Ciarpame mediatico, di Giuseppe Germinario

Il quotidiano “la Repubblica” del 20 giugno scorso ha pubblicato da pagina 45 un lungo articolo, a nome di Gianluca di Feo e Floriana Bulfon, dal titolo “Bergamo_virus, spie e vaccini”. L’articolo è purtroppo disponibile solo a pagamento e non può, quindi, essere riprodotto integralmente alla fonte https://www.repubblica.it/esteri/2021/06/17/news/bergamo_virus_spie_e_vaccini-306329555/?ref=RHTP-BH-I295744712-P13-S4-T1 , ma disponibile comunque integralmente su https://www.msn.com/it-it/notizie/mondo/bergamo-virus-spie-e-vaccini/ar-AAL7nOl?li=BBqg6Qc

Il 21 giugno ha risposto a stretto giro di posta l’ambasciatore russo a Roma, Sergey Razov. Qui sotto il testo della lettera aperta:

Stimato Direttore,

ha richiamato la nostra attenzione l’ampio articolo intitolato “Bergamo, virus, spie e vaccini” pubblicato sul Suo quotidiano il 20 giugno, in cui il giornale ripercorre i fatti di marzo-aprile 2020, quando un gruppo di medici virologi ed esperti disinfettatori russi ha operato nel Nord Italia.

Tre righe e mezzo dell’articolo contengono l’ammissione che “i soldati russi a Bergamo hanno fornito assistenza concreta, curando decine di pazienti, durante le ore più buie della storia recente e disinfettando decine di centri per anziani”. Le restanti quasi 500 sono una congerie di invenzioni sul contenuto reale di quella che sarebbe stata una missione militare dell’intelligence russa nello spirito delle “guerre ibride”, “una campagna di disinformazione e propaganda”, con addirittura elementi della “competizione per riscrivere la mappa geopolitica del pianeta”. Tentare un’analisi dettagliata di tutta questa serie di invenzioni sarebbe una perdita di tempo. Prendiamo in considerazione solo alcuni fatti.

Ricordo bene come un anno fa questo stesso giornale e un certo numero di altri media italiani cercò, senza alcuna prova, di individuare la natura spionistica della nostra missione che avrebbe tentato di ottenere informazioni sulle strutture militari italiane e della NATO a Bergamo e Brescia, dove erano impegnati i nostri specialisti. I chiarimenti in merito al fatto che quelle aree erano state individuate dalle autorità italiane sono stati semplicemente ignorati. C’è voluto più di un anno perché gli autori di “La Repubblica” ammettessero finalmente quello che era ovvio e cioè che le strutture militari italiane e della NATO, come è risultato, non erano l’obiettivo della nostra missione umanitaria (pare non siano avvezzi a scusarsi per la palese disinformazione, attivamente diffusa nella primavera del 2020).

Ma, come si dice, ciò che è storto non si può raddrizzare (Ecclesiaste 1:15). Ora gli scrittori di “La Repubblica” ci attribuiscono la colpa di aver inviato in Italia i nostri migliori medici virologi ed epidemiologi, dotati di grande esperienza (è vero, ne abbiamo orgogliosamente parlato fin dall’inizio), di aver utilizzato sul posto un moderno laboratorio mobile, che avrebbe analizzato “la struttura genetica del virus e inviato i dati a Mosca con il sistema satellitare di comunicazione criptata”. Sì, anche allora abbiamo parlato di questo laboratorio mobile che era impegnato esclusivamente nel monitoraggio della salute del contingente, nella messa a punto delle metodiche e delle dosi di protezione immunitaria, nell’analisi PCR e nella genotipizzazione. (A proposito, effettivamente abbiamo registrato casi di infezione da coronavirus tra i nostri militari che hanno lavorato nelle zone più pericolose d’Italia). Di quali altri compiti e possibilità nascoste di questo laboratorio possono parlare gli autori, se loro stessi ammettono che nessun estraneo ha potuto accedervi.

Poi, l’affermazione forse più ridicola e sacrilega dell’articolo: “il vaccino Sputnik V è nato dal virus italiano”. (I russi hanno rubato il COVID italiano?!) Gli autori cercano di tracciare un legame causale e temporale diretto tra il lavoro della nostra missione e l’invenzione del vaccino russo. E cioè: i dati clinici acquisiti in Italia “con un’operazione di spionaggio” avrebbero permesso ai nostri specialisti di produrre un vaccino nel più breve tempo possibile. I conti non tornano. Fonti sanitarie e militari in Italia – dice il giornale – confermano che “i russi non erano autorizzati a portare campioni e provette fuori dagli ospedali dove curavano i pazienti”. Inoltre, la Russia ha iniziato a testare lo Sputnik V su volontari già a giugno e ad agosto questo vaccino è stato il primo al mondo ad essere certificato. È chiaro anche a un profano che l’invenzione del vaccino non poteva che essere il risultato di molti anni di ricerca su altre malattie virali.

È assolutamente ovvio che il lavoro eroico dei nostri militari in Italia, durato ben 46 giorni, ha fornito una certa esperienza nella comprensione del pericolo di questa malattia, della velocità e delle peculiarità della diffusione dell’infezione, arrivata in Russia, com’è noto, tre o quattro settimane dopo l’Italia. E questa esperienza è stata debitamente utilizzata per sviluppare le nostre misure contro la pandemia. Ma dove sarebbe qui il crimine?! Si tratta di un percorso di collaborazione assolutamente naturale e generalmente accettato, che peraltro prosegue ancora oggi. Al momento, l’Istituto Spallanzani di Roma sta conducendo studi clinici scientificamente importanti sul vaccino Sputnik V con la partecipazione di specialisti russi. Altre prove sono previste nell’ambito del rispettivo Memorandum di cooperazione firmato nell’aprile di quest’anno. Se il giornale Repubblica dedicasse anche solo un centesimo del suo voluminoso materiale a tale lavoro comune, volto a combattere l’epidemia, a nostro parere offrirebbe un servizio migliore e più interessante ai lettori dell’autorevole quotidiano.

E infine, un’ultima cosa. Gli autori definiscono Bergamo “un campo di prova per nuovi conflitti ibridi”. Noi invece partiamo dall’assunto che questo è il luogo in cui al popolo italiano in difficoltà i vertici e il popolo della Russia hanno disinteressatamente dato una mano. Qui sta la principale divergenza con la redazione del giornale, la cui politica provoca la nostra reazione a questo genere di informazioni.

L’Ambasciatore della Russia in Italia

21.06.2021

L’articolo è un concentrato di rara intensità di infantilismo meschino e vile in un panorama giornalistico che certamente non brilla per serietà e fondatezza di analisi.

L’ambasciatore ha avuto buon gioco quindi nel replicare con ferma diplomazia, senza neppure infierire.

Non ce n’era del resto bisogno.

Su quali comportamenti e intenzioni hanno avuto da recriminare i nostri segugi colti da sospetta crisi olfattiva?

A denti stretti hanno dovuto ammettere che lo scopo reale della missione sanitaria russa non era lo spionaggio delle installazioni militari o quantomeno non ci sono elementi sufficienti a suffragare l’ipotesi; sempre che non si possano considerare tali le inevitabili sbirciatine dai finestrini nel lungo viaggio di avvicinamento a Bergamo. Il bersaglio era però ancora più importante: catturare la Covid italiana, portarsela in Russia e carpirne i segreti; sperimentare sul campo le proprie procedure di gestione di una pandemia e di guerra batteriologica, analizzare quelle adottate da un paese occidentale, verificare l’andamento epidemiologico e patologico della sindrome. Come spiegarsi altrimenti il livello così alto e specialistico e la natura militare dei protagonisti, in particolare la loro provenienza dai laboratori chimico-biologici militari? L’accusa velata era di ricondurre il loro interesse alla logica della guerra batteriologica più che alla finalità umanitaria; accusa velata, ma strumentale e maldestra vista la analoga attività svolta da tanti laboratori americani, francesi ed inglesi civili e militari sparsi nei propri paesi e nel mondo. I missionari in colbacco del resto non hanno sentito ragioni nel condividere i dati acquisiti, la sofisticata strumentazione in possesso con gli ospitanti così smarriti in tanto tragico caos. Hanno così ingannato “Giuseppi” e l’intera compagine governativa, piombando come falchi su di un paese smarrito, prendendo alla sprovvista i custodi della sicurezza del paese, carpendo i segreti del mostriciattolo per ricavarne un efficace vaccino in colpevole anticipo rispetto agli amici occidentali, per trarne insegnamenti utili nella gestione ormai prossima a venire della pandemia nel loro paese.

Il senso di privazione che pervade i nostri due segugi è evidente, ammirevole, ma tardivo. In un quotidiano che per trenta anni ha sostenuto attivamente e con entusiasmo, pur in buona compagnia, la spoliazione e la privazione di beni del proprio paese, ai pochi giornalai di buon cuore non è rimasto che aggrapparsi al poco che è rimasto in Italia, difendendolo a denti stretti. In quel poco è rimasto evidentemente la Covid 19 italiana. I tapini non si sono accorti per altro di dare involontariamente ragione ai rivali cinesi i quali, per nascondere le proprie magagne, hanno cominciato a vendere nel mondo l’insinuazione dei virus nazionali, compreso quello tricolore.

