LA STRATIFICAZIONE SOCIALE. UNA RIFLESSIONE, di Luigi Longo
LA STRATIFICAZIONE SOCIALE. UNA RIFLESSIONE
di Luigi Longo
La seguente riflessione scaturisce dall’ultima parte dell’intervista di Giuseppe Germinario a Gianfranco La Grassa, apparsa sul sito di Italiaeilmondo il 16 novembre 2023 con il titolo Il primato del politico, nella quale intervista si accenna alla questione della stratificazione del ceto medio.
La mia riflessione riguarda la questione dell’articolazione sociale della popolazione a partire dal cosiddetto ceto medio.
La stratificazione sociale di una nazione va vista all’interno dei rapporti sociali storicamente dati (che determinano la pienezza o la mancanza della vita vissuta), dove gli agenti strategici dominanti (gli strateghi, i gestori e gli esecutori) decidono il modello di sviluppo da realizzare nel breve-medio-lungo periodo.
Le stratificazioni sociali, all’interno delle grandi trasformazioni scientifiche e tecnologiche, sono sempre state nel passato storicamente determinato un miglioramento relativo per la maggior parte della popolazione (ad andamento aporetico cioè né lineare né deterministico) perché al centro del modello sociale dominante c’era, comunque, un essere umano sessuato all’interno del ciclo di madre natura, anche se questa era stupidamente e razionalmente aggredita (stupidità nelle relazioni sociali e territoriali, razionalità strumentale ai fini economici).
L’attuale processo di stratificazione sociale, nella fase iniziale della transizione ecologica, della digitalizzazione, della robotizzazione, dell’intelligenza artificiale (la rivoluzione elettronica per dirla con il grande storico Carlo Maria Cipolla), non considera più l’essere umano sessuato ma, l’essere umano inutile, amorfo, usa e getta, con intelligenza biologica e non individuale e sociale. In sintesi il regno animale da eliminare senza preoccupazione di nessuna natura: e qui sta il salto d’epoca. Siamo tornati alla preistoria con l’aggravante che stiamo uscendo dalla storia di madre natura che, come ci ricorda Karl Marx, non ha senso contrapporre alla storia umana << […] come se fossero due “cose” separate e l’uomo non avesse sempre di fronte a sé una natura storica e una storia naturale […]>> (L’ideologia tedesca, Editori Riuniti, Roma, 1977, pag.16).
L’essere umano sessuato è ridotto ad una illusione di comunità, ad un non senso del vivere sociale, ad una individualità staccata dalla sua costruzione sociale; ma una comunità nella realtà deve esistere altrimenti saremmo alla fine della vita sociale umana e, quindi, del senso dell’esistenza stessa. E’ nel suo essere comunità pensante e tesa al benessere sociale che la comunità sta morendo. Bisogna recuperare il senso e la qualità della vita: << L’umano in quello che è oggettivamente fin dal suo cominciamento è due, due differenti […] Per compiere il destino dell’umanità, l’umano-uomo e l’umano-donna devono compiere ciascuno ciò che sono e nel contempo realizzare l’unità che costituiscono. L’unità che formano, fino dall’origine, in quanto specie umana è evidentemente solo una realtà prima a partire dalla quale iniziare il divenire umano. Ciò che sarà l’unità ultima, non possiamo anticiparlo: dipenderà dalla cultura del suo essere per ciascuno e dalla cultura della relazione fra i due. Questo termine non può fissarsi in un solo ente e sfugge alla rappresentazione. Far dipendere il divenire dell’unità duale della specie umana da un solo ente/essere significa negare la differenza costitutiva di quest’unità. […] La differenza tra uomo e donna esiste già, e non può essere equiparata a una creazione del nostro intelletto. Ci importa pensarla e coltivarla, certo, ma a partire da ciò che esiste. >> (Luce Irigaray, La via dell’amore, Bollati Boringhieri, Torino, 2008, pp. 73-74).
E’ evidente che parlare di stratificazione sociale diventa difficile soprattutto nella fase iniziale della rivoluzione elettronica e del multicentrismo, ma è possibile solo a condizione di indagare la configurazione degli esigui strati che si formeranno nelle sfere della vita sociale (produzione e riproduzione della vita completa), cioè nel nuovo modello sociale di intendere le relazioni e il senso dell’esistenza stessa; una indagine che trova terreno fertile nel campo teorico del costruendo paradigma del conflitto strategico di Gianfranco La Grassa (Un nuovo percorso teorico, edizioni Solfanelli, Chieti, 2023), che supera l’errore di Karl Marx (grande merito dei lavori di Gianfranco La Grassa e di Costanzo Preve), cioè quello di privilegiare la sfera economica sia pure dentro i rapporti sociali e pensare un cambiamento a partire << […] dalla classe operaia, salariata e proletaria, vista come l’avanguardia politica organizzabile del lavoro collettivo cooperativo associato, dal direttore di fabbrica all’ultimo manovale, alleata con le potenze intellettuali sprigionate dalla grande produzione industriale, definita da Marx con l’espressione inglese General Intellect >> (Costanzo Preve, Politically correct: elementi di politicamente corretto. Studio preliminare su un fenomeno ideologico sempre più invasivo, Editrice Petite Plaisance, Pistoia, 2020, pag. 28).
A differenza di altri passaggi d’epoca, l’attuale fase della suddetta transizione comporterà una riduzione quantitativa dei gruppi capaci di eventuale trasformazione (in questo senso è da riconsiderare la storia del luddismo del 19° secolo). Avremo, da una parte, una massa di lavoratori sempre più poveri e una massa di individui senza tutela sociale che non sono più in grado di pensare il benessere sociale e, dall’altra, una ristretta cerchia di strati nuovi di lavoratori che potrebbero accendere la scintilla di un cambiamento (che sarà difficile, considerate le condizioni oggettive del citato balzo storico che limiterebbero molto le doglie del parto di una civiltà nuova) per costruire una società di benessere. Pertanto, in questa fase, occorrerebbe una nuova forza/organizzazione sessuata che spazzi via la serva Unione Europea, pensi ad un’altra Europa, espressione di nazioni libere, autonome e solidali, lotti contro il modello egemonico degli Stati Uniti d’America (che arrogantemente si considerano << l’unico popolo indispensabile nel mondo >> che sono per una egemonia assoluta e fanno fatica a capire che sono diventati una potenza privilegiata ma non più dominante, non più centro dell’Impero del mondo) e guardi ad Oriente, un luogo capitalistico, le cui potenze consolidate (Cina e Russia) e in via di consolidamento (India), i centri del costruendo polo asiatico, sono per un mondo multicentrico. La speranza è quella che si affermi la fase multicentrica e all’interno del consolidamento di questa fase sia possibile ripensare un nuovo modello di sviluppo altro della società, storicamente determinata, portato avanti dagli agenti strategici di questa nuova forza/organizzazione espressione della maggioranza della popolazione, con le sue articolazioni sociali, capace di un progetto-processo reale dove l’essere umano << […] abbia valore per quello che crea spiritualmente e storicamente di universale in senso etico, e non solo per quello che consuma, produce e guadagna. Perciò si tratta di un universalismo pluralistico opposto a quello monistico, teorizzato dagli attuali fautori della globalizzazione economica >>. (Carlo Gambescia, Introduzione in Costanzo Preve, Hegel antiutilitarista, Settimo Sigillo, Roma, 2007, pag.9).
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