L’identità nazionale compromessa_con Gianfranco Campa

I giri di valzer si susseguono vorticosi; persone apparentemente affidabili si stanno rivelando quantomeno incapaci di sostenere la pressione e mantenere un minimo di coerenza; gli strali partono da più fronti ma stanno convergendo tutti su Donald Trump. Non è stato possibile sconfiggerlo politicamente, lo si dovrà azzoppare in qualche modo. E’ iniziata una campagna che punta a criminalizzare un intero movimento. In pratica la metà del paese. E’ il nemico interno da additare al pubblico ludibrio. A differenza di dieci anni fa, però, gli inquisitori sono poco credibili; hanno il controllo pressoché esclusivo delle leve di potere, ma non il consenso maggioritario e la credibilità necessari. La stessa alleanza che ha portato all’insediamento di Biden, costruita così faticosamente rischia di scricchiolare in qualsiasi momento e di perdere prima del previsto il leader ologramma che hanno appena insediato. Le linee di frattura sono numerose: quella innanzitutto tra i detentori storici delle leve e la componente radicale; quella tra l’ambientalismo e i produttori, accentuata per altro dalla fretta che impedisce alla industria e all’artigianato statunitense di adeguarsi; quella tra l’interventismo militare strisciante e il pacifismo. Ma siamo solo all’inizio. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

https://rumble.com/ve40qt-lidentit-nazionale-compromessa-con-gianfranco-campa.html

 

Cinque punti sull’accordo Cina-UE, di Olivier Prost e Anna Dias

Cinque punti sull’accordo Cina-UE

Con l’ambizione di “riequilibrare” i propri rapporti con la Cina, l’Unione Europea ha firmato con Pechino un accordo globale di investimenti, frutto di negoziati iniziati nel 2013 in un contesto politico completamente diverso. Sebbene il suo contenuto sia stato pubblicato di recente, Olivier Prost e Anna Dias forniscono un’analisi informata su un accordo sensibile.

Il 30 dicembre 2020, Ursula von der Leyen, Charles Michel, Angela Merkel ed Emmanuel Macron hanno annunciato in videoconferenza la conclusione di un accordo di investimento globale con la Cina di Xi Jinping, chiudendo i negoziati avviati nel 2013 (il “CAI” o “Accordo” ).

Il suo contenuto, recentemente svelato1, mostra un ambito tecnico relativamente modesto. Tuttavia, spetterà chiaramente alle imprese europee, attraverso gli strumenti offerti dall’accordo e gli strumenti per l’efficace attuazione degli accordi bilaterali della Commissione, far vivere al massimo le sue disposizioni e cercare soluzioni costruttive e pragmatiche, che gli impegni della Cina in termini di accesso agli investimenti nel suo territorio diventano una realtà più visibile.

Politicamente, tuttavia, l’Accordo è tanto coerente quanto tecnicamente modesto. Concluso in un particolare contesto geopolitico, dà alla Cina la speranza di migliorare la sua posizione nelle relazioni commerciali triangolari tra l’Unione europea (UE) e gli Stati Uniti. Questa non è la garanzia per la Cina di evitare sistematiche opposizioni UE-USA nei suoi confronti, ma la speranza che l’UE possa non allinearsi sistematicamente con le posizioni degli Stati Uniti.2. Questo costo politico, significativo per l’UE, è senza dubbio uno dei motivi per cui i suoi organi sono stati colti da diversi mesi da una frenesia di proposte normative volte a disciplinare il flusso di importazioni ingiuste, destabilizzanti o addirittura non rispettose di alcuni principi fondamentali quali come quelli relativi ai diritti umani. Sebbene queste iniziative siano rivolte a tutti i paesi, nessuno può negare che siano guidate principalmente dalla Cina.

1.  Un primo passo compiuto in un contesto particolare, un processo ancora lungo

Il trattato di Lisbona ha conferito all’Unione la competenza esclusiva nel settore degli investimenti esteri diretti (IDE). Spetta quindi ora a lui promuovere la sua competitività sui mercati mondiali attraverso maggiori investimenti e un migliore accesso ai mercati dei paesi terzi. Questa estensione delle competenze conferisce inoltre all’Europa una maggiore influenza sugli accordi di investimento internazionale, uno strumento essenziale in qualsiasi reazione alla globalizzazione.

L’obiettivo dei negoziati avviati nel 2013 con la Cina e sfociati nell’Accordo appena “firmato politicamente” è stato innanzitutto quello di sostituire il “mosaico” degli accordi bilaterali di investimento conclusi dagli Stati membri dell’UE, 25 in il tutto, comprendente perimetri diversi e incentrato sulla protezione degli investitori, senza affrontare la questione essenziale dell’accesso al mercato.

Già a settembre, a seguito di una videoconferenza con il presidente cinese Xi Jinping, il presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, aveva dichiarato alla stampa: “La Cina deve convincerci che vale la pena di avere un accordo di investimento”. La Cina sembra quindi essere stata persuasiva, facendo nuove offerte e riconoscendo che la conclusione di un accordo sotto la Presidenza tedesca offriva una finestra di opportunità che rischiava di chiudersi in seguito. Eppure, se gli ultimi quattro anni ci hanno insegnato qualcosa – il recente accordo sulla Brexit, la rinegoziazione del NAFTA, l’accordo di Fase 1 tra Stati Uniti e Cina – è che gli accordi commerciali e gli investimenti sono più che semplici accordi tecnici tra due economie.

Gli accordi commerciali e di investimento sono più che semplici accordi tecnici tra due economie. Sono diventati sempre più sforzi politici.

OLIVIER PROST E ANNA DIAS

L’Unione Europea ha deciso di suggellare l’accordo con Pechino, pur sottolineando che non era probabile che impedisse una stretta collaborazione con gli Stati Uniti sulle questioni cinesi. Lo testimonia la presentazione, lo scorso dicembre, di una nuova agenda transatlantica, di cui la Cina si qualifica ancora una volta come “rivale sistemica”. Stava rispondendo all’amministrazione Biden, che al suo arrivo ha anche sottolineato il suo impegno a lavorare con i suoi alleati e partner per affrontare le sfide che la Cina presenta agli standard e alle istituzioni globali.

Ciò non è sembrato sufficiente a creare una certa confusione nell’amministrazione Biden sul reale posizionamento dell’Unione nei confronti della Cina, e la stessa Cina sembra nella sua comunicazione pubblica dare l’impressione di aver stretto una nuova alleanza con l’Europa. È vero che la temporalità della conclusione è più che particolare: mentre le relazioni diplomatiche tra Unione, Stati Uniti e Cina sono segnate da un insieme di temi di grave e altamente politica preoccupazione (repressione degli oppositori politici a Hong Kong, deportazione di Uiguri ai campi di lavoro, censura e mancanza di trasparenza nella gestione dell’attuale pandemia) – tutte preoccupazioni che hanno portato gli Stati Uniti a prendere sanzioni nei confronti della Cina e dei suoi leader – l’Unione Europea decide di concludere un Accordo che segna una dinamica di apertura agli investimenti e di rinnovata fiducia con il suo partner cinese. Tuttavia, non si può negare che le relazioni economiche sino-europee avevano un disperato bisogno di un nuovo inizio. La Cina ha accumulato per molti anni un ritardo significativo nell’attuazione dei suoi impegni commerciali, in particolare quando è entrata a far parte dell’OMC. Potremmo ovviamente considerare la Cina come un partner in malafede, ma l’Unione Europea, sotto la guida del Cancelliere Merkel e del Presidente Macron, ha invece scelto una strada pragmatica,

La Cina ha accumulato per molti anni un notevole ritardo nell’attuazione dei suoi impegni commerciali, in particolare quando ha aderito all’OMC. L’Unione Europea, sotto la guida del Cancelliere Merkel e del Presidente Macron, ha invece scelto una strada pragmatica, che consente di sbloccare questa situazione e di far avanzare concretamente le cose a favore delle imprese europee che investono in Cina.

OLIVIER PROST E ANNA DIAS

Quanto all’entrata in vigore dell’Accordo stesso, la strada da percorrere è ancora lunga e dovranno precederla diverse tappe importanti.

Primo, perché il testo attuale non è un testo definitivo, nonostante l’importante comunicazione pubblica da entrambe le parti. La Commissione ha indicato che sta effettuando revisioni tecniche di cui non si conosce l’entità. Inoltre, l’accordo concluso dal negoziatore, vale a dire la Commissione europea, deve quindi essere riesaminato dai giureconsulti e quindi ratificato, come qualsiasi trattato internazionale, per acquisire forza di legge. È probabile che il processo di ratifica sia complesso. La Commissione ha dichiarato di ritenere che l’accordo rientri nella competenza esclusiva dell’Unione europea come definita dal trattato, il che implica una ratifica limitata al Parlamento europeo. Alla luce delle recenti esperienze con accordi conclusi, ad esempio, con Singapore o il Canada, si discute la questione delle competenze esclusive o condivise tra l’Unione e gli Stati membri. Per quanto riguarda la giurisprudenza della Corte di giustizia, quello che riguarda la tutela degli investimenti è una competenza condivisa, necessita quindi di una ratifica estesa a tutti i Parlamenti nazionali, con il rischio di blocchi e ritardi, come abbiamo visto. Con l’accordo con Canada. D’altra parte, poiché le questioni relative alla protezione degli investimenti sono state rinviate per ulteriori negoziati nell’Accordo con la Cina, si potrebbe pensare che la ratifica sarebbe limitata al Parlamento Europeo, ad eccezione di un gruppo di Stati membri. Non soddisfatto dell’Accordo non lo fa. dimostrare che alcune clausole riguardano effettivamente la protezione degli investimenti. quello che riguarda la tutela degli investimenti è una competenza condivisa, quindi richiede una ratifica estesa a tutti i parlamenti nazionali, con il rischio di blocchi e ritardi, come abbiamo visto con l’accordo con il Canada. D’altra parte, poiché le questioni relative alla protezione degli investimenti sono state rinviate per ulteriori negoziati nell’Accordo con la Cina, si potrebbe pensare che la ratifica sia limitata al Parlamento europeo, ad eccezione di un gruppo di Stati membri che non sono soddisfatti dell’Accordo non mostra che alcune clausole riguardano in realtà la protezione degli investimenti. quello che riguarda la tutela degli investimenti è una competenza condivisa, quindi richiede una ratifica estesa a tutti i parlamenti nazionali, con il rischio di blocchi e ritardi, come abbiamo visto con l’accordo con il Canada. D’altra parte, poiché le questioni relative alla protezione degli investimenti sono state rinviate per ulteriori negoziati nell’Accordo con la Cina, si potrebbe pensare che la ratifica sarebbe limitata al Parlamento Europeo, ad eccezione di un gruppo di Stati membri. Non soddisfatto dell’Accordo non lo fa. mostrano che alcune clausole riguardano effettivamente la protezione degli investimenti.

