GLI STATI UNITI, L’UNIONE EUROPEA E LA GUERRA RUSSO-UCRAINA. a cura di Luigi Longo

GLI STATI UNITI, L’UNIONE EUROPEA E LA GUERRA RUSSO-UCRAINA.

a cura di Luigi Longo

Suggerisco la lettura di tre scritti: il primo scritto riguarda l’intervista all’analista geopolitico russo Leonid Savin apparso sul sito www.comedonchisciotte.org del 24/3/2022 con il titolo In Ucraina laboratori biologici americani. L’obiettivo era la Russia; il secondo scritto concerne l’articolo di Thierry Meyssan con il titolo Ucraina: la grande manipolazione pubblicato sul sito www.voltairenet.org del 22/3/2022; il terzo scritto attiene al saggio di Jacques Baud con il titolo La guerra Russia-Ucraina visto da un ex NATO presentato sul sito www.startmag.it del 20/3/2022 e in precedenza sul sito di Giuseppe Gagliano https://centrostudistrategicicarlodecristoforis.wordpress.com/2022/03/17/la-questione-ucraina-nella-analisi-di-jacques-baud-servizi-segreti-svizzeri/?fbclid=IwAR1EaxLvsPzberetDfh5Sb4HAWR99CVRIYtE_vyreRHzZZh6cx5ncr966U8e sul nostro blog.

Del primo scritto mi interessa evidenziare la presenza in Ucraina dei laboratori biologici statunitensi che conferma l’uso delle armi batteriologiche da parte degli USA nel conflitto multicentrico contro la Cina e la Russia.

Del secondo scritto mi interessa sottolineare la grande manipolazione, da parte dell’Occidente (USA e UE), delle ragioni della guerra russo-ucraina sui diversi fronti: la guerra reale, la guerra diplomatica, la guerra economica e finanziaria, la guerra ideologica.

Del terzo scritto mi interessa rimarcare la ricostruzione delle dinamiche che hanno indotto la Russia ad intervenire in Ucraina con le armi, sia per difendere la propria sicurezza e la propria autonomia, che la strategia USA, tramite l’allargamento della NATO mette in pericolo, sia per proteggere le popolazioni dalla repressione del governo ucraino delle regioni delle repubbliche popolari separatiste del Donetsk e Lugansk; repressione iniziata nel 2014 contro le regioni di lingua russa (Odessa, Dnepropetrovsk, Kharkov, Luhansk e Donetsk) che condusse ad una militarizzazione del contesto e ad alcuni massacri (a Odessa e Mariupol, i più importanti).

Mi interessa anche mettere in luce, perché fa capire la strategia russa, il diverso approccio dell’uso della guerra: per gli occidentali la guerra inizia quando la politica si ferma. Tuttavia, l’approccio russo segue un’ispirazione clausewitziana: la guerra è la continuità della politica e si può passare in modo fluido dall’una all’altra, anche nel corso dei combattimenti. Questo crea pressione sull’avversario e lo spinge a negoziare.

E’ un saggio stimolante anche se non inquadra bene il ruolo degli Stati Uniti come fautori, tramite i loro strumenti NATO e UE, dell’aggressione alla Russia per bloccare il coordinamento (che si sta configurando sempre di più) tra Cina e Russia, potenze in ascesa fondanti il polo Eurasia in grado di mettere in discussione il mondo monocentrico a immagine e somiglianza statunitense.

In conclusione sono tre scritti che danno da diverse angolature una interpretazione della realtà molto vicina alla verità.

In calce è compreso il saggio di Jaques Baud già pubblicato su questo sito il 19 marzo scorso http://italiaeilmondo.com/2022/03/19/la-questione-ucraina-nella-analisi-di-jacques-baud-servizi-segreti-svizzeri-a-cura-di-giuseppe-gagliano/

 

 

 

 

L’ANALISTA GEOPOLITICO SAVIN: “IN UCRAINA LABORATORI BIOLOGICI AMERICANI. L’OBIETTIVO ERA LA RUSSIA”

 

Intervista di Costantino Ceoldo al caporedattore di Geopolitica.ru e fondatore del Journal of Eurasian Affairs: “L’Italia svolge attività ostili contro di noi, il vostro business qui non sarà più lo stesso

 

L’azione militare russa in Ucraina è una cosa che le élite occidentali hanno bramato per molto tempo, guardando ad una eventuale sconfitta della Russia come l’anticamera della sua sottomissione e dissoluzione, anticipatorie del destino della Cina.

L’Occidente, mondo che si sta perdendo nella decadenza LGBT, nel gender, nelle assurde politiche identitarie, guadagnerebbe dalla definitiva sconfitta russa un nuovo “momento unipolare” senza data di scadenza, in cui prospererebbero perversione, schiavitù e bispensiero: alla fin fine, a soccombere sarebbe l’intera umanità, assoggettata all’orrido Nuovo Ordine Mondiale di Davos e del suo grande sacerdote, Klaus Schwab.

In sostanza, siamo di fronte ad una resa dei conti in cui la propaganda ufficiale occidentale presenta le decisioni russe come un gigantesco salto nel vuoto, dovuto alla follia criminale di Vladimir Putin e perciò destinato al fallimento.

Sanzioni economiche di una intensità mai vista, un continuo e totale fuoco di sbarramento mediatico e l’apatia dell’opinione pubblica occidentale (anche Italiana) già stancata da due anni di isteria pandemica, tutto ciò ha permesso di elevare ad esempio di governante modello un ex attore mediocre, Volodymyr Zelens’kyj, uso più che altro a ruoli di scarso valore. Il governo di Kiev, istigato continuamente da Washington, ha potuto così nascondere le sue enormi responsabilità nella crisi attuale, responsabilità che non sono recenti e risalgono a prima del colpo di Stato del 2014. Perfino i nazisti del battaglione Azov hanno tratto un vantaggio da questa situazione e, anzi, l’opinione pubblica occidentale dovrebbe guardare ad essi con l’affettuosa comprensione che si riserva a ragazzotti rudi ma sinceri, un po’ bifolchi ma solidi ed affidabili.

La Russia ha chiaramente un’altra visione della questione ed ha evidentemente accettato la sfida con la determinazione di chi si è preparato a lungo all’inevitabile.

Leonid Savin, analista e scienziato politico russo, ha acconsentito di rispondere ad alcune domande: e le sue risposte permettono di capire il punto di vista russo meglio di quanto non lo permetta la stampa occidentale e la stessa stampa Italiana.

 

Perché la Russia ha invaso l’Ucraina? Cosa voleva e cosa vuole ottenere con questa azione militare?

 

In breve, [l’invasione] è stata fatta a causa dell’aumento della minaccia esistenziale alla Russia stessa – dalla retorica aggressiva ai fatti reali. I laboratori di armi biologiche del Pentagono erano già dispiegati in Ucraina così come le unità paramilitari neonaziste che hanno bombardato le città del Donbass negli ultimi 8 anni. La Russia ha cercato di attirare l’attenzione su questo problema per molti anni (inclusa la mediazione per l’accordo di Minsk) e l’ultimo tentativo è stato nel dicembre 2021, quando Mosca ha detto che se la linea rossa fosse stata superata, ci sarebbe stata una risposta tecnico-militare certa. USA e NATO non erano d’accordo per le proposte russe ed era stato pianificato un enorme attacco militare delle forze ucraine nel Donbass. La Russia ha seguito un’azione di difesa preventiva.

 

I nazisti esistono, ancora e purtroppo, in tutte le parti del mondo. Perché quelli in Ucraina sono così importanti?

