sul ripasso del portoghese. Un mese dopo un monsignore riferisce a Viganò che Mc Carrick ha sostenuto che i vescovi non devono essere ideologizzati. Viganò ne deduce che Mc Carrick ha messo le parole in bocca al Papa; perché non dovremmo pensare il contrario, che è molto più ovvio? E che ci sarebbe di grave, comunque, in queste banali esortazioni?
  • Viganò sostiene di aver informato personalmente il gesuita delle malefatte e dell’impunità del cardinale invertito. A quattr’occhi.

 

Fuffa, insomma. E quando si riesce a decifrare la confusa cronistoria di Viganò si comprende che c’è una vasta gamma di responsabili dell’impunità del cardinale, artefici di una cortina fumogena che probabilmente avrebbe impedito una visione chiara a uomini ben più acuti dell’inquilino di Santa Marta. Se poi gli ordini di Benedetto XVI su Mc Carrick sono stati ignorati, il principale responsabile, ovviamente, non può che essere stato Viganò, come nunzio apostolico e dunque rappresentante del Pontefice a Washington.

 

Esaminiamo la cornice. Marco Tosatti, che pure ho sempre apprezzato, condividendone quasi tutte le opinioni, lancia il caso su La Verità. Si chiedono le dimissioni di Bergoglio. Chi le vuole?

 

Di certo non le cricche parademocratiche dell’accoglienza e gli atei in servizio permanente effettivo, che adorano Papa Ciccio, per non parlare degli islamici, ai quali liscia il pelo indecentemente un giorno sì e l’altro pure. I cattolici? Sì, ogni vero cattolico spera ardentemente che Bergoglio si allontani dal Vaticano con tutti i suoi sodali, Antonio Spadaro per primo. Ma per questa faccenda? No, per tutt’altro: quest’uomo getta un sacramento nel cesso ogni mattina, attenta ripetutamente alla dottrina, viene meno all’unico compito della Chiesa: custodire la parola. La sua resa al mondo, in particolare al globalismo, è rivoltante. Magari scomparisse. Ma non nel modo in cui è stato fatto fuori Al Capone. Il gangster venne sbattuto in galera per piccoli, banali reati fiscali. E ci stava: l’importante era neutralizzarlo. Non sono convinto invece che le dimissioni di Bergoglio per non aver agito abbastanza velocemente contro un cardinale lascerebbero la chiesa al sicuro dalle reali malefatte della sua cricca. Gli orrori del suo “pontificato” sono altri. Ed è su quelli che dovrebbe esercitarsi l’indignazione di tutti noi.

 

Un’altra considerazione: cosa c’è di realistico nello scenario delle dimissioni dell’argentino (ricordiamo che non si tratta di una prassi, da quelle parti) per uno qualsiasi dei tanti scandali sessuali del clero? Nulla. Qualcuno, Tosatti compreso, immagina davvero che domani il tanguero possa prendere carta e penna, porgere tanti cari saluti e tornarsene alla ‘fine del mondo’?

A chi giova questa operazione? A cosa serve, esattamente, questo fango retroattivo? Temo che, passato il polverone, Bergoglio finirà per apparire vittima di vendette clericali (Viganò era stato rispedito a casa dal vescovo di Roma) ovvero ne uscirà rafforzato. Possibile che Tosatti, acerrimo avversario del gesuita, non se ne renda conto?

https://eliopaoloni.jimdo.com/

LA TERRA SOTTO I PIEDI,di Roberto Buffagni

LA TERRA SOTTO I PIEDI

su Genova, in dialogo con Pierluigi Fagan e Alessandro Visalli[1]

 

E’ da un bel pezzo, non solo dal 14 agosto, che gli italiani si sentono mancare la terra sotto i piedi. Il crollo del ponte Morandi di Genova lo ha espresso con uno splendore metaforico accecante, perché è un correlativo oggettivo[2] perfetto.

Il crollo del ponte Morandi è il correlativo oggettivo di molte cose che finiscono, e finiscono male. Fine dell’Italia moderna di ieri, dell’Italia del miracolo economico, della giovinezza dei nostri padri o nonni, dell’abbondanza a portata di mano per tutti: il ponte Morandi, con il suo tracciato epico, il suo modernismo militante alla Le Corbusier, è figlio di quegli anni e di quelle ambizioni giovanili. Fine della modernità dell’Italia di ieri come ambizione sbagliata, come rincorsa tardiva, affannosa, volontaristica dei “paesi più avanzati”: l’Italia del miracolo economico non può permettersi i ponti in acciaio che paesi di più antica industrializzazione costruiscono da cent’anni, e parsimoniosamente getta il ponte Morandi nel deperibile cemento armato, ma senza rinunciare al tracciato avveniristico che ci fa fare bella figura, ci fa sembrare “un paese normale”. Fine della promesse de bonheur  della postmodernità, del sogno elettrizzante dei muri che crollano e dei confini che svaniscono, di libertà come infinito transito da un orizzonte a un altro orizzonte, senza soste, radici, termine: emblema i cento ponti, gettati dal nulla al nulla e scavalcanti il nulla, che troviamo sulla cartamoneta in euro, l’unica moneta pura della Storia umana; moneta senza terra e senza principe, sacramento del nulla che si transustanzia in Nulla senza materia sacramentale, ex opere operato della Tecnica, vessillo dell’Unione senza Unità e dell’Europa senza Europa. Fine dell’illusione che la promesse de bonheur della libertà postmoderna valga per tutti: i deplorables, i carnali che restano legati al suolo e alla materia precipitano nel baratro, gli pneumatici che transustanziano materia e vita in denaro volano, illesi s’incielano nell’Empireo delle corti di giustizia internazionali, dei grandi studi legali americani, delle aziende di public relations, trasportati e razionalmente giustificati dagli psichici al loro servizio. Per concludere: fine dell’illusione che l’Italia possa mai diventare “un paese normale”, cioè un normale paese capitalistico avanzato, come i paesi protestanti.

