LA PRIMAVERA EUROPEA, di pierluigi fagan

LA PRIMAVERA EUROPEA.

Sembrerebbe che lo schema delle “primavere di popolo” con cui gli americani hanno cercato di pilotare eventi politici nel mondo arabo, poi Ucraina ai tempi di piazza Maidan, Hong Kong, abbia oggi messo nel mirino un obiettivo davvero impegnativo: l’Europa. Codice colore: giallo e blu.

Nel breve di una giornata all’inizio del conflitto russo-ucraino, tedeschi, francesi, italiani sono passati da un certo sconcerto di contro-piede per quanto stava facendo la Russia, stato di sconcerto che però non prevedeva affatto di rinunciare ai propri interessi, all’allineamento unanime sanzionatorio. Non discuto la logica sanzionatoria, quello che mi ha colpito è la velocità e totalità dell’improvvisa polarizzazione. Può darsi io sia viziato dalla logica realista che si basa su analisi degli interessi razionalmente perseguiti e non capisca come l’enormità di ciò che hanno fatto i russi possa sollevare animi e coscienze. Può darsi. Però da quanto a mia conoscenza è difficile spiegare come il ministro Franco esca dall’Ecofin dicendo che non se ne parlava proprio di escludere la Russia dal SWIFT o Scholz diceva che certo non si poteva toccare il Nord Stream 2 e poche ore dopo la Russia veniva esclusa dallo SWIFT e il Nord Stream diventava “un pezzo di metallo in fondo al mare” come trionfante celebrava la Nuland.

Già, la Nuland, quella di “fuck the UE” ai tempi della rivolta di piazza Maidan nel 2014, la rivoluzione arancione ucraina. La moglie di Robert Kagan, lo storico e politologo neo-con che si definisce “liberale interventista”, lascia il partito repubblicano e diventa un sostenitore della Clinton, scrive nel 2017 che la Terza guerra mondiale avverrà per contrastare l’espansionismo russo e cinese. Ci si potrebbe scrivere un intero post su Kagan, andatevi a fare una ricerchina su Google.

Ad ogni modo, ripeto, non discuto le posizioni politiche improvvisamente prese dall’UE, mi lascia perplesso quel “improvvisamente”. Gente notoriamente indecisa su tutto ed il contrario di tutto, trova magicamente l’allineamento in un pomeriggio. Curioso.

Su Zelensky abbiamo già scritto anche troppo. Rilevo solo come il suo ufficio propaganda abbia l’invidiabile capacità di muoversi come una struttura di levatura globale. Lancia messaggi ai parlamenti europei, va in diretta nelle piazze europee che manifestano contro la Russia, sono impegnati ora in una contrastata trattativa con gli israeliani che gli vogliono negare il discorso al proprio parlamento, chissà perché. Ieri Repubblica ha pubblicato in video inquietante della propaganda che ci dicono ucraina pensando noi si sia scemi. Con effetti speciali hollywoodiani che nessuna post produzione di Kiev sarebbe in grado di produrre, le scene mostrano Parigi sotto bombardamento. Molto realistico e “catastrophic-movie” con alla fine la domanda del perché i francesi non consentono alla NATO di imporre la no-fly-zone sull’Ucraina. Ieri Repubblica dava notizia della prima manifestazione europea in favore della no-fly-zone a Londra, convocata da una sedicente neonata organizzazione “London Euromaidan”, sembra un format, no?

Sono diciassette giorni che Zelensky, tutti i giorni, più volte al giorno, come un disco rotto, reclama la no-fly-zone, finora negata ma quanto a lungo resisteremo all’indignazione? Il tutto in un crescendo di insopportabilità: bambini straziati, centrali atomiche con perdite, crimini di guerra, inumanità, armi chimiche e batteriologiche, sindaci torturati, fosse comuni poi arriveranno i campi di concentramento in Siberia, mentre l’Armata Rossa minaccia di invadere casa vostra. E quando ci sarà l’incidente nucleare per colpa russa, che sono giorni che viene annunciato? O quello biochimico? Sarete ancora contro la no-fly-zone allora?

Impressionante anche il perfetto allineamento dei giornalisti. Anche qui, in men che non si dica, gente anche posata e non incline all’estremismo per quanto di note simpatie politiche chiaramente atlantiste, simpatie ed interessi, è diventato un campo magnetico orientato alla perfezione, quasi coordinato, improvvisamente. In tutta Europa, ora vige la logica del 1914 che Canfora ieri ricordava con un certo sconcerto. Superato poi dallo sconcerto di vedere Rampini evidentemente alterato che gli intimava di non dire sciocchezze perché Canfora era solo un “provinciale” (!).

