
Trump: l’inquietudine di un silenzio
Se c’è qualcosa che può destare particolare inquietudine è proprio l’assenza; il silenzio di personaggi essenziali davanti a fatti clamorosi.
L’insolito riserbo con il quale Trump ha reagito al recente attacco ucraino alla rete viaria e, soprattutto, ad alcune basi strategiche nucleari russe deve suscitare allarme, più ancora della sua dirompente e abituale loquacità.
Potrebbe essere la conseguenza di una scelta attendista tesa a far scoprire la pletora di forze malefiche, presenti soprattutto, ma non solo, nel campo occidentale, tutte impegnate a distruggere l’intenzione o la velleità di una transizione pilotata verso un mondo multipolare.
L’insostenibilità politica e di coesione delle formazioni sociali innescata da questo tipo di globalizzazione, presuntuosamente unipolare, che si è ritorta paradossalmente sulle società occidentali promotrici, in particolare gli Stati Uniti, ha prodotto due risultati impensabili solo venti anni fa: il lancio di un vero e proprio guanto di sfida della Russia di Putin; il fenomeno erosivo di un gruppo sempre più numeroso di stati che decidono di andare semplicemente per la propria strada.
È proprio questa insostenibilità che ha creato le condizioni del ritorno clamoroso di Trump alla presidenza.
Solo condizioni, appunto, sfruttate da un movimento, MAGA, molto più maturo e strutturato, più esteso, ma ancora minoritario, imbevuto, nella sua ambiguità, dell’ambizione e dell’ottimismo di grandezza del proprio paese.
America First ha, appunto, una valenza tesa allo sviluppo di energie interne al paese, ma anche una valenza espansiva esterna che può offrire accoglienza a quelle forze demo-neoconservatrici, attualmente ancora ben radicate nei centri di potere ed istituzionali, ma temporaneamente prive di veste politica quanto meno presentabile.
Il paradosso nel quale si sta dibattendo Trump, con tutta la forza e la fragilità del personaggio, è, quindi, che deve la ragione della propria esistenza, anche fisica, a MAGA; la possibilità, invece, di proseguire la propria azione grazie ad un compromesso dinamico con le forze neocon rassegnate all’assenza di un proprio soggetto politico autonomo e ad una rottura, auspicabile e definitiva, della componente liberal-progressista. Il passaggio di R. Kennedy e Gabbard, come pure l’inedito sostegno di importanti settori del mondo sindacale, sono solo incrinature di quel secolare assetto politico che ha portato ad una odierna sintesi perniciosa di individualismo assoluto dei diritti e solidarismo compassionevole e lobbistico.
L’avvento di Trump ha sicuramente destabilizzato e rotto la coerenza, per altro già ampiamente corrosa, degli assetti istituzionali e dei centri decisori interni agli Stati Uniti.
Il proposito di disgregare gli attuali apparati ha trovato alimento dall’onda di entusiasmo e dal disorientamento provocato dall’esito elettorale e dalla maggiore consapevolezza, rispetto al 2016, della necessità di una azione di destrutturazione ed occupazione dei centri di potere resa possibile anche da una rottura interna al fronte degli apparati.
Le conseguenze di questa dinamica non sono lineari.
Il maggiore successo, al momento unico, di Trump va registrato sul fronte interno, laddove è ancora evidente la disarticolazione e la postura difensiva del vecchio blocco politico, corroborata dalla inesistenza di veri leader politici; come pure confermata l’aspettativa in risultati positivi della politica economica e geoeconomica condotta dalla presidenza.
È sul fronte esterno che l’esito dello scontro interno alle fazioni politiche statunitensi si riverbera ed appare da subito incerto, soprattutto per l’incapacità sicuramente oggettiva, probabilmente soggettiva, della compagine trumpiana di cogliere appieno le ragioni esistenziali, quindi irrinunciabili, della posizione russa, per altro rafforzate dalla precarietà e imprevedibilità dell’assetto politico statunitense.