L’angoscia da privazione non fa che fissare i pregiudizi e impedire di porre correttamente le domande e soprattutto di porle alle persone giuste.

Hanno accusato i russi di strumentalizzare a fini geopolitici e di propaganda il loro intervento; li hanno incriminati di lesa maestà per aver tentato di scombussolare l’Unione Europea; si sono risentiti, colti da un malinteso orgoglio nazionale, per i loro giudizi sferzanti sulla gestione italiana della pandemia.

Hanno dimenticato in buona sostanza di essere dei giornalisti e di porre le giuste domande:

  • come mai non ha funzionato la solidarietà europea nei momenti più acuti della crisi pandemica?

  • Da dove arriva l’ostracismo al vaccino russo e il fallimento della ricerca scientifica europea?

  • Come mai le implicazioni e il conflitto geopolitici hanno riguardato non solo i paesi dichiarati ostili (Russia e Cina), ma anche quelli “fratelli ed amici”?

  • Come mai il Governo e il paese si è affidato alla improbabile coppia costituita da un manager-finanziere di terza fila (Arcuri) e da un contabile della Protezione Civile (Borrelli), con la consulenza esclusiva di virologi impegnati più che altro ad apparire sugli schermi, piuttosto che ad una struttura composta da esperti di logistica, igienisti, manager della salute nella quale i militari avrebbero dovuto avere un ruolo di primo piano e non di serventi tuttofare?

  • Come mai il Governo non è stato in grado di concordare le modalità di intervento e di scambio delle informazioni con tutti gli interlocutori internazionali, oltre che con russi e cinesi? Anni fa ad un alto ufficiale americano fu chiesto come mai tante basi erano state spostate dalla Germania in Italia. Da buon anglosassone la risposta fu lapidaria: “in Germania per muoversi occorre compilare protocolli di almeno dieci pagine, in Italia una telefonata.”

  • Come mai si sono omesse le analisi epidemiologiche e diagnostiche che accelerassero l’individuazione dei decorsi e la definizione di terapie efficaci?

  • Come mai è quasi completamente saltata quella medicina di base e preventiva sulla quale dovrebbe fondarsi il sistema sanitario nazionale, stando almeno alle dichiarazioni fondative di principio come pure è rimasto impolverato il piano di emergenza nazionale?

  • Come mai in una situazione di grave emergenza non si è risolto rapidamente il disordine istituzionale e lo si è piuttosto strumentalizzato per scaricarsi reciprocamente le responsabilità della cattiva gestione della crisi?

Le giuste domande, ma alle persone giuste: al ceto politico italico, alla sua classe dirigente e ai suoi quadri amministrativi, agli alleati o sedicenti tali piuttosto che alla missione russa rea di aver fatto quello che avrebbero dovuto fare tutti. Le cui giuste risposte avrebbero probabilmente consentito di non pietire interventi esterni a scatola chiusa e di non porre alla radice il problema.

Si sa purtroppo che l’orgoglio nazionale serve a suscitare le migliori energie di un paese, ma anche, spesso e volentieri, a coprire le peggiori magagne e speculazioni.

La soluzione non può arrivare da segugi di tal fatta. Sono parte in causa di una categoria a pieno titolo corresponsabile di una gestione fatta e condizionata da allarmismo, disinformazione, schizofrenia, superficialità e irresponsabilità. Una gestione che ha ridotto l’emersione di un problema serio ad una manipolazione inquietante senza una soluzione di continuità prevedibile in una emergenza senza fine. Un vero e proprio ossimoro. Mario Draghi è arrivato a risolvere alcuni dei problemi posti. Probabilmente ci riuscirà, ma non sarà la gran parte del paese a giovarsi del risultato. Lo abbiamo intravisto negli ultimi due vertici mondiali del G7 e della NATO sui quali continueremo a soffermarci.

Ai due segugi, dal cuore ingrato e dall’indole meschina, non rimane che replicare a loro volta a due semplici domande: a chi, a quale pifferaio devono rispondere dei loro sproloqui infantili e mal posti? Non certo ai lettori, vista la crescente disaffezione. Siete voi stessi agenti terminali di una guerra ibrida?

Passi diplomatici, di Roberto Buffagni

Sulla recente mossa diplomatica del Vaticano per la modifica del DDL Zan.
La battaglia in punto di diritto internazionale ha un suo perché ma ovviamente è una battaglia che non promette bene. E’ una battaglia obbligata. La Chiesa tenta di uscire dall’accerchiamento anzitutto culturale e usa tutto quel che ha, o meglio che le resta. Lo strumento principale che le resta è lo strumento diplomatico, ed è un gran brutto segno, perché con l’accerchiamento culturale esterno interagisce una profondissima divisione interna, in termini bellici una nutritissima quinta colonna che è sostanzialmente concorde con la cultura anticristiana e anticattolica, seccamente avversa ai “preambula fidei” ossia al “diritto naturale”, prevalente nella società. L’obiettivo che si propone la Chiesa con questa misura è preservare la libertà religiosa nella sua forma più legalistica e ristretta: libertà di predicare nelle chiese, libertà di insegnare nelle scuole cattoliche. Entrambe sono direttamente minacciate dal DDL Zan, e da qualsiasi legge tipo legge Mancino che verta sul “genere” e inserisca la “discriminazione” su base di “genere” come fattispecie di reato. Per il motivo semplicissimo che in effetti, la Chiesa (e per il vero, l’intera cultura umana degli ultimi 5.000 anni almeno) “discrimina” gli aventi diritto alla celebrazione del matrimonio secondo il sesso, ossia secondo la loro determinazione naturale. Il matrimonio, che come istituzione culturale precede la fondazione della Chiesa di alcune migliaia di anni, è la forma simbolica centrale per mezzo della quale le comunità umane (tutte) hanno sempre garantito la riproduzione della specie all’interno della cultura/e umana/e. In quanto forma, è indifferente al numero di contraenti (x donne + 1 uomo, 1 donna+x uomini, x donne + x uomini) e anche al loro orientamento erotico, che può benissimo rivolgersi all’esterno della coppia (o gruppo) di sposi, o anche verso il proprio sesso. Il requisito indispensabile è che chi si sposa possa, almeno virtualmente, assolvere contemporaneamente a due funzioni essenziali, ossia 1) riprodurre la specie 2) prendersi cura della prole e integrarla nella cultura della sua comunità. (La sterilità, ovviamente, è una patologia dell’istituto matrimoniale, che non ne muta la fisiologia). Attraverso la forma istituzionale del matrimonio viene confermata simbolicamente anche l’integrazione tra corporeo e psichico, tra riproduzione della specie umana nel senso biologico o zoologico del termine (che può benissimo darsi senza ombra di matrimonio) e la sua integrazione nella cultura, che ovviamente è un fatto anzitutto psichico. Quando si introduce il concetto di “gender”, che nelle sue varie declinazioni è sempre riconducibile alla soggettività dell’individuo (il suo orientamento erotico, l’idea che si forma di se stesso) e lo si accoppia, in un provvedimento di legge, a una fattispecie di reato che ne punisce la “discriminazione”, è banalmente logico che si prenda di mira anzitutto questa antichissima discriminazione delle persone in base al sesso (ossia in base a “quel che sei”, e non in base a “quel che vuoi essere o senti di essere o quel che desideri”). Ne consegue, sempre per logica, che non solo il cattolicesimo, ma tutte le religioni e le metafisiche tradizionali, che, tutte, riconoscono e variamente celebrano e santificano l’istituzione matrimoniale, vengono prese di mira e chiamate a rispondere penalmente di una discriminazione che effettivamente operano e non possono non operare senza scalzare i loro stessi presupposti filosofici, teologici, metafisici, insomma senza suicidarsi. E’ tragicomico e paradossale, trattandosi di una discriminazione fondativa dell’intera storia dell’umanità, ma è così. Qui non c’entra nulla l’omosessualità in quanto tale. Ci sono religioni e tradizioni culturali più o meno severe con l’omosessualità. Nella tradizione culturale dell’antica Grecia, per esempio, l’omosessualità era non solo tollerata, ma in alcune sue forme addirittura celebrata ed esaltata (v. il battaglione sacro tebano, formato da coppie di amanti che giuravano di non abbandonarsi mai sul campo di battaglia e combattevano legati l’uno all’altro). Ciò conviveva serenamente con una solidissima istituzione matrimoniale di tipo patriarcale (v. come va il ménage a casa di Odisseo). Il cattolicesimo, tradizionalmente, è molto severo sull’omosessualità; nella pratica attuale, tenerissimo. Non si può però chiedere al cattolicesimo di vidimare il matrimonio same sex, perché per farlo dovrebbe dichiarare nullo addirittura un sacramento: il matrimonio cattolico è infatti un sacramento officiato dagli sposi, non dal prete che si limita a fare da testimone. Due uomini o due donne non sono qualificati (altra “discriminazione”) a celebrare il matrimonio cattolico, come non sono qualificato io a celebrare la messa o a cresimare, confessare, dare l’estrema unzione, ordinare prete chicchessia, perché non sono ordinato sacerdote (o vescovo nel caso della cresima e dell’ordinazione). Se lo faccio, commetto un sacrilegio. Su tutto questo ambaradan filosofico-teologico-antropologico, che farebbe sudar freddo un genio multiforme dotato di linea telefonica diretta con il Paraclito, in seguito a leggi modello DDL Zan dovrebbe poi decidere il PM, il quale – sporta la querela di parte delle associazioni LGBTetc che scalpitano ai blocchi di partenza e sono già pronte con gli avvocati e i moduli – deve determinare se per l’opinione denunciata (es., un laico o un vescovo si dice contrario al matrimonio same sex o all’adozione per le coppie omosessuali o all’utero in affitto) o il comportamento denunciato (es. rifiuto di celebrare matrimoni omosessuali etc., rifiuto di ospitarli nel proprio ristorante/albergo, rifiuto di salutarli con gioia sui media, a scuola, etc.) c’è la scriminante della libertà di espressione e di religione che la depenalizza, oppure no. Se non c’è la scriminante, il PM fa un riassuntino di una paginetta degli ultimi 5.000 anni di cultura umana, le dà la sua pagella, e ti rinvia a giudizio penale; e che qualcuno te la mandi buona.

