Soleimani e il futuro del nostro paese, di Massimo Morigi

L’uccisione del generale iraniano Qasem Soleimani orgogliosamente rivendicata dal presidente degli Stati uniti Donald Trump è l’atto storico che pone, anche agli occhi dei più stolti, fine all’Alleanza atlantica intesa come organizzazione di difesa collettiva, collocandola definitivamente nel novero della strutture politico-militari più pericolose e foriere di guerre e terrorismo per gli anni a venire. In questo procurato pericolo da parte dell’Alleanza atlantica, l’Italia è il paese, per ovvie ragioni che non è necessario qui ricapitolare, che rischia maggiormente la sua stessa sopravvivenza non solo come entità politica ma anche sotto l’aspetto della vita dei suoi cittadini. In questi ultimi anni si è parlato, spesso a sproposito, di sovranismo e delle c.d. forze politiche che a quest’idea si ispirerebbero. Dalle prime reazioni di queste forze, è di tutta evidenza che esse hanno strumentalizzato la legittima pulsione degli italiani  non solo ad una maggiore dignità internazionale ma, ancor più importante, alla prospettiva dell’esistenza nei prossimi decenni di una entità politica nazionale e al conseguente diritto degli italiani di non essere biologicamente annientati in future guerre di cui tutto si può dire tranne che verranno combattute per difendere i loro interessi politico-biologici. Concludendo: l’assassinio  del generale iraniano Qasem Soleimani ad opera degli Stati uniti, proprio per la sua natura puramente terroristica e del tutto indifferente ai legittimi interessi dei paesi che un tempo facevano parte del blocco occidentale, è storicamente un atto altamente positivo perché mette tutti di fronte alle proprie responsabilità. A quanto pare in Italia nessuna forza politica organizzata vuole affrontarle cominciando ad impostare un discorso pubblico improntato ad una progressiva neutralità del nostro Paese. Saremmo però molto contenti di essere smentiti e, a questo scopo, è necessario andare a stanare coloro che nel c.d. campo sovranista pur non pronunciandosi con la chiarezza necessaria, non hanno nemmeno abbracciato toto corde la deriva suicida che parte dall’assassinio di Qasem Soleimani. E sul giudizio su questo assassinio e sulla auspicabile, perché da questa decisione dipende la vita della nostra nazione come dei suoi cittadini, progressiva neutralità dell’Italia, invitiamo tutti coloro che hanno dato il loro consenso e voto alle c.d. forze sovraniste ad esprimersi pubblicamente e a porre a queste forze gli stessi ragionamenti ed ammonimenti che, se fatti propri da queste forze, consentirebbero veramente di dire che in Italia il sovranismo non solo è qualcosa di serio ma, ancor più importante, l’unica prospettiva di vita collettiva ed individuale per gli italiani

PS

Quello che mai ci saremmo mai  immaginati, nemmeno nel più sgangherato ed antiamericano racconto di fantapolitica,  è avvenuto: Donald Trump minaccia di bombardare siti culturali iraniani. Si tratta della minaccia di un crimine di guerra che  nemmeno i nazisti osarono mai pronunciare pubblicamente. Il tweet della minaccia del presidente degli Stati uniti è all’URL  https://twitter.com/realDonaldTrump/status/1213593975732527112 e, vista l’importanza della storica dichiarazione che degrada il presidente statunitense al livello di un al Baghdadi fra i cui divertimenti, oltre agli eccidi di massa, era, appunto, ordinare la distruzione di monumenti, abbiamo congelato l’URL di questa lugubre uscita tramite Wayback Machine e abbiamo così generato l’URL https://web.archive.org/web/20200105185413/https:/twitter.com/realDonaldTrump/status/1213593975732527112. Non ci sarebbe altro da aggiungere, ma per amore del nostro paese (che, fra l’altro, ha in sorte di essere la prima potenza mondiale per quanto riguarda i beni culturali che ci ha lasciato in eredità la nostra multimillenaria storia), ribadiamo ancora una volta l’imperativo che deve animare tutti coloro che mantengono un briciolo d’amore per questa terra e per i suoi abitanti: graduale ma anche  senza indugi fuoruscita dall’Alleanza atlantica nel quadro di una vigilante neutralità che, non facendo sconti a nessun vecchio idola fori ereditato dal secondo dopoguerra ed animata da un sodo realismo politico, guardi solo ed unicamente all’interesse nazionale. A meno che non si voglia essere schiavi (e future vittime) di questo od altro  novello al Baghdadi in  barbarica versione militar-tecno-atlantica. Massimo Morigi – 5 gennaio 2019

https://twitter.com/realDonaldTrump/status/1213593975732527112

Wayback machine: https://web.archive.org/web/20200105185413/https:/twitter.com/realDonaldTrump/status/1213593975732527112

SOLEIMANI_DEI FATTI E DELLE INTERPRETAZIONI, di Pierluigi Fagan

DEI FATTI E DELLE INTERPRETAZIONI. Al solito, il volume dei commenti, analisi, interpretazioni dell’attentato americano al generale iraniano in Iraq, supera di molti gradi la manciata risicata dei fatti noti. Ieri ho seguito lunghe dirette televisive su i canali -all news-, oltre ovviamente ad aver dragato nel mondo della stampa e dell’on line. I punti più interessanti da qui riportare mi sembrano tre.

1) Si sta formando un consenso interpretativo maggioritario basato soprattutto sulle idee di chi sa più fatti di altri, sul fatto che la posta immediatamente in gioco sia l’Iraq. Non potendo più contare sulla piena agibilità delle basi in Turchia, gli americani avrebbero cominciato a trasferirsi in parte in Iraq. Soluemani, aveva individuato proprio l’Iraq come terreno di contesa. Molti fatti poco seguiti da chi non si occupa di queste cose, ma è sempre pronto a farci sapere la sua opinione quando qualche botto risveglia la sua assopita attenzione, confermerebbero questa lettura. La questione è troppo complicata per esser qui riassunta, indico solo il tema e do due riferimenti, Negri e NYT. Sul M.O. Alberto Negri indubbiamente sa più fatti di chiunque altro in Italia, fatti reperiti in loco e per decenni e non desunti dalla poltrona di casa scorrendo ieri tre articoli a caso. NYT è sempre indicatore del consenso di certe letture americane provenienti da ambienti meglio informati di chiunque altro.

2) C’è chi ha notato l’insistere ieri di Trump ed in parte Pompeo, sul fatto che: a) forse non poi così tanti, nello stesso Iran oltre che in Iraq, sarebbero stati sinceramente dispiaciuti della scomparsa di Soleimani; b) l’Iran sa che militarmente, in un confronto diretto con gli USA, non andrebbe da nessuna parte (tra droni, missili, aerei e satelliti, nelle prime quattro ore di eventuale conflitto diretto, gli USA possono incenerirti facendo danni molto più decisivi di quelli che tu puoi far loro). Perché allora non accettare l’offerta di ridiscutere l’accordo che Trump ha rimesso in discussione perché fatto da Obama? A dire che Soleimani era il capo del deep state iraniano che come ogni deep state a base di “complesso militar-industriale” vive letteralmente di conflitto. Dato il peso che questo deep state ha negli equilibri interni iraniani, far fuori il suo capo è oggettivamente indebolirlo, il che potrebbe avvantaggiare l’ala più aperta all’ipotetica ripresa della trattativa. Non so se è wishful thinking, ho sentito ripetere l’ipotesi da rappresentanti di aree altrettanto ben informate, ma che lo siano davvero o solo pensino di esserlo, non so dire. Quando si tratta di questioni interne all’Iran, non so dire chi effettivamente ha le informazioni complete, incluse CIa e Mossad.

3) Si nota un diffuso limite analitico tipico delle partizioni che le specializzazioni del lavoro producono. Chi segue politica estera non s’intende di politica interna e viceversa. Ma il presidente degli Stati Uniti, ogni giorno, ha sul tavolo problemi dell’uno e dell’altro, oltre a quelli economici e sociali, quindi quando prende una decisione lo fa non con quello che ha testa l’esperto del parziale ma con quello che riguarda la sua funzione, che è generale. Viepiù se deve andare ad elezioni tra pochi mesi e sa di esser stato eletto con meno voti dell’avversario, grazie a stati in cui si era presentato come protettore dell’industria e potenziale investitore pubblico (promesse che ha mantenuto solo in parte, la seconda per niente), dopo quattro anni in cui la sua notorietà e consenso ecumenico non si è certo allargato. In più è sotto impeachment e se non dovesse esser rieletto perdendo l’immunità, oltretutto anche preda di possibili persecuzioni amministrative e fiscali. Sul piano personale poi, certo a nessun presidente piace non esser riconfermato per il secondo mandato (una manciata su i 44 presenti in lista), ma per il profilo psichico di Trump sarebbe una vera e propria catastrofe psicotica. A parte il gruppo di interesse che lo sostiene, poco propenso a farsi da parte. Quindi, quando Trump ha dato l’ordine tocca ricostruire cosa aveva in testa lui, non quello che abbiamo in testa noi.

