Le turbolenze della vita continuano, di Giuseppe Germinario

La crisi pandemica del coronavirus ha portato ad una netta accelerazione ed intensificazione del confronto geopolitico e delle trasformazioni politiche ed economiche delle formazioni sociali. Ha conquistato, però, la pressoché totale esclusiva attenzione dell’opinione pubblica sia istituzionale che informale. Passano in secondo piano o vengono del tutto ignorate notizie come questa del Presidente statunitense Trump il quale, attraverso due tweet, annuncia di aver dato ordine alla flotta presente nel Golfo Persico di aprire il fuoco e colpire le imbarcazioni e i barchini che dovessero avvicinarsi alle navi americane.

 

La attività di controllo e spesso di provocazione dei navigli iraniani non è in realtà mai cessata, anche se ultimamente sta registrando una relativa intensificazione. Quali possono essere, quindi, i motivi che hanno spinto Trump ad una decisione così allarmante? Non tutto è riconducibile direttamente a l’asprezza del confronto iraniano-statunitense. Corrono voci di un crescente distacco e insofferenza tra le gerarchie dell’esercito iraniano e la suprema autorità politico-religioso Khamenei. Un più alto livello di allarme potrebbe servire a rinserrare i legami. Nel versante statunitense l’azione potrebbe servire a destabilizzare l’area petrolifera del Medio Oriente e bloccare la corsa al ribasso dei prezzi del petrolio, particolarmente nefasta per le sorti della produzione petrolifera americana, resa già precaria dalla esposizione debitoria di gran parte dei produttori di petrolio da “fracking”. I timori e le inquietudini americani circa la possibilità di un accordo tacito tra sauditi e russi mirante a destabilizzare l’industria petrolifera americana, ormai loro diretta concorrente e a rendere nuovamente dipendente la potenza statunitense dalle importazioni, senza averne peraltro più il totale controllo dei flussi, sono sempre più manifesti. Emergono addirittura voci di un possibile blocco del greggio saudita ai porti texani a esso esclusivamente dedicati. In sostanza due conferme: gli Stati Uniti sono sempre meno il deus exmachina delle dinamiche geopolitiche e geoeconomiche, ma ne rimangono ancora il principale attore; da questa dinamica di relativizzazione della potenza ci sarà da aspettarsi una reazione sempre più vivace piuttosto che una rassegnata constatazione. Una vastissima gamma di opzioni del resto è ancora disponibile e non è detto che il fronte degli avversari sia in realtà così solido e compatto.

Giuseppe Germinario