La Cina come Paese del Terzo Mondo, Di George Friedman

La Cina come Paese del Terzo Mondo

Di: George Friedman

Si discute molto sulla crescita dell’economia cinese e sull’espansione dell’influenza internazionale della Cina. Non c’è dubbio che l’economia cinese si sia costantemente espansa negli ultimi 40 anni, dalla morte di Mao Zedong. Ma Mao aveva creato una Cina straordinariamente povera, basata sull’ideologia e sul desiderio di eliminare il potere della vecchia élite economica concentrata lungo la costa. Mao li temeva come una minaccia alla rivoluzione. In effetti, temeva la tendenza borghese verso la ricchezza e il comfort come sfida alla rivoluzione. Ha soffocato l’economia cinese e, di conseguenza, praticamente qualsiasi comportamento razionale da parte dei governanti cinesi avrebbe generato una crescita drammatica. La Cina, con una vasta forza lavoro potenziale e una cultura fondamentalmente sofisticata, inevitabilmente si sollevò perdendo la strana e malevola morsa di Mao.

Quarant’anni dopo, con una struttura politica ragionevolmente razionale, la Cina è diventata una delle più grandi economie del mondo, seconda solo agli Stati Uniti. Il divario tra Stati Uniti e Cina è ancora sostanziale, con il prodotto interno lordo cinese solo al 70% degli Stati Uniti. Questo è ovviamente molto più stretto di 40 o addirittura 20 anni fa. Tuttavia, è un divario sostanziale. Ma il PIL rappresenta la produzione aggregata di una nazione e, da un punto di vista aggregato, l’economia cinese di 14 trilioni di dollari è un miracolo.

Ma semplicemente non è il miracolo che sembra essere. Una misura di un’economia tra le tante è il PIL, l’economia nel suo insieme. Un altro modo di guardare a un’economia è il PIL pro capite, l’aggregato diviso per la popolazione. Questo dà un senso, imperfetto ma utile, di come stanno i cittadini cinesi rispetto ai cittadini di altri paesi. Guardando l’economia nel suo insieme, la Cina è impressionante. Nel PIL pro capite, è un’altra questione.

Ci sono due modi per misurare queste cose. Uno è il PIL nominale, misurato rispetto al dollaro USA, la valuta di riserva mondiale. L’altro modo per misurare è la parità del potere d’acquisto (PPP). Questo esamina la quantità di alloggio o cibo che può essere acquistato per un importo fisso di denaro. In apparenza questo è il modo migliore, ma soffre di due difetti. Uno è che in un paese vasto come gli Stati Uniti o la Cina, il costo degli alloggi o di altri beni varia notevolmente. Trovare un unico valore per l’alloggio – e la miriade di altri punti dati – che include San Francisco e Little Rock, Arkansas, può essere fatto, se accetti di essere lontano molte volte. Inoltre, questi sono ovviamente manipolati per ragioni politiche. Tuttavia, il PIL nominale e il PPA insieme danno un buon senso della realtà. Nel PIL nominale pro capite, la Cina è al 59 ° posto nel mondo, dietro Costa Rica, Seychelles e Maldive. In termini di PPP, la Cina è classificata 73, subito dietro Guyana e Guinea Equatoriale.

In confronto, gli Stati Uniti sono al quinto posto nominalmente, dietro a Lussemburgo, Svizzera, Irlanda e Norvegia. Gli Stati Uniti sono settimi in termini di PPP. Il PIL pro capite tende ad essere più elevato nei paesi relativamente piccoli, socialmente ed etnicamente omogenei, costruiti attorno alla finanza o ad una singola merce di alto valore. Gli Stati Uniti sono grandi e socialmente ed etnicamente diversi, con un’economia molto diversificata. Date le circostanze, classificarsi al quinto posto nel mondo è un risultato significativo.

Le classifiche della Cina di 59 e 73, e dei paesi a cui si colloca accanto, offrono un’immagine molto diversa dello status della Cina. Su base aggregata, è battuto solo dagli Stati Uniti. Su base pro capite, si colloca tra i paesi del Terzo mondo molto più poveri. Quindi ci sono almeno due modi per guardare alla Cina: come potenza economica di livello mondiale e come paese del Terzo Mondo.

È possibile essere entrambi. Quando aggreghiamo la ricchezza della Cina, ha la capacità di plasmare parti dell’economia globale e di costruire una capacità militare significativa, ma quando aggrega valore economico, può farlo solo trasferendo ricchezza ad alcuni settori della società e lontano da altri settori. In altre parole, coloro che beneficiano della strategia cinese controllano e consumano una ricchezza molto maggiore rispetto al PIL medio. Per estensione, coloro che non fanno parte di questo gruppo possiedono una quota sostanzialmente inferiore. In termini comparativi, i cinesi più ricchi godono di uno status alla pari degli americani più ricchi; la maggior parte degli altri vive peggio di qualcuno in Guyana o in Guinea Equatoriale.


(clicca per ingrandire)

Tutti i paesi hanno la disuguaglianza. A volte può non avere alcun effetto, altre volte può destabilizzare il paese. La Cina è cresciuta creando un’economia vasta e significativa. La maggioranza della società che non fa parte dell’élite costiera che gestisce il commercio internazionale, le banche e gli investimenti, o che fa parte della struttura militare-industriale, vive vite almeno paragonabili ai loro equivalenti negli Stati Uniti. La grande maggioranza all’interno del paese vive nell’ordine della Guinea Equatoriale. Pochi americani vivono vite in quest’ordine, anche se indubbiamente alcuni possono essere trovati.

Il PIL pro capite fornisce un numero irreale. Ma ti permette di vedere come una nazione si confronta con i suoi pari. Ma poi devi immaginare il grado di disuguaglianza richiesto per mantenere il PIL aggregato e il modo in cui si concentra la ricchezza, e quindi considerare le conseguenze di vivere ben al di sotto del reddito pro capite. Nel caso della Cina, crea una vita di massa vasta ma a volte difficile da vedere come il Terzo Mondo. Negli Stati Uniti, anch’essi pieni di disuguaglianze, gli esclusi vivono ancora nel contesto delle aspettative euro-americane. Con le eccezioni, non vivono al di sotto delle vite di quelli della Guinea Equatoriale.

Il PIL aggregato concentrato per l’alta tecnologia o la finanza può avere un potere significativo nel mondo. Il rischio è il malcontento sociale degli esclusi. Va ricordato che quando Mao fallì in una rivolta a Shanghai, portò la Lunga Marcia verso l’interno per radunare un esercito di contadini tra quelli esclusi dalla ricchezza accumulata tra alcuni impegnati nel commercio internazionale lungo la costa, e usò quell’esercito per rovesciare il regime che hanno accusato della loro miseria. Xi Jinping ovviamente conosce bene la storia e il giro di vite su alcuni dei più ricchi in Cina, fatto in modo molto visibile, credo sia inteso a dimostrare l’impegno del Partito Comunista Cinese nei confronti dei poveri. La domanda è se può fare di più senza danneggiare la macchina che ha creato il PIL aggregato del suo paese. Potrei sbagliarmi nella mia speculazione sulla natura delle sue azioni, ma il fatto è che lo status della Cina, sotto ogni punto di vista, ha generato una ricchezza pari alla migliore del mondo e una povertà pari alla peggiore.

MONTESQUIEU A PECHINO, di Pierluigi Fagan

MONTESQUIEU A PECHINO. La notizia è la firma del Comprehensive Strategic Partnership con scadenza a 25 anni tra Iran e Cina, infrastrutture vs energia, un classico. A breve termine, l’Iran che sta sulla faglia Occidente – Oriente come Russia, Turchia, Siria, impedito di volgersi ad Ovest, si volta ad Est, la Cina ottiene alimentazione per il suo sviluppo. Ma le cose più interessanti si intravedono a medio-lungo termine.
Pechino ottiene una importante casella nella sua strategia di infrastruttura commerciale nota come Belt and Road Initiative. Come da cartina, l’Iran è cerniera fondamentale del progetto (infatti l’accordo giunge dopo cinque anni di trattative, qui non s’improvvisa nulla), vediamo perché:
1) La partnership con l’Iran permette alla via che dalla Cina passa nelle repubbliche centroasiatiche (tramite la Cina occidentale ovvero lo Xinjiang, da cui i problemi con gli Uiguri) di darsi una alternativa. Andare a nord verso la Russia o andare a Sud, appunto in Iran.
2) Un’altra via passa il confine col Pakistan. Arrivati in Pakistan potrete andare a sud e sfruttare i porti di costa come alternativa mista terra-mare per bypassare gli eventuali blocchi di Malacca o potrete andare ad ovest ed entrare, appunto, in Iran per proseguire la rotta est-ovest dove pure, come vedremo nel punto 5, si presentano nuove alternative portuali.
3) La strategia dei porti diretti sull’Oceano Indiano, dopo Malesia, Thailandia e soprattutto Myanmar (Sri Lanka, Maldive?), tutti per bypassare gli eventuali blocchi di Malacca o turbolenze nel mar della Cina, si dota di altre alternative con Pakistan ed Iran.
4) Il tutto ha effetti sulle contradditorie relazioni Cina-India. I due sono geo-storicamente condannati a convivere, ma l’India è due passi indietro la Cina quanto a sviluppo di tutti i fattori, quindi un po’ collabora ed un po’ vorrebbe competere. Su questa forbice si inseriscono gli Stati Uniti. La strategia di alternative accerchianti l’India, toglie potere negoziale all’India. Ma il CSP con l’Iran crea anche un problema in più perché l’India è in un altrettanto strategico accordo di collaborazione strategica con Russia e lo stesso Iran, una sorta di mini-via-del-cotone a cui gli indiani tengono molto. In più l’India importa energia dall’Iran.
5) Il grosso dei giochi ovviamente è in Iran. In Iran, nel sud-est, potrete avere un altro porto di sbocco. Potreste fare accordi ragionevoli che coinvolgono l’India per sfruttare il loro trilaterale con Russia ed Iran. Potreste sostituirvi all’India nel trilaterale se gli indiani vi fanno uno sgarbo indigeribile. Dal confine ovest dell’Iran, potrete andarvene in Iraq (6) e ricostruirlo, da qui in Siria (7) che significa Mediterraneo, mettere pressione alla Turchia (9) per spingerla ad entrare nel “piatto ricco mi ci ficco” ingoiando il rospo uiguro (gli Uiguri sono popoli turchici e sappiate che le ultime irriducibili bande armate jihadiste nel nord della Siria, sono uiguri sponsorizzati da Ankara), andare via Giordania in Israele (8), amico dei cinesi come i palestinesi. Tenete conto che sulla costa israeliana già c’è un porto amico che si raggiunge dal Golfo di Aqaba, alternativa se si blocca Suez.
10) Ma considerate che Voi avete anche ottime relazioni con gli arabi sunniti, tutti indistintamente (Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Oman, Kuwait etc.). Però è sempre meglio avere alternative e quindi se avete i sunniti dovete avere anche gli sciti, così vi bilanciate. Magari vi mettete a fare il termine medio della complessa relazione, tanto per voi pari sono, in più siete “atei”.
Ottenete quindi la prima e più importante cosa utile in un mondo multipolare: amici. Amici non perché vi siete simpatici ovviamente, ma perché avete interessi in comune, interessi economici e commerciali, la più antica valuta delle relazioni internazionali. Il vantaggio geopolitico (armi, porti, basi militari da evitare ma un domani non si sa mai) consegue.
Il progetto BRI offre diversi vantaggi: A) crea un tessuto di accordi bilaterali strategici cioè multidimensionali; B) fatta su base prioritaria commerciale ed economica intona pacificamente le relazioni; C) è ridondante offre cioè alternative ad alternative, il che la rende “resiliente”; D) siccome ogni bilaterale non è essenziale avendo alternative parziali, le trattative future su nodi che si presenteranno da sé o perché spinti da avversari (USA) vi vede in posizione di relativa forza, voi le alternative le avete, il partner no; E) il che porta i partner in concorrenza potenziale tra loro, abbassandone le aspettative; F) infine, manda un messaggio a gli europei del tipo: se fosse stati liberi di sviluppare una vostra strategia geopolitica, oltre che coi Paesi Medio Orientali avremo dovuto trattare con voi visto che questa area avrebbe avuto la vostra influenza, ma siccome siete schiavi degli americani, noi riempiamo il vuoto creato dalla vostra inazione ed insipienza. Pensateci …
Quanto al partitone Cina vs USA, scrivevo ormai anni fa sul libro che ho pubblicato che alla fine la faccenda è molto semplice: i cinesi hanno i soldi, gli americani le armi. Un po’ il contrario della Guerra fredda vinta perché soldi batte armi, sempre. Ma giocare coi sovietici non è come giocare coi cinesi. Quindi a medio lungo tempo non c’è partita, i cinesi i soldi (tecnologie, prodotti, infrastrutture, know how, mercati di sbocco etc.) ne avranno sempre di più e nei paesi contesi, le armi non si mangiano, non rendono amati i leader locali, non danno stabilità, potere e sviluppo. Il pragmatismo cinese, inoltre, essendo appunto pragmatico e realista e non su basi valoriali “idealistiche”, mette tutti d’accordo, sciti e sunniti, indiani e pakistani, turchi e forse anche curdi. Ci sono curdi anche nel nord Iran dove si va per il confine coi turchi. Come ben sanno in Medio Oriente dove la tradizione mercantile è storia profonda (come in Cina), il migliore affare è quello in cui tutti ci guadagnano o quasi. Gli americani allora possono solo contenere, mettere attrito, rallentare, che è quello che giustamente faranno. (Il primo che cita la “Trappola di Tucidide” viene bannato 🙂 scherzo …)
Filosoficamente, nella “filosofia delle relazioni tra popoli sul pianeta Terra”, la strategia cinese allude al vecchio “doux commerce” di Montesquieu. Traducendo “doux” con “gentile”: “… è regola pressoché generale che dovunque vi siano costumi gentili, vi è commercio; e che dovunque vi sia commercio, vi siano costumi gentili” (Esprit des Lois) con finale contrapposizione tra “nazioni ingentilite” e nazioni “rozze e barbare”. In realtà pare che il concetto risalga a Montaigne ed abbia poi deliziato Voltaire, Smith, Hume, Kant. Se ne trova una, come sempre acuta, analisi in termini di storia delle idee in A. O. Hirschman – Le passioni e gli interessi – Feltrinelli (p. 47). Dove per altro si riportano anche considerazioni di dileggio da parte di Marx ed Engels.
Quindi abbiamo nazioni che si dichiarano quantomeno socialiste (Cina) che agiscono in base a principi criticati da Marx ma promossi dai liberali europei i cui eredi contemporanei (USA, UK) però sono d’accordo con Marx. Ehhh, che ci volete fare, l’era complessa è complicata.
Quello che posso dirvi è: fate attenzione. Quello che oggi nello spirito partigiano che vi faceva tifare per gli indiani contro i cowboy nei film americani anni Settanta, vi fa tifare per Davide contro Golia, domani quando Davide sarà Golia vi creerà una contraddizione. La Cina, da sola, è quasi un quinto dell’umanità. Pensateci …