Tutte le sintonie fra Erdogan e Biden di Giuseppe Gagliano

Tutte le sintonie fra Erdogan e Biden

di

erdogan biden

Nonostante tutto, la Turchia di Erdogan si conferma importante e utile agli Stati Uniti di Biden. Ecco perché. L’analisi di Giuseppe Gagliano

 

Nonostante il presidente turco sia stato definito un autocrate da Biden, e nonostante il fatto che le istituzioni americane abbiano definito l’eliminazione degli armeni come un vero e proprio genocidio, l’incontro a Bruxelles si è concluso con un’affermazione tutt’altro che sorprendente da parte del presidente turco, affermazione secondo la quale con gli Stati Uniti non ci sono problemi che non possono essere risolti. Proprio lo stesso presidente americano d’altronde ha confermato che l’incontro col suo omologo turco è stato produttivo.

Nonostante il ruolo sempre più assertivo da parte della Turchia in Medio Oriente, nonostante l’opposizione di Ankara al sostegno degli Stati Uniti ai combattenti curdi in Siria e, infine, nonostante gli Usa abbiamo penalizzato la Turchia per l’acquisto del sistema di difesa missilistica S-400 della Russia, pare che fra i due leader sia tornato il sereno. Sarà forse per le virtù taumaturgiche della democrazia americana? O forse più realisticamente per interesse di realpolitik?

COSA FA LA TURCHIA PER GLI STATI UNITI

A cosa stiamo alludendo esattamente? Si fa riferimento alla possibilità che la Turchia possa mantenere una presenza militare in Afghanistan grazie al sostegno logistico e finanziario degli Stati Uniti; si fa riferimento al fatto naturalmente che la Turchia ha anche un ruolo potenziale da svolgere nella più ampia strategia di Biden di radunare alleati per opporsi all’influenza di Cina e Russia, nonostante il fatto che Erdogan abbia concluso un nuovo accordo di scambio di valuta da 3,6 miliardi di dollari con Pechino.

Ma stiamo anche alludendo al fatto che la Turchia è un avversario della Russia nello scacchiere siriano e libico, dove infatti i droni e le difese aeree turche sono stati fondamentali per respingere gli alleati della Russia.

Ma stiamo infine alludendo anche al fatto che la Turchia si è schierata con l’Ucraina sostenendo quindi gli Usa in funzione anti russa.

In definitiva, se la politica del presidente turco può apparire ondivaga e contraddittoria, in realtà le scelte di politica estera del presidente turco sono state sempre improntate a una vera e propria spregiudicatezza e a un calcolo politico volto a tutelare esclusivamente non solo gli interessi della Turchia e della sua proiezione di potenza, ma spesso anche gli interessi di quella ristretta oligarchia che ruota intorno al presidente turco.

APPARENZE E SOSTANZA

Quindi, al di là delle apparenze – spesso frutto di calcoli elettorali -, la sostanza delle relazioni tra America e Turchia segue le stesse linee di forza di quelle di Trump. Come d’altronde quelle con l’altro autocrate, e cioè con Mohammed bin Salman.

Nulla di sorprendente dal punto di vista storico: a conclusione della Seconda guerra mondiale – e soprattutto durante la guerra fredda – le democrazie hanno sempre avuto bisogno, per ragioni geopolitiche e geoeconomiche (leggi petrolio e non solo…), dei sistemi autocratici, sia che fossero in Medioriente, in Africa o in America latina.

Forse bisognerebbe spiegarlo anche ai vari autori dei numerosi manualetti di educazione civica diffusi nelle scuole superiori… oltre che al Miur.

https://www.startmag.it/mondo/erdogan-biden-rapporti-turchia-stati-uniti/?fbclid=IwAR0zKE07FCj3usFDUnLgzUg2HNKTywRQ1mMhFsSYC6PwXVk-WQ049dyaCOk