È chiaro che il processo darà luogo a un dibattito politico sulla posta in gioco delle relazioni Europa-Cina che andrà ben oltre le questioni economiche e commerciali con il potenziale o il rischio di bloccarne l’attuazione a tempo indeterminato.

OLIVIER PROST E ANNA DIAS

È chiaro che in un caso o nell’altro – ratifica da parte del Parlamento europeo o di tutti i 27 parlamenti nazionali – il processo darà luogo a un dibattito politico sulla posta in gioco delle relazioni Europa-Cina che andrà ben oltre le questioni economiche e con potenziale o il rischio di bloccarne l’implementazione a tempo indeterminato. Alcuni temi delicati legati a questo Accordo, come il commercio sostenibile oi diritti umani, dovranno assolutamente essere “chiariti” per la firma finale dell’Accordo che dovrebbe avvenire a metà della Presidenza francese dell’Unione Europea, nel primo metà del 2022, anno delle elezioni presidenziali anche in Francia. La strategia globale dell’Unione europea nei confronti della Cina dovrebbe pertanto essere quanto più chiara possibile entro il 2022.

2.  Le caratteristiche principali dell’accordo

L’accordo mira innanzitutto a consentire alle imprese europee un migliore accesso al mercato cinese e ad offrire loro condizioni di concorrenza più eque su questo mercato. D’altra parte, bisognerà attendere altri due anni prima di scoprire il secondo pilastro di questo Accordo che, una volta effettuato l’investimento, mirerà a tutelarlo da espropriazioni o altre misure penalizzanti. Questo sarà quindi il momento in cui le regole bilaterali a livello europeo sostituiranno i 25 trattati bilaterali in vigore sulla protezione degli investimenti conclusi tra la Cina e gli Stati membri.

2.1 Garantire un migliore accesso ai mercati

L’accordo contiene nuove aperture e nuovi impegni sull’accesso al mercato. In pratica, ciò significa porre fine alle restrizioni che limitano il numero di società suscettibili di operare in uno specifico settore, ai limiti alla partecipazione di capitali esteri oa requisiti come l’obbligo di costituire joint venture con una società cinese come condizione per operare in territorio cinese. Oltre a ciò, l’Accordo merita attenzione in quanto l’Unione Europea è riuscita a elencare un gran numero di impegni, ispirati da tante esperienze negative incontrate dalle aziende europee negli ultimi vent’anni – e altrettante clausole legali, specifiche, e quindi meno suscettibili all’interpretazione, che può, se necessario, essere soggetto al meccanismo delle controversie bilaterali. Tra queste clausole, si segnala il divieto di trasferimenti forzati di tecnologia o l’obbligo di svolgere una certa percentuale di ricerca e sviluppo in Cina.

Se queste concessioni cinesi possono sembrare un’importante vittoria per l’Unione Europea, va anche ricordato che molte di queste clausole erano già state concesse dalla Cina nella sua legge sugli investimenti esteri entrata in vigore nel 2020, largamente ripresa nella fase un accordo commerciale tra gli Stati Uniti e la Cina.

OLIVIER PROST E ANNA DIAS

Se queste concessioni cinesi possono sembrare un’importante vittoria per l’Unione Europea, va anche ricordato che molte di queste clausole erano già state concesse dalla Cina nella sua legge sugli investimenti esteri entrata in vigore nel 2020, largamente ripresa nella fase un accordo commerciale tra gli Stati Uniti e la Cina. Ad esempio, la legge cinese già proibiva i trasferimenti forzati di tecnologia, concedendo il trattamento nazionale alle imprese a investimento straniero e garantendo loro pari diritti di partecipazione agli appalti pubblici. Inoltre, per quanto riguarda la graduale apertura dell’accesso al mercato agli investimenti esteri, dal 1995 la Cina ha classificato i settori come “limitati” o “vietati” per l’accesso da parte di investitori stranieri. Quando questo elenco negativo è stato aggiornato l’ultima volta, conteneva solo 34 settori. Inoltre, alcuni degli impegni di apertura del mercato assunti dalla Cina ai sensi dell’Accordo sono già coperti dalle sue normative o politiche nazionali e sono applicabili a tutti gli investitori stranieri, inclusi alcuni dei settori chiave dell’Accordo.

Resta il fatto che è inutile cercare la “paternità” definitiva delle concessioni fatte dalla Cina. La cosa più importante è che esistono, e inoltre la Commissione Europea ha sottolineato che sarebbero applicabili a tutti i paesi membri dell’OMC applicando la clausola della nazione più favorita. Ma soprattutto, per le imprese europee, era fondamentale che fossero “scolpite nella pietra” in un accordo bilaterale che univa Unione Europea e Cina e capaci di essere oggetto di risoluzione bilaterale delle controversie, che non necessariamente favorisce l’approccio del contenzioso, ma la ricerca di soluzioni costruttive da parte delle aziende interessate, con il supporto dei rispettivi Stati. Perché un impegno dalla Cina poteva esistere da diversi anni e un’azienda europea,

2.2 Rafforzare la parità di condizioni

L’accordo contiene anche impegni intesi a promuovere condizioni di parità) a vantaggio delle imprese europee (cui è concesso il “trattamento nazionale”) e una maggiore trasparenza nella regolamentazione dei sussidi e delle licenze. Tra le sue disposizioni volte a garantire parità di condizioni, l’Accordo presenta un articolo volto alla regolamentazione e alla trasparenza delle sovvenzioni, con ampia copertura dei settori dei servizi. L’accordo adotta la definizione di sovvenzioni dell’Accordo sulle sovvenzioni e le misure compensative (ASCM) e non si applica alle sovvenzioni per la pesca e i prodotti della pesca o per i servizi audiovisivi. Un allegato specifica i settori ai quali si applicano gli impegni in termini di trasparenza delle sovvenzioni: servizi alle imprese, servizi di comunicazione, servizi di costruzione e relativi servizi di ingegneria, servizi di distribuzione, servizi ambientali, servizi finanziari, servizi relativi alla salute, servizi relativi al turismo e ai viaggi, trasporti e fornitura di servizi. Questo articolo prevede che le parti debbano pubblicare informazioni su obiettivi, base giuridica, forma, importo e destinatario di ciascuna sovvenzione. Questi impegni in materia di trasparenza dovrebbero entrare in vigore entro due anni dall’entrata in vigore dell’accordo.

Tenuto conto del fatto che la Cina è riuscita ad escludere le sovvenzioni dall’ambito della risoluzione delle controversie, si può affermare che in termini di controllo delle sovvenzioni concesse dal governo cinese nel suo territorio, l’accordo rimane di portata estremamente limitata.

OLIVIER PROST E ANNA DIAS

Tuttavia, va notato che in termini a volte un po ‘diversi, gli obblighi inclusi nel CAI in termini di trasparenza dei sussidi agli investimenti erano simili a certe disposizioni dell’OMC applicabili alla Cina dal 2001 che non erano mai state attuate correttamente fino ad oggi. Si può pensare in particolare agli obblighi di notifica delle sovvenzioni nel settore delle merci, procedura che dal 2001 è rimasta lettera morta. Inoltre e soprattutto, se si tiene conto del fatto che la Cina è riuscita ad escludere le sovvenzioni dal settore applicazione della risoluzione delle controversie, si può affermare che in termini di controllo delle sovvenzioni concesse dal governo cinese nel proprio territorio, l’accordo resta di portata estremamente limitata.

2.3 Incoraggiare il commercio sostenibile 

La lotta contro il lavoro forzato e la necessità di impegnare la Cina ad aderire alle convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) e agli strumenti di protezione ambientale sono stati una questione importante durante i negoziati IAC. In base all’accordo, la Cina si impegna, ad esempio, a continuare ad aumentare il livello di protezione dell’ambiente e del lavoro. Né dovrebbe indebolire la protezione in quest’area per attrarre investimenti stranieri, e le discipline ambientali o lavorative non possono costituire una restrizione mascherata agli investimenti stranieri. In particolare, la Cina si impegna ad attuare efficacemente la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e l’Accordo di Parigi. Accetta inoltre di attuare efficacemente le Convenzioni ILO che ha già ratificato e accetta di lavorare per la ratifica di altre Convenzioni fondamentali ILO, in particolare le Convenzioni n. 29 e 105, che trattano di lavoro forzato.

Su questo punto, gli impegni cinesi in materia di clima e lavoro sono probabilmente senza precedenti nel contesto di un accordo bilaterale. Resta il fatto, tuttavia, che gli impegni in questione si basano essenzialmente su clausole di ” best effort ” e soprattutto che, come le sovvenzioni, la Cina ha ottenuto che tali disposizioni siano oggetto solo di un processo di consultazione. Caso di disaccordo, meccanismo senza effetto vincolante.