L’Italia non è mai stato, né potrà diventare mai finché esisterà come realtà simbolica, un “paese normale”, perché l’ultima impronta che ha modellato in profondità la patria interiore degli italiani è un possente movimento spirituale di difesa contro la modernità, la Controriforma cattolica. Finita, e finita molto male, la grande speranza giovanile della Cristianità europea, sostituito al principio del bene comune il criterio regolativo del male minore, spezzata la comunicazione tra l’aldiquà e l’aldilà nelle rappresentazioni del sacro, l’Italia ha iniziato a diventare un paese anormale pittoresco e spregevole, romantico e cialtrone, perché di volta in volta più arretrato o più avanzato degli altri paesi europei: siamo più arretrati quando la modernità va bene, siamo più avanzati quando la modernità va male: di qui anche la nostra meritata fama di “laboratorio politico”.

La protezione minuziosa e tirannica, premurosa e soffocante della Controriforma cattolica ha preservato, come un fossile nell’ambra, le sopravvivenze delle tradizioni pagane italiche, romane, greche, e ha lungamente riparato sotto la volta di un tempio invisibile la civiltà contadina con i suoi antichissimi costumi, cristiani e precristiani. La Modernità e la Storia premevano alle mura, s’infiltravano nelle vite personali, nei pensieri e nei sogni, ma l’incantesimo difensivo ha retto per secoli, in una lunghissima ritirata lenta e ordinata che solo molto di recente si è trasformata in rotta. Racconta il trauma del contatto diretto con la modernità illuminista e liberale trionfante il più grande poeta, insieme a Torquato Tasso, della Controriforma italiana.

Giacomo Leopardi[3] canta il confine del natìo borgo selvaggio, che da tanta parte/ Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude e dal quale cercò di evadere per tutta la vita, come trampolino verso l’assoluto (L’infinito); la speranza nel domani come illusione, creatrice di struggente bellezza e commovente, precaria gioia (Il sabato del villaggio); l’ incanto della civiltà popolare italiana come una fanciulla che la morte precoce rende eternamente giovane, bella e perduta come la patria, “membranza sì dolce e fatal”, sospirata in Va’ pensiero (A Silvia); il disorientamento di fronte alla Storia che incalza minacciosa come domanda infantile, smarrita, fiduciosamente rivolta alla vergine Luna, giovinetta immortal (Canto notturno di un pastore errante dell’Asia); e sbriga il giudizio sul secol superbo e sciocco col sarcasmo delle magnifiche sorti e progressive (La ginestra).

Racconta la sconfitta dell’Italia controriformata, e la rotta disordinata degli italiani sul campo di battaglia della modernità “l’usignolo della Chiesa cattolica”, Pier Paolo Pasolini.

Ecco, ora la modernità è finita, e finita male; la postmodernità crolla, trascinando nel baratro molti italiani. S’inaugura in Italia – non a caso in Italia – quel che gli studiosi chiamano “il momento Polanyi”[4], che si manifesta anche con il sorprendente ircocervo del governo gialloverde. Se sia giusto o sbagliato, e come andrà a finire, non lo so. Per quel che mi riguarda: right or wrong, my country.

 

[1] [1] https://italiaeilmondo.com/2018/08/18/jaccuse-di-augusto-sinagra-e-uno-sguardo-dal-ponte-di-pierluigi-fagan/ ; https://tempofertile.blogspot.com/2018/08/della-parola-dordine-onesta.html ; https://tempofertile.blogspot.com/2018/08/della-parola-dordine-integrita.html ; https://tempofertile.blogspot.com/2018/08/della-parola-dordine-sicurezza.html

 

[2] Il “correlativo oggettivo” è un concetto centrale nella teoria letteraria elaborata da Thomas Stearns Eliot, elaborato in più saggi raccolti nel volume The Sacred Wood (1920). In sintesi: un’opera d’arte ben riuscita non descrive i sentimenti e le emozioni dei personaggi, ma li mostra per mezzo di un’immagine o un’azione che ne sia il correlativo oggettivoThe artistic ‘inevitability’ lies in this complete adequacy of the external to the emotion….” (“Hamlet and His Problems”). Un esempio di correlativo oggettivo ben riuscito è la scena in cui Lady Macbeth, dopo l’assassinio del re, si lava compulsivamente le mani.

[3] Giacomo Leopardi, naturalmente, non era credente, e anzi si è parecchio complicato la vita perché non volendo accettare incarichi nel governo pontificio e non disponendo di una rendita personale sufficiente, è sempre stato a corto di soldi. E’ un grande, grandissimo poeta della Controriforma perché lo spirito della Controriforma si oppone allo spirito del mondo moderno, e difende come può quel che resta del mondo antico. Che altro fa Leopardi? Che non sia cattolico e detesti i preti conta molto poco, direi nulla.

[4] V qui: http://tempofertile.blogspot.com/2016/08/karl-polanyi-la-grande-trasformazione.html

L’ANNO CHE VERRA’ E’ UN DEJA VU, di Antonio de Martini

Qui sotto un frizzante testo di Antonio de Martini. Alcune domande. Il quadro prospettato è del tutto verosimile; la trama tessuta dalla vecchia classe dirigente, sconfitta elettoralmente, ma predominante negli apparati istituzionali è adeguata al nuovo contesto politico?_Giuseppe Germinario

L’ANNO CHE VERRA’ E’ UN DEJA VU

Ispirato dalla atmosfera campagnola in cui vivo, mi sono chiesto quali siano o saranno i frutti di questo strambo governo.

I soli risultati certi sono la distruzione sicura di ogni ipotesi di un governo moderato di centro destra in grado di vincere le elezion e la contemporanea nascita di un forte partito di destra estrema.

In questo disegno c’è un elemento di bene e uno di male. Il bene è la distruzione di Berlusconi come personaggio politico e di conseguenza di “Forza Italia” che tornerà ad essere uno slogan sportivo.

Il male è che i governi moderati orientati a una politica di destra moderata saranno impossibili per lungo tempo. A destra si sta sostanziando l’ipotesi di un robusto partito di destra estrema cui il buon senso degli italiani non affiderà mai le redini del governo. A sinistra si sta predicando una ” strategia dell’attenzione” verso i 5 stelle.

Si tratta , a mio avviso, di un disegno preordinato cui sono tutti attivamente coinvolti, interessati e consapevoli.

