DALLE PRIMAVERE AGLI INVERNI DI SOROS. SARANNO CALDI, MOLTO CALDI di Giuseppe Germinario

UN TORRIDO INVERNO

Questo insolito tepore ottobrino, così siccitoso, lascia presagire un torrido ed infuocato inverno.

Dal punto di vista meteorologico potrebbe essere una previsione troppo azzardata; previsioni del tempo attendibili riescono a coprire un arco di tempo ancora troppo breve, di pochi giorni.

È la temperatura politica del pianeta, in particolare negli Stati Uniti e in Europa, che pare surriscaldarsi sino a sfiorare pericolosamente il punto critico di formazione di tempeste distruttive e roghi devastanti.

Provo a collegare, più o meno avventurosamente, quattro episodi apparentemente avulsi tra essi.

  1. Il discorso di Trump all’ONU_ Il 19 Settembre scorso Trump ha pronunciato il suo primo e per ora unico discorso all’ONU. Sul sito ne abbiamo già parlato con dovizia http://italiaeilmondo.com/2017/09/24/httpssoundcloud-comuser-159708855podcast-episode-13/

http://italiaeilmondo.com/2017/09/27/massimo-morigi-a-proposito-del-podcast-episode-13_-lo-smarrimento-dei-vincitori-di-gianfranco-campa/  ; allo stato attuale, potremmo arricchire e corroborare le nostre valutazioni con una ulteriore supposizione. Quel discorso così apparentemente contraddittorio e paradossale potrebbe essere in realtà un tentativo particolarmente sofisticato e pericoloso di mettere a nudo le debolezze, l’inconcludenza e l’avventurismo delle strategie di quello staff militare dal quale è ormai circondato e che sta cercando di erigere una vera e propria barriera in grado di filtrare rigorosamente i contatti del presidente americano. Sembra voler dire: “volete lo scontro con la Russia e la Cina, l’Iran e la Corea del Nord? Ve lo offro su un piatto d’argento e vediamo se avete la reale intenzione e capacità di portarlo avanti, con quali rischi e a che prezzo!”

Il recente viaggio degli esponenti del ramo prevalente dei Saud, dei regnanti quindi dell’Arabia Saudita, in Russia può essere d’altro canto letto non solo come un sussulto di autonomia di quella classe dirigente di fronte allo stallo della politica di destabilizzazione in Medio Oriente e al recupero di autorevolezza della Russia di Putin; ma anche come una sorta di diplomazia parallela e per interposta persona che le forze fautrici dell’avvento di Trump alla Presidenza Americana continuano a portare avanti. Le aperture ben più esplicite dei generali egiziani alla Russia da una parte e i contatti di Bannon, il mentore ufficialmente disconosciuto e reietto, in realtà ancora costantemente e discretamente consultato dal Presidente, con la dirigenza cinese sembrano confermare l’esistenza di questi doppi canali di comunicazioni e di relazioni.

  1. Lo scandalo a sfondo sessuale del produttore cinematografico americano Weinstein e le rivelazioni di wikileaks sul traffico di uranio con la Russia alimentato da personaggi politici di spicco del Partito Democratico americano hanno una cosa essenziale in comune. Entrambi colpiscono al cuore gli esponenti più importanti e decisivi della coorte che ha sostenuto e determinato in questi decenni l’ascesa e il consolidamento dell’affermazione del sodalizio tra neoconservatori e democratici americani. Più che i danni materiali e i vizi privati sbandierati sui media, risalta l’irrimediabile deterioramento di immagine e di credibilità del costrutto ideologico e mediatico sul quale si sono fondati trenta anni di politica estera e di gestione interna di quel paese.

Gli uni assestano un colpo tremendo all’ipocrisia disgustosa del politicamente corretto tanto fervido ed accorato nell’ostentare le pubbliche virtù e la coerenza del rispetto della dignità umana, quanto certosino nel coltivare nel privato della persona e nei canali riservati delle relazioni politiche i soprusi, le sopraffazioni, le meschinerie, i mercimoni più interessati.

Gli altri rivelano le relazioni e gli interessi inconfessabili di una classe dirigente così apertamente ostile alla formazione di un mondo multipolare, la quale ha individuato nella Russia di Putin il nemico acerrimo della pacificazione unipolare e globalistica, salvo intrattenere con settori di essa gli affari e i commerci più loschi. Le vittime sacrificali predestinate appaiono il produttore Weinstein e il politico Podesta, ma il capro espiatorio finale appare ben più emblematico.

  1. L’Open Society di Soros si è vista rimpolpare in breve tempo il proprio salvadanaio di ben 18.000.000.000 (diciotto miliardi) di dollari.gentiloni-soros Una cifra stratosferica in grado di impressionare manipolatori persino particolarmente adusi e avvezzi al denaro come Soros, in grado di muovere eserciti, bande armate, contestatori, manifestanti e Pussy Riot di mezzo mondo. Sino ad ora il nostro paladino delle libertà e del soccorso umanitario ha utilizzato un doppio metro di comportamento al centro e alla periferia dell’Impero, nonché nei confronti dei riottosi più ostinati esterni ad esso. Apertamente violento e destabilizzatore ai margini; più cauto e pervasivo, più suadente man mano che le trame riguardavano la geografia prossima al centro dei poteri. Qualcosa, evidentemente, comincia a cambiare in questa strategia in maniera assolutamente radicale. Come non bastasse saltano nuovamente alla ribalta organizzazioni, quasi sempre legate al filantropo e beneficiarie dei più disparati finanziamenti pubblici e privati, spesso concessi dagli stessi rappresentanti delle vittime delle loro azioni; tutte dedite, con solerzia e qualche dose inevitabile massiccia di stupidità ed ottusità, alla compilazione di liste di prescrizione foriere di una prossima caccia all’untore. Tra queste brilla ultimamente, secondo RT, https://www.rt.com/news/407347-rt-guests-list-ngo/ , l’associazione http://www.europeanvalues.net/ ,con questo documento http://www.europeanvalues.net/wp-content/uploads/2017/09/Overview-of-RTs-Editorial-Strategy-and-Evidence-of-Impact.pdf e secondo questo interessante documento fondativo, corredato da un elenco dei finanziatori sorprendente, ma non troppo http://www.europeanvalues.net/wp-content/uploads/2013/02/VZ2015_ENG_FIN.pdf L’analogia con la caccia alle streghe del Maccarthismo degli anni ’50 è inquietante. A ruoli invertiti, è probabile che le squadracce che vediamo infiltrate nelle manifestazioni di strada antisistema, prointegrazione e via dicendo, diventino lo strumento di giustizia sommaria e di fomentazione provocatoria di questi filantropi.
  2. L’investimento mortale a Charlottesville, in Virginia, di due mesi fa,riviera24-luca-botti-strage-los-angeles-390786 la drammatica strage del cecchino (dei cecchini?) a Las Vegas di due settimane fa, ancora coperta da una fitta e misteriosa coltre di nebbia da cui emergono i sussurri più inquietanti; il tentativo di secessione in Catalogna e lo stesso referendum nel quadrilatero lombardo-veneto annunciano alcune variazioni essenziali sul tema della strategia del caos perpetrata in questi ultimi anni. Le modalità di svolgimento di questi eventi apparentemente sconnessi lasciano sospettare, rispettivamente, a volte una vera e propria provocazione, altre volte una istigazione, altre ancora una manipolazione e per finire una capacità di cogliere opportunità. Non si tratta, quindi, semplicemente, di un complotto ordito a tavolino sin nei particolari; troppo semplicistico! Quanto, piuttosto, di sfruttamento di opportunità create e utilizzate in un contesto di crescente instabilità e di emersione di nuove forze antagoniste, spesso confuse e contraddittorie. Un terreno, tra l’altro, sul quale diventa particolarmente difficile ed insidioso l’intervento politico di forze sovraniste, specie quelle più sensibili alla suggestione della democrazia dal basso e della superiorità dei progetti autonomistici e localistici.

