Michael von der Schulenburg, Hajo Funke, Harald Kujat – Pace per l’Ucraina

Michael von der Schulenburg, Hajo Funke, Harald Kujat – Pace per l’Ucraina

Il disastroso deragliamento dei primi sforzi di pace per porre fine alla guerra in Ucraina

Michael von der Schulenburg è un ex assistente del Segretario Generale delle Nazioni Unite, che ha lavorato per oltre 34 anni per le Nazioni Unite e, per un breve periodo, per l’OSCE, in molti paesi in guerra o in conflitti armati interni, spesso con governi fragili e attori non statali armati.
Hajo Funke è professore emerito di scienze politiche presso l’Otto-Suhr-Institut dell’Università di Berlino.
Il generale (in pensione) Harald Kujat è stato il più alto ufficiale tedesco della Bundeswehr e della NATO.

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The British Prime Minister’s fateful visit to Kiev on 9 April 2022

Si tratta di una ricostruzione dettagliata dei negoziati di pace russo-ucraini del marzo 2022 e dei relativi tentativi di mediazione dell’allora Primo Ministro israeliano Naftali Bennett, sostenuto dal Presidente Erdogan e dall’ex Cancelliere tedesco Schröder. È stato redatto dal generale in pensione H. Kujat e dal professore emerito H. Funke, due dei promotori del piano di pace per l’Ucraina recentemente presentato. Ed è anche in relazione al loro piano di pace che questa ricostruzione è estremamente importante. Ci ricorda che non possiamo permetterci di ritardare ancora il cessate il fuoco e i negoziati di pace. La situazione umana e militare in Ucraina si deteriora drammaticamente, con l’ulteriore pericolo che possa portare a un’ulteriore escalation della guerra. Abbiamo bisogno di una soluzione diplomatica a questa guerra crudele per l’Europa e l’Ucraina – e ne abbiamo bisogno ora!

Dalla ricostruzione dettagliata degli sforzi di pace di marzo emergono 6 conclusioni:

1. Appena un mese dopo l’inizio dell’intervento militare russo in Ucraina, i negoziatori ucraini e russi erano arrivati molto vicini a un accordo per un cessate il fuoco e a una bozza per una soluzione di pace globale al conflitto.

2) A differenza di oggi, il Presidente Zelensky e il suo governo avevano compiuto grandi sforzi per negoziare la pace con la Russia e porre rapidamente fine alla guerra.

3) Contrariamente alle interpretazioni occidentali, all’epoca l’Ucraina e la Russia erano d’accordo sul fatto che la causa della guerra fosse la prevista espansione della NATO. Pertanto, i negoziati di pace si concentrarono sulla neutralità dell’Ucraina e sulla sua rinuncia all’adesione alla NATO. In cambio, l’Ucraina avrebbe mantenuto la propria integrità territoriale, ad eccezione della Crimea.

4) Ci sono pochi dubbi sul fatto che questi negoziati di pace siano falliti a causa della resistenza della NATO e in particolare degli Stati Uniti e del Regno Unito. Il motivo è che un tale accordo di pace sarebbe equivalso a una sconfitta per la NATO, alla fine dell’espansione della NATO verso est e quindi alla fine del sogno di un mondo unipolare dominato dagli Stati Uniti.

5. Il fallimento dei negoziati di pace nel marzo 2022 ha portato a una pericolosa intensificazione della guerra che è costata la vita a centinaia di migliaia di persone, soprattutto giovani, ha profondamente traumatizzato una giovane generazione e le ha inflitto le più gravi ferite mentali e fisiche. L’Ucraina è stata esposta a enormi distruzioni, sfollamenti interni e impoverimento di massa. Tutto ciò è stato accompagnato da uno spopolamento su larga scala del Paese. Non solo la Russia, ma anche la NATO e l’Occidente sono pesantemente responsabili di questo disastro.

6) La posizione negoziale dell’Ucraina oggi è molto peggiore di quella che aveva nel marzo 2022. L’Ucraina perderà gran parte del suo territorio.

7. Il blocco dei negoziati di pace di allora ha danneggiato tutti: Russia ed Europa – ma soprattutto il popolo ucraino, che sta pagando con il proprio sangue il prezzo delle ambizioni delle grandi potenze e probabilmente non otterrà nulla in cambio.

Michael von der Schulenburg



COME SI È PERSA L’OCCASIONE PER UNA SOLUZIONE DI PACE DELLA GUERRA IN UCRAINA
E L’OCCIDENTE VOLESSE INVECE CONTINUARE LA GUERRA

Una ricostruzione dettagliata degli eventi di marzo 2022

Hajo Funke and Harald Kujat

Berlino, ottobre 2023

Nel marzo 2022, i negoziati di pace diretti tra le delegazioni ucraina e russa e gli sforzi di mediazione dell’allora Primo Ministro israeliano Naftali Bennet hanno creato una reale possibilità di porre fine alla guerra in modo pacifico solo quattro o cinque settimane dopo che la Russia aveva invaso l’Ucraina. Tuttavia, invece di porre fine alla guerra attraverso i negoziati, come sembravano volere il Presidente ucraino Zelensky e il suo governo, alla fine si è piegato alle pressioni di alcune potenze occidentali per abbandonare una soluzione negoziata. Le potenze occidentali volevano che la guerra continuasse nella speranza di piegare la Russia. La decisione dell’Ucraina di abbandonare i negoziati potrebbe essere stata presa prima della scoperta di un massacro di civili nella città di Bucha, vicino a Kiev.

Di seguito si cerca di ricostruire passo dopo passo gli eventi che hanno portato ai negoziati di pace di marzo e al loro fallimento all’inizio di aprile 2022.

ALL’INIZIO DI MARZO 2022, IL PRIMO MINISTRO ISRAELIANO NAFTALI BENNETT HA INTRAPRESO UN’OPERA DI MEDIAZIONE…

Naftali Bennett aveva intrapreso sforzi di mediazione a partire dalla prima settimana di marzo 2022. In un’intervista video con il giornalista israeliano Hanoch Daum del 4 febbraio 2023, ha parlato per la prima volta in dettaglio del processo e della fine dei negoziati. Questa intervista video è alla base di un resoconto dettagliato della Berliner Zeitung del 6 febbraio 2023: “Naftali Bennett voleva la pace tra Ucraina e Russia: chi ha bloccato? L’ex-premier israeliano ha parlato per la prima volta dei suoi negoziati con Putin e Zelensky. Il cessate il fuoco sarebbe stato a portata di mano”. (Berliner Zeitung, 06 febbraio 2023).

Poco dopo lo scoppio della guerra, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky aveva chiesto a Bennett di aiutarlo ad aprire un canale di comunicazione con il presidente russo Vladimir Putin. Putin rispose invitando Bennett a Mosca: “Il 5 marzo 2022, su invito di Putin, Bennett era volato a Mosca con un jet privato fornito dall’intelligence israeliana. Durante la conversazione al Cremlino, Bennett ha detto che Putin aveva fatto alcune concessioni sostanziali, in particolare aveva rinunciato al suo obiettivo bellico originario di smilitarizzare l’Ucraina. In cambio, il presidente ucraino ha accettato di rinunciare all’adesione alla NATO – una posizione che ha ripetuto pubblicamente poco tempo dopo. Questo ha rimosso uno degli ostacoli decisivi a un cessate il fuoco ….”. Secondo la Berliner Zeitung, anche altre questioni, come il futuro del Donbass e della Crimea, nonché le garanzie di sicurezza per l’Ucraina, sono state oggetto di intensi colloqui durante questi giorni. (Ibidem)

Nell’intervista, Bennett ha spiegato ulteriormente: “All’epoca avevo l’impressione che entrambe le parti fossero molto interessate a un cessate il fuoco (…)”. Secondo Bennett, un cessate il fuoco era a portata di mano in quel momento, ed entrambe le parti erano pronte a fare notevoli concessioni…. Ma la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, in particolare, volevano che questo processo di pace finisse e puntavano a una continuazione della guerra”. (Ibidem)

All’inizio di marzo 2022, il presidente Zelensky ha contattato non solo Naftali Bennett, ma anche l’ex cancelliere tedesco Gerhard Schröder, chiedendogli di utilizzare i suoi stretti legami personali con Putin per mediare tra l’Ucraina e la Russia, nella speranza di trovare un modo per porre fine rapidamente alla guerra. In un’intervista pubblicata nell’edizione settimanale della Berliner Zeitung il 21/22 ottobre di quest’anno, Schröder ha parlato pubblicamente per la prima volta del suo ruolo negli sforzi che hanno portato ai negoziati di pace a Istanbul il 29 marzo 2022. Come Bennet, anche lui è giunto alla conclusione che il motivo per cui i negoziati di pace sono stati abbandonati è stato l’ostruzionismo degli americani. Ha affermato che: “Ai negoziati di pace del marzo 2022 a Istanbul con Rustem Umerov (allora consigliere per la sicurezza di Zelensky, ora ministro della Difesa ucraino), gli ucraini non hanno accettato la pace perché non gli è stato permesso. Hanno dovuto prima chiedere agli americani tutto ciò di cui hanno discusso”, e ha proseguito: “Ma alla fine (dei negoziati di pace) non è successo nulla. La mia impressione era che non potesse accadere nulla perché tutto il resto era deciso a Washington. Questo è stato fatale”.

Il ministro degli Esteri turco, Mevlüt Çavuşoğlu, che all’epoca organizzò l’incontro di Istanbul, aveva già fatto commenti simili. In un’intervista rilasciata alla CNN Turk il 20 aprile 2022, aveva dichiarato: “Alcuni Stati della NATO volevano che il conflitto in Ucraina continuasse per indebolire la Russia”.

… MENTRE ERANO IN CORSO NEGOZIATI DI PACE PARALLELI TRA NEGOZIATORI UCRAINI E RUSSI

I negoziati diretti tra una delegazione ucraina e una russa erano già in corso dalla fine di febbraio 2022 e nella terza settimana di marzo, “solo un mese dopo lo scoppio della guerra, (avevano) concordato le grandi linee di un accordo di pace. L’Ucraina ha promesso di non aderire alla NATO e di non permettere basi militari di potenze straniere sul suo territorio, mentre la Russia ha promesso in cambio di riconoscere l’integrità territoriale dell’Ucraina e di ritirare tutte le truppe di occupazione russe. Sono stati presi accordi speciali per il Donbas e la Crimea”. (Cfr. Michael von der Schulenburg: Carta delle Nazioni Unite: negoziati! In: Emma del 6 marzo 2023)

Per favorire i negoziati di pace, il Presidente turco si è offerto di ospitare una conferenza di pace ucraino-russa a Istanbul il 29 marzo 2002. Durante i negoziati, mediati dal Presidente turco Erdogan, la delegazione ucraina presentò un documento di posizione che portò al Comunicato di Istanbul. Le proposte dell’Ucraina sono state tradotte in una bozza di trattato dalla parte russa.

Il testo del comunicato di Istanbul del 29 marzo 2022 comprendeva 10 proposte:

Proposta 1: l’Ucraina si dichiara uno Stato neutrale e promette di rimanere non allineata e di astenersi dallo sviluppare armi nucleari in cambio di garanzie legali internazionali. Tra i possibili Stati garanti figurano Russia, Gran Bretagna, Cina, Stati Uniti, Francia, Turchia, Germania, Canada, Italia, Polonia e Israele, ma anche altri Stati potrebbero aderire al trattato.

Proposta 2: queste garanzie internazionali di sicurezza per l’Ucraina non si estenderebbero alla Crimea, a Sebastopoli e ad alcune aree del Donbas. Le parti del trattato dovrebbero definire i confini di queste aree o concordare che ciascuna parte intende tali confini in modo diverso.

Proposta 3: l’Ucraina si impegna a non aderire a nessuna coalizione militare e a non ospitare basi militari o contingenti di truppe straniere. Eventuali esercitazioni militari internazionali sarebbero possibili solo con il consenso degli Stati garanti. Da parte loro, gli Stati garanti confermano l’intenzione di promuovere l’adesione dell’Ucraina all’Unione Europea.

Proposta 4: l’Ucraina e gli Stati garanti convengono che (in caso di aggressione, attacco armato contro l’Ucraina o operazione militare contro l’Ucraina) ciascuno degli Stati garanti, dopo urgenti e immediate consultazioni reciproche (da tenersi entro tre giorni) sull’esercizio del diritto di autodifesa individuale o collettiva (come riconosciuto dall’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite), fornirà assistenza (in risposta e sulla base di un appello ufficiale dell’Ucraina) all’Ucraina in quanto Stato permanentemente neutrale sotto attacco. Tale assistenza sarà facilitata dall’attuazione immediata delle necessarie misure individuali o congiunte, compresa la chiusura dello spazio aereo ucraino, la fornitura delle armi necessarie e l’uso della forza armata allo scopo di ripristinare e mantenere la sicurezza dell’Ucraina in quanto Stato permanentemente neutrale.

Proposta 5: Qualsiasi attacco armato (qualsiasi operazione militare) e qualsiasi azione intrapresa in risposta saranno immediatamente riferiti al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Tali azioni cesseranno non appena il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite avrà adottato le misure necessarie per ripristinare e mantenere la pace e la sicurezza internazionali.

Proposta 6: per proteggersi da eventuali provocazioni, l’accordo regolerà il meccanismo di adempimento delle garanzie di sicurezza dell’Ucraina sulla base dei risultati delle consultazioni tra l’Ucraina e gli Stati garanti.

Proposta 7: il trattato si applicherà provvisoriamente a partire dalla data della sua firma da parte dell’Ucraina e di tutti o della maggior parte degli Stati garanti.

Il trattato entrerà in vigore dopo che (1) lo status di neutralità permanente dell’Ucraina sarà approvato in un referendum nazionale, (2) i relativi emendamenti saranno incorporati nella Costituzione ucraina e (3) la ratifica avverrà nei parlamenti dell’Ucraina e degli Stati garanti.

Proposta 8: il desiderio delle parti di risolvere le questioni relative alla Crimea e a Sebastopoli sarà incluso nei negoziati bilaterali tra Ucraina e Russia per un periodo di 15 anni. L’Ucraina e la Russia si impegnano inoltre a non risolvere tali questioni con mezzi militari e a proseguire gli sforzi di risoluzione diplomatica.

Proposta 9: le parti proseguono le consultazioni (con la partecipazione di altri Stati garanti) per preparare e concordare le disposizioni di un trattato sulle garanzie di sicurezza per l’Ucraina, le modalità del cessate il fuoco, il ritiro delle truppe e di altre formazioni paramilitari, l’apertura e la garanzia di corridoi umanitari funzionanti in modo sicuro su base continua, nonché lo scambio di corpi e il rilascio dei prigionieri di guerra e dei civili internati.

Proposta 10: le parti ritengono possibile organizzare un incontro tra i presidenti di Ucraina e Russia per firmare un trattato e/o prendere decisioni politiche su altre questioni irrisolte”.

APPARENTE SOSTEGNO INIZIALE AGLI SFORZI DI MEDIAZIONE DA PARTE DEI POLITICI OCCIDENTALI.

La prova dell’iniziale sostegno dei politici occidentali ai negoziati emerge dalla sequenza di telefonate e incontri nel periodo compreso tra l’inizio di marzo e almeno la metà di marzo. Il 4 marzo Scholz e Putin hanno parlato al telefono; il 5 marzo Bennett ha incontrato Putin a Mosca; il 6 marzo Bennett e Scholz si sono incontrati a Berlino; il 7 marzo Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Germania hanno discusso la questione in videoconferenza; l’8 marzo Macron e Scholz hanno parlato al telefono; il 10 marzo il Ministro degli Esteri ucraino Kuleba e il Ministro degli Esteri russo Lavrov si sono incontrati ad Ankara; il 12 marzo Scholz e Zelensky e Scholz e Macron si sono parlati al telefono; il 14 marzo Scholz ed Erdogan si sono incontrati ad Ankara. (Cfr. Petra Erler: Re: Rassegna 2022 marzo: chi non voleva una rapida fine della guerra in Ucraina, in: “Notizie di un guardiano del faro”, 1 settembre 2023).

IL VERTICE SPECIALE DELLA NATO DEL 24 MARZO 2022 A BRUXELLES SI OPPONE A TUTTE LE NEGOZIAZIONI

Ma questo sostegno iniziale si è rapidamente inasprito, con la NATO che si è opposta a qualsiasi negoziato prima che la Russia non ritirasse tutte le sue truppe dai territori ucraini. Questo, di fatto, ha fatto fallire tutti i negoziati. Michael von der Schulenburg, ex assistente del Segretario generale delle Nazioni Unite (ASG) nelle missioni di pace dell’ONU, scrive che “la NATO aveva già deciso in un vertice speciale del 24 marzo 2022 di non sostenere questi negoziati di pace (tra Ucraina e Russia)”. (Cfr. Michael von der Schulenburg: Carta delle Nazioni Unite: negoziati! In: Emma, 6 marzo 2023). Il Presidente degli Stati Uniti era volato appositamente a Bruxelles per questo vertice speciale. Ovviamente, la pace negoziata dalle delegazioni negoziali russa e ucraina non era nell’interesse di alcuni Paesi della NATO.

ALL’INIZIO ZELESKY SI ATTIENE ALL’ESITO DEI NEGOZIATI DI PACE

“Fino al 27 marzo 2022, Zelensky aveva mostrato il coraggio di difendere i risultati dei negoziati di pace russo-ucraini in pubblico davanti ai giornalisti russi – e questo nonostante il fatto che la NATO avesse già deciso, in un vertice speciale del 24 marzo 2022, di non sostenere questi negoziati di pace”. (Ibidem)

Secondo von der Schulenburg, i negoziati di pace russo-ucraini sono stati un evento storicamente unico, reso possibile solo perché russi e ucraini si conoscevano bene e “parlavano la stessa lingua e probabilmente si conoscevano anche personalmente”. Non conosciamo nessun’altra guerra o conflitto armato in cui le parti in conflitto si siano accordate così rapidamente su termini di pace specifici.