L’ampio ventaglio del possibile si amplierà geometricamente fintanto che non avremo la reazione iraniana che ieri ha precisato avverrà “a luogo e tempo debito”. Come detto ieri, anche gli iraniani hanno tre punti da considerare: 1) il messaggio da dare internamente alla nazione divisa politicamente e con recenti manifestazioni represse con molta decisione (difficile aver certezza dei numeri ma il numero dei morti ammazzati non sembra del tipo “c’è scappato il colpo”, quindi il problema c’è ed è bello grosso); 2) il messaggio da dare all’intricata rete delle penetrazioni d’influenza iraniane negli ambienti sciiti della regione (Siria, Libano, Yemen, Iraq ma ricordo che gli abitanti del Bahrein sono in maggioranza sciiti sebbene il monarca sia sunnita filo-saudita e anche la zona dei pozzi sauditi è a forte presenza sciita); 3) più forse che l’America in senso generale, cercar di colpire dove posa far più male proprio a Trump perché altri quattro anni di Trump sarebbero una sciagura e poiché Trump va ad elezioni, “tempo e luogo” forse va interpretato in questo senso. Se l’Iran è diviso, lo sono anche gli Stati Uniti, quindi quella che sembra una partita a due, in realtà è a quattro.

Ricordo infine il quadro strategico a più ampia inquadratura spazio-temporale della questione iraniana. Oltre al ruolo geopolitico regionale (sciiti-sunniti, Siria-Russia-Turchia) e mondiale (in riferimento all’Asia, quindi India, Cina e non solo), c’è il problema della continuità territoriale Iran-Iraq-Siria per il famoso piano delle condotte che possano trasportare il gas del più grande giacimento scoperto sino ad oggi, il North Dome/South Pars del Golfo Persico che gli iraniani hanno in condominio amichevole col Qatar -alleato della Turchia nello scacchiere-, nel Mediterraneo. A suo tempo, c’era chi poneva questa questione a base di tutta la storia iniziata con Stato islamico e guerra siriana. Questo confermerebbe l’importanza del primo punto, condizionato dagli sviluppi del secondo, tenuto conto del terzo. Aspettiamo quindi “tempo e luogo” e capiremo meglio l’entità ed il possibile esito del gioco.

[L’immagine fotografava la faccenda citata in chiusura del post all’inizio della guerra siriana. Oggi, il Qatar esporterebbe tramite l’ipotetica pipeline iraniana. Infine, la condotta ipotetica potrebbe anche passare in Libano facendo di Hezbollah il gruppo più influente in loco.La legenda è quindi superata da altri assetti/alleanze. Per gli amanti del cappa e spada a cui sfuggono le contorsioni della realtà, evidenzio che ai russi non farebbe piacere avere una condotta concorrente che sfocia nel Mediterraneo, ovviamente men che meno ad Israele, Arabia Saudita, EAU, Kuwait]

NEGRI: https://www.radioradicale.it/…/iraq-gli-usa-uccidono-il-gen…

NYT: https://www.nytimes.com/…/01/03/wo…/middleeast/us-iraq.html…

dollari e dispetti, di Antonio de Martini

FINALMENTE SOLI ( dollari e dispetti)

Uno dei primi provvedimenti presi dal famoso Ayatullah Khomeiny non appena giunto al potere, fu di dichiarare “ empia” l’energia nucleare con una “ fatwa” e chiedere alla Francia la restituzione di un miliardo di dollari sborsati dallo Scià, Reza Palhavi, per dotarsi di un armamento nucleare.

Al diniego francese, fece seguito un confronto, segreto e asprissimo , a colpi di morti e attentati reciproci fino a che un attacco dinamitardo al corpo di spedizione francese a Beirut (1982) uccise 34 militari francesi e furono presi ostaggi che la Francia dovette riscattare grazie ai buoni uffici di un certo Ghorbanifar che rincontreremo.

Si decise poi un accordo globale.

Si transò sulla base di settecento milioni di dollari avendo l’Iran riconosciuto un cospicuo “ forfait” per le spese già sostenute dai francesi.

Il secondo scontro tra l’Iran governato dai clericali e un paese occidentale fu con gli USA.
400 “ studenti” assaltarono l’ambasciata USA a Teheran , tennero in ostaggio per un annetto una cinquantina di impiegati statunitensi e, sopratutto si impossessarono dei documenti riservati , nomi dei confidenti , cifrari, rapporti ecc.

Un tentativo di liberare gli ostaggi manu militari naufragò miseramente – senza alcun intervento iraniano- per uno scontro tra due degli elicotteri che avrebbero dovuto intervenire : otto morti ( forse più , non ricordo bene) e l’affondamento della ricandidatura di Carter che cedette il passo a Ronald Reagan.

Gli ayatullah, trombato Carter, rilasciarono gli ostaggi in segno di rispetto per il nuovo presidente.

L’obbiettivo di smantellare la rete USA in Iran, era raggiunto.

Da questo passo, nacque una stramba e ambigua collaborazione.

Un mercante d’armi ex iraniano che faceva la spia volentieri e ad un tempo per Iran, Israele, i francesi e gli americani – Manucher Ghorbanifar- propose di aiutare Reagan a finanziare i ribelli Contras ( Centro America) cui il Congresso aveva tagliato i fondi: vendere armi agli iraniani ( in guerra con l’Irak istigato dagli USA) e usare i fondi neri così ricavati per aggirare il veto del Congresso.

700 missili tattici passarono così di mano col prezzo gonfiato dalle commissioni accantonate per la CIA, il Mossad e , ovviamente Ghorbanifar.

Idem, l’ho già descritto, il duplice furto dei quadri di Modigliani dall’accademia di Brera commissionato dal Colonnello Oliver North per pagare un mercante d’armi siriano residente in USA. La “ merce” passò in Svizzera e da lì , col corriere diplomatico, a Washington.

Il rapporto USA-Iran prosegue così tra contrasti ufficiali e sordidi business che arricchiscono gli intermediari : la guerra di Siria, l’embargo petrolifero che in realtà viene commercializzato da Turchia e Israele; la vicenda nucleare coi tedeschi oggi. Dispetti e dollari.

Dopo Carter, ecco apparire in scena un altro deficiente che cerca motivi di candidatura usando la forza all’estero.

Questa da me descritta è l’atmosfera in cui è maturato l’assassinio di un plenipotenziario accreditato presso il governo americano.

Dopo la grande autosconfitta di Carter ecco quella di Trump: il cadavere di Suleimani vale più di una grande battaglia persa dagli USA.

Con la prima gli USA persero l’Iran. Con questa hanno perso l’Irak e paralizzato l’operazione “ primavere bis” in Libano dove le manifestazioni vedrete che cesseranno.

Patetiche le giustificazioni a posteriori del grassoccio Pompeo che non riesce a incassare nemmeno una dichiarazione di sostegno dalla Unione Europea.
Da Boris Cameron un silenzio più eloquente di una condanna, Israele si sta defilando per timore di vedersi presentare il conto. Erdogan condannerà di certo.

Nancy Pelosi – che presiede la Camera dei Rappresentanti USA, ha condannato chiaramente l’accaduto.
Il solo plauso incondizionato è venuto da tale Salvini che cinque anni fa descrissi su questa colonna con “ in un paese serio questo signore potrebbe al massimo fare il rappresentante di una ditta di preservativi”.
Confermo.

DELITTO COMUNE

Devo dire che ha ragione Giorgio Passardi a pensare che in Iran ci sia anche chi ha emesso un sospiro di sollievo alla notizia dell’assassinio di Suleimani.

L’opposizione laica lo avrebbe certamente preferito ai preti, anche ( o meglio proprio) se non si trattava di un militare a 18 carati.

Aveva però costeggiato i militari doc, condiviso i metodi di ricerca operativa tipici degli Stati Maggiori, visto il mondo e studiato usi e costumi sia dei vicini arabi che degli anglosassoni .

Aveva l’età giusta per entrare in politica e la notorietà per affrontare con successo una elezione in un paese con forte percentuale di analfabetismo.

A suo confronto Rouhani sarebbe apparso come un pretonzolo e Ahmadinejad come un giovinastro litigioso è inaffidabile.

Il candidato ideale per il regime change auspicato, a parole, da tutti.
In realtà l’idea di vederlo al potere e dover normalizzare i rapporti deve essere sembrata intollerabile a Israele, agli USA e ai mullah.
Ecco una base di intesa solida per mantenere lo statu quo.
Un pactum sceleris. In inglese un win-win

COMMENTO DI GABRIELE PASTRELLO

CHISSA’? 1) NON CREDO DA QUELLO CHE SI LEGGE CHE SULEIMANI FOSSE SOSTITUIBILE. E’ STATA L’EMINENZA GRIGIA IRANIANA NEL MEDIORIENTE PER VENT’ANNI DI FILA. CERTO SI RIEMPIE LA CASELLA. MA SOLO QUELLO. E QUINDI QUESTA PERDITA COSTITUISCE UN ELEMENTO DI DEBOLEZZA PER L’IRAN, 2) LA MOSSA ROMPE DELLE CONVENZIONI CONSOLIDATE E QUINDI APPARE MOLTO RISCHIOSA. 3) MA D’ALTRA PARTE COSA CI FACEVA SULEIMANI A BAGDAD. E’ PENSABILE CHE DOPO IL PRIMO ATTACCO ALL’AMBASCIATA USA LA CRISI FOSSE FINITA? DIREI DI NO. ERA STATA SOLO LA PRIMA MOSSA. E PER GESTIRE QUELLA PROBABILE ESCALATION CI VOLEVA SOLO UNO COME SULEIMANI IN GRADO DI CONTROLLARE LE REAZIONI SU TUTTO E RIPETO TUTTO LO SCACCHIERE. 4) SE COME PENSO SULEIMANI ERA A BAGDAD PER GESTIRE UN ATTACCO ALL’AMBASCIATA (CHE NEL CASO DEL 1979 FU UN COLPO MORTALE PER CARTER E I DEMOCRATICI, OLTRE CHE PER GLI USA, LE DATE COINCIDONO – 2019 L’ANNO PRIMA DELLE ELEZIONI. E NON DIMENTICHIAMO CHE L’IRAN FU MOLTO COOPERATIVO CON REAGAN DOPO LA CADUTA DI CARTER. SI POTREBBE IPOTIZZARE UN ATTEGGIAMENTO ANALOGO CON TRUMP E UN EVENTUALE PRESIDENTE DEMOCRATICO. RICORDANDO GLI ACCORDI CON OBAMA?) ALLORA FORSE L’ATTACCO DI TRUMP – OLTRE A PREVENIRE UN ATTACCO MORTALE ALLA SUA CANDIDATURA – FORSE HA ALZATO L’ASTICELLA TROPPO IN ALTO PER L’IRAN. 5) UNA COSA E’ ATTACCARE GLI USA FUORI DELL’IRAN CON UNA CRISI DIPLOMATICA IL CUI LIVELLO MILITARE E’ MOLTO BASSO, ALTRA COSA RISPONDERE MILITARMENTE ALL’ELIMINAZIONE DI UNO DEI NUMERI UNO DELLO STATO IRANIANO.