THATS’ ALL FOLKS?, di Massimo Morigi

 

THATS’ ALL FOLKS? IL PAGANESIMO, IL CRISTIANESIMO, L’ILLUMINISMO, IL COMUNISMO, IL LIBERALISMO, IL CORONAVIRUS, LA DIALETTICA STORICA,  L’EPIFANIA STRATEGICA,  IL VIL COYOTE, IL BEEP BEEP, L’ACME CORPORATION E PIONEERS! O PIONEERS!  DI  WALT WHITMAN. TERZA DIVAGAZIONE TEORICA (E MAI DEFINITIVA) PARTENDO DA PER QUALCHE MIGLIAIO IN PIÙ DI TEODORO KLITSCHE DE LA GRANGE PIÙ UN CONSIGLIO ALLA LETTURA  DI  VERSO  LA  GUERRA  CIVILE  DI  GIANFRANCO  CAMPA http://italiaeilmondo.com/2020/05/16/verso-la-guerra-civile-il-tramonto-dellimpero-usa_2a-parte-di-gianfranco-campa/

 

Come my tan-faced children,

Follow well in order, get your weapons ready,

Have you your pistols? have you your sharp-edged axes?

Pioneers! O Pioneers

[…]

Till with sound of trumpet,

Far, far off the daybreak call–hark! how loud and clear I hear it wind,

Swift! to the head of the army!–swift! spring to your places,

Pioneers! O Pioneers!

 

Walt Whitman, Pioneers! O Pioneers!

 

 

 

           In questo mio ennesimo intervento, il terzo, su Per qualche migliaio in più di Teodoro Klitsche de la Grange (URL dell’ “Italia e il Mondo” per il succitato articolo: http://italiaeilmondo.com/2021/03/23/per-qualche-migliaio-in-piu-di-teodoro-klitsche-de-la-grange/, Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20210323122750/http://italiaeilmondo.com/2021/03/23/per-qualche-migliaio-in-piu-di-teodoro-klitsche-de-la-grange/)   mi preme innanzitutto compiere un atto che avevo omesso negli altri due miei interventi al riguardo: fare espressamente i complimenti all’autore che, come sempre del resto, nulla concede agli idola della mentalità politica corrente. E facendo così la cronistoria di questi miei due primi interventi, dove al primo commento affermavo: «In Inghilterra hanno capito non solo che vaccinare è questione strategica ma che è il primo problema da affrontare e risolvere per salvaguardare la sicurezza nazionale. In Europa no, hanno delegato ai burocrati, dott.ssa Gallina e stop vaccino AstraZeneca docent, mentre in Italia si è cominciato a ragionare all’inglese col governo Draghi. That’s all folks! mm –  23 marzo 2021», al secondo esplicitavo ancor meglio il concetto: «1) Una cosa che avrebbe dovuto insegnare questa pandemia è che non esiste una scienza pura (il ritenerlo non è altro che superstizione) ma solo un approccio strategico alle varie situazioni e/o sfide che devono affrontare le comunità umane (e, ovviamente, anche quelle non umane) 2) Non esiste una strategia astratta che cala dall’alto dei cieli ma, parafrasando un certo Vladimir Il’ič Ul’janov, si tratta di svolgere un’azione concreta su una situazione concreta e la situazione concreta è che l’uomo emerso dall’Illuminismo è terrorizzato dalla morte e quindi per combattere la pandemia non ci si può affidare ad una narrazione che contempli anche la morte ma ad una narrazione che esclude per quanto è umanamente possibile (e quindi filosoficamente del tutto irragionevolmente) la morte 3) Ergo la posizione del Prof. Garavelli, non vaccinare perché a suo giudizio non si vaccina in corso di pandemia perché questo facilita le mutazioni del virus, per quanto il linea di principio tecnicamente possa avere un senso, dal punto di vista strategico, viste le caratteristiche psico-filosofiche delle popolazioni impregnate della tradizione e Weltanschauung culturale illuminista, è assolutamente impraticabile e quindi antistrategica. Il primo approccio del governo Johnson in Inghilterra ne è la dimostrazione: probabilmente in linea di principio era l’approccio più saggio ma, come si dice, vallo a dire agli inglesi quando hanno cominciato a morire al di là di quello che una mentalità moderna di derivazione illuminista riteneva sopportabile ed accettabile. E… That’s all folks! mm – 23 marzo 2021», rispondere, infine alla stimolante  all’osservazione del lettore, il quale  in merito al mio ultimo intervento sull’articolo di la Grange scrive: «Fondamentalmente condivido. Mi rimane solo una perplessità… gli uomini con “mentalità moderna di derivazione illuminista” hanno saputo morire in passato “senza battere ciglio”, nel secolo breve delle “guerre e rivoluzioni” ed anche in quelli precedenti delle grandi rivoluzioni borghesi… forse è in corso un mutamento politico-antropologico (metafisico per dirla alla Houellebecq), che “incubava” da tempo senza che ce ne accorgessimo pienamente e che non so fino a che punto è un derivato della “mentalità illuminista” o di una sua “rottura” (e che, come tutte le rotture, presenta “affinità e divergenze”, punti di continuità ed altri di completa novità).»

 

           Innanzitutto, ringrazio, ancor prima che per gli apprezzamenti, per questo ulteriore contributo che mi permette di mettere ulteriormente a fuoco l’argomento. Quando parliamo della civiltà nata dall’Illuminismo stiamo operando una grandissima approssimazione perché quello che accomuna, per essere chiari, l’ idealtipo dell’homo oeconomicus di smithiana memoria con quello del rivoluzionario sovietico similleniniano è il rifiuto della trascendenza cristiana extramondana e se questi due idealtipi sono quindi accomunati da una Weltanschauung totalmente immanentista è di tutta evidenza che per l’idealtipo smithiano la salvezza è totalmente connotata dall’individualismo metodologico dove quello che conta è solo l’individuo che ha reciso tutti i legami sociali per mantenere solo quelli che gli procurano un diretto tornaconto economico mentre per l’idealtipo rivoluzionario similleniano siamo di fronte ad un’immanenza dove la salvezza è sempre e solamente la salvezza della comunità di riferimento comunisticamente connotata nella quale l’individuo trova il suo paradiso terrestre.

          E se è chiaro che questo secondo tipo ideale dal Cristianesimo ha ereditato il concetto di paradiso che da celeste come nel cristianesimo diventa ora terrestre, anzi molto terrestre  per non dire terreno, e se deve risultare altrettanto evidente che il primo tipo ideale, quello smithiano dell’homo oeconomicus,  ha anch’esso la sua parte di lascito derivatogli dal Cristianesimo, e cioè il concetto di salvezza individuale, solo che nel Cristianesimo questa salvezza individuale e ultraterrena viene ottenuta attraverso la comunità terrena dei credenti (i quali, però, si noti bene, vengono assunti in cielo singolarmente e non come comunità di credenti) mentre nell’homo oeconomicus la salvezza pur rimanendo individuale viene completamente immanentizzata e sfruttando economicamente la società (mantenendo, fra l’altro, da questo punto di vista, una profonda analogia con l’impostazione cristiana dove la salvezza spirituale si ottiene, escludendo i fenomeni cenobitici e/o eremitici, attraverso la vita nella più vasta comunità dei credenti ma sfruttando questa comunità, perché questa, a differenza della mentalità religiosa antica politeista, non ha di per sé alcun valore spirituale intrinseco, essendo solo il mezzo più pratico per conoscere la parola e l’esempio del Salvatore), dovrebbe essere, infine,  altrettanto evidente che il rivoluzionario homo sovieticus condivide molti tratti della vecchia religiosità pagana precristiana greco-romana dove era sempre la salvezza della comunità quella che doveva prevalere sull’individuo.