La “strategia del caos” che sino ad ora ha interessato i paesi riottosi al predominio unipolare, in particolare la Russia, ha investito le zone di confine e di contesa ai margini dell’impero, come il Nord-Africa, il Medio Oriente, in parte il Sud-Est Asiatico, l’estremità dell’Europa Orientale pare investire sempre più da vicino i luoghi e la geografia centrale dei centri di potere e delle formazioni sociali connesse attorno secondo gli stessi propositi degli attori-mestatori.

È il segno che lo scontro politico sta investendo direttamente questi centri di potere, piuttosto che essere condotto da essi per interposte persone; li sta costringendo ad un confronto diretto sempre più aspro e risolutivo.

Richiederà il sacrificio di alcuni illustri capri espiatori, alcuni dei quali particolarmente in auge nell’immediato passato.

Nel Partito Repubblicano neoconservatore abbiamo visto cadere qualche testa illustre, ma ancora senza particolare crudeltà.

Nel Partito Democratico americano, la ricomposizione che si sta tentando con buone probabilità di successo tra la componente pragmatica vicina ad Obama e la componente social-radicale prossima a Sanders, il candidato sconfitto da Hillary Clinton alle primarie, in parte lui stesso nominalmente esterno al partito, ma generosamente ricompensato con una buona presa e radicata presenza all’interno di esso, richiederà probabilmente il sacrificio ben più sanguinoso di una intera dinastia politica: quella dei Clinton. Sanguinosa riguardo al futuro delle carriere politiche, ma anche a quello degli averi e della sicurezza economica del sodalizio.

La figura che più si potrebbe attagliare a quella di Hillary Clinton, potrebbe essere metaforicamente proprio quella di Maria Antonietta, vittima predestinata della Rivoluzione Francese.

La signora Rodham Hillary C. si presenta come il capro espiatorio perfetto sul capo riverso della quale costruire le fortune di una nuova classe dirigente ansiosa di liquidare al più presto l’attuale mina vagante dello scenario politico americano: Donald Trump. Una classe dirigente ancora in grado di controllare la quasi totalità delle leve di potere e di controllo e di legarsi ai settori tecnologicamente più vivaci, ma sino ad ora incapace di dare un respiro strategico alla propria iniziativa che riesca a garantire una sufficiente coesione della formazione sociale americana e a coinvolgere in una nuova versione del sogno, buona parte del resto del mondo. Il cumularsi di errori grossolani e di una gretta difesa degli interessi di costoro e la boria legata ad un inguaribile senso di superiorità rischiano di far precipitare quel paese in una crisi analoga a quella che ha prodotto la guerra di secessione di metà ‘800, ma dagli effetti ancora più distruttivi piuttosto che creativi in un contesto di potenza declinante. Non solo, ma di lasciare i propri orfani e sodali disseminati nel mondo, soli ed esposti ad affrontare con scarso sostegno le intemperie e a cercare col tempo nuovi ripari, più per se stessi che per il gregge da accudire, come ogni buon Gattopardo o Generale Badoglio che si comandi.

 La forza e la possibile sopravvivenza delle componenti che hanno espresso Trump risiede proprio nella debolezza strategica dei suoi avversari, piuttosto che nella solidità dei propri mezzi.

Su questo “Italia e il Mondo” cercherà di concentrare la propria attenzione e le proprie scarse energie sin dai prossimi articoli con lo scopo di individuare le opportunità e gli spazi di formazione di una nuova classe dirigente così necessaria a questo nostro “pauvre pays”.

L’ORA X DELLA CATALOGNA, L’ULTIM’ORA DI PUIGDEMONT, di Giuseppe Germinario

Carles Puigdemont ha confermato la dichiarazione di indipendenza della Catalogna ed auspicato una trattativa con il Governo Centrale di Spagna

Raramente accade di una classe dirigente così platealmente votata al suicidio come quella catalana, senza nemmeno l’aura romantica che spesso riveste i predestinati al sacrificio patriottico. Un epilogo tanto tragico quanto farsesco del destino individuale di questi condottieri. Non di tutti, beninteso. I più scaltri e furbi hanno istigato, hanno saputo defilarsi e alcuni arrivano ora a proporsi come mediatori con buone probabilità di qualche riconoscimento istituzionale nel prossimo futuro.

Un gruppo dirigente evidentemente privo di qualsiasi memoria storica. La Catalogna, in epoca moderna, ha conosciuto vari moti indipendentistici conclusisi inesorabilmente tutti più o meno tragicamente nel giro di pochi giorni o mesi.

Privo di cultura istituzionale visto che non solo ha violato apertamente la legge dello Stato centrale, anche se questo è pressoché la norma nei tentativi secessionistici, pur con le recenti eccezioni legate al dissolvimento del blocco sovietico; ha forzato, violato e gestito malamente le procedure della propria istituzione regionale che hanno portato al referendum e alla proclamazione di indipendenza e dirottato apertamente risorse pubbliche a fini privati legati alla promozione mediatica e lobbistica del progetto secessionistico in particolare negli Stati Uniti.

Privo soprattutto di basilare cultura ed accortezza politiche.

Ha con ogni evidenza del tutto sottostimato le implicazioni militari di un tale atto e la capacità reattiva di uno stato e governo centrale lesi in una delle loro prerogative fondamentali. Il recente accordo tra il Governo Centrale e la Regione Basca che riconosce ad essa ulteriore ampia autonomia e addirittura la prerogativa dell’imposizione fiscale deve averli indotti a sopravvalutare gravemente l’indebolimento delle capacità di difesa delle prerogative dello Stato Centrale. Un indebolimento certamente in atto grazie al processo di integrazione militare nella NATO e politico-economico nell’Unione Europea che ne ha accentuato la subordinazione politica e ridotto l’agibilità, ma non ancora del tutto compiuto. La Spagna ha infatti pagato il proprio relativo e fragile sviluppo economico incentrato soprattutto sull’edilizia, sulla creazione di infrastrutture e sul turismo con una cessione significativa del controllo delle proprie attività industriali più importanti; al pari dell’Italia e di altri paesi europei politicamente malconci e a causa di un contesto territoriale determinato dall’esistenza di ben quattro principali grandi nazionalità, ha ceduto maggiormente alle lusinghe europeiste di una regionalizzazione sovrana in grado di agire direttamente con le istituzioni comunitarie, aggirando le prerogative, il coordinamento e gli indirizzi dello stato centrale. Il risultato è la sovrapposizione di una subordinazione storica alla potenza americana a quella franco-tedesca, analoga a quella italiana anche se parzialmente contenuta dai retaggi nazionalistici più pervasivi legati al recente passato franchista.

Ha sorprendentemente glissato sulla indispensabile compattezza quantomeno della popolazione catalana necessaria a sostenere un confronto così aspro e definitivo. Il movimento indipendentista si sta rivelando invece una realtà politica significativa ma minoritaria non solo nell’intera Catalogna, compresa quella non interessata dall’azione referendaria, ma anche nell’epicentro stesso del conflitto, la zona di Barcellona.

Riguardo all’indispensabile sostegno internazionale necessario a rompere l’isolamento e a trarre energia, aiuto militare e appoggio politico sembra aver ignorato le conseguenze dell’appartenenza della Spagna alla Unione Europea e alla NATO. I legami ed il sostegno internazionale, i quali comunque non mancano, non possono infatti manifestarsi con le stesse modalità che hanno caratterizzato le primavere arabe e i movimenti secessionisti e sovvertitori di questi ultimi anni. La grande novità dell’evento di rottura riguarda proprio la sua collocazione geopolitica; non più ai margini della sfera occidentale e nelle zone di attrito con Russia e Cina, bensì al centro dell’Europa occidentale.

Sul tavolo dei congiurati non potevano certo mancare opzioni più graduali ed avvolgenti che implicassero un’alleanza con le altre comunità nazionali di Spagna, compresa quella della costruzione di uno stato federale ormai resa verosimile e praticabile dal recente accordo già citato con i Paesi Baschi.