 

Il caso ucraino è molto specifico, perché durante la seconda guerra mondiale molti abitanti dell’Ucraina sovietica furono uccisi, torturati e perseguitati dalle truppe naziste tedesche. C’era un gran numero di collaborazionisti che sostenevano il nazismo tedesco e servivano come polizei – i loro discendenti hanno affermato di sostenere l’indipendenza dell’Ucraina, non la Germania nazista. Questo mito è stato ampiamente diffuso in Ucraina dal 1991 e dopo la prima rivoluzione colorata nel 2005, quando il candidato presidenziale filo-occidentale Victor Yushenko è salito al potere, il processo di glorificazione dei collaboratori nazisti di origine ucraina è stato avviato a livello statale. È stato sostenuto e promosso da organizzazioni e fondi occidentali, principalmente dagli Stati Uniti e dal Canada. C’è bisogno di ricordare che alcuni politici contemporanei negli Stati Uniti e in Canada (ad esempio Paula Jon Dobriansky) sono figli di nazionalisti ucraini e collaborazionisti nazisti.

 

Secondo lei, il governo russo ritiene ci sia un collegamento tra i laboratori biologici americani in Ucraina e l’epidemia di Covid che ha colpito il mondo? Se sì: perché?

 

Ci sono documenti trapelati da questi laboratori e resi pubblici in cui vi si parla esperimenti interessanti – pipistrelli e uccelli considerati come vettori di malattie pericolose e rotte migratorie indicavano che la Russia era stata usata come bersaglio. A proposito, alcuni pipistrelli con le etichette di tali laboratori sono già stati trovati nelle città russe vicino al confine con l’Ucraina. Personalmente penso che ci siano stati tentativi di sviluppare qualcosa di più pericoloso e serio del Covid.

 

L’Occidente ha risposto alla decisione russa imponendo un numero sorprendente di sanzioni. Come è la situazione sociale ed economica in Russia ora?

 

Non è stata una sorpresa. È dal 2014 che la Russia è sotto le sanzioni imposte dall’Occidente e il nostro primo ministro, Mikhail Mishustin, ha già detto che la Russia è pronta alle pressioni. Possiamo vedere una certa volatilità della valuta nazionale proprio ora, ma sembra che il rublo si stabilizzi. Inoltre abbiamo alcuni limiti come i viaggi all’estero perché alcune compagnie aeree hanno cancellato voli e [ci sono] interruzioni temporanee alle forniture. Ma in generale la situazione è normale, non ci sono scioperi per fame, si può trovare cibo nei negozi, i prezzi dei carburanti non crescono.

 

Perché circa metà delle riserve auree della Banca Centrale russa erano all’estero, potenzialmente bloccabili dai governi occidentali, come effettivamente è accaduto?

 

Era l’inerzia dell’agenda filo-occidentale: mantenere le riserve russe all’estero. Ma ora Mosca sarà più saggia. Comunque penso che tutte le riserve saranno sbloccate in futuro, perché le contro-sanzioni russe sono efficaci e porteranno, in futuro, più problemi all’Occidente.

 

Quali sono gli alleati più affidabili della Russia in questi giorni?

 

Bielorussia, Cina, Nicaragua, Cuba, Venezuela, Iran, Pakistan, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Pakistan appartengono ai molti che non sono favorevoli alle sanzioni occidentali e non vedono l’ora di collaborare. Naturalmente Kazakistan, Kyrgizstan e Armenia (membri dell’Unione Economica Eurasiatica insieme a Bielorussia e Russia). Ma anche per lo più tutti i paesi africani, il blocco dell’ASEAN (aspettatevi Singapore), i paesi dell’America Latina sono neutrali. Anche la Turchia (membro della NATO).

 

Un’ultima domanda, che coinvolge l’Italia. Come sono ora i rapporti diplomatici con il nostro Paese e, secondo lei, come potranno evolvere in futuro?

 

L’Italia è nell’elenco ufficiale dei paesi che svolgono attività ostili contro la Russia. Quindi, come per altri, ci sarà l’impatto delle misure russe anche sull’Italia. Molto dipende dai prossimi passi dell’Unione Europea e del governo italiano. Mosca guarda con grande attenzione agli attori che ora gestiscono la politica anti-russa. Anche dopo la normalizzazione delle relazioni ci saranno altre regole del gioco e il business italiano non funzionerà in Russia alle stesse condizioni di prima

 

 

UCRAINA: LA GRANDE MANIPOLAZIONE

di Thierry Meyssan

 

Mentre si moltiplicano le rivelazioni sulle violenze commesse negli ultimi otto anni dai banderisti ucraini, gli Occidentali insistono a vedere solo la sofferenza della popolazione civile ucraina. In Occidente le opinioni pubbliche ignorano le cause profonde della guerra, nonché i fatti che hanno indotto il Cremlino a scatenarla. Poco importa, i banderisti stanno per essere sconfitti e le grandi potenze preparano la pace.

Le operazioni militari in Ucraina vanno avanti: i media occidentali e quelli russi le raccontano in modi radicalmente differenti. Due resoconti che divergono non soltanto nella descrizione della guerra, ma anche, e soprattutto, nella descrizione dei suoi obiettivi.

In Occidente la gente è convinta che l’esercito russo abbia problemi logistici enormi e che gli manchi il carburante per i carri armati; che gli aerei colpiscano indiscriminatamente obiettivi militari e civili, distruggendo intere città; che il dittatore Putin non desisterà finché non avrà schiacciato Kiev e ucciso il presidente Zelensky. In Occidente sono altresì convinti che il presidente russo voglia punire l’Ucraina per aver scelto nel 2014 la democrazia invece della ricostituzione dell’Unione Sovietica. Per questa ragione semina morte e desolazione fra la popolazione civile, mentre i suoi soldati vengono uccisi in gran numero.

In Russia si crede invece che i combattimenti siano limitati a zone precise: il Donbass, la costa del Mar di Azov, nonché obiettivi militari sparsi sull’intero territorio; ovviamente si crede ci siano perdite, ma che non si tratti di un’ecatombe. La gente constata con stupore che gli ex alleati della Grande Guerra Patriottica (la seconda guerra mondiale) sostengono i banderisti, ossia i neonazisti ucraini. Ed è anche consapevole che il ripristino della pace è subordinato alla completa neutralizzazione di costoro.

Sullo sfondo, la guerra economica e finanziaria lanciata dall’Occidente contro la Russia. Molte aziende occidentali lasciano il Paese, subito sostituite da altre di Paesi che non partecipano alla guerra. Per esempio, i McDonald sono stati sostituiti dalla catena turca Chitik Chicken, mentre gli Emirati Arabi Uniti hanno accolto gli oligarchi cacciati dall’Europa. La Cina e la Comunità Economica Euroasiatica stanno pianificando un sistema economico e finanziario parallelo a quello di Bretton Woods. In altre parole, il mondo si sta dividendo in due.

Chi racconta la verità?

 

LA GUERRA PROPRIAMENTE DETTA

 

Secondo gli osservatori dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) – il forum intergovernativo istituito con gli Accordi di Helsinki (1973-1975) – la situazione sul fronte del Donbass era stazionaria da diversi mesi quando, mercoledì 16 febbraio 2022, sono ripresi i bombardamenti, culminati nelle 1.400 esplosioni udite venerdì 18 febbraio. I governi locali di Donetsk e Lugansk hanno fatto arretrare oltre centomila persone per proteggerle dal diluvio di fuoco.

La sera del 18 febbraio iniziava la riunione annuale delle élite della Nato, la “Conferenza per la Sicurezza di Monaco”. Uno degli ospiti di spicco, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, il 19 febbraio prendeva la parola per dichiarare che l’Ucraina voleva dotarsi di armi nucleari per far fronte alla Russia. Il 20 febbraio la Duma in fermento votava una mozione in cui chiedeva al presidente Putin di riconoscere l’indipendenza delle due repubbliche del Donbass. Putin lo faceva in gran fretta la sera del 21 febbraio: al Cremlino non c’erano nemmeno le bandiere delle due nuove nazioni.