Nella primavera del 1914, tutta Europa era sulle tiepide e fiorite ali della Belle Epoque, in pochi mesi precipitò nell’incubo. Persone che si stimavano e forse anche si volevano bene, si ritrovarono improvvisamente ostili l’un vero l’altra, l’uno improvvisamente preso dal virus bellico, l’altra perplessa e sconcertata. Paralizzati ad argomentare contro la potenza chiarificatrice dello slogan urlato. Lo sconcerto durò poco anche perché s’imposero forme di ostracismo sociale per via culturale a tutti coloro che non vibravano all’irresistibile richiamo della giusta guerra. In questi giorni, avrete notato le liste di proscrizione per i “filo-Putin”, l’aggressività bavosa dei pitbull mediatici, il bombardamento h24 che rilancia i comunicati delle Zelensky&Partners, il totale oscuramento della “voce del nemico”. Tutto ciò è già percolato nella mentalità di massa.

C’è un potere assoluto del discorso unico e Lord Acton ricordava che se il potere corrompe, il potere assoluto corrompeva assolutamente. Per questo Montesquieu promosse la suddivisione e pluralità dei poteri perché ogni tesi deve esser mitigata dalla sua antitesi, altrimenti diventa dogma. Ma i liberali reali sono spariti di colpo, ora ci sono solo liberali interventisti, aggressivi, mono-maniaci, i liberali idealisti. Ogni disastro storico è stato fatto sulle ali di un idealismo non temperato dal realismo. Tipo convincersi di essere una civiltà superiore. Son quelli del “c’è un aggredito ed un aggressore”, come se fossimo stupidi e non ce ne fossimo accorti o fossimo deviati dalla propaganda russa che semplicemente è stata silenziata su ogni possibile canale, a meno di non leggersi la TASS su twitter in cirillico. Il motore che portò quella primavera nel buco nero dell’estate e successivi anni del 1914 fu proprio l’imposizione di questa logica, la logica dicotomica che prende un frame del processo della realtà che è storica, lo schiaccia sull’attualità e ti chiede di scegliere tra A o B e non ti azzardare a fare sofistica da terza posizione. Il campo semantico è tracciato se non sei dentro sei ostracizzato e non hai voce, non sai neanche quanti sono indisponibili a finire in quel campo, sei un isolato e quindi è meglio rinchiudersi nel tuo disagiato silenzio privato. Noi qui diamo voce a quel disagio affinché non rimanga privato.

Come ho avuto modi di dirvi i primi giorni, io mi occupo per lo più di mondo e complessità, il mio interesse per la geopolitica deriva da ciò ma non copre tutto l’argomento che è più vasto e complesso. Tuttavia, negli anni, mi sono più volte interessato a questioni geopolitiche. Prima che razionalmente, già dal secondo giorno dopo il 24 febbraio ho “sentito” che qualcosa non era normale. Era una sensazione data proprio da questa reazione pubblica che sembrava troppo pronta, troppo unanime, troppo svelta, troppo organizzata lì dove le complessità della politica e del pubblico dibattito normale ha sempre reso i processi di reazione lenti, contradditori, complicati. Le cose in quei campi non hanno mai funzionato così e sebbene l’eccezionalità degli eventi porti a dover considerare l’accelerazione, ciò non giustifica del tutto ciò che è successo, come è successo, perché è successo. Per questo ho smesso i miei panni naturali di studioso distaccato e ho sentito necessità di scendere in strada a combattere con l’uso della ragione in pubblico.

Poco fa ho letto un articolo dello stimato sito di analisi politica americana “Politico”. Era un articolo inusuale, un vero e proprio killeraggio contro Macron e questo sua “ostinazione” a continuare a telefonare a Putin. Ho anche letto sul JPost israeliano la Nuland “che ha messo in guardia Gerusalemme dall’essere un rifugio per “denaro sporco” mentre si dice di un nervoso Biden che impone a Tel Aviv di unirsi alle “democrazie combattenti” elevando più serie sanzioni a Mosca, sbrigandosi ad inviare armi letali in Ucraina assieme a tutti gli altri. Il tutto mentre ministri e funzionari ucraini attaccano questa incertezza o diverso punto di vista israeliano neanche fossero diventati i padroni del mondo politico occidentale. Attaccare gli israeliani non è cosa facile, chi segue queste cose sa di cosa parlo.