Quale nefasta congiunzione astrale ha determinato alla fine l’attuale piega degli eventi?

Certamente hanno assunto un ruolo importante le ambizioni e le rivalità all’interno del gruppo dirigente catalano il quale tenta alla fine di trovare una loro compensazione ed uno loro spazio nella neonata entità statale; ma queste trovano espressione solo nel particolare humus e retroterra alimentatosi nella regione.

Nella Catalogna di questi ultimi anni si è condensato un sodalizio sempre più complice tra un gruppo di politici locali, ben radicati negli interessi della comunità e con una visione megalomane della propria collocazione nel contesto internazionale, e la componente sinistrorsa e movimentista riconducibile a Podemos e Sinistra Unita.

Dei primi va sottolineata la pervicacia con la quale hanno confermato la propria collocazione nella NATO e nella UE, l’ostinazione nella ricerca di un sostegno lobbistico negli ambienti angloamericani, per la verità con ampio dispiego di risorse e scarsi risultati. Apparentemente nulla di anomalo rispetto alla necessaria ricerca di alleanze, sostegno o quantomeno neutralità che tutte le forze irridententistiche, rivoluzionarie portano avanti nella loro azione. I legami professionali e la storia di gran parte di questi dirigenti inducono però a pensare a qualcosa di deleterio.

Dei secondi, in particolare di Podemos, va rilevata con qualche attenzione in più la loro impostazione politica. La formazione di questo gruppo dirigente, in particolare di Pablo Iglesias inizia negli ambienti universitari di Los Angeles, la fucina che ha generato il movimento degli indignati e di Occupy Wall Street  http://italiaeilmondo.com/2017/10/11/dal-nostro-indignato-speciale-di-giuseppe-germinario-scritto-il-18102011/( http://italiaeilmondo.com/2017/10/11/dal-nostro-indignato-speciale-di-giuseppe-germinario-scritto-il-18102011/ )di alcuni anni fa; prosegue con un immersione, non priva di contrasti, nei movimenti culturali latinoamericani che hanno sostenuto le svolte di numerosi regimi di quel continente; si insedia nelle università di Madrid e Barcellona, in particolare negli ambienti accademici, dalle quali partono le spinte organizzative e la formazione del soggetto politico. La quasi totalità dell’impegno si fonda su tecniche di comunicazione basate su un particolare recupero del concetto gramsciano di egemonia; elude il problema del controllo degli strumenti coercitivi e punta sulla manipolazione dei sistemi mediatici, per altro nemmeno controllati direttamente. Si tratta in particolare di imporre un linguaggio e i propri contenuti. Il mondo viene schematicamente diviso tra un 1% di dominanti e un 99% di defraudati; il conflitto deve concentrarsi con azioni di partecipazione dal basso; le rivendicazioni si riducono a mere politiche di diritti e di redistribuzione. In Spagna il successo politico del movimento si basa su una campagna mediatica su scala nazionale e sull’alleanza su base locale con le forze autonomistiche e le varie opposizioni sociali.

Il movimento indipendentista catalano è figlio di queste impostazioni, in linea per altro con i tentativi passati. Fonda la propria azione politica sulla base di colpi di mano e di smaccata manipolazione mediatica degli eventi. Una esasperazione analoga a quella cui stiamo assistendo negli Stati Uniti e che sta minando progressivamente la credibilità degli artefici. La gestione strumentale ed approssimativa del referendum, la montatura della critica verso atti repressivi in realtà alquanto blandi stanno spingendo in un vicolo cieco il gruppo dirigente catalano in una azione puramente simbolica e verbale che potrà trovare alimento, probabilmente, solo in provocazioni sempre più pericolose e strumentali. Non si conoscono le effettive capacità e propensioni del governo catalano a condurre in questa maniera e sino in fondo il gioco; c’è di che dubitarne. Come c’è da dubitare delle solide convinzioni di un popolo indipendentista così lesto a smobilitare la piazza, un minuto dopo le dichiarazioni solenni del Presidente Puigdemontes, non ostante l’ombra minacciosa delle forze lealiste in campo.

La conferma della dichiarazione di indipendenza di oggi al parlamento catalano, con un dilazionamento dei suoi effetti, rappresenta una mossa disperata che non cambierà un destino personale ormai segnato dei responsabili catalani e il declino delle formazioni politiche citate già per altro in corso.

Una debolezza che rischia di spingerli sempre più sotto la protezione e il salvacondotto esterni. Non sono mancati a queste forze gli incoraggiamenti, il sostegno e il supporto dei soliti centri di potere che hanno contribuito a sconvolgere l’intera area mediterranea; nemmeno è mancato il sostegno discreto e qualche incoraggiamento altrettanto discreto di centri presenti nei paesi europei.

È mancato rumorosamente, questa volta, l’aperto e sfrontato supporto diplomatico americano messo all’opera direttamente nelle piazze in Egitto, in Ucraina, in Siria, in Kossovo nel recente passato.

Segno che il fronte non è più così compatto e che il confronto in corso negli Stati Uniti sta lasciando la propria impronta anche in Europa.

Quello in corso in Catalogna rappresenta comunque un test, probabilmente anche una forzatura determinata dalla perdita parziale delle leve di comando, di quanto la politica di destabilizzazione e del caos sia ormai esportabile in Europa. Qualche riflesso visibile lo stiamo vivendo anche in Italia con la vicenda del referendum lombardo-veneto. Friedman tempo fa ci aveva avvertiti. Il suo fallimento indurrà, probabilmente, a riproporre, ma sotto mutate spoglie, quella politica; certamente contribuirà a mettere in crisi e a far piazza pulita di queste sedicenti forze di opposizione perfettamente complementari all’azione degli attuali establishment sino a determinarne l’ulteriore sopravvivenza. Si auspica da più parti il successo di una qualsiasi politica di destabilizzazione, perché potrebbe favorire di per sé la formazione di nuove classi dirigenti più autonome e più sensibili alla costruzione di formazioni sociali più coese ed eque, adatte a sostenere il confronto che sta covando nel mondo. È invece proprio la modalità di svolgimento di questo confronto sia all’interno che tra esse che determina la qualità della formazione dei centri strategici.

Il compito faticoso degli analisti e soprattutto dei pochi politici dediti alla causa è appunto quello di discernere il grano dal loglio piuttosto che dedicarsi alla contemplazione del caos primordiale.

14° Podcast _ Trump non va dove lo porta il cuore, di Gianfranco Campa

La vecchia talpa continua a scavare. I centri di potere americani dominanti hanno ripreso in mano le leve del Governo; quelle del governo, non quelle di potere. Queste ultime sono sempre rimaste fondamentalmente sotto controllo. Non sembrano in grado di determinare il consenso e la coesione necessaria a dare forza, rispettabilità e motivazioni alle loro intenzioni. Segno di una strategia inadeguata a garantire nel tempo la supremazia all’esterno e una rappresentazione dell’interesse nazionale appena dignitosa e credibile al proprio interno. Da qui l’erosione interna dei partiti politici americani; di quello repubblicano ma, come vedremo nei prossimi podcast, anche di quello democratico. Gli ultimi avvenimenti in Alabama e in Tennessee sono il prodromo. Alcuni centri in competizione, vedi i cinesi, sembrano accorgersi del fiume sotterraneo. La quasi totalità di quelli europei, aggrappati ostinatamente e ciecamente ai vecchi equilibri, rischiano ancora una volta di essere spiazzati. Dovranno perfezionare ulteriormente le loro qualità di camaleonti._ Giuseppe Germinario

Massimo Morigi a proposito del “podcast-episode-13_ Lo SMARRIMENTO DEI VINCITORI, di Gianfranco Campa”

Un lungo commento di Massimo Morigi  al podcast sulle vicende presidenziali americane, ma con un occhio all’uomo “forte” del recente passato d’Italia

http://italiaeilmondo.com/2017/09/24/httpssoundcloud-comuser-159708855podcast-episode-13/