Il 24 febbraio iniziava l’operazione militare russa, dapprima con un bombardamento massiccio dei sistemi di difesa antiaerea, poi con i bombardamenti delle fabbriche d’armi e delle caserme dei banderisti (i neonazisti ucraini). La strategia militare russa era stata improvvisata, così come lo era stato il riconoscimento diplomatico delle repubbliche del Donbass. Infatti sono state utilizzate truppe già stanche per le manovre appena concluse in Bielorussia.

La Casa Bianca e la stampa occidentale, ignorando la guerra del Donbass e le dichiarazioni a Monaco del presidente Zelensky, hanno invece affermato che l’offensiva era in preparazione da molto tempo e che le truppe russe erano state posizionate in anticipo. Il dittatore non poteva accettare la scelta per la democrazia degli ucraini, che voleva perciò costringere a rientrare nell’Impero, come nel 1968 Leonid Breznev aveva fatto con la Cecoslovacchia. Un’interpretazione dei fatti che ha diffuso il panico nei Paesi membri dell’ex Patto di Varsavia e dell’ex Unione Sovietica, dimentica peraltro che Breznev non era russo, ma ucraino.

Da quel momento, applicando la tecnica messa a punto da Jamie Shea durante la guerra del Kosovo, la Nato ogni giorno scrive una nuova storia di grande effetto sui crimini della Russia: dal bombardamento irresponsabile di una centrale nucleare alla frontiera russa, fino all’aneddoto commovente del giovane che raggiunge da solo la liberà, attraversando l’Europa fino a Berlino. Cose ridicole ma suscettibili di sconvolgere, ampiamente riprese dai media occidentali, senza alcuna verifica né spirito critico.

 

LA GUERRA DIPLOMATICA

 

Siccome le cose si mettevano male per l’esercito ucraino e gli ausiliari banderisti (o neonazisti, secondo la terminologia russa), sin dal secondo giorno di guerra il presidente Zelensky ha sollecitato l’ambasciata di Cina a Kiev a trasmettere al Cremlino una richiesta di negoziazione. Gli Stati Uniti dapprima si sono opposti, poi hanno lasciato fare. Francia e Germania hanno preso le prime iniziative, poi però sono state sostituite da Turchia e Israele. Un fatto scontato, dal momento che Francia e Germania sono venute meno alle responsabilità assunte quali garanti degli Accordi di Minsk: hanno permesso il massacro da parte di Kiev di un numero di persone che oscilla da 13 a 22 mila. La Turchia invece ha sì appoggiato i tatari ucraini, ma senza compiere azioni in Ucraina, mentre Israele ha bruscamente realizzato il pericolo rappresentato dai banderisti (ossia neonazisti), che il proprio ambasciatore aveva a suo tempo denunciato come reale.

I negoziati proseguivano bene, nonostante l’assassinio da parte dei banderisti ucraini di un delegato del loro Paese, il banchiere Danis Kireev, colpevole ai loro occhi di aver affermato che ucraini e russi sono fratelli slavi; e nonostante la trovata del ministro degli Esteri francese, Jean-Yves Le Drian, che imprudentemente e con poco tatto ha rammentato che la Francia è una potenza nucleare, provocando così la messa in allerta nucleare della Russia.

È difficile immaginare la conclusione di questi negoziati. L’Ucraina, che ha integrato nelle Forze di Difesa Territoriali 102 mila banderisti, potrebbe essere disarmata e messa sotto la protezione di Stati Uniti e Regno Unito (vale a dire di fatto della Nato). In questo modo si rispetterebbero i trattati, in particolare le Dichiarazioni di Istanbul (1999) e di Astana (2010). L’Ucraina avrebbe così diritto a scegliere i propri alleati ma non a ospitare armi straniere sul proprio territorio. Potrebbe quindi firmare accordi per la propria difesa, ma non far parte di un comando integrato. È una posizione molto gollista: Charles De Gaulle aveva mantenuto l’adesione della Francia all’Organizzazione del Trattato del Nord-Atlantico, ma aveva ritirato le forze armate francesi dal comando integrato e mandato via i soldati statunitensi dal territorio francese.

La Russia dovrebbe occupare in modo permanente, forse annettere, la costa del Mar di Azov (compresa Mariupol), in modo da collegare la Crimea al Donbas. Inoltre dovrebbe occupare, forse annettere, il canale della Crimea del Nord, che fornisce acqua potabile alla penisola. Infine potrebbe occupare, forse annettere, la costa del Mar Nero (compresa Odessa), in modo da congiungere la Crimea alla Transnistria. La minoranza ungherese, anch’essa vittima dei banderisti che hanno chiuso le sue scuole, potrebbe essere annessa all’Ungheria. Tuttavia la scelta migliore non è mai foriera di bene: la privazione dell’Ucraina dell’accesso al mare potrebbe essere causa di futuri conflitti.

Unica cosa sicura: la Russia proseguirà l’azione militare fino alla neutralizzazione di tutti i bandieristi e, limitatamente a questo, avrà il sostegno di Israele. Da questo punto di vista l’incontro che il presidente Putin ha convocato a Mosca «contro i nazisti» non è semplicemente un mostrare determinazione a beneficio dell’opinione pubblica russa: è già un proclama di vittoria. Tutti i monumenti innalzati a Stepan Bandera e ai nazisti dovranno essere distrutti. Le altre nazioni che hanno sostenuto i neonazisti, in particolare la Lettonia, dovranno prenderne atto.

 

LA GUERRA ECONOMICA E FINANZIARIA

 

È su questo piano che gli Stati Uniti si giocano tutto. Sono riusciti in pochi giorni a far prendere misure unilaterali, quindi illegittime per il diritto internazionale, a tutti gli alleati. Ma queste misure, denominate sanzioni, benché non derivanti da un tribunale, non sono sostenibili a medio termine. Già ora hanno scatenato una speculazione sfrenata sull’energia e un immediato rialzo dei prezzi in Europa. Le grandi imprese europee lasciano la Russia a malincuore: al Cremlino dicono di non avere scelta, ma sperano di tornare al più presto.

Il presidente Putin incolpa i liberali, accusati ancora recentemente di essersi venduti all’estero. L’ex presidente Dmitri Medvedev è tornato in auge. La direttrice della Banca centrale russa, Elvira Nabiullina, prescelta nel periodo idilliaco con l’Occidente, è stata presentata alla Duma per succedere a se stessa; ora però sarà affiancata da altre personalità. A Sergei Glazyev, il cui nome è associato al periodo delle privatizzazioni dell’era Yeltsin, è stata affidata la creazione di un nuovo sistema economico e finanziario alternativo a quello di Bretton Woods, concepito dagli anglosassoni nel 1944.
Tutto è loro perdonato, purché garantiscano ai cinesi e alla Comunità Economica Euroasiatica (Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Russia e Tagikistan) che non saranno statalisti.

 

LA GUERRA IDEOLOGICA

 

La pace in Ucraina non risolverà il conflitto tra Russia e Stati Uniti aperto il 17 dicembre 2021. Esso si protrarrà su altri fronti. Gli Straussiani intendono usare sul piano globale i temi religiosi di cui hanno usato e abusato per attaccare la Russia in Bosnia-Erzegovina, Afghanistan, Cecenia e Medio Oriente Allargato.