Orami siamo circondati da gente aggressiva che ci tiene a farti sapere quanto fai umanamente schifo perché non ti unisci al coro del Grande Sdegno Morale o meglio, preso atto che ovviamente anche tu ritieni inaccettabile la violazione del principio di inviolabilità dei confini con forze armate, fai schifo perché non ti fermi lì. Perché ti fai domande su come siamo finiti in questo pasticcio, come finirà, quali saranno le conseguenze, cosa significa dopo ottanta anni vedere in televisione gente che parla di bombe atomiche come fossero bombe alla crema, con la stessa acquolina nella mente. La Bomba è d’improvviso il “new normal”. London Maidan, non si fanno manifestazioni per chiedere al Governo britannico perché ha preso solo decine di rifugiati quando noi ne abbiamo preso 35.000, no! si va in piazza a chiedere la no-fly-zone per l’Ucraina.

Sudeti, valori delle Resistenza, Guerra civile spagnola, fioccano le analogie a sproposito per eccitare gli animi e sguinzagliare i mastini del nuovo movimento giallo-blu per la guerra al novello Hitler. Ve l’ho detto, tutto ciò m’inquieta, tutto ciò è molto meno normale di quanto comincia a sembrarci.

L’obiettivo non è solo l’Europa, l’obiettivo è rifare il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, cacciare Russia e Cina, imporre l’ordine economico e finanziario americano, affinché il 4,5% della popolazione mondiale o meglio una sua élite, possa tramite la sua egemonia benevolente, prorogare il dominio che i neo-con americani della “rivoluzione permanente” hanno già intitolato nel 1997 come il loro condensato strategico: The New American Century.

Con le buone o con le cattive. A qualsiasi prezzo. Anche quello che fino a due settimane fa e per ottanta anni è stato l’impensabile.

https://pierluigifagan.wordpress.com/2022/03/13/la-primavera-europea/

PARTENDO DA ZANG TUMB TUMB E SALAMINI: TUDICIDIDE E LA GUERRA DEL PELOPONNESO (MENO STUPIDI DI COSÌ…) Di Massimo Morigi

 

PARTENDO DA ZANG TUMB TUMB E SALAMINI: TUDICIDIDE E LA GUERRA DEL PELOPONNESO (MENO STUPIDI DI COSÌ…)

Di Massimo Morigi

Nei commenti a ZANG TUMB TUMB E SALAMINI: PIÙ STUPIDI DI COSÌ SI MUORE avevo già segnalato nell’ “Italia e il Mondo” (URL http://italiaeilmondo.com/2022/03/04/zang-tumb-tumb-e-salamini-piu-stupidi-di-cosi-si-muore-di-massimo-morigi/, Wayback Machine: https://web.archive.org/web/20220311152949/http://italiaeilmondo.com/2022/03/04/zang-tumb-tumb-e-salamini-piu-stupidi-di-cosi-si-muore-di-massimo-morigi/ e screen shot: https://web.archive.org/web/20220311153000/http://web.archive.org/screenshot/http://italiaeilmondo.com/2022/03/04/zang-tumb-tumb-e-salamini-piu-stupidi-di-cosi-si-muore-di-massimo-morigi), l’articolo di Antonio de Martini sulla guerra russo-ucraina “LA CRISI UCRAINA E LO SCONTRO EST-OVEST. NON E’ TRA NOI E LA RUSSIA: E’ TRA RUSSIA E STATI UNITI & INGHILTERRA E CHI DIRIGE NON SONO GLI USA”, che oltre alla solita lucida analisi di De Martini, è stato in seguito anche accompagnato da interessanti considerazioni in merito ai rapporti fra politica e morale. Su questo intervento di De Martini ero quindi intervenuto già una volta sul “Corriere della Collera” di Antonio de Martini e sull’ “Italia e il Mondo” con considerazioni terra-terra ma ritengo non banali in merito ai pericoli dello schierarsi dell’Italia contro la Russia in una maniera così arrogante e spudorata (l’impegno del nostro paese di fornire armi all’Ucraina) da rischiare ad essere la prima della lista a subire un eventuale attacco atomico russo.

Ora ho postato sempre su questo articolo un altro commento, riguardo, appunto i rapporti fra politica e morale, non mettendoci, però di mio praticamente nulla ma affidandomi a Tucidide, che di questi rapporti aveva un’idea ben precisa e a buon ragione essendo in pratica il fondatore del pensiero realista.