OLIVIER PROST E ANNA DIAS

Su questo punto, gli impegni cinesi su clima e lavoro sono probabilmente senza precedenti in un accordo bilaterale. Resta il fatto, tuttavia, che gli impegni in questione si basano essenzialmente su clausole di ” massimo impegno “.E soprattutto che, come i sussidi, la Cina ha ottenuto che queste disposizioni siano soggette a un processo di consultazione solo in caso di disaccordo, un meccanismo senza alcun ambito vincolante. Si può quindi ragionevolmente pensare che la salvezza delle imprese europee interessate in questo settore passerà anche, e forse soprattutto, dall’utilizzo degli strumenti giuridici autonomi dell’Unione Europea, in particolare quelli che sono in gestazione come il “dovere di diligenza “(Commissario Reynders) e il” regime di sanzioni globali dell’UE nel settore dei diritti umani “, che prenderà di mira le persone e le entità responsabili (partecipanti o associate) di gravi violazioni o abusi nel campo dei diritti umani. sanzionare attori statali e non statali.

3. La Cina onorerà i suoi impegni?

Il record della Cina nel rispettare i suoi impegni commerciali è a dir poco mediocre, alcuni potrebbero persino optare per una qualificazione più severa. Lo stato cinese continua a guidare l’economia e il commercio, nonostante le sue stesse dichiarazioni e impegni a trasformare la sua economia in un’economia di mercato. Dalla sua adesione all’OMC, i membri dell’Organizzazione hanno perseguito molteplici sforzi per spingere la Cina a rispettare i suoi impegni. Non hanno portato a cambiamenti significativi nell’approccio della Cina all’economia e al commercio.

Dalla sua adesione all’OMC, i membri dell’Organizzazione hanno perseguito molteplici sforzi per spingere la Cina a rispettare i suoi impegni. Non hanno portato a cambiamenti significativi nell’approccio della Cina all’economia e al commercio.

OLIVIER PROST E ANNA DIAS

Questo approccio continua a imporre costi significativi ai suoi partner commerciali, arrivando fino alla distorsione sistematica di settori critici dell’economia mondiale come l’acciaio e l’alluminio, devastando i mercati dei paesi industrializzati. La Cina continua inoltre a prevenire la concorrenza straniera da parte di preziosi settori della sua economia, in particolare i settori dei servizi. Allo stesso tempo, la Cina mantiene una politica aggressiva di investimenti all’estero, intervenendo per conto delle sue imprese in nuovi settori e paesi emergenti dell’economia mondiale.

Sulla carta, l’accordo raggiunto rappresenta quindi un importante passo avanti, visto il contesto sopra citato. Pertanto, nei settori in cui sono stati concordati impegni di accesso al mercato, la Cina non sarà in grado di imporre limitazioni al numero di imprese che possono svolgere attività economiche, al valore totale delle transazioni, al numero totale di persone da assumere, limitare o richiedono la costituzione di una joint venture o di una specifica entità giuridica come condizione per operare. Inoltre, l’accordo prevede il divieto del trasferimento forzato di tecnologia.

Tuttavia, l’accordo ha valore solo se viene effettivamente attuato dalla Cina. E in base all’esperienza, è lecito interrogarsi su questo punto, poiché è vero che il rispetto delle sue disposizioni implica uno sconvolgimento del sistema cinese di controllo sull’economia. Tuttavia, la Cina non adotterà misure che minerebbero la sua stabilità sociale o economica. Di conseguenza, le disposizioni dell’Accordo che mirano al rispetto delle misure che incidono sul controllo dell’economia e sul rispetto delle norme ambientali e sociali sono poco restrittive, così come quelle finalizzate all’accesso al mercato, che non sono in discussione il sistema politico ed economico cinese, sono fermi e potenzialmente efficaci per le imprese.

La Cina non adotterà misure che mettano a repentaglio la sua stabilità sociale o economica. Di conseguenza, le disposizioni dell’Accordo che mirano al rispetto delle misure che incidono sul controllo dell’economia e sul rispetto delle norme ambientali e sociali sono poco restrittive, così come quelle finalizzate all’accesso al mercato, che non sono in discussione il sistema politico ed economico cinese, sono fermi e potenzialmente efficaci per le imprese.

OLIVIER PROST E ANNA DIAS

Da un lato, per quanto riguarda il controllo delle sovvenzioni promesso nell’accordo, la Cina ha finora rifiutato di adottare misure efficaci in questo settore. Sono come un’estensione del potere del partito e sostengono a debita distanza le imprese pubbliche in fallimento o lo sviluppo aggressivo delle imprese nei mercati interni o di esportazione.

Ad esempio, sebbene la Cina si sia impegnata ad aprire i servizi di pagamento elettronico ai fornitori stranieri come parte della sua adesione all’OMC, ha mantenuto le restrizioni, mentre un’impresa di proprietà statale (SOE), la China’s Union Pay , gode dell’accesso esclusivo al mercato interno, ha costruito una rete di servizi di pagamento elettronico in 179 paesi. È quindi improbabile che l’apertura di questi servizi agli investitori stranieri nell’accordo determini una migliore concorrenza poiché la posizione di monopolio dell’impresa statale è stabilita oggi.

D’altra parte, l’accordo include disposizioni relative all’ambiente e alle condizioni di lavoro. Richiede l’adesione ai protocolli di base dell’ILO, compreso il diritto di formare sindacati, la contrattazione collettiva e il divieto del lavoro forzato. La Cina si è impegnata solo a fare il massimo per raggiungere questo obiettivo, ma questa promessa è difficilmente credibile, dati gli scarsi risultati della Cina su questi temi.

In queste condizioni, per garantire che l’accordo non rimanga lettera morta, il meccanismo essenziale è quello che consente di risolvere le controversie e questo è uno degli obiettivi comprovati dell’Unione europea in tutti i recenti accordi commerciali che ha concluso di porre in collocare processi che consentano l’applicazione di sanzioni efficaci o misure correttive, se necessario.

Tuttavia, in questa fase, risulta che sui due punti sensibili sopra – il controllo degli interventi finanziari dello Stato nell’economia e gli impegni ambientali e il diritto del lavoro – i meccanismi destinati a garantire gli impegni di attuazione assunti nei confronti dello Stato gli interventi finanziari nell’economia o in questioni sociali e ambientali non sono vincolanti. In entrambi i casi è escluso il ricorso al meccanismo di risoluzione delle controversie previsto dalla Convenzione, che consente a una delle parti di adottare, se necessario, misure correttive. Ciò implica che per le disposizioni più delicate dell’accordo, gli unici mezzi di ricorso sono le consultazioni ministeriali e la buona volontà delle parti.

Ciò non è molto rassicurante alla luce dell’esperienza passata e un po ‘paradossale se confrontiamo questa situazione con l’accordo Brexit appena concluso, dove i nostri vicini britannici sono soggetti alla minaccia di sanzioni rapide, dissuasive ed efficaci in caso di mancato -conformità all’Accordo su questi temi specifici. Viene data la curiosa impressione di essere più flessibili con la Cina che con il Regno Unito.

Si dà la curiosa impressione di essere più flessibili con la Cina che con il Regno Unito.

OLIVIER PROST E ANNA DIAS

Tuttavia, l’accordo prevede un adeguato processo di risoluzione delle controversie per le disposizioni sull’accesso al mercato che è paragonabile a quello che può esistere in altri recenti accordi commerciali e di investimento in Canada, nell’Unione europea (Canada, Corea del Sud, Giappone, ecc.).

Del tutto convenzionalmente, questo meccanismo di risoluzione incoraggia innanzitutto le parti a risolvere le controversie avviando consultazioni. Le parti possono anche optare per la mediazione. Se le parti non raggiungono una soluzione concordata di comune accordo, la parte richiedente può chiedere l’istituzione di un collegio arbitrale. Gli arbitri saranno selezionati dalle due Parti, per essere scelti da una lista predisposta dal Comitato Investimenti istituito dall’accordo. L’arbitrato funziona come i meccanismi di risoluzione delle controversie da stato a stato che si trovano nella maggior parte dei moderni accordi commerciali o di investimento. Gli arbitri devono presentare una relazione intermedia entro 120 giorni e la relazione finale entro 180 giorni dalla composizione del collegio. Le decisioni devono essere accettate incondizionatamente dalle Parti, ma non devono creare diritti o obblighi per le persone fisiche o giuridiche. L’Accordo prevede inoltre alle Parti la possibilità di applicare misure temporanee in risposta al mancato rispetto del lodo arbitrale, inclusa la ritorsione incrociata – violazione in un settore, sospensione di diritti / obblighi in un altro. La sospensione degli obblighi sarà temporanea e cesserà non appena la parte reclamata notificherà le misure che dimostrano la conformità con la decisione del collegio. Il testo prevede inoltre che, laddove una particolare misura abbia presumibilmente violato un obbligo ai sensi della IAC e un obbligo equivalente ai sensi di un altro accordo internazionale come l’OMC, la parte attrice può scegliere il foro di sua preferenza.

4. Il successo dell’Accordo presuppone che le aziende “lo facciano vivere  “

Per anni, quando un’azienda europea si è imbattuta in una legislazione cinese protezionistica o discriminatoria, il suo primo istinto è stato spesso quello di sollevare la questione in modo “politico” con le proprie autorità politiche, la Camera di Commercio Europea in Cina o altre istanze. Le aziende europee devono ora imparare ad attuare le disposizioni dell’accordo di accesso al mercato, prendendo l’iniziativa per stimolare la risoluzione delle controversie con la Commissione europea. Bisogna ripeterlo, non necessariamente per andare in contenzioso, ma per utilizzare tutti i pallet offerti dall’accordo permettendo di trovare una soluzione costruttiva con la Cina.

Le aziende europee devono ora imparare ad attuare le disposizioni dell’accordo di accesso al mercato, prendendo l’iniziativa per stimolare la risoluzione delle controversie con la Commissione europea.