Ricordiamoci che l’orientalista straussiano Bernard Lewis (ex agente dei servizi segreti britannici, poi membro del Consiglio di Sicurezza Nazionale USA, infine consigliere di Benjamin Netanyahu) aveva concepito uno strumento per mobilitare gli arabi, invece degli Occidentali, contro i russi. È la strategia dello «scontro di civiltà». Aveva inculcato ai credenti mussulmani la convinzione che in Afghanistan dovevano battersi contro gli atei sovietici. È questa la visione cui si ispirarono gli arabi-afghani di Osama Bin Laden. La stessa strategia è stata usata con successo in Bosnia-Erzegovina e in Cecenia. In Afghanistan la NATO si è appoggiata all’esercito saudita e ai Guardiani della Rivoluzione iraniani, nonché su alcuni elementi dello Hezbollah libanese. Uno straussiano, Richard Perle, è persino diventato consigliere diplomatico del presidente bosniaco Alija Izetbegovic, di cui Osama Bin Laden era consigliere militare. In seguito, nella seconda guerra di Cecenia, gli Straussiani organizzarono l’alleanza tra banderisti ucraini e islamisti ceceni (Congresso di Ternopol, 2007), logisticamente sostenuti dalla Milli Görüş, all’epoca diretta da Recep Tayyip Erdoğan. Tutti hanno combattuto fianco a fianco per l’Emirato Islamico di Ichkeria (Cecenia). Infine la strategia di Bernard Lewis fu resa popolare dal suo assistente, Samuel Huntington, che non la presentò più come piano militare, ma come fatalità atta a spiegare gli attentati dell’11 settembre 2001 quale esito della mentalità dei mussulmani in generale.

Già da quattro anni gli Straussiani hanno deciso di riaprire lo scisma che nell’XI secolo separò i cattolici dagli ortodossi: niente può fermare chi combatte nel convincimento di servire Dio. Dapprima si sono spesi per far scindere la Chiesa ortodossa ucraina dal patriarcato di Mosca. Ci sono riusciti grazie all’aiuto della Turchia, che ha fatto pressioni sul patriarca di Costantinopoli. Adesso intendono rinfocolare le passioni religiose riesumando le profezie di Fatima. Nel 1917, subito dopo la Rivoluzione russa, la Vergine Maria apparve a dei veggenti portoghesi, cui affidò diversi messaggi, uno dei quali d’implicita denuncia del rovesciamento dello zar, sovrano per diritto divino. La Russia era la nazione che aveva scelto il Male e voleva diffonderlo.
Il consigliere per la Sicurezza nazionale degli Stati Uniti, Jake Sullivan, si è quindi recato a Roma per un incontro con la Cina, in realtà per convincere papa Francesco. Vi è riuscito.

È stato fissato un calendario. Il presidente Zelensky si rivolgerà al parlamento francese; indi il presidente Biden verrà in Europa per presiedere un vertice straordinario della NATO; infine papa Francesco, esaudendo la richiesta della Vergine Maria a Fatima, consacrerà l’Ucraina e la Russia al Cuore immacolato della Vergine. Può sembrare una messinscena artificiosa, ma questa successione di avvenimenti dovrebbe avere un impatto emotivo potente. Per molti cattolici combattere la Russia diventerà un dovere religioso.

 

CONCLUSIONE

 

Nelle prossime settimane il presidente Joe Biden dovrebbe cimentarsi in una nuova narrazione, con l’intento di presentare la pace in Ucraina come vittoria del buonsenso. Poco importa che gli ucraini abbiano giocato e perso. Poco importa che i banderisti siano fatti prigionieri o siano morti. Poco importa che l’Ucraina perda l’accesso al mare. Gli alleati saranno indotti ad aumentare le spese militari e a pagare con i loro soldi la carneficina.

 

 

LA GUERRA RUSSIA-UCRAINA VISTA DA UN EX NATO

di Jacques Baud

 

Il saggio di Jacques Baud, analista strategico svizzero, Head Small Arms and Light Weapons & Mine Action/Political Affairs and Security Policy Division/Nato (Brussels) dal 2013 al 2017.

 

I referendum condotti dalle due repubbliche autoproclamate di Donetsk e di Lugansk nel maggio 2014 non sono stati referendum di “indipendenza” (независимость), come sostenuto da alcuni giornalisti poco scrupolosi, ma referendum di “autodeterminazione” o di “autonomia”. L’aggettivo “filo-russo” suggerisce che la Russia fosse parte del conflitto, ma non era proprio il caso. Il termine “russofoni” sarebbe stato più onesto. D’altra parte, questi referendum sono stati proposti contro il parere di Vladimir Putin.

In realtà, queste repubbliche non hanno cercato di separarsi dall’Ucraina, ma di acquisire uno status di autonomia che garantisca loro l’uso del russo come lingua ufficiale. Infatti, il primo atto legislativo del nuovo governo formato dopo il rovesciamento del presidente Yanukovych, è stata l’abolizione, il 23 febbraio 2014, della legge Kivalov-Kolesnichenko del 2012 che faceva del russo una lingua ufficiale. Questa decisione provocò una tempesta nella parte di popolazione di lingua russa. Ne seguì una feroce repressione contro le regioni di lingua russa (Odessa, Dnepropetrovsk, Kharkov, Luhansk e Donetsk) fin dal febbraio 2014, che condusse ad una militarizzazione del contesto e ad alcuni massacri (a Odessa e Mariupol, i più importanti). Alla fine dell’estate del 2014, non resta altro che le repubbliche autoproclamate di Donetsk e Luhansk.

In questa fase, troppo rigidi e trincerati dietro ad un approccio dottrinario dell’arte delle operazioni, gli stati maggiori ucraini subiscono il nemico senza riuscire ad imporsi. L’esame dello svolgimento dei combattimenti nel 2014-2016 nel Donbass mostra che lo stato maggiore ucraino ha applicato sistematicamente e meccanicamente gli stessi schemi operativi. Tuttavia, la guerra condotta dagli autonomisti assomiglia molto a ciò che osserviamo nel Sahel: delle operazioni molto mobili effettuate con mezzi leggeri. Con un approccio più flessibile e meno dottrinario, i ribelli sono stati in grado di sfruttare l’inerzia delle forze ucraine per “intrappolarle” ripetutamente.

I ribelli sono armati grazie alle defezioni delle unità ucraine di lingua russa che passano dalla parte dei ribelli. Con il progredire degli insuccessi ucraini, i battaglioni di carri armati, di artiglieria o di contraerea incrementano i ranghi degli autonomisti. È questo ciò che spinge gli ucraini ad impegnarsi negli accordi di Minsk.

Ma, subito dopo aver firmato gli accordi di Minsk 1, il presidente ucraino Petro Poroshenko lancia una vasta operazione antiterrorismo (ATO / Антитерористична операція) contro il Donbass. Bis repetita placent: consigliati male dagli ufficiali della Nato, gli ucraini subiscono una sconfitta schiacciante a Debaltsevo che li costringe ad impegnarsi negli Accordi di Minsk 2.

È essenziale ricordare qui che gli accordi di Minsk 1 (settembre 2014) e Minsk 2 (febbraio 2015), non prevedevano né la separazione, né l’indipendenza delle repubbliche, ma la loro autonomia nel quadro dell’Ucraina. In queste accordi è scritto esplicitamente che lo status delle repubbliche doveva essere negoziato tra Kiev e i rappresentanti delle repubbliche, per una soluzione interna all’Ucraina.

Ecco perché dal 2014, la Russia ha sistematicamente chiesto la loro applicazione rifiutando di essere parte nei negoziati, perché era una questione interna all’Ucraina. D’altra parte, l’Occidente – guidato dalla Francia – ha rigorosamente cercato di sostituire gli accordi di Minsk con il “formato Normandia”, che portava russi e ucraini faccia a faccia. Tuttavia, ricordiamoci che non ci sono mai state truppe russe nel Donbass prima del 23-24 febbraio 2022. D’altra parte, nemmeno gli osservatori dell’Osce hanno mai osservato la minima traccia di unità russe operative nel Donbass. Allo stesso modo, la mappa dell’intelligence americana pubblicata dal Washington Post il 3 dicembre 2021 non mostra truppe russe nel Donbass.