Il 28 marzo Putin, in segno di buona volontà e a sostegno dei negoziati di pace, ha dichiarato di essere pronto a ritirare le truppe dall’area di Kharkov e da quella di Kiev; a quanto pare, ciò è avvenuto anche prima del suo annuncio pubblico.

I NEGOZIATI DI PACE SI SCIOLGONO

Il 29 marzo 2022, giorno dell’incontro di Istanbul, Scholz, Biden, Draghi, Macron e Johnson hanno parlato nuovamente al telefono della situazione in Ucraina. A quel punto, la posizione dei principali alleati occidentali si era apparentemente indurita. Hanno formulato condizioni preliminari per i negoziati che erano in palese contrasto con gli sforzi di pace di Bennett ed Erdogan: “I leader hanno concordato di continuare a fornire un forte sostegno all’Ucraina. Hanno nuovamente esortato il Presidente russo Putin ad accettare un cessate il fuoco, a cessare tutte le ostilità, a ritirare i soldati russi dall’Ucraina e a consentire una soluzione diplomatica (…)” (Petra Erler: Re: Review March 2022: Who Didn’t Want a Quick End to the War in Ukraine (in “News of a Lighthouse Keeper” 1 settembre 2023).

Il Washington Post ha riportato il 5 aprile che nella NATO il proseguimento della guerra è preferito al cessate il fuoco e a una soluzione negoziata: “Per alcuni membri della NATO, è meglio che gli ucraini continuino a combattere e a morire piuttosto che raggiungere una pace che arrivi troppo presto o a un prezzo troppo alto per Kiev e il resto d’Europa”. Zelensky, ha detto, dovrebbe “continuare a combattere finché la Russia non sarà completamente sconfitta”.

MESSAGGIO DI BORIS JOHNSON AGLI UCRAINI IL 9 APRILE 2022: DOBBIAMO CONTINUARE LA GUERRA

Il 9 aprile 2022, Boris Johnson arrivò senza preavviso a Kiev e disse al presidente ucraino che l’Occidente non era pronto a porre fine alla guerra. Secondo il quotidiano britannico Guardian del 28 aprile, il premier Johnson avrebbe “istruito” il presidente ucraino Zelensky “a non fare alcuna concessione a Putin”:

La “Ukrainska Pravda” ne ha riferito in dettaglio in due articoli del 5 maggio 2022:

“Non appena i negoziatori ucraini e Abramovich/Medinsky si sono accordati a grandi linee sulla struttura di un possibile accordo futuro dopo i risultati di Istanbul, il primo ministro britannico Boris Johnson è apparso a Kiev quasi senza preavviso.

Johnson ha portato con sé a Kiev due semplici messaggi. Il primo è che Putin è un criminale di guerra; con lui bisogna fare pressione, non negoziare. Il secondo è che anche se l’Ucraina è disposta a firmare alcuni accordi con Putin sulle garanzie, l’Occidente collettivo non è disposto a farlo. Possiamo firmare [un accordo] con voi [Ucraina], ma non con lui. Lui fregherà tutti in ogni caso”, ha detto uno degli stretti collaboratori di Selensky riassumendo l’essenza della visita di Johnson. Dietro questa visita e le parole di Johnson c’è molto di più della semplice riluttanza ad impegnarsi in accordi con la Russia. Johnson ha preso posizione sul fatto che l’Occidente collettivo, che fino a febbraio aveva suggerito a Zelensky di arrendersi e fuggire, ora ritiene che Putin non sia così potente come aveva immaginato in precedenza. Inoltre, c’è l’opportunità di fare pressione su di lui. E l’Occidente vuole coglierla”.

La Neue Züricher Zeitung (NZZ) ha riportato il 12 aprile che il governo britannico guidato da Johnson conta su una vittoria militare ucraina. Il membro conservatore della Camera dei Comuni Alicia Kearns ha dichiarato: “Preferiremmo armare gli ucraini fino ai denti piuttosto che dare a Putin un successo”. Il ministro degli Esteri britannico (e poi primo ministro) Liz Truss ha dichiarato in un discorso programmatico che “la vittoria dell’Ucraina (…) è un imperativo strategico per tutti noi e quindi il sostegno militare deve essere massicciamente ampliato”. L’editorialista del Guardian Simon Jenkins ha avvertito: “Liz Truss rischia di infiammare la guerra in Ucraina per le proprie ambizioni”. Questa, ha detto, è probabilmente la prima campagna elettorale dei Tory “che si combatte ai confini della Russia”. Johnson e Truss volevano che Zelensky “continuasse a combattere finché la Russia non fosse stata completamente sconfitta. Hanno bisogno di un trionfo nella loro guerra per procura. Nel frattempo, chiunque non sia d’accordo con loro può essere liquidato come un debole, un codardo o un sostenitore di Putin. Il fatto che questo conflitto venga sfruttato dalla Gran Bretagna per una squallida gara di leadership è nauseante”.

Dopo la sua seconda visita a Kiev, il 25 aprile 2022, il Segretario alla Difesa americano Lloyd Austin ha dichiarato che gli Stati Uniti vogliono sfruttare l’opportunità di indebolire permanentemente la Russia militarmente ed economicamente sulla scia della guerra in Ucraina. Secondo il New York Times, il governo statunitense non è più interessato a una lotta per il controllo dell’Ucraina, ma a una lotta contro Mosca sulla scia di una nuova guerra fredda.

Alla riunione del 26 aprile 2022 dei ministri della Difesa dei membri della NATO e di altri Paesi convocata da Austin a Ramstein, in Renania-Palatinato/Germania, il capo del Pentagono ha dichiarato che la vittoria militare dell’Ucraina è un obiettivo strategico.

La rivista americana “Responsible Statecraft” ha scritto il 2 settembre 2022:

“Boris Johnson ha contribuito a impedire un accordo di pace in Ucraina? Secondo un recente articolo di Foreign Affairs, Kiev e Mosca potrebbero aver raggiunto un accordo provvisorio per porre fine alla guerra già in aprile. Secondo diversi ex alti funzionari statunitensi con cui abbiamo parlato, i negoziatori russi e ucraini sembravano aver raggiunto un accordo provvisorio sui contorni di una soluzione provvisoria negoziata nel marzo 2022″, scrivono Fiona Hill e Angela Stent. La Russia si sarebbe ritirata dalla posizione del 23 febbraio, quando controllava parte della regione del Donbas e tutta la Crimea, e in cambio l’Ucraina avrebbe promesso di non chiedere l’adesione alla NATO e di ricevere invece garanzie di sicurezza da una serie di Paesi”. La decisione di far fallire l’accordo è coincisa con la visita di Johnson a Kiev in aprile, durante la quale ha esortato il presidente ucraino Zelenskiy a interrompere i colloqui con la Russia per due motivi principali: Putin è impossibile da negoziare e l’Occidente non è pronto a porre fine alla guerra.

Nel suo articolo, l’autore pone domande che sono diventate sempre più importanti con il progredire della guerra:

“Questa apparente rivelazione solleva alcune importanti domande: Perché i leader occidentali hanno voluto impedire a Kiev di firmare quello che sembrava essere un buon accordo negoziale con Mosca? Considerano il conflitto come una guerra per procura con la Russia? E soprattutto, cosa servirebbe per tornare a un esito negoziale?”.

Nel suo annuncio della mobilitazione parziale, Putin ha dichiarato il 21 settembre 2022:

“Vorrei renderlo pubblico per la prima volta oggi. Dopo l’inizio dell’operazione militare speciale, e soprattutto dopo i colloqui di Istanbul, i rappresentanti di Kiev hanno espresso opinioni piuttosto positive sulle nostre proposte. Queste proposte riguardavano principalmente la garanzia della sicurezza e degli interessi della Russia. Ma una soluzione pacifica ovviamente non piaceva all’Occidente, ed è per questo che a Kiev, dopo aver accettato alcuni compromessi, è stato ordinato di annullare tutti questi accordi”.

In occasione della visita di una delegazione di pace africana il 17 giugno 2023, Putin ha mostrato alle telecamere l’accordo accettato e siglato a Istanbul ad referendum.

CONCLUSIONE: UN’OCCASIONE MANCATA

Sulla base dei rapporti e dei documenti pubblicamente disponibili, non solo è evidente la seria volontà di negoziare da parte dell’Ucraina e della Russia nel marzo 2022. A quanto pare, le parti negoziali hanno persino concordato una bozza di trattato e un referendum. Zelensky e Putin erano pronti a un incontro bilaterale per finalizzare l’esito dei negoziati. In realtà, i principali risultati dei negoziati si basavano su una proposta dell’Ucraina, che Zelenskyy ha coraggiosamente sostenuto in un’intervista con i giornalisti russi il 27 marzo 2022, anche dopo che la NATO aveva deciso di opporsi a questi negoziati di pace. Zelensky aveva già espresso un sostegno simile in precedenza, segno che l’esito previsto dei negoziati di Istanbul corrispondeva certamente agli interessi ucraini. Questo rende ancora più disastroso per l’Ucraina l’intervento occidentale, che ha impedito una fine anticipata della guerra. La responsabilità della Russia per l’attacco, che è stato contrario al diritto internazionale, non è sminuita dal fatto che la responsabilità delle gravi conseguenze che ne sono derivate per i sostenitori occidentali dell’Ucraina deve essere attribuita anche agli Stati che hanno richiesto la continuazione della guerra. La guerra ha ormai raggiunto una fase in cui un’ulteriore pericolosa escalation e un’espansione delle ostilità possono essere evitate solo da un cessate il fuoco. Potrebbe essere l’ultima volta che si riesce a raggiungere una risoluzione pacifica attraverso i negoziati. Ci sono proposte di pace da parte di Cina, Unione Africana, Brasile, Messico, Indonesia e una proposta sviluppata su invito del Vaticano già nel giugno 2022. Il 3 ottobre di quest’anno abbiamo presentato al governo tedesco una nostra proposta di pace che cercava di incorporare tutte le altre proposte di pace avanzate in precedenza. Vedi Porre fine alla guerra con una pace negoziata – La legittima autodifesa e la ricerca di una pace giusta e duratura non sono in contraddizione QUI.

Dopo il fallimento dei negoziati di Istanbul, il corso della guerra e l’attuale momento estremamente critico dovrebbero essere una ragione sufficiente per una comunità mondiale responsabile e per gli Stati membri delle Nazioni Unite per ripensare e premere per un cessate il fuoco e per i negoziati di pace.

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Storico incontro oggi a Riyadh tra il presidente iraniano Raisi e il primo ministro saudita Mohammed bin Salman (MbS) di cui il mainstream non vi dice nulla, di gilbertdoctorow

Storico incontro oggi a Riyadh tra il presidente iraniano Raisi e il primo ministro saudita Mohammed bin Salman (MbS) di cui il mainstream non vi dice nulla
gilbertdoctorow Senza categoria 11 novembre 2023 6 Minuti

Ancora una volta sembra che i media occidentali mainstream stiano aspettando che Washington passi loro il comunicato stampa su cosa dire prima di riferire su uno dei più notevoli sviluppi di notizie internazionali del giorno. Ciò è ancora più sorprendente se si considera che il comunicato stampa utilizzato dai media non occidentali per la loro copertura è stato emesso da… Agence France Presse.

Vedi https://www.ndtv.com/world-news/gaza-in-focus-as-arab-leaders-iran-president-meet-in-saudi-arabia-4565957

Per chi non ha familiarità con i media indiani, ndtv.com è un’emittente in lingua hindi di proprietà del più grande conglomerato commerciale dell’India, l’Adani Group. È probabile che gli europei abbiano sentito parlare di Adani in relazione alla sua filiale per la gestione dei porti marittimi, che intende espandere la propria presenza in Grecia.

Il link qui sopra mi è stato inviato questa mattina presto da WION, l’emittente indiana in lingua inglese, che mi ha chiesto un’intervista per discutere il significato degli eventi che si stanno svolgendo oggi a Riyadh, dove i leader della Lega Araba e dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica (OIC) sono seduti insieme e discutono sul da farsi riguardo alla guerra tra Hamas e Israele. Per quanto riguarda WION, vi segnalo la sede dello studio dei conduttori del programma: Durban, in Sudafrica. Come la CGTN cinese, o come i creatori di tutte le emittenti di notizie globali, la CNN e la BBC, WION ha studi in vari Paesi del mondo, non solo a Mumbai.

La mia intervista video è stata pubblicata su youtube da WION:

È anche sul loro account Meta:

https://m.workplace.com/WIONews/videos/iran-and-saudi-arabia-growing-closer/344895271419817/

Ecco i punti principali.

Il presentatore di WION ha descritto l’incontro di oggi a Riyadh come “storico”, notando che si tratta della prima visita in Arabia Saudita di un leader iraniano in 11 anni. A dire il vero, l’arrivo del Presidente Raisi avviene nell’ambito dell’OIC, di cui l’Iran è membro. Non è chiaro se ci sarà un incontro tra Raisi e MbS. Tuttavia, il fatto stesso di essere accolto a Riyadh rende la giornata memorabile, vista la storia di intensa competizione tra Iran e Arabia Saudita per la leadership nella regione mediorientale e visto che il beneficiario dello scoppio della guerra tra Israele e Hamas è stato l’Iran, a scapito dei sauditi, il cui quasi completamento della normalizzazione delle relazioni con Israele è naufragato con l’attacco di Hamas del 7 ottobre.

Noterete nell’articolo citato sopra lo scetticismo espresso da un portavoce della Jihad islamica sul fatto che l’incontro di oggi a Riyadh possa portare a qualcosa di concreto. Questo è perfettamente vero se per “valore pratico” si intende un accordo sulle misure militari da adottare congiuntamente contro Israele per porre fine alla sua furia mortale a Gaza. Tutti gli attori statali della regione, e persino gli Hezbollah non statali del Libano, si sono dichiarati contrari a un’escalation verso una guerra regionale più ampia.

È proprio qui che la presenza di Raisi all’incontro può reindirizzare la rabbia di tutti gli Stati musulmani della regione per il massacro dei loro fratelli palestinesi da parte delle forze di difesa israeliane dal potere duro al potere morbido. Una settimana fa Raisi ha proposto agli esportatori di petrolio e gas del Medio Oriente di dichiarare un embargo sulle spedizioni verso tutti i Paesi che ora sostengono l’aggressione israeliana. In questo senso, ha preso spunto dal manuale americano, che ha usato ampiamente le sanzioni economiche e commerciali come sostituto della guerra calda per distruggere quei Paesi la cui politica non piace agli Stati Uniti.

Certo, si potrebbe obiettare, un embargo sulle spedizioni verso gli Stati Uniti avrebbe poco significato, dato che il Paese è ora un esportatore piuttosto che un importatore di idrocarburi. Tuttavia, un simile embargo potrebbe avere effetti devastanti sugli Stati membri dell’UE, già a corto di forniture a causa delle sanzioni imposte alla Russia. Come minimo, la minaccia stessa di un embargo potrebbe servire ad allargare il divario tra gli Stati membri dell’UE che si accontentano di seguire Ursula van der Leyen nel suo percorso ideologico verso l’inferno e gli Stati membri dell’UE che hanno ancora una comprensione della realtà oggettiva.

Guardate questo spazio!

©Gilbert Doctorow, 2023

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Le mirabilie di Giorgia_Con Augusto Sinagra

Giorgia Meloni si è offerta al pubblico votante come l’alternativa rifondatrice, il nuovo che avanza. Ha seguito sin dal suo insediamento, oserei affermare, già nelle sue intenzioni, il solco tracciato dai suoi predecessori con qualche marginale aggiustamento di buon senso ed una retorica baldanzosa che non riuscirà a nascondere per molto tempo la sostanza dei suoi indirizzi di governo. Non è stata attraversata nemmeno dalle bizze che hanno colto Salvini a suo tempo, alla scoperta della differenza che può intercorrere tra i proclami e una condotta coerente nell’azione di governo. Una coerenza con gli indirizzi del suo predecessore in un contesto, per meglio dire in un barile ormai abbondantemente raschiato. La novità più importante è, paradossalmente, il sorgere dalle sue fila di una area di opinione legata alla definizione e al perseguimento dell’interesse nazionale e disposta ad aprire un confronto con forze dalle medesime ambizioni, ma con retaggi ideologici a suo tempo preclusivi. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Giorgia nel paese delle meraviglie_Con Augusto Sinagra

La postura assunta dal nostro Presidente del Consiglio cerca di rivestirsi di una solennità e di una autorevolezza che, però, fatica a corrispondere con la realtà e le immagini che ci vengono trasmesse. La collocazione politica del Governo nell’agone mondiale è nettissima. Mostra un asse sempre più stretto con la Gran Bretagna e la attuale leadership statunitense nei contenuti del quale non appaiono chiare contropartite ed evidenti vantaggi per il nostro paese. L’Italia si sta trovando disarmata ed inconsapevole nel guado di relazioni europee dal sapore sempre più conflittuale e trascinata per inerzia ed affinità culturale del proprio capo di governo nelle logiche delle componenti più avventuriste ed oltranziste sulle quali poggiano le forzature statunitensi. All’interno del paese i proclami sbandierati di recupero della sovranità economica e del produttivismo industriale si stanno traformando inopinatamente in una manciata di assistenzialismo compassionevole che non lascia presagire nessun cambiamento serio delle dinamiche socio-economiche se non in peggio. La critica al dilettantismo dei Governi Conte sono il pretesto per una tabula rasa senza alternative. L’abbaglio delle luci della vita di corte sta facendo il resto. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
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Blinken: eccezionalismo USA, scontro fra grandi potenze, e guerra a oltranza in Ucraina, di Roberto Iannuzzi

Già nell’ottobre scorso il sito di Italia e il mondo aveva sottolineato le novità presenti nel piano strategico NSS presentato da Biden e nelle conferenze di Sullivan. Roberto Iannuzzi offre il suo contributo di approfondimento sul tema mettendo a nudo soprattutto l’ipocrisia, le rimozioni sottese e l’istigazione al caos consapevole, presenti nel discorso di Blinken, in questo cambio di paradigma. Una critica più cogente delle scelte dell’attuale leadership statunitense avrebbe bisogno di ulteriori puntualizzazioni:

  • non si tratta di un confronto tra “deregolamentazione” e regolamentazione dell’ordine globale, quanto di diversi modelli di ordinamento e minore arbitrarietà di applicazione di questi
  • il problema fondamentale degli Stati Uniti è quello di mantenere all’interno del proprio sistema di alleanze l’esclusiva dei rapporti di conflitto e cooperazione con le potenze rivali ed avversarie. Attraverso questa chiave andrebbero lette le recenti perorazioni della Yellen, la sua flessibilità nella costruzione dei rapporti con la Cina e l’estremo rigore che al contrario si pretende dai paesi europei.
  • contrariamente a quanto sosterrebbe Blinken nel suo intervento e sulla falsa riga delle tesi del NSS, lo stesso tema della democrazia non sarebbe più il discrimine fondamentale nel determinare la natura dei rapporti internazionali e gli schieramenti, quanto piuttosto l’adesione al proprio sistema di regolamentazione delle relazioni economiche e politiche. Un approccio che stride platealmente con la attribuzione agli avversari e competitori esterni di quella visione totalitaria che si sta cercando di introdurre surrettiziamente al proprio interno. Una caratteristica che indebolisce la vena polemica e la motivazione infusa nel discorso di Blinken

Sta di fatto che l’attuale leadership sta iniziando a porsi il problema di una ricostruzione delle proprie relazioni e dei propri sistemi di alleanze all’interno di una visione bipolare che vede nel binomio sino-russo il polo avversario designato; come pure appare consapevole della necessità di ricostruire in qualche maniera al proprio interno un modello di coesione sociale che garantisca energia necessaria ai propri propositi e all’esterno una ridefinizione della divisione del lavoro circoscritta al proprio polo. Nelle more su questo si segna il destino di paesi come la Germania e l’Italia, ma anche del Giappone; all’interno di questo disegno si deve inquadrare l’azione del Governo Meloni e lo stretto sodalizio che sta costruendo con la Gran Bretagna e gli Stati Uniti. Tornando ai centri decisori statunitensi, li attende un compito immane, difficilmente raggiungibile; ma non va sottovalutata la forza e la capacità di cui ancora dispongono. Lo stesso fatto che si pongano pur tardivamente questi termini porterà ad una ennesima scomposizione e ricomposizione degli schieramenti politici statunitensi, impossibili al momento da prevedere nelle dinamiche e nei contenuti concreti.