E DOPO CHE SI FA?_ di Pierluigi Fagan

E DOPO CHE SI FA? [Post lungo e denso] In Globotica, Baldwin osserva tre forze, più una, pressorie sull’istituzione sociale moderna del lavoro.
Della globalizzazione sappiamo: concorrenza da posizioni asimmetriche, delocalizzazioni, deregolazioni. Si sarebbe forse dovuto aggiungere la finanziarizzazione poiché la continua richiesta di profitto in tempi nei quali la vivacità produttiva ristagna in occidente ormai da parecchio, ha portato e porta ad una pressione sui costi d’impresa che fatalmente diventano costo del lavoro e costi di ricerca. Il paradosso perverso è che attaccando il capitale umano e quello cognitivo (io normalmente non userei l’espressione “capitale umano” che trovo assai volgare, ma nel discorso pubblico tocca a volte accettare gli standard in corso per intendersi), si rinforzano le ragioni che limitano l’ulteriore sviluppo aziendale che è alimentato dagli investimenti. Se gli investimenti vanno a profitto …
A ciò si aggiunge la conversione di lavoro umano con lavoro macchina (hard e soft). Tale conversione è spinta dalla stessa global-finanziarizzazione, nel senso che per competere ad armi semi-pari con concorrenti dal costo del lavoro (diretto ed indiretto) complessivamente più basso ed a (quasi) parità di qualità tecnica di performance, non rimane che agire proprio sul costo del lavoro. Ed è indubbio che il costo macchina sia di molto inferiore al costo dell’umano. Ad un certo punto Baldwin cita in modo sottilmente sprezzante l’ex segretario al Tesoro Steve Mnuchin che ancora nel 2017, a domanda su quanto l’IA erode ed avrebbe eroso lavoro umano, rispondeva che l’eventualità si sarebbe semmai presentata nell’arco di cinquanta, forse cento anni. Questo negazionismo protettivo delle nuove forze di mercato agisce da tempo sostenendo l’insostenibile e ricorrendo a ragionamenti fideistici che solo la diffusa confusione mentale permette di non notare.
Ma Baldwin pone sopra queste due pressioni note una terza. Se la prima “Grande trasformazione” svuotò le campagne e riempì le industrie e se la seconda iniziata negli ultimi decenni del secolo scorso, svuotò -qui in Occidente- le industrie e riempì i servizi, sono proprio i servizi oggi sotto attacco. Attacco dalla diffusione e progresso dell’IA (si pensi all’autoapprendimento) che tende a pareggiare la performance umana in molti casi ed un nuovo attacco su cui si sofferma in modo particolare. Si tratta di una particolare, nuova performance, dell’IA nel superare le barriere linguistiche per via della diffusione di traduttori istantanei, di scrittura ma anche di voce.
Si segnalano infatti almeno una dozzina di portali che offrono collaborazioni free-lance localizzate in tutto il mondo. Il free-lance on line costa pochissimo poiché localizzato in India, Pakistan, Bangladesh o altrove in Asia, è flessibilissimo, è estremamente competente poiché in genere si è formato in Occidente, è a contratto limitato ad una singola performance, lavora anche in anti-orario (quando qui si dorme). Questa figura, che va dal call-center all’ingegnere progettista, è stata sino ad oggi limitata dalla conoscenza dell’inglese, circa un miliardo di potenziali. Ma i nuovi sistemi anti-Babele, ora allargano il fenomeno ad un una platea di più miliardi di potenziali.
Si pensava quindi che i servizi fatti da esseri umani per esseri umani fossero protetti poiché i primi processi di recente globalizzazione riguardavano mani, non menti. Invece non lo sono, e per via dei progressi diretti di IA che pareggiano le prestazioni umane con vantaggio di costo, e per via di alcuni specifici progressi della stessa categoria che però mettono in contatto offerta locale con domanda a basso costo, entrambe umane, potenzialmente globale. Da cui il termine “globotica”.
Queste le tre pressioni. La “più una” è data dal discorso che qui abbiamo molte volte citato, preso dallo storico dell’economia R.J.Gordon a proposito della fine dello “special century” (1870-1970). Secondo il Gordon, le cui tesi sono sostanzialmente alla base delle fosche previsioni di “stagnazione secolare” di Summers-Krugman, abbiamo alle spalle un eccezionale ed irripetibile parentesi poietico-creativa a base tecno-scientifica. Meccanica, meccanica a vapore, elettricità, chimica, telecomunicazioni, intrattenimento, nello “special century” queste sono state innovazioni catastrofiche (che rivoltano la forma) che hanno dato luogo a sviluppi successivi di cascate e cascate di innovazioni di processo e di prodotto. Dopo gli anni ’70, negli ultimi cinquanta anni quindi mezzo secolo, c’è solo il digitale-informatico. Il quale, tra l’altro, va in genere più in sostituzione che in innovazione profonda. Fra un po’ avremo accesso all’intera libreria di ogni musica mai prodotta con chip sottocutaneo ed auricolari miniaturizzati impiantati direttamente nei padiglioni auricolari, ma insomma, si tratta pure sempre della radicale innovazione iniziale della “musica riprodotta in assenza dell’emittente” che risale ai primi grammofoni. O come nel caso delle automobili, l’innovazione radicale sarebbe il teletrasporto non l’auto elettrica che si guida da sola.
La tesi di Gordon è interessante perché storicizza un fenomeno che qui chiamiamo economia moderna (scienza-tecnica-capitale) in luogo del più usato “capitalismo”. Lo colloca cioè nel tempo ricordando che, come ogni altro fenomeno storico, si va incontro all’inesorabile regola dei rendimenti decrescenti, il “meglio” è andato.
Infine e relativamente a tutte e tre più una delle pressioni sul lavoro, necessario cardine del contratto sociale moderno, il tutto mostra due caratteristiche: 1) l’enorme dilatazione degli spazi per la quale ormai ed irreversibilmente il mercato è il mondo (anche quello del lavoro in forme dirette ed indirette); 2) l’incredibile velocità temporale delle trasformazioni che ormai non viaggiano più al ritmo del secolo o dei decenni, ma degli anni. Adattare istituzioni sociali umane e mentalità a questa velocità e dimensione del cambiamento è un grosso problema. Ed è “il” problema politico e sociale principale della nostra fase storica.
Baldwin non lo fa, ma come nel caso della finanziarizzazione da accoppiare strutturalmente alla globalizzazione, vi sono altri problemi incidenti. Dai limiti di compatibilità tra fare economico umano entropico e secondo principio della termodinamica nonché difficile equilibrio con il sistema complesso naturale (clima, ambiente, ecologie, biodiversità etc.), alla riduzione vistosa di potenza tra Occidente e resto del mondo che sta producendo la nuova “Grande convergenza” (sempre un libro di Baldwin che riprende la Grande divergenza di Pomeranz).
Ci si potrebbe poi aggiungere la ormai stanca e sempre meno sostenibile perversione in termini di teoria dei bisogni tra quelli materiali, quelli relazionali e quelli posizionali per cui i primi che erano il regno della necessità sono inondati da superfluità (ci dobbiamo muovere sì, ma del monopattino elettrico possiamo francamente fare a meno senza gravi turbamenti). I secondi -invece- sono negati e pervertiti portandoli a diventare interni ai terzi. Ad esempio “hai voglia di parlare con qualcuno?” come abbiamo fatto per centinaia di migliaia, forse milioni, di anni? Arriverà Cortana o Siri Existential, il tuo amico o amica che ti conosce meglio di quanto tu conosci te stesso (coi Sette Sapienti che si agitano nelle tombe, ma anche Confucio). Questa macchina è stanca anche lei e i numeri della epidemia di depressione certificata a dati WHO, sommata a quelli della criminalità, tossicodipendenze, alcolismo, disordini mentali (ansia, ad esempio) che alimentano Big Pharma e molte professioni mediche, ne danno numero-peso-misura obiettiva. Il bisogno -condizione di possibilità- per la soddisfazione di ogni altro ovvero il tempo, è la moneta di scambio per il reddito senza il quale non vivi. Quindi non hai tempo per te, per il tuo partner, per i figli, per gli amici, per l’auto-coltivazione fisica, psichica e culturale e quindi i bisogni relazionali sono programmaticamente frustrati per alimentare l’acquisto di succedanei ovvero beni posizionali. Comprati vendendo la tua libertà di gestite il tuo tempo umano.
Il pilone delle forme moderne di vita associata, il lavoro, tende a sgretolarsi, Aggredito qui da noi da globalizzazione, finanziarizzazione, avanzamenti IA diretti ed indiretti come nel caso della nuova globotica, limiti della fisica termodinamica e della chimica, riduzione di potenza geopolitica quindi geoeconomica, rendimenti decrescenti dell’innovazione, contrazione demografica (con invecchiamento medio), stanchezza della macchina perverti-bisogni.
Piena occupazione? Orario di lavoro? Salario di cittadinanza? Mi sa che anche a livello di elaborazione teorica, anche critica, c’è da farci sopra una riflessione più complessa. Si tratta di immaginare un nuovo tipo di contratto sociale, lottare per questo in senso strategico e non limitarsi alla difesa giapponese delle ultime trincee di un mondo che sta semplicemente svanendo nel flusso sempre cangiante del corso storico. Dovremmo tornare a nuotare nella storia, ma molti abituati alle dinamiche di terra moderna, sembra abbiamo perso la facoltà natatoria. Iscriversi in piscina o rimettersi a studiare?
Planck diceva cha la scienza progredisce ad ogni funerale, nel senso che poiché ciò che pensiamo è il senso della nostra identità che non cambiamo facilmente, debbono scomparire purtroppo i fisici portatori di una certa mentalità affinché si crei lo spazio per farne emergere di nuove, adeguate ai tempi, perché i tempi cambiano, sempre. Quest’ultima, è l’unica legge della storia e noi, in fondo, siamo solo precarie concrezioni storiche che fanno finta non esista il tempo perché il tempo allude alla morte.
(Del libro di Baldwin sono solo a metà, ma mi stimolava il ragionamento)

La Cina alle prese con la questione energetica, di Gavekal

Nonostante le politiche economiche restrittive della Cina, a causa dell’aumento dei prezzi di alcune materie prime, energia e materiali hanno sovraperformato nel 2021. Louis Gave è qui per riflettere sulle possibilità indotte da questa sovraperformance e sugli scenari che gli investitori dovranno affrontare in queste circostanze. Lo scenario che ritiene il più probabile è quello di un boom inflazionistico.

Articolo di Gavekal , traduzione di Conflits.
Autore: Louis Gave

Come ha sottolineato il mio collega Thomas Gatley, l’impennata del tasso di inflazione dei prezzi alla produzione in Cina, che ha raggiunto il livello più alto in 13 anni (9%) a maggio, è quasi interamente attribuibile al recente aumento dei prezzi dell’acciaio e dell’energia (cfr. Un altro tipo di inflazione ). Non sorprende che i politici cinesi non siano contenti di questi prezzi in rialzo. Da gennaio, la Cina è stata l’unica grande economia ad aver inasprito le politiche monetarie, fiscali e normative. Tuttavia, finora, le sue nuove restrizioni non sono riuscite a far deragliare il mercato rialzista delle materie prime, al punto che Pechino sta ora valutando di controllare i prezzi.

Negli ultimi due decenni, la Cina è stata generalmente il più grande acquirente di quasi tutte le materie prime. Per gli investitori, ciò significa che quando la Cina si sta stringendo e i politici cinesi hanno nel mirino i prezzi delle materie prime, ha senso ridurre l’esposizione alle materie prime.

Il commercio di uccisioni

Tuttavia, finora quest’anno questa semplice regola non ha funzionato. Coloro che hanno visto la condanna a morte dell’ex presidente Huarong Lai Xiaomin il 29 gennaio come un segno che Pechino intendeva raffreddare l’economia (l’esecuzione di finanzieri corrotti è un segnale forte per i banchieri nazionali, che devono rallentare il ritmo di crescita dei prestiti), e che hanno deciso di ridurre l’esposizione alle materie prime, quest’anno hanno perso i settori più performanti.

Energia e materiali hanno sovraperformato nonostante la stretta cinese

L’impressionante sovraperformance delle materie prime, nonostante l’inasprimento della politica cinese, suggerisce tre possibilità.