Nell’ottobre 2015, Vasyl Hrytsak, direttore del Servizio di sicurezza dell’Ucraina (SBU), ha confessato che solo 56 combattenti russi erano stati osservati nel Donbass. L’esercito ucraino era allora in uno stato deplorevole. Nell’ottobre 2018, dopo quattro anni di guerra, il capo della Procura Militare ucraina Anatoly Matios dichiarava che l’Ucraina aveva perso 2.700 uomini nel Donbass: 891 per malattie, 318 per incidenti stradali, 177 per altri incidenti, 175 per avvelenamenti (alcol, droghe), 172 per manipolazione imprudente di armi, 101 per violazioni di regole di sicurezza, 228 per omicidio e 615 suicidi.

In effetti, l’esercito è minato dalla corruzione dei suoi quadri e non gode più del sostegno della popolazione. Secondo un rapporto del ministero degli Interni del Regno Unito, in occasione del richiamo dei riservisti nel marzo-aprile 2014, il 70% non si è presentato per la prima sessione, l’80% per la seconda, il 90% per la terza e il 95% per la quarta. Nell’ottobre/novembre 2017, il 70% dei soldati di leva non si è presentato alla campagna di richiamo “Autunno 2017”. Per non parlare dei suicidi e delle diserzioni (queste spesso a beneficio degli autonomisti) che raggiungono fino al 30% delle forze nella cosiddetta area di Anti-Terrorist Operation. I giovani ucraini si rifiutano di andare a combattere nel Donbass e preferiscono l’emigrazione, il che spiega anche, almeno parzialmente, il deficit demografico del paese.

Il ministero della Difesa ucraino si rivolge allora alla Nato per farsi aiutare a rendere le proprie forze armate più “attraenti”. Ma ciò richiede tempi molto lunghi e proprio per questo il governo ucraino ha fatto ricorso a milizie paramilitari per compensare la mancanza di soldati. Esse sono soprattutto composte da mercenari stranieri, spesso attivisti di estrema destra. Nel 2020, esse costituivano circa il 40% delle forze ucraine e contavano circa 102.000 uomini, secondo Reuters. Sono armate, finanziate e addestrate dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna, dal Canada e dalla Francia. Vi sono rappresentate più di 19 nazionalità, tra le quali quella svizzera.

I paesi occidentali hanno quindi chiaramente creato e sostenuto le milizie ucraine di estrema destra. Nell’ottobre 2021, il Jerusalem Post ha lanciato l’allarme denunciando il progetto Centuria. Queste milizie operano nel Donbass dal 2014, con il sostegno occidentale. Sebbene il termine “nazista” possa essere discusso, resta il fatto che queste milizie sono violente, diffondono un’ideologia nauseante e sono virulentemente antisemite. Il loro antisemitismo è più culturale che politico, motivo per cui il termine “nazista” non è davvero appropriato. Il loro odio per l’ebreo deriva dalle grandi carestie degli anni 1920 e 1930 in Ucraina, derivanti dalla confisca dei raccolti da parte di Stalin per finanziare la modernizzazione dell’Armata Rossa. Tuttavia, questo genocidio – noto in Ucraina come Holodomor – è stato perpetrato dal NKVD (antenato del KGB), i cui livelli dirigenziali superiori erano composti principalmente da ebrei. Ecco perché, oggi, gli estremisti ucraini chiedono a Israele di scusarsi per i crimini del comunismo, come osserva il Jerusalem Post. Siamo quindi ben lontani da una “riscrittura della storia” da parte di Vladimir Putin.

Queste milizie, nate dai gruppi di estrema destra che hanno animato la rivoluzione dell’Euromaidan nel 2014, sono composte da individui fanatici e brutali. La più nota di queste è il reggimento Azov, il cui emblema ricorda quello della 2a Divisione Panzer SS Das Reich, che è oggetto di vera venerazione in Ucraina per aver liberato Kharkov dai sovietici nel 1943, prima di perpetrare in Francia il massacro di Oradour-sur-Glane nel 1944.

Tra le figure famose del reggimento Azov c’era l’oppositore Roman Protassevitch, arrestato nel 2021 dalle autorità bielorusse a seguito del caso del volo RyanAir FR4978. Il riferimento è al dirottamento intenzionale di un aereo di linea da parte di un MiG-29 il 23 maggio 2021 – con l’accordo di Putin, ovviamente – per arrestare Protassevitch, anche se le informazioni ora disponibili non confermano in alcun modo questo scenario.

Protassevitch un “giornalista” innamorato della democrazia. In verità, un’indagine piuttosto illuminante prodotta da una ONG americana nel 2020, metteva in evidenza le attività militanti di estrema destra di Protassevitch. Il complottismo occidentale si mette allora in moto e dei media poco scrupolosi “ripuliscono” la sua biografia. Infine, nel gennaio 2022, viene pubblicato il rapporto dell’ICAO a riprova che, malgrado alcuni errori procedurali, la Bielorussia ha agito in conformità con le regole in vigore e che il MiG-29 è decollato 15 minuti dopo che il pilota RyanAir aveva deciso di atterrare a Minsk. Quindi nessun complotto bielorusso, tanto meno in complicità con Putin. Un altro dettaglio: Protassevitch, crudelmente torturato dalla polizia bielorussa, ora è libero.

La qualifica di “nazista” o “neonazista” data ai paramilitari ucraini è considerata propaganda russa. Forse, ma questa non è l’opinione del Times of Israel, del Simon Wiesenthal Center o del Counterterrorism Center della West Point Academy. Ciò detto, possiamo parlarne perché, nel 2014, la rivista Newsweek sembrava invece associarli invece allo Stato islamico. Dunque, l’Occidente sostiene e continua ad armare le milizie che dal 2014 si sono rese colpevoli di molti crimini contro le popolazioni civili: stupri, torture e massacri. Mentre il governo svizzero è stato molto veloce ad assumere sanzioni contro la Russia, non ne ha adottata alcuna contro l’Ucraina, che massacra la propria popolazione dal 2014. In effetti, chi si batte per difendere i diritti umani in Ucraina ha condannato da lungo tempo le azioni di questi gruppi, ma non è stato seguito dai nostri governi. Questo perché, in realtà, non stiamo cercando di aiutare l’Ucraina, ma piuttosto di combattere la Russia.

L’integrazione di queste forze paramilitari nella Guardia Nazionale non si è in alcun modo accompagnata ad una “denazificazione”, come alcuni pretenderebbero. Tra i tanti esempi, quello delle insegne del Reggimento Azov è edificante.

Molto schematicamente, nel 2022, le forze armate ucraine che combattono l’offensiva russa sono articolate in:
– Esercito, sotto il controllo del ministero della Difesa: è articolato in 3 corpi d’armata e composto da formazioni di manovra (carri armati, artiglieria pesante, missili, ecc.).
– Guardia Nazionale, che dipende dal ministero dell’Interno ed è articolata in 5 comandi territoriali.

La Guardia Nazionale è quindi una forza di difesa territoriale che non fa parte dell’esercito ucraino. Comprende milizie paramilitari, chiamate “battaglioni di volontari” (добровольчі батальйоні), conosciute anche con il nome evocativo di “battaglioni di rappresaglia”, costituiti da fanteria. Principalmente addestrati per il combattimento urbano, ora difendono città come Kharkov, Mariupol, Odessa, Kiev, ecc.

La maggior parte dei servizi non sono più in grado di comprendere la situazione militare in Ucraina. Gli autoproclamati “esperti” che sfilano sui nostri schermi trasmettono instancabilmente le stesse informazioni modulate dall’affermazione che la Russia – e Vladimir Putin – sono irrazionali. Facciamo un passo indietro.

Dal novembre 2021, gli americani non smettono di denunciare la minaccia di un’invasione russa dell’Ucraina. Eppure gli ucraini non sembrano essere d’accordo. Per quale motivo?

Dobbiamo tornare al 24 marzo 2021. Quel giorno, Volodymyr Zelensky emise un decreto per la riconquista della Crimea e iniziò a schierare le sue forze nel sud del paese. Simultaneamente, si svolgono diverse esercitazioni della Nato tra il mar Nero e il mar Baltico, accompagnate da un significativo aumento dei voli di ricognizione lungo il confine russo. La Russia ha poi condotto alcune esercitazioni, al fine di verificare la prontezza operativa delle sue truppe e per dimostrare che stava seguendo l’evoluzione della situazione.