COMMENTO DI VINCENZO ZAMBONI

Il segretario di stato, il segretario alla difesa, il capo del Pentagono si sono presentati da Trump per “informarlo degli eventi militari delle ultime 72 ore”.
Che senso ha?
Il presidente è il capo delle forze armate, quindi deve sapere in anticipo cosa intende fare il suo esercito.
Sono andati ad informarlo a posteriori perché non lo sapeva?
– A quel punto si tiene una conferenza stampa sull’argomento.
Ma assieme ai tre visitatori manca il presidente: non partecipa.
Piuttosto strano: i vertici dello stato annunciano una importante azione militare, ma il capo dello stato e delle forze armate, benché contattato, non partecipa.
Anzi, proprio se ne va, volando in Florida.
– Sempre prodigo di commenti, Trump pubblica su twitter un post muto, con la sola bandiera americana.
Non ha noente da dire?
Probabilmente prende tempo, per elaborare la migiolre strategia politica da seguire.
– Alla fine Trump assume per buopna le versione del Pentagono, “su ordine del presidente”, ma distingue immediatamente tra Soleimani “terrorista” e popolo iraniano contro il quale “non vuole una guerra” (Ansa).
Come mai?
Ipotesi verosimile:
ha deciso di far sua l’azione per non evidenziare una spaccatura nello stato, ed ha messo le mani avanti per evitare che l’episodio degenri in una guerra, fortemente voluta dal deep state suo avversario politico.
Se Trump volese una guerra contro l’Iran non avrebbe bloccato all’ultimo momento quella del 2019, già pronta e in fase di avvio (è stata la quinta nuova guerra possibile bloccata sul nascere dal presidente).
Altre contraddizioni.
Molti esponenti dem USA hanno condannato l’omicidio di Soleimani come irresponsabile avventurismo di Trump.
Ma questa è pura polemica politica interna contro il presidente repubblicano.
Soleimani era nemico dei dem, in quanto alleato di Assad nella guerra contro le bande terroristiche in Siria, ed Assad è da molti anni nemico del deep state, che lo voleva eliminare.
Che Soleimani abbia combattuto a fianco di Assad non è certo una invenzione propagandistica, visto che lo stesso presidente siriano ha commemorato l’opera del generale nel salvare la Siria dalla destabilizzazione.
Quindi perché i dem condannano l’omicidio di un loro nemico?
Semplicemente perché tanto gli americani non sanno neanche chi fosse Soleimani, e l’occasione è ghiotta per polemizzare contro Trump.

UNO NESSUNO E CENTOMILA, di Antonio de Martini

UNO NESSUNO E CENTOMILA

É tipico di molti regimi a partito unico disporre di una milizia e l’Iran non ha fatto eccezione.

In genere si tratta di organizzazioni di tipo paramilitare con gradi, gerarchie, accademie, ma l’unico « ufficiale e gentiluomo » che si rivelô un eccellente stratega e condottiero, fu il generale, poi maresciallo , Hasso Von Manteufel dell’esercito, dopo però un rapido passaggio in giovinezza nelle famigerate SS, a riprova che la legge dell’eccezione é fondata, ma non si ripete.

Ad Amburgo, città tradizionalmente di sinistra i cui borgomastri diventavano Cancellieri come Helmuth Schmitt, la strada che porta all’Accademia militare si chiama Manteufelstrasse senza che nessuno abbia mai mosso obiezioni.

Non così il maggior generale Suleimani della « Kuds force » – o Quds – come si ostinano a scrivere gli americani.

Il suo ruolo era più assimilabile a quello di un plenipotenziario per gestire la prima collaborazione Irano-americana in funzione anti Daesch.

Gli USA, capito che in Irak non l’avrebbero mai spuntata senza la collaborazione degli sciiti, si erano rassegnati a far reclutare una « milizia popolare sciita » perché i sunniti – spodestati da Bremer- erano tutti avversari del nuovo regime.

Suleimani ebbe una funzione di « endorsement » della.campagna di reclutamento americana e di
amministratore dei rifornimenti di uomini ed armi, da gestire in maniera da perseguire ANCHE obbiettivi di influenza iraniana oltre che di caccia ai jihadisti.

Inizialmente fu apprezzato, intervistato, il suo ruolo ingigantito.
Gli iraniani ne dilatarono il ruolo anche per la Siria.

Gli USA resisi conto di essere stati giocati e che la “loro”, milizia guardava a Tehran, se la legarono al dito.

Suleimani non é stato ucciso perché fulmine di guerra, ma perché gli USA dopo avergli dato notorietà internazionale, avevano disperato bisogno di sbandierare una vittoria degna di ridorarne il blasone e hanno spacciato per escalation strategica una vendetta alla siciliana.

Cosa cambia nel vicino oriente ?

Un regime di teologi non ha uomini indispensabili. Elabora le strategie in modo corale. Altrimenti, dopo Khomeini sarebbero crollati.

Gli sciiti hanno una tradizione di sacrificio e obbedienza da quindici secoli. Sono nati da una sconfitta ( Kerbala) e dalla morte di tutti i loro capi.

Le sconfitte non li abbattono. Li esaltano.
Adesso hanno un martire in più in nome del quale immolarsi.

Gli USA hanno fatto come a Cassino. Non riuscendo a passare se la presero con l’Abbazia.
Adesso è lì e loro fingono non sia successo.

Intanto da Kabul a Gerba è iniziato il dibattito corale e segreto: come far sì che i giaour si pentano amaramente.

L’individuo eccezionale fa parte dell’immaginario anglosassone.
L’Islam è sociale. E segreto.

VANTAGGI E INCONVENIENTI

Il primo paese a fare dell’assassinio mirato dei capi avversari uno strumento sistematico è stato Israele.

Una serie di tiratori scelti , opportunamente appostati, uccidevano in maniera anonima i capi palestinesi durante le manifestazioni, spesso violente, in quel di Gaza.

L’idea era che , se si taglia la testa all’Idra, questa muore. Ma non l’Idra dalle cento teste, anche se ci provarono.

Arafat fu quasi certamente avvelenato, una incursione a Beirut eliminò alcuni dirigenti OLP e un’altra a Tunisi i quattro o cinque più influenti capi palestinesi del momento.

A Roma fu ucciso Adel Zwaiter che era riuscito a farsi ascoltare dal gruppo ESPRESSO diventando un concorrente pericoloso.

A Dubai un quintetto dotato di passaporti canadesi uccise un banchiere palestinese.
A Amman fu avvelenato in capo OLP , ma catturati gli autori, il governo Giordano li liberò in cambio dell’antidoto.

Intanto, l’arma strategica di trasformò in strumento di vendetta : i presunti autori della strage di Monaco ( squadra olimpica israeliana) furono uccisi qua e là in Europa, fino a che si rivolse l’arma anche all’interno.

Il generale Isaac Rabin, premier reo di negoziare la pace , fu ucciso durante un comizio e il processo di pace si arenò.

Da questi numerosi casi, possiamo cominciare a trarre ammaestramenti.

Nel caso di Israele ( e dell’Egitto di Saadat) l’omicidio del capo ha avuto una sua tragica efficacia : in entrambi i casi, il processo di pace , non sentito, si è interrotto.

Nel caso dei rivoltosi palestinesi, la eliminazione dei capi popolo ha avuto effetti contrari a quelli sperati .

Poiché , nel Vicino Oriente le cariche sono praticamente a vita – e dopo un certo periodo ciascuno ha dato quel che poteva dare – l’avvicendamento ha avuto benefici effetti permettendo a elementi più giovani ed energici di accedere a posizioni di comando e scoraggiato le candidature di carrieristi intriganti ma pavidi.

Gli Israeliani hanno capito la lezione e recentemente hanno cambiato obbiettivi indirizzando i tiratori scelti verso gli elementi di supporto alle agitazioni ( infermiere, giornalisti, fotografi ) in maniera da demotivare partecipanti e fiancheggiatori ma senza più colpire i capi provocando una selezione positiva.

Suleimani era a capo della Kuds Force dal 1998 ( ventun anni) . Quel che poteva dare e fare, l’ha dato e l’ha fatto.

Ora utilizzeranno i suoi resti per mostrare la perversione del Grande Satana e sollecitare solidarietà ai tiepidi. Tutto l’Irak è ormai schierato contro gli USA e il premier Adel Abd El Mahdi è sputtanato a vita.

Persino il governo del kurdistan iracheno ha stigmatizzato il comportamento americano.