1. I mercati delle materie prime hanno corso. L’argomento è semplice. Quest’anno era ancora prevedibile un forte rimbalzo del PIL nominale (vedi Il boom del 2021 ). Ma una volta che il rimbalzo immediato avrà fatto il suo corso, le traiettorie economiche torneranno alle loro tendenze a lungo termine. E queste tendenze a lungo termine non sono molto eccitanti. In questa visione del mondo, la recente inversione dei prezzi di una serie di materie prime chiave, tra cui rame e legno, è un presagio di cose a venire.

2. Questa volta è diverso. Il ciclo attuale e la ripresa economica globale in corso sono diversi da quelli del 2002-2003, 2008-2009 o addirittura del 2015-2016. Mai prima d’ora la Federal Reserve statunitense ha iniettato liquidità nel sistema finanziario quando la crescita del PIL nominale era a due cifre e i deficit gemelli statunitensi si aggiravano intorno al 20% del PIL. Certo, la Cina si sta stringendo. Ma questo leggero inasprimento è facilmente controbilanciato dalla possibilità di una forte crescita statunitense, un rimbalzo della domanda finale europea, la ripresa di altri mercati emergenti e la debolezza del dollaro USA.

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3. Si tratta di vincoli di fornitura. L’attuale aumento dei prezzi ha meno a che fare con la previsione della domanda futura – sia dalla Cina, dagli Stati Uniti, dall’Europa o dai mercati emergenti – che con un’offerta insufficiente. I catastrofici ritorni sugli investimenti in materie prime nel periodo 2012-20, insieme all’enfasi odierna sugli investimenti rispettosi dell’ambiente, fanno sì che la maggior parte dei grandi investitori si sia allontanata dalle industrie estrattive. E nei mercati delle materie prime, una carenza di nuovi investimenti di solito si traduce in prezzi più alti (che a loro volta incoraggiano gli investimenti, aumentano la produzione e, in definitiva, abbassano i prezzi, e così via e così via).

L’equazione dell’energia

La scelta di uno di questi tre scenari determinerà in larga misura se l’attuale aumento dell’inflazione è temporaneo o se, quando le economie riapriranno completamente, l’inflazione si rivelerà più persistente del previsto.I politici lo sperano (vedi Q&A sul dibattito inflazione/deflazione ). Nel determinare quale scenario ha più probabilità di essere corretto, la direzione dei prezzi dell’energia sarà decisiva. Questo per un semplice motivo: l’energia rappresenta generalmente tra un quarto e la metà del costo di estrazione, produzione e commercializzazione di un prodotto di base, sia esso alimentare, di acciaio o di metalli preziosi. Pertanto, l’aumento dei costi energetici ha quasi sempre un impatto sul mercato delle materie prime in generale.
Oggi, i prezzi dell’energia sono a un punto chiave (vedi Le possibilità del petrolio in rialzo ). Nel 2021, era facile sostenere che gli investimenti in energia erano insufficienti per soddisfare la domanda in un mondo in forte espansione (vedi I tre prezzi chiave: il petrolio ). Al contrario, l’argomento ribassista per i prezzi dell’energia era che se gli investimenti del settore privato negli idrocarburi fossero stati probabilmente insufficienti, i governi in Europa, Stati Uniti, Cina e altrove avrebbero promesso di iniettare centinaia di miliardi di dollari USA nel finanziamento di una transizione verso “l’energia verde”. ”.
Abbiamo così assistito a una divergenza senza precedenti tra i corsi azionari delle società di energia verde e quelli dei produttori di idrocarburi (vedi Manie finanziarie: la follia dell’auto elettrica ). Quest’anno, tuttavia, la divergenza si è ridotta.

Le fauci del coccodrillo iniziano a chiudersi?

Tutto ciò lascia agli investitori tre possibili scenari:

1. I governi spendono una fortuna in energia verde e queste enormi somme stanno dando i loro frutti. I prezzi del petrolio raggiungono rapidamente il picco, si invertono e scompaiono gradualmente nell’indifferenza economica. In questo scenario, il mondo ritornerebbe a un boom deflazionistico. I titoli in crescita dovrebbero sovraperformare.

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2. I governi spendono una fortuna in energia verde, ma queste enormi somme si rivelano improduttive e l’economia mondiale rimane legata all’industria petrolifera. In questo scenario, i paesi che hanno sprecato capitale in una transizione energetica fallita vedono le loro valute diminuire e l’inflazione accelerare (per pagare gli investimenti sbagliati). Il mondo si avvia verso un boom inflazionistico, in cui il principale freno all’attività non è più il tasso di interesse, ma il costo dell’energia. Il rischio per gli investitori azionari non è più che le guardie obbligazionarie aumentino il costo del finanziamento e spingano le economie al collasso deflazionistico. Piuttosto, il rischio è che i “vigilanti delle materie prime” facciano salire il prezzo del petrolio e spingano le economie in una spirale inflazionistica. In un mondo del genere, le miniere di petrolio e d’oro stanno iniziando a sostituire i titoli di stato come asset anti-fragili scelti per proteggere i portafogli.

3. Gli investimenti del governo nella transizione energetica non sono all’altezza delle promesse fatte al culmine della crisi Covid. I prezzi dell’energia continuano a salire, ma gli aumenti sono contenuti dal ritorno di capitali privati ​​al settore mentre diminuiscono i timori di concorrenza governativa. In uno scenario del genere, i titoli di rendimento continuano a sovraperformare, ma è probabile che le mosse relative siano meno estreme.

Come i lettori potrebbero sapere, ho passato l’ultimo anno sostenendo che il secondo scenario è più probabile. Tuttavia, mentre le probabilità di successo per lo Scenario 1 sembrano ancora piuttosto lunghe, nelle ultime settimane le probabilità di successo per lo Scenario 3 sembrano essere diminuite.

In primo luogo, questo è dovuto al fatto che la politica statunitense ha portato alla riduzione del piano di investimenti infrastrutturali del presidente Joe Biden. In secondo luogo, l’inasprimento fiscale cinese potrebbe portare a una moderazione nella spesa per investimenti, soprattutto nelle energie alternative. Terzo, e forse il più importante, è perché la notizia che la Russia inizierà a pompare gas naturale attraverso il gasdotto Nord Stream 2 in pochi mesi promette di risolvere il dilemma energetico della Germania.

Se la Germania può ora accedere a gas russo abbondante e a buon mercato, i politici tedeschi continueranno a sostenere una spesa gigantesca di energia verde a livello dell’Unione europea? Solo poche settimane fa, la risposta avrebbe potuto essere “sì”. Ma con il Partito dei Verdi tedesco che sembra aver raggiunto l’apice nei sondaggi d’opinione e resta indietro rispetto ai democristiani più conservatori fiscalmente, si può mettere in discussione l’impegno della Germania – e quindi dell’Europa – a favore di massicci investimenti in energia verde.

https://www.revueconflits.com/economie-energie-chine-louis-gave-gavekal/

LA DIASPORA DEI COMPAGNUCCI DELLA PAROCCHIETTA, di Antonio de Martini

LA DIASPORA DEI COMPAGNUCCI DELLA PAROCCHIETTA
Lanciando l’idea di un candidato italiano competente e affidabile a segretario generale NATO per rafforzare l’immagine del patto Atlantico nell’immaginario collettivo, mi si é rivelato un mondo.
Dopo D’Alema che si è scoperto la vocazione del miliardario ritirandosi tra barca e vigneti, Minniti che si è sistemato a Leonardo, Martina a vicenonsocchè della FAO, la fuga degli esponenti PD dal partito che fu di Gramsci e Di Vittorio prosegue con Enrico Letta e la Mogherini che pare vogliano candidarsi a segretario Generale della NATO.
L’unico che non é riuscito a sistemarsi – per ora- é Rutelli cui é fallito il colpo – tentato con insistente approssimazione – di passare all’UNESCO.
Sistemazione precaria per Renzi che fa …conferenze da ottantamila a marchetta in paesi disagiati ma danarosi.
L’idea che il partito servisse a trovare una sistemazione a disoccupati era ampiamente nota, ma la credevo limitata agli uscieri.
Vedo invece che – prevedendo come donna Letizia Bonaparte – l’imminente crollo della congrega – gli uomini e donne di vertice stanno spendendo le ultime risorse per abbandonare il TITANIC e sistemare la famiglia.
Appartenere a un’area politica che abbia votato l’adesione al patto Atlantico e essere competenti nel campo per essere candidati, non serve: per posti da trecentomila dollari annui più immunità diplomatica, ci si toglie i guanti e si pretende in curriculum almeno sei mesi da segretario del PD.

SURTOUT PAS TROP DE ZÈLE, di Teodoro Klitsche de la Grange

SURTOUT PAS TROP DE ZÈLE

I miei (pochi) lettori mi consentano di ritornare su un argomento da me assai frequentato: la disparità delle armi tra pubblica amministrazione e privati nelle controversie (meglio nel contenzioso) tributario, amministrativo e civile. Disparità incrementata dalla c.d. “seconda Repubblica”, a dispetto del fatto che la “parità delle armi” (processuali) è stato costituzionalizzata nel 1999 con la novella all’art. 111 della Costituzione. Prima e dopo la suddetta novella, il legislatore ha fatto tutto il possibile per contraddire a livello legislativo, quanto solennemente introdotto in quello costituzionale. Fin qui nulla di nuovo, se non lo straripante tasso d’ipocrisia ma ancor più di disinformazione, onde il problema, che riguarda tutti i cittadini italiani è costantemente sottovalutato o occultato nel dibattito pubblico.