OLIVIER PROST E ANNA DIAS

Infatti, se gli Stati stanno manovrando per negoziare gli accordi, sono le società che stanno al timone per farli rispettare. Per fare questo, devono rivolgersi a Bruxelles e alla DG Commercio per sensibilizzare il ”  Chief Trade Enforcer Officer”. (CTEO) e ottenere dai propri servizi, in caso di violazione dell’Accordo, l’ingaggio del sistema di risoluzione delle controversie, concepito non soprattutto come contenzioso, ma soprattutto come soluzione costruttiva! Ciò è particolarmente vero per un paese come la Cina, che raramente favorisce i conflitti nella risoluzione delle controversie. Il meccanismo di risoluzione delle controversie dell’Accordo, che considera il contenzioso solo come la soluzione definitiva, è quindi benvenuto a questo riguardo, a condizione che le società europee non indeboliscano e integrino l’Accordo e la sua risoluzione delle controversie “multiforme” nelle loro strategie di commercio di esportazione, in altre parole il diritto di servire le esportazioni.

In effetti, ciò che è essenziale per noi ricordare è che le società europee non dovrebbero essere spaventate dalla natura “statale” di questa risoluzione delle controversie. Al contrario, con il ritorno della politica all’economia, questo tipo di risoluzione delle controversie sta gradualmente diventando la norma nel contesto di molti accordi bilaterali. La cosa migliore che un’azienda può fare per risolvere le controversie in questo tipo di accordo è (i) presentare una valida argomentazione che dimostri l’illegittimità di una misura cinese con l’accordo e (ii) cercare, in collaborazione con la Commissione europea, un costruttivo soluzione con la Cina. Questa ricerca sarà minacciata da una decisione del Panel che, essendo di natura orizzontale, potrebbe essere molto più penalizzante per la Cina. Preferirà davvero,

A questo proposito, è chiaro che un’Europa potente si esprime ora in molti regolamenti autonomi della Commissione, in particolare nella modifica del regolamento del 2014 che consente di rafforzare i poteri della Commissione quando un paese terzo che ha un accordo con il L’Unione non la rispetta.

OLIVIER PROST E ANNA DIAS

Ovviamente, affinché possa emergere una soluzione costruttiva, deve ancora sussistere il rischio di sanzioni (nell’ambito di un Panel bilaterale). Se la Cina sa che l’Europa non ha i mezzi legali o la volontà di avere una pratica sancita dall’adozione di contromisure consentite alla fine del Panel bilaterale, questa debolezza priverà le società interessate di ogni motivazione, e alla Cina ogni incentivo a cercare soluzioni costruttive. A questo proposito, è chiaro che un’Europa potente si esprime oggi in numerosi regolamenti autonomi della Commissione, in particolare nella modifica del regolamento del 2014 (”  regolamento di applicazione “) Ciò consente di rafforzare i poteri della Commissione quando un paese terzo che ha un accordo con l’Unione non lo rispetta. Tale regolamento, infatti, consentirà di adottare misure di ritorsione, non solo nel settore oggetto della violazione (ad esempio il commercio di beni), ma anche estendendolo al commercio di servizi o alla proprietà intellettuale. Si tratta in tal senso di un testo complementare ed essenziale alla risoluzione delle controversie stabilite dall’Accordo.

5. Il CAI: solo una parte del progressivo riequilibrio dei rapporti economici con la Cina

Parallelamente all’apertura del dialogo con la Cina, l’Europa vuole essere allo stesso tempo estremamente ferma sui flussi ingiusti o destabilizzanti cinesi in Europa. Questa realtà ci invita a comprendere che l’Accordo è solo un aspetto del riequilibrio delle relazioni economiche che l’Unione europea desidera portare avanti con la Cina. Questo riequilibrio si riflette anche nel moltiplicarsi negli ultimi mesi di proposte normative autonome a tutela di un mercato unico innovativo e competitivo, disciplinando ulteriormente le nostre relazioni con i paesi terzi, primo fra tutti la Cina.

L’accordo è solo un aspetto del riequilibrio delle relazioni economiche che l’Unione europea desidera perseguire con la Cina.

OLIVIER PROST E ANNA DIAS

5.1 Controllo degli investimenti

A seguito delle crescenti preoccupazioni per l’acquisizione di società altamente strategiche in tutta Europa, in particolare da parte di investitori cinesi, gli Stati membri hanno cercato di proteggere le proprie tecnologie e infrastrutture, senza un approccio europeo coordinato. L’Unione, da parte sua, ha introdotto una normativa entrata in vigore nell’ottobre 2020, intesa a rafforzare la cooperazione e il coordinamento tra gli Stati membri e la Commissione europea.3. Gli Stati membri dovranno ora notificare alla Commissione i casi soggetti alle loro procedure nazionali di controllo degli investimenti. Vengono quindi emessi pareri sugli investimenti o rimborsi proposti che devono essere presi in considerazione dallo Stato membro in cui ha luogo l’investimento.

Non appena annunciato l’accordo, la Commissione europea ha chiarito che non stava abbandonando gli strumenti di controllo degli investimenti appena messi in atto nei confronti della Cina e che la firma dell’accordo non segnala in alcun modo un abbassamento di tali controlli per quanto riguarda la Cina. L’Accordo, infatti, prevede esplicitamente il diritto di ciascuna parte di esercitare i propri diritti di rivedere e controllare gli investimenti dell’altra parte in conformità alla legislazione in vigore. Possiamo quindi aspettarci un aumento dell’utilizzo del nuovo strumento europeo di revisione degli investimenti perché è nuovo, ma anche perché l’accordo appena concluso dovrebbe tradursi in un aumento degli investimenti cinesi in Europa.

Possiamo aspettarci un aumento dell’utilizzo del nuovo strumento europeo di revisione degli investimenti perché è nuovo, ma anche perché l’accordo appena concluso dovrebbe tradursi in un aumento degli investimenti cinesi in Europa.

OLIVIER PROST E ANNA DIAS

Il focus sarà sulla tecnologia, che i governi europei generalmente considerano correlata alla sicurezza nazionale, e in particolare quelle relative all’intelligenza artificiale, ai materiali avanzati e alla crittografia. La tecnologia Internet mobile di quinta generazione (5G) è un esempio fallimentare di coordinamento europeo in questo settore. Con l’escalation delle tensioni geopolitiche tra i governi occidentali e Pechino, le restrizioni agli investimenti influenzeranno chiaramente le società cinesi. Cresce il disagio di molti governi europei per il coinvolgimento dello Stato cinese in industrie strategiche, così come la pressione politica degli Stati Uniti per ridurre l’accesso cinese alle nuove tecnologie.

5.2 Controllo degli aiuti di Stato esteri

Nel 2021 è previsto anche il riequilibrio delle relazioni UE-Cina in tema di controllo degli aiuti di Stato esteri. È anche un argomento che dovrebbe portare a pressioni molto forti durante l’anno. Infatti, contro le sovvenzioni estere, in particolare quelle cinesi, le aziende europee possono utilizzare prima di tutto strumenti di difesa commerciale, in particolare quelli che consentono di contrastare le distorsioni commerciali derivanti dall’ingerenza dello Stato cinese ( antidumpinge antisovvenzioni). Ma questi strumenti attualmente mirano solo al commercio di merci. Attualmente esiste una falla nella normativa europea, contro, ad esempio, le società cinesi presenti sul mercato europeo e che verrebbero sovvenzionate direttamente o indirettamente dallo Stato cinese nelle loro acquisizioni o partecipazioni ad appalti pubblici. Questo è il motivo per cui il Commissario Vestager ha già proposto un Libro bianco sull’argomento e ha presentato rapidamente una proposta di regolamento.4.

Attualmente esiste una falla nella normativa europea, contro, ad esempio, le società cinesi presenti sul mercato europeo e che verrebbero sovvenzionate direttamente o indirettamente dallo Stato cinese nelle loro acquisizioni o partecipazioni ad appalti pubblici.

OLIVIER PROST E ANNA DIAS

Conclusione

Sul CAI si è parlato molto dalla sua pubblicazione.

Prima di tutto, notiamo che il multilateralismo è fallito. Non metteremo attorno al tavolo a breve, anche se questo rimane l’obiettivo a lungo termine, 164 paesi per modernizzare e rafforzare regole insufficienti e mal applicate, che è una fonte permanente di tensione, soprattutto quelle sui sussidi industriali. Il bilateralismo, di cui il CAI è un buon esempio, permette di superare le attuali carenze del multilateralismo.

Allo stesso tempo, dobbiamo misurare i limiti di questo Accordo, che è vincolato dall’asimmetria tra il sistema cinese ed europeo, ad esempio sui sussidi industriali e sul commercio sostenibile. Per questo, in particolare, l’UE deve continuare a costruire parallelamente una politica di regolamentazione autonoma che consenta di stabilire discipline che vadano oltre ciò che può negoziare bilateralmente o a fortiori multilateralmente.

Infine, nelle loro relazioni con la Cina, le aziende europee – a seconda del loro posizionamento e dei loro interessi – devono entrambe impegnarsi risolutamente nell’attuazione dell’Accordo per migliorare l’accesso al mercato cinese, insieme alla Commissione Europea e ai loro governi. Allo stesso tempo, devono avvalersi, quando necessario, degli strumenti autonomi dell’Unione europea. È così che la strategia di riequilibrio dell’Unione nei confronti della Cina sarà una strategia vincente.