Trump , in difensiva, si giustifica dicendo che l’iraniano “ stava preparando attentati” , ma l’assalto all’ambasciata è stato fatto da una numerosa folla e non ha prodotto morti.

La guerra per conquistare i cuori degli iracheni – durava da mesi- l’ha vinta Suleimani con l’aiuto degli USA.

Non c’è nemico dell’America tanto stupido da voler uccidere Trump e interrompere la catena di azioni che sta compiendo a danno degli Stati Uniti.

All’America sono rimasti due alleati: Israele e Arabia Saudita. Colpiranno quelli.

i 5 effetti dello strike Usa contro Soleimani in Iran, di Giuseppe Gagliano- Il senso del tragico, di Piero Visani

L’Iraq e la Libia si stanno avviando sulla strada della decomposizione. E’ l’effetto più nefasto e deleterio dell’intervento americano ed occidentale in quei due paesi. Gran parte delle forze politiche, comprese quelle di opposizione a queste intrusioni non stanno operando o si stanno rivelando incapaci di una opera di ricostruzione nazionale. Un gioco di azione e reazione, di provocazioni, incluso quello dello sfoggio di prigionieri, che rende le componenti autoctone in lotta sempre più delle appendici di forze esterne. Tra i paesi in preda al conflitto militare solo la Siria di Assad, almeno nella sostanza, sembra mantenere la caratteristica di una reazione impegnata al mantenimento della propria integrità nazionale_Giuseppe Germinario

Ecco i 5 effetti dello strike Usa contro Soleimani in Iran. Gli scenari di Gagliano

di

Soleimani_

Tutti gli scenari possibili dopo che il generale iraniano Soleimani è stato ucciso il 3 gennaio da un raid ordinato da Trump. L’approfondimento di Giuseppe Gagliano

Il comandante delle Quds Force, unità del Corpo delle guardie della rivoluzione islamica (IRGC) iraniane, il generale Qassem Soleimani, è stato ucciso venerdì 3 gennaio da un raid ordinato dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, sull’aeroporto internazionale della capitale irachena Baghdad, secondo quanto riferito dal Pentagono e dalla Casa Bianca.

Soleimani, 62 anni, non solo aveva coordinato le operazioni extraterritoriali iraniane in particolare in Iraq, in Siria, in Libano e Yemen ma aveva in particolare contribuito in modo decisivo a sostenere il presidente siriano Assad. Inoltre, durante la guerra in Iraq, Soleimani servendosi abilmente delle Forze di Mobilitazione Popolare, unità paramilitari sciite appoggiate proprio dall’Iran, aveva dato un contributo militare di grande rilievo nel fermarne il radicamento dell’Isis in Iraq.

L’operazione americana, che rappresenta un successo sotto il profilo della Intelligence, è stato realizzata grazie all’uso di un drone MQ-9 Reaper che ha anche eliminato il generale delle milizie irachene Abu Mahdi al-Muhandis, vice comandante delle Forze di Mobilitazione Popolare, il Generale Hussein Jaafari Naya, il Colonnello Shahroud Muzaffari Niya, il Maggiore Hadi Tarmi ed il Capitano Waheed Zamanian.

Sotto il profilo strettamente politico-strategico, l’operazione militare è stato attuata a scopo preventivo – per sventare operazioni offensive iraniane contro funzionari americani, come indicato dal Times sulla base delle informazioni del Pentagono – e dissuasivo.

Vediamo di spiegare a tale proposito cosa significa esattamente dissuasivo. Ora, al di là delle comprensibili e scontate reazioni di condanna da parte del leader supremo dell’Iran, l’Ayatollah Ali Khamenei e del presidente iraniano, Hassan Rouhani, l’operazione attuata dagli Stati Uniti deve essere contestualizzata sul piano militare in primo luogo all’interno di una più ampia operazione di ritorsione in stile israeliano determinata sia da quella del 27 dicembre in cui un attacco missilistico è stato posto in essere contro una base militare irachena cagionando la morte di un civile americano sia a causa delle violente proteste del 31 dicembre presso l’ambasciata statunitense a Baghdad, situata nella cosiddetta Green Zone, coordinate dalle Brigate di Hezbollah e dalle Forze di Mobilitazione Popolare, proteste volte a chiedere il ritiro delle forze statunitensi dall’Iraq.

Inoltre, sotto il profilo strettamente politico, Mike Pompeo proprio il 13 dicembre aveva avvertito Teheran che qualsiasi azione offensiva sotto il profilo militare nei confronti degli Stati Uniti avrebbe ricevuto una risposta adeguata.

In secondo luogo, sotto il profilo della strategia globale posta in essere da Trump, questa operazione militare risulta essere pienamente coerente con l’obiettivo di contrastare in modo ampio, sistematico e capillare la presenza sciita in Iran, Iraq, Siria, Libano e Yemen.

In terzo luogo, questa operazione militare, può essere inquadrata anche per consolidare il suo consenso interno e per allontanare lo spettro della messa in stato di accusa da parte del Congresso. D’altronde l’uso della politica estera come strumento per rafforzare il consenso al livello di politica interna costituisce non l’eccezione ma una costante a livello storico.

In quarto luogo tutto ciò non farà altro che consolidare la partnership militare degli Usa con l’Arabia Saudita e Israele i cui servizi di sicurezza hanno certamente svolto un ruolo di rilievo nella individuazione di Soleimani.

SCENARI POSSIBILI

Fra gli scenari possibili da escludere vi è certamente l’invasione militare americana determinata dalla natura geografica della Repubblica Islamica. Sebbene gli Usa abbiano infrastrutture militari in 14 Paesi e cioè in Egitto, Israele, Libano, Siria, Turchia, Giordania, Iraq, Kuwait, Arabia Saudita, Yemen, Oman, Emirati Arabi Uniti, Qatar e Bahrein, l’Iran oltre ad avere una estensione di 1.684.000 chilometri quadrati, è una fortezza naturale – pensiamo ad esempio all’uso strategico che Teheran farebbe dei Monti Zagros che dividono l’Iran dalla Turchia – e una eventuale operazione terrestre proveniente dall’Afghanistan non solo implicherebbe mesi di pianificazione ma implicherebbe il dispiegamento di una forza terrestre di almeno 300 mila soldati  operazione che andrebbe autorizzata dal Congresso che, allo stato attuale, sta ponendo in essere un procedimento di messa in stato di accusa proprio contro Trump. Inoltre sarebbe necessaria da parte dell’Iran e/o dei suoi alleati una azione terroristica analoga a quella dell’11 settembre per conseguire una coesione politica necessaria per un intervento di queste proporzioni.

Quanto ad un intervento nucleare limitato da parte degli Stati Uniti questo avrebbe delle conseguenze ancora più imprevedibili sul piano internazionale poiché non soltanto determinerebbe una condanna unanime da parte di tutte le istituzioni internazionali ma soprattutto determinerebbe una reazione anche di natura  militare da parte della Russia.

Non c’è dubbio che in primo luogo questa offensiva statunitense porterà in primo luogo a un aumento della conflittualità da parte sia degli alleati dell’Iran nei confronti di Israele – stiamo naturalmente alludendo a Hezbollah – sia ad un ulteriore incremento della instabilità in Iraq.

In secondo luogo il sostegno militare e di intelligence fornito dall’Iran agli Houthi, attori centrali nel conflitto yemenita, potrebbe determinare  una risposta rapida e diretta stando proprio alle dichiarazioni di Mohammed Ali al-Houthi capo del Comitato supremo rivoluzionario Houthi – cioè ad una  ritorsione militare.

In terzo luogo i rapporti tra Cina e Usa potrebbero subire un ulteriore peggioramento dal momento che proprio la Cina sostiene l’Iran nel contesto della Nuova Via della Seta. 

In terzo luogo l’Iran potrebbe mettere in campo il tentativo di utilizzare lo Stretto di Hormuz come strumento di deterrenza militare.

In quarto luogo, l’Iran potrebbe attuare operazione terroristiche ai danni delle basi militari americane in Qatar e Bahrein.

In quinto luogo questa azione militare da un lato aumenterà in modo rilevante la destabilizzazione in Medio Oriente e dall’altro lato certamente rafforzerà il ruolo politico-religioso sciita a livello globale.

https://www.startmag.it/mondo/soleimani-iran-usa-iraq/?fbclid=IwAR3EFUeKAMbE1v6Lr1tfFADWWG0bVbZOb7bAcZyxhyb9EVuLG_RU877WawA

IL SENSO DEL TRAGICO, di Piero Visani

E’ saper morire per ciò in cui si crede. Si colpisce e si è colpiti. Si sviluppano politiche e se ne subiscono le conseguenze. Non si pensa che vivere consista soltanto nel pagare, farsi tassare da ladri patentati e farsi sfruttare da classi dirigenti ignobili, che non hanno nemmeno il coraggio delle loro azioni.
Marcire – da vivi – non è preferibile che farlo da morti.
Molti del centrodestra italiano – nella loro infinita saggezza da servi – diranno che è stato ucciso un terrorista…

“Difficile concentrare tante sciocchezze geopolitiche in una sola frase.
A partire dal fatto che in Medio Oriente l’Iran (con la Russia) ha fatto da argine al terrorismo islamico dell’Isis tollerato, per non dire altro, da Arabia Saudita e Usa. E per finire con il fatto che l’Italia è il principale partner economico europeo dell’Iran: in questo caso delle imprese nazionali e del popolo delle partite Iva ce ne freghiamo?”