Sia in Europa che in Medio Oriente le forze ostili all’amministrazione di Trump, per meglio dire ai suoi propositi originari dichiarati, per quanto ostinatamente arroccate e in ordine sparso nei due scacchieri, mantengono dinamicità ed assertività. In Europa con una postura esplicitamente frontale, segno della presenza in essa di un nocciolo duro decisore, rappresentato da figure politiche ormai patetiche e ottuse, ma parte integrante dello schieramento nativo negli USA; in Medio Oriente con una postura più surrettizia che può contare anche sul risentimento anti iraniano presente in settori delle forze armate statunitensi sostenitrici del nuovo corso trumpiano.
Il rischio inquietante è che le forze ostili dei due fronti esterni tra loro e quello interno riescano a trovare un compromesso, a coordinarsi e ad agire con maggiore coerenza ed efficacia.
Ancora una volta l’Ucraina si sta rivelando il punto di fusione di una dinamica destinata a farla diventare in futuro solo uno, nemmeno il più importante, dei punti di attrito con la Russia.
La complessa operazione, militare e terroristica, perpetrata in Russia, per altro uno sviluppo di altre operazioni simili precedenti, sta rivelando complicità, supervisioni e direzioni di più centri, ormai coordinati, di intelligence statunitensi, britannici, europei e israeliani.
Il viaggio di Graham, Blumental e Pompeo, ovvero la fronda antitrumpiana, a Kiev e poi a Bruxelles, il soggiorno prolungato di Soros e Obama in Polonia, durante la campagna elettorale, la grande azione di influenza di questi, in buona compagnia per altro, in Romania, soprattutto l’esito delle elezioni in Germania con Merz, sono la vera chiave di svolta, almeno momentanea, la conferma di questa ripresa di iniziativa. Lasciano presagire la riproposizione di un sodalizio subordinato tra le ambizioni paraegemoniche di una Germania ostile alla Russia e le trame di rivincita della vecchia leadership statunitense, particolarmente nefasto per i destini dell’Europa.
La probabile acquisizione di una maggioranza al Congresso Statunitense intenzionata a confermare e appesantire le sanzioni alla Russia conferma il processo di ricomposizione del blocco politico. Le ventilate minacce di tirare fuori dagli armadi gli scheletri di questa compagine non saranno sufficienti, senza una definizione della politica più netta, a scongiurare questi passi.
L’odierno pesante attacco al ponte di Crimea, di fatto respinto.
Simili operazioni presuppongono e favoriscono cointeressenze necessarie a coltivare ulteriori propositi contestuali di aggressione alla Russia e all’Iran, consolidate le quali basterà scatenare una scintilla, una “false flag”, che so, la trasformazione sacrificale in martire “dell’eroe, paladino ucraino” da attribuire a Putin, sufficiente a innescare il tentativo di soluzione definitiva.
Molto dipenderà dal peso e dalla coerenza, ritengo dubbia, che assumeranno i tatticismi della Cina, soprattutto, ma anche dell’India, nei confronti dei paesi europei e dell’Unione Europea rispetto alla solidità del sodalizio di queste con la Russia e alle possibilità di una transizione controllata al multipolarismo e ad una fase di equilibrio dinamico dei rapporti di forza.
Di fatto, la postura di Trump in queste dinamiche appare sempre più passiva e oscillante, disorientata, sballottata. Le recenti dimissioni di Musk, pur prevedibili, dal suo incarico temporaneo, ma apertamente polemiche verso il Congresso Statunitense, non tarderanno a rivelare le vere ragioni di questo passo.
Di certo, una possibile, eventuale operazione trasformistica di Trump provocherà l’abbandono di MAGA, con esiti verosimilmente drammatici nello scenario politico-sociale statunitense; la riduzione del personaggio politico ad ostaggio dei suoi avversari lo renderebbe rapidamente inutile e, probabilmente, scomodo nella sua stessa esistenza.
Il passaggio da una postura attendista a una debacle può risucchiare impercettibilmente dalle azioni di rottura nel solito conformismo anche un personaggio così coriaceo.
Prima di trarre conclusioni affrettate occorre comunque porsi una domanda: come mai l’improvviso silenzio, da giorni, di Trump, Vance, Gabbard ed Hegseth, l’allarmismo di Flynn e il protagonismo di Graham, Blumental e Pompeo?