La vera ossessione che turba l’attuale leadership è quella di impedire il multipolarismo, il vero incubo di questa amministrazione, ma anche il tema per vari motivi sino ad ora eluso nello scacchiere geopolitico dalle forze emergenti, impegnate a perorare un sistema di regole concordate e non imposte tra i vari attori e un multilateralismo che rifugge da vere e proprie alleanze politiche stabilmente definite, se non contrapposte. Come una delle tante nemesi che avvolgono la storia, è proprio il perdurare dell’oltranzismo e dell’avventurismo statunitense a creare le condizioni del suo avvento o di una sua accelerazione contro tutto e contro tutti. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Blinken: eccezionalismo USA, scontro fra grandi potenze, e guerra a oltranza in Ucraina

Col tramonto dell’egemonia unipolare americana, il manicheismo di Washington richiede un mondo diviso, e un conflitto armato di lunga durata che perpetui questa divisione.

29 set 2023
Il segretario di Stato USA Antony Blinken (2021) (Public Domain)

“Ciò che stiamo vivendo oggi è ben più di una messa alla prova dell’ordine mondiale post-Guerra Fredda, è la sua fine”.

A pronunciare queste parole è stato il segretario di Stato USA Antony Blinken, in un discorso tenuto il 13 settembre alla Johns Hopkins School of Advanced International Studies (SAIS), uno dei “templi” del pensiero strategico americano.

La SAIS fu fondata nel 1943 da Paul Nitze, considerato uno degli architetti della politica di difesa americana durante la Guerra Fredda. Nitze fu il principale autore dell’NSC 68, un documento del Consiglio per la Sicurezza Nazionale che pose le basi per la militarizzazione della Guerra Fredda dal 1950 in poi, con l’espansione del bilancio del Pentagono, lo sviluppo della bomba all’idrogeno e l’incremento degli aiuti militari agli alleati di Washington.

Settantatré anni dopo, Blinken ci pone di fronte alla prospettiva di una nuova, e forse più pericolosa, guerra fredda contro non una, ma due potenze nucleari: Russia e Cina.

Quella di Blinken non è una visione personale, ma riflette quanto già affermato nella Strategia di Sicurezza Nazionale formulata dall’amministrazione Biden nell’ottobre del 2022.

Una crisi senza cause apparenti

Di fronte alla platea della SAIS, Blinken ha decretato la fine dell’era unipolare americana, e l’inizio di una cupa fase di conflitto.

Secondo il segretario di Stato, la fine della Guerra Fredda aveva “portato con sé la promessa di una marcia inesorabile verso una maggiore pace e stabilità, cooperazione internazionale, interdipendenza economica, liberalizzazione politica, e diritti umani”.

Tuttavia, “decenni di relativa stabilità geopolitica hanno lasciato il posto a una crescente competizione con potenze autoritarie e revisioniste”.

Blinken non spiega come ciò sia accaduto, e non fa alcuna autocritica.

Trent’anni di globalizzazione all’insegna della deregolamentazione dei mercati, di ortodossia neoliberista che ha tagliato le tasse alle grandi imprese e favorito le classi più ricche, di delocalizzazione della produzione e conseguente deindustrializzazione che ha duramente colpito la classe lavoratrice, non vengono neanche marginalmente considerati nel discorso di Blinken.

La continua erosione dei salari, della produttività e della partecipazione della forza lavoro, l’aumento esponenziale delle disuguaglianze, la promozione di un’economia di consumo di massa fondata in ultima analisi sul crescente indebitamento degli USA, sono elementi che il segretario di Stato tralascia completamente.

Trent’anni di avventurismo militare, dall’Iraq, ai Balcani, all’Afghanistan, e di interventi diretti o indiretti in Libia, Siria, Yemen, hanno avuto un ruolo determinante nel delegittimare lo status di potenza egemone, e di “leader del mondo libero”, che gli Stati Uniti si attribuivano.

Blinken non fa alcuna menzione di questi fattori che hanno contribuito ad accelerare il tramonto della supremazia unipolare americana.

La sua spiegazione è molto più semplice: “Una manciata di governi che hanno utilizzato sussidi al di fuori delle regole, proprietà intellettuale trafugata, ed altre pratiche distorsive del mercato per ottenere un vantaggio sleale in settori chiave” sono citati fra i responsabili della progressiva perdita di fiducia nell’ordine economico internazionale.

Altri elementi vengono citati da Blinken – le trasformazioni tecnologiche, le disuguaglianze – ma senza in alcun modo indagarne le cause. Si ha la sensazione che si tratti di eventi ineluttabili che è superfluo approfondire.

La “minaccia delle autocrazie”

Per il segretario di Stato americano, le democrazie “sono minacciate” – non dalle scelte compiute dalle élite politiche che le hanno governate in questi decenni, dalla corruzione del processo democratico, e dalla progressiva limitazione dei diritti sotto la spinta di continue ‘emergenze’ terroristiche, economiche, e di altra natura – ma da leader “che sfruttano risentimenti e alimentano paure, erodono magistrature e media indipendenti, arricchiscono reti clientelari, reprimono la società civile e l’opposizione politica”.

Inoltre le democrazie sono minacciate dall’esterno “da autocrati che diffondono disinformazione, usano la corruzione come arma, interferiscono nelle elezioni”.

Fra questi attori, Blinken individua immediatamente i due principali responsabili:

“La guerra di aggressione della Russia in Ucraina rappresenta la minaccia più immediata e più acuta all’ordine internazionale sancito dalla Carta delle Nazioni Unite e dai suoi principi fondamentali di sovranità, integrità territoriale e indipendenza per le nazioni, e diritti umani universali e indivisibili per gli individui”.

“Nel frattempo, la Repubblica popolare cinese rappresenta la più significativa sfida a lungo termine perché non solo aspira a rimodellare l’ordine internazionale, ma sempre più dispone del potere economico, diplomatico, militare e tecnologico per far proprio questo”.

Il 2 aprile 1917, il presidente Woodrow Wilson si rivolse a una sessione congiunta del Congresso americano per chiedere una dichiarazione di guerra contro la Germania, allo scopo di “rendere il mondo sicuro per la democrazia” (secondo quello che in realtà era uno slogan creato da Edward Bernays, esperto di marketing e nipote di Freud, considerato il padre delle “pubbliche relazioni”, e uno degli ideatori della propaganda americana durante il primo conflitto mondiale).

Blinken capovolge lo slogan di Wilson e Bernays, affermando che “Pechino e Mosca stanno lavorando insieme per rendere il mondo sicuro per l’autocrazia attraverso la loro ‘partnership senza limiti’”.

“Ci troviamo quindi in quello che il presidente Biden chiama un punto di svolta. Un’era sta finendo, ne sta iniziando una nuova, e le decisioni che prendiamo ora plasmeranno il futuro per decenni a venire”.

La missione “eccezionale” degli USA

Nella visione manichea del segretario di Stato USA, di fronte a questa sfida non vi è altra strada che quella della contrapposizione.

Non avendo compiuto alcuna analisi sulle ragioni della crisi americana, Blinken non ha difficoltà ad affermare che in questa sfida gli Stati Uniti partono da una “posizione di forza”.

Aderendo pienamente ai principi dell’eccezionalismo USA, egli afferma che “abbiamo dimostrato più e più volte che quando l’America si unisce, possiamo fare qualsiasi cosa”,  e che “nessuna nazione sulla Terra ha una maggiore capacità di mobilitare le altre per una causa comune”.

Tale causa consiste nella promozione di un mondo capitalistico idealizzato:

“Un mondo in cui gli individui sono liberi nella vita quotidiana e possono plasmare il proprio futuro, le proprie comunità, i propri paesi”.

“Un mondo in cui ogni nazione può scegliere la propria strada e i propri partner”.

“Un mondo in cui beni, idee, e individui possono circolare liberamente e legalmente per terra, mare, cielo, e cyberspazio, dove la tecnologia viene utilizzata per conferire potere alle persone, non per dividerle, sorvegliarle e reprimerle”.

“Un mondo in cui l’economia globale è definita da concorrenza leale, apertura, trasparenza, e dove la prosperità non si misura solo secondo il livello di crescita delle economie dei paesi, ma secondo il numero di persone che beneficiano di tale crescita”.

“Un mondo che genera una corsa verso l’alto negli standard lavorativi e ambientali, nella sanità, nell’istruzione, nelle infrastrutture, nella tecnologia, nella sicurezza e nelle opportunità”.

“Un mondo in cui il diritto internazionale e i principi fondamentali della Carta delle Nazioni Unite siano osservati, e in cui i diritti umani universali siano rispettati”.

Che le politiche americane in questi decenni abbiano perseguito e raggiunto obiettivi spesso opposti alla visione idilliaca prospettata da Blinken non è questione che il segretario di Stato ha ritenuto utile affrontare nel suo discorso.

In questa visione in bianco e nero, gli avversari di Washington hanno naturalmente concezioni totalmente contrapposte:

“Essi vedono un mondo definito da un unico imperativo: preservazione e arricchimento del regime. Un mondo in cui gli autoritari sono liberi di controllare, costringere e schiacciare la propria gente, i propri vicini, e chiunque altro ostacoli questo obiettivo totalizzante”.

La visione americana ha valore universale. Chi la contraddice, contraddice principi assoluti:

“I nostri competitori affermano che l’ordine esistente è un’imposizione occidentale, quando in realtà le norme e i valori che lo definiscono hanno un’aspirazione universale – e sono sanciti dal diritto internazionale a cui essi hanno aderito. Costoro affermano che ciò che i governi fanno all’interno dei propri confini è di loro esclusiva competenza, e che i diritti umani sono valori soggettivi che variano da una società all’altra. Essi ritengono che i grandi paesi abbiano diritto a sfere di influenza – che il potere e la vicinanza diano loro la prerogativa di dettare le proprie scelte agli altri”.

Riaffermare il primato di Washington

Una volta appurato che sostanzialmente non vi è dialogo né mediazione possibile con gli avversari dell’America, Blinken passa ad enunciare il piano volto a far prevalere gli Stati Uniti in questa nuova competizione fra grandi potenze.

Nel far ciò, egli elabora ulteriormente i principi enunciati da due suoi colleghi all’interno dell’amministrazione Biden, il segretario al Tesoro Janet Yellen, e il Consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan.

La prima aveva parlato di una forma attenuata di “disaccoppiamento” dalla Cina denominata “de-risking”, ovvero la riduzione dei rischi derivanti da una sovraesposizione delle catene di fornitura occidentali alla Cina.

Il secondo aveva per la prima volta messo in discussione alcuni dogmi neoliberisti del “Washington Consensus”, puntando a “rinnovare la leadership economica americana” attraverso l’introduzione di dazi e sussidi, ed altre misure di politiche industriale (senza tuttavia accennare ad alcuna politica sociale minimamente in grado di affrontare lo squilibrio fra capitale e lavoro in patria).

Partendo da queste basi, Blinken enuncia una strategia volta in primo luogo a rafforzare gli USA al proprio interno, attraverso le già citate misure di protezionismo e politica industriale, a cui affiancare provvedimenti finalizzati al reshoring (ritorno in patria della produzione manifatturiera) e friend-shoring (ridefinizione delle catene di fornitura in modo da riportarle nell’alveo delle alleanze americane).

A questa politica di rafforzamento interno è inscindibilmente legata una strategia di consolidamento delle alleanze all’estero (in primo luogo con gli amici storici di Washington in Europa e nel Pacifico), e di tessitura di nuovi legami con i paesi del Sud del mondo, per sottrarli all’influenza russo-cinese, ed assicurarsi le materie prime necessarie a garantire le catene di fornitura occidentali, la transizione energetica, e gli altri traguardi tecnologici della cosiddetta “quarta rivoluzione industriale”.

Strategia “a geometria variabile”

In questo quadro di rafforzamento delle alleanze, secondo Blinken gli USA devono puntare in primo luogo a rinvigorire la NATO (operazione nella quale il conflitto ucraino gioca un ruolo chiave), il G7 (da egli definito “il comitato direttivo delle democrazie più avanzate al mondo”), e l’UE, oltre a rinsaldare alcune alleanze bilaterali – in particolare con Giappone, Corea del Sud, Israele, Australia, Filippine, India, Vietnam.

In tale sforzo, gli USA devono basarsi su una diplomazia “a geometria variabile” che, nelle parole di Blinken, può essere riassunta così: “per ogni problema, stiamo mettendo insieme una coalizione adatta allo scopo”.

Per il segretario di Stato, più di 50 paesi stanno cooperando per sostenere la difesa dell’Ucraina e costruire un esercito ucraino sufficientemente forte da scoraggiare futuri attacchi.

“Abbiamo coordinato il G7, l’Unione Europea e decine di altri paesi per sostenere l’economia dell’Ucraina e ricostruire la sua rete energetica, più della metà della quale è stata distrutta dalla Russia”.

“Nel frattempo, i paesi europei, il Canada, e altri, si sono uniti ai nostri alleati e partner in Asia per affinare i loro strumenti volti a contrastare la coercizione economica della Repubblica popolare cinese. E gli alleati e i partner degli Stati Uniti in ogni regione stanno lavorando urgentemente per costruire catene di fornitura resilienti, in particolare riguardo alle tecnologie chiave ed ai materiali cruciali per realizzarle”.

Cardine di questa diplomazia a geometria variabile sono i cosiddetti “minilaterals”, accordi “minilaterali” che riuniscono pochi paesi per perseguire obiettivi limitati.

Molti di questi accordi sono in realtà intesi come strumenti che, pur operando distintamente, sono volti nel loro insieme a contenere la Cina, nell’impossibilità di costruire un unico fronte anticinese esteso.

Fra essi spiccano l’AUKUS (patto di sicurezza fra USA, Regno Unito ed Australia volto a far acquisire a quest’ultima sottomarini nucleari), il Quad (partnership diplomatica e militare fra Australia, India, Giappone e USA), e la recente intesa trilaterale fra USA, Corea del Sud e Giappone.

A questi mini-accordi si affiancano partnership più estese come la Partnership of Global Infrastructure and Investment (PGII), il Lobito Corridor in Africa, e l’IMEC, corridoio economico fra India, Medio Oriente ed Europa recentemente lanciato da Wahington al G20.

Tali collaborazioni hanno l’aspirazione di contrastare la Belt and Road Initiative (BRI) cinese, pur non avendone la portata né un equiparabile volume di finanziamenti.

La guerra ucraina come “cardine” del nuovo scontro mondiale

Cerniera essenziale di questa nuova “guerra fredda”, che (sebbene in maniera ancora confusa) vede l’emergere di un’inedita contrapposizione fra blocchi, è il conflitto ucraino.

Nelle già citate parole di Blinken, “la guerra di aggressione della Russia in Ucraina rappresenta la minaccia più immediata e acuta all’ordine internazionale sancito dalla Carta delle Nazioni Unite”.

Egli sottolinea il valore “globale” di tale conflitto, affermando che “l’invasione della Russia ha messo in chiaro che un attacco all’ordine internazionale danneggerà i popoli ovunque”.

E, per certi versi, egli riconosce che, senza questa guerra, gli USA non sarebbero stati in grado di mobilitare i propri alleati nella nuova competizione fra grandi potenze: “Abbiamo sfruttato questa presa di coscienza per riunire i nostri alleati transatlantici e dell’Indo-Pacifico nella difesa della nostra sicurezza, prosperità e libertà condivise”.