I SEGNALI

a) Il movimento 5 stelle e la Lega stanno lasciando tranquillo il PD che sta riprendendo alla mano i suoi iscritti e simpatizzanti, così come la lamentela opposta che ” l’opposizione non esiste” significa che il PD – che sappiamo tutti esistere eccome- non attacca il governo, ma il solo Salvini, fortificando così la sua immagine di estremista di destra. ( si noti che nella Lega giovanile aveva creato il “gruppo comunista”). Da destra, al massimo si attacca il LEU, un piccolo lebrosario creato in laboratorio. La sinistra ha appaltato l’opposizione al venerando Cassese che mostra un attivismo notevole per l’età.

b) Di Maio, sta compiendo una serie di gesti ” di sinistra” come l’essersi scusato com Mattarella, aver privilegiato ” i lavoratori”, e aver reintrodotto il discorso “nazionalizzazioni”, aver scavalcato i sindacati sulla vicenda ILVA ecc. Tutti temi che ” suscitano l’attenzione della sinistra”. Si stanno creando le premesse di un connubio tra i 5 stelle e il PD.?

c) nessuno si è mai chiesto come mai la Lega si sia trasformata da movimento secessionista in movimento nazionalista senza nemmeno un dibattito sulla Padania o altro fogliaccio e senza un commento nemmeno dei giubilati interni.

d) nessuno si è mai posto il quesito di come mai Lusetti ( tesoriere della Margherita) si è appropriato di 50 milioni e ha transato per una ventina , mentre la magistratura ha posto una ipoteca di 50 milioni sulla Lega intera. Gli sceneggiatori non si fidano e hanno trasformato un reato individuale in reato di partito a garanzia del rispetto degli accordi?

Considererei io stesso questo post una farneticazione dietrologica se non avessi visto coi miei occhi la lettera , firmata dal generale de Lorenzo attestante che , per ordine dell’on Taviani, ministro dell’interno, aveva consegnato 250 milioni di lire all’on Almirante per consentire a lui di fare la parte dell’ “uomo nero” e agli altri di unirsi contro il “pericolo fascista”.

Guardacoste e guardaspalle;conversazione con Augusto Sinagra_a cura di Giuseppe Germinario

Qui sotto una salace panoramica sulla situazione politica italiana partendo dalla vicenda della nave guardacoste Diciotti. Le ambizioni del Governo Conte e la cruda realtà_Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://www.youtube.com/watch?v=TPgy2q84Dck&feature=youtu.be

26° podcast_caccia alle streghe, di Gianfranco Campa

Lo scontro politico negli Stati Uniti ha ormai perso le caratteristiche di un duello, sia pure mortale. Ormai non ci sono più regole ed etiche da rispettare. I motivi politici si dissolvono nell’ombra, il pretesto diventa la motivazione e lo strumento unico per colpire, ferire e uccidere. Un procuratore incaricato di indagare su presunte collusioni con il nemico non dichiarato russo, si sente in diritto di allargare indiscriminatamente il proprio ambito di azione ad ogni campo e pretesto che possano incastrare il nemico politico dichiarato. La tanto osannata separazione dei poteri in uno Stato, a garanzia dei diritti del cittadino e del limite di esercizio del politico, si sta rivelando sempre più una mera distinzione di funzioni ed una collusione tra poteri. Una dinamica che vuole criminalizzare l’avversario, Trump nella fattispecie, ma che in realtà delegittima e priva di autorevolezza anche i fustigatori. Le conseguenze sono uno scontro politico distruttivo e destabilizzante tra oligarchie ristrette e avulse in un caso; nell’altro, e questo sembra essere il caso, un conflitto senza controllo propedeutico ad una vera e propria guerra civile o ad un colpo di stato strisciante. Il retaggio di una nuova classe dirigente giunta relativamente impreparata al governo e che sta scoprendo con durezza sul campo la tragica differenza tra esercizio del governo ed esercizio del potere quando chi detiene il primo è antitetico al detentore preponderante del secondo. A giorni, se non ad ore, si stanno preparando grandi colpi di scena, negli Stati Uniti e a casa nostra. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

https://soundcloud.com/user-159708855/podcast-episode-26

L’EROE GUERRAFONDAIO DI TUTTI I MONDI NON C’È PIÙ! LUNGA VITA A JOHN MCCAIN, di Gianfranco Campa

L’EROE GUERRAFONDAIO DI TUTTI I MONDI NON C’È PIÙ! LUNGA VITA A JOHN MCCAIN.

 

Stanotte è morto all’età di 81 anni, il senatore repubblicano, componente primario dell’establishment politico americano, John Sidney McCain III. Se ne va uno degli attori principali della politica americana del ventesimo e ventunesimo secolo. Se ne va colui che il New York Time ha definito: “ Il più grande leader politico del nostro tempo.” Se ne va colui che è stato un arcinemico di Donald Trump e dei suoi sostenitori. Se ne va il tardo eroe dei democratici per il suo militantismo anti-trumpiano. Un sondaggio condotto due giorni fa dice che McCain era amato da circa il 60% dei democratici contro il 48% dei repubblicani. Un amore democratico  morboso dovuto alla militanza anti-trumpiana del senatore dell’Arizona. La santificazione democratica di  McCain rasenta il ridicolo, con buona pace della memoria corta di molti democratici i quali durante le elezioni presidenziali del 2008 avevano definito McCain un sociopatico, un suprematista bianco, razzista, islamofobo, mentecatto, nazista, “moralmente ed eticamente inadatto a essere il presidente degli Stati Uniti.” (The Atlantic- SEP 17, 2008)

 

 

Il rapporto di amore passionale sfociato fra i democratici e il senatore McCain non aveva niente a che vedere con un genuino riallineamento politico di queste due entità, ma andava ricercato piuttosto in un rapporto di interesse reciproco. McCain, come altri neocons del calibro di Max Boot, Bill Kristol e via dicendo, lasciati orfani dal partito repubblicano modellato a immagine di Trump, sono stati costretti a cercare nuove sponde da dove continuare ad alimentare il loro impeto guerrafondaio; i democratici d’altro canto cercavano alleati nella loro partigiana resistenza all’invasore alieno Trump. Un rapporto di interesse quindi,  non di genuino amore.