 

«Dell’ “eroe”, sia pure popolare, nel senso emersoniano Mussolini ebbe ben poco (come ben poco ebbe del vero uomo di Stato, mentre indubbiamente fu un notevole uomo politico); in tutti i momenti nodali della sua vita gli mancò la capacità di decidere, tanto che si potrebbe dire che tutte le sue decisioni più importanti o gli furono praticamente imposte dalle circostanze o le prese tatticamente, per gradi, adeguandosi alla realtà esterna, il che non sembra poi molto diverso. Per molti aspetti fu piuttosto, per usare un suo pseudonimo giovanile, l’homme qui cherche e non l’ homme qui va e trovò la sua via giorno per giorno, senza avere una idea di dove sarebbe arrivato, ma “sentendo” da vero politico, quale fosse la propria direzione. Sotto questo profilo bene ci pare lo abbia capito Maurras quando scrisse nel suo Dictionnaire: “[in C. Maurras, Dictionnaire politique et critique, III, Paris 1932, p.124, nota bibliografica dal testo citato]:Mussolini ne procède pas en doctrinaire idéologue. L’expérience le conseille, il en suit la leçon, soucieux, au jour, de restaurer le nécessaire, nullement ambitieux de précipiter les éléments politiques et sociaux à la manière d’une pâte dans un gaufrier. Néanmoins, si lâche et flottant, ou même dissolu que son dessein puisse paraître, il a une suite et un ordre, il laisse en se développant une trajectoire, et les observateurs sont bien obligés de se dire que tout cela se tient.”» : Delio Cantimori, prefazione a Renzo De Felice, Mussolini il rivoluzionario. 1883-1920, Torino, Einuadi, 1994, p. XXIII.

Così il più profondo e tormentato storico italiano del Novecento, Delio Cantimori, nella sua prefazione, si era nel 1965, alla prima edizione del primo volume della biografia di Renzo De Felice su Benito Mussolini, Mussolini il rivoluzionario, volendo rappresentare in pochi icastici tratti la personalità di Benito Mussolini, ci restituiva la rappresentazione di un uomo né genio né demonio ma quella di un personaggio “umano, troppo umano” in cui le debolezze caratteriali venivano celate da un decisionismo di facciata che copriva un vuoto di pensiero e di progetto politico, e in questo non solo troppo umano ma anche troppo italiano, troppo simile a quegli italiani (in questo veramente uguali al di là delle magliette degli opposti schieramenti di destra e di sinistra) dove sia sul piano personale che su quello pubblico pensano che una petizione di principio ed una trombonata retorica possano fare le veci di un serio impegno personale e di una seria preparazione sui problemi pubblici. Al di là dei decenni e delle sideralmente diverse condizioni culturali e politiche, vichiani corsi e ricorsi della storia (ma, ancor più, dell’eterna natura umana, sempre una natura di tipo conflittual-strategico: l’eterno problema è come questa natura viene declinata, se seriamente o in maniera da pagliacci. Insomma la machiavelliana dannata serietà della politica che, se non presa con la dovuta consapevolezza, e questo è uno dei più importanti lasciti del Segretario fiorentino, non solo si ritorce contro chi l’ha così stoltamente concepita ma si tramuta malignamente in una vera e propria crisi di civiltà): nel fresco ritratto di Donald Trump che ci restituisce il tredicesimo podcast di Gianfranco Campa, “Lo smarrimento dei vincitori”, emerge veramente un Donald Trump con tratti terribilmente simili al cantimoriano ritratto di Mussolini. Non una terribile ed onnicalcolante mente dittatoriale (nel caso di Trump, seguendo la vulgata politicamente corretta: un democratico imbevuto di idee fascistoidi) ma piuttosto, un abile, anzi abilissimo politico, che fece del suo principale difetto, la superficialità, la sua principale se non unica arma per la conquista del potere ed una personalità politica dove il decisionismo è una decisionismo completamente di facciata perché la sua unica preoccupazione fu sempre, almeno fino a quando la sua azione di governo ebbe una certa efficacia, quello di una diuturna mediazione fra le varie componenti del fascismo non creando mai una situazione originale e sfruttando costantemente le varie circostanze che gli si presentavano di fronte senza avere mai un approccio veramente creativo (dopo, quando egli pensò di essere veramente un genio non ascoltò più nessuno e a questo punto la sua superficialità unita ad una crescente megalomania lo dannò): comunque tutto si può dire di Mussolini tranne che non fosse un abilissimo uomo politico (nel peggior senso della parola, ovviamente, e in questa sua assenza di “creatività” politica e fortissimo opportunismo e crescente megalomania, vero “padre ignobile” dell’attuale ceto politico antifascista del regime sorto in seguito alla sconfitta militare e che perdura ancora sfacciatamente nonostante che i miti resistenziali abbiano mostrato la loro funzione di “arma di rimozione di massa” dell’esperienza del fascismo) e tutto si può concedere a Mussolini tranne il fatto che fosse uno statista, essendo il significato del suo percorso pubblico e privato la dimostrazione più lampante del suo esatto contrario, il demagogo, specie umana e politica che infesta in egual modo sia le dittature che le c.d. “democrazie”. Continuava Cantimori nel suo ritratto di Mussolini: «Visto in una simile prospettiva lo studio della vita di Mussolini, pur mantenendo tutte le sue peculiarità, assume in un certo senso un valore “tipico”, che può servire a capire non solo l?uomo Mussolini, ma il significato del fascismo stesso, e può costituire anche una sorta di primo specchio del modo e della misura nei quali il socialismo di Mussolini e poi il suo fascismo furono visti e valutati dai suoi contemporanei. È in questa funzione, anzi, che la nostra narrazione della vita di Mussolini procede con una prospettiva, un inquadramento, che potremmo definire “a ventaglio” (allargandosi cioè a mano a mano che gli orizzonti di Mussolini si dilatano e la sua figura assume una portata maggiore sino ad avere un ruolo nazionale ed europeo e, quindi, ad inserirsi in un contesto che non è più locale, di partito, nazionale, ma internazionale), ma contemporaneamente senza precorrere, se così si può dire, i tempi della sua evoluzione e del suo successo. Più che ricorrere per lumi e per conferme al poi, insomma, abbiamo di volta in volta preferito attenerci al presente; nel pensiero e soprattutto nell’azione di Mussolini è possibile infatti riscontrare, per dirla con Maurras, uno sviluppo, una traiettoria che hanno una loro logica precisa; voler vedere però in certe “svolte”, in certe “scelte” della vita di Mussolini la consapevolezza che esse lo avrebbero portato a certe soluzioni, a certi obbiettivi a lungo raggio ci sembra non solo arbitrario, ma tale da distorcere i fatti e la loro comprensione: si finirebbe per fare di Mussolini l’ homme qui va e quindi per non capire più il vero significato degli avvenimenti attraverso i quali egli pervenne al successo e per ridurre tutte le altre figure ad un ruolo subalterno, a manichini messi nel sacco da un mago istrione e non piuttosto a considerarle più correttamente come altrettanti protagonisti di una vicenda che – bene o male – ha corrisposto al momento di crisi della società liberale postunitaria e al realizzarsi (tra incertezze, sbandamenti ed errori, dovuti appunto alla grandiosità e alla novità di questa trasformazione e all’imponenza della posta in gioco) di una nuova società politica di massa.»: Ivi, pp. XXV-XXVI.