UN CRESCENTE MALESSERE FRANCESE NEI CONFRONTI DELL’ALLEANZA, di Hajnalka Vincze

Qui sotto ancora un articolo particolarmente interessante di Hajnalka Vincze sul dibattito e le divergenze, forse il conflitto, che si sta insinuando tra i paesi della NATO. A parere dello scrivente pecca però di un certo ottimismo riguardo l’anelito autonomista di Macron. Le sue parole e i suoi propositi dichiarati stridono con i suoi atti concreti, in primo luogo con la salvaguardia strenua del complesso militare industriale francese. Macron è l’artefice, ma sul solco almeno delle due precedenti presidenze, degli atti più compromettenti riguardanti l’esposizione di AIRBUS alle mire dell’industria aeronautica americana, la liquidazione, dietro pesanti ricatti e pressioni di ogni tipo, di Alstom energia, in particolare la produzione di turbine a General Electric, la cessione ai fondi americani del settore della trasmissione e componentistica interna dell’aereonautica. I risultati cominciano a vedersi rapidamente, a cominciare dalla perdita di controllo del settore della manutenzione delle turbine dei sommergibili e delle centrali nucleari e dallo svuotamento e trasferimento negli States del grande centro ricerche di Parigi. Per non parlare della pesante esposizione militare in Africa, legata malinconicamente alla condiscendenza americana. Una classe dirigente che non vuole e non sa difendere i propri settori strategici, tanto più se legati alla difesa, non può ambire credibilmente ad assumere  la direzione di una linea europea di politica estera e di difesa realmente autonoma dagli Stati Uniti; tanto più che ad essa si accompagna una politica predatoria particolarmente gretta, subalterna alla Germania, ai danni di potenziali ed imprescindibili sostenitori, in primo luogo l’Italia, di questa presunta ambizione. Una politica tesa piuttosto a spingere le vittime verso lidi più scontati e ad acuire i conflitti intraeuropei. Conoscendo la provenienza e il retroterra culturale, il brodo di coltura del personaggio, la sua vanagloria e prosopopea nascondono o conducono ad altri propositi se non suoi, “pauvre homme”, certamente dei suoi mentori. Paragonarlo a de Gaulle mi pare quindi un po’ troppo generoso. Buona lettura_Giuseppe Germinario

OLTRE LE CRITICHE DI MACRON ALLA NATO: UN CRESCENTE MALESSERE FRANCESE NEI CONFRONTI DELL’ALLEANZA

Istituto di ricerca sulla politica estera – Nota del 26 novembre 2019

Parlando, in un’intervista a The Economist , della “morte cerebrale” dell’Alleanza atlantica, il presidente Macron poteva sicuramente essere certo di provocare l’ira dei suoi omologhi europei. Se ha scelto di imbarcarsi in questo, è perché lo vede come una necessità urgente. A un anno dalle prossime elezioni americane e con l’affondamento della Brexit, si sta chiudendo una finestra di opportunità senza precedenti. Questo allineamento unico dei pianeti, che secondo la visione francese avrebbe dovuto finalmente portare i partner dell’UE sulla strada dell’autonomia strategica, non ha davvero dato i suoi frutti.

Peggio ancora, la maggior parte dei governi europei, confrontati senza mezzi termini alla realtà della loro dipendenza dagli Stati Uniti, sembrano preferire gesti di fedeltà discreta ma concreta nei confronti dell’America. Agli occhi di Parigi, è tutt’altro che logico. Ma, come giustamente ha detto l’ex consigliere di Tony Blair, Robert Cooper, a proposito di Europa e di autonomia: “il mondo non segue la logica, procede per scelte politiche” . Il presidente francese ha quindi deciso di esporre la scelta che attende gli europei secondo lui – per quanto “drastica” .

La minaccia che la Francia percepisce

Agli occhi di Parigi, anche se la possibilità di un disimpegno americano menzionata più volte dal presidente Trump avrebbe dovuto provocare uno slancio “autonomista”, la maggior parte dei partner europei preferisce piuttosto una tensione atlantista. L’alternativa era già stata esposta in un acceso scambio di opinioni presso il Centro europeo per le relazioni estere nel 2011, tra il britannico Nick Witney (ex direttore dell’Agenzia europea per la difesa) per il quale vige l’alternativa di avere una difesa europea autonoma oppure “vivere in un mondo guidato da altri “ e dal tedesco Jan Techau (direttore degli affari europei alla Carnegie Endowment), che vede nell’autonomia europea un ” villaggio Potemkin “che dovrebbe essere rimosso a favore di “un’intensa preoccupazione per il legame transatlantico” . Se la retorica europea nell’era di Trump a volte prende in prestito le arie della prima visione, le azioni, d’altra parte, vanno nella seconda direzione. Sulla NATO, in particolare, per placare il presidente Trump, gli europei sono pronti a far evolvere l’organizzazione in una direzione che, per loro, significa più abbandono e confinamento nella dipendenza.

(Credito fotografico: CNN)

Questa inclinazione è stata evidenziata in un esercizio di simulazione di alto livello, le cui conclusioni sono state pubblicate alla fine di settembre. L’ultimo Körber Policy Game , organizzato congiuntamente da un think-tank tedesco (lo stesso in cui il Segretario Generale della NATO ha pronunciato il suo discorso quando è stata pubblicata sulla stampa l’intervista al presidente francese) e il prestigioso IISS ( International Institute for Strategic studi) Britannici, in un consesso di esperti e funzionari di Francia, Germania, Regno Unito, Polonia e Stati Uniti. Divisi in squadre nazionali, si trovarono di fronte a uno scenario fittizio in cui l’America si ritira dalla NATO e alla sua partenza seguono molteplici crisi scoppiate nell’Europa orientale e meridionale. I risultati sono illuminanti. È emerso, tra le altre cose, che invece di raccogliere la sfida della propria sicurezza, “la maggior parte delle squadre” ha cercato piuttosto, inizialmente, di convincere gli Stati Uniti a tornare alla NATO, a spese di essa cedere a “concessioni prima inimmaginabili” . Ciò lascia pochi partner propensi alla visione “autonomista” sostenuta dalla Francia.

L’urgenza che prova Parigi

La scelta del momento non è banale. L’intervista a The Economist ha avuto luogo tre giorni dopo la conferenza stampa in cui Macron ha dichiarato di essere indignato per il modo in cui ha appreso, tramite tweet, del ritiro delle truppe statunitensi dalla Siria, seguito dall’incursione turca nel Paese: “mette in discussione anche il funzionamento della NATO. Mi dispiace dirlo, ma non si può fingere ”. In realtà, per quanto spettacolare possa essere l’episodio siriano, è solo l’ultimo di una serie di atti, composta da sanzioni extraterritoriali, abbandono del trattato sul controllo degli armamenti, pressioni commerciali e altre decisioni unilaterali percepiti come umilianti dagli altri membri dell’Alleanza – tranne per il fatto che quest’ultimo incidente è avvenuto a malapena un mese prima della prossima riunione dei leader della NATO. Il timore di Parigi è che per convincere il presidente Trump, gli europei cederanno troppo su temi come la designazione della Cina come nuovo nemico comune , l’inclusione dello spazio tra i teatri delle operazioni della NATO o ancora l’accesso degli Stati Uniti ai programmi di armamento finanziati dall’UE con il denaro dei contribuenti europei.

In effetti, la Francia continua a sostenere una “rifocalizzazione” della NATO, in contrapposizione alla sua crescente pressione ai confini dell’UE. sforzi degli Stati Uniti dalla fine della guerra fredda hanno portato a “globalizzare” la NATO , in modo che il maggior numero di settori sono trattati nel quadro della NATO, che, come ha detto Joachim Bitterlich, ex consigliere del cancelliere Kohl: “gli americani si trovano in una situazione conveniente perché hanno l’ultima parola e tutto dipende da loro”. Precisamente, Parigi è preoccupata che su un numero crescente di dossier (oltre la Cina, lo spazio e gli armamenti, si tratta anche di cyber, energia, intelligenza), gli alleati europei – presi dal panico dalle ricorrenti minacce del presidente Trump di “moderare il suo impegno” – acconsentano al trasferimento di competenze nazionali e / o europee alla NATO. E lasciarsi bloccare ancora di più in una situazione di dipendenza.

Il bersaglio scelto da Macron

Non è un caso che al centro delle domande di Macron sull’Alleanza vi sia l’articolo 5 – quello che incarna la difesa collettiva, in altre parole il fatto che un attacco contro un alleato è considerato un attacco contro tutti gli stati membri. Tradizionalmente, è per non compromettere questa garanzia di protezione degli Stati Uniti che gli alleati europei fanno concessioni e testimoniano, come osserva Jeremy Shapiro, ex pianificatore e consigliere del Dipartimento di Stato americano, “di un patologico compiacimento e eccessiva deferenza “ verso gli Stati Uniti. Il paradosso, sotto il presidente Trump, è che evidenzia in maniera cruda e pubblica questa logica transazionale dell’Alleanza, mentre mette in dubbio ,ancora e sempre , le sue fondamenta. Per la Francia, è un vantaggio. Come lo ha dichiarato il ministro degli affari europei Nathalie Loiseau nel 2017: “Mentre le parole del presidente americano potrebbero aver creato una certa confusione riguardo al suo attaccamento all’Alleanza atlantica, l’interesse ad un’autonomia strategica dell’Unione. Europea è apparsa molto più chiaramente di prima a molti dei nostri partner europei. Ne eravamo convinti; altri lo sono molto di più oggi rispetto a ieri . 