Sono passate tre ore dalla morte di McCain e mentre scrivo questo articolo siamo soggetti a un continuo tributo mediatico alla memoria del senatore, eroe e prigioniero di guerra. Tutti i canali ne stanno decantando le gesta, siamo sottoposti a una indigestione di lodi che rasentano il ridicolo. Tenete conto che queste entità politiche e mediatiche sono le stesse che sputano veleno su Trump 24 ore al giorno, 365 giorni all’anno. Ci vorrebbe un po di equilibrio da parte di certa gente…  L’ultima volta che ho visto un’unità di intenti mediatica e politica di questa portata a cui ora siamo soggetti qui negli Stati Uniti è stato quando i mass-media hanno elogiato in modo unanime, su tutti i canali, George W. Bush per aver invaso due paesi sulla scia dell’11 settembre.

Aldilà del rispetto per la sofferenza di una persona e della sua famiglia in questi momenti di dolore, se non si fa una breve ma onesta analisi, si manca allora di rispetto anche verso coloro che le sofferenze e i dolori li hanno subiti per colpa di una uomo che per decenni  ha infiammato ed iniettato veleno non solo nella politica americana ma in quella di mezzo mondo.

La lista dei peccati e delle scorribande di McCain è abbastanza lunga. Per cominciare, fra i contribuenti alla sua fondazione, troviamo gente del calibro della famiglia Rothschilds, del governo Saudita, del filantropo George Soros. Quest’ultimo fra l’altro ha contribuito finanziariamente più volte alle campagne politiche di McCain.

McCain ce lo ritroviamo in Siria prima dell’inizio della guerra civile, in Ucraina prima della rimozione violenta di Viktor Yanukovych, nei Balcani prima dell’attacco alla Serbia. Ce lo ritroviamo ultras militante anti-Gheddafi prima della guerra civile in Libia. Cè lo ritroviamo  vocalmente allineato alle forze della primavera araba. Ce lo ritroviamo attivo sostenitore di quel Saakashvili che ha incendiato l’Ossezia del Sud e torturato i prigionieri nelle carceri Georgiane. Ce lo ritroviamo attore principale e instancabile sostenitore delle sanzioni all’Iraq durante il regno di Saddam Hussein, sanzioni che costarono la vita a migliaia di civili innocenti. Uno dei principali promulgatori e promotori delle due guerre del golfo. Ce lo ritroviamo sostenitore energiico e indefesso nell’espansione della NATO sino ai confini Russi. Insomma sostenitore convinto di guerre interventiste, esportatrici di democrazia mirate ai cosiddetti cambi di regime.

Se si vuole vedere un mondo sotto la ottica delle guerre neoconservatrici allora John McCain è la quintessenza delle aggressioni militari americane degli ultimi trenta anni. Il disprezzo per la vita di innocenti civili è  quello che in realtà ha propagato John McCain negli anni più attivi della sua politica. Il sangue sparso in Libia, Siria, Ucraina, Balcani, Iraq etc.  grida ancora giustizia, quella giustizia superiore a cui ora McCain dovrà dar conto.

 

 

Lo so,  vi diranno che non si può criticare McCain, perché McCain è un eroe; ma un eroe per chi? Forse per la sua prima moglie che tradì e lasciò per un’altra donna molto più giovane?  Forse per quelle accusatrici di molestie e rapporti sessuali extra matrimoniali venute fuori allo scoperto e ignorate dalla maggioranza della grande stampa? Eroe per le milioni di vittime che le guerre sponsorizzate da McCain hanno provocato? Eroe perché il senatore John McCain disse a chiunque non avesse gradito la sua decisione di consegnare il dossier di Christopher Steele all’FBI “di andare tranquillamente all’inferno.”. Sappiamo bene come la pensano i saggi conformisti di questi tempi decadenti : McCain è un eroe mentre Trump è un villano.

Meglio lasciarsi con le parole del nostro “amato” George Soros che dal suo account Twitter ci manda un messaggio di pace e speranza:  “Ricordiamo John McCain, un guerriero coraggioso dei diritti umani che si è sempre opposto alla repressione e alle torture” Meno male che ci pensa il nostro caro George ad illuminarci sulla strada di Damasco. Anche se quella strada, grazie alle opere miracolose dei discepoli di McCain, si ritrova disseminata di buche bombarole.

Ora però mi sento in colpa perché è volato all’aldilà  un vero  santo. Io l’avevo sotto il naso e non l’ho capito, apprezzato e venerato per quello che era realmente. R.I.P John McCain che ti sia concesso il perdono divino…

 

ARLECCHINO SERVO DI DUE PADRONI, di Antonio de Martini

La vicenda della nave Diciotti si sta avvitando in un circolo vizioso. Intanto il crollo del ponte di Genova passa in secondo piano. Una via di uscita accettabile deve prevedere necessariamente le dimissioni del Comandante della Guardia Costiera Pettorino_Giuseppe Germinario

ARLECCHINO SERVO DI DUE PADRONI.

Detto ( più sotto) che se si vogliono impedire gli sbarchi, e le sbracate prese di posizione di qualche PM, basterebbe che un medico decretasse la quarantena ( issando bandiera gialla),

Bastò un certificato medico per dimettere Segni da Presidente della Repubblica, potrà bastare eziandio per fare un controllo medico a gruppi di ” naufraghi, denutriti e ammalati”

Va anche detto che la posizione del ministro Salvini si sta facendo sempre più macchiettistica perché sta subendo l’iniziativa degli avversari che lo provocano nella certezza di ottenere la reazione sperata.

E’ così che entrambi gli schieramenti raccolgono consensi nel loro ambito, fottendosene delle conseguenze che questa baruffa provoca all’immagine dell’Italia.

Si sta verificando una situazione di tipo trumpiano: non disponendo di un numero di persone competenti cui affidare incarichi politicamente significativi, gli attuali governanti sono costretti ad utilizzare dipendenti statali ancora obbedienti al passato regime e non sanno come cacciarli quando tralignano..

E’ successo nel dopoguerra alla DC con gli impiegati statali fascisti; ai PCI coi vecchi DC annidati nei ministeri; adesso al nuovo governo coi post comunisti immessi a legioni nei ranghi dello stato e delle organizzazioni internazionali.