Secondo la narrazione di Blinken, “la guerra di Putin continua ad essere un fallimento strategico per la Russia”, anche grazie “al notevole coraggio e alla resilienza del popolo ucraino, e al nostro sostegno”.

La guerra ucraina ha dunque assunto un valore cruciale nella nuova narrazione di Washington.

Avendo l’amministrazione Biden annunciato un inedito scontro globale fra l’Occidente e le potenze “autocratiche e revisioniste” di Russia e Cina, una sconfitta in Ucraina rappresenterebbe un colpo durissimo per la traballante reputazione degli Stati Uniti in questa sfida appena lanciata.

Come ho scritto in un recente articolo,

gli USA hanno a tal punto investito la loro credibilità in questo conflitto, lasciandosi coinvolgere militarmente oltre ogni ragionevole cautela, che un’eventuale vittoria della Russia in Ucraina sarà devastante per il prestigio di Washington e per la coesione del fronte occidentale e della NATO.

Irruzione della realtà

Tuttavia, in Ucraina sono proprio gli eventi sul terreno a non evolvere come Washington si augurava. Pur rifiutando ogni soluzione negoziale, la Casa Bianca non ha una chiara visione di come portare avanti il conflitto.

La controffensiva ucraina estiva ha ottenuto conquiste territoriali minime a fronte di enormi perdite in termini di uomini e mezzi, in massima parte infrangendosi contro l’impressionante sistema di strutture difensive costruito da Mosca.

Se Kiev è ormai drammaticamente a corto di nuove reclute da mandare al fronte, i paesi occidentali che sostengono l’Ucraina stanno seriamente intaccando i propri arsenali, mentre i ritmi di produzione della loro industria bellica non sono al momento in grado di competere con quella russa.

Di fronte a questa realtà, i diversi esponenti dell’amministrazione Biden, da Blinken allo stesso presidente e ad altri, continuano a ripetere il medesimo vago ritornello: gli USA appoggeranno l’Ucraina “per tutto il tempo necessario”.

Dietro l’ostentata sicurezza, vi è tuttavia la crescente (seppur tardiva) presa di coscienza che le tattiche fin qui adottate non hanno funzionato, e che è necessario un cambio di strategia.

La carenza di proiettili di artiglieria e di altri tipi di munizionamento, così come la penuria di uomini, impediranno nei prossimi mesi un’offensiva su vasta scala come quella tentata quest’estate.

Le limitate disponibilità degli arsenali occidentali, e una serie di appuntamenti elettorali che culmineranno con le presidenziali americane del novembre 2024, probabilmente ridimensioneranno il flusso di aiuti militari occidentali diretti a Kiev.

Necessariamente si tornerà ad una guerra di logoramento, nella quale gli ucraini saranno costretti più a difendersi che ad attaccare. Gli strateghi americani stanno già estendendo l’orizzonte temporale del conflitto nelle loro previsioni.

Impasse strategica e rischi di escalation

Allo stesso tempo, l’attenzione dei vertici militari occidentali si sta spostando sugli attacchi con missili a lungo raggio, come gli Storm Shadow britannici, in grado di colpire le retrovie russe e scompaginare le linee di rifornimento di Mosca.

Ciò sta già avvenendo in Crimea. Simili attacchi, tuttavia, non solo vengono effettuati con armi NATO, ma con supporto logistico e di intelligence occidentale, segnando un ulteriore grado di coinvolgimento degli USA e dei loro alleati nel conflitto.

Come ha scritto Hal Brands, docente presso la stessa SAIS dove Blinken ha pronunciato il suo recente discorso, un’intensificazione degli attacchi a lungo raggio, accompagnata dalla prospettiva di una guerra a più lungo termine, comporta l’accettazione di maggiori rischi di escalation.

Tale cambio di strategia, peraltro, molto difficilmente muterà le sorti dello scontro armato. Dopo il fallimento dell’offensiva di quest’estate, Kiev vede crollare le possibilità di riconquistare i territori perduti e si avvia verso una lunga guerra difensiva, che continuerà a prosciugare le sue risorse.

Gli attacchi in profondità in Crimea e in territorio russo, a prescindere dal rischio di escalation che comportano, non altereranno in maniera significativa l’andamento di un conflitto che sta volgendo al peggio per l’Ucraina.

La guerra a oltranza che Washington vuole sostenere nel paese porterà nuove tragedie e un fardello sempre più insostenibile per Kiev, ulteriori rischi di estensione del conflitto, e un progressivo deterioramento del clima internazionale, senza tirar fuori gli USA dal vicolo cieco strategico in cui si sono cacciati.

La Polonia ha scelto il momento giusto per concludere l’indagine sull’incidente di Przewodow dello scorso novembre, di ANDREW KORYBKO

La Polonia ha scelto il momento giusto per concludere l’indagine sull’incidente di Przewodow dello scorso novembre

ANDREW KORYBKO
27 SET 2023

Negli ultimi dieci giorni Kiev ha fatto causa alla Polonia presso l’OMC, Zelensky ha suggerito che il vicino occidentale del suo Paese sta facendo gli interessi della Russia, Varsavia ha cercato di estradare un “eroe” ucraino dal Canada per sospetti crimini di guerra e la Polonia ha concluso che Kiev è responsabile dell’incidente dello scorso novembre che ha ucciso due polacchi. È sufficiente dire che lo sforzo cumulativo di tutto questo è che la percezione media dei polacchi nei confronti dell’Ucraina probabilmente peggiorerà proprio prima delle elezioni nazionali del 15 ottobre.

All’inizio della settimana, Rzeczpospolita ha riferito che gli investigatori polacchi hanno concluso che un missile di difesa aerea S-300 ucraino è responsabile dell’incidente di Przewodow dello scorso novembre, che ha causato la morte di due polacchi e che all’epoca Kiev ha falsamente attribuito alla Russia. Per un brevissimo momento c’è stata la possibilità che scoppiasse la Terza Guerra Mondiale, ma fortunatamente i funzionari polacchi e statunitensi hanno rapidamente smentito le affermazioni del regime. Zelensky ha ancora insistito sul fatto che il Cremlino ha attaccato il territorio della NATO, ma ora la Polonia sa che è stata Kiev.

La tempistica di questa rivelazione non è stata casuale, poiché segue il deterioramento delle relazioni polacco-ucraine da metà settembre. Varsavia ha mantenuto unilateralmente il divieto sulle importazioni agricole ucraine allo scadere dell’accordo temporaneo della Commissione europea della primavera scorsa, il che ha indotto Zelensky a suggerire, durante il suo discorso all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, che la Polonia stesse facendo il gioco della Russia. La Polonia ha poi annunciato che non invierà armi moderne all’Ucraina e i suoi funzionari hanno condannato anche questo regime.

Sebbene abbiano anche riaffermato il loro sostegno al ruolo di Kiev nel condurre la guerra per procura della NATO contro la Russia, l’illusoria fiducia che fino ad allora aveva caratterizzato le loro relazioni bilaterali negli ultimi 19 mesi è andata indiscutibilmente in frantumi. Anche prima di questa rapida sequenza di eventi, il consigliere senior di Zelensky, Mikhail Podolyak, aveva previsto all’inizio di agosto che i legami tra i due sarebbero tornati alla loro natura storicamente competitiva alla fine del conflitto. Non sapeva che sarebbero tornati a quel punto solo sei settimane dopo.

Quest’ultimo sviluppo arriva sulla scia di un altro scandalo collegato alle loro relazioni, dopo che Zelensky ha applaudito con entusiasmo un nazista ucraino che è stato onorato come “eroe” venerdì scorso al Parlamento canadese. Ben presto si è scoperto che si era arruolato volontario in una divisione che ha genocidiato i polacchi, il che ha spinto il Ministro dell’Istruzione polacco a chiedere l’estradizione di questo probabile criminale di guerra. Considerando lo stato attuale delle relazioni polacco-ucraine, questa mossa rappresenta un ulteriore deterioramento dei loro legami.

Negli ultimi dieci giorni, Kiev ha fatto causa alla Polonia presso l’OMC, Zelensky ha suggerito che il vicino occidentale del suo Paese sta facendo gli interessi della Russia, Varsavia ha cercato di estradare un “eroe” ucraino dal Canada per sospetti crimini di guerra e la Polonia ha concluso che Kiev è responsabile dell’incidente dello scorso novembre che ha ucciso due polacchi. È sufficiente dire che lo sforzo cumulativo di tutto questo è che la percezione media dei polacchi nei confronti dell’Ucraina probabilmente peggiorerà proprio prima delle elezioni nazionali del 15 ottobre.

A proposito di queste ultime, il partito di governo “Diritto e Giustizia” (PiS) sta lottando per respingere le forti sfide dell’opposizione “Piattaforma Civica” (PO) e del partito anti-establishment Confederazione. Il partito ha quindi deciso di porre la sicurezza nazionale al centro della sua piattaforma elettorale, il che spiega perché la Polonia si stia finalmente schierando contro l’Ucraina. Le recenti osservazioni del ministro della Difesa Mariusz Blaszczak sulla disputa sul grano possono essere interpretate come l’attribuzione di una dimensione di sicurezza rilevante a questa questione agricola.

Questo approccio è funzionale agli interessi elettorali del PiS nei confronti dei due partiti precedentemente citati, in quanto mira a riaffermare le credenziali di sicurezza nazionale del partito in carica in risposta alle accuse di ipocrisia mosse da PO e a cercare di portare dalla sua parte alcuni dei sostenitori anti-ucraini della Confederazione. L’obiettivo finale è quello di rimanere davanti a PO e contenere l’ascesa della Confederazione, in modo che quest’ultima abbia meno influenza sul PiS nell’ipotesi in cui i due decidano di formare un governo di coalizione dopo le prossime elezioni.

Queste motivazioni elettorali e gli sviluppi associati costituiscono il contesto per comprendere correttamente la tempistica con cui la Polonia ha rivelato che Kiev è responsabile dell’incidente dello scorso novembre che ha ucciso due polacchi. Quest’ultima mossa ha lo scopo di infiammare al massimo il risentimento popolare contro il regime ucraino, ma soprattutto non contro il popolo ucraino, per aiutare il PiS a vincere la rielezione con il più ampio margine possibile.

Il partito al potere sa che probabilmente sarà impossibile contenere completamente questo sentimento nazionalista, ed è per questo che ci sono ragioni per sospettare che ci possano essere ulteriori motivi dietro la sua ultima coltivazione. È possibile che vogliano ottenere il sostegno popolare dopo le elezioni, a patto che vincano e indipendentemente dal fatto che debbano formare un governo di coalizione con la Confederazione, per perseguire i migliori termini commerciali e di investimento possibili con l’Ucraina.

A tal fine, potrebbero fare pressioni per ottenere questo risultato al posto della restituzione da parte dell’Ucraina in bancarotta per l’uccisione accidentale dei due polacchi lo scorso novembre, in assenza della quale il PiS potrebbe minacciare un’escalation della guerra commerciale in corso. L’asso nella manica della Polonia è il controllo di quasi tutti gli accessi di terzi al Paese attraverso le sue vie di comunicazione stradali e ferroviarie, che nessun altro Stato dell’UE è in grado di eguagliare in termini di qualità o quantità, il che porta a ipotizzare che possa ostacolare anche i legami commerciali e di investimento con l’Ucraina fino alla risoluzione della controversia.

Questo sarebbe rilevante soprattutto per quanto riguarda la Germania, che sta facendo un grande gioco di potere in Ucraina a spese della Polonia, come è stato spiegato in precedenza in questa analisi qui. Tenendo conto di questa nuova sfida geostrategica, la Polonia potrebbe prendere seriamente in considerazione questo scenario per tenere sotto controllo la Germania e allo stesso tempo garantire la sua prevista “sfera di influenza” nell’Ucraina occidentale. Il ruolo ufficialmente dimostrato di Kiev nell’incidente di Przewodow fornisce il pretesto perfetto per raggiungere questi due obiettivi.

Anche se il PiS evitasse di sfruttare questa opportunità per qualsiasi motivo, magari a causa delle pressioni americane nel caso in cui Washington si preoccupasse che la disputa polacco-ucraina andasse fuori controllo, il partito probabilmente otterrebbe comunque qualche punto politico grazie alla sua ultima rivelazione. Il fatto è che i polacchi medi ora sanno che il regime di Zelensky ha le mani sporche del sangue dei loro due compatrioti, nonostante le sue smentite, e difficilmente gli perdoneranno di aver cercato di insabbiare la cosa.

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GIU’ LA TESTA, di Pierluigi Fagan