Solo che gli atti non seguono. Emmanuel Macron ha quindi deciso di insistere sul fatto che “il garante di ultima istanza non ha più le stesse relazioni con l’Europa. Ecco perché la nostra difesa, la nostra sicurezza, gli elementi della nostra sovranità, devono essere pensati a pieno titolo ” . E il Presidente ha continuato: la NATO “funziona solo se il garante dell’ultima risorsa lavora come tale. Direi che dobbiamo rivalutare la realtà di cosa sia la NATO in termini di impegno degli Stati Uniti d’America ” . Alla domanda se “l’articolo 5 funziona” o no, ha risposto “Non lo so, ma che cosa sarà l’articolo 5 domani?” “ . Fare attenzione a specificarlo“Non è solo l’amministrazione Trump. Devi guardare cosa sta succedendo molto profondamente dalla parte americana . ” In realtà, ciò che dice non è né nuovo né eccezionale. La British Trident Commission , ad esempio, è giunta praticamente alle stesse conclusioni nel 2014. Composta, tra l’altro, da ex ministri della difesa, affari esteri e ex capo dello staff della difesa, fu incaricato di rivedere i meriti del rinnovo dell’arsenale nucleare del Regno Unito. Arrivarono alla spinosa domanda: “Possiamo contare sugli Stati Uniti per avere la capacità e la volontà di fornire  [protezione] indefinitamente, almeno entro la metà del 21 ° secolo?” “ E ha risposto che“Alla fine, è impossibile rispondere” . La differenza con Macron è che gli inglesi si preoccupavano principalmente di “non inviare un messaggio sbagliato sulla credibilità” della protezione americana, mentre il presidente francese desidera, al contrario, avvisare e provocare un soprassalto tra i suoi Partner europei.

La rinnovata visione francese

Nonostante le reazioni indignate di esperti e funzionari , le osservazioni del presidente francese erano tutt’altro che “bizzarre”. Al contrario, sono in linea con la tradizione gaullista-mitterandiana che Macron ha deciso di esporre già, davanti agli ambasciatori, nel suo ultimo discorso annuale . La chiave di volta di questa visione è sempre stata la nozione di sovranità – un termine che Macron pronuncia venti volte in The Economist. Questo ritorno alle basi richiede tre osservazioni. Primo: l’imperativo dell’autonomia non è mai stato diretto contro gli Stati Uniti. Nel pensiero francese, o manteniamo la nostra sovranità su qualsiasi paese terzo, oppure no. Se gli europei decidono di farne a meno in un caso, in particolare nei confronti dell’America, le matrici di soggiogazione che ciò implica (la perdita delle proprie capacità materiali e la mancanza di potere psicologico) le metteranno in balia di qualsiasi altro potere in futuro. In altre parole, non assumendo la sua piena autonomia, l’Europa diventerà, domani, una facile preda per chiunque. Come spiega Macron: “L’Europa, se non si considera una potenza, scomparirà” .

(Credito fotografico: Financial Times)

Secondo: nella visione francese, la sovranità, oltre ad essere un imperativo strategico, è anche una condizione sine qua non della democrazia. Senza indipendenza dalle pressioni esterne, ha poco senso votare per i cittadini. Macron ha chiaramente messo in luce questo legame intrinseco alla vigilia delle ultime elezioni europee: “Se accettiamo che altre grandi potenze, compresi gli alleati, compresi gli amici, si mettano in condizione di decidere per noi, la nostra diplomazia, la nostra sicurezza, allora non siamo più sovrani e non possiamo più guardare in modo credibile alle nostre opinioni pubbliche, ai nostri popoli dicendo loro: decideremo per voi, venite, votate, venite e scegliete. “ È la stessa idea che ha sostenuto davanti agli ambasciatori, ricordando loro: “È un’aporia democratica che consiste nel fatto che il popolo può scegliere sovranamente leader che non avrebbero più il controllo su nulla. E così, la responsabilità dei leader di oggi è di darsi anche le condizioni per avere il controllo sul loro destino . 

Infine: oltre questo ritorno all’essenza stessa del gollismo, l’intervista di Macron a The Economist segna anche il desiderio di riconnettersi con un atteggiamento, con un modo specificamente francese di fare diplomazia. Infatti, dal suo fragoroso rifiuto della guerra in Iraq, la Francia si è comportata come spaventata dalla sua audacia: aveva in parte abbandonato la sua posizione di “cavaliere solitario”, a favore della ricerca di compromessi e del cosiddetto pragmatismo . Senza molto successo. Il punto di forza della diplomazia francese è sempre stata la sua capacità di assumere una posizione chiara, affermare principi ovvi e tradurli in termini pratici con logica implacabile – al punto che i suoi interlocutori si sono trovati esposti, di fronte alle loro incoerenze. . Questo è esattamente ciò che Macron sta cercando di fare ora riguardo alla NATO. Di fronte alla palese umiliazione da parte dell’amministrazione Trump, deplorare pubblicamente la loro situazione di dipendenza. Il presidente francese li chiama quindi, semplicemente, a “trarne le conseguenze” .

Il testo è la versione originale dell’articolo originale: Hajnalka Vincze, Beyond Macron’s Sovversive NATO Commenti: France’s Growing Unease with the Alliance , Foreign Policy Research Institute ( FPRI ), 26 novembre 2019.

LE VIE DELLA NATO NELL’UNIONE EUROPEA a cura di Luigi Longo

LE VIE DELLA NATO NELL’UNIONE EUROPEA

a cura di Luigi Longo

 

 

Nel mio scritto su L’europa tra le vie della nato, le vie della seta e le vie dell’energia. Prima parte, apparso su questo sito, così precisavo: << Le vie della Nato, ovverosia degli Stati Uniti, sono vie che preparano scenari di guerra e l’Europa per la prima volta nella storia sarà teatro passivo di future guerre! >> e così concludevo: << Cosa farà l’Europa? Quali vie intraprenderà? Sono pessimista nell’accezione di Ennio Flaiano << Essere pessimisti circa le cose del mondo e la vita in generale è un pleonasmo, ossia anticipare quello che accadrà […].>>. Abbiamo, purtroppo, sub-decisori europei (in particolare quelli italiani per la loro peculiarità storica) che sono dei rubagalline (il significato pieno del termine è nel film Totò, Peppino e i fuorilegge, regia di Camillo Mastrocinque del 1956) e hanno le facce da servi (per il prosieguo della definizione delle facce rimando alla magnifica sintesi fatta da Giorgio Gaber nel brano Mi fa male il mondo dell’album “E pensare che c’era il pensiero”, 1995). Sub-decisori inaffidabili e pericolosi per la maggioranza delle popolazioni. Sono i cotonieri lagrassiani, soggetti politici espressione di una sfera economica caratterizzata da modelli di produzione superati e tecnologicamente arretrati (di processo e di prodotto), che hanno venduto l’anima e i relativi paesi per n’anticchia di potere e non sanno andare oltre una visione economica delle relazioni internazionali.

In Europa ci vorrebbe un Gelsomino dalla voce potentissima che, con l’aiuto di un moderno Principe, sconfiggesse la prepotenza e l’arroganza e ristabilisse la verità e l’ordine per traghettare l’Europa fuori dalla servitù statunitense e pensare una Europa (espressione di una recuperata sovranità politica delle nazioni) dei dialoghi e dei confronti tra mondi diversi (Occidente e Oriente) >>.

Qui propongo tre letture che trattano lo stesso argomento, il trasferimento delle bombe nucleari USA dalla Turchia alla base Usaf di Aviano (Pordenone), che mettono in evidenza diversi elementi di riflessione. La prima di Dario Furlan (La base Usaf di Aviano è pronta ad ospitare le bombe atomiche dalla Turchia, apparsa su www.ilmessaggero.it, 28/12/2019) che sottolinea la messa a disposizione totale del territorio con le sue configurazioni spaziali militari; la seconda di Alberto Negri (Atomiche da Erdogan: perché la notizia è credibile e fondata, apparsa su www.ilmanifesto.it, 31/12/2019) che rivela il ruolo antitetico polare dei sovranisti e dei sub-decisori servi; la terza di Manlio Dinucci (50 bombe nucleari Usa dalla Turchia ad Aviano, apparsa su www.ilmanifesto.it, 31/12/2019 e www.voltairenet.org, 1/1/2020) che denuncia l’Italia come la migliore servitù europea cui affidare gli strumenti di guerra degli USA.

 

 

 

 

LA BASE USAF DI AVIANO È PRONTA AD OSPITARE LE BOMBE ATOMICHE DALLA TURCHIA

di Dario Furlan

 

 

Base Usaf pronta ad accogliere le scomode bombe atomiche turche. Quest’anno, infatti, Babbo Natale potrebbe portare in dono alla Base Usaf di Aviano (Pordenone) una cinquantina di confetti atomici. Da svariati mesi è sotto osservazione quella che potrebbe essere considerata una sorta di inaffidabilità in chiave Nato del presidente turco Erdogan, più vicino a Putin che a Trump.

Una situazione che potrebbe indurre gli Stati Uniti, che in Anatolia usufruiscono della Base aerea di Incirlik con annessi depositi di bombe nucleari di propria pertinenza, a trasferire questo arsenale atomico in un avamposto alternativo del Vecchio Continente. E il sito prescelto sarebbe l’aeroporto pordenonese Pagliano e Gori, sede di uno Stormo dell’Usaf (il 31esimo Fighter Wing) a capacità nucleare. Tale eventuale decisione sarebbe presa specie in considerazione della comprovata fedeltà dell’Italia, che sul tema atomiche non batte ciglio, qualunque sia il colore del governo nazionale (corsivo mio).