FONTI
  1. Le principali misure previste dall’Accordo sono disponibili in lingua inglese sul sito della Commissione Europea: https://trade.ec.europa.eu/doclib/press/index.cfm?id=2237
  2. L. Van Middelaar, ”  Accordo UE-Cina: l’America è ancora in grado di diventare il leader del mondo libero?  », Le Grand Continent , 12 gennaio 2021.
  3. Regolamento (UE) 2019/452 che istituisce un quadro per il controllo degli investimenti esteri diretti nell’Unione.
  4. Cfr. Il Libro bianco sugli effetti distorsivi causati dai sussidi esteri all’interno del mercato unico: https://ec.europa.eu/france/news/20200617/subventions_etrangeres_marche_interieur_fr

Il costruttore, di Giuseppe Germinario

A Giuseppe Conte non è riuscito il colpo di convincere un pugno di “costruttori”, diciassette, per raggiungere al Senato quella maggioranza assoluta che gli avrebbe consentito di galleggiare ancora per qualche tempo.

Ci è riuscito invece Sergio Mattarella, il Presidente della Repubblica. Ne ha raccolti addirittura quasi venti volte tanto, più di trecento. Per attirarli ha dovuto liquidare con qualche malcelato sollievo Conte ed accogliere e investire un vicerè da tempo atteso, Mario Draghi.

Un vero trionfo, il suo di quest’ultimo; degno dei fasti riservati dal popolo italico ai suoi antesignani sin dai tempi di Carlo VIII, annunciato a tambur battente e ormai predestinato alla consacrazione delle assise parlamentari.

Quasi superfluo soffermarsi sugli apologeti, entusiasti e ben disposti a stringersi intorno al carro del vincitore. Pronti ad esaltare a spron battuto le virtù giovanili di un discepolo dal promettente futuro keynesiano, corroborate nella sua piena ed inoltrata maturità da una volitiva fermezza nel contrastare, in qualità di Presidente della BCE, le fisime oltranziste di austerità dei suoi comprimari tedeschi; altrettanto lesti e sommessi nel rimuovere le pesanti ombre calate sulla sua figura di teorico e solerte esecutore delle sciagurate scelte economiche soprattutto nella seconda metà degli anni ‘90 e in minor misura nella prima decade del 2000.

Altrettanto fuorviante rischia di essere, nel loro impeto denigratorio, l’esorcismo praticato da coloro i quali incentrano l’attenzione esclusivamente sulla sua azione svolta in quel periodo cruciale con la ciliegina del suo importante incarico in Goldman&Sachs, incasellato e prigioniero nel ruolo di campione del liberismo estremo.

Due sguardi complementari entrambi rivolti al passato che paradossalmente, non ostante l’enfasi, tendono a irrigidire e sminuire la statura, la posizione e il ruolo del personaggio.

Mario Draghi non è uomo legato ad una stagione, né fossilizzato religiosamente ad una impostazione teorica cui piegare a tutti i costi la realtà.

Grazie alla straordinaria rete di relazioni tessuta sin dai suoi studi universitari negli States e coltivati nei periodi di Direttore al Ministero del Tesoro, alto dirigente di G&S, Presidente di Banca d’Italia e componente di numerosi organismi internazionali, Mario Draghi rientra nella ristretta élite dei decisori o quantomeno degli esecutori direttamente a contatto con i primi; pronto quindi a sostituire paradigmi e modalità operative non più efficaci. In questa veste è stato invocato e in questa veste sta prendendo in mano le redini del Governo.

Poco a che vedere con la ruspa messa in moto da Mario Draghi dieci anni fa.

In questa veste ha tracciato, con consenso ormai ecumenico, i due solchi che dovranno segnare l’indirizzo politico: l’Alleanza Atlantica e l’Unione Europea.

Non sono certo una novità, ma diverso è il modo di segnarli e riempirli con l’avvento della nuova amministrazione americana e con il protrarsi dell’incertezza e della debolezza della situazione politica in quel paese.

Una condizione che ostacola la riproposizione delle mire egemoniche nei termini posti durante la Guerra Fredda e a cavallo del nuovo millennio e che richiede nell’agone europeo la presenza di almeno tre interlocutori di potenza paragonabile e in competizione tale da poter giocare e limitare le ambizioni di scelte più autonome di qualcuno tra di questi; tanto più che una importante pedina, la Gran Bretagna, ha deciso di tirarsi fuori da uno dei campi di azione, la UE.

Con l’amministrazione Trump ci sono già stati inviti più o meno espliciti ad una maggiore iniziativa specie nell’area mediterranea, ma anche nella UE. Conte e l’intero ceto politico nostrano hanno dato l’impressione di non essersi neppure accorti delle opportunità. In un contesto del tutto diverso e con l’amministrazione Biden appena insediata è arrivato tempestivamente un vicerè a condurci con mano lungo la strada, a proporci ed attuare quei cambiamenti strettamente necessari a perseguire più efficacemente gli indirizzi politici.

Il vuoto determinatosi nel Mediterraneo dalla passività italiana, la gestione disastrosa della pandemia anche in rapporto a quella non esaltante dei principali paesi europei e la disarmante incapacità di elaborare un piano PNRR appena presentabile, per non parlare della improbabile capacità di attuazione di esso devono aver allarmato non solo i gestori imperiali, ma anche i più famelici predatori della famiglia europea riguardo alla tenuta generale del paese. Da qui l’esigenza di insediare un promotore competente ed un interlocutore più credibile, perché più capace e rappresentativo dei centri operativi in campo, con il quale trattare.

Si sa però che in politica, ancor più nelle dinamiche geopolitiche, la generosità altrui comporta prezzi ben più salati da pagare rispetto alla iniziativa propria di una classe dirigente e di un ceto politico autoctoni e più autonomi.

Non lo vedremo in politica estera, al di fuori del consesso europeo delle cui prerogative si è appropriato non a caso Draghi in prima persona, giacché la conferma di un fuoco fatuo, Luigi di Maio, a Ministro degli Esteri ne sancisce l’assenza e l’irrilevanza per almeno un triennio ancora. Lo percepiremo invece, ma a giochi fatti nelle modalità di salvaguardia, ristrutturazione e rinnovamento che pur dovranno essere perseguiti di quel che rimane e rimarrà del nostro apparato economico, specie di quello industriale e del complesso militare-industriale.

Sempre meglio, probabilmente, della caricatura di politica economica ed industriale perseguita dal Governo Conte e della pedissequa ed inetta accondiscendenza agli imput della Commissione Europea del Ministro Gualtieri.

Già prima di insediarsi Mario Draghi ha ottenuto un enorme successo politico e di immagine, a dispetto dei cantori della morte della politica: aver assorbito nell’alveo dell’ortodossia europeista e strettamente atlantista pressoché l’intero arco delle forze e delle frazioni politiche, di aver dissolto per un tempo indeterminato ogni singulto “sovranista” credibile politicamente, di aver evidenziato definitivamente i limiti e la verbosità sterile di tale espressione politica. Limiti che non tarderanno a manifestarsi apertamente anche in ambito europeo, in particolare in Francia.

La conduzione assertiva del Governo ne potrà sancire il trionfo definitivo a futura memoria, almeno nei simulacri delle attuali élites imperanti, o la malinconica caduta nell’anonimato dei più, tra le tante promesse mancate di questa lunga transizione politica.

Oltre alle parole e ai programmi è la composizione stessa della compagine governativa a rivelare le intenzioni e ad essere lo specchio della situazione e quindi:

  • il divario qualitativo esistente tra il ceto politico particolarmente dimesso e ai margini delle posizioni di potere espresso e spesso riconfermato dai partiti nella compagine e le componenti tecnico-politiche collocate nei posti chiave da Draghi si rivela eclatante. Con le dovute eccezioni di Guerini alla Difesa e Giorgetti allo Sviluppo, ma con l’incognita dello svuotamento di competenze del Ministero di quest’ultimo da un lato; con quella di Colao dall’altra, vista la sopravvalutazione mediatica del personaggio e la poco edificante prestazione a capo dello staff di esperti nominati da Conte in sede di elaborazione del piano di ricostruzione. A latere una decisione apparentemente inspiegabile rimane la nomina intemerata di Renato Brunetta a Ministro della Pubblica Amministrazione, un ambito imprescindibile per l’elaborazione e l’attuazione del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) e per l’esercizio delle prerogative statali e di governo. È probabilmente l’indizio che il Capo del Governo vorrà procedere, nell’esecuzione del PNRR e delle politiche economiche ad esso collegate, attraverso la nomina di esperti e commissari vista l’impellenza; una procedura non nuova che però quasi sempre ha accompagnato, all’insegna dell’urgenza, il conseguimento di successi immediati alla duplicazione di apparati e strutture rimaste poi nel tempo a sovrapporsi ed accavallarsi in una condizione di paralisi progressiva degli ambiti dello Stato. Un duro colpo comunque alla credibilità dei partiti foriero di una radicale ricomposizione e scomposizione dei partiti e degli schieramenti

  • la priorità dell’azione di governo è rivolta al PNRR, alla ristrutturazione profonda dell’economia e alla garanzia di politiche assistenziali più mirate che renda socialmente sostenibile un processo di riorganizzazione pesantissimo e drammatico. Ha trovato piena accondiscendenza nell’intero quadro politico ed associativo: le parti sociali hanno iniziato ad avviare e concludere inaspettatamente i contratti di lavoro; qualche notizia di nuovi importanti insediamenti industriali come quello di batterie in Piemonte; la dirigenza europea più disponibile probabilmente a trattare a condizioni più paritarie sulle condizioni di rientro del debito, anche se l’ambizione di Draghi, sostenuta ormai da vari ambienti, va oltre l’intenzione di trattare sulle condizioni di austerità. Nel discorso di insediamento al Senato il nuovo Presidente del Consiglio ha parlato del resto chiaramente: “gestire la politica economica, la riorganizzazione dei settori, la selezione dei rami produttivi e delle aziende da sostenere e quelle da abbandonare al loro destino è compito della politica”. Una tesi ben lontana dagli orientamenti liberisti più rigorosi. È il segno di un cambio di paradigma o quantomeno di rappresentazione già per altro preannunciato in questi ultimi due anni da ambienti ben più altolocati. La stessa retorica del “grande reset” fa parte di questo tentativo. La nomina di Roberto Cingolani, proveniente da Leonardo, a Ministro dell’Ambiente è il segno di un tentativo di scendere dalle altitudini rarefatte dell’integralismo ambientalista a quello della fattibilità scientifica e tecnologica, con tempi di transizione più realistici.