Dai podcast di Gianfranco Campa per “L’Italia e il mondo” emerge “un inquadramento a ventaglio” della vicenda di Donald Trump, una ricognizione che dalla puntuale individuazione delle caratteristiche “umane, troppo umane” del personaggio Trump si allarga alla profonda conoscenza di tutti i protagonisti e comprimari culturali, politici, economici e militari che avversandolo (la stragande maggioranza) o favarendolo (sarebbe meglio dire: creandolo) stanno dando origine all’attuale micidiale scontro strategico all’interno dell’attuale establishment americano. E in questo tumultuoso quadro magistralmente e puntualmente – ma anche con profondi e cupi tratti espressionistici – rappresentato da Gianfranco Campa, Donald Trump appare sempre più, piuttosto che l’ homme qui va , l’homme qui cherche, un homme qui cherche veramente all’insegna delle parole conclusive di Charles Maurras su Benito Mussolini: “Néanmoins, si lâche et flottant, ou même dissolu que son dessein puisse paraître, il a une suite et un ordre, il laisse en se développant une trajectoire, et les observateurs sont bien obligés de se dire que tout cela se tient.” Il gramsciano “ottimismo della volontà” di Gianfranco Campa, in un’analisi talmente partecipe della situazione politica statunitense quasi da voler diventare uno degli attori dello scontro che rappresenta (ma questo atteggiamento “attivistico” non costituisce una debolezza della stessa ma, dialetticamente, indica anche una precisa moralità politica per chi, anche in Italia, si pone in posizione radicalmente alternativa rispetto all’attuale “stato delle cose” ma non si concede la scorata passività dell’osservatore mussoliniano di Charles Maurras), oltre a fare, tramite il suo realismo, letteralmente piazza pulita della “pappa del cuore” della menzogna del politicamente corretto che infesta pressoché tutti i commentatori, destra o sinistra non importa, quando parlano degli Stati uniti, costituisce anche una precisa traccia per un’autentica moralità politica che ponga le basi per quel gramsciano “moderno principe” che dovrà essere l’esatta antitesi del tipo umano e politico rappresentato da Marraus descrivendo Mussolini. Che, proprio perché simmetrica antitesi, non dovrà avere nulla da spartire e combattere come i principali nemici coloro che respingono Trump perché lo rappresentano come un fascistoide …

Massimo Morigi – 26 settembre 2017

podcast-episode-13_ Lo SMARRIMENTO DEI VINCITORI, di Gianfranco Campa

Può capitare che anche l’uomo politico più ostinato e cinico, ma con ancora qualche residuo anelito di compassione represso nel fondo dell’animo, possa essere indotto ad un moto, magari un semplice cenno, di comprensione e conforto verso il suo più acerrimo avversario. Lo sconforto che ha colto in mondovisione John Kelly, capo di gabinetto presidenziale, proprio nelle fasi più colorite ed impetuose dell’intervento di Trump all’ONU, può spezzare ogni resistenza e senz’altro indurre a questo impulso. Bisognerebbe del resto mettersi, anche se di malavoglia, nei panni dei rappresentanti del vecchio establishment americano, in particolare neocon. Per mesi hanno dovuto metter mano a tutto il proprio arsenale e portare allo scoperto anche gli arnesi più riservati, quelli da esibire più come deterrenza che da mettere all’opera; hanno pregiudicato la credibilità dei mezzi di informazione, della magistratura, dei servizi investigativi e probabilmente di importanti settori delle forze armate, ma alla fine sembrava che fossero finalmente riusciti una volta per tutte ad addomesticare il Presidente riottoso e ad isolarlo dalla congrega di cattivi consiglieri. Ecco invece riemergere senza preavviso il Trump baldanzoso delle origini. E da quale pulpito! Niente meno che dall’assemblea generale dell’ONU; un sinedrio certamente poco produttivo di strategie politiche, ma certamente spettacolare nella funzione di propagazione mediatica e nella costruzione di immagine di un personaggio politico. Durante la sua performance ha rispolverato gran parte del suo repertorio d’antan: “America First”, il Nazionalismo, l’antiglobalismo, l’antimultilateralismo, l’indispensabile funzione dello stato; ha concesso rispetto ed ammirazione agli statisti dediti alla difesa degli interessi nazionali del proprio paese. Con qualche inverosimile acrobazia logica ha sostenuto però la coerenza della propria politica estera e l’incoerenza dei cosiddetti “stati canaglia” e dei loro sostenitori più o meno occulti. Un funambolismo troppo audace anche per i più perspicaci ed aperti interlocutori. La gran cassa dei saccenti, dimentichi delle batoste elettorali, non ha tardato a pontificare sull’inaffidabilità e sull’irrazionalità del Presidente. Faremmo torto alla nostra intelligenza, oltre che a quella di Trump, ad assecondare questa tesi. Gianfranco Campa ci illumina come di consueto sulla ragione principale di questo comportamento, tutt’altro che irrazionale. Trump sa benissimo che il proprio salvacondotto, nell’operazione trasformista ancora in corso, rimane la conservazione di buona parte del consenso del nocciolo duro del proprio elettorato. Il vecchio establishment non vuol capire che strattonature ulteriori rischiano di isolare del tutto Trump e trascinare il paese in un confronto politico interno dalla virulenza paragonabile solo a quella già conosciuta a metà ‘800. Il taglio particolare del discorso, inoltre, è motivato probabilmente da un’altra ragione ancora più imbarazzante; si tratta forse di una volontà manifesta di evidenziare la contraddizione e di chiedere tra le righe comprensione e tregua a quelli che avrebbero dovuto essere i suoi interlocutori privilegiati, primo fra tutti Putin, di una politica estera meno interventista e più condivisa. L’inerzia delle attuali dinamiche geopolitiche rende però pressoché impossibili ulteriori prove d’appello. Lavrov, ciò non ostante, ha dichiarato apertamente che “l’attuale incoerenza della politica estera americana” è la conseguenza delle numerose trappole disseminate dalla vecchia amministrazione Obama ai danni del nuovo presidente. Anche su questo Gianfranco Campa è stato particolarmente lucido in un articolo precedente http://italiaeilmondo.com/2017/03/09/sotto-la-copertura-delle-tenebre-di-gianfranco-campa/  _ Giuseppe Germinario

Massimo Morigi commenta il podcast di Gianfranco Campa “una dinastia in bilico”

Nell’ottimo ed illuminante dodicesimo podcast dell’ “Italia e il Mondo” “Una dinastia in bilico”, Gianfranco Campa ( http://italiaeilmondo.com/2017/09/15/755/) , illustrando le attività de facto criminose della Clinton Foundation si pone la domanda del perché Hillary Clinton. che avrebbe apparentemente tutto l’interesse a che sulla sua figura ed il clan Clinton, dopo la terribile sconfitta elettorale, scendesse un rassicurante oblio, abbia velocemente dismesso la prudente – ancorché mai completamente e convintamente praticata tattica di inabissamento e abbia di nuovo cercato di comparire sotto i riflettori dei media e della pubblica opinione. Giustamente Gianfranco Campa “giustifica” questa mossa avventata col tentativo dei Clinton di fare da apripista per una futura carriera politica della loro figlia Chelsea, e in questo c’è molto di vero, nel senso che è pressoché impossibile che le dinastie politiche accettino di piombare nell’oblio (con lessico marxistico d’ antan si sarebbe detto di essere gettati nella “pattumiera della storia”) e non e certo necessario nemmeno scomodare il pensiero elitaristico di Gaetano Mosca e di Michels per avere conferma che, anche in questo caso, le élite al potere sono gruppi autoreferenziali e chiusi e che fanno di tutto per perpetuarsi all’infinito. Ma se ci fermassimo solo a questo livello di analisi, la vicenda dei Clinton, in fondo, altro non sarebbe che l’ennesima conferma delle dinamiche esclusiviste di qualsiasi ceto politico e questo non ci restituisce la natura vera del potere dei Clinton ( e, in extenso, senza voler forzare la mano, della natura intimamente criminale del potere politico presidenziale negli Stati uniti), natura vera che ci viene restituita dal luogo comune – ma per questo non meno vero, risultando anzi verissima quella “legge”di sociologia politica più certa della legge newtoniana di gravitazione universale – che dice che dalla criminalità organizzata, per l’Italia leggi mafia, non ci si può ritirare, pena conseguenza gravi, molto gravi. Rapportato l’adagio popolare alla vicenda Clinton e alla loro benemerita fondazione questo significa: 1) Attraverso la Fondazione si erano fatte delle promesse, queste promesse vanno onorate e l’unica possibilità di onorarle almeno in parte non sta certo rimanendo nell’ ombra e perdendo potere ma dimostrando che la ditta Clinton è ancora on business; 2) Per rimanere on business è necessario avere ingenti risorse e solo una fondazione che faccia da sfondo ad una ditta Clinton assertivamente e sfacciatamente su piazza può sperare di invertire, almeno in parte, il crack seguito alla mancata elezione alla presidenza degli Stati uniti di Hillary Clinton. Insomma, negli Stati uniti se si perde il potere, e questo non vuol banalmente dire non essere più presidenti di quel paese ma perdere rovinosamente una elezione dimostrando così di non poter in alcun modo onorare gli occulti patti collusivi che si erano presi o durante la presidenza o nel tentativo di ottenerla si rischia grosso, molto grosso … Una lezione, quella sull’ intrinseca pericolosità di cadere rovinosamente dal più alto scranno della politica americana, che ha ben presente anche Trump ed in questo, nonostante le apparenti differenze di facciata, il neoeletto presidente e la mancata prima presidente donna degli Stati uniti sono paradossalmente molto simili, una sorta di “gemelli diversi”. Da entrambi per molto tempo ancora siamo destinati a vedere delle belle (ancorché pericolose ed inspiegabili a meno che non si impieghi un semplice ancorché ficcante realismo politico come quello da sempre mostrato da Gianfranco Campa) e buffe piroette … Massimo Morigi – 18 settembre 2017