 

 

I PRECEDENTI

 

Dell’ipotesi di traslocare le bombe da Incirlik ad Aviano se ne parlò già nel 2016 allorché Erdogan, mentre reprimeva duramente il tentativo interno di un golpe militare, aveva additato gli Usa tra i possibili fiancheggiatori del colpo di stato. In tal senso aveva addirittura fatto staccare l’energia elettrica alla Base, interrompendo l’attività operativa del locale contingente americano impegnato nella lotta contro l’Isis. L’episodio andò faticosamente risolto (sebbene la tensione tra Usa e Turchia si fosse pericolosamente alzata) ma in tempi recenti gli attriti si sono riacutizzati con la vicenda del popolo curdo, alleato di Washington nella caccia all’Isis, altresì nemico storico di Ankara.

 

 

IL GENERALE

 

Dato il crescente antiamericanismo in Turchia e la volontà di Erdogan di avvicinarsi alla Russia, abbiamo urgentemente bisogno di ricollocare le nostre bombe atomiche presenti a Incirlik, e la loro nuova casa potrebbe essere la Base aerea di Aviano in Italia, dato che da un punto di vista logistico non dovrebbe essere troppo difficile. A rilasciare questa esplicita dichiarazione a Bloomberg (multinazionale operativa nel settore dei mass media con sede a New York) è stato il noto Charles Chuck Wald, generale a quattro stelle dell’Air Force in pensione, già comandante del 31esimo Fighter Wing di Aviano dal 1995 al 1997. Molti ricordano la sua presenza in Pedemontana come a dir poco ingombrante, specie quando lasciò metaforicamente il segno sui tavoli degli amministratori locali, onde far capire che il Progetto Aviano 2000 (mega opera infrastrutturale destinata ad allocare stormo e famiglie al seguito) non doveva trovare ostacoli di sorta. Come in effetti è stato, ciclopica burocrazia italica a parte (corsivo mio).

 

 

IL TRISTE PRIMATO

 

Da Incirlik potrebbero quindi sbarcare ad Aviano una cinquantina di bombe nucleari, che si aggiungerebbero alle circa 30 già qui immagazzinate, almeno secondo quanto ripetutamente divulgato dagli analisti del settore. Questi ultimi hanno inoltre recentemente reso noto che al Pagliano e Gori si stanno apportando specifiche migliorie, quali il rafforzamento delle misure anti intrusione, nonché la costruzione di una nuova clinica, ovvero i laboratori nei quali si provvede alla periodica manutenzione di questi particolari e delicati ordigni. Le dichiarazioni del generale Wald sono ancor più autorevoli di quel che sembra: l’ex comandante conosce infatti a menadito l’aeroporto di Aviano, sa quante atomiche vi sono già custodite e, soprattutto, quante altre ancora se ne possono immagazzinare. E a questo punto Aviano acquisirebbe un discutibile primato: diverrebbe il maggior deposito atomico presente in Europa Occidentale.

 

 

ATOMICHE DA ERDOGAN: PERCHÉ LA NOTIZIA È CREDIBILE E FONDATA

di Alberto Negri

 

 

L’Italia finisce l’anno con la possibile opzione di diventare una delle maggiori potenze atomiche europee. Senza volerlo e a sua insaputa, come quasi tutta la nostra politica estera.

Che si esprime in Libia con geometrica inconsistenza, esposta nella conferenza stampa di fine anno da uno smarrito premier Conte che di questo passo stanotte confonderà i colpi d’artiglieria di Tripoli e i raid aerei del generale a Haftar con i tradizionali botti di Capodanno.

Gli americani, dunque, potrebbero trasportare le testate atomiche dalla Turchia alle basi italiane come quella di Aviano. Il nostro ministero della Difesa afferma che si tratta di una notizia infondata: di testate atomiche in Italia ce ne sono già oltre 70 e se si aggiungessero quelle americane nella base di Incirlik sfonderemmo ogni record, superando anche la Germania (ma dietro a Gran Bretagna e Francia). Non solo la notizia non è infondata come affermano le fonti ufficiali del governo italiano, appare invece possibile se non addirittura probabile. A rivelare l’ipotesi all’agenzia americana Bloomberg è stato infatti il generale Charles Chuck Wald dell’Air Force, ora in pensione ma che è stato comandante ad Aviano e continua a rivestire incarichi nella Amministrazione Usa.

In Italia il generale Wald si dimostrò un grande decisionista con pressioni sulle autorità locali per ottenere il via libera al grande Progetto Aviano 2000: imponenti infrastrutture e abitazioni per lo stormo e le famiglie dei militari. La decisione Usa sarebbe la conseguenza del riavvicinamento di Erdogan a Putin, sancito dalla vendita ad Ankara delle batterie anti-missile russe S-400: è la prima volta che un Paese Nato acquista armi da Mosca e per questo alla Turchia è stata congelata la consegna dei nuovi caccia F-35 e si annunciano sul reiss turco nuove sanzioni – secondo l’informato quotidiano israeliano Haaretz.

Se il trasferimento si concretizzasse i bunker americani in provincia di Pordenone dove ci sono già una cinquantina di atomiche diventerebbero il deposito nucleare più grande d’Europa. L’Italia viene considerata da sempre un’alleata fedele, a prescindere dal colore dei governi e questo esecutivo appare prono come gli altri ai voleri Washington vista la confidenza di Trump con il «l’amico Giuseppi» (Conte) – nonché con il «sovranista» Salvini che con la Lega regna in Friuli Venezia Giulia – e la recente visita a Roma del segretario di Stato Usa Mike Pompeo con il quale abbiamo parlato di parmigiano ma glissando su ogni seria questione strategica, Libia compresa. Gli americani, quindi, contano che non ci sia opposizione alla possibile richiesta (corsivo mio).

Dell’ipotesi di un trasferimento dalla Turchia dell’arsenale atomico si parlò già nel 2016, ai tempi del tentato golpe, quando Erdogan sospettava che Washington fosseo dietro l’operazione e che comunque non l’avesse osteggiata, anzi. Infatti a Incirlick furono ospitati alcuni aerei da rifornimento che consentirono ai caccia F-16 dei ribelli di minacciare Istanbul e Ankara. Incirlik, da cui dovevano partire i raid contro l’Isis, fu chiusa allora per un paio di settimane. Prepariamoci quindi con i botti di Capodanno ad accogliere il prossimo arrivo del Dottor Stranamore americano.

 

 

50 BOMBE NUCLEARI USA DALLA TURCHIA AD AVIANO

di Manlio Dinucci

 

 

«Cinquanta testate nucleari sarebbero pronte a traslocare dalla base turca di Incirlik, in Anatolia, alla base Usaf di Aviano, in Friuli Venezia Giulia, in quanto gli Usa diffiderebbero sempre più della fedeltà alla Nato del presidente turco Erdogan»: lo ha riportato in questi giorni Il Gazzettino (il giornale del Nordest, soprattutto del Friuli Venezia Giulia), per evidente coinvolgimento territoriale, citando quanto dichiarato dal generale a riposo Chuck Wald della Us Air Force in una intervista all’agenzia Bloomberg del 16 novembre scorso [1]. Una conferma di quanto documenta da tempo il manifesto.

«Appare probabile – scrivevamo il 22 ottobre [2] – che, tra le opzioni considerate a Washington, vi sia quella del trasferimento delle armi nucleari Usa dalla Turchia in un altro paese più affidabile. Secondo l’autorevole Bollettino degli Scienziati Atomici (Usa), la base aerea di Aviano può essere la migliore opzione europea dal punto di vista politico, ma probabilmente non ha abbastanza spazio per ricevere tutte le armi nucleari di Incirlik. Lo spazio si potrebbe però ricavare, dato che ad Aviano sono già iniziati lavori di ristrutturazione per accogliere le bombe nucleari B61-12». La nostra notizia allora non venne ripresa (corsivo mio).

ORA IL COORDINATORE nazionale dei Verdi, Angelo Bonelli, chiede al governo se conferma la notizia e di portare subito il problema alla valutazione del parlamento, poiché l’Italia verrebbe «trasformata nel maggiore deposito di armi nucleari d’Europa e questo silenzio del governo italiano è inaccettabile»; la stessa cosa chiede in un comunicato Rifondazione comunista: fatto singolare, entrambe le forze politiche non stanno in Parlamento. Il governo italiano da parte sua fa sapere che «la notizia è priva di fondamento». Non spiega però perché i maggiori esperti Usa di armi nucleari ritengano la base di Aviano «la migliore opzione europea dal punto di vista politico» per il trasferimento delle bombe da Incirlik. Il governo continua dunque a tacere – a partire dalle atomiche già stoccate ad Aviano e a Ghedi – e lo stesso fa il parlamento, perché la questione delle armi nucleari Usa in Italia è tabù. Sollevarla vorrebbe dire mettere in discussione il rapporto di sudditanza dell’Italia verso gli Stati uniti (corsivo mio).