Le acque si calmano fino a ottobre-novembre, con la fine delle esercitazioni ZAPAD 21, i cui movimenti di truppe sono interpretati come un rinforzo in vista di un’offensiva contro l’Ucraina. Eppure anche le autorità ucraine confutano l’idea di preparativi russi per la guerra e Oleksiy Reznikov, ministro della Difesa ucraino, afferma che non c’è stato alcun cambiamento al confine dalla primavera.

In violazione degli accordi di Minsk, l’Ucraina conduce delle operazioni aeree nel Donbass utilizzando droni, con cui effettua almeno un attacco contro un deposito di carburante a Donetsk nell’ottobre 2021. La stampa americana lo nota, ma non quella europea, e nessuno condanna queste incursioni.

Nel febbraio 2022, gli eventi precipitano. Il 7 febbraio, durante la sua visita a Mosca, Emmanuel Macron ribadisce a Vladimir Putin il suo attaccamento agli accordi di Minsk, un impegno che avrebbe ripetuto al termine del suo incontro con Volodymyr Zelensky, il giorno successivo. Ma l’11 febbraio, a Berlino, dopo 9 ore di lavori, si conclude senza un risultato concreto la riunione dei consiglieri politici dei leader del “Formato Normandia”: gli ucraini si rifiutano ancora di attuare gli accordi di Minsk, apparentemente sotto la pressione degli Stati Uniti. Vladimir Putin constata allora che Macron gli ha fatto promesse vane, e che l’Occidente non è pronto a far rispettare gli accordi, come d’altronde è da otto anni.

I preparativi ucraini nell’area di contatto continuano. Il Parlamento russo si allarma e il 15 febbraio chiede a Vladimir Putin di riconoscere l’indipendenza delle repubbliche, cosa che egli rifiuta di fare.

Il 17 febbraio, il presidente Joe Biden annuncia che la Russia avrebbe attaccato l’Ucraina nei giorni successivi. Come fa a saperlo? Dal 16 febbraio, i bombardamenti di artiglieria sulle popolazioni del Donbass sono drammaticamente aumentati, come dimostrano i rapporti quotidiani degli osservatori dell’Osce. Naturalmente, né i media, né l’Unione europea, né la Nato, né alcun governo occidentale reagisce né interviene. Si dirà in seguito che questa è disinformazione russa. Nei fatti, sembra che l’Unione europea e alcuni paesi abbiano deliberatamente ignorato il massacro del popolo del Donbass, sapendo che ciò avrebbe provocato un intervento russo.

Allo stesso tempo, ci sono segnalazioni di atti di sabotaggio nel Donbass. Il 18 gennaio, i combattenti del Donbass hanno intercettato sabotatori equipaggiati con attrezzature di lingua occidentale che tra loro si esprimevano in polacco e cercavano di provocare incidenti chimici a Gorlivka. Potrebbero essere mercenari della CIA costituiti da combattenti ucraini o europei, guidati o “consigliati” dagli americani per compiere azioni di sabotaggio nelle Repubbliche del Donbass.

In effetti, Joe Biden sa già dal 16 febbraio che gli ucraini hanno iniziato a bombardare le popolazioni civili del Donbass, mettendo Vladimir Putin di fronte a una scelta difficile: aiutare militarmente il Donbass, e creare un problema internazionale, o stare a guardare i russofoni del Donbass farsi schiacciare.

Se decide di intervenire, Vladimir Putin può invocare l’obbligo internazionale della “Responsibility To Protect ” (R2P). Ma sa che qualunque sia la sua natura o la sua portata, l’intervento innescherà una pioggia di sanzioni. Pertanto, che il suo intervento sia limitato al Donbass oppure che si spinga oltre per fare pressione sugli Occidentali con riguardo allo status dell’Ucraina, il prezzo da pagare sarà lo stesso. Questo è ciò che spiega nel suo discorso del 21 febbraio.

Quel giorno, accetta la richiesta della Duma e riconosce l’indipendenza delle due repubbliche del Donbass e, subito dopo, firma trattati di amicizia e assistenza con esse.

I bombardamenti dell’artiglieria ucraina sul popolo del Donbass proseguono e il 23 febbraio le due repubbliche chiedono aiuto militare russo. Il 24, Vladimir Putin invoca l’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, che prevede l’assistenza militare nel quadro di un’alleanza difensiva.

Al fine di rendere l’intervento russo totalmente illegale agli occhi dell’opinione pubblica, viene deliberatamente nascosto il fatto che la guerra sia effettivamente iniziata il 16 febbraio. L’esercito ucraino si stava preparando ad attaccare il Donbass già nel 2021, come alcuni servizi di intelligence russi ed europei sapevano bene. Nel suo discorso del 24 febbraio, Vladimir Putin ha esposto i due obiettivi della sua operazione: “smilitarizzare” e “de-nazificare” l’Ucraina. Non si tratta quindi di impadronirsi dell’Ucraina, o addirittura di occuparla, e certamente non di distruggerla.

A partire da quel momento, la visibilità sullo sviluppo dell’operazione è limitata: i russi hanno un’eccellente capacità di mantenere segrete le operazioni (processo OPSEC) e i dettagli della loro pianificazione non sono conosciuti. Certo, abbastanza rapidamente, lo svolgimento delle operazioni consente di capire come gli obiettivi strategici siano stati tradotti sul piano operativo.

– Smilitarizzazione: distruzione a terra dell’aviazione ucraina, dei sistemi di difesa aerea e delle risorse di ricognizione;
– neutralizzazione delle strutture di comando e di intelligence (C3I), nonché delle principali rotte logistiche nella profondità del territorio;
-accerchiamento della maggior parte dell’esercito ucraino ammassato nel sud-est del paese.

– Denazificazione: distruzione o neutralizzazione di battaglioni di volontari che operano nelle città di Odessa, Kharkov e Mariupol, nonché in altre sedi sul territorio.

L’offensiva russa si sta svolgendo in un modo molto “classico”. In primo luogo – come avevano fatto gli israeliani nel 1967 – con la distruzione a terra dell’aviazione nelle primissime ore. Poi, assistiamo a una progressione simultanea su più assi, secondo il principio dell’”acqua che scorre”: si avanza ovunque la resistenza sia debole e si lasciano le città per un secondo momento. A nord, la centrale di Chernobyl è occupata immediatamente per prevenire atti di sabotaggio. Le immagini dei soldati ucraini e russi che monitorano congiuntamente l’impianto non sono mostrate, naturalmente.

L’idea che la Russia stia cercando di impadronirsi di Kiev, la capitale, per eliminare Zelensky, viene tipicamente dagli occidentali: questo è ciò che essi hanno fatto in Afghanistan, Iraq, Libia e ciò che volevano fare in Siria con l’aiuto dello Stato islamico. Ma Vladimir Putin non ha mai avuto intenzione di eliminare o rovesciare Zelensky. Al contrario, la Russia cerca di tenerlo al potere spingendolo a negoziare con l’assedio a Kiev. Lui che si era rifiutato di farlo fino ad ora per attuare gli accordi di Minsk, ma ora i russi vogliono ottenere la neutralità dell’Ucraina.

Molti commentatori occidentali sono rimasti sorpresi dal fatto che i russi abbiano continuato a cercare una soluzione negoziata, mentre conducevano operazioni militari. La spiegazione è nella filosofia strategica russa, fin dai tempi sovietici. Per gli occidentali, la guerra inizia quando la politica si ferma. Tuttavia, l’approccio russo segue un’ispirazione clausewitziana: la guerra è la continuità della politica e si può passare in modo fluido dall’una all’altra, anche nel corso dei combattimenti. Questo crea pressione sull’avversario e lo spinge a negoziare.