Piuttosto occorre chiedersi se il sistema usuale e normale per riottenere il riequilibrio delle armi, ossia: a) l’istituzione di mezzi, soprattutto giudiziari, di difesa idonei a compensare almeno in parte lo squilibrio; b) la loro indipendenza; c) la parità, o almeno la non eccessiva disparità tra pubblico e privato, siano sufficienti in una situazione largamente compromessa come quella attuale.

A tale proposito è bene andare a quanto ne pensava Vittorio Emanuele Orlando. Com’è noto la tutela del privato verso le pretese dell’amministrazione fu attuato dalla classe dirigente liberale soprattutto con due leggi. La legge abolitiva del contenzioso amministrativo (del 1865) e la legge istitutiva della IV Sezione del Consiglio di Stato (1889). Ma in particolare la prima attirò le considerazioni negative di Orlando sull’accoglienza che aveva ottenuto dalla magistratura dell’epoca. Scrive il giurista siciliano “Ciò che davvero importa, in questa materia, è di non lasciarsi sviare dalle incertezze della giurisprudenza. L’abbiamo detto più volte, e l’osservazione non è nostra soltanto: la legge del 1865 fu troppo liberale, e non trovò le condizioni ambientali idonee al suo sereno e completo svolgimento. Il sentimento autoritario era ed è ancora troppo radicato in noi, popolo nato ora alla libertà. Sicché, tutte le volte che essa ha potuto, la giurisprudenza ha allontanato da sé il calice amaro di agire come freno e limite del potere esecutivo. E così avviene, per una coincidenza che dopo l’anzidetto non sembrerà del tutto accidentale” (voce “Contenzioso amministrativo” del Digesto Italiano, Torino 1895-1898, il corsivo è mio). E sulla “timidezza” del potere giudiziario nei confronti di quello governativo-amministrativo ritorna più volte (nel saggio citato e altrove).

C’è da chiedersi se la “timidezza” attribuita da Orlando alla magistratura a lui contemporanea sia (o sia ritornata) ad essere connotato di quella attuale, magari non qualificabile così, ma piuttosto sodalizio, ansia, timore per le pubbliche finanze; ma il cui esito, comunque è di agevolare, ancor più di quanto non abbia fatto il legislatore, le pubbliche amministrazioni litiganti.

Prendiamo un paio di statistiche come esempio. Quella dell’Agenzia delle Entrate del 2020 evidenzia un “indice di vittoria” (per l’Agenzia) pari al 76,2% delle liti. Solo che a leggerlo risulta che a tale lusinghiero risultato hanno contribuito…anche le cause perse. Infatti la P.A. ha calcolato a proprio favore nell’indice anche quelle “parzialmente favorevoli” cioè quelle altrettanto “parzialmente favorevoli” al contribuente.

A un lettore attento piuttosto che tale criterio ad usum delphini, probabilmente apparirebbe più conforme alla realtà calcolare, salomonicamente, gli esiti parzialmente favorevoli in ragione della metà (a favore dell’Agenzia) e non tutti a favore. Quel che più conta e che (a tacer d’altro) dall’esperienza personale di difensore, e da quella di altri colleghi, quasi tutti i ricorsi totalmente o parzialmente favorevoli al contribuente si concludono con la compensazione delle spese (cioè il contribuente, pur vittorioso, paga per intero il proprio difensore), mentre nel caso contrario (di soccombenza totale) il Giudice tributario pone quasi sempre  a carico dello stesso le spese di giustizia. Mezzo semplice  ed efficace per disincentivare il contenzioso… a carico delle parti private.

Altro esempio: i giudizi di equa riparazione (Legge Pinto). Essendo quasi tutti gli esiti a favore delle parti private, il legislatore aveva già messo le… mani avanti, disponendo che le spese andassero liquidate in ragione della metà della tariffa ordinaria. Ma evidentemente tale zelo non appariva sufficiente. Per cui gli importi delle spese a carico delle P.P.A.A. resistenti solo calcolati dai Giudici in misura minore di guisa che è normale leggere che un processo Pinto alla Corte d’Appello, è “remunerato” con 3-400 euro o un giudizio al TAR con 2-400 euro.

E si potrebbe andare avanti, con risultati (quasi) sempre simili. Certo c’è da chiedersi se tali risultati siano dovuti più che alla “timidezza”, che non appare sempre come connotato della giustizia italiana, come confermano i processi a Ministri, non ultimi quelli a Salvini per decisioni governative (tutte) politiche, ma piuttosto ad un (malinteso) senso dell’interesse pubblico. Per cui ci si sente gratificati dal limitare gli esborsi a carico delle (disastrate) finanze italiane. L’ingenuità (almeno) di tale comportamento è che se si rende più economico il litigare al soccombente, il risultato sarà quello di aumentare il numero delle resistenze in giudizio infondate. Meglio seguire il consiglio di Talleyrand ai funzionari francesi “surtout pas trop de zèle”. Ma ancor di più l’interesse pubblico non è tanto un rapporto di dare e avere, tra incassato e speso. È in primo luogo l’affetto, la solidarietà tra cittadini della stessa comunità, compresi governati e governanti. Se la si scuote o la si svuota, con espedienti e artifizi da causidico, s’incrina e alla fine si distrugge la stessa comunità e istituzione politica. Cammino che in gran parte abbiamo già percorso.

Teodoro Klitsche de la Grange

Biden, una settimana al vertice_Dal G7 alla Nato, a Putin_con Antonio de Martini

Sette giorni di incontri, dal G7 all’assemblea della NATO, per finire con il vertice con Putin. Tre incontri, tre stati d’animo differenti, tre posture diverse di una stessa presidenza americana, ma con un convitato di pietra: Xi Jinping. Semplici accomodamenti in situazioni diverse o il segno di una schizofrenia destinata a rendere sempre meno credibile ed autorevole la presidenza di Biden e l’ambizione egemonica degli Stati Uniti?_Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/vio4kl-biden-una-settimana-al-vertice-dal-g7-alla-nato-a-putin-con-antonio-de-mart.html

Barkhane vittima di quattro errori principali commessi dall’Eliseo, di Bernard Lugan

Qui sotto alcune considerazioni, come sempre interessanti, di Bernard Lugan riguardanti l’annuncio “sorprendente” circa i destini dell’operazione “Barkhane” in Mali e nell’Africa subsahariana. Vanno sottolineati a corollario degli argomenti dell’autore due elementi che più coinvolgono l’Italia. La decisione arriva a pochi mesi dall’invio di un contingente italiano nella regione a sostegno di “Barkhane”; la motivazione dell’invio è legata ufficialmente alla necessità di bloccare e controllare i flussi migratori in partenza da quell’area. Ai lettori l’onere di un giudizio sulla “tempestività” e sul “respiro strategico” di una tale partecipazione. Contemporaneamente all’ipotesi di ritiro delle truppe francesi, si registra una presenza sempre più importante di forze militari russe a sostegno di buona parte dei regimi e di fazioni non solo di quell’area africana. Una forza che si aggiunge alle presenze americana, cinese, indiana e turca. Presenza per altro che suggella un ritorno nel continente della Russia, sufficiente a puntellare, ma non a creare stabili aree di influenza. Germinario Giuseppe

Prendendo come pretesto il colpo di stato del colonnello Assimi Goïta in Mali, Emmanuel Macron ha deciso di “trasformare”, in realtà si dovrebbe leggere “smantellare” Barkhane [1].

Eppure, il colpo di stato dell’ex comandante delle forze speciali maliane è stato, al contrario, un’opportunità di pace. Avendo per le sue funzioni un giusto apprezzamento delle realtà sul terreno, questo Minianka, ramo minoritario del grande ensemble Senufo, non ha controversie storiche, né con i Tuareg, né con i Peul, i due popoli all’origine del conflitto [2] . Potrebbe quindi aprire una discussione di pace correggendo quattro grandi errori commessi dai decisori parigini dal 2020, errori che hanno impedito a Barkhane di esprimere tutto il suo potenziale.

1) Nel 2020 si è intensificata la lotta all’ultimo sangue che oppone l’EIGS ( Stato Islamico nel Grande Sahara ) all’AQIM ( Al-Quaïda per il Maghreb Islamico ).

L’EIGS, che è attaccato a Daesh, mira a creare in tutta la BSS (Sahelo-Saharan Band), un vasto califfato transetnico che sostituisca e includa gli attuali Stati. Dal canto suo, AQIM è l’emanazione locale di ampie frazioni dei due grandi popoli all’origine del conflitto, ovvero i Tuareg e i Peul, i cui capi locali, i Tuareg Iyad Ag Ghali e i Peul Ahmadou Koufa, non sostengono la distruzione degli attuali stati del Sahel.