L’ITALIA continua così ad essere base avanzata delle forze nucleari Usa. Secondo le ultime stime della Federazione degli scienziati americani, in ciascuna delle due basi italiane e in quelle in Germania, Belgio e Paesi Bassi vi sarebbero attualmente 20 B-61, per un totale di 100 più 50 a Incirlik in Turchia. Nessuno però può verificare quante siano in realtà. I governi italiani hanno sempre taciuto; come tace la Regione Friuli Venezia Giulia guidata dalla Lega «sovranista». Dalle stime risulta che gli Usa stiano diminuendo il loro numero, e non è tranquillizzante. Si preparano infatti a sostituirle con le nuove bombe nucleari B61-12. A differenza della B61 sganciata in verticale, la B61-12 si dirige verso l’obiettivo guidata da un sistema satellitare ed ha la capacità di penetrare nel sottosuolo, esplodendo in profondità per distruggere i bunker dei centri di comando. Il programma del Pentagono prevede la costruzione a partire dal 2021 di 500 B61-12, con un costo di circa 10 miliardi di dollari. Non si sa quante B61-12 verranno schierate in Italia né in quali basi, probabilmente non solo ad Aviano e Ghedi. Come risulta dallo stesso bando di progettazione pubblicato dal ministero della Difesa, i nuovi hangar di Ghedi potranno ospitare 30 caccia F-35 con 60 bombe nucleari B61-12, il triplo delle attuali B-61 (il manifesto, 28 novembre 2017).

Allo stesso tempo, gli Usa si preparano a schierare in Italia e in Europa missili nucleari a gittata intermedia (tra 500 e 5500 km) con base a terra, analoghi agli euromissili eliminati dal Trattato Inf firmato nel 1987 da Usa e Urss. Accusando la Russia (senza alcuna prova) di averlo violato, gli Usa a guida Trump si sono ritirati dal Trattato, cominciando a costruire missili della categoria prima proibita: il 18 agosto hanno testato un nuovo missile da crociera e il 12 dicembre un nuovo missile balistico in grado di raggiungere l’obiettivo in pochi minuti. Contemporaneamente rafforzano lo «scudo anti-missili» sull’Europa. Nella sua «risposta asimmetrica» la Russia comincia a schierare missili ipersonici che, in grado di raggiungere una velocità di 33.000 km/h e di manovrare, possono forare qualsiasi «scudo» (corsivo mio).

È QUINDI una situazione molto più pericolosa di quanto dimostri la già allarmante notizia del probabile trasferimento delle atomiche Usa da Incirlik ad Aviano. In tale situazione domina il silenzio imposto dal vasto schieramento politico bipartisan responsabile del fatto che l’Italia, paese non-nucleare, ospiti e sia preparata a usare armi nucleari, violando il Trattato di non-proliferazione che ha ratificato. Responsabilità resa ancora più grave dal fatto che l’Italia, quale membro della Nato, si rifiuta di aderire al Trattato sulla proibizione delle armi nucleari votato a grande maggioranza dall’Assemblea delle Nazioni Unite.

 

 

 

[1] “Turkey Is the World’s New Nuclear Menace. An interview with General Chuck Wald on NATO’s nukes at Incirlik air base and whether the Turks are friends or enemies”, Tobin Harshaw, Bloomberg, November 16, 2019.

[2] “Erdogan vuole la Bomba”, di Manlio Dinucci, Il Manifesto (Italia) , Rete Voltaire, 22 ottobre 2019.

 

 

 

LA MASCHERA E IL VOLTO, di Augusto Sinagra

LA MASCHERA E IL VOLTO

Diceva Luigi Pirandello che nella vita si incontrano molte maschere e pochi volti.
Ora le maschere cominciano a cadere e i volti sono davvero inquietanti.
Non so chi gli ha scritto il discorso di fine anno, ma il figlio di Bernardo Mattarella, tra le tante prevedibili banalità e omissioni, ha detto una cosa inquietante: “Quando perdiamo il diritto di essere differenti, perdiamo il privilegio di essere liberi”. Sembra una bella riflessione, ma non è così.
Viviamo da tempo una situazione in cui non vi è più traccia di diritto ad essere “differenti”.
Il concetto potrebbe essere declinato in molti sensi: in senso democratico e politico, in senso costituzionale con riguardo ai diritti e alle libertà di esser differenti nella manifestazione delle idee, nel diritto di associazione e di manifestazione, nel diritto di professare qualsivoglia fede religiosa (il tutto con l’unico limite dell’ordine pubblico), e in tanti altri sensi ancora. Ma non è così da tempo
La negazione della differenza è stata icasticamente e violentemente proclamata dal Capo-sardine (l’uomo di Prodi e compagni) il quale con riferimento al Sen. Matteo Salvini ha dichiarato in modo impudente che Salvini “ha il diritto di parlare ma non di essere ascoltato”.
Questa situazione di pretesa e violenta adesione al “pensiero unico”, negatrice di ogni differenza, è nota a tutti a cominciare dal figlio di Bernardo Mattarella. Stampa e TV non parlano più di sbarchi illegali di sedicenti “profughi” per impedire, appunto, un giudizio differente.
Allora i casi sono due: o il Capo dello Stato è in malafede e non denuncia, come sarebbe suo dovere, la situazione di diffusa violenza morale e cioè di negazione del “diritto alla differenza”, oppure non si rende conto di quello che dice o di quello che altri scrivono per lui. Non mi stupirei: non gli riconosco particolare acume né adeguata preparazione giuspubblicistica. Lo considero poco “attrezzato”.
A fronte delle violenze fisiche, morali e politiche volte a conculcare il “diritto alla differenza” il “Nostro” ha aggiunto che perdendo il diritto alla differenza, si perde “il privilegio della libertà”.
No! Qui reagisco con maggiore decisione e fermezza: la libertà non è privilegio, la libertà è conquista (anche a costo della vita), la libertà di ognuno, ma prima ancora la libertà collettiva del Popolo, dovrebbe essere condizione di normalità e mai privilegio. La libertà è diritto costituzionale che affonda le sue radici nella filosofia della politica che costruisce l’ordine democratico.
L’altra maschera che è caduta, mostrando un volto peraltro già noto, è quella del pampero argentino.
Mi riferisco allo strattonamento da lui subito in Piazza San Pietro e alla sua reazione di bacchettamento delle mani di una signora asiatica che trattenevano la sua.
Umanamente lo capisco, ma lui dovrebbe essere il Vicario di Cristo, e Cristo è bontà e misericordia come attesta l’Evangelista Matteo (se non mi sbaglio) a proposito della donna che voleva in tutti i modi toccare la Sua tonaca per guarire dalla malattia.
Come Vicario di Cristo il gesto del pampero è stato ingiustificabile. Ricordo quando nel 2009 Papa Benedetto XVI dentro la Basilica di San Pietro ruzzolò per terra per l’entusiasmo di una fedele. Egli si rialzò, le rivolse un sorriso e accennò una carezza. Quel che colpisce nell’episodio del pampero è stata l’espressione del suo viso iracondo.
Gli occhi sono lo specchio dell’anima e quegli occhi non hanno riflesso un’anima buona.
Così anche il pampero argentino ha confermato quale sia il suo vero volto, togliendosi la maschera.
Ancora buon anno a tutti e che Dio ci protegga.
AUGUSTO SINAGRA

P.S. Il discorso di Capodanno del figlio di Bernardo Mattarella nel 2018 ha avuto 5.133.000 ascolti; 4.905.000 nel 2019. Dunque, in netto calo. In ogni caso, calcolando una presenza in Italia di circa 50.000.000 televisori su una popolazione di circa 60.000.000 di persone, si può ben dire che il consueto discorso di fine anno non è stato seguito da nessuno, nonostante le bugie e le mistificazioni della stampa asservita.

La constatazione del multipolarismo, con Piero Visani

La gran parte dei paesi emergenti e degli stati egemoni stanno constatando l’affermazione del multipolarismo. Alcuni, in primo luogo gli Stati Uniti, sembrano ancora incerti se prenderne atto o tentare il ripristino di una condizione unipolare. Parlare di incertezza è però un eufemismo. Da quelle parti lo scontro politico sta assumendo toni sempre più feroci, destinati ad assumere forme drammatiche in caso di vittoria di Trump. Una vittoria della componente conservatrice, per meglio dire demo-conservatrice, rischia di ricacciare la politica estera americana nell’avventurismo più bieco. Altri paesi al contrario sono fautori sempre più convinti della condizione multipolare. Nel mezzo alcune potenze regionali cercano di approfittare con spregiudicatezza degli spazi offerti dalla competizione sempre più accesa. Solo l’Europa, in essa in particolare la Germania e soprattutto l’Italia, appare riottosa a prendere atto della svolta. I paesi europei, dibattuti tra velleità di potenza e remissività supina, sempre però all’ombra dell’egemone d’oltreatlantico, sembrano vivere in un limbo di nostalgia destinato ad essere loro fatale. I tempi stringono. Qui sotto le considerazioni amare e realistiche di Piero Visani, uno studioso e un commis che come pochi conosce molto bene limiti, tanti e virtù, poche, della nostra classe dirigente. Buon Anno e buon ascolto_Giuseppe Germinario 

Il buontempone, di Giuseppe Germinario

Giornalista francese: “negli Stati Uniti avete un tasso di disoccupazione molto basso; in Francia è invece molto alto. Come mai, quale è la ricetta?”

Trump: “Forse perché noi abbiamo un presidente migliore del vostro…”

https://twitter.com/rbehrouzdo/status/1210970428199624709?s=12&fbclid=IwAR1uP9w_EUA2alxgvyy15PnXsb7XxcrqbSv2-qemLnZwIs_YAblWP07bZcA

Sono sicuro che i bacchettoni e gli indignati delle due sponde dell’Atlantico, quasi tutti ben allignati nel campo democratico-progressista, sapranno cogliere il senso e lo spirito esatto di questa battuta nell’ego e nella presunzione smisurata di Donald Trump. Un motivo in più per rendercelo più simpatico. Buon Anno a tutti, bacchettoni e non_Giuseppe Germinario

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