Da un punto di vista operativo, l’offensiva russa è stata esemplare: in sei giorni, i russi hanno conquistato un territorio vasto come il Regno Unito, con una velocità di avanzamento superiore a quella che la Wehrmacht aveva raggiunto nel 1940.

La maggior parte dell’esercito ucraino era schierata nel sud del paese per una grande operazione contro il Donbass. Ecco perché le forze russe sono state in grado di circondarla all’inizio di marzo nel “calderone” tra Slavyansk, Kramatorsk e Severodonetsk, con una spinta da est attraverso Kharkov e un’altra da sud dalla Crimea. Le truppe delle repubbliche di Donetsk (DPR) e delle repubbliche di Luhansk (LPR) hanno completato l’azione delle forze russe con una spinta da est.

A questo punto, le forze russe stanno lentamente stringendo la morsa, ma non sono più sotto la pressione del tempo. Il loro obiettivo di smilitarizzazione è quasi raggiunto e le forze ucraine residue non hanno più una struttura di comando operativa e strategica.

Per quanto riguarda le repubbliche del Donbass, esse hanno “liberato” i propri territori e stanno combattendo nella città di Mariupol.

In città come Kharkov, Mariupol e Odessa, la difesa è assicurata da milizie paramilitari. Sanno che l’obiettivo della “denazificazione” è principalmente rivolto a loro.

Per un aggressore in area urbana, i civili rappresentano un problema. Questo è il motivo per cui la Russia sta cercando di creare corridoi umanitari per svuotare le città di civili e lasciare solo le milizie al fine di combatterle più facilmente.

Al contrario, queste milizie cercano di mantenere i civili nelle città per dissuadere l’esercito russo dal venirvi a combattere. Ecco perché sono riluttanti a implementare questi corridoi e fanno di tutto per garantire che gli sforzi russi siano vani: possono così usare la popolazione civile come “scudi umani”. Come è ovvio, i video che mostrano civili che cercano di lasciare Mariupol e vengono picchiati dai combattenti del reggimento Azov sono accuratamente censurati da noi.

Su Facebook, il gruppo Azov era classificato nella stessa categoria dello Stato islamico e soggetto alla “politica della piattaforma su individui e organizzazioni pericolosi”. Era quindi vietato glorificarlo e i “post” che gli erano favorevoli venivano sistematicamente banditi. Ma il 24 febbraio, Facebook ha cambiato la sua policy e ha permesso post favorevoli alla milizia. Parimenti, a marzo, la piattaforma ha autorizzato l’appello all’omicidio di soldati e leader russi negli ex paesi dell’Europa orientale. Questo per quanto riguarda i valori che ispirano i nostri leader, come vedremo di seguito.

I nostri media diffondono un’immagine romantica della resistenza popolare. È questa immagine che ha portato l’Unione europea a finanziare la distribuzione di armi alla popolazione civile. Si tratta, in verità, di un atto criminale.

Queste strutture di comando sono l’essenza degli eserciti: la loro funzione è quella di incanalare l’uso della forza in funzione di un obiettivo. Armando i cittadini in modo disordinato, come avviene attualmente, l’Ue li trasforma in combattenti, e quindi anche in potenziali obiettivi. Inoltre, senza comando, senza scopi operativi, la distribuzione di armi porta inevitabilmente a regolamenti di conti, a banditismo e ad azioni più letali che efficaci. La guerra diventa una questione di emozioni. La forza diventa violenza. È esattamente quello che è successo a Tawarga (Libia) dall’11 al 13 agosto 2011, dove 30.000 neri africani sono stati massacrati con armi paracadutate (illegalmente) dalla Francia. D’altra parte, anche il Royal Institute for Strategic Studies (RUSI) britannico non vede alcun valore aggiunto in queste consegne di armi.

Inoltre, quando si consegnano armi a un paese in guerra, ci si espone al rischio di essere considerati belligeranti. Gli attacchi russi del 13 marzo 2022 sulla base aerea di Mykolaiv seguono il loro avvertimento che le spedizioni di armi sarebbero state trattate come obiettivi ostili.

L’Ue ripete la disastrosa esperienza del Terzo Reich nelle ultime ore della battaglia di Berlino. La guerra deve essere lasciata ai militari, e quando una parte ha perso, bisogna ammetterlo. E se ci deve essere una resistenza, essa deve necessariamente essere guidata e strutturata. Invece, stiamo facendo esattamente il contrario: i cittadini vengono spinti a combattere e, allo stesso tempo, Facebook sta permettendo appelli all’omicidio di soldati e leader russi. Questo per quanto riguarda i valori che ci ispirano.

In alcuni servizi di intelligence, questa decisione irresponsabile è vista come un modo per usare la popolazione ucraina come carne da macello per combattere la Russia di Vladimir Putin. Questo tipo di decisione omicida doveva essere lasciata ai colleghi del nonno di Ursula von der Leyen. Sarebbe stato più saggio avviare negoziati e così ottenere garanzie per la popolazione civile, piuttosto che aggiungere benzina sul fuoco. È facile essere combattivi con il sangue degli altri.

È importante chiarire fin da subito che non è l’esercito ucraino che difende Mariupol, ma la milizia Azov, che è composta da mercenari stranieri.

Nel suo riassunto della situazione del 7 marzo 2022, la missione russa delle Nazioni Unite a New York dichiara che “i residenti riferiscono che le forze armate ucraine hanno evacuato il personale dal reparto di maternità dell’ospedale della città di Mariupol e hanno istituito una postazione di tiro all’interno della struttura”.

L’8 marzo, il media russo indipendente Lenta.ru, ha pubblicato la testimonianza di civili di Mariupol che hanno affermato che il reparto maternità era stato preso dalle milizie del reggimento Azov che avevano cacciato gli occupanti civili, minacciandoli con le armi. Essi confermano così le dichiarazioni dell’ambasciatore russo di poche ore prima.

L’ospedale di Mariupol occupa una posizione dominante. Per questo è perfettamente adatto al posizionamento di armi anticarro e all’osservazione. Il 9 marzo, le forze russe colpiscono l’edificio. Secondo la Cnn, ci sono 17 feriti, ma il filmato non mostra vittime in quegli ambienti e nulla prova che le vittime di cui si parla siano collegate a questo attacco. Si parla di bambini, ma in realtà non vediamo nulla. Può essere vero, ma può essere falso. Ciò non impedisce ai leader dell’Ue di vederlo come un crimine di guerra. Ciò consente, subito dopo, a Zelensky di invocare una no-fly zone sull’Ucraina.

In realtà, non si sa esattamente cosa sia successo. Ma la sequenza degli eventi tende a confermare che le forze russe abbiano colpito una posizione del reggimento Azov e che il reparto maternità fosse quindi libero da civili.

Il problema è che le milizie paramilitari che assicurano la difesa delle città sono incoraggiate dalla comunità internazionale a non rispettare gli usi di guerra. Sembra che gli Ucraini abbiano riprodotto l’episodio del reparto maternità di Kuwait City nel 1990, che era stato integralmente artefatto e messo in scena dalla ditta Hill & Knowlton a fronte del compenso di 10,7 milioni di dollari al fine di convincere il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ad intervenire in Iraq per l’operazione Desert Shield/Storm.

Inoltre, i politici occidentali hanno accettato attacchi contro i civili nel Donbass per otto anni, senza adottare alcuna sanzione contro il governo ucraino. Da tempo siamo entrati in una dinamica in cui i politici occidentali hanno accettato di sacrificare il diritto internazionale al loro obiettivo di indebolire la Russia.

Secondo Baud sembra che in tutto il mondo occidentale, i servizi siano stati sopraffatti dalla politica. Il problema è che sono i politici a decidere: il miglior servizio di intelligence del mondo è inutile se il decisore non lo ascolta. Questo è ciò che è accaduto durante questa crisi.