Tuttavia, contrariamente a quanto proponevano gli ufficiali militari francesi, i decisori parigini non sono stati in grado di sfruttare questa opportunità politico-militare.

2) Il 3 giugno 2020, la morte dell’algerino Abdelmalek Droukdal, leader di Al-Quaïda per tutto il Nord Africa e per la banda saheliana, abbattuto dall’esercito francese su intelligence algerina, ha conferito la propria autonomia ai Tuareg Iyad ag Ghali e il Peul Ahmadou Koufa, liberandoli da ogni soggezione esterna. Poiché gli “emiri algerini” che avevano a lungo guidato Al-Qaeda nel BSS erano stati uccisi uno dopo l’altro da Barkhane, l’eliminazione di Abdelmalek Droukdal segnò così la fine di un periodo, al-Qaeda nel BSS. da stranieri, da “arabi”, ma da gente “regionale”.

Tuttavia, Parigi non ha voluto vedere che questi ultimi avevano un approccio politico regionale, che le loro richieste erano prima di tutto risorgive radicate nei loro popoli, e che il “trattamento” delle due frazioni jihadiste meritava quindi approcci diversi.

3) In questo nuovo contesto, un primo colpo di stato militare avvenuto in Mali nell’agosto 2020. Ha permesso di aprire negoziati tra Bamako e Iyad Ag Ghali, che ha ulcerato Parigi ma ha ulteriormente amplificato la guerra tra i due movimenti jihadisti .

Per la Francia, quindi, l’operazione è stata del tutto redditizia perché le avrebbe consentito di chiudere il fronte nord per concentrare le proprie risorse su altre regioni. Per questo, il 24 ottobre 2020, ho pubblicato un comunicato stampa dal titolo “Mali: serve il cambio di paradigma”.

Tuttavia, ancora una volta, Parigi non ha preso la misura di questo cambio di contesto, continuando a parlare indiscriminatamente di una lotta globale al terrorismo.

4) Mentre la liquidazione di Droukdel aveva permesso di portare alla ribalta dirigenti, certo islamisti, ma di tendenza etno-islamista, chiusi nei loro postulati, e non vedendo decisamente che esistesse un’opportunità insieme politica e militare di cogliere, i decisori parigini rifiutarono categoricamente qualsiasi dialogo con Iyad ag Ghali. Al contrario, il presidente Macron ha dichiarato di aver dato a Barkhane l’obiettivo di liquidarlo e il 10 novembre 2020, Bag Ag Moussa, il suo luogotenente è stato ucciso mentre, per diversi mesi, i funzionari francesi sul campo avevano evitato di attaccare troppo direttamente il movimento di Iyad ag Ghali.

Contro ciò che raccomandavano i vertici militari di Barkhane, Parigi insisteva quindi in una strategia “americana”, “digitando” indiscriminatamente il GAT (Gruppi armati terroristici), e rifiutando qualsiasi approccio “bene” … “francese”. …

Questi gravi errori, basati su un ostinato rifiuto di Parigi di tener conto delle realtà sul campo, per quanto ben percepiti dalla forza di Barkhane, portarono quindi a un vicolo cieco in cui la Francia entrò metodicamente. Il presidente Macron spera di uscirne annunciando l’inizio di una partenza… e una successione “internazionale” e “africana”.

Speriamo che questo disimpegno non porti a massacri su larga scala che saranno poi imputati alla Francia. Non dimentichiamo che se il genocidio in Ruanda è avvenuto dal 6 aprile 1994, è perché, su richiesta del generale Kagame, Parigi aveva ritirato l’esercito francese nell’autunno del 1993 affinché potesse essere sostituito da un esercito dell’ONU volapük che, rintanato nelle sue baracche, è rimasto passivo di fronte alle stragi… Ma è vero che il grottesco rapporto “Duclert” tanto caro al presidente Macron e al generale Kagame non cita questo “dettaglio”…


[1] L’operazione Barkhane sarà esaminata nel numero di luglio di Real Africa.

[2] A questo proposito si veda il mio libro Les guerres du Sahel dalle origini ai giorni nostri .

Maggiori informazioni sul blog di Bernard Lugan .

Semiconduttori: la ricerca della sovranità (5/5)  di Gavekal

Semiconduttori: la ricerca della sovranità (5/5)

I semiconduttori rappresentano la principale sfida tecnologica per gli anni a venire. Sono essenziali per lo sviluppo della tecnologia digitale e dell’industria, e quindi dell’economia. La Cina è in ritardo rispetto a Stati Uniti e Taiwan. Catturare il mercato dei semiconduttori è quindi una sfida importante per la sovranità dei paesi. 

 

Conflitti traduzione di un articolo di Dan Wang originariamente pubblicato sul sito Gavekal

 

5- Il futuro

 

In risposta alle pressioni degli Stati Uniti, la Cina ha intensificato il suo impegno per migliorare la capacità tecnologica della sua industria dei chip. Negli ultimi tre anni, Xi Jinping ha regolarmente commentato la necessità di fare progressi nelle “tecnologie dei punti di collo di bottiglia”, creare “catene di approvvigionamento sicure e controllabili” e sviluppare la capacità di fare “R&S indigeno”. La Conferenza Centrale del Lavoro Economico, tenutasi a dicembre 2020, ha dichiarato per la prima volta la scienza e la tecnologia al centro dell’attività economica nel 2021. Continua il flusso di specifiche politiche di sostegno: ad agosto 2020, il Consiglio di Stato ha annunciato che avrebbe eliminato l’imposta sulle società sui fabbricati avanzati per 10 anni e tariffe esenti su vari articoli di importazione. E ora il governo offre un’assicurazione ai fabbri per proteggerli da apparecchiature o materiali difettosi da fornitori cinesi.

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Anche i fondi scorrono liberamente, e non solo i fondi di orientamento controllati dallo Stato. I segnali del governo hanno chiarito che le industrie tecnologiche sono una priorità nazionale, facendo precipitare i mercati azionari. SMIC ha raccolto 6,6 miliardi di dollari quando è stata quotata in borsa a Shanghai nel luglio 2020 e i settori tecnologici ufficialmente designati “strategici” rappresentano ora circa il 40% del totale dei nuovi finanziamenti alle società quotate in borsa. Non si tratta solo di semiconduttori, ma probabilmente non c’è mai stato un momento migliore per le aziende di circuiti integrati per attingere agli appalti pubblici. Secondo Credit Suisse, le società quotate cinesi senza una fabbrica negoziano con rapporti P/E di 60-90,

 

Non mancano quindi volontà politica e finanziamenti nella ricerca della sovranità cinese sui semiconduttori. Quali sono le possibilità di successo? Il trucco sta nel trovare la giusta definizione del termine “successo”. La completa autosufficienza è una fantasia, per la Cina o per qualsiasi altro paese, data la complessità della catena del valore dei semiconduttori. Ci vorranno molti anni prima che la Cina possa liberarsi dalla sua dipendenza dagli strumenti e dal software degli Stati Uniti. È improbabile che le aziende cinesi diventino leader del settore come TSMC, Samsung o Intel nel prossimo futuro, se mai lo saranno. Ma è probabile che alcune aziende cinesi diventino attori globali credibili in diversi segmenti nei prossimi 5-10 anni. E il ritmo dell’innovazione cinese potrebbe accelerare perché le aziende imprenditoriali, minacciate dalle sanzioni statunitensi, hanno adottato il programma di sovranità dei semiconduttori del governo.

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Le montagne sono alte…

 

È facile contare gli ostacoli. I semiconduttori sono semplicemente più difficili delle aree in cui la Cina ha ottenuto buoni risultati, come le apparecchiature per le telecomunicazioni mobili e i treni ad alta velocità. I progressi nel campo dei chip sono incrementali ed è impossibile fare il salto copiando o ridisegnando un piccolo numero di prodotti. La padronanza di un nuovo passaggio richiede la padronanza di tutti i passaggi precedenti e gran parte di questa padronanza deriva dalla conoscenza del processo radicata nell’esperienza di migliaia di ingegneri, acquisita in milioni di ore di formazione.

L’aritmetica della produzione di chip è spietata. Errori di progettazione o fabbricazione potrebbero non essere scoperti fino alla fine del processo di fabbricazione, dopo milioni di dollari di investimenti. Ogni fase del processo di fabbricazione deve essere completata quasi alla perfezione, altrimenti la resa dei trucioli utilizzabili sarà inaccettabilmente bassa.

 

L’ambiente imprenditoriale cinese non è noto per la sua pazienza. Gli imprenditori cinesi di chip si lamentano della mentalità di arricchirsi rapidamente della maggior parte degli investitori, che si aspettano di essere ripagati in due o tre anni, e non della lentezza della graduale padronanza delle tecnologie di base. I migliori ingegneri preferiscono lavorare per aziende più redditizie come Tencent o ByteDance , mentre molti ricercatori e professori lavorano per le start-up invece di perseguire la ricerca e lo sviluppo di base.