GIU’ LA TESTA. [Settanta anni di storia occidentale in versione condensata] Più l’Occidente perde potere demografico, economico, geopolitico in favore del resto del mondo, più questo “resto” reclama e reclamerà una gestione più democratica del mondo comune.
Più il resto del mondo reclama e reclamerà una condivisione maggiore dei poteri che decidono le cose del mondo, più l’oligarchia del sistema occidentale dissolverà ogni residuo di democrazia interna al proprio sistema.
Più il mondo si avvia a nuovi ordini multipolari, meno democrazia ci sarà in Occidente. Questo perché la “ricchezza delle nazioni” che ordina le nostre società, dipende spesso direttamente, altre volte indirettamente, da quanta porzione di mondo controlliamo come “sistema occidentale”. Meno controllo, meno ricchezza distribuibile, più problemi sociali, quindi meno democrazia.
L’intero movimento storico richiederebbe qui da noi una revisione molto profonda dei nostri modi di essere, dagli individuali ai sociali, dalle istituzioni sociali e giuridiche alle forme politiche, soprattutto, prima, le forme mentali, le immagini di mondo. Stiamo passando ad una nuova epoca storica, ma senza una democrazia tutto questo è impossibile.
La democrazia non è un sistema ad interruttore che c’è o non c’è. Nelle società complesse dovrebbe essere un “tendere a…” con vari gradi di intensità, il continuo rischio di regressione, una lunga scala ascensionale di espansione ed intensione da sperimentare, correggere e riproporre con passi indietro e qualcuno avanti, lungo decenni e decenni.
Quanto alle molto giovani e già appassite “democrazie occidentali”, la forma guadagnata nel dopoguerra ha avuto un certo impeto per i primi tre decenni, poi è stata sistematicamente ridotta e sabotata. La democrazia è un ordine culturale, emerge da un certo modo di essere della cultura (in senso esteso) dei cittadini di uno stato, modo che va coltivato e continuamente evoluto, solo dopo si formalizza in un ordine giuridico, non si compie perché ce l’hai scritto in Costituzione.
La sistematica ed intenzionale erosione democratica degli ultimi quattro decenni è avvenuta perché le élite del sistema occidentale, hanno compreso già da metà anni ‘70 che la triplicazione mondiale della popolazione umana che si è poi compiuta dal dopoguerra ad oggi e l’inevitabile trasferimento al resto del mondo dei modi economici moderni (ben prima della globalizzazione) avrebbero progressivamente chiuso le condizioni di possibilità del sistema di cui loro erano l’oligarchia eletta.
Hanno così varato una doppia strategia adattativa, adattativa per loro. Non vedendo alternative se non rimettendo in discussione i loro unilaterali interessi, le élite hanno stracciato il contratto sociale. Se non si capisce il punto critico, non si capisce la svolta neoliberale . Sappiamo da millenni che certe persone sono avide, non si spiega con l’epidemia di avidità la svolta anni ’80-’90, c’era una razionale.
Da una parte hanno liberalizzato la circolazione dei capitali, i loro, di modo da scommettere sulle crescite di questi nuovi spazi (soprattutto in Oriente, materie prime, scommesse sulle altrui scommesse, nuove tecnologie) ed accumulare così depositi di valore in pochissime mani come forse mai -complessivamente- prima registrato nella storia umana. Oltretutto stoccati in decine e decine di paradisi fiscali quasi tutti, invariabilmente, anglosassoni.
Lo spazio per una crescita continuata della complessiva ricchezza occidentale andava a va a restringersi oltreché per ragioni esterne, per ragioni interne di fine ciclo. Il sistema di economia moderna, come ogni cosa, ha un suo ciclo, non è un ordine eterno. Ha a che fare con umani e natura, enti finiti, difficile trarre un infinito dai finiti. Segue una curva logistica e sempre che poi non si trasformi in una a campana, è una erezione eterna solo nella metafisica economica.
Dall’altra, sapendo che l’intero movimento economico collegato alla loro “globalizzazione” avrebbe generato una pressione restrittiva verso il medio e basso sociale interno, hanno costruito teorie versione migliore dei mondi possibili per dar sostegno a quello che stava succedendo nel mentre hanno cominciato sistematicamente a ridurre quantità e qualità democratica dell’ordine interno. Questa seconda azione era in previsione del quando la narrazione si sarebbe scontrata con gli effetti della diversa realtà. Coi muscoli bolliti, quando la rana realizza che nella pentola il calore è insopportabile, non può più saltar fuori. Noi tutti, oggi, siamo quella rana, ci manca la democrazia per provar a saltar fuori, ci hanno bollito i muscoli democratici a fuoco lento. Ma adesso sono passati direttamente al cervello.
Negli ultimi quaranta anni è crollato il Politico occidentale. Vanno a votare sempre meno persone, più per abitudine che per convinzione o passione politica. La “passione” è un sentimento impossibile oggi da collegare a “politica”. E dire che viene da polis, la nostra forma di vita associata, l’essere in società con estranei e tuttavia, dipendervi, non si vede di cosa di più importante dovremmo occuparci in quanto soci di una società. La qualità della conoscenza distribuita rispetto ai problemi che abbiamo è infima, così il dibattito pubblico che la riflette in modo anche peggiore.
Il pluralismo politico ha perso interamente la sua fazione di sinistra che pure era quella che aveva spinto alla democratizzazione sin dalla Rivoluzione francese, nel movimento primo Novecento per il suffragio universale e poi nel dopoguerra. Il suo centro ha perso in Europa la sua matrice cristiana e sociale ed è diventato sempre più anglo-liberale. La sua destra, un destra che storicamente col concetto di democrazia c’entra poco visto che crede le diseguaglianze “di natura”, è cresciuta in composizione cha va da un confuso nazionalismo sovranista che però poi viene tradito non appena si ottengono posizioni di governo, ad un eterno tradizionalismo conservatore, a qualche esuberanza demagogica che però serve solo a trasformare rabbia repressa in voti per andare a gestire il sistema in nome e per conto l’élite liberale. Magari versione un po’ meno “woke” ma con non meno intenzione nel controllare lavoro, redditi, fisco, leggi, diritti sociali, cultura, democrazia imponendo diseguaglianze in favore del dominio oligarchico.
A fine anni ’70, mentre l’oligarchia americana convocava i vassalli europei e giapponesi per spiegare loro che i gravi e crescenti problemi di governabilità che si andavano a registrare negli anni ’60-‘70 erano dovuti ad un “eccesso di democrazia” (rapporto alla Commissione Trilaterale 1975, parliamo di Samuel Huntington, il “principe” della “scienza” politica di Washington), un astuto cinese dal nome Deng Xiaoping, che aveva studiato in Francia per “Imparare la conoscenza e la verità dell’Occidente per salvare la Cina”, cominciò a trapiantare semi di sistema economico moderno nel suo paese andato incontro a seriali fallimenti a seguito della applicazione delle idee marxiste-leniniste-maoiste in economia. Quel complesso teorico di audaci ambizioni era validissimo sul piano teorico e su quello critico, ma del tutto fallimentare sul piano economico. A seguire, la svolta cinese si è espansa al Sud Est asiatico e poi a tutto l’ex-Terzo Mondo. Quel Sud Globale che oggi reclama più democrazia nella conduzione dell’ordine del mondo agli stessi che negli ultimi decenni l’hanno contratta nei nostri paesi.
Quello di Deng era “capitalismo”? Purtroppo, definire “capitalismo” porta via interi boschi per trarne carta su cui scrivere definizioni poi da rivedere, collegare tra loro, precisare, ambientare in storia e geografia, con spruzzi antropo-culturali e vari tipi di distinzioni tassonomiche che si perdono nelle varie eccezioni a gran sempre più fine; quindi, alla fine, è un imprendibile ed imprecisabile concetto-saponetta e quindi la domanda non ha senso. Basta andare in libreria o biblioteca e vedere quanti si sono periti di dar la loro definizione che è sempre parziale ed incompleta, da più di un secolo e mezzo. È un ordine economico? Sociale? Politico? Geopolitico? Culturale? Storico? Religioso? Il concetto così formulato è inservibile. Ce lo scambiamo con l’aria di chi capisce bene cosa intende, ma credo non sia così, è ormai un vago “luogo comune” per giochi linguistici sociali. La diagnosi su “in quale sistema viviamo?” non è chiara, ovvio non lo si sappia gestire diversamente.
C’è una differenza fondamentale tra sistema cinese e sistema occidentale e non è nell’economia ma nella relazione tra economia e politica. Nel sistema cinese, c’è una economia di tipo moderno-occidentale, con più o meno Stato e relativo mercato, ma l’ordinatore finale della società è politico, è nel Partito Comunista Cinese, partito unico che ha in esclusiva tutte le chiavi ordinative in mano (giuridiche, militari, fiscali). Nel sistema occidentale, invece, la forma economica è solo di mercato (tutt’altro che smithiano, in realtà corrotto, manipolato, mono o oligopolista, spesso aiutato dallo Stato in vari modi), ma soprattutto la politica è decisa dall’economia, non dai cittadini. In Occidente, Il partito unico che ha tutte le chiavi in mano, è fatto dai funzionari del sistema che garantisce ad una ristretta élite di accumulare sempre più ingenti quantità di capitale e potere, qualunque cosa succeda nel mondo e nel mercato stesso. Anzi, tanto più è difficile sfruttare il mondo come è stato fatto per almeno tre secoli, tanto meno funziona il mercato interno, tanto più potere e capitale vogliono accumulare temendo l’implosione sociale o ambientale o geopolitica e quindi tanto meno democrazia possono sopportare.
I cittadini debbono veder svanire il loro peso politico democratico e subordinarsi sempre più, lavorare sempre di più, guadagnare sempre di meno, rendersi flessibili e morbidi, pensare sempre meno, discutere sempre meno, stare con la testa china su qualche device elettronico per sognare o sfogarsi. Al limite, possono scrivere contro l’ennesima ingiustizia, fare “critica culturale” o denunciare le trame oscure di quelli di Davos. Possono cioè “criticare”, così certificano che qui da noi c’è la libertà. È la democrazia “liberale” ovvero la dittatura della minoranza per evitare quella della maggioranza.
Negli ultimi due anni, abbiamo visto l’Europa, sistema storico che ha all’incirca più di due millenni ed a lungo dominante, disintegrare ogni propria autonomia in favore dell’élite americana. Tre giorni dopo l’inizio della voluta guerra in Ucraina, l’Europa si è “consegnata” ed è oggi una inerte e vassalla propaggine del sistema americano. Gente che solo fino a tre anni fa era convinta che tutto il mondo fosse un mercato post-storico destinato a sciogliere gli stati centralizzati in favore di nebulose di città-Stato profumate di innovazione, scambi senza frontiere e gobal-cosmopolitismo, ora sbava urlante per produrre più carri armati, più missili, più bombe per dar una lezione alle odiate autocrazie e difendere le nostre prerogative di “civiltà”.
Alcuni studiosi hanno scritto analisi e libri sul quanto repentino e profondo fu il cambio di mentalità tra primavera ed autunno del 1914. Speriamo sia vera quella battuta delle ripetizioni di tragedie in farse, letterariamente suona bene ma nei fatti non ne sarei così sicuro. Dopo due conflitti mondiali di origine intra-occidentale, c’è sempre la possibilità del “non c’è due senza tre”, è nella nostra poco compresa e scabrosa genetica storico-culturale.
Siccome qui in Occidente non siamo cinesi ovvero non abbiamo quella storia, geografia e cultura, da noi è impensabile un sistema politico con un partito unico per giunta socialista o addirittura comunista, almeno nelle dichiarazioni. Da noi, invertire le relazioni tra politica ed economia, avrebbe dovuto vedere una cosciente, forte e costante pressione di massa per evolvere e migliorare la nostra democrazia.
Ma le élite a partire da quelle di Washington, proprio cinquanta anni fa decisero che questa strada doveva esser percorsa al contrario. La sinistra che pure aveva contribuito a svilupparla ed un po’ se l’era trovata in atto per reazione al collasso bellico, che più di ogni altra parte politica avrebbe dovuto strenuamente difenderla, non avendone una teoria nei sacri testi tutti di economia e con un po’ di “rivoluzione” qui e lì, non si è accorta di niente. Ha continuato la sua “critica al capitale”, una sorta ormai di inoffensiva contro-religione negativa ai cui officianti non si nega una cattedra universitaria, con le sue sterili e formali dispute scolastiche che non interessano nessuno ed annichiliscono ogni fluttuazione sociale perché non conforme alle previsioni dei sacri testi. Questo nella sinistra intellettuale che sognando il superamento del capitalismo intanto s’è fatta scippare la minima democrazia.
Quella che interpreta weberianamente la politica come professione, s’è invece adeguata presto alla versione di una economia sempre più per pochi, sempre più ricchi, sempre più potenti, un modo economico sempre meno sociale e sempre più individualista ed americano. Una sinistra senza identità perché non ha un chiaro progetto sul mondo (del resto visto che i teorici s’impegnano solo in critica cosa vuoi che sappia costruire?), votata sempre meno perché se devi avere ad ordinamento il sistema di mercato allora scegli chi di quel sistema è conseguenza o al limite, la sarabanda di destra che tanto non mette certo in discussione i fondamentali e si dedica ai “valori” immateriali. Un po’ più armi e crocifissi ed un po’ meno gay e migranti.
Senza una minima forma di reale democrazia non possiamo dire niente, fare niente, decidere niente, cambiare niente. C’è gente che è morta, nella storia, per averla e darcela in eredità. Noi l’abbiamo persa come si perde il tempo, senza accorgersene. I posteri si domanderanno dove avevamo la testa…

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Disfare la Francia senza fare l’Europa . Hajnalka Vincze

Disfare la Francia senza fare l’Europa

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Hajnalka Vincze (*)

Specialista in relazioni transatlantiche

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Se le dichiarazioni del Presidente Macron sulla “sovranità” (sovranità europea, cioè) sono un dato di fatto, il concetto di autonomia strategica, sostenuto da Parigi per decenni, sta conquistando cuori e menti. Meglio ancora: “la battaglia ideologica è stata vinta”, si vanta. Ma qual è la realtà?

Un contesto contraddittorio
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Il capo di Stato ha approfittato della sua visita in Cina lo scorso aprile per gettare una nuova chiave di volta nella mischia internazionale (cfr. “Macron esorta gli europei a non considerarsi “seguaci” degli Stati Uniti”, Politico.eu, 9 aprile 2023). I suoi commenti, secondo i quali l’Europa nel suo complesso dovrebbe prendere le distanze dall’alleato americano, non erano rivolti esclusivamente alla situazione con la Cina e Taiwan. L’obiettivo era quello di dare un tono a una serie di colloqui cruciali in Europa. A seguito degli sviluppi globali degli ultimi anni, le idee francesi sull’autonomia europea stanno guadagnando terreno… nella retorica. In questo caso, Emmanuel Macron sta usando la situazione nell’Indo-Pacifico per ribadire il concetto: “La cosa peggiore sarebbe pensare che noi europei dovremmo essere dei seguaci”. Le sue dichiarazioni arrivano in un momento di intensi negoziati europei su questioni decisive dal punto di vista dell’autonomia. Essi contrappongono la Francia, spesso sola, a una maggioranza guidata dal gruppo polacco-baltico-nordico.

Per Parigi, questa o quella crisi esterna non deve rimettere in discussione il lavoro a lungo termine della diplomazia francese, che si spera stia per trionfare. Emmanuel Macron teme che “nel momento in cui sta chiarendo la sua posizione strategica”, l’Europa sia “presa da uno sconvolgimento del mondo e da crisi”. Potrebbe trattarsi dell’Ucraina o della Cina. Per quanto riguarda il chiarimento delle posizioni sull’autonomia strategica, i due campi hanno valutazioni diametralmente opposte della situazione. Da un lato, gli shock degli ultimi anni – la presidenza Trump, il perseguimento dell’approccio “America first” da parte dell’amministrazione Biden, la pandemia e la guerra in Ucraina – hanno evidenziato la necessità di evitare dipendenze e vulnerabilità. D’altra parte, in risposta alla guerra in Ucraina, l’Europa sta “facendo la NATO”. Per usare il termine coniato da Nicole Gnesotto, ex direttore dell’Istituto per gli studi sulla sicurezza dell’UE, stiamo vivendo un “momento atlantico”.

Photo MinArm.

Il progresso e i suoi limiti
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In linea con la prima caratteristica della situazione attuale, ossia la crescente consapevolezza della posta in gioco geopolitica, questioni finora vietate o bloccate nell’UE vengono messe all’ordine del giorno e affrontate – rispetto al normale ritmo delle istituzioni europee – con una rapidità senza precedenti. Semiconduttori, supercomputer, materie prime, fisica quantistica, acquisti congiunti di armi: tutto è sul tavolo e per una volta non ci sono tabù. Secondo Emmanuel Macron: “Da un punto di vista dottrinale, giuridico e politico, credo che non ci sia mai stata una tale accelerazione del potere europeo”. Forse è un’affermazione un po’ affrettata.

Da un lato, perché stiamo assistendo agli stessi vecchi blocchi in una veste diversa. Gli Stati membri che finora hanno rifiutato l’idea dell’autonomia cercano ora di snaturarla, inserendovi delle qualifiche. Si parla di autonomia “aperta”, che consentirebbe l’accesso a progetti e fondi europei a Paesi terzi, in particolare agli alleati della NATO non appartenenti all’UE. D’altra parte, c’è il rischio che questo grande slancio si trasformi in una corsa a perdifiato. Anche a causa delle richieste di generalizzazione del voto a maggioranza qualificata, con il pretesto dell’efficienza. Questo nonostante il mantenimento della regola dell’unanimità nei settori strategici sia l’unica salvaguardia rimasta per coloro che, spesso solo in Francia, si oppongono alla rinuncia all’autonomia. Senza questa regola, la maggioranza bloccherebbe l’intera Europa in una posizione di dipendenza, prima dall’America e poi da qualsiasi altra potenza in futuro.

Punti di forza e contro-forza
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Per quanto riguarda la dipendenza dell’Europa dagli Stati Uniti, che non è diminuita di una virgola dalla fine della Guerra Fredda, Charles Kupchan (direttore degli Affari europei presso il Consiglio di sicurezza nazionale sotto i presidenti Clinton e Obama) osserva: “Il controllo della sicurezza è il fattore decisivo per determinare chi è al posto di guida”. L’autore principale della Strategia di Difesa Nazionale degli Stati Uniti del 2018 è ancora più schietto. Per Elbridge Colby: “La sicurezza fisica è la chiave di volta di tutti i valori e gli interessi; senza di essa, la libertà e la prosperità non possono essere godute e possono persino essere perse del tutto”. Naturalmente, continua, “il potere duro non è l’unica forma di potere, ma è quella dominante”. Non è un caso che, mentre gli sforzi dell’UE mirano a “un certo grado” di autonomia nei blocchi tecnologici civili, Washington rimanga concentrata a tenere sotto controllo la dimensione militare di tale autonomia.

L’America sta consolidando il suo predominio in materia di sicurezza: la guerra in Ucraina ha confermato il suo ruolo di protettore finale, attraverso l’articolo 5, e ha rafforzato la sua posizione di “prima potenza europea”. Almeno per il momento, e con molte incertezze a medio e lungo termine. Le questioni relative agli armamenti stanno diventando più cruciali che mai: questo è sempre stato il settore in cui si gioca concretamente il rapporto di dipendenza asimmetrica tra gli Stati Uniti e gli alleati europei. Con il moltiplicarsi delle iniziative e dei finanziamenti dell’UE, la spinosa questione dell’accesso di terzi (nota come “criteri di ammissibilità”) si fa sempre più acuta. I fondi erogati rimarranno all’interno dell’Unione, per rafforzare il suo DTIB autonomo, o, al contrario, saranno utilizzati per acquistare dall’estero, anche se questo significa aumentare la dipendenza e la vulnerabilità? Purtroppo, per rimanere nelle grazie di Washington, la stragrande maggioranza dei Paesi europei preferisce tradizionalmente la seconda opzione.

Vedere un giorno i soldati europei con le stesse armi e la stessa uniforme: che strana idea! Foto DR
;Poiché il tema coinvolge i fondi europei e si estende alla sfera industriale ed economica, la Commissione si sta impegnando, su impulso di Thierry Breton, a favore dell’autonomia, ma mantiene il dibattito su un piano tecnico. In questo contesto, le dichiarazioni del Presidente Macron sono state viste come una manna dal cielo in America. Una tale presa di posizione pubblica conferisce alla questione la sua vera dimensione politica. I Paesi europei, preoccupati soprattutto di inimicarsi Washington, sono più inclini a cedere durante negoziati silenziosi presentati come tecnici che non quando la posta in gioco dell’autonomia viene esposta alla luce del sole.Tanto più che gli Stati Uniti hanno grandi ambizioni. Secondo la sua Strategia di Difesa Nazionale 2022: “I nostri alleati devono essere incorporati in ogni fase della pianificazione della difesa” per promuovere “la ricerca e lo sviluppo collettivi, l’interoperabilità, la condivisione delle informazioni e l’esportazione di capacità chiave”. L’obiettivo è quello di raggiungere ciò che i responsabili dall’altra parte dell’Atlantico chiamano “intercambiabilità”. Un’armonizzazione tale da rendere intercambiabili persone, dottrine ed equipaggiamenti, ignorando le particolarità nazionali. Ciò consentirebbe una postura di difesa realmente “integrata” tra gli alleati, creando le condizioni per un allineamento politico senza soluzione di continuità.Il rischio?
?

Dal punto di vista formale, le parole del Presidente francese – vale a dire il monito a non “seguire ciecamente” e il rischio di diventare “vassalli”, nonché l’ingiunzione a “pensare con la propria testa” e a “non lasciarsi trascinare in crisi” che non sono le nostre – ricordano innegabilmente “una certa idea” della diplomazia francese. Solo che nel caso di Emmanuel Macron non sappiamo ancora quale sia la sostanza. Troppo spesso ha lasciato intendere in che modo l’autonomia della Francia e dell’Europa debbano essere articolate. Come i suoi immediati predecessori, si è lasciato sedurre dall’idea di assecondare i partner europei rosicchiando il margine di manovra sovrano della Francia, nella speranza che in cambio accettassero di progredire sulla difesa europea. Questa scommessa è stata tentata e persa più volte. Concedere anche la minima concessione sulle questioni cruciali in gioco in questi giorni porterebbe al peggiore dei due mondi: sconfiggere la Francia, senza nemmeno fare l’Europa.

 


 

(*) Hajnalka Vincze, Senior Fellow au Foreign Policy Reserach Institute (FPRI) de Philadelphie, est une analyste indépendante spécialisée dans la politique européenne et les relations transatlantiques. Ses écrits sont publiés en Europe et aux Etats-Unis. En France elle contribue régulièrement au magazine DefTech, ainsi qu’aux revues Défense & Stratégie et Engagement.

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Analisi dell’intensificarsi della campagna di attacco alla Crimea da parte dell’Ucraina, di SIMPLICIUS THE THINKER

C’è stata una forte accelerazione degli attacchi alla Crimea, mentre l’Ucraina si concentra ancora una volta sul fornire una vittoria mediatica tangibile per coronare il grande tour nordamericano di Zelensky. Questo per evitare che faccia brutta figura quando sarà messo alle strette durante il suo importantissimo e forse ultimo circuito di elemosine.