Tuttavia, se alcuni servizi di intelligence avevano un quadro molto accurato e razionale della situazione, altri avevano chiaramente la stessa immagine di quella propagata dai nostri media. In questa crisi, i servizi dei paesi della “nuova Europa” hanno svolto un ruolo importante. In secondo luogo, sembra che in alcuni paesi europei, i politici abbiano deliberatamente ignorato i loro servizi per rispondere ideologicamente alla situazione. Ecco perché questa crisi è stata irrazionale fin dall’inizio. Si osserverà che tutti i documenti che sono stati resi pubblici durante questa crisi sono stati presentati dai politici sulla base di fonti di informazione commerciale.

Alcuni politici occidentali, ovviamente, volevano che ci fosse un conflitto. Negli Stati Uniti, gli scenari di attacco presentati da Anthony Blinken al Consiglio di Sicurezza erano solo il frutto dell’immaginazione di un Tiger Team che lavora per lui: costui ha fatto esattamente come Donald Rumsfeld nel 2002, che con questi modi aveva “scavalcato” la CIA e altri servizi di intelligence molto meno sensibili sulle armi chimiche irachene.

I drammatici sviluppi a cui stiamo assistendo oggi hanno cause che conoscevamo, ma che ci siamo rifiutati di vedere:
– a livello strategico, l’espansione della Nato (che non abbiamo trattato qui);
– sul piano politico, il rifiuto occidentale di attuare gli Accordi di Minsk;
– e sul piano operativo, i continui e ripetuti attacchi alle popolazioni civili del Donbass negli ultimi anni, e il loro drammatico incremento alla fine di febbraio 2022.

In altre parole, possiamo naturalmente deplorare e condannare l’attacco russo. Ma noi (cioè gli Stati Uniti, la Francia e l’Unione europea in testa) abbiamo creato le condizioni per lo scoppio di un conflitto. Mostriamo compassione per il popolo ucraino e per i due milioni di rifugiati. E va bene. Ma se avessimo avuto un minimo di compassione per lo stesso numero di rifugiati del popolo ucraino del Donbass massacrati dal loro stesso governo, che sono fuggiti in Russia nell’arco di otto anni, nulla di tutto questo probabilmente sarebbe accaduto.

Se sia corretto applicare il termine “genocidio” agli abusi subiti dal popolo del Donbass è una questione aperta. Questo termine è generalmente riservato a casi più grandi (Olocausto, ecc.), ma la definizione nella Convenzione sul genocidio è probabilmente abbastanza ampia da poter essere applicata. I giuristi lo apprezzeranno.

Chiaramente, questo conflitto ci ha portati all’isteria. Le sanzioni sembrano essere diventate lo strumento preferito della nostra politica estera. Se avessimo insistito affinché l’Ucraina rispettasse gli accordi di Minsk, che avevamo negoziato e approvato, tutto ciò non sarebbe accaduto. La condanna di Vladimir Putin è anche la nostra. Non ha senso piagnucolare dopo i fatti, bisognava agire prima. Tuttavia, né Emmanuel Macron (come garante e come membro del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite), né Olaf Scholz, né Volodymyr Zelensky hanno rispettato i loro impegni. In definitiva, la vera sconfitta è quella di coloro che non hanno voce.

L’Unione europea non è stata in grado di promuovere l’attuazione degli Accordi di Minsk. Anzi, al contrario, non ha reagito quando l’Ucraina ha bombardato la propria popolazione nel Donbass. Se lo avesse fatto, Vladimir Putin non avrebbe avuto bisogno di reagire. Assente dalla fase diplomatica, l’Ue si è distinta per aver alimentato il conflitto. Il 27 febbraio il governo ucraino ha accettato di avviare i negoziati con la Russia. Ma poche ore dopo, l’Unione europea ha votato un finanziamento di 450 milioni di euro per fornire armi all’Ucraina, aggiungendo benzina sul fuoco. A partire da quel momento, gli ucraini sentono che non avranno bisogno di raggiungere un accordo. La resistenza delle milizie Azov a Mariupol provocherà persino un ulteriore finanziamento di 500 milioni di euro per le armi.

In Ucraina, con la benedizione dei paesi occidentali, chi è a favore di una negoziazione viene eliminato. È il caso di Denis Kireyev, uno dei negoziatori ucraini, assassinato il 5 marzo dai servizi segreti ucraini (SBU) perché troppo favorevole ad un accordo con la Russia: viene ucciso dalla milizia Mirotvorets (“Peacemaker”). Questa milizia è associata al sito web Mirotvorets che elenca i “nemici dell’Ucraina”, con i loro dati personali, indirizzo e numeri di telefono, in modo che possano essere molestati o addirittura eliminati; una pratica punibile in molti paesi, ma non in Ucraina. L’Onu e alcuni paesi europei ne hanno chiesto la chiusura. Che però è stata rifiutata dalla Rada.

Alla fine, il prezzo sarà alto, ma Vladimir Putin probabilmente raggiungerà gli obiettivi che si era prefissato. I suoi legami con Pechino si sono consolidati. La Cina sta emergendo come mediatore del conflitto, mentre la Svizzera entra nella lista dei nemici della Russia. Gli americani devono chiedere a Venezuela e Iran il petrolio per uscire dall’impasse energetica in cui si sono cacciati: Juan Guaido (leader dell’opposizione venezuelana, mia precisazione) sta lasciando la scena per sempre, e gli Stati Uniti devono ritornare vergognosamente sulle sanzioni imposte ai loro nemici.

I ministri occidentali che cercano di far collassare l’economia russa e che assicurano che il popolo russo soffra, o addirittura chieda l’assassinio di Putin, mostrano (anche se hanno parzialmente invertito la forma delle loro osservazioni, ma non sulla sostanza!) che i nostri leader non sono migliori di quelli che odiamo. Perché punire gli atleti paraolimpici russi o gli artisti russi non ha assolutamente nulla a che fare con una lotta contro Putin.

La lezione che traiamo da questo conflitto è sul nostro senso di umanità a geometria variabile. Se eravamo così appassionati di pace e così affezionati all’Ucraina, perché non l’abbiamo incoraggiata di più a rispettare gli accordi che aveva firmato, quelli che anche i membri del Consiglio di Sicurezza avevano approvato?

L’integrità dei media si misura dalla loro volontà di lavorare secondo i termini della Carta di Monaco. Erano riusciti a diffondere l’odio per i cinesi durante la crisi del Covid e i loro messaggi polarizzati portano agli stessi effetti contro i russi. Il giornalismo si sta sempre più spogliando della professionalità per diventare attivista e militante.

Come disse Goethe, “Maggiore è la luce, più scura è l’ombra”. Più sproporzionate sono le sanzioni contro la Russia, più numerosi sono i casi in cui non abbiamo fatti che evidenziano il nostro razzismo e il nostro servilismo. Perché nessun politico occidentale ha reagito agli attacchi contro la popolazione civile del Donbass per otto anni?

Perché alla fine, cosa rende il conflitto in Ucraina più criticabile della guerra in Iraq, Afghanistan o Libia? Quali sanzioni abbiamo adottato contro coloro che hanno deliberatamente mentito davanti alla comunità internazionale per condurre guerre ingiuste, ingiustificate, ingiustificabili e omicide? Abbiamo cercato di “colpire” il popolo americano che ci ha mentito (perché è una democrazia!) prima della guerra in Iraq? Abbiamo adottato una sola sanzione contro i paesi, le aziende o i politici che stanno armando il conflitto in Yemen, considerato la “peggiore catastrofe umanitaria del mondo”? Abbiamo punito i paesi dell’Unione europea che praticano la tortura più abietta sul loro territorio a beneficio degli Stati Uniti?

Porre la domanda significa darci la risposta. E la risposta non è gloriosa.

 

(Traduzione di un testo in francese a cura di Giuseppe Gagliano)