              Ma se fino ad adesso abbiamo parlato di tipi ideali adottando quindi una metodologia weberiana,  alla stessa stregua di Weber bisogna a questo punto sottolineare che il tipo ideale è solo uno stratagemma descrittivista e che nella realtà esso non esiste. Tutto ciò ricondotto al nostro discorso significa che nella realtà storica nata dall’Illuminismo gli uomini non sono mediamente mai totalmente rivoluzionari similleniani né spietati Uncle Scrooge o Gordon Gekko  (o, ancor peggio, ché la realtà ha sempre più fantasia dei personaggi letterari,  imperialisti versione predatoria delle risorse africane alla Cecil Rhodes – lettura consigliata: The Man Who Would Be King di Joseph Rudyard Kipling, consigliata pure la visione dell’omonimo film con uno strepitoso Sean Connery nei panni del soldataccio inglese David Dravot che per un brevissimo tempo riesce a farsi proclamare re del Kafiristan –, teste coronate alla Leopoldo II del Belgio, imperialista e diretto genocidario sterminatore di milioni di africani – lettura consigliata: Heart of Darkness di Joseph Conrad –, finanzieri filantropi e finanziatori della tratta di esseri umani nonché di movimenti sovversivi negli USA e in giro per il mondo, ma movimenti, ça va sans dire, sempre a favore della democrazia, antifascisti e contro le dittature  alla George Soros – e, per quanto riguarda l’Italia, protagonista di primo piano  nell’aver mandato a fondo la nostra liretta, quando questa esisteva, mettendo  pure in questo illustre mazzo di miliardari filantropi un certo Michael Bloomberg, che per contrastare il mostro Donald Trump durante l’ultima campagna elettorale ha sborsato di tasca sua 16 milioni di dollari  per pagare la cauzione  a 32 mila criminali consentendogli  così di votare in Florida per le elezioni presidenziali statunitensi del 2020. Vedi all’URL   https://www.washingtonpost.com/politics/mike-bloomberg-raises-16-million-to-allow-former-felons-to-vote-in-florida/2020/09/21/6dda787e-fc5a-11ea-8d05-9beaaa91c71f_story.html, Wayback Machine: https://web.archive.org/web/20210202172903/https://www.washingtonpost.com/politics/mike-bloomberg-raises-16-million-to-allow-former-felons-to-vote-in-florida/2020/09/21/6dda787e-fc5a-11ea-8d05-9beaaa91c71f_story.html, cosa non si farebbe per far trionfare la democrazia e la libertà e, soprattutto, combattere il fascismo… –  o premi Nobel per la pace alla bombardiere ed indiretto ma micidiale  sterminatore di intere etnie mediorientali Barack Obama: guerra civile in Siria con relativo finanziamento USA delle “democratiche” e tagliagolesche forze anti-Assad e conseguente quasi totale annientamento dei cristiani  docent – annientamento che sarebbe stato totale se ad un certo punto non fossero intervenuti in quel disgraziato paese i russi per decisione di Putin, quello che oggi gli americani definiscono, senti, senti, assassino: quanto il bue dà del cornuto all’asino…), né rivoluzionari alla Lenin o alla Rosa Luxemburg (e, diciamolo chiaramente, alla Iosif Stalin, alla  Benito Mussolini e Adolph Hitler: rivoluzionari di sinistra e di destra accomunati tutti dal fatto che la salvezza è sempre e solo comunitaria) ma un misto variamente graduato a seconda dell’individuo e delle circostanze storiche di questi due tipi ideali, e quindi avere mostrata nelle sue reali dinamiche storico-dialettiche l’apparente contraddizione segnalata  dell’amico dove sottolineava l’apparente antinomia comportamentale  di  uomini informati ad una mentalità illuminista e/o postilluminista che  hanno saputo (e sanno)  morire qualora le circostanze lo avessero richiesto. (Importante nota metodologica: non a caso ho usato il termine ‘mostrare’ anziché ‘dimostrare’, ché le dimostrazioni vanno forse bene in geometria e matematica ma mai per le scienze storico-dialettiche – ma sottolineando ulteriormente: anche la matematica, la geometria e le c.d. scienze dure sono, in ultima istanza, scienze storico-dialettiche: la dimostrazione è operazione euristicamente valida – ma mai gnoseologicamente fondata,  – solo per i rapporti strategici ormai del tutto consolidati e ossificati da una lunghissima regolarità storica, e allora questi rapporti prendono il nome di leggi di natura, mentre si dovrebbe parlare di regolarità relativamente valide in un determinato perimetro spazio-temporale. Insomma, anche le c.d. leggi di natura, in ultima analisi, hanno una loro evoluzione e mutazione storico-dialettica, solo che per l’esperienza umana intesa in senso individuale e anche nella sua dimensione plurimillenaria di homo sapiens questo mutamento risulta quasi inavvertibile, e quella che nel mio primo  intervento sull’articolo di la Grange ho definito superstizione scientifica che nasconde la natura storico-dialettica della realtà tutta non deriva altro che dalla lentezza della mutazione delle c.d. eterne leggi di natura, lentezza che confonde la debole mente razionale dell’uomo e forma le credenze delle comunità in cui vive, entrambe non aduse – se non per confusi e per lo più inconsci sprazzi e fugaci ombre di questa mente razionale del singolo e della condivisa coscienza collettiva – ad una consapevole visione dialettica storico-strategica – ad una inconsapevole certamente entrambe intrise, diversamente l’uomo si sarebbe estinto – e quindi informata al paradigma olistico-dialettico-espressivo-strategico-conflittuale che forma (ed esplica) non solo l’esperienza storica ma la realtà tutta, quella fisica e biologica comprese. Cfr. a questo proposito Massimo Morigi,  Epigenetica, Teoria endosimbiotica, Sintesi evoluzionista moderna, Sintesi evoluzionistica estesa e fantasmagorie transumaniste. Breve commento introduttivo, glosse al Dialectical Biologist di Richard Levins e Richard Lewontin, su Lynn Margulis,  su Donna Haraway e materiali di studio strategici per la teoria della filosofia della  prassi olistico-dialettica-espressiva-strategica-conflittuale    del    Repubblicanesimo    Geopolitico, pubblicato recentemente prima a puntate sull “Italia e il Mondo” e poi nel suo testo riunito all’URL http://italiaeilmondo.com/2021/03/03/epigenetica-e-fantasmagorie-transumaniste-di-massimo-morigi/, Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20210304224738/http://italiaeilmondo.com/2021/03/03/epigenetica-e-fantasmagorie-transumaniste-di-massimo-morigi/ (ora anche  su Internet Archive  agli URL  https://archive.org/details/epigenetica-teoria-endosimbiotica-sintesi-evoluzionista-moderna-sintesi-evoluzio/mode/2up  e https://ia801506.us.archive.org/17/items/epigenetica-teoria-endosimbiotica-sintesi-evoluzionista-moderna-sintesi-evoluzio/Epigenetica%2C%20Teoria%20endosimbiotica%2C%20Sintesi%20evoluzionista%20moderna%2C%20Sintesi%20evoluzionistica%20estesa%20e%20fantasmagorie%20transumaniste%2C%20Massimo%20Morigi.pdf) ma anche Giuseppe Galasso, Nient’altro che storia. Saggi di teoria e metodologia della storia, Bologna, Il Mulino, 2000, saggio che è da considerarsi come il frutto più maturo dello storicismo idealistico italiano di Gentile, Croce e Gramsci e che è stato decisivo – assieme al Principe e ai Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio di Niccolò Machiavelli, al  Vom Kriege di Carl von Clausewitz, alla Filosofia di Marx di Giovanni Gentile, a Storia e coscienza di classe di György Lukács, a Marxismo e filosofia di Karl Korsch e ai Quaderni del carcere di Antonio Gramsci – nella definitiva formulazione  della filosofia della prassi del Repubblicanesimo Geopolitico e che, infine, ha  profondamente influenzato il succitato mio saggio sulla dialetticità e storicità di tutte le scienze: au diable Popper e tutti i suoi nipotini filosofici e politici, ergo sempre au diable la superstizione scientifica e, conseguentemente,  il c.d. ‘politicamente corretto’).

              

         Ultima osservazione in merito alla capacità di mettere a repentaglio la propria vita: qualsiasi sia la mentalità di partenza, si consideri che sempre le classi dirigenti hanno il precipuo compito (e specializzazione) di indirizzare i sottoposti soprattutto contro i propri reali interessi, siano questi interessi individualistici o interessi di gruppo. Vedi il caso della presente pandemia dove, a parte i provvedimenti palesemente irrazionali da parte dell’autorità dove l’obbedienza è stata ottenuta con la semplice minaccia di sanzioni amministrative, vale a dire multe salate per chi usciva di casa in periodo di c.d. lockdown, si è cercato di porre rimedio alla totale mancanza di un senso comunitario, tipico della nostra società liberaldemocratica a democrazia rappresentativa in fase di involuzione terminale, attraverso la retorica dell’eroe, eroi gli infermieri, eroi i membri della forze dell’ordine, eroi, infine, quelli che erano costretti a vivere chiusi in casa, ma certo non per loro libera scelta eroica ma per paura sì del contagio ma anche delle già menzionate salate multe  in caso di trasgressione del lockdown: si confronti a tal proposito la Teoria della distruzione del valore (all’URL dell’ “Italia e il Mondo” http://italiaeilmondo.com/2017/02/04/teoria-della-distruzione-del-valore-teoria-fondativa-del-repubblicanesimo-geopolitico-e-per-il-superamentoconservazione-del-marxismo-di-massimo-morigi/, Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20210120191822/http://italiaeilmondo.com/2017/02/04/teoria-della-distruzione-del-valore-teoria-fondativa-del-repubblicanesimo-geopolitico-e-per-il-superamentoconservazione-del-marxismo-di-massimo-morigi/, di Internet Archive: https://archive.org/details/MarxismoTeoriaDellaDistruzioneDelValore e https://ia800501.us.archive.org/20/items/MarxismoTeoriaDellaDistruzioneDelValore/MarxismoTeoriaDellaDistruzioneDelValore.pdf), nella quale viene rilevata la dialettica fra agenti alfa-strategici e agenti omega-strategici e, più nello specifico, riguardo alla paura dell’uomo nato dall’Illuminismo di affrontare la morte,  il nostro  Massimo Morigi, Intervista di Giuseppe Germinario a Max Bonelli sul coronavirus ovvero Cthulhu morbus come teleologia del (e) fallimento della moderna secolarizzazione. Epifania Strategica e genesi e significato dell’ironico simbolo della morte della trascendenza dei moderni, che, vista la sua importanza, è stata anche autonomamente caricata su Internet Archive ed è quindi visionabile, oltre che sull’URL de “L’Italia e il Mondo” https://italiaeilmondo.com/2020/06/20/intervista-di-giuseppe-germinario-a-max-bonelli-sul-coronavirus-epifania-strategica-e-genesi-e-significato-dellironico-simbolo-della-morte-della-trascendenza-dei-moderni-di-massimo-m/, Wayback Machine:  http://web.archive.org/web/20210123160202/https://italiaeilmondo.com/2020/06/20/intervista-di-giuseppe-germinario-a-max-bonelli-sul-coronavirus-epifania-strategica-e-genesi-e-significato-dellironico-simbolo-della-morte-della-trascendenza-dei-moderni-di-massimo-m/,    anche  agli URL di Internet Archive https://archive.org/details/epifania-strategica-e-genesi-e-significato-dellironico-simbolo-della-morte-della/mode/2up  e https://ia801804.us.archive.org/34/items/epifania-strategica-e-genesi-e-significato-dellironico-simbolo-della-morte-della/Epifania%20Strategica%20e%20genesi%20e%20significato%20dell%27ironico%20simbolo%20della%20morte%20della%20trascendenza%20dei%20moderni%2C%20Massimo%20Morigi%2C%20Repubblicanesimo%20Geopolitico%2C%20Neo-marxismo%2C%20Neo-marxism.pdf, ed anche il nostro recente Id., Concordando con Davide Gionco, la morte, i bonobo, il dittatore Salazar, lOrdine del Drago e il Moderno Principe, allURL dell’ “Italia e il Mondo” http://italiaeilmondo.com/2021/03/09/concordando-con-davide-gionco-la-morte-i-bonobo-il-dittatore-salazar-l-ordine-del-drago-e-il-moderno-principe-di-massimo-morigi/, Wayback Machine: https://web.archive.org/web/20210310065549/http://italiaeilmondo.com/2021/03/09/concordando-con-davide-gionco-la-morte-i-bonobo-il-dittatore-salazar-l-ordine-del-drago-e-il-moderno-principe-di-massimo-morigi/, mentre sul versante dei rimedi strategicamente validi ma, purtroppo, efficaci solo per quanto riguarda il mettere una pezza politica alla odierna paura del Coronavirus ma non certo a livello di mentalità di massa, cfr. sempre il nostri   recenti Id., Da “il costruttore”  di Giuseppe Germinario: fra corsi e ricorsi (salazaristi), governo Draghi, povertà del sovranismo e nuove prospettive, all’URL dell’ “Italia e il Mondo” http://italiaeilmondo.com/2021/02/22/da-il-costruttore-di-massimo-morigi/, Wayback Machine:

http://web.archive.org/web/20210223065757/http://italiaeilmondo.com/2021/02/22/da-il-costruttore-di-massimo-morigi/ e Id., Governo Draghi e  lotta alla pandemia fra  sprazzi di  strategia, nuovo Erostrato, vecchie (e deleterie) fedeltà e sottomissioni  e povertà dell’attuale sovranismo, all’URL dell’ “Italia e il Mondo” https://italiaeilmondo.com/2021/03/03/fra-sprazzi-di-strategia-nuovo-erostrato-vecchie-e-deleterie-fedelta-di-massimo-morigi/,  Wayback Machine: https://web.archive.org/web/20210303201325/https://italiaeilmondo.com/2021/03/03/fra-sprazzi-di-strategia-nuovo-erostrato-vecchie-e-deleterie-fedelta-di-massimo-morigi/.

            In mezzo a tutto questo bailamme di tipi ideali, di epoche e momenti storici, di variegate e pluristratificate psicologie, ci sta infine quella che io ho definito  ‘Epifania Strategica’. Sulla quale ho più volte detto ma nella presente comunicazione aggirandomi finora sempre intorno al suo perimetro senza mai però direttamente evocarla all’interno del discorso, vorrei, in conclusione,     mostrarla in luoghi che personalmente non mi appartengono. Intendo riferirmi a Verso la guerra civile. Il tramonto dell’impero USA di Gianfranco Campa, pubblicato sul nostro blog prima a puntate e poi nella sua interezza all’URL http://italiaeilmondo.com/2020/05/16/verso-la-guerra-civile-il-tramonto-dellimpero-usa_2a-parte-di-gianfranco-campa/, Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20210201075858/http://italiaeilmondo.com/2020/05/16/verso-la-guerra-civile-il-tramonto-dellimpero-usa_2a-parte-di-gianfranco-campa/   e http://web.archive.org/web/20210117223905/http://web.archive.org/screenshot/http://italiaeilmondo.com/2020/05/16/verso-la-guerra-civile-il-tramonto-dellimpero-usa_2a-parte-di-gianfranco-campa/. Oltre alle scontro politico in atto oggi negli USA, scontro politico che per Verso la guerra civile ha le potenzialità di sfociare anche in una vera e propria guerra civile (e l’assalto al Campidoglio dà piena ragione a Campa: a questo proposito si consigliano caldamente anche le numerose videointerviste di  Giuseppe Germinario a Gianfranco Campa che  senza troppe difficoltose ricerche possono essere ascoltate sul canale YouTube de “L’Italia e il Mondo” all’URL https://www.youtube.com/channel/UC0N4F1BmvB1wsb-L8R7dNTg/videos?view=0&sort=dd&shelf_id=0, e comunque visto il loro indiscutibile valore storico-politico –  esse mostrano anche, al di là di ogni ragionevole dubbio, i pesantissimi e decisivi brogli avvenuti nell’elezione dell’ avatar presidente USA Joe Biden, sulle cui degradate facoltà mentali cfr. anche il nostro pure ultimo  Massimo Morigi, Lettera all’avatar Presidente U.S. Joseph Robinette Biden Jr. ( detto Joe Biden) di più di trenta membri democratici del Congresso degli Stati Uniti per limitare il suo potere monocratico di scatenare una guerra nucleare ovvero sul degrado delle classi dirigenti politiche nei regimi a  c.d.   democrazia    rappresentativa. Prima   nota   sull’argomento del theatrum electoralis-fraus electoralis   delle     nostre     post-democrazie     rappresentative, all’URL de “L’Italia e il Mondo”  http://italiaeilmondo.com/2021/03/24/lettera-allavatar-presidente-u-s-_di-massimo-morigi/, Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20210325065717/https://italiaeilmondo.com/2021/03/24/lettera-allavatar-presidente-u-s-_di-massimo-morigi/, siamo quindi sempre dalle parti, in ragione delle deboli facoltà mentali del neoeletto presidente USA, di una latente guerra civile pronta ad esplodere al minimo innesco –   le stiamo salvando anche su Internet Archive), Verso la guerra civile ci immerge totalmente nel romanticismo delle pioneristiche Stimmung e Weltanschauung  del Pioneers! O Pioneers! di Walt Whitman. È di tutta evidenza, e così smentendo le conclusioni dei miei due precedenti brevi commenti sul bellissimo articolo di Per qualche migliaio in più di Teodoro Klitsche de la Grange, che per l’Epifania Strategica non vale mai l’espressione che chiudeva i frenetici cartoni animati della Warner Bros. ‘Thats’ All Folks!’  (Cartoni animati fenomenali metafore del Novecento e anche del nostro secolo: il sublime e magnifica rappresentazione della superstizione scientifica: Wile E. Coyote che cerca di intrappolare il velocissimo  Road Runner attraverso i cervellotici e fallimentari prodotti della ACME Corporation. Uno dei significati più accreditati dell’acronimo: ‘American Company Making Everything’, od altri molto simili, e come  per l’ACME Corporation – che, vera e propria metafora dell’anti Epifania Strategica, in teoria tutto fa ma nella realtà nulla fa se non causare immani disastri, nonostante in innumeri e inutili occasioni evocata da Willy il Coyote per catturare l’imprendibile e bisbetico Beep Beep; altro nome italiano del personaggio del  maldestro ed ingenuo canide selvatico, sempre votato alla sconfitta perché,  macchiato dai mali della nostra civiltà occidentale postilluminista, sempre ridicolmente speranzoso nella soluzione tecnico-tecnologica calata dall’alto: il Vil Coyote… –, anche per la superstizione scientifica, come ben si è visto nel corso della vicenda del Coronavirus, mai è valso – e mai varrà –  l’allegro motto dei Looney Tunes ‘Thats’ All Folks!’…).

Massimo Morigi – 1° aprile 2021

 

DISTRUZIONE E PROTEZIONE, di Teodoro Klitsche de la Grange

DISTRUZIONE E PROTEZIONE

Si sente sempre più spesso ripetere quanto sosteneva (tra gli altri) Schumpeter che il capitalismo induce un processo di distruzione creatrice selezionando gli imprenditori più efficienti ed espellendo gli altri. L’occasione per incentivare questa selezione – un aspetto di darwinismo sociale – sarebbe la pandemia: le imprese che riescono a superare la crisi sono le più efficienti, mentre quelle che non sopravvivono, meritano di essere chiuse.

Anche se il ragionamento ha una sua validità e in Italia spesso si è fatto il contrario – con risultati deludenti – invocarlo in relazione alla pandemia è errato per due motivi, che poco hanno a che fare con l’efficienza economica.

Il primo è che l’uomo non è solo homo aeconomicus ma, tra l’altro – Aristotele docet – zoon politikon: e per l’appunto tale caratteristica lo porta a costituire gruppi politici il cui fondamento è, come scriveva Hobbes, lo scambio tra protezione e obbedienza: si deve obbedire a chi da protezione e, in cambio, si ha il dovere di proteggere chi obbedisce. Se però tale rapporto diviene impossibile, viene meno sia il dovere d’obbedienza che quello di protezione, come scriveva il filosofo di Malmesbury. Ne consegue che ciò che economicamente è condivisibile può essere politicamente da evitare (e viceversa). Anzi tante politiche di sostegno a imprese, e ancor più, a settori economici poco efficienti sono state motivate con argomentazioni di carattere politico, nel senso suddetto.

Ad esempio la politica europea di sostegno all’agricoltura (a cominciare dal MEC), molto costosa, era volta al sostegno della produzione, tesa anche (e probabilmente soprattutto) ad evitare che la carenza alimentare fosse utilizzata da altre potenze per motivi ostili. Come capitato agli Imperi centrali nella prima guerra mondiale.

Ed è meno evidente, ma d’importanza considerevole che politiche economicamente valide, specie nel breve periodo, in una visione più ampia e di lungo periodo, siano controproducenti sul piano politico. Così la distruzione di piccole aziende, tenuto conto che i piccoli imprenditori, e, in genere i ceti medi, sono il sostegno sociale decisivo, oggi, delle democrazie liberali.

E, a tale proposito, non è detto che la “distruzione creatrice” di tante piccole imprese, vada a favore di un migliore “funzionamento” del mercato. La concentrazione del capitale in poche grosse aziende, rende assai più facile gestire il mercato in funzione non della libera concorrenza e del favor consumatoris, ma di accordi oligopolistici tendenti a limitarlo o eluderlo.

Il secondo: per quale ragione qualche milione di piccoli imprenditori dovrebbe essere a favore di politiche che non garantiscono protezione? Al punto che coloro che le sostengono tendono a vagheggiare l’opportunità della loro distruzione?

Se Hobbes si era sforzato di dimostrare la razionalità del potere (e dell’associazione) politica proprio per lo scambio protezione-obbedienza, per quale ragione l’individuo razionale del filosofo inglese dovrebb’essere diventato un Tafazzi, tutto contento di soffrire e insieme mantenere e votare governanti intenzionati – e giulivi nel manifestarlo – a farlo morire socialmente ed economicamente (e talvolta, complice la pandemia, anche fisicamente)?

In realtà la tesi criticata è frutto di due postulati: che ciò che è economicamente valido esaurisce il “bene” (sociale e individuale). Come se l’uomo fosse solo un essere economico. E non anche economico. La storia prova che non è così: vi sono state nazioni non disponibili a barattare il benessere economico con l’indipendenza politica.

Anche perché nel lungo periodo, è questa a garantire quello, più che l’inverso.

De Bonald scriveva che durante la Rivoluzione e le guerre napoleoniche gli svizzeri, un popolo (all’epoca) di “pastori e frati” avevano difeso la propria indipendenza assai meglio dei Paesi Bassi che “contavano i più ricchi uomini d’affari del mondo” (forse è anche per quello che gli svizzeri sono diventati assai più ricchi dei pur benestanti olandesi).

In secondo luogo c’è il (consueto) modo di ragionare consistente nel confrontare una “legge” generale e soprattutto astratta (anche tendenzialmente valida), applicandola a una situazione specifica e concreta, senza adeguarla. Con il risultato che l’abito confezionato da pensatori (talvolta neppure da talk-show) vesta male chi l’indossa, magari non per colpa del sarto, ma perché l’abbigliando ha la gobba. E l’abilità del politico, come diceva Giolitti, è quella del bravo sarto che confeziona il vestito adatto a chi lo deve portare. Chi pensa il contrario è, come donna Prassede, troppo affezionato alle proprie idee (con la conseguenza di non cambiarle e spesso neppure di adattarle): è un puro “ragionare” ideologico.