12° Podcast _ UNA DINASTIA IN BILICO, di Gianfranco Campa

Questa volta i riflettori puntano a illuminare un altro angolo del palcoscenico a stelle e strisce; quello sino ad ora riservato ai Clinton. Protagonisti, nell’ombra e in primo piano, in questi ultimi venti anni, ma con una pesante ipoteca riguardo al loro futuro politico segnato dalla drammatica sconfitta elettorale alle presidenziali americane. Gli attacchi forsennati a Trump dell’intero vecchio establishment hanno impedito la resa dei conti postelettorale nel Partito Democratico. La sua progressiva normalizzazione tranquillizzerà probabilmente la vecchia classe dirigente e la spingerà a regolare i conti al proprio interno e a gestire in qualche maniera il ricambio. Il contesto geopolitico e sociopolitico è, però, radicalmente mutato rispetto ad appena dieci anni fa. Gli Stati Uniti in qualche maniera devono prendere atto della presenza di altri attori di peso nello scacchiere internazionale; all’interno le basi di consenso dei due partiti tradizionali sono cambiate con una erosione delle basi elettorali e un significativo spostamento di opinione di importanti settori di ceto popolare e medio, come per altro sta avvenendo in maniera più confusa anche in Europa. Sullo sfondo una radicale polarizzazione che impedisce a tutte le forze di assumere il ruolo di forza politica in grado di garantire la coesione del paese. Le emergenti non riescono ancora a sedurre almeno una parte significativa dei settori di punta e più avanzati del paese; le altre sembrano ancora del tutto sorde ai richiami del loro elettorato tradizionale.La paralisi programmatica e progettuale di queste ultime appare sempre più evidente. Come se non bastasse, la possibile formazione autonoma di un nuovo movimento politico, come conseguenza della defenestrazione dei sostenitori originari dallo staff presidenziale, potrebbe catalizzare definitivamente questi settori ed avviare ad una crisi profonda se non irreversibile prima il Partito Repubblicano e poi quello Democratico. Non a caso la componente radicale, più legata ai ceti professionali, del Partito Democratico stesso si è rivelata molto più cauta e sconcertata nei confronti di Trump. Nelle intenzioni della famiglia Clinton questa dovrebbe essere una fase di transizione generazionale, ma con le stesse dinastie come protagoniste; nei fatti Hillary Clinton potrebbe rivelarsi il capro espiatorio perfetto da offrire in cambio della definitiva defenestrazione di Trump e con questo pregiudicare le ambizioni della progenie e di qualche adepto rimasto impigliato in qualche parte del mondo. Fantapolitica? Molto probabile! Questi due anni sono stati però effervescenti e sorprendenti. Le trappole disseminate nello scacchiere internazionale iniziano a stringersi e gli armadi di gran parte di questi esponenti politici, cresciuti e formatisi in altri contesti, sono ricolmi di scheletri pronti alla riesumazione. Lo scontro è apertissimo _ Giuseppe Germinario

A proposito de “la fortezza assediata di Gianfranco Campa”, di Massimo Morigi

Considerazioni di Massimo Morigi sul recente podcast di Gianfranco Campa http://italiaeilmondo.com/2017/09/02/11-podcast_la-fortezza-assediata-di-gianfranco-campa/