L’avvento di Mario Draghi sancisce il fallimento del movimento sovranista così come lo si è conosciuto e declamato in questi anni.

Alla mancanza di una visione complessiva e di un programma credibile, all’assenza di una prospettiva tale da configurare nuovi schieramenti e nuovi sistemi di relazione in particolare tra i paesi europei che portassero ad una maggiore autonomia ed indipendenza politica, ha corrisposto il sopravvento surrettizio dell’opportunismo e del trasformismo, l’accodamento acritico all’atlantismo più codino. Di fatto una via obbligata per non scomparire o perire sotto i colpi della reazione. Del resto anche i movimenti “sovranisti” di riferimento in Europa Orientale hanno come riferimento nemmeno la NATO, ma l’americanismo più allineato condito con una dipendenza dai fondi europei tale da rendere fragili i loro aneliti, almeno sino a quando continueranno a coltivare la loro russofobia. È esattamente il contesto che ha determinato la situazione in cui si è cacciata la Lega, un partito sempre più espressione dei gruppi che rappresenta piuttosto che capace di sintesi e di indirizzo di una comunità.

Nell’altro versante, più che la formazione di un movimento riformista e produttivista accompagnato e sostenuto da una riedizione del “welfare”, sembra favorire nell’immediato un sodalizio nel quale il PD, nel tentativo di assorbimento dei resti del M5S, non fa che assimilarne anche i tratti di assistenzialismo unito all’atavica acritica adesione ai precetti della UE e delle classi dirigenti che la esprimono e ai legami di interesse con gli ambienti del terzo settore dal quale scaturisce ormai gran parte del gruppo dirigente.

Due dinamiche all’interno delle quali si inserisce il tentativo efficentista di Mario Draghi reso ancora più ambiguo e problematico dalla sua mancanza di visione dell’interesse nazionale e dal fatto che un nuovo sistema di relazioni tra stati europei presuppone la ricostruzione di uno stato nazionale secondo una visione di interesse nazionale che consenta di trattare con pari dignità con gli interlocutori.

Un tentativo che intende affrontare nell’immediato l’emergenza pandemica e del PNRR e contestualmente avviare le riforme nel lungo termine nella posizione di esecutore prima in qualità di PdC e di supervisore dopo in qualità di Presidente della Repubblica.

Una situazione in apparenza disperante per altri punti di vista praticabili, ammesso che ci siano.

Le vicende politiche di questi ultimi cinque anni, specie quelle verificatesi negli Stati Uniti, lasciano qualche spiraglio agli “imprevisti”. Classi dirigenti e ceti politici che dispongono praticamente di tutte le leve di potere e di tutti gli strumenti di manipolazione sono stati sorpresi dal “fenomeno Trump” ed hanno dovuto penare ben cinque anni per ripristinare una situazione ancora lungi dall’essere normalizzata. Di sicuro hanno preso una grande spavento e perso gran parte della loro sicumera. In Europa sembra andare loro un po’ meglio e non è un caso che personaggi come Soros abbiano scelto negli ultimi tempi questo continente come base e retrovia per perseguire le loro trame. La tattica “inclusiva” sembra funzionare ancora.

Le ciambelle però escono sempre meno con il buco e l’azione di Draghi di certo non sfugge a questa eventualità.

Tanto per fare un esempio calzante, il Recovery Fund, come i fondi strutturali possono diventare un fatale cappio al collo per gli stati nazionali; se accompagnati però da investimenti autonomi complementari, non vincolati alle normative europee possono rivelarsi comunque uno strumento utile. È quello che fanno con relativo successo esattamente la Francia e la Germania, come pure alcune regioni in Italia. È un ambito operativo entro il quale possono inserirsi le frange residue del movimento sfruttando gli eventuali ulteriori margini di debito per ricostruire ed ampliare la base industriale del paese. Le stesse politiche industriali, meglio ancora dei gruppi industriali, dietro la retorica del libero mercato nascondono trattative politiche e processi decisionali che perseguono politiche di accorpamento o di fondazione di nuovi gruppi. Sono tutti spazi i quali, anche nei peggiori dei contesti, offrono opportunità operative a condizione di avere una classe dirigente e un ceto politico capaci e consapevoli. Uno dei promettenti potrebbe essere ad esempio il progetto di caccia di VI generazione italo-inglese da condividere in futuro con quello franco-tedesco ancora tutto da avviare. È un banco di prova, per quanto limitato, per dimostrare che la scelta di sostegno a Draghi non è una mera operazione trasformista o di difesa lobbistica di interessi a carico e ai danni della collettività.

La tabella di marcia del prossimo governo sarà irta di ostacoli e di problemi da affrontare; pare anzi che più di qualche centro abbia l’intenzione di incalzarlo e metterlo già in affanno. La recente sentenza del TAR di Lecce sulla chiusura della ex-ILVA di Taranto è la prima mina piazzata a bella posta sul percorso. Sarà questione di giorni, nemmeno di mesi, per trovare conferma dei timori e delle incognite di questa operazione come pure del fatto che anche questo tentativo rimanga impantanato nella palude dei conflitti di potere e delle oligarchie chiuse in se stesse.

Ci sarà una terza alternativa tra la padella e la brace, quella cioè di diventare cuochi? Draghi si confermerà un vicerè o un capobastone? Staremo a vedere.

Negli States il diavolo e la pentola!…..ma il coperchio?_ con Gianfranco Campa

Negli States la preda pare sempre sul punto di rimanere intrappolata, ma ancora una volta riesce a farsi beffe dei cacciatori. Questo perchè i cacciatori sembrano prescindere dal contesto politico-economico nel quale si muove Trump; forse mancano ancora degli strumenti e delle capacità necessarie ad elaborare e costruire un progetto politico che riesca in primo luogo a legittimarli e renderli credibili. Proseguono a tentoni, ma così possono sperare solo in qualche colpo fortunato. Sembra una storia senza fine, ma solo fino a quando il movimento avverso non riuscirà ad esprimere una nuova e più solida leadership. E’ probabilmente il vero obbiettivo che sta attualmente perseguendo Trump. Sarà quello l’inizio vero della fine di questa farsa sempre più grottesca. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/vdu8rt-stati-uniti-il-diavolo-la-pentola…ma-il-coperchio-con-gianfranco-campa.html

 

Biden e il Mediterraneo_con Antonio de Martini

Cambiano i presidenti, cambiano le strategie di intervento e di controllo dell’area mediterranea. Nel frattempo emergono nuovi protagonisti, troppo numerosi ed intraprendenti per realizzare l’aspirazione al ripristino dell’egemonia incontrastata di nemmeno trenta anni fa. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

 

https://rumble.com/vdsb2x-biden-e-il-mediterraneo-con-antonio-de-martini.html

 

Spigolature inquietanti dal centro dell’impero_con Gianfranco Campa

I preparativi per la grande ritorsione proseguono. Dal punto di vista della comunicazione la procedura di impeachement a carico di Trump volge a favore degli inquisitori. La difesa è impostata esclusivamente sul piano giuridico e della correttezza costituzionale. Su questa base probabilmente non riusciranno a incriminare Trump, nè probabilmente mirano realmente a questo obbiettivo. L’importante è creare un clima ed una area di consenso sufficiente a giustificare una pesante e selettiva azione di repressione e di controllo totalitario della società. Per questa posta in palio i giochi sono ancora aperti, ma sembrano volgere a favore dei Torquemada. Si utilizza la tecnica della persuasione, ma non si disdegna il pesante avvertimento. L’articolo apparso su “Time” https://time.com/5936036/secret-2020-election-campaign/ e ampiamente commentato da Campa è l’esempio più lampante e sottile. Serve a ribadire chi detiene realmente il controllo delle leve di potere e di influenza._Giuseppe Germinario

https://rumble.com/vdqeqd-spigolature-dal-centro-dellimpero-con-gianfranco-campa.html

 

Mario Draghi, la sua potenza di fuoco_ con Antonio de Martini

Mario Draghi è ripiombato sulla scena politica. Salutato come un salvatore; etichettato come un esponente della grande finanza, delle lobby finanziarie, dei poteri finanziari. Un abito troppo stretto per un vero decisore politico o, nel minore dei casi, a stretto contatto con i decisori, con gli strateghi. Draghi è tornato in Italia per sistemare le cose, non per galleggiare. E’ diverse spanne sopra gli altri attori. Che poi ci riesca, sarà tutto da vedere.