E non può quindi pretendere che venga condiviso, perfino con entusiasmo, da coloro che ne pagano il conto.

Avv. Teodoro Klitsche de la Grange

 

LA PUGLIA DALLA CALIFORNIA DEL FUTURO AL TERRITORIO CONTROLLATO DALLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA, a cura di Luigi Longo

LA PUGLIA DALLA CALIFORNIA DEL FUTURO AL TERRITORIO CONTROLLATO DALLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA

a cura di Luigi Longo

Sul sito www.editorialedomani.it è stato pubblicato, in data 24 marzo 2021, uno stimolante articolo del giovane scrittore Andrea Donaera su La Puglia e il suo negativo, lo storytelling che non viene raccontato. Lo propongo come lettura. A me interessa evidenziare due questioni che si intrecciano: 1) la costruzione ideologica di un territorio, finalizzata, tramite l’arte di raccontare storie, allo sviluppo del settore turistico, che è ritenuto importante per l’economia della Puglia, a prescindere dalla distruzione delle piccole e medie imprese messa in atto strategicamente tramite il covid-19; questa strategia permetterà grandi ristrutturazioni, in un paesaggio complesso e straordinario, a favore delle grandi imprese (soprattutto estere) che produrranno una diversa organizzazione del territorio e un diverso godimento del paesaggio sempre meno accessibile ai più (d’altronde l’Italia non è il giardino dei dominanti statunitensi, russi e cinesi?); 2) il denaro accumulato nelle diverse sfere sociali diventa il mezzo sia del potere sia della fusione del potere legale e del potere illegale (già l’imperatore Vespasiano sosteneva che il denaro non ha riconoscibilità) e diventa difficile distinguere (tranne quando diventa mezzo di conflitto tra gruppi di potere) tra quelli che delinquono legalmente e quelli che delinquono illegalmente perché il sistema sociale, così come è strutturato nelle relazioni di potere e di comando, è una simbiosi di legalità e illegalità sia a livello micro sia a livello macro.

La Puglia non è diventata la futura California italiana, così come ipotizzava Franco Tatò, ma è diventata territorio controllato dalla criminalità organizzata con le sue peculiarità territoriali (Sacra corona unita, quarta mafia, eccetera) e i suoi intrecci nazionali (mafia, camorra e n’drangheta) e mondiali (mafia statunitense, russa e cinese).

Nella provincia di Foggia, la terza provincia più estesa d’Italia con una popolazione di 602 mila abitanti, sono stati sciolti, per infiltrazione della criminalità organizzata, comuni come Cerignola (55 mila abitanti) e Manfredonia (55 mila abitanti), nodi importanti dell’economia e dello sviluppo della Provincia; Monte Sant’Angelo e Mattinata comuni del Gargano dove fino a poco tempo fa la criminalità organizzata veniva interpretata come faida della pastorizia!; la città di Foggia (con una popolazione di quasi 150 mila abitanti) è sotto i riflettori della Commissione del Ministero dell’Interno per la verifica (sic) di infiltrazioni della criminalità organizzata.

Fonte: Direzione Investigativa Antimafia, 2020

 

Manca una conoscenza della penetrazione della criminalità organizzata nelle diverse sfere sociali (economica, finanziaria, politica, istituzionale, culturale e sociale). Si è fermi, nel contrasto alla criminalità organizzata, alla sua sfera militare, che è un aspetto importante dell’accumulazione del denaro, ma non è sufficiente per capire le strategie e gli intrecci tra potere legale e potere illegale (pochi e marginali sono le ricerche in questa direzione).

Siamo in guerra, dichiara il nuovo capo della Protezione civile Fabrizio Curcio, riferendosi alla pandemia (mai dichiarata) da covid-19. E’ il classico lapsus freudiano. Siamo in guerra perché è una guerra batteriologica tra le potenze mondiali per la spartizione del mondo che comporta un riassestamento di nuovi equilibri, di nuove alleanze, di nuovi squilibri sociali e territoriali, di nuovi modelli sociali che avanzano nell’attuale fase di multicentrismo, accelerata dallo strumento covid-19. A livello italiano è una guerra per la spartizione di risorse di gruppi di potere servili che nulla hanno a che fare con un progetto etico-politico che porti all’autodeterminazione nazionale.

Sullo sfondo vi sono le trasformazioni del territorio pugliese che assume un ruolo sempre più importante per le strategie statunitensi nel mediterraneo (territori e città Nato-Usa, approntamento di infrastrutture che collegano i nodi strategici come Foggia e Taranto, eccetera).

La criminalità ha un ruolo consistente nelle fasi multicentrica e policentrica, la storia questo insegna; ricordo il ruolo che la criminalità organizzata ha avuto in Italia nel secondo conflitto mondiale.

Relegare alla Magistratura, che fa parte dei gruppi di potere (altro che separazione dei poteri che lo stesso Montesquieu non ha mai pensato) è il segno dei tempi.

A me basterebbe una rivoluzione dentro il Capitale (inteso come rapporto sociale) con un nuovo principe capace di un moderno progetto etico-politico che desse dignità e autodeterminazione alla povera Italia e che sostituisse questa classe politica di subdominanti servili. Ai miei nipotini lascerei la speranza di un nuovo principe sessuato capace di una rivoluzione fuori dal Capitale.

 

L’INTERMEZZO DI CAPAREZZA

Vieni a ballare in Puglia

I delfini vanno a ballare sulle spiagge
Gli elefanti vanno a ballare in cimiteri sconosciuti
Le nuvole vanno a ballare all’orizzonte
I treni vanno a ballare nei musei a pagamento
E tu dove vai a ballare?
Vieni a ballare in Puglia, Puglia, Puglia
Tremulo come una foglia, foglia, foglia
Tieni la testa alta quando passi vicino alla gru
Perché può capitare che si stacchi e venga giù
Ehi turista so che tu resti in questo posto italico
Attento tu passi il valico ma questa terra ti manda al manico-mio
Mare Adriatico e Ionio, vuoi respirare lo iodio
Ma qui nel golfo c’è puzza di zolfo, che sta arrivando il Demonio
Abbronzatura da paura con la diossina dell’ILVA
Qua ti vengono pois più rossi di Milva e dopo assomigli alla Pimpa
Nella zona spacciano la morìa più buona
C’è chi ha fumato i veleni dell’ENI, chi ha lavorato ed è andato in coma
Fuma persino il Gargano, con tutte quelle foreste accese
Turista tu balli e tu canti, io conto i defunti di questo paese
Dove quei furbi che fanno le imprese, no, non badano a spese
Pensano che il protocollo di Kyoto sia un film erotico giapponese
Vieni a ballare in Puglia, Puglia, Puglia
Dove la notte è buia, buia, buia
Tanto che chiudi le palpebre e non le riapri più
Vieni a ballare e grattati le palle pure tu che devi ballare in Puglia, Puglia, Puglia
Tremulo come una foglia, foglia, foglia
Tieni la testa alta quando passi vicino alla gru
Perché può capitare che si stacchi e venga giù
È vero, qui si fa festa, ma la gente è depressa e scarica
Ho un amico che per ammazzarsi ha dovuto farsi assumere in fabbrica
Tra un palo che cade ed un tubo che scoppia in quella bolgia s’accoppa chi sgobba
E chi non sgobba si compra la roba e si sfonda finché non ingombra la tomba
Vieni a ballare compare nei campi di pomodori
Dove la mafia schiavizza i lavoratori e se ti ribelli vai fuori
Rumeni ammassati nei bugigattoli come pelati in barattoli
Costretti a subire i ricatti di uomini grandi ma come coriandoli
Turista tu resta coi sandali, non fare scandali se siamo ingrati e ci siamo dimenticati di essere figli di emigrati
Mortificati, non ti rovineremo la gita
Su, passa dalla Puglia, passa a miglior vita
Vieni a ballare in Puglia, Puglia, Puglia
Dove la notte è buia, buia, buia
Tanto che chiudi le palpebre e non le riapri più
Vieni a ballare e grattati le palle pure tu che devi ballare in Puglia, Puglia, Puglia
Dove ti aspetta il boia, boia, boia
Agli angoli delle strade spade più di re Artù
Si apre la voragine e vai dritto a Belzebù
Oh Puglia, Puglia mia, tu Puglia mia
Ti porto sempre nel cuore quando vado via
E subito penso che potrei morire senza te
E subito penso che potrei morire anche con te
Silenzio!
Silenzio in aula!
Il signor Rezza Capa è accusato di vilipendio al turismo di massa e di infamia verso il fronte
L’imputato ha qualcosa da rettificare?

 

LA PUGLIA E IL SUO NEGATIVO, LO STORYTELLING CHE NON VIENE RACCONTATO

di Andrea Donaera

 

Esiste un risvolto torbido, in questa regione. Un negativo, un nero che non viene mai illuminato, perché scientemente nascosto sotto il tappeto di una formula comunicativa che si abbranca disperatamente al valore dell’economia turistica e che promette balli, orecchiette e aperitivi sotto il sole.

Non si potrebbe mai ipotizzare una narrazione del tipo “Gomorra pugliese”, perché oggi la Scu [Sacra Corona Unita, mia precisazione] è il territorio, e non ha (più) bisogno di lotte tra bande.

Una pulsione verso il ridimensionamento, un istinto al camuffamento della realtà. Un amore per il luogo natale che è anche un riflesso incondizionato.

Da qualche tempo, complici fiction tv di grande successo e operazioni editoriali adeguatamente confezionate, si è generato una sorta di nuovo desiderio di Puglia. Il tacco d’Italia si configura sempre più come un eden dove la vita semplice e “come una volta” è accompagnata da gastronomie d’eccellenza, il tutto circondato da un panorama sempre meraviglioso a prova di riprese tramite drone. Una sorta di California del bel paese dove al posto delle start-up della Silicon Valley ci sono agriturismi e stabilimenti balneari che promettono estati indimenticabili.

Bene. Eppure, da pugliese, non riesco a non chiedermi: «Ok, ma… tutto il resto? Com’è possibile che l’altra natura di questi luoghi non venga minimamente comunicata? Com’è possibile direzionare in modo così efficace la percezione di un intero territorio?».

 

L’altra superficie

 

Anni fa, quando ancora vivevo a Gallipoli, mi ritrovai (per una serie di eventi assurdi) a cenare con uno dei più potenti boss della Sacra corona unita. Durante la serata, stimolato dal consueto Primitivo con gradazione di 15 gradi, l’uomo mi disse (parafraso, traducendo dal suo dialetto aspro e stretto): «Il mio lavoro non avviene in superficie. Io sono la superficie». Una frase che non potrò mai dimenticare. Perché esatta, verissima, spietata.

La Scu, attualmente, è diventata una forma di criminalità organizzata che rigetta l’estetica delle mafie televisive o la messa in scena di azioni efferate. Non si potrebbe mai ipotizzare una narrazione del tipo “Gomorra pugliese”, perché oggi la Scu è il territorio, e non ha (più) bisogno di lotte tra bande. La Scu è come le spiagge, è come gli ulivi, è come le piazze abbacinanti nel sole estivo. Una criminalità organizzata di questo genere non ha alcuna epica, e non presta il fianco ad alcun riflettore mediatico. Esiste una rete di individui che illegalmente gestisce le operazioni economiche e sociali, ma si prova in ogni modo a esporre della regione solo la faccia più attraente, semplice, innocua: in Puglia ci si diverte, si sta bene, e basta così. Da questa gestione ci guadagnano un po’ tutti. E il silenzio è garantito.