A chi ha obbedito la Guardia Costiera ( che prima lamentava carenza di carburante) andando a incrociare nel mare libico? Quale ispirazione ha colto il PM che ” apre un fascicolo” per obbligare il governo a far sbarcare sul territorio della Repubblica stranieri privi di documenti e probabilmente malati?

Perché nessuno al Ministero dell’interno ha suggerito al ministro di imporre la quarantena o di impedire pattugliamenti fuori delle acque teritoriali?

Somo passati ormai tre mesi ( meno una settimana) da quando il governo è nato, ma non esiste ancora uno straccio di piano organico per respingere e/o accettare i migranti.
E’ paralisi a causa di diatribe tribali in uno stato che si vuole unitario.

I nuovi governanti non hanno ancora capito che esistono due modi di governare. Il vecchio modo è governare per atti amministrativi. Il nuovo è governare per progetti.

Qui stanno facendo governare i giornalisti.

ponti, di Elio Paoloni

Non sono facile all’indignazione: un’opera pubblica può cedere. Nella mia coazione a distinguere, a precisare, a gerarchizzare, le colpe verrebbero ripartite, soppesate, spalmate. L’avidità è una delle precipue caratteristiche umane. Che degli imprenditori si approprino di beni pubblici grazie ai compagnucci in politica, non è una novità del nostro paese. Che funzionari pubblici preposti ai controlli evitino di mostrarsi pignoli, per denaro o per vigliaccheria, rientra nell’ordine delle cose. La speranza è che la magistratura, benché frenata – o aiutata – da norme ipergarantiste, procedure farraginose e cronica mancanza di mezzi, finisca per evidenziare e sancire queste colpe. Sapendo che, molto probabilmente, si troverà un comodo capro espiatorio da ricoprire di soldi, un capro, di una certa età, magari, così, alla fine dei nostri celeri iter giudiziari, non andrà neppure in carcere. E consapevoli, s’intende, che altre tragedie ci attendono.

 

Ma questa non è la solita storia. I porci responsabili di questa tragedia non tacciono, non si sottraggono, non si coprono il capo di cenere. Continuano imperterriti a sventolare il vessillo della superiorità morale. Non perdono occasione di ricordarci che loro sono eticamente superdotati: accoglienti, elastici, pronti all’abbraccio. Che se li accusiamo di incuria facciamo sciacallaggio.

Costruttori di ponti. Odiano i muri, costruiscono ponti. Ponti navali, perlopiù. Che reggono bene perché Soros, il filantropo, è uno che, va detto, non bada a spese. I magliari invece hanno il braccino corto. Hanno rimandato e rimandato e rimandato. Si apprestavano – poverini – a far partire un piano di ripristino proprio a breve. Mancava giusto un cincinin! L’arte del rammendo non li esalta. Che attività prosaica la manutenzione! Priva di creatività, di afflato umanitario, di visibilità mediatica.

 

I Benetton e i loro compari sono un’anima sola nell’appoggio al disegno di sostituzione etnica, anche se in proprio i beneficiari dei balzelli autostradali prediligono la soppressione etnica; ma sulla storia dei Mapuche si è scritto abbastanza. E, anche qui, niente di inconsueto. Le multinazionali se ne fottono del destino dei popoli; li espropriano, li sfruttano e li massacrano, che c’è di nuovo? Di nuovo c’è che, invece di mimetizzarsi, i Maletton (copyright Veneziani) impongono campagne per gli svantaggiati, per i reietti della terra, per i migranti.

 

Che il ministro delle infrastrutture non si degnasse di rispondere alle interrogazioni sul ponte perché era occupato a digiunare per lo ius soli è stato ricordato in innumerevoli post; non credo tuttavia che siano davvero state colte tutte le implicazioni: non si tratta solo di una distrazione, non è che lo spocchioso ministro fosse occupato, come tutti i sinistri, in faccende lontanissime da quelle che riguardano la sicurezza dei cittadini. No, il ministro si stava occupando proprio dei ponti. Quelli di barche, volute dai mondialisti. Dopo aver contribuito a consolidare la posizione dei gabellieri in autostrada, contribuiva ad attuare il piano di invasione propagandato per decenni dagli stessi gabellieri con i manifesti di Toscani. Qui non si tratta più del consueto scambio appalti-finanziamenti tra politico e imprenditore. Si tratta di tradimento: la posta è la dissoluzione del paese.

 

Dissoluzione che passa per la spoliazione dei popoli del terzo mondo, destinati a inondare i paesi europei. Purtroppo, avendo i Benetton perpetrato la spoliazione in Argentina, l’unico sbocco è la decimazione dei Mapuche. A meno che, da grandi costruttori di ponti non ne facciano uno attraverso l’Atlantico.

 

Ci sarebbe parecchio da dissertare sulla simbologia dei ponti, che molto spesso erano opere militari (famoso un ponte che Cesare costruì in tempi brevissimi, tempi che un reparto di genieri moderni ha tentato invano di uguagliare). I ponti romani che resistono impavidi in tutto il mondo erano strumenti di invasione e di controllo dei popoli sottomessi, salvo poi divenire un ausilio alle invasioni barbariche. Ma torniamo ai ponti ideali.

 

Da trentacinque anni Benetton si occupa di colori. Della pelle. E’ del 1984 l’allusione, innocente, carina, che i mille colori dei maglioncini possano accostarsi ai tanti ‘colori’ dei ragazzi che nel mondo li acquistano. Già l’anno dopo il colore della pelle diventa centrale nelle immagini, ma siamo ancora a un buonismo da sillabario. Di cinque anni dopo è la foto della nutrice nera con neonato bianco. Nel 1991 lo scatto con angioletto bianco e diavoletto nero, deliziosi ma accusati di razzismo (è il boomerang dell’antirazzista, che dà eccessiva importanza al colore delle pelle, proprio come il razzista). Nel 1996 ci viene regalato “uno dei manifesti più belli della serie: il cavallo nero che monta una giumenta bianca. Sfondo limbo, animali scontornati, solo una striscia di sabbia bianca sotto gli zoccoli: impatto impressionante”. L’entusiasmo non è mio, ovviamente: trattasi del delirio di uno specialista della comunicazione. L’allusione allo stallone nero è greve e razzista ma anche profetica.