L’Italia è un paese troppo importante per essere lasciato completamente alla deriva; è un tassello fondamentale per bilanciare la posizione di Francia e Germania; è una piattaforma imprescindibile per influire nell’area mediterranea. I pochi a non rendersene conto sono gli italiani e la quasi totalità del suo ceto politico. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

https://rumble.com/vdmdkf-mario-draghi-la-sua-potenza-di-fuoco-con-antonio-de-martini.html

la battaglia prosegue, con Gianfranco Campa

La procedura di impeachement prosegue, ma il bersaglio non è più soltanto Trump. Si prepara il terreno ad una colossale epurazione e alla criminalizzazione di un movimento. Non sarà facile perseguirlo. Nel frattempo proseguono le fibrillazioni nel partito repubblicano. Si cerca di riproporre in politica estera le stesse dinamiche e gli stessi sistemi con gli stessi personaggi di cinque anni fa. La disposizione delle forze in campo è però profondamente mutata; la consistenza anche. Si comincia dal Myanmar, si proseguirà in Siria e in Europa. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

https://rumble.com/vdij7n-la-battaglia-prosegue-con-gianfranco-campa.html

 

Alexander Soros in Myanmar una settimana prima della visita di Xi, a cura di Giuseppe Germinario

Di padre in figlio! Qui sotto la traduzione, sia pure non proprio perfetta, di un articolo del giornale digitale https://elevenmyanmar.com/ che illustra le attività del figlio di George Soros e alcuni antefatti  del di suo degno genitore propedeutiche al successo elettorale della sempre più screditata premio Nobel Aung San Suu Kyi. A conforto delle accuse dei militari a carico dell’esponente arriva la notizia che a gestire i dati delle elezioni in Myanmar-Birmania sia stata la famigerata Dominion, uno degli strumenti più efficaci nella manipolazione e nella contraffazione dei dati elettorali. Protagonista, come più volte segnalato, dei brogli negli Stati Uniti, bandita ormai in numerosi stati. Il Myanmar è un’area cruciale nel confronto tra Cina e Stati Uniti. Confina con la Cina; rappresenta uno degli sbocchi diretti strategici della Cina nell’Oceano Indiano, necessari ai collegamenti con l’Africa e l’Europa e fondamentale per aggirare le strozzature nel mar Cinese Meridionale che frenano la proiezione geopolitica cinese ed alimentano la sua conflittualità immediata con il Giappone, le Filippine, il Vietnam e l’Indonesia e strategica con gli Stati Uniti. In questo contesto la Birmania è tra gli ultimi paesi, tra le Tigri del Sud-Est asiatiche a cercare di sfruttare le pieghe del confronto geopolitico e le dinamiche della globalizzazione per innescare un processo di sviluppo economico ed industriale e di relativo peso politico regionale. Il colpo di stato in Myanmar va inquadrato in questo contesto, in un confronto tra Cina e Stati Uniti che ormai si trascina da anni in quella regione. Non è detto che alla patina democratica che avvolge il premio Nobel per la pace corrispondano le esigenze di autonomia e di sviluppo di quel paese. Una smentita in tempo reale piuttosto alle aspettative di pace con le quali il conformismo universale progressista e conservatore ha salutato l’avvento di Biden alla Casa Bianca. Il rinnovato attivismo della famiglia Soros, attraverso le loro organizzazioni tentacolari, è l’ulteriore conferma che la restaurazione neocon-democratica porterà alla moltiplicazione dei focolai di conflitto e alla ulteriore trasformazione del confronto planetario in uno scontro di religione e fondamentalista, in una lotta tra il bene e il male. Lascerà sempre meno spazio a negoziati fondati sul principio del realismo politico e del riconoscimento degli stati; non farà che alimentare situazioni sempre più diffuse di guerra civile endemica, già sperimentate ampiamente nelle primavere arabe e in Ucraina, messe in atto nei territori metropolitani, addirittura al centro dell’impero ai danni del presidente uscente degli USA e ormai prossime ad essere innescate su larga scala. In questo l’attività e la missione di George Soros & Figli si è rivelata una pedina fondamentale. Novità che sanno di vecchio. Una condizione di precarietà diffusa che potrà sempre più facilmente sfuggire di mano ai protagonisti sino a creare le condizioni di uno scontro diretto tra giganti._Giuseppe Germinario

Alexander Soros in Myanmar una settimana prima della visita di Xi

POLITICA , OPINIONE

La pagina dei social media di Alexander Soros mostra il suo incontro con il ministro dell’Istruzione, il dott. Myo Thein Gyi.

PUBBLICATO IL 12 GENNAIO 2020

 

PHYO WAI

 

Alexander Soros, figlio del miliardario americano George Soros, aveva fatto visita alla capitale del Myanmar Nay Pyi Taw, una settimana prima che il presidente cinese Xi Jinping facesse la sua visita ufficiale per volere del presidente Win Myint il 17 e 18 gennaio.

Alexander, come affermato sul suo account sui social media, è “tornato a lavorare” a Nay Pyi Taw prima che Xi compia il suo primo viaggio in Myanmar in 19 anni.

George Soros, un influente miliardario che è stato criticato per aver messo le mani nella politica di molti paesi, aveva criticato Xi come un nemico della “ Società aperta ” al Forum economico mondiale tenutosi a Davos, in Svizzera, nel gennaio 2019.

Una “coincidenza” simile a quella del ministro degli Esteri cinese Wang Yi in Myanmar prima del viaggio del consigliere di stato Aung San Suu Kyi per difendersi dalla causa della Corte Internazionale di Giustizia, Alexander Soros è qui in Myanmar prima che arrivi il capo cinese.

George Soros, che ora ha 89 anni, è stato criticato per aver manipolato la politica del Myanmar con il suo sostegno a oltre 100 organizzazioni attraverso la Open Society Foundation (OSF), come dichiarato sul sito web della fondazione. L’OSF ha speso miliardi di dollari USA in oltre 100 paesi in tutto il mondo nell’ambito di progetti etichettati in modo diverso, che si tratti di diritti umani, istruzione, diritti delle donne, diritti dei bambini, democrazia e pace. Ha anche speso 57,6 milioni di dollari in fondi in quattro paesi, incluso il Myanmar, nell’Asia-Pacifico nel 2019.

George Soros è stato anche accusato di oscillazioni pesanti nei mercati finanziari dei paesi; la fattispecie nel 1997, quando è stato il protagonista che ha avviato la crisi finanziaria in Thailandia che ha portato alla rovina di molte attività commerciali thailandesi – in alcuni casi portando a suicidio. Gli era stato anche fatto notare il suo potenziale per essere una delle parti che produrranno guai nello Stato di Rakhine al fine di rallentare la Belt and Road Initiative cinese.

“Temo che sarebbe diventato troppo personale quando parlo. Questo ha anche a che fare con gli affari. Penso che, nel periodo 1993-1994, abbia giocato con le finanze in Thailandia, cosa che ha causato molti problemi agli imprenditori. Molte delle imprese di costruzioni si sono piegate, alcuni imprenditori si sono suicidati. Quindi penso che uno dei suoi obiettivi sia che l’economia cinese stia crescendo troppo rapidamente. Il PIL sta andando alle stelle. Lui gioca con le finanze. È nel suo interesse fomentare i problemi in Rakhine in modo che One Belt One Road rallenti e i suoi investimenti siano protetti. Tutti noi – governo, cittadini, etnie – dobbiamo procedere con cautela quando si tratta di questo. La storia mostrerà chi ha ragione e chi ha torto “, ha detto Zaw Aye Maung, Ministro di Rakhine Ethnic Affairs, nella sua intervista di Akonthi Media il 7 novembre 2018.

L’ex ministro dell’Unione e attualmente parlamentare Soe Thane aveva anche detto che George Soros ha versato ingenti fondi per gli affari bengalesi. Come affermato sul sito web di OSF, nel 2015 aveva raccolto 10 milioni di dollari in fondi di emergenza per i bengalesi.

Dopo i 10 milioni di dollari per bengalesi / rohingya, la fondazione aveva anche finanziato la fondazione di Kofi Annan, un membro chiave della commissione formata per indagare sugli attacchi dell’ARSA nel 2017, come dichiarato sui siti web della Fondazione Kofi Annan e dell’OSF.

DVB, Yangon Journalism School, Thabyay Education Foundation, Mal Daw Clinic, Equality Myanmar, Myanmar Observer Group Media Group, Institute for Strategy and Policy: Myanmar, Myanmar Institute for Peace and Security, Pen Myanmar, Myanmar China Pipeline Watch Committee, Myanmar Center to Empower Regional Parliaments, Network for Human Rights Documentation Burma (ND-Burma), Bangladesh Legal Aid and Services Trust, Irrawaddy Publishing Group sono tra i tanti che sono stati dichiarati partner dall’OSF. L’OSF aveva anche affermato che il gruppo Fortify Right, un gruppo che combatte per i diritti bengalesi sotto la bandiera dei diritti umani, è stato anche finanziato da esso una volta.

Le osservazioni e le speculazioni abbondano sul fatto che su oltre 100 organizzazioni collegate a George Soros in Myanmar, molte di loro sono collegate all’Organizzazione per la cooperazione islamica (OIC), l’organizzazione dietro la causa avviata dal Gambia presso l’ICJ. A causa di fughe di dati a seguito di un attacco informatico nel 2016, è stato anche scoperto che l’OSF aveva pagato tra 50mila e 300mila dollari per organizzazione a circa 50 gruppi, media e gruppi di attivisti politici.

Il libro scritto da Soe Thane, ‘Myanmar’s Transformation and U Thein Sein: An insider’s account by U Soe Thane’, afferma anche che George Soros, secondo il suo modus operandi di dipingere l’immagine che vuole attraverso sontuosi finanziamenti in tutto il mondo, aveva anche cercato di fare lo stesso con il governo del Myanmar.

L’autore del libro, l’ex ministro dell’Unione Soe Thane, racconta di come George Soros e l’allora presidente Thein Sein iniziarono i contatti fino ai progetti sociali che furono portati avanti in collaborazione.

E che George Soros aveva cercato di estrarre le informazioni che desiderava dal governo, andando poi a investire una grande quantità di fondi negli affari dei Rohingya (come originariamente affermato nel libro).

Si dice che Thein Sein e George Soros si siano incontrati nel 2012, con quest’ultimo che ha sostenuto progetti educativi e sanitari. Nel 2013, George Soros ha incontrato il presidente, Aung San Suu Kyi e altri ministri. Il libro afferma anche che ha incontrato solo Aung San Suu Kyi e altri ministri al Myat Taw Win Hotel di Nay Pyi Taw, dove ha soggiornato. Sempre nel 2014 e nel 2015, ha incontrato di nuovo il presidente, poi incontrando lo stesso autore Soe Thane, spingendolo a richiedere al presidente di nominare Thaung Tun come ministro per fare il giro del mondo per attrarre investimenti nel paese. Quella richiesta è stata respinta dal presidente in seguito, secondo il libro.