Il teatro del Mar Nero in generale ha subito un’escalation, quindi sarebbe istruttivo scavare un po’ più a fondo e aggiornarci su ciò che sta accadendo in quel corridoio negli ultimi tempi.

Ci sono diverse categorie distinte, in particolare gli attacchi contro i mezzi navali e quelli contro i mezzi terrestri statici come i quartieri generali e le batterie di difesa aerea russa. Gli attacchi sono stati più forti e forse anche più riusciti di quanto molti filorussi vogliano ammettere, poiché ce ne sono stati un paio che sono passati sottotraccia e che il Ministero della Difesa russo ha fatto un lavoro accurato per nascondere sotto il tavolo.

Uno è stato l’attacco del 20 settembre alla parte nord di Sebastopoli:

Immagini satellitari prima e dopo l’attacco missilistico AFU Storm Shadow di ieri contro il posto di comando della Marina russa a nord di Verkhnosadove, in Crimea (44.714735, 33.704408).
Come si può vedere qui sopra, le fonti ucraine affermano che si tratta di un “posto di comando della Marina russa”, ma non c’è stata alcuna conferma di ciò che ho visto e sembra dubbio, soprattutto data la sua strana posizione. In ogni caso, qualunque cosa fosse, sembrava essere stata colpita con successo da un missile Storm Shadow.

Ci sono stati anche alcuni falsi attacchi che sono stati completamente smentiti. Per massimizzare e amplificare l’effetto propagandistico del paio di attacchi riusciti, gli account bot filo-ucraini hanno diffuso diversi altri presunti attacchi a campi d’aviazione russi in Crimea. Uno di questi è stato addirittura smentito da una nota della comunità di Twitter:

Questo è solo un promemoria per ricordare che ogni “attacco” deve essere attentamente esaminato e verificato, in quanto una gran parte, e oserei dire addirittura la maggioranza, di essi sono solitamente falsi. Ecco perché anche l’attacco al porto di Sebastopoli, che ha colpito la nave e il sottomarino Rostov e Minsk, era sospettato di essere stato falsificato, in particolare per le foto apparentemente photoshoppate del sottomarino.

Passiamo ora a questo attacco e arriviamo al recente colpo al quartier generale della Flotta del Mar Nero. Sono state colpite la nave da sbarco Minsk della classe Ropucha e il sottomarino Rostov-on-Don della classe Kilo.

Ne ho già parlato un po’. Una cosa interessante da notare è che la nave da sbarco russa Olengorsky Gornyak, precedentemente colpita da un drone navale ucraino, è già tornata in superficie dopo una riparazione più rapida del previsto:

Questo è l’enorme buco che la nave ha subito nello scafo:

E questo è stato risolto in un mese o poco più. E questo dopo che gli ucraini avevano riso e scherzato dicendo che era “fatta” e che sarebbe stato un fallimento. Anche il Ministero della Difesa russo ha dichiarato che riparerà i danni sulle navi presenti.

Per quanto riguarda la Rostov e la Minsk, la TASS ha rilasciato una dichiarazione ufficiale secondo la quale il sottomarino non ha subito alcun danno catastrofico e i suoi tempi di riparazione precedenti non sarebbero stati intaccati:

🇷🇺🚤 I danni subiti dal sottomarino “Rostov-on-Don” della Flotta del Mar Nero il 13 settembre non sono critici e non prolungheranno in modo significativo i tempi di manutenzione previsti. Questa informazione è stata fornita alla TASS da una fonte del complesso industriale della difesa: “Il sottomarino presenta danni minori che non hanno intaccato la robustezza dello scafo. L’intervistato ha precisato che è in corso una valutazione dell’entità dei prossimi lavori di riparazione per l’altra nave colpita dall’attacco ucraino, la grande nave da sbarco “Minsk” della Flotta del Baltico.
Alcuni sono scettici, ma dobbiamo aspettare e vedere. In ogni caso, il sottomarino è rimasto in quel bacino di manutenzione per circa un anno, non è che lo sciopero abbia messo fuori uso una componente attiva della flotta.

Ora l’Ucraina ha colpito il quartier generale della flotta del Mar Nero. Prima un po’ di contesto e poi entreremo nel vivo della questione: come fa l’Ucraina a fare questo?

Il Ministero della Difesa russo sostiene che sono stati abbattuti 7/10 missili. È probabile che ciò sia vero, poiché altri video di testimoni oculari, come quello sopra riportato, hanno mostrato molte esplosioni nel cielo, suoni di missili intercettati dalla difesa aerea, mentre le foto satellitari post-operatorie del BDA hanno mostrato che solo 2 o al massimo 3 colpi sono stati inflitti all’edificio stesso:

La chiave per capire come l’Ucraina sia in grado di colpire questo QN è la vicinanza alla costa:

Si può notare che l’edificio si trova quasi direttamente sull’acqua. Ecco una mappa ingrandita per capire la sua posizione spaziale:

Ciò significa che l’area è priva di una linea di difesa aerea avanzata, perché si trova proprio ai margini di quella che sarebbe considerata la linea di contatto.

Normalmente, i mezzi critici per la missione, come il quartier generale, sono posizionati nelle retrovie della linea del fronte. In questo modo, una rete di sicurezza composta da più strati di difese aeree integrate può tamponare il quartier generale, in modo che, anche se si tratta di un missile a bassa quota, veloce o furtivo, possa essere mancato dal primo strato, ma alla fine verrà rilevato mentre vola su diversi strati di copertura della rete radar sovrapposta. Per esempio, la prima linea di difesa dell’area può rilevare qualcosa, ma non essere in grado di rispondere abbastanza velocemente da abbatterlo. Ma almeno trasmetteranno le informazioni alle difese successive, che riceveranno i dati radar fusi con i loro sensori o un semplice avviso verbale dell’arrivo di un oggetto, consentendo loro di posizionarsi e prepararsi molto meglio per intercettarlo.

Ma a causa dell’ovvia impossibilità di farlo quando il vostro quartier generale si trova proprio sull’acqua, ciò significa che Sebastopoli è situata in una posizione particolarmente esposta e pericolosa, per la quale non ci può essere alcun AD o “preavviso”. Ciò significa che quando arrivano i missili, ci sono solo pochi secondi di vantaggio, e dato che si è detto che gli attacchi erano a saturazione e includevano droni da altre direzioni e i missili esca ADM-160 Mald, diventa estremamente difficile difendere tutto questo senza alcuna copertura in avanti.

Rybar ha illustrato come sono stati effettuati gli attacchi.

Sappiamo da rapporti passati che un sistema russo S-300/400 esiste da qualche parte sulla penisola di Tarkankhut in Crimea, dove si trova l’icona del drone sulla mappa qui sopra. Si tratta di un’area che “sporge” e che dovrebbe garantire una copertura in avanti del Mar Nero. Il problema è che, come ho spiegato la volta scorsa, i missili a bassa quota permettono ai radar di individuarli al massimo a circa 30-40 km. Questo a prescindere dalla potenza del sistema radar, per la semplice fisica del funzionamento degli orizzonti radar.

Puoi effettuare da solo il calcolo:

Questo esempio mostra che un sistema radar con un’altezza della parabola di 10 piedi vedrà un bersaglio che vola a 150 piedi di altitudine solo a 35 km circa. Il problema è che, come si può vedere dalla mappa di Rybar, la traiettoria aggira la copertura radar in modo tale che la distanza dal “punto di attacco” degli S-300/400 al punto in cui passerebbero i missili è di oltre 80 km:

Inoltre, lo Storm Shadow sembra volare spesso a una distanza inferiore a 150 km, il che renderebbe la distanza di rilevamento ancora maggiore.

Rapporto completo:

11 bombardieri Su-24M sono decollati dall’aeroporto di Starokostyantyniv, cinque dei quali erano portatori di missili da crociera Storm Shadow/SCALP. Dopo aver volato fino al confine tra le regioni di Odessa e Mykolaiv, i velivoli si sono divisi: nove sono rimasti nella zona, mentre un paio sono andati a sud verso Ochakiv. 8 Storm Shadows sono stati lanciati verso le 12:00 in Crimea. Allo stesso tempo, i gruppi di ricognizione di Medvedi PMC hanno notato che due Su-24M, volando a bassa quota a circa 40 m sopra l’acqua, hanno effettuato lanci sul Mar Nero. Prima di ciò, gli aerei ucraini hanno sparato tre missili AGM-160 MALD per ingannare la difesa aerea. Gli equipaggi della difesa aerea Pantsir-S1 della 31esima Forza Aerea e della Divisione di Difesa Aerea hanno abbattuto cinque missili da crociera sopra Capo Tarkhankut e l’aeroporto di Belbek. 3 Storm Shadows sono caduti nell’area di Verkhnesadovoye – l’obiettivo era probabilmente un ex impianto militare vicino al villaggio. Poche ore prima dell’attacco, da Kherson è decollato un drone da ricognizione di tipo sconosciuto che, doppiando Capo Tarkhankut, ha allestito un’area di pattugliamento a ovest di Kacha e ha diretto gli aerei. È molto probabile che sia stato abbattuto dai sistemi di difesa aerea. Questo attacco dimostra un leggero cambiamento nelle tattiche dei missili da crociera. In precedenza, questi raid di massa venivano effettuati di notte o al mattino presto, ma non di giorno. E il volo dei bombardieri a bassissima quota è qualcosa che gli equipaggi ucraini hanno praticato per molti mesi, cercando di sfruttare le lacune dei sistemi di rilevamento della difesa aerea.
Quanto sia accurato quanto sopra, è impossibile dirlo con certezza, ma il succo generale dell’attacco è probabilmente quello che è successo. Il punto più importante riguarda le basse quote di volo, particolarmente facili da raggiungere sulla superficie piatta e calma del mare, dove gli aerei e i missili non devono preoccuparsi di schivare le ostruzioni topografiche e geografiche, ecc.

Come ho detto, a causa di questa pratica, è fisicamente e scientificamente impossibile per un sistema radar rilevarli a buona distanza, perché gli oggetti che volano bassi sono semplicemente oltre l’orizzonte a causa della curvatura della terra, e i raggi radar non possono individuarli.

Se a questo si aggiunge il problema, descritto in precedenza, di non avere una zona di copertura frontale a causa della particolarità di trovarsi in riva al mare, diventa molto difficile difendersi dagli attacchi di saturazione.

Esiste tuttavia una soluzione che può fornire una copertura frontale. E questo è un settore in cui la Russia sta probabilmente fallendo: Gli AWAC. Una copertura 24/7 degli AWAC permetterà all’aereo di sorvolare la Crimea e, grazie all’altezza del suo radar, di vedere tutto ciò che vola sul Mar Nero fino a Odessa e oltre, senza problemi. Questi radar hanno la modalità “look down”, che significa che possono scansionare verso il basso qualsiasi cosa si muova sulla superficie dell’oceano, sia essa una nave o un missile.

Ma ho già detto che la Russia ha un problema di AWACS. Secondo quanto riferito, ne ha solo ~15 o meno. Tuttavia bisogna aggiungere le seguenti considerazioni:

Tutti gli aerei hanno una certa percentuale di prontezza del 30-70% al massimo, che rappresenta quanti dei velivoli sono volabili in un dato momento, rispetto a quelli che sono in riparazione, ecc.

La Russia ha bisogno di alcuni di questi aerei per tutto il suo lungo confine, anche nell’estremo est contro la NATO, così come nel nord dove si svolge un’intensa attività della NATO intorno ai Baltici, per non parlare dei distretti occidentali per proteggere il fianco occidentale di Mosca.

La Russia ne ha bisogno anche lungo l’intero confine dell’OMU, compreso il nord dell’Ucraina. Per esempio, abbiamo visto dal tentativo di sabotaggio che la Russia ne tiene alcuni in Bielorussia per sorvegliare il fianco settentrionale.

Un singolo aereo non può volare 24 ore su 24, 7 giorni su 7, per ovvie ragioni. Ciò significa che anche per pattugliare una sola area senza vuoti di copertura, sono necessari diversi aerei (forse almeno 3) che possono ruotare uno dopo l’altro in turni di 8 ore, ecc.

Considerati tutti questi fattori, se assegniamo la quantità appropriata di aerei a ciascuna zona necessaria, così come i tassi di prontezza che relegherebbero una parte della flotta in uno stato di inattività – in fase di revisione, aggiornamento, riparazione, ecc – possiamo presumere che solo 1 o 2 aerei massimi saranno probabilmente disponibili per il teatro della Crimea e probabilmente risulteranno in ampi vuoti di copertura.

La Russia sta sviluppando e costruendo da molto tempo gli aggiornamenti successivi all’A-50, l’A-50U e l’A-100. Perciò è stata una grande notizia che, secondo quanto riferito, sulla scia degli attacchi di Sebastopoli, la Russia abbia annunciato il lancio di un A-50U nuovo di zecca.

Si suppone che si tratti di una variante molto più avanzata e modernizzata, con un radar migliore, in particolare per quanto riguarda le capacità di look-down. Per ora si tratta solo di un passaggio di consegne, ma se la Russia riuscirà a continuare a produrli, contribuirà notevolmente a mettere in sicurezza la regione dagli attacchi missilistici.

Si noti che, ancora una volta, l’Ucraina non è stata in grado di riprendere gli attacchi. Perché? La Rostov e la Minsk sono ancora ferme nello stesso ormeggio a Sebastopoli, facile preda di altri missili, soprattutto se si considera che la Russia intende ripararle. Sicuramente l’Ucraina sarebbe molto motivata a finire quelle navi.

È un gioco del gatto e del topo. L’Ucraina può condurre un attacco di successo solo una volta ogni tanto, quando i partner di 5-Eyes adottano tutte le misure di sorveglianza appropriate e tutto è pianificato in anticipo con un “vuoto” di copertura disponibile da qualche parte.

Per quanto riguarda il quartier generale della Flotta del Mar Nero, la Russia afferma che l’edificio era vuoto, mentre l’Ucraina sostiene il solito: centinaia di persone sono state uccise, compresi importanti generali. Non ci sono prove di questo. In realtà, sembra che la Russia sia stata avvertita direttamente dell’attacco, quindi un’evacuazione – se l’edificio fosse stato utilizzato – avrebbe avuto senso. Il motivo per cui lo sappiamo è che prima dell’attacco sono state rilevate strane cortine fumogene nell’area, di cui io stesso non conosco ancora al 100% lo scopo:

Ma se la Russia sapeva che un attacco era in arrivo e ha preso le misure di evacuazione appropriate, allora come può essere accurata la nostra precedente tesi sull’assenza di preavviso da parte delle difese aeree?

È difficile dirlo con certezza, ma le cose stanno così. La Russia dispone di altre capacità, sia di SIGINT spaziale che di HUMINT a terra (proprio come l’Ucraina), che possono notificarle i decolli di massa di mezzi d’attacco ucraini dalle loro basi. Tuttavia, una volta decollati, non è possibile tracciare in modo granulare gli effettivi lanci di missili e i loro vettori/obiettivi senza disporre di uno scudo AD più specifico.

Probabilmente la Russia dispone anche di capacità radar OTH che possono tracciare i jet ucraini da migliaia di chilometri di distanza, infrangendo apparentemente la fisica della visione “oltre l’orizzonte” che ho professato in precedenza. Tuttavia, tali radar utilizzano onde corte speciali ad alta frequenza che non sono adatte a vedere con precisione oggetti molto piccoli, come ad esempio i missili stealth. Quindi possono essere in grado di vedere gli aerei che decollano, ma non i missili o i loro vettori.

Questi radar fanno rimbalzare le loro onde speciali dalla ionosfera e le reindirizzano “oltre l’orizzonte” per vedere gli oggetti che un’onda normale non può rilevare.

Ma se la Russia è potenzialmente in grado di rilevare i jet ucraini nei propri campi d’aviazione da migliaia di chilometri di distanza, perché non li ha distrutti nei campi d’aviazione?

Perché l’Ucraina ha anche un preavviso avanzato da parte degli Stati Uniti/5-Eyes di qualsiasi lancio di aerei/missili russi, che impiegano ore per attraversare l’Ucraina verso i campi d’aviazione occidentali, dando loro tutto il tempo di far decollare i jet ed evitare il colpo.

Tuttavia, i campi d’aviazione più vicini alla linea del fronte possono non avere questo preavviso, ed è per questo che ieri abbiamo visto un colpo russo distruggere un Mig-29 nella base aerea ucraina di Dolgintsevo, vicino a Krivoy Rog, che non è lontana dalle posizioni russe di Energodar, ecc.

Questo è lo stesso campo in cui il drone Lancet della Russia è stato visto in precedenza colpire il Mig-29:

Inoltre, la cronologia non è nota. L’ultima volta ho scritto che il Ministero della Difesa russo aveva riferito di aver colpito questo campo all’inizio del mese, distruggendo diversi jet. Il nuovo video potrebbe essere semplicemente la pubblicazione di quegli attacchi.

Se vi state chiedendo perché questi jet non siano stati fatti decollare per evitare l’attacco missilistico della Russia, come ho detto si tratta di un campo vicino alla linea del fronte. Tuttavia, un’altra versione è che non è stato nemmeno colpito da un missile russo, il cui lancio può essere individuato con molto più anticipo e quindi contrastato facendo decollare i jet, dato che i missili di solito vengono lanciati dalle navi vicino al Mar Caspio o al Mar Nero, ecc. Secondo una versione, invece, l’attacco sarebbe stato effettuato con missili guidati BM-30 GMLRS Smerch, che sarebbero stati posizionati appena sopra il Dnieper, in territorio russo, e non avrebbero dato alcun preavviso.

L’Ucraina è costretta ad alloggiare i Mig-29 più vicino alla linea del fronte perché i jet hanno un raggio d’azione molto più corto e non possono combattere dall’Ucraina occidentale. Inoltre, non c’è alcuna indicazione che si tratti di jet in grado di volare e alcune fonti affermano che alcuni/molti/molti di essi sono destinati a parti di ricambio, ma è impossibile saperlo con certezza. Tutto ciò che sappiamo è che la Russia sta chiaramente contrastando tutto ciò di cui stiamo parlando. Gli aerei vengono colpiti, gli A-50U vengono lanciati per colmare le lacune di copertura. Vengono prese costantemente contromisure per combattere tutto ciò che l’Ucraina fa. Se queste contromisure vengano prese in modo tempestivo e con sufficiente urgenza è un altro discorso.