 

Dopo qualche anno di campagne incentrate su buoni propositi universalmente accettabili (ai quali non poteva mancare l’omofilia) nel 2011 parte una galleria di baci sulla bocca tra i leader del pianeta. Non più bimbi, adolescenti, persone comuni, ma Obama e Hugo Chávez, Benedetto XVI e Ahmed el Tayyeb, Mahmoud Abbas e Benjamin Netanyahu. Uniti al precedente scatto del nudo di Eva Robin’s, icona gender, veicolano un messaggio non troppo subliminale: la pace non può che passare per le unioni omosessuali. La coppia sterile è il futuro che si vuole imporre. Il genere indistinto, l’androgino chiuso in se stesso è il vertice dell’umanità. I colori di Benetton si dispongono ordinatamente nell’arcobaleno

 

Ed eccoci al manifesto pro immigrazione. Non più soltanto generica fraternità tra individui diversamente colorati ma esplicito riferimento alla meritoria opera delle ONG, esaltazione degli incursori in barcone. La cui destinazione finale è il mondo illustrato dall’ultima campagna, Nudi come, riferimento grottesco a un vago immaginario cattolico su Francesco ma anche pretesa un po’ tardiva di un Eden senza vergogna: nove ragazzini nudi che si abbracciano ma sembrano stipati, messi vicini a forza; soggetti anoressici, effemminati i maschi, prive di sensualità le femmine; tristi superfici di pelle bianca, ebano o gialla pronta a stingersi – come scriveva Paola Belletti su Aleteia – in un unico grigio fango. Una desolata pianura dove tutte le identità sono livellate fino al suolo. Non si saprebbe che fare, dove andare, per cosa battersi, chi amare in questo mondo distopico. Gli ‘accolti’, non indottrinati da decenni di politicamente correttissime trasmissioni tv e copertine de l’Espresso, sapranno bene invece per cosa e come battersi.

 

Subito dopo il crollo Toscani ha smesso di attaccare manifesti per vestire i panni di tecnico ANAS: “Ho sempre sentito che quel ponte era tenuto a un livello altissimo di qualità. Non sono un tecnico, ma ho sempre sentito che era seguito con dei parametri molto più ampi della media europea”. Negare ogni evidenza, sfacciatamente. E’ questo la loro mission. Lui ha “sentito”. Crede nelle Voci.

 

I ponti virtuali, quelli che i Maletton di tutto il pianeta apprestano sollecitamente, non sono soggetti a collaudi e ispezioni. Si ergono fieramente nell’orizzonte utopico, eterni, incrollabili. Ma anche da quelli precipitano corpi. Il miraggio che lorsignori hanno fatto balenare in Africa (degno del Collodi: la strada per il paese dei Balocchi che dopo una parentesi di pacchia si dirama infine nei sentieri dell’illegalità o della schiavitù) comporta la discesa negli abissi di centinaia di illusi, i più deboli. Difficile però inchiodare alle loro responsabilità i costruttori di ologrammi. Si può sperare di inchiodarli solo per i ponti reali. I ponti corrosi di questa Italia lasciata andare in malora. Tanto quelli che contano, i falsi pontefici, sono ben protetti dal Muro di Capalbio.

 

Negli anni ’90 il capo della pubblicità di Benetton contattò lo scrittore Tim Parks, l’inglese tifoso del Verona, per una collaborazione pubblicitaria. Restio ad associarsi al team che “si fa un dovere di scovare oggetti di compassione”, il romanziere riportava le parole che Roberto Calasso, ne La rovina di Kasch, aveva dedicato al marchese di Lafayette, eroe delle democrazie, il quale, sempre a caccia di popolarità, assumeva d’istinto la posa esemplare: da allora in poi “chi vuole il bene dell’uomo avrà dell’uomo un’immagine grossolanamente imprecisa, bonaria, ottusa, enfatica”. Diffidente verso il samaritano con la Nikon Parks continuava: “Com’è brava la televisione a mediare tra il mondo concreto delle persone che possiamo toccare e l’innocua astrazione del genere umano! Quei rifugiati sono persone reali ma non puzzano, non mendicano, non replicano mai. Che vicini ideali!”

Convinto dai dieci milioni del compenso Parks finì per collaborare a un progetto su Corleone e la mafia, vedendosi recapitare, sotto Natale, un pullover Benetton. Al primo abbraccio della figlia venne fuori un buco nella cucitura. “Forse – commentava lo scrittore – nell’interesse del genere umano, questo è un problema al quale Luciano Benetton farebbe bene a dedicare un po’ di attenzione”. Ora conosciamo altre cuciture alle quali Luciano ha dedicato poca attenzione.

https://eliopaoloni.jimdo.com/

costruttori di ponti, di Giuseppe Germinario

https://italiaeilmondo.com/2018/08/17/i-meriti-del-governo-conte_-le-implicazione-della-tragedia-del-crollo-del-ponte-morandi-a-genova/