Il libro prosegue anche affermando che il 13 gennaio 2017, George Soros è tornato a Nay Pyi Taw per incontrare Aung San Suu Kyi e il giorno successivo Thaung Tun è stato nominato Consigliere per la sicurezza nazionale.

Quando Thaung Tun doveva ricevere la carica di ministro dell’Unione, Soe Thane si era opposto. “Lavoro dalla precedente amministrazione. So molto bene come sono collegati Thaung Tun, il governo precedente e George Soros. Io sono il testimone. Ma il tempo era poco, e avevo solo me stesso come prova. L’altra cosa è che quando Thaung Tun ha inviato le sue informazioni dettagliate, tutto ciò che riguarda il lavoro con Soros è stato cancellato. L’altra cosa è che ho inviato un’e-mail in America. Se arriva la risposta, può essere utilizzata come prova ma così come stanno andando le cose non si farà in tempo. Si conosce meglio. Deve dimostrare di aver lavorato con George Soros prima se è onesto e presumo che sia disonesto perché aveva nascosto quell’informazione. George Soros è influente negli Stati Uniti e anche se è solo per la posizione di consigliere per la sicurezza nazionale, un giorno arriverà a danneggiare le relazioni Cina-Myanmar. Sono in buoni rapporti con Thaung Tun e andrà bene se non avessi detto niente. Ma devo dirlo per la nazione perché so di più di queste cose. Per ora, le prove sono difficili da trovare. Non è che non volessi che ottenesse quella posizione. Ho detto il mio messaggio ai parlamentari e al popolo “, ha detto Soe Thane in risposta ai media riguardo alla sua obiezione. Non è come se non volessi che atterrasse in quella posizione.

OSF è legalmente autorizzato ad aprire uffici in Myanmar nonostante la necessità di tagliare alcuni dei tentacoli dell’OSF in oltre 100 organizzazioni in Myanmar a causa delle diffuse accuse di George Soros che lui, attraverso l’OSF, sta manipolando nella politica delle nazioni. Mentre lo scopo esatto della visita di Alexander Soros in Myanmar deve ancora essere chiarito, la sua pagina sui social media aveva mostrato di aver incontrato il ministro dell’Unione per l’istruzione, Myo Thein Gyi.

https://elevenmyanmar.com/news/alexander-soros-in-myanmar-a-week-before-xis-visit

 

 

ARTICOLI CORRELATI

POLITICA

Il Primo Ministro di Sagaing assente dalle sessioni parlamentari per oltre 170 giorni

POLITICA

La dottoressa Aung Moe Nyo guiderà la squadra della NLD per incontrare i partiti etnici

POLITICA

La Cina fornirà forniture mediche per Covid-19 per un valore di 3 milioni di Yuan, 300.000 unità di vaccini Covid-19 per il Myanmar

POLITICA

Il capo militare discute con il ministro degli Esteri cinese di errori e imprecisioni riguardo alla lista degli elettori nelle elezioni del 2020

POLITICA

Le voci basate sulle dimissioni del presidente dell’ACC non sono vere: Presidente Ufficio

POLITICA

Gli ufficiali della BGF dello Stato di Kayin e altri si dimettono collettivamente

I PIÙ LETTI

I militari per tenere un’altra elezione, passeranno il potere al partito vincente

Il presidente ad interim Myint Swe trasferisce il potere al senio generale Min Aung Hlaing

Il presidente ad interim Myint Swe trasferisce i poteri al generale anziano Min Aung Hlaing

La Myanmar Banks Association ordina di chiudere temporaneamente le banche private

Foto a Yangon dopo la dichiarazione dello stato di emergenza

L’esercito dichiara lo stato di emergenza ai sensi dell’articolo 417

Governo, forze armate devono ancora raggiungere un accordo sulle accuse di frode elettorale prima del ne …

Molte giade grezze trovate in un luogo nel villaggio di Kahtan, Hpakant

PIU RECENTE

I militari per tenere un’altra elezione, passeranno il potere al partito vincente

6 ORE FA

Il presidente ad interim Myint Swe trasferisce il potere al senio generale Min Aung Hlaing

7 ORE FA

Il presidente ad interim Myint Swe trasferisce i poteri al generale anziano Min Aung Hlaing

7 ORE FA

La Myanmar Banks Association ordina di chiudere temporaneamente le banche private

8 ORE FA

Foto a Yangon dopo la dichiarazione dello stato di emergenza

9 ORE FA

L’esercito dichiara lo stato di emergenza ai sensi dell’articolo 417

9 ORE FA

Governo, militari devono ancora raggiungere un accordo sulle accuse di frode elettorale a …

1 GIORNO FA

Vaccinazione di COVID-19 somministrata ai parlamentari che parteciperanno alla 3a riunione parlamentare …

1 GIORNO FA

quale politica estera degli Stati Uniti di Biden_di Orbis Géopolitique

Rispetto a Donald Trump, Joe Biden padroneggia con facilità il funzionamento della geopolitica. La sua carriera politica come Presidente della Commissione Affari Esteri del Senato gli ha infatti dato l’opportunità di interessarsene da vicino. Uomo di compromesso, multilateralista, desideroso di riallacciarsi alla strategia del suo ex mentore Barack Obama, si prepara quindi a rompere con l’eredità di Trump. Una svolta a 180 0 per gli Stati Uniti?


Dopo D. Trump, unilateralismo e patriottismo economico lasceranno il posto a una nuova diplomazia. Notizia ? Non esattamente, perché J. Biden è la coppia Obama-Clinton alla Casa Bianca. Sebbene gli interessi degli Stati Uniti rimarranno sempre rivolti all’Estremo Oriente e continueranno quindi a voltare le spalle all’Europa, che B. Obama aveva già avviato con il “perno a est”, molti cambiamenti diplomatici vedranno la luce del giorno . In realtà, è la tattica che cambierà e non proprio la strategia.

Ma cosa sarà concretamente?

In un tweet del 7 luglio 2020, J. Biden ha dichiarato: Ripristinerò la nostra leadership sulla scena internazionale. “Se D. Trump non lo ha necessariamente annientato, ha senza dubbio limitato notevolmente il volto interventista degli Stati Uniti. Per quanto riguarda l’Europa, prima di tutto, J. Biden desidera tornare alla politica perseguita dal suo ex mentore. Sotto B. Obama, infatti, aveva promosso l’allargamento della NATO e un conseguente riavvicinamento all’Unione Europea. J. Biden desidera quindi riconquistare un ruolo di primo piano in un’Europa divisa e desiderosa di costruire una certa autonomia strategica. Quindi, se il nuovo presidente sarà più accomodante nei confronti dell’Occidente, ricordiamoci che non cederà alle spese del vecchio continente nei confronti della NATO. Un ritornello che suggerisce nuove crisi all’interno dell’Alleanza Atlantica.

D’altra parte, ed è qui che emerge indiscutibilmente il lignaggio di Clinton, Biden è fermamente contrario a qualsiasi forma di riavvicinamento con la Russia. Senza soffermarsi sul fatto che sia contro Vladimir Putin o contro la Russia che gli Stati Uniti si oppongono, conserviamo questa frase che Biden ha pronunciato lo scorso aprile a Foreign Policy  : “Per contrastare l’aggressione russa, dobbiamo mantenere le capacità militari dell’alleanza ad alto livello mentre espandere la propria capacità di affrontare minacce non tradizionali, come corruzione armata, disinformazione e furto di computer. “ Una formula che dimostra, ancora una volta, che la Guerra Fredda non è finita.

In Medio Oriente, il presidente Biden romperà, in parte, con la geopolitica intrapresa dall’amministrazione Trump. Volendo staccarsi dalle alleanze turca e saudita, che considera troppo offensive nello Yemen in particolare, è soprattutto nei confronti dell’Iran che la diplomazia americana si evolverà notevolmente. L’accordo di Vienna del 14 luglio 2015, sull’allentamento delle sanzioni americane, tornerà sul tavolo dei negoziati. Una scelta che contraddice la sua politica fermamente filo-israeliana, illustrata dal fatto che non invertirà le azioni di Trump nei confronti dello Stato ebraico. Il riavvicinamento con la Repubblica islamica spezzerà, in questo senso, l’eredità del suo predecessore che aveva fatto di tutto per unire gli Stati del Golfo a Israele contro l’Iran. Ma il nuovo inquilino della Casa Bianca continuerà, come ha fatto Obama, ma anche il suo predecessore, il ritiro americano dal Medio Oriente. Questa regione sembra quindi non essere più il centro degli interessi statunitensi. Infine, tieni presente che Biden metterà fine alMuslim Ban , che consentirà nuove relazioni con gli stati musulmani presi di mira.

Così, la nuova geopolitica degli Stati Uniti sarà un vero ritorno a quella guidata da Obama. Sotto quest’ultimo, Biden aveva creato la Trans-Pacific Partnership, che Trump ha sepolto, e ha sempre favorito il compromesso contro la Cina. Ma quale sarà il suo atteggiamento nei confronti di Pechino, mentre infuria la guerra geopolitico-commerciale tra i due stati?

L’amministrazione Biden sarà quindi molto prevedibile, perché, a differenza del suo predecessore, sarà un fervente difensore del diritto internazionale e lo privilegerà sugli equilibri di potere. Volendo costruire, ad esempio, un Summit delle Democrazie e chiedendo il reinserimento degli Stati Uniti nell’Organizzazione Mondiale della Sanità o negli accordi sul clima di Parigi, Joe Biden farà rivivere la classica geopolitica degli Stati Uniti. Niente più realpolitik . Venato di neo-conservatorismo, nei suoi rapporti con la Russia e nella misura in cui affermava che “l’America è un faro per il mondo” , tornerà e riporterà il mondo allo status quo ante. Previsioni che dovranno poi fare i conti con la realtà e gli imprevisti delle relazioni internazionali.

https://www.revueconflits.com/joe-biden-politique-exterieure-orbis/

 

1 23 24 25 26 27 64