«lo spazio esteriore – svuotato – della sovranità territoriale rimane intatto, mentre il contenuto reale di questa sovranità viene modificato in quanto vincolato alla protezione del grande spazio economico della potenza esercente il controllo. Il controllo e il dominio politico si fondano qui sull’intervento, mentre lo status quo territoriale rimane garantito. […] la sovranità territoriale si trasforma in un vuoto spazio di eventi economico-sociali. Viene garantita l’integrità territoriale esteriore, con i suoi confini lineari, non già il contenuto sociale ed economico della stessa integrità, ovvero la sua sostanza. Lo spazio del potere economico determina l’ambito giuridico internazionale. » (Schmitt, 2003, pp.324-325)
La guerra dell’establishment politico americano contro Trump (repubblicani e democratici indifferentemente, grandi mezzi di comunicazione, complesso militare-industriale) descritta e analizzata con acutezza da Gianfranco Campa nei suoi podcast ed in particolare nell’ultimo “La fortezza assediata”, l’undicesimo, dove viene freddamente rappresentata quella che sembra essere la resa finale dei conti contro coloro che hanno costruito l’ascesa alla presidenza dell’erratico e manovriero (purtroppo solo pro domo sua) nuovo presidente statunitense, al di là delle peculiarità caratteriali e politiche (ripetiamo, totalmente negative) del neoeletto presidente ed al di là anche degli errori segnalati da Campa che possono (o meglio, che sicuramente hanno) commesso gli “ingegneri” della costruzione di questa singolare presidenza (Sebastian Gorka, Roger Stone, Steve Bannon), certamente abili, per non dire geniali, nell’ avere compreso il malessere profondo dell’America contro un’ establishment dirittoumanista e pro globalizzazione e del tutto insensibile verso gli interessi dei ceti medio-bassi dei lavoratori statunitensi ma anche ingenui nello scegliere un burattino, Donald Trump, che pensavano di poter dirigere a piacimento ma che alla fine si è dimostrato una sorta di maligno e stregato simulacro dotato di vita propria e a tutto disposto per protrarre ad ogni costo e con ogni compromesso non solo la sua vita politica ma, soprattutto, anche la sua incolumità personale, una cosa dimostra e ci consegna pure un insegnamento per coloro che in Italia puntano ad un rivoluzionamento concreto ed integrale del nostro paese. E quello che la vicenda Trump dimostra è che il vero arcanum imperii della politica internazionale emerso dopo il secondo conflitto mondiale è che le potenze vincitrici mentre si ergono più o meno custodi dell’integrità territoriale degli stati sono al medesimo tempo le più occhiute sorveglianti a che questi confini territoriali delimitano sì un territorio ma un territorio privato di ogni autonomia politica ed economica. Stiamo parlando, in altre termini, della morte sostanziale della sovranità statale, o, meglio, della morte della sovranità di quegli stati che hanno perso la seconda guerra mondiale o, pur avendola vinta militarmente, l’hanno persa politicamente. Per rimanere alla vicenda Trump, accanto al fatto che questa nuova amministrazione intende de facto proseguire nella strategia del caos di obamiana memoria, semmai con qualche retorica correzione anti ideologia dei diritti umani e di esportazione della democrazia, è ancora più chiaro che strategia del caos o no oppure, in via ipotetica, la faticosa ricerca di una sua sostituzione attraverso strategie alternative (faticosa ed in via ipotetica perché i revirement trumpiani tarpano le ali a qualsiasi alternativa all’impostazione caotica e dirittoumanistica obamiana ), è ancor più chiaro che quello che in alcun modo non potrà essere cambiato è la politica statunitense volta a mantenere del tutto vuota ed insignificante la sovranità statale degli stati appartenenti alla sua sfera d’influenza. E non solo di questi ma anche di quelli che mai appartenuti al perimetro dell’alleanza occidentale, si ostinano a volere mantenere ben salda ed efficace la propria sovranità. Come dimostra la vicenda nord coreana in cui, al di là del giudizio che si possa dare di quel regime politico, la volontà di voler costruire una propria “force de frappe” nucleare altro non segnala che la sua volontà di tener cara e ben vitale la propria sovranità statale. Trump parla della Corea del nord come di uno stato terrorista: in realtà il suo rapporto col terrore è da invertire perché se questo stato terrorizza è per il semplice motivo che rifiuta di farsi terrorizzare e conseguentemente, e su questo possiamo anche convenire con l’establishment politico-militare statunitense, colui che rifiuta pervicacemente di farsi terrorizzare può suscitare profonde inquietudini ed apprensioni. L’insegnamento che consegna per l’Italia la vicenda Trump. Si tratta di un insegnamento molto semplice che deve partire dalla comprensione ed accettazione del dato di fatto da parte dell’opinione pubblica e da parte di quelle forze politiche che dall’attuale establishment vengono definite antisistema e populiste (qualità per noi positive ma che, purtroppo, allo stato attuale sono tutte da dimostrare: un ribaltone alla Trump da parte di queste forze una volta che abbiano eventualmente assunto il potere è quasi, allo stato attuale dell’arte, una matematica certezza) che un cambiamento reale della nostra vita politica ed economica non può che venire dal consapevole sovvertimento dell’annullamento della nostra sovranità consegnataci dall’esito disastroso del secondo conflitto mondiale ma protratto per più di settant’anni non da ineluttabili leggi storiche ma dalla consapevole e costante azione politica internazionale degli Stati uniti (e per rovesciare non questa “legge di natura” dell’annullamento della sovranità statale italiana ma, invece, il preciso risultato della precisa e conseguente volontà politica della potenza egemone, valgono i percorsi che già su “L’Italia e il Mondo” si sono indicati: processo di progressiva neutralità dell’Italia – con, mi permetto di aggiungere, un occhio a quanto sta facendo la Corea del nord: per dirla tutta, un’Italia neutrale non può non dotarsi di un suo arsenale nucleare – , completo cambiamento della prospettiva politico-culturale, un vero e proprio riorientamento gestaltico della mentalità comune e politica dove vengano spodestati i fantomatici diritti umani e le retoriche democraticistiche per sostituirli con una decisa e spietata difesa e rafforzamento della cultura italiana, intesa questa come l’inestricabile e dialettico portato storico di tutti quegli elementi politici, culturali, economici, religiosi e linguistici che hanno formato l’identità italiana (e qui mi fermo perché, come già detto, è urgente iniziare il dibattito e vi debbono essere anche altri contributi, l’importante è la consapevolezza della direzione da assumere). Insomma, se sapremo contribuire alla formazione di una pubblica consapevolezza politica lungo l’interpretazione espressa dalle parole di Carl Schmitt poste ad incipit di queste brevi considerazioni sarà molto difficile, per non dire impossibile, che si ripetano sul suolo italico le deludenti vicende che stanno oggi accadendo negli USA. Se invece si permetterà alle c.d. forze antisistema di continuare a praticare la loro interessata somaraggine politico-culturale (tanto per fare un esempio: se permetteremo che queste c.d. forze antisistema continuino a blaterare il loro loffio slogan “aiutiamo gli immigrati a casa loro” anziché, come in osservanza ad un elementare buon senso di realismo politico deve essere pubblicamente affermato, comincino ad impegnarsi con un ben più sostanzioso e vincolante: «pur mantenendo intatte e rispettando rigorosamente le disposizioni e consuetudini di civiltà e del diritto internazionale che impongono di soccorrere in terra ed in mare chi si trova in pericolo di vita, noi permettiamo di circolare e lavorare sul nostro territorio solo a chi economicamente e culturalmente – cioè chi è funzionale alla nostra Kultur, come avrebbe detto l’infamata geopolitica tedesca del secolo scorso ma infamata perché gli sconfitti non potessero più praticarla contro i vincitori della guerra – fa i nostri interessi e dei rimanenti che non soddisfano questi requisiti, per dirla in tutta franchezza, nun ce ne pò fregà de meno» … ), il cambiamento sarà solo quello del personale che governerà il paese. E tutto rimarrà come prima, come puntualmente è accaduto negli Stati uniti con la nuova – ma vecchissima nella sostanza – presidenza di Donald Trump. Massimo Morigi – 3 settembre 2017

RAPPORTO CONFIDENZIALE, di Gianfranco Campa

Gianfranco Campa, dalla sua postazione particolare, ci introduce amabilmente ormai da alcuni anni tra i retroscena e nei meandri della politica americana attraverso affreschi ( http://italiaeilmondo.com/2016/11/03/crepe-nellimpero-di-gianfranco-campa-gia-pubblicato-il-19-marzo-2012-sul-sito-www-conflittiestrategie-it/ ) e rapidi flash ( http://italiaeilmondo.com/2016/11/03/la-rivolta-degli-sceriffi-di-gianfranco-campa-gia-pubblicato-su-www-conflittiestrategie-it-il-18-giugno-2016/ ). Adesso tocca ad uno dei dinosauri di quello scenario, pur pesantemente acciaccato ormai, ad essere oggetto di attenzioni: Hillary Clinton. Se la rappresentazione offerta dalla CNN dovesse essere corretta, c’è da rimanere esterrefatti. Possibile che un politico di quel livello, dal curriculum così impressionante, sia capace di una analisi ed una interpretazione così rozza e squinternata dell’esito delle recenti elezioni presidenziali? Ad un politico ancora in attività, seppure sulla via del tramonto, non è possibile pretendere un giudizio obbiettivo, indipendente dalle conseguenze politiche. Colpisce, però, la rozza strumentalità delle accuse e l’incapacità di cogliere la novità e l’efficacia della conduzione della campagna elettorale del suo acerrimo avversario; il mix di raccolta di dati, gestione, intervento mirato sul territorio, uso combinato di tecniche tradizionali e innovative. Un errore imperdonabile , per una professionista della politica. Ci sarebbe da prendere atto di un fallimento quasi esistenziale di questa classe dirigente formatasi negli anni ’90 e successivi in un agone senza veri competitori e avversari politici, se avversari possono chiamarsi i vari Boris Eltsin, Scalfaro, Letta, D’Alema, Ciampi, Merkel, Sarkozy. Una classe dirigente abituata evidentemente a vincere facile e poco avvezza allo scontro duro con competitori reali. Una classe dirigente che ha infatti dilapidato in pochissimi anni un potenziale egemonico apparentemente superiore a quello dell’Inghilterra del secolo XIX. Lascio al più autorevole Campa il compito di discettare in futuro della condizione del suo paese. Preme sottolineare, piuttosto, la conferma della condizione peregrina della nostra classe dirigente, in particolare della cosiddetta sinistra. Abbiamo visto, in questi anni recenti, dirigenti qualificati, come Massimo d’Alema, gonfiare talmente di compiacimento il proprio gracile corpo da insufflare persino le proprie gote al cospetto e nelle grazie ostentate di Hillary Clinton; abbiamo visto i suoi numerosi epigoni, in particolare di genere femminile, tra questi la Dassù, la Pinotti, la Mogherini, accorrere affannosamente e senza ritegno, al momento dell’assegnazione del loro incarico istituzionale, nemmeno dai diretti referenti istituzionali americani, ma attraverso i sensali, capaci di aprire loro almeno le porte di servizio ( http://italiaeilmondo.com/category/dossier/autori-dossier/giuseppe-germinario/.  ) Una progenie politica che, evidentemente, ha evitato di analizzare seriamente gli errori e i meriti del proprio passato;  ha semplicemente rimosso gli antefatti e, con questo, pronto a assorbire dai più potenti il peggio, trascinando il paese lentamente nella attuale disastrosa condizione, pur di sopravvivere a se stessi. Sembrano ormai destinati a soccombere; ma non è detto che il paese, pur liberatosi dal fardello, riesca ugualmente ad emergere. Germinario Giuseppe

