Usa e GB ordinano più armi e militari in Europa: il “signorsì” di Scholz e Draghi, di Marco Giuliani

Usa e GB ordinano più armi e militari in Europa: il signorsì di Scholz e Draghi

E mentre si inasprisce lo scontro tra Mosca e il fronte antirusso, i media filogovernativi europei “normalizzano” la questione

Come annunciato tramite il messaggio di Biden al vertice Nato di Madrid, «gli Stati Uniti intendono rinforzare le loro posizioni militari in Europa in modo che la Nato possa rispondere a minacce da ogni direzione e da tutti i domini: mare, terra, aria». Sembra la teoria degli elementi, ma non lo è. Purtroppo, a formularla è l’anziano leader statunitense e non il genio di Aristotele. Non sono buone notizie quelle che arrivano dalla tre giorni spagnola di fine giugno, che ha visto riunirsi i membri dell’Alleanza Atlantica; l’incontro, infatti, è valso più a ratificare le posizioni anti-Putin anziché pianificare un pacchetto di strategie geopolitiche future su scala globale. Si tratta di un summit che decreta l’ulteriore indebolimento del raggio d’azione e dell’autonomia della UE, la quale, secondo i suoi membri più affermati – Francia, Germania, Italia e Spagna – si rimette alla linea anglo-americana come l’unica da seguire per fronteggiare una condizione di guerra sempre più tesa e pericolosa.

Ma quanto è auspicabile il tentativo di abbassare il livello dello scontro mostrando i denti e alimentando una contrapposizione che assume in modo crescente dimensioni bipolari? Quanto paga questo atteggiamento nella speranza (assai remota) che Putin ritorni sui propri passi? In tale contesto, appare sempre più chiaro che gli obiettivi della Casa Bianca, seguita a ruota da quelle che mai come oggi sembrano essere le sue “succursali”, non si riferiscono più alla salvaguardia dell’integrità del territorio e della popolazione ucraina (Crimea e Donbass sono sotto il controllo russo da settimane), bensì all’indebolimento esclusivo di Putin e dell’economia russa. La decisione di Washington di rafforzare la presenza militare atlantica in Europa, non ultima in Italia, in cui sono già presenti 120 basi statunitensi (alcune presso località segrete munite di testate nucleari), non ha fatto riscontrare uno straccio di obiezione da parte di Draghi, tantomeno il progetto di una risoluzione da portare in Parlamento per metterla ai voti. Stesso discorso vale per la Germania, che per bocca di Scholz ha annunciato al contrario l’invio di nuove armi a Kiev, e sempre più potenti.

Lo svilimento del ruolo dell’Europa in questa brutta faccenda, aggravata dalla volontà dichiarata del premier britannico Johnson (ci voleva anche lui, che non avrà neanche una maggioranza alle prossime politiche) di spostare la presenza militare occidentale ancora più a Est – cosa che ha fatto imbestialire il Cremlino – è pressoché totale. Lo si evince dalla penuria di iniziative da parte dei suoi leaders più in vista, come lo stesso Draghi, Macron o l’irrecuperabile Von der Leyen, che hanno assunto il ruolo di semplici ratificatori di decisioni prese dall’alto. Tutto questo ha un costo enorme, ma per Bruxelles in primo luogo e meno per gli Usa, che pure stanno sborsando fior di miliardi pur di mettere all’angolo Mosca. D’altronde, le gravi difficoltà nell’approvvigionamento dei carburanti e di alcuni generi alimentari mostrate dai paesi membri, con un conseguente aumento del costo del potere d’acquisto che varia dal 10% al 20%, non lasciano più spazio a dubbi. Oggi, come hanno capito anche i bambini di quinta elementare, il motto imperante è sì vis pacem para bellum; ergo: armarsi sino al collo, utilizzare l’Ucraina nel conflitto e sacrificare il welfare state per allinearsi a Washington e a Londra. Ma intanto, nella zona euro, l’inflazione galoppa verso il 9% su base annua. Un’enormità.

L’eccezionalità del momento, tra l’altro, sembra quasi non toccare più la stampa europea, ivi compresa quella italiana vicina a Palazzo Chigi, che di fatto minimizza la questione sanzioni, “normalizza” l’invio di armi a Kiev e teatralizza lo scontro tra la Russia e la comunità occidentale fedele agli Usa. Così, tra una censura e un’altra, qualche ridicola lista di proscrizione e una serie di campagne di propaganda che affossano qualsiasi tipo di soluzione o proposta alternativa alla prosecuzione del conflitto, la comunicazione mainstream filogovernativa (a pari passo con i suoi social network) continua a parlare di una “possibile vittoria di Zelensky” omettendo la rappresentazione realistica dei fatti avvenuti sul campo. E se sopra l’Italia indebitata (ma, si badi bene, solo sul paese reale) sta piovendo sul bagnato, a Parigi, Madrid e Berlino è probabile che stiano smettendo di ridere.

 

           MARCO GIULIANI

 

 

 

 

FONTI, BIBLIOGRAFIA & SITOGRAFIA

 

Avvenire del 29 giugno 2022 –

Eurostat (rilievi), dati raccolti il 17 giugno 2022 –

Televideo Rai del 29/06/2022, pp.150-180 –

www.agenparl.eu, pagina del 31 maggio 2022 –

www.agi.it, pagina del 28 giugno 2022 –

www.ilpost.it, pagina del 17 marzo 2022 –