Ho conosciuto la Treviso dei Benetton negli anni ’80. La famiglia godeva di grande prestigio e rispetto tra la gente. Era uno dei gruppi imprenditoriali che stavano guidando lo sviluppo vorticoso di una regione proprio quando il triangolo industriale del nord-ovest stava avviando un drastico processo di riorganizzazione e riduzione delle concentrazioni industriali, ma anche un allarmante ridimensionamento ed impoverimento dei più grandi gruppi. Quella famiglia riuscì a creare nuovi stabilimenti manifatturieri, ma anche una rete impressionante di lavoro a domicilio e decentrato che coinvolgeva decine di migliaia di veneti. Gli occhi più attenti colsero in quelle dinamiche i primi segni di un declino complessivo della qualità della produzione industriale e del peso delle industrie strategiche nonché le basi di uno sviluppo industriale alternativo fondato sulla precarizzazione e su una catena di valore meno significativa che comunque favoriva lo sviluppo di quella regione rispetto alle altre. Riuscì, assieme ad altre, pertanto a dare un grande impulso alla diffusione di una imprenditoria piccola e polverizzata fondata su elevati redditi famigliari tratti da attività ibride nella piccola agricoltura, da un assistenzialismo fondato su pensioni ed indennità concesse a man bassa, su lavori a domicilio e in fabbrica e su una sapiente politica creditizia delle banche popolari, rafforzate da rimesse e rendite provenienti soprattutto dalle estrazioni dalle cave. Il livello di organizzazione gestionale ed industriale di gran parte di quelle attività era letteralmente penoso ed infatti cominciò a scremare e declinare paurosamente già dalla fine degli anni ’90. Gli stessi Benetton, assieme a tantissimi imprenditori, iniziarono a trasferire massicciamente all’estero l’attività manifatturiera oltre a garantirsi il controllo di buona parte delle materie prime, la lana in particolare, con l’acquisto di centinaia di migliaia di ettari di terreno, soprattutto demaniale, in Argentina. Fu un colpo al prestigio popolare della famiglia. I Benetton riuscirono comunque a salvaguardare una aura potente di illuminati con un sapiente mecenatismo ed una grande capacità di comunicazione fondata su paradossi e su un concetto elementare di fratellanza universale tra diversi complementari alla diversità di colori e modelli delle proprie linee di abbigliamento. Quella comunicazione non era un mero involucro vuoto e artefatto. I pochi esterni che hanno avuto la fortuna di visitare i laboratori nei sotterranei del centro direzionale nei pressi di Preganziol rimanevano colpiti dal fervore e dall’entusiasmo, dalla creatività che sprigionava quell’ambiente e si trasmetteva anche alle istituzioni culturali e accademiche sino ai primi anni del 2000. Fu una delle basi della creazione dell’attuale intellighenzia, oggi così smarrita e autoreferenziale. La svolta definitiva in rentier e percettori di rendite avvenne con la privatizzazione delle concessioni pubbliche, per i Benetton nella fattispecie di quelle autostradali. Le motivazioni potevano avere una loro fondatezza nel tentativo di introdurre criteri privatistici nella gestione dei servizi che innescassero innovazione, organizzazione e controllo dei costi. La fede nelle virtù innate delle attività imprenditoriali e delle dinamiche di mercato condusse invece alla trasformazione della quasi totalità della grande imprenditoria privata superstite in tagliatori di cedole proprie e per conto terzi della peggiore risma. Un connubio tutto politico, sottolineo politico che creò l’attuale classe dirigente responsabile nei vari livelli del progressivo e disastroso declino del paese accelleratosi già a metà degli anni ’90. Quel mecenatismo e quell’illuminismo si rivelò di pari passo sempre più un involucro artefatto e cinico proprio di un ceto decadente e parassita, avulso.

Mi ha subito sorpreso la apatica, grottesca, manifesta indifferenza dei Benetton a ridosso della tragedia.

Con quegli antefatti e a mente più fredda, ad una settimana dalla tragedia del crollo del ponte, riesco a spiegarmi la rozzezza e l’impaccio impressionanti manifestati dai comunicatori della Società Autostrade e dalla famiglia Benetton.

I nostri illuminati purtroppo non sono soli nella loro mediocrità.

Il cardinale Bagnasco, nella scialba e anodina gestione dell’intera liturgia che ha regolato la cerimonia funebre ha raggiunto l’apoteosi del peggio nell’omelia, con la sua involontaria macabra ironia sui “ponti la cui funzione è solcare il vuoto e condurre a nuova vita le anime”. Ci ha pensato, paradossalmente, l’orazione dell’imam, nel suo italiano fortunatamente approssimativo, a ridare qualche goccia di ottimismo e qualche prospettiva di giustizia alla folla presente nella cerimonia. E’ stato, di conseguenza l’unico, tra i religiosi, ha ricevere applausi sinceri dagli astanti.

I Benetton, però e i loro accoliti hanno saputo fare di peggio nella loro freddezza, aridità d’animo, intempestività e mancanza pressoché assoluta della virtù fondamentale dei potenti in debito di autorevolezza: l’ipocrisia! Hanno dato il meglio della loro debolezza e del loro arroccamento sordo: la cieca arroganza!

Con le vittime appena incastrate tra le macerie hanno pontificato sulla necessità di accertare le responsabilità prima di ogni azione. Sollecitate una prima volta da Salvini a collaborare, hanno bontà loro sottolineato di aver concesso il passaggio gratuito delle ambulanze sull’autostrada; sollecitati ancora una volta dallo stesso Ministro a dare un segno di vicinanza ai familiari delle vittime, a qualche giorno di distanza hanno porto le condoglianze secondo lo stile proprio di un telegramma di convenevoli a un caro estinto; ulteriormente spinti a dare un qualche segnale di sostegno alla città, agli sfollati e alle vittime, anziché usare la discrezione e annunciare l’intenzione di contattare gli interessati e le istituzioni per concordare le modalità e l’entità del sostegno hanno strombazzato da parvenu ai quattro venti lo stanziamento di 500 milioni di euri. Badate bene! I due ultimi atti di comprensione umana sono scaturiti dai loro cuori solo dopo aver affidato a consulenti esterni la gestione della comunicazione, probabilmente con qualche sofferenza del cuore stesso posto troppo vicino al portafogli.

L’allucinante sordità di questo brandello emblematico di classe dirigente è stata purtroppo parzialmente offuscata dalla dabbenaggine comunicativa e dall’improvvisazione emotiva delle reazioni di alcuni ministri, in particolare di Di Maio, il quale fatica ad esibire il freddo aplomb istituzionale nelle risposte, nelle reazioni e nei sentimenti. Per il resto ad amplificare la “defaillance” dei manager e padroni ci sta pensando da par suo l’isterica reazione e difesa delle loro prerogative e dei loro comportamenti da parte dei dirigenti più esagitati e gretti del PD.

I baldi difensori dovrebbero meritare una amorevole attenzione a parte in proposito.

In un modo o nell’altro i costruttori di ponti di fratellanza in una umanità unita dall’ottimismo pubblicitario rischiano di cadere sulla cattiva costruzione e manutenzione di un ponte in cemento armato.