In definitiva, nonostante i fallimenti della Russia, dobbiamo dimenticare che le capacità di difesa aerea degli Stati Uniti sono di gran lunga peggiori. Solo poche settimane fa un nuovo rapporto di Taiwan ha denunciato il recente malfunzionamento del sistema Patriot durante i test:

Un ufficiale dell’aeronautica taiwanese ha affermato che un missile Patriot PAC-3 ha avuto un malfunzionamento durante una recente esercitazione a fuoco vivo, ma il produttore statunitense Lockheed Martin ha dichiarato che il missile coinvolto non era un PAC-3. Il capo di stato maggiore dell’aeronautica, generale Tsao Chin-Ping, ha confermato le notizie locali secondo cui l’arma terra-aria è esplosa prima di colpire il bersaglio.
Ora, dopo i colpi di Sebastopoli, la Russia ha sferrato un colpo devastante a Odessa, apparentemente per rappresaglia. L’hotel di Odessa avrebbe ospitato molti mercenari e fungeva da quartier generale del comando ucraino dopo che il precedente era stato distrutto:

L’area periferica aveva molti magazzini che sono stati distrutti.:

Questi magazzini portuali sono stati visti in precedenza ospitare molte attrezzature della NATO.:

Il commentatore filorusso Masno ha scritto che l’hotel era probabilmente utilizzato dai servizi ucraini, era sotto stretta sorveglianza e negli ultimi giorni le foto mostravano molte finestre aperte per la ventilazione, indicando che era occupato (anche se non da civili, dato che era chiuso all’uso civile da anni):

In effetti, negli ultimi giorni o due, la Russia ha colpito una serie di oggetti strategici e campi d’aviazione ucraini. Dolgintsevo non è stato l’unico. Il campo d’aviazione Bolshaya Kakhnovka a Kremenchug sarebbe stato cancellato. Lo Starokonstantinov di Khmelnitsky, dove l’Ucraina ospita la maggior parte dei suoi Su-24, è stato nuovamente colpito.:

Così come il campo di Kulbakino a Nikolayev, di cui sono emersi filmati che mostrano il campo in fiamme dopo gli attacchi:

🇷🇺🇺🇦 Vicino a Nikolaev ci sono due potenti arrivi nell’area dell’aeroporto di Kulbakino.A Nikolaev non si sentivano esplosioni da molto tempo e hanno avuto il tempo di rilassarsi un bel po’: I vettori Su-24M di missili da crociera hanno iniziato a fare base all’aeroporto e l’Anas ha iniziato ad atterrarvi regolarmente, trasferendovi personale e munizioni. Sebbene la linea del fronte sia a soli 40 km, i risultati dell’arrivo non sono ancora stati chiariti, ma una cavalcata di ambulanze si è precipitata lì dal centro regionale. Perché a Kiselevka, situata non molto lontano, hanno colpito un deposito di munizioni con un FAB da una tonnellata e mezza con un UMPC.
In effetti, in questo momento sono emersi nuovi filmati che mostrano gli attacchi russi che distruggono altri Mig-29 nel campo di Nikolayev, alla geolocalizzazione: 46°56’9.09 “N 32° 4’50.96 “E

Per chi si chiedesse perché, la Russia ha già colpito questa base e tutte le altre più volte in passato. Ecco le immagini che mostrano proprio questa base di Nikolayev in un precedente attacco:

Un aspetto affascinante è che a un certo punto entrambe le parti hanno lanciato missili da crociera l’una contro l’altra praticamente nello stesso momento. Mentre gli Storm Shadow sorvolavano la Crimea per raggiungere Sebastopoli (si noti come il civile russo conosca già per nome lo Storm Shadow):

I Kh-101 russi volavano verso Kremenchug quasi alla stessa ora:

Questo fatto sorprendente rappresenta forse la prima volta nella storia che si assiste a un conflitto che include due parti opposte in grado di colpirsi a vicenda con missili da crociera avanzati. Quale altro conflitto si è mai visto in cui entrambe le parti lanciano attivamente e con successo missili da crociera a lunga gittata? Di certo non si è mai visto nulla di simile alla NATO.

Ciò racchiude il fatto che questa guerra è il conflitto tra pari più tecnologico della storia.

Inoltre, l’Ucraina si è lamentata del fatto che i recenti attacchi della Russia stanno diventando sempre più complessi (e lo stesso vale per quelli ucraini). Ecco due mappe provenienti da fonti ucraine che mostrano i percorsi bizzarri e tortuosi che i missili russi sono programmati a seguire:

La prima è relativa agli attacchi di massa del 21 settembre.

:

Il secondo è di ieri sera. Sostengono che i missili Kalibr e Onyx lanciati dalla regione della Crimea hanno fatto un giro completo intorno all’oblast di Nikolayev e poi sono arrivati a colpire Odessa dalla parte posteriore, dove l’AD non si aspetterebbe di essere puntato:

In quasi tutti i casi, in particolare in quello dell’aeroporto di Dolgintsevo dove sono stati distrutti i Mig-29, la Russia ha inviato prima un contingente di droni Geran-2 per esaurire la difesa aerea ucraina. Quando questa è stata adeguatamente esaurita, sono arrivati i missili per finire il lavoro.

Il risultato è che, come sempre in questo conflitto, l’Ucraina è in grado di mettere a segno alcuni colpi, ma la Russia la supera di 5:1 o 10:1, e a volte anche di 20:1.  Per ogni “colpo al quartier generale” che l’Ucraina riesce a mettere a segno, la Russia colpisce una dozzina o più di quartier generali, campi d’aviazione e altre strutture importanti dell’Ucraina. Per non parlare del fatto che la Russia interrompe gli attacchi successivi, cosa che l’Ucraina non menziona mai. Ad esempio, dopo l’attacco a Sebastopoli, ci sono stati altri due attacchi importanti, tra cui quello di oggi che ha coinvolto gli Storm Shadows. Secondo quanto riferito, sono stati tutti abbattuti e le forze russe hanno respinto completamente l’attacco. Ma di questo non si parlerà molto.

Infine, per questa sezione, vorrei parlare brevemente del motivo per cui l’Ucraina ha aumentato così tanto i suoi attacchi alla Crimea negli ultimi tempi. In parte, come ho detto, per le apparenze con la grande visita di Zelensky a Washington, ma un’altra ragione ancora più importante ha a che fare con il grande corridoio del grano, che è una delle ultime e più significative operazioni strategico-economiche dell’Ucraina.

Da quando, due mesi fa, è scaduto l’accordo sul grano, la Russia ha iniziato a distruggere le infrastrutture portuali dell’intera costa e della regione di Odessan. L’Ucraina ha cercato disperatamente di ristabilire una parvenza di trasporto marittimo, in particolare con i divieti della Polonia (per non parlare di altri Paesi) sul grano ucraino. È l’ultima linea di vita economica per loro. Pertanto, stanno cercando di forzare un corridoio eliminando le risorse navali russe e, idealmente, bloccando la flotta russa del Mar Nero in uno stato di torpore, al fine di creare un corridoio che possa abbracciare la costa ucraina/romena.

Rybar fornisce un resoconto dettagliato dell’idea:

Rapporto RYBAR:Qual è il motivo dell’attacco di ieri alle navi della Marina russa? Oggi la nave “Puma”, battente bandiera delle Isole Cayman, ha lasciato il porto di Odessa e si è diretta lungo la rotta già collaudata lungo la costa dell’Ucraina verso sud. La nave è ancora in viaggio e si sta dirigendo lungo la Romania, probabilmente verso il Bosforo. Prima di entrare nelle acque romane, la nave è stata accompagnata da due imbarcazioni della Marina ucraina, i caccia MiG-29 hanno pattugliato lo spazio aereo sopra la regione di Odessa e i P-8A americani hanno lavorato a turno sopra la Romania (uno di loro è stato scambiato per un B-52). Nel contesto dell’uscita della nave, un quadro più completo emerge con il massiccio attacco di ieri a un distaccamento di navi da guerra (OBK) della Flotta del Mar Nero composto da “Vasily Bykov” e “Sergei Kotov” – un totale di 14 imbarcazioni senza equipaggio sono state distrutte (senza contare gli attacchi a “Samum” e “Askold”). Una di queste, come abbiamo già scritto, ha colpito la Bykov, danneggiandola, ma continuando a muoversi con le proprie forze verso Sebastopoli, mentre la Sergey Kotov opera nelle vicinanze. In altre parole, non appena la pattuglia russa si è allontanata dall’area di pattugliamento, il cargo ha lasciato Odessa. In questo modo, l’AFU non solo ha aperto una rotta per il movimento della nave portarinfuse, ma ha anche dimostrato che, se necessario, può distrarre le navi russe lanciando attacchi navali con i droni. Naturalmente l’attacco è stato respinto, ma in questo modo a Kiev stanno cercando di dimostrare la funzionalità di questo corridoio senza la partecipazione della Russia.
Tutto questo è un piano dell’Ucraina per convincere i partner marittimi a scaricare il grano da Odessa, per il quale l’Ucraina ha fatto sempre più promesse e sta disperatamente lavorando per fornire assicurazioni ai potenziali vettori:

▪️

In Ucraina è stato creato un fondo speciale dell’importo di 20 miliardi di grivne (circa 547 milioni di dollari) per assicurare le navi che trasporteranno il grano attraverso il Mar NeroPrima il Ministero dell’Economia ucraino ha riferito che lo schema di assicurazione navale potrebbe essere introdotto a settembre e che potrebbero esservi coinvolte fino a 30 navi.
Si può quindi notare che questa recente esplosione del teatro del Mar Nero ha tutto a che fare con i disperati tentativi dell’Ucraina di riattivare il suo corridoio del grano, dopo aver affrontato la completa chiusura da parte della Russia e dei suoi stessi “partner” europei.

 

Naturalmente si può dire che lo sforzo dell’Ucraina non è certo inconsistente. Hanno ottenuto grandi successi, ma temo che, a loro discapito, abbiano solo “smosso il vespaio” e indotto il Ministero della Difesa russo a concentrarsi su una parte del teatro che negli ultimi tempi aveva trascurato. Ora una serie enorme di colpi devastanti viene inferta a tutti i beni ucraini che hanno anche solo un briciolo a che fare con questa recente campagna. Oltre all’hotel e ai magazzini adiacenti, anche i porti di Odessa hanno subito gravi danni a varie infrastrutture (probabilmente legate al grano):

***

Nello spirito di questo post dedicato alle armi e alla tecnica, passiamo a un’altra notizia, ovvero il continuo tira e molla sulle consegne di ATACMS all’Ucraina. Durante la visita di Zelensky è stata negata, poi tranquillamente approvata per poi essere nuovamente negata, e ora c’è un’altra apparente approvazione.

Tuttavia, il diavolo si nasconde nei dettagli. In realtà non è stato approvato come molti pensano. L’Ucraina voleva la versione normale ad alto esplosivo, molto più devastante. Biden e i suoi collaboratori si sono opposti, ma hanno finito per approvare potenzialmente la versione DPICMS. Questo dettaglio si perderà tra i festeggiamenti che si svolgeranno.

Il DPICM è la versione con munizioni secondarie o cluster bomb dell’ATACMS. Si tratta di un compromesso: vi diamo il missile, ma nella versione più inutile, che non può colpire i compound temprati, i quartieri generali, i ponti o qualsiasi altra cosa importante. Sono fatti per colpire solo il personale, il che avrà un effetto trascurabile, dato che l’uso delle munizioni a grappolo dell’artiglieria ucraina si è già dimostrato inutile, come avevo previsto tempo fa.

Guardate la spiegazione della versione ATACMS DPICMS qui sotto

:

Le submunizioni a grappolo non possono essere utilizzate per distruggere edifici o altro. Il motivo per cui l’Ucraina desiderava fortemente questo missile era quello di poter colpire le strutture C3 russe nelle retrovie, oltre a minacciare il ponte di Kerch. Ora è irrilevante: le submunizioni sono inutili per questo. Al massimo possono abbattere un’auto civile leggera.

In secondo luogo, potete leggere questo e ridere. Secondo quanto riferito, il piccolo lotto di prova annunciato di ATACMS da inviare in Ucraina sarà di sole circa 60 unità:

Ma ascoltate ciò che Budanov stesso afferma chiaramente nella sua intervista a Washington di alcuni giorni fa. KB = Kyrylo Budanov:

Quindi Budanov stesso dice che qualsiasi cosa al di sotto dei 100 missili è praticamente inutile e non farà nulla. Biden non solo ne annuncia 60, ma nemmeno quelli distruttivi.

Tuttavia, vorrei fare una precisazione. È vero che le versioni a grappolo sono per lo più inutili, ma c’è un’area in cui potrebbero potenzialmente fare molti danni: colpire i campi di aviazione russi ricchi di obiettivi. Le submunizioni non distruggono del tutto gli aerei, ma un intero missile pieno di esse che colpisca un campo d’aviazione potrebbe mettere fuori uso decine di velivoli in una volta sola.

Quindi, per questo motivo, è sicuramente pericoloso. Ma semplicemente non ha la pericolosità strategica di un missile normale, con la capacità non solo di spazzare via interi bunker di comando in profondità dietro le linee russe, ma potenzialmente di colpire e spazzare via il ponte di Kerch.

Detto questo, è interessante notare che potrebbero essere molto più facili del previsto da abbattere per gli AD russi, in particolare i sistemi S-300/400 di prima scelta, progettati specificamente per abbattere tali missili di tipo balistico. Il motivo è che un attacco di saturazione funziona tipicamente quando ci sono molti oggetti che vengono verso di noi a un’altitudine simile. Ma quando si satura un sistema AD con un gruppo di droni (che non sono fisicamente in grado di volare in alto) e di missili da crociera a bassa quota, sarebbe molto facile per un sistema AD distinguere questi oggetti “schermati” da un missile di tipo balistico che vola molto più in alto. Ciò significa che l’AD dovrebbe essere in grado di indicare sul monitor quale sia il pericoloso missile quasi-balistico solo in base alla sua altitudine, il che consentirebbe di stabilire una priorità nel colpirlo.

Per quanto riguarda l’equipaggiamento, un altro aggiornamento che volevo proporre è il monitoraggio delle perdite di carri armati russi effettuato da un’organizzazione. Ho trovato questo dato molto illuminante

.

La parte più importante non sono i totali in sé, che possono essere esagerati o meno, ma la tendenza generale. Ad esempio, nella colonna dei totali più alti si può vedere dove sono stati i picchi e i punti più bassi. Dall’inizio di quest’anno, la Russia ha continuato a registrare una tendenza al ribasso, con l’inizio della controffensiva ucraina che ha rappresentato una piccola impennata.

50-70 carri armati persi al mese non sono affatto male. La media è di circa 2 al giorno, pari a circa 600-700 all’anno. La ragione per cui questa è una buona notizia è che è inferiore alla produzione annuale della Russia, il che significa che le perdite di carri armati sono sostenibili – questa è la parte più importante.

Come facciamo a sapere cosa producono attualmente?

In questa nuova intervista video, il capo di Uralvagonzavod, il più grande produttore di carri armati del mondo, Alexander Potapov afferma alcune cose interessanti:

Sembra che si riferisca ai motori, dato che i T-80, come dice in seguito, al momento non sono prodotti da zero ma solo ristrutturati. Ma la Russia sta già raggiungendo anni record.

A titolo di riferimento, ecco una tabella della produzione di carri armati degli anni ’70 e ’80.

Ora, diverse fonti come The Economist affermano che la Russia produce 20 carri armati nuovi al mese e fino a 90 ristrutturati:

Wallstreet Journal fornisce una cifra di 250 carri armati all’anno prima della guerra.:

In realtà, per la maggior parte degli anni intorno al 2010 e successivamente, la Russia ha prodotto circa 175-250 nuovi carri armati all’anno. Ora si dice che la produzione sia aumentata di diverse volte.

Se prendiamo i numeri dell’Economist, 110 totali (prodotti + ristrutturati) al mese = più di 1.300 all’anno, il che è almeno in linea con quanto dichiarato da diversi esponenti russi.

Tornando al grafico delle perdite, possiamo vedere che quest’anno la Russia è in procinto di perdere qualcosa come 600-800 carri armati. Questo dovrebbe essere facilmente compensato dalla produzione. E si tenga presente che molte di queste perdite sono probabilmente calcolate in eccesso. Per esempio, all’inizio della controffensiva Putin aveva fatto notare in un discorso che la Russia aveva perso un certo numero di carri armati, circa 40-60, ma aveva detto che molti di questi erano stati successivamente rimorchiati e sarebbero stati riparati. La maggior parte delle organizzazioni che contano le perdite si limita a conteggiare ogni foto sul campo come una perdita, ma ignora il fatto che molti carri armati russi che appaiono “colpiti” vengono recuperati e riparati, o subiscono solo danni minori ai cingoli. Pertanto, le 600-800 perdite annue percepite potrebbero essere in realtà qualcosa come 400-600.

Inoltre, un nuovo video ha mostrato l’uso massiccio di carri armati gonfiabili russi sul fronte di Zaporozhye. Non stupitevi quindi se Oryx e co. inizieranno ad aggiungere i gonfiabili “distrutti” al loro database di “perdite” russe reali.

Lo scorso mese Forbes ha lamentato che l’unico collo di bottiglia rimasto in Russia per la produzione di carri armati di massa è terminato:

Infine, è stato messo insieme un grafico che tenta di ricavare un senso dalle perdite di carri armati della Russia, per esempio se stavano esaurendo alcuni scafi come i primi T-72/T-80 e li stavano sostituendo con vecchi T-62 e T-55 come sostengono molti propagandisti ucraini:

Il grafico ha trovato la correlazione opposta. I T-90 russi sono passati dal 3-4% al 24%, a dimostrazione del fatto che i T-90M vengono messi in campo – e quindi prodotti – in quantità maggiore. I T-55/T-62 non solo non hanno avuto incrementi apprezzabili, ma sembrano essere diminuiti. Ecco che la narrazione è finita.