La nota canzone di Caparezza Vieni a ballare in Puglia fu un caso clamoroso di come la narrazione di questa terra sia ormai intossicata da una posa perennemente da showreel: una musichetta allegra e a tratti becera, sotto la quale le parole al vetriolo del rapper venivano soffocate. La gente, durante quella estate in cui il brano era un tormentone, era letteralmente venuta in Puglia solo per ballare: mentre almeno due mostruose fabbriche producevano – e producono – quotidianamente morte e danni ecologici con il ricatto del lavoro a tempo indeterminato (l’arcinota ex-Ilva e la meno famosa centrale elettrica di Cerano); mentre un teatro comunale veniva reso inagibile perché occupato – con uno strano sistema di usufrutti – dalla madre del boss gallipolino di cui sopra, la quale si accasò nei camerini, per viverci fino a oggi.

In Puglia esiste lo splendore della Bari di Lolita Lobosco, ed è giusto che venga narrato attraverso la penna asciutta ed elegiaca di Gabriella Genisi. Esiste anche la Polignano raccontata da Luca Bianchini, con quella umanità tutta novecentesca e con le mani sempre sporche di farina o di terra coltivata.

Esiste però pure la Puglia dove nelle campagne di Lucera i braccianti si suicidano, in zone che rappresentano un disastro umano e nelle quali sembra operare soltanto il coraggioso sindacalista Aboubakar Soumahoro. Un Salento dove nel giro di pochi anni due omicidi vengono compiuti da giovani con il movente dell’invidia – sintomo eclatante, ma mai davvero esposto, di un’intera generazione avvelenata nel profondo, bloccata in un sistema sociale asfissiante dove si è lontani da tutto. Esiste, insomma, un risvolto torbido, in questa regione. Un negativo, un nero che non viene mai illuminato, perché scientemente nascosto sotto il tappeto di una formula comunicativa che si abbranca disperatamente al valore dell’economia turistica e che promette balli, orecchiette e aperitivi sotto il sole.

Per un pugliese tutto questo è doloroso. Mistificare il proprio luogo d’origine, rifiutando di esporre la realtà palpitante e vera, significa allestire una realtà aumentata. Le mie estati pugliesi assomigliano sempre più a un lungo episodio di Black Mirror in salsa mediterranea, dove tutti i cittadini devono recitare in uno show turistico – uno show che, se non risulta convincente, causerà il vero grande male della nostra epoca: l’assenza di profitto.

 

Camuffare d’istinto

 

Conosco molte persone – quasi tutte millennial, quasi tutte laureate – che vivono in Puglia e per lavoro svolgono la mansione di storyteller: il loro compito consiste nel comunicare il territorio pugliese per renderlo, agli occhi di potenziali turisti, una distesa di luoghi incantati da scoprire. Impacchettano l’idea affascinante di vivere in un posto impermeabile alle mutazioni sociali e ai processi che rendono problematiche le altre aree del sud. In sostanza, il loro lavoro consiste nel mentire sapendo di mentire [corsivo mio]. Consiste nel vendere i tramonti, i ristoranti di pesce, le ricette delle nonne, le notti tarantate, facendo di tutto per non far percepire la superficie, l’altra superficie, di cui parlava il boss della Scu.

Questo storytelling, però, non è compito soltanto di chi lo fa in cambio di un compenso. È come se ogni pugliese fosse, a suo modo, uno storyteller, un narratore che difende lo splendore della propria terra. Si tratta di un processo forse intrapsichico, che prende vita senza possibilità di razionalizzazione. Io ne sono un esempio. Quando, durante degli eventi pubblici, racconto la cena con il boss sopracitata, finisco sempre per smorzare il racconto con una qualche battuta («Comunque i gamberi di Gallipoli sono buonissimi anche se li dividi con un capomafia»). Una pulsione verso il ridimensionamento, un istinto al camuffamento della realtà. Un amore per il luogo natale che è anche un riflesso incondizionato.

Un fenomeno inquietante, da questo punto di vista, avvenne alcuni mesi fa quando lo scrittore salentino Omar Di Monopoli pubblicò un articolo, sulle pagine di un quotidiano nazionale, nel quale provava a problematizzare l’omicidio commesso a Lecce dal giovane Antonio De Marco ai danni di una coppia di amici. Di Monopoli connetteva l’odio sistematizzato di De Marco verso la felicità altrui (questo il movente confessato dal ragazzo agli inquirenti) con un “male” che aleggerebbe in quella periferia d’Italia rappresentata dal Salento. Il risultato fu una clamorosa shitstorm di pugliesi che, sui social, ringhiarono frasi come: «Tu non sai niente di questi luoghi», «Sciacquati la bocca prima di parlare del Salento».

Censurare, dunque. Ecco cosa resta a chi prova a narrare la Puglia. Oppure camuffare. Allestire un personaggio piacevole e nazionalpopolare come il vicequestore Lobosco per poter esternare, almeno parzialmente, un qualche risvolto criminale tipico di certo sud. Nascondersi dietro il dito della comicità, come fece Carlo D’Amicis nello splendido romanzo La guerra dei cafoni, per poter delineare la drammatica guerra di classe e generazionale, ancora in corso in molte aree pugliesi, tra benestanti e non. Insomma, usare artifici, ecco cosa resta: ma con la consapevolezza che, probabilmente, il messaggio che il grande pubblico vorrà continuare a ricevere sarà quello della Puglia come location dell’idillio – lo stesso messaggio che la maggior parte dei pugliesi vuole o deve promulgare.

Oltre cinquant’anni fa, il poeta leccese Vittorio Bodini teorizzava l’architettura barocca del Salento come la risposta estetica a una sorta di horror vacui che fa parte naturalmente delle anime di chi vive in quel luogo. Oggi quell’horror vacui c’è ancora, sempre più forte. E al posto del barocco c’è lo storytelling, ci sono i Baci da Polignano, ci sono le fiction. Forse è giusto così. Ma per chi?

 

 

Stati Uniti, un leader evanescente_con Gianfranco Campa

Gli Stati Uniti devono risolvere entro pochi mesi un problema imbarazzante di leadership. Hanno un presidente sempre più evanescente e sempre meno presente non solo nelle grandi decisioni ma anche nella gestione degli affari quotidiani. La conduzione politica si sa che è un affare soprattutto di centri decisionali che agiscono preferibilmente nell’ombra. Solo nei momenti di crisi acuta sono costretti ad emergere; lo si è visto nei quattro anni di presidenza Trump. Non disporre però di figure adeguate in grado di gestire la scena, di mantenere la rete di relazioni e di costruire una immagine del potere sufficiente a giustificare le scelte può creare seri problemi di coesione, credibilità e legittimità in una situazione già di per sè complessa, contraddittoria e frammentata. Una situazione di stallo ma con problemi che rischiano di saltare tra le mani. Tempo di forzature e provocazioni. L’Europa si preannuncia un campo di azione ideale, a cominciare da est_Giuseppe Germinario

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EMERGENZA E VIRTÚ, di Teodoro Klitsche de la Grange

EMERGENZA E VIRTÚ

Ho già scritto (Per qualche migliaio in più) che l’emergenza pandemica è stata l’occasione perché le élite decadenti cambiassero, in parte, le loro litanie abituali, aggiungendovi la strofa sull’inefficienza delle pubbliche amministrazioni, alla quale peraltro avevano concorso – e non poco – attraverso nomine e norme. Aggiungevo che più che salmodiare litanie avrebbero dovuto agire in modo conseguente in primo luogo nominando per affrontare la pandemia, funzionari efficienti e nuovi, (perché dalle vecchie pecore esce sempre lo stesso latte) e in secondo luogo – cosa in parte fatta – promulgando normative d’emergenza. Ma quanto al primo, più importante aspetto, abbiamo dovuto attendere il governo Draghi: ad affrontare l’emergenza pandemica sono stati i soliti. Quando è stato nominato un commissario come il dr. Arcuri, si è scelto un “boiardo di Stato” da quasi quindici anni alla guida di Invitalia, ente, pardon Agenzia, o meglio Agency che dovrebbe promuovere lo sviluppo d’impresa, e che, purtroppo per noi italiani risulta dai dati statistici che non vi riesce granché

Ma non vogliamo insistere su colpe, professionalità, responsabilità concrete, perché preme valutare se l’emergenza richiede, per essere affrontata, dati e attitudini diverse a quanto richiesto in una situazione normale.

E per far ciò è utile – come sempre per gli affari politici – vedere che ne pensa Machiavelli.

Secondo il segretario fiorentino l’azione del governante dev’essere adatta ad affrontare la situazione; sono le caratteristiche di quest’ultima a determinare la condotta ed il soggetto stesso designato a governarla. Il fatto che l’emergenza sia punto (o poco) prevedibile, si presenti la prima volta o no, che ne siano ignote le cause (se naturali) che la creano od oscura ed irragionevole la volontà umana che l’ha generata (ove ne sia la causa), fa si che fronteggiarla sia difficile e richieda (tanta) virtù.

Che cosa sia secondo Machiavelli la virtù è argomento assai frequentato dagli studiosi, con esiti molto diversi, tenuto conto che il segretario fiorentino non la definisce mai (come, d’altra parte, gli altri concetti fondamentali del suo pensiero).

Per lo più la si ritiene la capacità politica di affrontare le situazioni, ossia la fortuna, con successo.

A cercare qualche ulteriore specificazione è connotabile più che in se, in relazione al suo antagonista, cioè la fortuna. La quale va governata e anche sfruttata, usando le occasioni che crea sia per l’interesse della comunità che per quello del Principe, evitandone gli effetti deleteri[1].

Anche se la virtù è necessaria al governante (ed ai popoli) in ogni situazione, nel pensiero di Machiavelli lo è particolarmente nelle situazioni di emergenza, fino a quelle che inducono cambiamenti epocali[2].

E non è detto che sia sufficiente, d’altra parte, a battere la fortuna, anche per gli uomini che il Segretario fiorentino reputava più virtuosi, come Cesare Borgia. Il quale aveva preparato tutto per assicurarsi il potere alla morte del padre, ma non aveva previsto d’essere gravemente malato in quel momento, il che ne provocò la caduta[3].

Proprio l’imprevedibilità, la novità, l’inconoscibilità delle situazioni d’emergenza rende necessario per affrontarle, delle doti che in frangenti normali non avrebbero alcuna rilevanza, e di converso, rende incongrue le altre, utili in quelli.

Compito di chi governa l’emergenza è di raggiungere un risultato concreto: vincere il nemico, ricostruire una città distrutta dal terremoto, superare un’epidemia.

A tal fine osservare delle norme generali può essere d’impedimento (e spesso lo è). Anche nella tranquilla prima Repubblica italiana i commissari nominati per il sisma campano-lucano del 1980 avevano il potere di porre in essere ordinanze anche contra legem, col limite dell’osservanza dei principi generali dell’ordinamento giuridico[4] allo scopo di soccorrere le popolazioni terremotate. In una situazione normale un simile potere, peraltro conferito ad un organo amministrativo straordinario, sarebbe considerato – ed è – incostituzionale,  essendo l’Italia uno Stato legislativo-parlamentare.

