BUONI E CATTIVI, di Marco Giuliani
BUONI E CATTIVI
Analogie tra l’attacco Nato del 1999 alla Serbia e la guerra russo-ucraina del 2022
Il luogo comune con cui si dice che il “fine giustifica i mezzi”, qui da noi, in Italia, sembra acquistare una valenza solo se si distingue chi sta compiendo cosa. In questo primo semestre del 2022, critici, analisti e media hanno riproposto più volte alcuni parallelismi tra la guerra del Kosovo degli anni Novanta e l’attacco russo all’Ucraina, omettendo però, molto spesso, di aggiungere che i due casus belli hanno molti punti in comune, se non altro dal punto di vista contestuale e geopolitico. Ma soprattutto, hanno usato due pesi e due misure, pretendendo (stupidamente) di stabilire chi fosse nel giusto e chi no. Premesso che la guerra è sempre un evento negativo, ci si chiede: se la Nato fu dalla parte del giusto (evidentemente qualcuno ha ritenuto che le bombe atlantiche fossero democratiche) poiché nella ex Jugoslavia era in corso un genocidio, perché Mosca, che in fin dei conti ha stoppato le barbarie subite dai russi ucrainofoni, viene annoverata tra i cattivi e tacciata di imperialismo? Cerchiamo di decifrarne i motivi, di valutare le menzogne di certa informazione e di riflettere sui perché.
Già dall’inizio degli anni Novanta, nella ex Jugoslavia appena smembrata e divisa nei sei stati che in precedenza le attribuivano un ordinamento federativo, si manifestano gravi tensioni etniche e un crescente nazionalismo che determina da un lato la volontà di proteggere la propria autonomia e dall’altro il desiderio di mantenere la centralizzazione del potere nelle mani di Belgrado. Nella vecchia federazione crescono i separatismi (arriveranno a interessare la vicina Albania) e così anche le tensioni; la situazione peggiore la vive il Kosovo, provincia autonoma, in cui sono presenti minoranze serbe e albanesi. Gli scontri tra fazioni, anche per motivi religiosi, si moltiplicano e la repressione delle autorità serbe nei confronti dei cittadini di origine kosovara si fa sempre più dura, facendo presupporre la messa in atto di una vera e propria pulizia etnica. Balza alle cronache il massacro di Račak del 15 gennaio 1999, quando un gruppo di contadini albanesi viene catturato e massacrato a sangue freddo durante un rastrellamento. Le violenze degenerano, e la comunità internazionale legata al Patto Atlantico decide che il tempo delle mediazioni diplomatiche si è esaurito. Di lì, i raid Nato sugli obiettivi serbi, stante la variabile con cui gli Usa annunciano che “nell’area, in ballo anche gli interessi atlantici”. Nel XX secolo, uno scenario visto e rivisto decine di volte.
Come nell’Est ucraino, dove da prima del 2014 i nazionalisti e i neonazisti paramilitari (con l’assenso, e talvolta l’appoggio del governo di Kiev) stanno perpetrando una serie di spedizioni punitive contro le minoranze russe, anche nella deposta federazione jugoslava fu guerra civile. Il parallelismo e le allitterazioni tra le due condizioni geopolitiche – Kosovo e Donbass – si rivelano dunque più che attendibili, se non palesi. Anche allora, come oggi, l’Onu e l’Ocse hanno inviato sul posto i loro osservatori, i quali altro non hanno potuto fare che dichiarare lo stato di emergenza per il susseguirsi di massacri indiscriminati e di crimini di guerra verso i civili. E come più di vent’anni fa in Kosovo, anche in Donbass le migliaia di rifugiati e di sfollati hanno peggiorato una crisi umanitaria già di per sé drammatica e resa ancor più cruenta dalla diretta responsabilità dei rispettivi governi. Da notare che i numeri delle vittime stimate sono molto simili: tra le 10.000 e le 14.000 nel Kosovo, tra le 14.000 e le 15.000 quelle nel Donbass. Ricapitolando: la Nato (compresa l’Italia, che fornì anche le sue basi) bombarda la Serbia e la Russia attacca gli ucraini. La Nato interviene – secondo la logica filo-occidentale – per motivi umanitari. La Russia, invece, sempre secondo la logica filo-occidentale, attacca solo per espandere i suoi confini. Congettura non plausibile, visto che gli ucraini, oltre a sparare addosso ai civili del Donbass da almeno 8 anni, da ben prima del febbraio 2022 ricevono armi e personale d’addestramento dalla Nato. In hoc signo vinces, dunque. Ci sono buoni e cattivi? Tra le due cause, qual è la differenza tra lo scopo militare e la motivazione da cui si è generato il conflitto? Non pervenuta. Inoltre, e ce lo chiediamo ancora una volta (come ormai la maggioranza degli italiani): il copioso e incessante invio di armi al regime di Kiev, servirà a creare i presupposti per una pace duratura? I fatti dicono di no. Anche perché il cerchio nel Donbass si è quasi chiuso.
BIBLIOGRAFIA & SITOGRAFIA
www.ansamed.info /serbia23
Giardina-Sabbatucci-Vidotti, L’età contemporanea, Roma/Bari, Laterza, 2000 –
Wayback machine, da web.archive.org, 23 maggio 2001 –