 

La portata e la natura dei finanziamenti pubblici possono creare l’illusione che ci sia una corsia preferenziale per il successo e portare a investimenti eccessivi in ​​strutture fisiche a scapito della conoscenza. Wei Shaojun, un eminente professore alla Tsinghua University e consulente del governo per i semiconduttori, ha criticato pubblicamente il Fondo nazionale per i circuiti integrati per aver finanziato principalmente gli acquisti di attrezzature. Suggerisce di spendere di più per la ricerca.

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… ma ci sono modi per avere successo

 

Tuttavia, diversi fattori favoriscono i produttori di chip cinesi. In primo luogo, la legge di Moore potrebbe raggiungere i suoi limiti, sia perché enormi investimenti in tecnologia avanzata non sono più commercialmente redditizi, sia perché potrebbero esserci limiti fisici alla produzione di chip al di sotto del nodo a 2 nm, che richiederebbe il controllo dei materiali a livello del singolo atomo. Per questi motivi, l’International Technology Roadmap for Semiconductors – la previsione tecnica di consenso per l’industria globale – ha deciso nel 2016 di non tentare più di tracciare obiettivi oltre il 2030. Se i leader del settore colpiscono una tecnologia a muro, le aziende cinesi avranno più spazio per recuperare .

 

Man mano che il settore matura, molte funzionalità cinesi saranno sufficienti per la maggior parte dei casi d’uso. I principali clienti per i chip 5nm più avanzati sono smartphone e PC, settori che hanno visto anni consecutivi di calo delle vendite. Tra le aree di crescita più interessanti ci sono i chip specializzati che aziende come Amazon producono per i server o Google per l’elaborazione dell’intelligenza artificiale. Questi chip sono spesso realizzati in nodi all’avanguardia come 14 nm. Oggi, le aziende cinesi possono realizzare i chip non sofisticati che entrano in prodotti di largo consumo come forni a microonde e carte di credito. Se, come prevedono gli evangelisti del 5G,

 

La Cina produce già gran parte dell’elettronica mondiale, che fornirà la base della domanda per questo tipo di attività di volume. I marchi cinesi producono circa il 40% degli smartphone del mondo , oltre un quarto delle vendite globali di PC e la maggior parte dei veicoli elettrici. Dominano i mercati di tutti i tipi di elettrodomestici, dai condizionatori d’aria ai televisori. Le aziende cinesi potrebbero già occupare posizioni di primo piano in alcuni prodotti del futuro, come veicoli autonomi e attrezzature per smart city.

 

E nonostante un governo statunitense ostile, le aziende cinesi di microchip possono ancora costruire relazioni stabili con i fornitori statunitensi. L’industria statunitense dei semiconduttori ha sfruttato le tensioni tra Stati Uniti e Cina per spingere per una maggiore assistenza governativa, ma non ha aderito all’agenda per paralizzare i produttori cinesi. I produttori di chip e hardware con sede negli Stati Uniti continuano a cercare licenze di esportazione per le loro vendite in Cina e la stragrande maggioranza di loro viene concessa.

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Inoltre, la maggior parte delle restrizioni sulle esportazioni statunitensi si applica solo agli articoli prodotti negli Stati Uniti, offrendo alle aziende la flessibilità di rifornire i clienti cinesi da fabbriche situate all’estero. Il CEO di KLA-Tencor ha suggerito che la società potrebbe utilizzare gli impianti di produzione in Israele e Singapore per vendere alle società cinesi; e Lam Research hanno annunciato nel 2020 che amplierà la produzione in Malesia, forse anche nel tentativo di soddisfare la domanda cinese. Questa tendenza all’offshoring sarà difficile da invertire, soprattutto perché in molti segmenti i concorrenti europei e asiatici sono pronti a riprendere le vendite che le società statunitensi stanno abbandonando a causa delle pressioni politiche.

 

Un’altra strada aperta alle aziende cinesi di chip è l’uso di tecnologie di proprietà intellettuale open source di base, che generalmente non sono soggette a controlli sulle esportazioni perché (come i brevetti e gli articoli scientifici) sono pubblicate. . Nel mondo dei chip, RISC-V è un’architettura open source che compete con le tecnologie proprietarie di ARM. Le aziende cinesi, guidate da Alibaba, hanno iniziato a utilizzare e migliorare RISC-V.

 

Infine, e questo è un punto cruciale, le sanzioni statunitensi potrebbero aver danneggiato, ma hanno anche allineato gli interessi delle aziende tecnologiche cinesi con l’obiettivo dell’autosufficienza del governo. In passato, le aziende tecnologiche cinesi hanno spesso resistito alle pressioni di Pechino per acquistare componenti locali o utilizzare standard locali perché volevano competere nei mercati globali. Un telefono Huawei, ad esempio, utilizza all’incirca la stessa proporzione di componenti cinesi di un iPhone, ad eccezione del processore, progettato dalle due società. Ma oggi, diverse grandi aziende tecnologiche cinesi stanno affrontando una qualche forma di sanzione da parte degli Stati Uniti e molti altri temono di finire in una lista nera incompresa.

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L’impatto più diretto di questo sviluppo è che Huawei e SMIC stanno aumentando i loro acquisti di design, chip e componenti domestici. Le piccole aziende di circuiti integrati che in precedenza non avrebbero potuto sognare di vendere a Huawei sono ora qualificate come fornitori. La sponsorizzazione di queste grandi aziende significa che questi fornitori possono migliorare più velocemente di quanto farebbero altrimenti, grazie alla fornitura di denaro e conoscenze tecniche da parte di fornitori esigenti.

 

Notevoli margini di miglioramento

 

Insomma, l’industria cinese dei semiconduttori ha ancora ampi margini di recupero tecnologico, anche se non riesce mai ad essere all’avanguardia del progresso; e l’opposizione politica di Washington non sarà sufficiente a compensare la crescente domanda da parte delle aziende cinesi di chip che le aziende statunitensi potrebbero non fornire più. In due segmenti, design e memoria, le basi per il progresso sono già poste. L’industria cinese del design senza fabbriche è in forte espansione, soprattutto nelle applicazioni mobili. L’unità HiSilicon di Huawei ha riunito un team di progettazione d’élite che sarà in grado di stimolare l’innovazione in altre aziende, anche se Huawei è irrimediabilmente paralizzata. Le aziende di design cinesi potrebbero iniziare a competere più attivamente con aziende come Qualcomm e Broadcom. Entrambi i produttori di memorie YMTC e CXMT sono credibili e non sembrano essere nel mirino degli Stati Uniti. Hanno buone possibilità di conquistare quote di mercato significative entro tre-cinque anni, a discapito degli operatori coreani in essere.

 

Anche alcuni altri segmenti offrono possibilità di vincita. Nel settore delle fonderie, la pura forza degli investimenti pubblici consentirà probabilmente a SMIC e ad altri di rimanere in gioco, anche se le dinamiche di mercato e i controlli tecnologici statunitensi li tengono costantemente a pochi passi dai leader mondiali. Se le aziende di design cinesi si comportano bene, aiuterà anche le fonderie cinesi. Alcune altre tecnologie mature, come i chip analogici, dove l’innovazione è meno problematica, dovrebbero vedere intensificarsi la concorrenza cinese nei prossimi anni. E le aziende cinesi hanno la possibilità di diventare più importanti nella produzione di materie prime (come wafer, gas e prodotti chimici) utilizzate nei chip.

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È molto più difficile vedere le aziende cinesi salire rapidamente alla ribalta nei chip generici di fascia alta realizzati da Intel e Nvidia, che sono difficili da produrre e mostrano effetti di blocco del software. Potrebbe volerci ancora più tempo prima che la Cina inizi a produrre le proprie apparecchiature di produzione di semiconduttori, poiché queste macchine utilizzano sia la scienza profonda che il software avanzato.

 

Le implicazioni più ampie di un’industria cinese dei chip molto più grande e prospera saranno miste. Alcuni degli operatori storici coreani, giapponesi, europei e americani perderanno quote di mercato, ma il processo sarà graduale. Si prevede che la capacità globale crescerà ben oltre la domanda ora che Cina, Stati Uniti e persino Europa concordano di aver bisogno di una maggiore produzione nazionale di semiconduttori per motivi di sicurezza. Il lato positivo è che ci saranno meno possibilità di carenza di chip come quelle che attualmente colpiscono il mondo. Il rovescio della medaglia è che le società con le prestazioni peggiori rimarranno sul posto e il ritmo dell’innovazione dei semiconduttori probabilmente rallenterà, perché gli attuali leader tecnologici dovranno dividere il mercato con aziende cinesi meno motivate dalla redditività. Man mano che la tecnologia matura e l’industria è sempre più guidata da considerazioni politiche, ci sono sempre meno possibilità che i semiconduttori continuino a consentire gli sbalorditivi progressi tecnologici di cui abbiamo goduto negli anni degli ultimi decenni.

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