Consegue da ciò che, in qualche misura il funzionario (inteso lato sensu) incaricato di superare l’emergenza oltre che a non essere più vincolato alla norma, e così un mero esecutore della norma (perché ne può – almeno in parte – farne a meno e porne di nuove), ha minore bisogno anche delle doti professionali relative. Scrive Max Weber che “il tipico detentore del potere legale… mentre dispone e insieme comanda, da parte sua obbedisce all’ordinamento impersonale in base al quale prende le sue prescrizioni…”[5] e prosegue “le categorie fondamentali del potere razionale sono pertanto: a) un esercizio continuativo, vincolato a regole di funzioni d’ufficio…”. “Le regole secondo le quali si procede possono essere regole tecniche oppure norme”[6]. Invece, nell’emergenza, l’importanza delle regole e della loro osservanza passa in secondo piano, al punto di poter rivelarsi d’impaccio al raggiungimento dello scopo. E così consigliare il conferimento di un generale potere di deroga (v. anche art. 25 D.lgs. 1/2018). L’antico detto di Publilio Siro divenuto una massima giuridica (da Graziano a Santi Romano): necessitas non habet legem sed ipsa sibi facit legem, è ancora diritto vivente ed applicato. La necessità è come la guerra secondo Clausewitz: dove sono i nemici ad imporsi mutualmente legge. Così è la necessità a determinare le misure opportune a contrastarla.

Se quindi è di nessuna utilità (nel migliore dei casi) l’applicazione della legge, l’essere doctor in utroquo jure (diverso – in parte – è per le regole di altro genere) quali sono le doti più adatte a fronteggiarla? Coraggio, propensione al rischio, audacia hanno indubbiamente un ruolo accresciuto. E la virtù machiavellica?

Machiavelli tiene la virtù in grande considerazione, al punto da attribuirle il potere di piegare la fortuna (batterla); in particolare nelle situazioni di crisi, quando le cose peggiorano “Scrive Machiavelli nei capitoli VI e XXVI del Principe che occorreva che gli Ebrei fossero schiavi in Egitto, gli Ateniesi dispersi nell’Attica, i Persiani sottomessi ai Medi perchè potesse rifulgere la “virtù” di grandi condottieri di popoli come Mosè, Teseo e Ciro”[7]. Alla virtù è connotato essenziale (anche) la capacità di prevedere, oltre quella di decidere e comandare. Come scrive Fusaro “Si fronteggiano così, nel pensiero di Machiavelli, due forze gigantesche, la fortuna incostante , volubile , e la virtù umana , che è in grado di contrastarla, imbrigliarla, impedirle di far danno, piegarla ai propri fini. La “virtù” di cui parla Machiavelli è quindi un complesso di varie qualità: in primo luogo la perfetta conoscenza delle leggi generali dell’agire politico… in secondo luogo dalla capacità di applicare queste leggi ai casi concreti e particolari, prevedendo in base ad esse i comportamenti degli avversari e gli sviluppi delle situazioni, il mutare dei rapporti di forza, l’incidenza degli interessi dei singoli ; infine la decisione, l’energia, il coraggio nel mettere in pratica ciò che si è disegnato: la “virtù” del politico è quindi una sintesi di doti intellettuali e pratiche , che conferma che nel pensiero machiavelliano teoria e prassi non vadano mai disgiunte”. A metà del secolo scorso un acuto giurista tedesco, Ernst Forsthoff scrisse un breve saggio su “Lo Stato moderno e la virtù”, facendo il punto sull’importanza (o meno) della virtù nello Stato costituzionale del XX secolo. Notava Forsthoff (che non considera il pensiero di Machiavelli e il di esso concetto di virtù, ma prende in esame quello di Platone ed Aristotele) che nel pensiero classico (cioè fino al XVIII secolo) era considerata la virtù (v. Montesquieu) nella dottrina dello Stato “Solo nel periodo più recente, certo come chiara ripercussione della rivoluzione francese, la dottrina dello Stato ha preso una via che l’allontanò dalle qualità umane e per conseguenza anche dalla virtù… Come dottrina del sistema istituzionale e funzionale dello stato, la moderna dottrina dello stato non considera più l’uomo… Essa è divenuta una dottrina dello stato senza virtù”. Dopo la catastrofe della seconda guerra mondiale, l’attitudine è cambiata ma “Per quanto sia importante collegare di nuovo la concezione dello stato alle qualità umane, ed in particolare alla virtù… è impossibile ignorare o cancellare con un colpo di penna due secoli di continua evoluzione”[8] (coincidenti con il XIX e, in parte, il XX secolo). Lo Stato di diritto del positivismo giuridico classico sarebbe stato impossibile senza l’alto livello di virtù specifiche della burocrazia professionale tedesca, la quale era il “vero legislatore” del Reich bismarckiano. Ovviamente tra virtù del Segretario fiorentino e quella che Forsthoff vede nella burocrazia del Secondo Reich c’è poco in comune. Quest’ultima è assai prossima a quella individuata da Max Weber nell’etica del funzionario.

Ma è altrettanto sicuro che anche lo Stato moderno non può fare a meno della virtù, come scrive Forsthoff: “il vero problema dello stato di diritto di fronte all’attuale sfacelo etico e morale, e così la nostra riflessione sbocca nella problematica attuale della teoria dello Stato moderno… uno stato le cui funzioni devono inevitabilmente aumentare in misura notevolissima, può evitare a lungo andare la intensificazione della coazione solo rafforzando la virtù – sia la sua che quella dei suoi cittadini. Solo uno stato moderno sostenuto dalla virtù può essere uno stato liberale”.

E tanto meno può prescinderne nelle situazioni d’emergenza e da una virtù che va coniugata più alla concezione machiavellica che a quella “classica”. E ne serve tanta. Per cui pensare che uno Stato sgangherato come la Repubblica italiana, governato nell’ultimo trentennio da élite decadenti possa farne a meno è del tutto incredibile. Ancor più se gli apparati sono sempre gli stessi. Come scriveva Machiavelli dei principi italiani suoi contemporanei non avendo previsto né avuto sentore degli impeti della fortuna, non dovevano accusare questa, ma la loro ignavia[9].

[1] Due passi – tra i tanti delle opere di Machiavelli – descrivono gli  aspetti ricordati. Il primo è quello notissimo del cap. XXV del Principe col paragone della fortuna al “fiume rovinoso” e della virtù ai “ripari ed argini” che lo possono evitare o limitare i danni; l’altro nel cap. XX quando discorre della grandezza dei governanti “Senza dubio e principi diventano grandi quando superano le difficultà e le opposizioni che sono fatte loro; e però la fortuna, maxime quando vuole fare grande uno principe nuovo, il quale ha maggiore necessità di acquistare reputazione che un ereditario, gli fa nasce de’ nemici e fagli fare delle imprese contro, acciò che quello abbi cagione di superarle e, su per quella scala che gli hanno porta li inimici suoi, salire più alto”; onde la fortuna può diventare un’occasione favorevole.

[2] Come scrive nel XXVI capitolo del Principe “B”; è più vero che l’antitesi fortuna/virtù non è solo vista in funzione dell’azione di singoli individui ma anche dei popoli (v. Discorso, II, 1).

[3] V. Il Principe cap. VII.

[4] V. art. 1 D.L. 26/11/1980 n. 776.

[5] Economia e società, Milano 1980, p. 212.

[6] Op. cit., p. 213.

[7] V. D. Fusaro Nicolò Machiavelli in rete.

[8] E prosegue “Il superamento di una dottrina dello stato, impantanata nel formalismo e nel funzionalismo, è possibile solo sulla base di un’analisi di questa evoluzione e della situazione creatasi con essa… La constatazione che la dottrina dello stato ha perduto, nel secolo XIX, il contatto con le qualità umane, ed in particolare con la virtù, non implica naturalmente che anche la virtù sia assente dagli ordinamenti degli stati… Essa è impensabile senza una certa dose di virtù. Lo stesso vale per il diritto – inteso nel suo vero significato etico. L’emancipazione del positivismo giuridico dal diritto (inteso in questo senso) e l’emancipazione della dottrina dello stato dalla virtù sono strettamente connesse fra loro”.

[9] V. “Pertanto questi nostri principi, e quali erano stati molti anni nel loro principato, per averlo dipoi perso non accusino la fortuna, ma la ignavia loro: perché, non avendo mai ne’ tempo quieti pensato ch’e’ possino mutarsi – il che è comune difetto degli uomini, non fare conto nella bonaccia della tempesta” (v. Principe, cap. XXIV).

La Francia tra l’Edipo algerino e quella dei decoloniali, di Bernard Lugan

 

Quando l’ingustizia e la sopraffazione diventano un alibi per giustificare la propria esistenza e protrarre la propria agonia_Giuseppe Germinario

Il “sistema” algerino e i “decoloniali” accusano la Francia di essere responsabile dei loro problemi. Un atteggiamento edipico già ben descritto a suo tempo da Agrippa d’Aubigné quando scrisse che:

“Il cadavere della Francia si sta decomponendo sotto gli occhi di due bambini: il primo è un criminale e il secondo un parassita. Uno è rivolto alla morte e l’altro alla devastazione. ”

Nel gennaio 2021, un giornalista algerino, rilanciato compiacentemente dai media francesi, ha persino chiesto un risarcimento alla Francia per il “saccheggio” del ferro “algerino” che, secondo lui, sarebbe stato utilizzato per realizzare la Torre Eiffel !!!

Tuttavia, come ha mostrato Paul Sugy, i pezzi che compongono il monumento emblematico sono stati fusi in Lorena, nelle acciaierie di Pompeo, dal minerale di ferro estratto dalla miniera di Lurdres, anch’essa situata a Meurthe-et-Moselle …

L’affermazione tanto esorbitante quanto surrealista di questa borsa di studio del “Sistema” algerino non è la follia di un miniato. Al contrario, fa parte di una strategia di richieste eccessive intese a ottenere scuse, quindi riparazioni “dure e veloci” dalla Francia.

Tuttavia, bisogna vedere che, fino all’arrivo al potere di François Hollande, la posizione algerina era stata relativamente “mantenuta”. Né Georges Pompidou, né Valéry Giscard d’Estaing, né François Mitterrand, né Jacques Chirac né Nicolas Sarkozy avrebbero accettato tali richieste di scuse. Tuttavia, tutto è cambiato con le dichiarazioni irresponsabili di François Hollande seguite da quelle di Emmanuel Macron sul tema della colonizzazione. Da lì, essendosi autoumiliata la Francia, l’Algeria si è trovata quindi in una posizione di forza per pretenderne sempre di più. Tanto più che messo alle strette dalla strada, pur essendo in gioco la sua sopravvivenza, il “Sistema” algerino ha solo due mezzi per cercare di deviare la marea della protesta popolare che minaccia di prevalere:

1) Attacco al Marocco, come nel 1963, quando la “Guerra delle Sabbie” gli permise di mettere da parte la rivolta Kabyle. Ma, con il Marocco, che si strofina contro di esso …

2) Niente del genere con il cappone francese i cui attuali leader non osano ricordare ai loro omologhi algerini che nel 1962, la Francia “madre generosa”, lasciò in eredità alla sua “cara Algeria” secondo l’espressione del compianto Daniel Lefeuvre, un’eredità composta da 54.000 chilometri di strade e binari (80.000 con binari sahariani), 31 strade nazionali di cui quasi 9.000 km asfaltate, 4.300 km di ferrovie, 4 porti attrezzati a standard internazionali, 23 porti sviluppati (di cui 10 accessibili a grandi cargo e di cui 5 che potrebbero essere serviti da navi di linea), 34 fari marittimi, una dozzina di aeroporti principali, centinaia di strutture ingegneristiche (ponti, gallerie, viadotti, dighe, ecc.), migliaia di edifici amministrativi, caserme, edifici ufficiali, 31 idroelettrici o centrali termiche, un centinaio di importanti industrie nell’edilizia, metallurgia, cemento, ecc. dic scuole, istituti di formazione, scuole superiori, università con 800.000 bambini iscritti a 17.000 classi (cioè altrettanti insegnanti, due terzi dei quali francesi), un ospedale universitario da 2.000 posti letto ad Algeri, tre grandi ospedali della capitale ad Algeri, Orano e Costantino , 14 ospedali specializzati e 112 ospedali polivalenti, l’eccezionale cifra di un letto ogni 300 abitanti. Per non parlare del petrolio scoperto e messo in funzione dagli ingegneri francesi. Nemmeno un’agricoltura fiorente è rimasta incolta dopo l’indipendenza, a tal punto che oggi l’Algeria deve importare anche concentrato di pomodoro, ceci e persino semola di cuscus …

Tutto ciò che esisteva in Algeria nel 1962 era stato pagato con le tasse francesi. Nel 1959, l’Algeria ha così assorbito il 20% del bilancio statale francese, vale a dire più dei bilanci combinati di istruzione nazionale, lavori pubblici, trasporti, ricostruzione e alloggi, industria e commercio! E tutto ciò che la Francia ha lasciato in eredità all’Algeria era stato costruito dal nulla, in un paese che non era mai esistito da quando era passato direttamente dalla colonizzazione turca alla colonizzazione francese. Anche il suo nome gli era stato dato dalla Francia …

L’atteggiamento dei “decoloniali”, da parte sua, nasce da un complesso edipoesistenziale accoppiato con una dose di schizofrenia.