NUOVI COSTRUTTORI DI PONTI

In crisi un costruttore di ponti, ne viene fuori un altro. Questa volta si tratta di ponti galleggianti.

In queste ore la nave della Guardia Costiera “Diciotti” ha raccolto aspiranti immigrati da un barcone in Mediterraneo, adducendo una richiesta di soccorso. Il Governo di Malta, le cui motovedette stavano accompagnando il barcone, ha smentito tale richiesta e rincarato la dose affermando che i naviganti avevano rifiutato la loro offerta di soccorso essendo al sicuro sul loro mezzo. L’ammiraglio Pettorino, comandante della guardia costiera di nomina Gentiloni, ha coperto il comportamento della nave; i Ministri della Difesa, Trenta e degli Esteri Moavero hanno coperto senza smentita e con ogni evidenza l’ammiraglio Pettorino. L’obbiettivo è mettere in imbarazzo e ridicolizzare Salvini e le componenti politicamente più autonome del Governo. Attendiamo lumi da Mattarella. La Diciotti è stata artefice di un gesto analogo un paio di mesi fa. I Comandi della Marina Militare, meno di due anni fa, di fronte alle intenzioni di bloccare le partenze degli scafisti e i salvataggi in prossimità delle acque libiche ribadirono la loro intenzione di proseguire comunque con i salvataggi. Una Repubblica nella Repubblica. È tempo di fare pulizia nel Governo e nelle Pubbliche Amministrazioni. In autunno si annunciano tempeste e provocazioni pesanti. Difficilmente si riuscirà a sostenere la barra guardandosi nel contempo da nemici e da “amici”.

Buona fortuna agli italiani!

I CURDI: UN POPOLO CONTROTENDENZA, di Antonio de Martini

I CURDI: UN POPOLO CONTROTENDENZA

I Curdi non hanno mai avuto uno stato, perché non l’hanno mai voluto.
Sono nomadi e grazie al nomadismo difendono il loro stile di vita.
Quando vessati, emigrano in uno dei quattro stati di cui occupano una porzione ( Iran, Irak, Siria e Turchia).

Il nomadismo, ne ha spinte frazioni fin verso est – in Armenia- e ovest – in Libano.
Nessuno sa quanti siano, ma tutti si sbizzarriscono a dare i numeri che variano da 15 a 30 milioni a seconda della convenienza politica dei valutatori.

Il crocevia del vicino oriente si trova a est della Mesopotamia ed è abitato nell’altipiano dai curdi.
Vengono definiti ” una popolazione Indo europea” che vuol dire che non sono semiti come gli arabi e gli ebrei.

Quando il XIX secolo e la scoperta del petrolio incitarono gli europei al ” divide et impera” , furono scoperti e valorizzati dai tedeschi prima, dai russi poi ed infine dagli israeliani – in cerca di appoggi anti arabi.

Fatalmente se ne interessarono gli americani.

La tecnica è sempre la stessa: vivendo di preda, come ogni nomade che si rispetti, si lasciamo volentieri armare, sono bravi combattenti e appoggiano ogni causa che possa dare gloria e guadagno.

Iil più grosso sforzo per sedentarizzarli lo fece lo Scià Reza, padre dell’ultimo regnante di Persia, ma la possibilità di spostarsi in uno dei paesi vicini, li ha sempre protetti.

A turno hanno combattuto contro ognuno dei paesi ospitanti. Contro i turchi, paese NATO su commissione dell’URSS . Resta il ricordo del vecchio El Barzani che girava il paese ( nella zona persiana) nel 1944 in uniforme da generale sovietico.

Hanno ripreso le armi contro i turchi, ma su mandato siriano, quando la Turchia varò il piano agricolo dell’est costruendo molte dighe ( 30) minacciando di ridurre oltre il 40% del gettito dell’Eufrate.

Il rapporto con gli israeliani, iniziato in funzione anti irachena ed ereditato poi dagli USA ha prodotto anche cocenti delusioni per via degli stop and go ( specie nel 1991) e dei finanziamenti a singhiozzo che seguivano l’andrivieni degli interessi USA.

Una qualche stabilità sembra essere stata trovata
grazie alla lunghezza del conflitto siriano e della riluttanza israeliana e americana a intervenire direttamente con truppe proprie.

Attualmente, il paese con cui sono in pace è l’Iran col quale dividono la struttura della lingua, benché – secondo la narrativa USA dovrebbero essere in frizione in quanto sunniti, quello col quale brigano per ottenere ” l’indipendenza” ( o forse una forma di autonomia molto spinta) è l’Irak. Su questo tema, il 25 settembre prossimo terranno un referendum.

Con i turchi esiste un residuo di guerra ex URSS gestito dal PKK ( partito curdo dei lavoratori) e da Abdullah Ocalan che tutti conosciamo per essere stato consegnato ai turchi da un altro avanzo del comunismo questa volta italiano. La nuova guerra anti turca si svolge sotto le mentite spoglie della guerra all’ISIS, in realtà si disputano i villaggi di frontiera siriani.

Coi siriani esiste uno stato di pace, di guerra e di cooperazione ad un tempo: cooperano per difendere i villaggi curdi dall’ISIS e dai turchi che cercano di penetrare in territori siriani. Cooperano anche con gli USA per mantenere viva la leggenda dell’esercito libero siriano.

Non si tratta di incoerenza, bensì di residui di lealtà personale acquisiti negli anni dai vari capi clan. Coi siriani ci si arrangia comunque. Coi turchi, no.

Su tutti troneggiano le due famiglie egemoni da sempre: i Talabani che dominano la capitale Sulmenya e i Barzani che comandano a Erbil.

Il presidente iracheno è Talabani che come presidente della Repubblica deve difendere l’unità del paese e come Talabani, l’indipendenza del kurdistan.

La chiave di lettura della intera vicenda è che i curdi, in realtà detestano il centralismo e lo combattono. Loro stanno sugli altopiani e gli arabi in pianura. Perché obbedirgli?

Crediamo che combattano per la democrazia, sconosciuta da queste parti, e ci stanno simpatici perché le foto delle soldatesse curde sono tutte belle.

Sfido, sono modelle israeliane per la propaganda pagata dallo zio Sam.

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