L’unico altro cambiamento degno di nota è stato che i T-80 russi sono sembrati diminuire drasticamente come quota di perdite, ma si può dire che sia ciclico, dato che in precedenza erano diminuiti in aprile/maggio per poi risalire.

La parte importante è che non c’è alcuna base scientifica che giustifichi il fatto che la Russia stia schierando i vecchi T-62/T-55 e in effetti la Russia sta schierando tre volte più T-90M di prima.

Per l’Ucraina è l’opposto. L’unica cosa che si vede ancora sono i T-64 e le cose più vecchie. Si vedono pochi T-72 e ogni volta che arriva una nuova piccola iniezione di carri armati della NATO, questi vengono prontamente annientati:

Queste sono le varianti svedesi modificate dei Leopard 2A5 tedeschi. Alcuni di essi sono già stati distrutti in un solo giorno l’altro ieri, rappresentando una grossa fetta di tutti quelli ricevuti. Ora si dice che siano arrivati i primi 10 esemplari di Abrams:

La Russia ha colpito anche treni carichi di armature ed equipaggiamento:

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Alcuni ultimi articoli vari.

Avevo dimenticato di postare questo articolo qualche tempo fa. Il giornalista ucraino Roman Revedzhuk, che in precedenza si era candidato ed era stato a lungo coinvolto nella politica ucraina, ha rivelato di aver ricevuto un rapporto dall’SBU secondo cui l’Ucraina aveva più di 310.000 KIA a luglio:

Mi risulta che sia un giornalista filo-ucraino e non filo-russo, tuttavia è critico nei confronti dell’attuale regime al potere.

Noterete che questo numero è in linea con altri rapporti recenti, come quello di wartears.org che tiene traccia dei necrologi e ha un totale attuale di 280.000 morti per l’Ucraina.

Ora, le conseguenze di tutto ciò si fanno sentire sempre di più. In un nuovo video, l’ex comandante dell’Aidar Yevgeniy Dikag ha dichiarato che l’Ucraina può vincere solo mobilitando in massa fino a 1 milione di persone in più:

Secondo l’analista militare ucraino Yevgeniy Dikag, che è stato il comandante della famigerata formazione Aydar, il presidente ucraino deve dichiarare al più presto una mobilitazione generale e radunare 500 mila soldati per rovesciare lo status quo che vigeva prima dell’inizio della controffensiva estiva.
A questo fa eco un nuovo video di Arestovich, secondo il quale presto ogni uomo in Ucraina, nessuno escluso, dovrà essere mobilitato:Ukrainian military analyst Yevgeniy Dikag, who was the commander of the infamous Aydar formation, the Ukrainian president must as soon as possible declare a general mobilization and raise 500 thousand soldiers in order to overthrow the status quo that was in force before the start of the summer counteroffensive.

And this was echoed by a new video from Arestovich who says that soon every man in Ukraine bar none will have to be mobilized:

Ricorderete che l’ultima volta ho pubblicato un analista ucraino che ha confessato che alla fine dovranno essere mobilitati non solo gli adolescenti – cosa scontata, secondo lui – ma anche i bambini..

In questa nota,Il presidente della Duma di Stato russa, Vyacheslav Volodin, ha rafforzato alcune mie recenti affermazioni, secondo cui il destino dell’Ucraina è la capitolazione totale e la resa alla Russia o… la distruzione totale:

Possiamo vedere che una parte ha accettato pienamente che una mobilitazione sociale totale di donne, bambini, adolescenti e tutti gli altri va benissimo per loro, mentre l’altra parte accetterà solo una resa totale e incondizionata. Purtroppo, questo non può che portare alla distruzione totale dell’Ucraina. Nessuna quantità di stupide armi della NATO spedite in tranche trascurabili può cambiare le cose.

Per riassumere l’ultimo giorno o due, non c’è altro che un massacro per l’AFU. Avvertenza grafica:

Video 1
Video 2
Video 3
Video 4
Video 5
Video 6
Video 7
Video 8

Il prossimo:

Una franca discussione tra commentatori militari russi sulla questione della controbatteria, di cui mi sono occupato di tanto in tanto.

Noterete che confermano praticamente tutto quello che ho detto. Sì, l’AFU dispone di alcuni proiettili, come il Vulcan, appena lanciato, con una gittata di 70 km, che supera tutto ciò che la Russia utilizza attualmente (almeno per quanto riguarda l’artiglieria pura, senza contare gli MLRS e altre cose). Ma ne hanno una piccola manciata, così come altri proiettili “speciali” come Excalibur, ecc.

Non si può usare un outlier per discutere su chi sta vincendo la guerra dell’artiglieria. Quando i sistemi russi sono più numerosi e più performanti della maggior parte del tempo, il raro utilizzo di un proiettile di questo tipo non fa pendere la bilancia a loro favore, soprattutto quando la Russia ha molti altri sistemi asimmetrici che possono neutralizzarli.

Conferma che i proiettili standard della Russia sparano a ~24 km, anche se commette un errore con i 35-40 km come standard per l’AFU, che ancora una volta conta solo altri sistemi semi-specialistici come il Caesar francese, di cui non ha molti. I comuni M777 ecc. con proiettili standard sparano meno della portata della Russia.

Ma come ho già detto, chi ha seguito i miei resoconti su questo tema noterà la conferma che i 2S5 Giatsint e i 2S7(M) Peony/Malka russi sono più che all’altezza dei sistemi dell’AFU, senza contare i proiettili speciali. Ma hanno sollevato una buona questione: la Russia ha ancora bisogno di un sistema che possa più regolarmente eguagliare tali gittate. E come hanno detto, ce l’ha con la nuova artiglieria 2S35 Koalitsiya-SV, che dovrebbe essere un 2S19 Msta-s completamente riprogettato, con una gittata di 40 km per i proiettili standard e di 80 km per i proiettili speciali assistiti da razzi, che fa vergognare tutti i migliori sistemi della NATO.

Purtroppo Koalitsiya continua a sguazzare nel buco nero del MIC russo, così come Armata, ecc. Si dice che un paio di esemplari siano stati “testati” in precedenza nell’SMO, ma nessuno sa quando inizierà esattamente la produzione di massa, anche se si dice sempre che sarà “presto”.

Alla luce di tutte le discussioni sui carri armati, ecco un nuovo rapporto dalla principale fabbrica russa di Nizhny Tagil, la Uralvagonzavod:

A seguire, un interessante sondaggio del centro di ricerca russo Levada. Mostra la crescita costante dell’orgoglio nazionale russo, il riemergere dell’identità russa dal cupo periodo del 2002 a oggi.:

Nel 2002, tanti russi consideravano più grandi gli Stati Uniti che il loro Paese, e non pensavano quasi per niente alla Cina. Ora la maggioranza considera grande la Cina e gli Stati Uniti sono stati relegati da “grandi” a “di seconda categoria”.

Infine, un’altra pubblicità militare russa in una recente serie di annunci che sembrano lasciare intendere grandi cose. Prima, giorni fa, c’è stato un annuncio che alludeva alla futura conquista di Kiev. Ora un’altra allude al ricongiungimento di Odessa con la madrepatria russa.

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La gravità dei problemi economici della Germania, di Antonia Colibasanu

La gravità dei problemi economici della Germania
Ciò che sta accadendo nel Paese testimonia la ristrutturazione globale in atto.

di Antonia Colibasanu – 18 settembre 2023Apri come PDF
La scorsa settimana, la Commissione europea ha abbassato le previsioni di crescita dell’eurozona per il 2023 e il 2024, soprattutto a causa dei cattivi indicatori economici della Germania. Per Berlino, un anno di crescita significativa nel 2021 è stato seguito da due anni di declino e le stime più recenti indicano che l’economia crescerà solo di un misero 1,5% entro la fine del 2023. Il rallentamento è dovuto a una serie di fattori, tra cui i soliti sospetti di interruzione della catena di approvvigionamento e gli alti prezzi dell’energia causati dalla pandemia e dalla guerra in Ucraina.

Tutto ciò ha reso l’inflazione il problema più significativo dell’economia tedesca. Il tasso di inflazione del Paese ha raggiunto il 7,6% nell’agosto 2023. Questo dato è di gran lunga superiore all’obiettivo della Banca Centrale Europea del 2% per l’eurozona – e il più alto del Paese dal 1973 – il che spiega l’ultimo rapporto della Commissione sulla performance economica dell’area. L’inflazione elevata riduce la capacità di spesa dei consumatori, rallentando la crescita economica e rendendo più difficili la pianificazione e gli investimenti delle imprese. Oltre ad aumentare il tasso d’interesse, il governo tedesco sta aiutando le imprese e i privati colpiti dall’inflazione con sovvenzioni, prestiti e agevolazioni fiscali, soprattutto per le imprese che investono nell’efficienza energetica e creano nuovi posti di lavoro. Berlino è riuscita a mantenere basso il tasso di disoccupazione negli ultimi tre anni, ma anche questo sta iniziando a cambiare, aumentando sensibilmente negli ultimi mesi, mentre il settore manifatturiero tedesco risente degli alti costi dell’energia.

Secondo la Banca Mondiale, nel 2022 il commercio internazionale rappresentava il 99% del prodotto interno lordo tedesco, con le esportazioni che rappresentavano il 50,3% del PIL e le importazioni il 48,3%. La Germania è quindi molto esposta ai cambiamenti in atto nell’economia globale. Nel 2022, il principale prodotto di esportazione della Germania sarà rappresentato dagli autoveicoli e loro parti, con il 15,6% delle esportazioni totali. I macchinari (13,3%) e i prodotti chimici (10,4%) erano rispettivamente il secondo e il terzo prodotto di esportazione più importante. Tutti questi prodotti hanno registrato un calo della produzione quest’anno. Nel 2023, la produzione dell’industria chimica tedesca, affamata di gas, è diminuita del 18% rispetto ai livelli del 2019, mentre la produzione automobilistica tedesca è scesa del 26%. Secondo l’Associazione tedesca dei costruttori di macchine utensili, la produzione di macchinari diminuirà del 2% nel 2023, mentre la produzione sarà sostenuta soprattutto dagli arretrati degli anni precedenti. Si tratterebbe del primo calo della produzione di questo settore dal 2012.

La stagnazione economica ha portato anche a un aumento delle imprese che falliscono; le statistiche ufficiali mostrano che le richieste di insolvenza sono in aumento dal 2022. Utilizzando i dati delle Camere di Commercio e dell’Industria tedesche, Trading Economics prevede che il tasso di fallimento della Germania raggiungerà il 12,9% annuo nel 2023 – il tasso più alto dal 2009.

Anche se la disoccupazione è in aumento, le soluzioni a breve termine come l’aumento del ricorso ai migranti non sono più così praticabili. Anzi, questa strategia potrebbe diventare un problema, soprattutto nelle aree in cui populismo e nazionalismo sono in costante crescita. In modo preoccupante, un recente studio condotto dall’Università di Lipsia ha mostrato che quasi un quarto degli intervistati ha affermato che il nazionalsocialismo aveva alcuni vantaggi e, secondo il 33% degli intervistati, “dovremmo avere un leader che governa la Germania con mano forte per il bene di tutti”. Questa opinione è supportata dal fatto che Alternativa per la Germania (AfD), il partito di estrema destra di maggior successo nel Paese dalla Seconda Guerra Mondiale, ha vinto due ballottaggi locali nella Germania orientale, uno nella città di Raguhn-Jessnitz e uno nel distretto di Sonneberg. Ma la Germania orientale non è certo l’unica. Il mese scorso, il quotidiano tedesco Suddeutsche Zeitung ha pubblicato un rapporto che accusa Hubert Aiwanger, leader dei Liberi elettori, un piccolo ma importante gruppo conservatore in Baviera, di aver prodotto e diffuso un volantino antisemita quando era uno studente delle superiori negli anni Ottanta. Ha rifiutato di dimettersi, accusando il giornale di aver cercato di lanciare una campagna sporca contro di lui in vista delle elezioni in Baviera. Di conseguenza, il suo piccolo partito conservatore è ora il secondo partito più popolare in Baviera, con un aumento di 5 punti percentuali al 16%.

Questo tipo di populismo potrebbe guadagnare consensi anche tra i tedeschi della classe media. Un sondaggio dell’Istituto Sinus per la ricerca sociale ha indicato che la quota di elettori della classe media dell’AfD è passata dal 43% al 56% in due anni. Il sondaggio ha anche rilevato che quella che il centro di ricerca chiama “classe media moderna adattativa e pragmatica” sta aumentando, passando dal 12% della popolazione al 19%, così come la “classe conservatrice di livello superiore”, dall’8% al 12%. Entrambi i gruppi mostrano un crescente interesse per l’AfD e per il populismo. Sono generalmente aperti al cambiamento e lungimiranti, ma attualmente si trovano di fronte a richieste significative che mettono a rischio la loro capacità di soddisfare le proprie aspettative in termini di possesso di un’auto e di una casa e di crescita dei figli in un ambiente sicuro. Incolpano il governo e il sistema politico di non aver creato soluzioni e cercano quindi delle alternative. Invece di guidare il cambiamento sociale, sembrano diventare sempre più pessimisti, con preoccupazioni per la disoccupazione e altri problemi simili a quelli delle altre classi.

Berlino deve trovare una soluzione per tenere in piedi la propria economia collaborando con partner stranieri. La sua priorità assoluta è ovviamente la stabilità dell’Unione Europea, ma l’interdipendenza dell’economia tedesca dal mercato dell’UE evidenzia la fragilità dell’economia europea nel suo complesso. Secondo l’ufficio statistico tedesco Destatis, circa il 60% delle esportazioni tedesche viene venduto in altri Stati dell’UE, mentre il 52,3% delle importazioni tedesche proviene da Stati dell’UE.

Gli altri principali partner commerciali sono gli Stati Uniti e la Cina. Sebbene gli Stati Uniti siano il suo mercato di esportazione più importante, il fatturato commerciale totale con la Cina è superiore. (La Germania ha beneficiato in misura massiccia del basso costo della manodopera cinese ed è unica tra gli Stati membri dell’UE per l’ampiezza e la profondità delle sue relazioni economiche con Pechino.

Non è quindi una coincidenza che Berlino abbia recentemente pubblicato la sua prima strategia globale per la Cina. Il testo servirà come base per i politici tedeschi nei prossimi mesi, informando tutto, dalla cybersicurezza alla politica industriale. Ma è inaspettatamente poco diplomatico, arrivando a dire che la Cina mina fondamentalmente gli interessi tedeschi. La nuova strategia potrebbe portare a una delle più profonde trasformazioni della politica estera ed economica tedesca degli ultimi decenni, forse un addio definitivo al concetto di “cambiamento attraverso il commercio” che ha guidato le relazioni tedesco-cinesi per anni.

Per molti versi, la nuova strategia è un prodotto naturale delle sfide interne ed esterne che Berlino deve affrontare. Sebbene la Germania abbia beneficiato dell’ascesa economica della Cina, negli ultimi tempi le imprese tedesche sono rimaste deluse dalla Cina, dove le loro opportunità si sono lentamente ridotte a causa delle pressioni dei leader cinesi per un maggiore controllo del mercato. Per aumentare la competitività, mantenere l’occupazione in Germania e risolvere i problemi critici delle infrastrutture, Berlino deve ridurre le sue dipendenze e sviluppare le proprie capacità. Nel nuovo documento strategico, la Germania ha sottolineato la necessità di ridurre le dipendenze strategiche asimmetriche della Cina – le stesse che Pechino ha elencato come obiettivo strategico nel 2020 – anche se in linea con la cosiddetta strategia di “de-risking” proposta dall’UE all’inizio di quest’anno.

Se la Germania prende sul serio il de-risking, richiede non solo una maggiore trasparenza nel settore commerciale, ma anche un ampio dibattito sociale sulle priorità politiche e programmatiche. Ad esempio, Berlino deve valutare se i veicoli elettrici cinesi debbano essere considerati una minaccia per la competitività tedesca e attuare di conseguenza misure antisovvenzioni, anche se ciò garantirà quasi certamente una ritorsione da parte di Pechino. (Per non parlare del fatto che i veicoli elettrici cinesi rappresentano una minaccia per la sicurezza informatica o la sorveglianza). I politici tedeschi dovrebbero anche valutare se ridurre la loro dipendenza dai prodotti cinesi di tecnologia verde e concentrarsi sulla propria industria. Ma Berlino avrà anche bisogno di una narrazione convincente per giustificare la rimozione delle apparecchiature di telecomunicazione cinesi di recente installazione dalle reti 5G per migliorare la sicurezza delle infrastrutture chiave, anche se continua a lottare con i problemi di connettività ad alta velocità in generale.

Nell’attuare la sua nuova strategia, il governo tedesco dovrà probabilmente lottare per trovare il giusto equilibrio tra le varie serie di rischi che la Cina pone. E mentre si riduce una serie di rischi e dipendenze potenziali, è probabile che ne aumenti un’altra. Le realtà politiche tedesche complicheranno ulteriormente il processo.

Ciò che accade in Germania accade anche in altri Paesi europei, quindi Berlino dovrà pensare agli interessi dei suoi colleghi membri dell’UE mentre lotta per migliorare le sue relazioni con la Cina. La Germania è il motore economico dell’Europa e tutto ciò che accade in Germania si ripercuote in tutto il continente. Se (e come) la Germania implementerà la sua nuova strategia, potrebbe trovarsi in una posizione ideale per dettare il dibattito e il coordinamento sulle nuove politiche economiche volte a ristrutturare e sostenere le capacità interne tra la Germania e gli altri Stati membri dell’UE. Il fatto che stia prendendo in considerazione questa nuova strategia testimonia i profondi cambiamenti in atto nell’economia globale.

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