Il libro di Hillary Clinton sulla campagna presidenziale dell’anno scorso, uscirà nelle librerie degli Stati Uniti il 12 Settembre, ma già si conoscono importanti passaggi dei suoi contenuti del testo  dal titolo “What Happened” (Cosa e` Successo). Potrei spiegare tranquillamente io alla Signora Clinton cose è successo; ma la Clinton nel libro si ostina ad elaborare una serie di teorie che hanno contribuito secondo lei alla sconfitta della sua campagna elettorale e di conseguenza alla vittoria del presidente Donald Trump.

Il libro è stato acquistato in Florida dalla CNN una settimana prima del previsto lancio. Grazie alla sua tempestività si possono apprezzare alcuni passaggi dell’opera.

Puoi biasimare i dati, incolpare il messaggio, incolpare tutto quello che vuoi – ma io ero il candidato” scrive.Era la mia campagna, quelle sono le mie decisioni“. La Clinton ammette di aver anche sottovalutato Trump.

Penso che sia giusto dire che non ho capito quanto velocemente il terreno si stava spostando sotto i nostri piedi“, scrive. “Stavo correndo una tradizionale campagna presidenziale con politiche accuratamente pensate e coalizioni costruite minuziosamente, mentre Trump stava gestendo un reality show televisivo che ha saputo coltivare in modo irresistibile facendo leva sulla rabbia degli americani“.

Poi la Clinton punta il dito contro il direttore dell’FBI James Comey quando ha riaperto l’inchiesta sullo scandalo delle emails classificate.”La lettera di Comey ha sconvolto la campagna presidenziale” scrive Clinton.

Nel libro, Clinton parla anche del suo matrimonio con l’ex presidente Bill Clinton e osserva che  “Ci sono stati momenti in cui ero profondamente incerta se il nostro matrimonio doveva continuare o meno, ma in quei giorni mi sono fatta le domande importanti: lo amo ancora? Posso rimanere in questo matrimonio senza diventare irriconoscibile a me stessa- contorta dalla rabbia, dal risentimento o dalla solitudine? Le risposte erano sempre affermative”.

Ha anche affrontato l’intromissione della Russia nelle elezioni del 2016 e si chiede se una risposta più forte da parte del presidente Barack Obama avrebbe aiutato. Su Vladimir Putin, Clinton sostiene di aver meditato una vendetta; “non avrei mai immaginato che Putin avesse l’audacia di lanciare un massiccio attacco contro la nostra democrazia, proprio sotto i nostri nasi – e di averla fatta anche franca”. Personalmente su questo passaggio non saprei se ridere o piangere talmente ridicola risalta la affermazione di Clinton. HC si rammarica per non avere potuto fargliela pagare, a Putin. “Non aspettavo altro che mostrare a Putin come i suoi sforzi per influenzare le nostre elezione, installando un amichevole burattino (Trump), erano falliti”, scrive. “So che Putin gode di tutto quello che è successo, ma ride bene chi ride ultimo…“.

Inoltre Clinton afferma che “Ci sono  molte persone che speravano che anche io scomparissi, ma sono ancora qui.”

Apparentemente la Clinton nel libro attribuisce anche molte colpe della perdita delle elezioni anche  a Bernie Sanders, Joe Biden, Barack Obama e altri.

L’uscita del libro di Clinton avviene nel momento in cui il libro della sua guida spirituale, il pastore Metodista; Bill Shillady è stato ritirato dagli scaffali delle Librerie con l’accusa di Plagio. Il libro intitolato: “The Daily Devotions of Hillary Rodham Clinton” (Le devozioni quotidiane di Hillary Rodham Clinton),  è una raccolta delle e-mails che lui e altri ministri hanno inviato all’ex Segretario di Stato ogni quotidianamente durante la campagna presidenziale del 2016. Ogni e-mails devotamente composta ogni mattina alle 4 in punto, conteneva un brano della Scrittura, un breve sermone e una preghiera per lei da recitare quel giorno.

Alla fine sulla domanda della Clinton; Cosa e Successo? La risposta è più semplice di quello che sembra: E` successo che Trump ha vinto e la Clinton ha perso. Quello che invece continuiamo a non sapere e che fine hanno fatto le 33.000 emails che la signora Clinton ha eliminato dal suo server…Quello si richiede una risposta che ancora non è arrivata e forse mai arriverà…

Penso che ogni analisi sia superflua. Ogni volta che sento la Clinton parlare, scrivere o semplicemente respirare, mi rendo conto che con tutte le sue debolezze, le sue incertezze, la sua approssimazione, Trump a suo modo e` stata una salvezza.

11° Podcast_LA FORTEZZA ASSEDIATA, di Gianfranco Campa

Gianfranco Campa conferma con cognizione di causa ciò che lui stesso e questo sito avevano analizzato e previsto in tutti questi mesi. Il vecchio establishment è riuscito a riprendere il controllo integrale degli strumenti di governo. Gli strumenti di potere no, quelli li ha sempre detenuti, anche se profondamente intaccati nella loro efficacia e nella loro credibilità. Hanno ripreso il fortino, ma hanno dovuto scoprire gran parte dei loro sistemi di difesa e di attacco Lo scotto pagato per conseguire la vittoria è stato pesante. Hanno dovuto a malincuore includere Trump, il portabandiera e allontanato, ma non annientato i veri artefici dell’incursione alla Casa Bianca i quali intendono riprendere piena libertà di azione, forti degli strumenti e del consenso del nocciolo duro e compatto sul quale Trump ha basato la propria campagna elettorale. Hanno però messo a nudo l’artificiosità del gioco democratico di questi ultimi decenni evidenziando la sotterranea connivenza tra i vertici dei due partiti contendenti;  infatti sia buona parte della dirigenza del Partito Democratico che la quasi totalità di quello Repubblicano ne escono screditati sino a veder minacciata, quest’ultima, la propria stessa sopravvivenza. Hanno compromesso in maniera duratura la credibilità e l’efficacia del sistema di informazione. Hanno dovuto vellicare i peggiori istinti del repertorio dirittoumanitarista e del politicamente corretto sino a legittimare la furia iconoclasta che sta alimentando a dismisura le profonde divisioni nel paese e provocare reazioni altrettanto retrograde, utili però a strumentalizzare e demonizzare il profondo movimento di dissenso che cova sotto le ceneri. Hanno dovuto mettere in campo, nella gestione dell’esecutivo, soprattutto un intero staff militare. Le implicazioni circa la credibilità di questa fondamentale istituzione dello Stato e le particolari modalità di conduzione del gioco politico non tarderanno a manifestarsi pesantemente. In sostanza, lo scontro politico nel merito non si è concluso, ma spostato su un altro terreno in modo altrettanto radicale. Se i vincitori attuali riusciranno a riportare nell’ombra i meccanismi veri del potere potranno vincere definitivamente; in caso contrario lo scontro si annuncerà ancora più duro e pesante. Buon ascolto, con tanta attenzione_ Giuseppe Germinario

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11https://soundcloud.com/user-159708855/podcast-episode-11

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