Secondo loro, la Francia, che li accoglie, li nutre, li veste, li accudisce, li ospita e li educa, è una nazione “geneticamente schiava, razzista e colonizzatrice”, in cui i discendenti dei colonizzati sono in una situazione ”, cioè di” dominato “. Da qui la loro cosiddetta “emarginazione”. A questa affermazione di vittimismo si aggiunge un sentimento vendicativo e conquistatore, ben riassunto da Houria Bouteldja, una delle figure di spicco di questa corrente:

“La nostra semplice esistenza, unita a un peso demografico relativo (da 1 a 6) africanizza, arabizza, berberizza, creolizza, islamizza, i neri, la figlia maggiore della Chiesa, una volta bianca e immacolata, come sicuramente lucidano il sacco e le onde del surf e ripulire i blocchi di granito con pretese di eternità (…) ”.

Autenticamente francofobici, odiando la Francia, i “decoloniali” rifiutano quindi tutto ciò che è connesso ad essa. Hafsa Askar, vicepresidente del sindacato studentesco UNEF, ha scritto il 15 aprile 2019, il giorno del suo incendio:

“Non mi interessa Notre-Dame de Paris, perché non mi interessa la storia della Francia … Wallah … non ce ne frega niente (traduzione: combattiamo la c …), oggettivamente, è il tuo delirio di piccoli bianchi.

Tuttavia, esprimendo il loro risentimento e il loro odio per la Francia nella lingua dell’odiato “colono”, e affermandosi intellettualmente attraverso i suoi riferimenti filosofico-politici, i “decoloniali” hanno un atteggiamento schizofrenico …

Tuttavia, non c’è il minimo paradosso di questi adulatori il cui “pensiero” è germogliato sul suolo filosofico della rivoluzione del 1789. Attaccando frontalmente, e in modo edipico, i dogmi dei loro genitori – “valori della Repubblica” , “diritti umani”, “convivenza” e “secolarismo” – i “decoloniali” hanno infatti polverizzato il quadro dottrinale e morale di questa sinistra universalista che, per decenni, è stata il vettore della decadenza francese. Poiché non sopravviverà alla morte della sua ideologia e dei suoi “valori fondanti”, qui lascia gradualmente la storia, aprendo così la strada a un cambio di paradigma.

Spetta ai portatori di forze creative cogliere questa storica opportunità!

– Per la critica alla storia ufficiale dell’Algeria scritta dall’FLN e da Benjamin Stora, faremo riferimento al mio libro Algeria, la storia sottosopra .

– Per l’analisi e la confutazione dell’ideologia “decoloniale” si consulti il ​​mio libro Responding to the decolonials, the islamo-leftists and the terrorists of pentance .

L’Italia al centro del Mediterraneo_con Antonio de Martini

L’incidente ancora in via di soluzione nel canale di Suez dovrebbe contribuire a porre in primo piano la collocazione e il ruolo strategico dell’Italia nel Mediterraneo. I protagonisti esterni al paese hanno dimostrato più volte di esserne ampiamente consapevoli; paradossalmente lo stesso non si può dire riguardo alla classe dirigente italiana, soprattutto l’attuale. E se qualche barlume qua e là dovesse sorgere in proposito mancherebbe ad essa l’ambizione, la volontà e la capacità di utilizzo dei mezzi e delle opportunità che si aprirebbero nei vari frangenti. Dovrebbe essere questo il centro del dibattito politico propedeutico ad una svolta sempre più inderogabile, indispensabile a garantire l’esistenza dignitosa stessa della nazione_Buon ascolto, Giuseppe Germinario

PS_ Luigi Negrelli è nato in Trentino, a Fiera di Primiero

https://rumble.com/vf5l0h-litalia-al-centro-del-mediterraneo-con-antonio-de-martini.html

 

LA TRINCEA DEI CATARROSI, di Antonio de Martini

LA TRINCEA DEI CATARROSI
Oggi è il 28 marzo. Lo commemoro in esclusiva nazionale.
In questo giorno del 1947, l’Italia fu chiamata – assieme agli sconfitti – al tavolo dei vincitori a firmare il trattato di pace in cui ci tolsero anche le mutande e che pose la parola fine alla seconda guerra mondiale,
Tra un mese circa, il 25 Aprile
– festa nazionale- avremo la sfilata celebrativa di commemorazione della nostra vittoria della seconda guerra mondiale.
Due gruppi di italiani, entrambi stupidi e faziosi, celebreranno l’evento da opposti punti di vista, senza rendersi conto di perpetuare così il danno maggiore autoinfertoci che è quello della rottura spirituale dell’Unità nazionale.
La Germania fu divisa in due stati, ma rimase unita spiritualmente. Noi restanmo burocraticamente uniti, ma siamo ancora divisi.
Non è piu il caso di invocare la pacificazione o la concordia, come “ Nuova Repubblica” ha fatto dal giorno della fondazione unendo nell’appello insigni italiani delle due parti.
Si può solo sperare che il Covid faccia il suo lavoro e ci liberi degli ultimi rancorosi delle due parti, affidando le sorti d’Italia alle successive, smemorate, generazioni che credono che la guerra contro la Germania l’abbia vinta Tardelli.
Non so cosa sia peggio.
« GUERRINO SOL CONTRO TOSCANA TUTTA »
Il nuovo governo USA sta delineando la propria fisionomia, caratterizzandosi con una politica che può, al momento, definirsi quella « della suocera di Trump ».
Si guarda all’operato del predecessore e si cerca una rottura di continuità pur nella costanza degli atteggiamenti fondamentali.
Dopo aver dichiarato che non avrebbe brigato un secondo mandato, Biden ha fatto la dichiarazione opposta.
Non è impazzito, ha capito che l’amministrazione – il deep state – ha bisogno di credere che le scelte del presidente siano destinate a durare e ha promesso continuità.
Per ora l’attivismo della macchina di politica estera statunitense é frenetico e omnidirezionale.
Nell’arco di 72 ore gli USA hanno minacciato di sanzioni la Germania, la Russia, l’India e la Cina.
I tedeschi per il gasodotto nord stream, la Russia perché maltratta gli oppositori interni, l’India perché compra il sistema antiaereo russo e la Cina perche bistratta Uiguri e tibetani,due delle 54 minoranze del Celeste impero.
Se a questi si aggiungono i Turchi, l’Iran, lo Yemen, i somali, il Venezuela, il piccolo Libano, l’Afganistan , la Libia, la Siria, l’Irak, (con Myammar e Bielorussia in dirittura di arrivo nella lista dei sanzionandi), anche sottraendo il Sudan – arresosi di recente almeno a parole e l’Africa occidentale subappaltata ai francesi- siamo al contenzioso con quattro miliardi di abitanti del pianeta su sette.
Armatosi di buona volontà, Biden é già venuto a partecipare alla riunione UE per dare un tocco di bonomia personale alle minacce, ha stabilito di ripescare alcuni valori tradizionali della democrazia americana caduti in desuetudine e deciso di attendere gli esiti elettorali del 2022 previsti per una serie di paesi tra cui Italia, Libano, Irak e Turchia.
PRIORITÀ ALLA NATO ?
La seconda visita sarà alla NATO che sta per varare il suo nuovo assessment strategico .
L’organizzazione Nord Atlantica ha acquisito una valenza nuova da quando è ormai l’unico consesso – dopo la Brexit- in cui convivono gli europei continentali con i britannici .
Se si vuole fare la voce grossa coi russi, la NATO è lo strumento indispensabile e l’Italia ha il ruolo chiave.
Lo ha notato il generale Arpino – ex capo di SM della Difesa, della classe 1937 – che ha segnalato con un articolo su “ Formiche” l’interesse dell’Italia a restare nell’alleanza ( dice che chi la pensa diversamente è ingenuo o in malafede) e invita a sfruttare l’occasione per indirizzare l’attenzione verso il sud.
Arpino pensa certamente al fianco destro dell’alleanza che dalla fondazione ad oggi è stato sfondato: l’Iran e l’Irak sono inagibili, la Siria è ormai una caposaldo russo, la Turchia in pericolo e Libano e lo stesso Israele infiltrati.
Siamo destinati a subire il primo urto.
La strategia antirussa USA di sostegno alle repubbliche baltiche dove siamo stati “ costretti” a inviare dei nostri aerei,
cozza contro i nostri interessi strategici ( vigili sul fianco destro) economici ( energia da Egitto e Libia) commerciali ( i mercati del Levante) .
Il generale confida, con cortese incertezza, nella abilità manovriera dei nostri governanti agli incontri tra alleati per ottenere attenzione.
Forse è meglio usare parole brutali ma franche agli alleati: la volta scorsa in cui fummo centrali per l’alleanza, con De Gasperi e Pacciardi, l’Italia ebbe Manlio Brosio ( un politico) nominato segretario Generale dell’alleanza, aiuti militari a fondo perduto e qualche sostegno finanziario.
E rispetto.
Adesso, a parte qualche vaccino, cosa offrono?
Commenti
Alberto Del Buono

a mio parere il candidato ideale sarebbe

Vincenzo Camporini

. Ha l’esperienza e la grinta per fare bene e sottrarremmo un uomo ingenuo alle grinfie di partitanti che ne sfruttano l’onorabilità.

Renzi sarebbe un pericolo serio per l’integrità della lingua inglese e una scelta divisiva.
Antonio de Martini

Caro de Martini, la sua stima mi lusinga, compresa la definizione di ‘ingenuo’ che interpreto nel senso di chi è portato ad avere fiducia nel prossimo. Fortunatamente per me, la sua è un’idea isolata: si immagina lei le vesti strappate e gli alti lai nel caso un Generale venisse designato, o solo proposto per un tale incarico politico? Ce ne sarebbe per far cadere un governo! Grazie in ogni caso per la sua considerazione, che mi fa molto piacere, perché so essere sincera e profonda.

Vincenzo Camporini

caro generale. Apparentemente isolato ho chiesto a giorni alterni l’affidamento dell’epidemia allo Stato Maggiore per un intero anno. Hanno cooptato un generale – fino a ieri impensabile- e presto allargheranno le maglie eliminando …

Altro…
Antonio de Martini

Lei suggerisca l’idea come sa fare e vediamo se qualcuno ascolta.

Una buona notte.
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