L’URL del “Corriere della Collera” attraverso il quale si può leggere l’articolo di De Martini e del mio quasi nullo ultimo contributo al dibattito ma, ritengo, del definitivo ed illuminante riferimento tucidideo sull’argomento è https://corrieredellacollera.com/2022/03/03/la-crisi-ucraina-e-lo-scontro-est-ovest/, Wayback Machine: https://web.archive.org/web/20220311133951/https://corrieredellacollera.com/2022/03/03/la-crisi-ucraina-e-lo-scontro-est-ovest/, ma considerando il magistero tucidideo anche del tutto adeguato a rappresentare la visione del nostro blog non solo sulla guerra in corso ma anche sui rapporti fra legge e morale e forza in geopolitica e nei rapporti internazionali, posto questo mio commento anche come ideale chiusa al mio PARTENDO DA “UNA CIVILTÀ CHE SI SPEGNE” DI ROBERTO BUFFAGNI: SAM DUNN È MORTO (URL http://italiaeilmondo.com/2022/03/10/partendo-da-una-civilta-che-si-spegne-di-roberto-buffagni-sam-dunn-e-morto-di-massimo-morigi/ , Wayback Machine: https://web.archive.org/web/20220311155017/http://italiaeilmondo.com/2022/03/10/partendo-da-una-civilta-che-si-spegne-di-roberto-buffagni-sam-dunn-e-morto-di-massimo-morigi/) , rendendomi ben conto che ancora una volta non ho tenuto fede al mio impegno di tacere per un po’ su Ucraina e dintorni ma ne chiedo venia perché mi sono limitato a salire sulla spalla di un gigante la cui presenza, se fosse conosciuta e condivisa non dico a livello di massa ma da parte di coloro, il ceto semicolto di sinistra direbbe La Grassa, che si arrogano il diritto di condurre la pubblica opinione, li indurrebbero, forse, non dico ad analisi intelligenti (in fondo un venduto sia o meno semiacculturato o per niente acculturato è sempre un venduto) ma almeno, a pratiche comunicative più discrete e meno palesemente criminali come quelle presenti che puntano a far accettare anche l’idea di una guerra nucleare con l’Italia nel ruolo di vaso di coccio fra vasi di ferro e prima vittima sacrificale in caso di escalation nucleare. Ad ogni buon conto ecco il mio ultimo commento all’articolo di De Martini:

«Su quale sia il valore del diritto e della morale in geopolitica e nei rapporti internazionali e su quale sarebbe stato, al di là delle fantasie ideologiche, il destino dell’Italia nel caso avesse deciso di rimanere neutrale nella guerra russo-ucraina, citiamo, dalla Guerra del Peloponneso di Tucidide il dialogo fra gli ambasciatori ateniesi e i Meli (per chi avrà la pazienza di arrivare fino in fondo, la risposta per quanto riguarda l’Italia è nel paragrafo 116): «Poi gli Ateniesi mossero anche contro l’isola di Melo con 30 navi loro, 6 di Chio e 2 di Lesbo: vi erano imbarcati 1200 opliti ateniesi, 300 arcieri a piedi e 20 arcieri a cavallo; inoltre circa 1500 opliti forniti dagli alleati e dagli abitanti delle isole. I Meli, che sono coloni spartani, non volevano assoggettarsi, come facevano gli abitanti delle altre isole, al predominio di Atene; ma, dapprima, se ne stavano tranquilli, senza schierarsi né con gli uni né con gli altri; poi, siccome gli Ateniesi ve li costringevano tormentando il loro territorio, erano venuti a guerra aperta. Ordunque i generali ateniesi Cleomede, figlio di Licomede, e Tisia, figlio di Tisimaco, accampatisi nell’isola con le forze di cui si è parlato, prima di mettere a ferro e a fuoco il paese, mandarono un’ambasceria per intavolare trattative. I Meli, però, non li condussero davanti al consiglio popolare e li invitarono invece a esporre lo scopo della loro venuta alla presenza dei magistrati e dei maggiorenti. Allora gli inviati di Atene parlarono così: 85. “Poiché non volete che noi esponiamo le nostre ragioni davanti al popolo, per timore che esso si lasci ingannare una volta che abbia sentito le nostre argomentazioni serrate, persuasive e che non ammettono replica (infatti, è per tale scopo, lo comprendiamo che ci avete condotti davanti a questo ristretto consiglio), voi che qui siete adunati garantitevi una sicurezza ancor maggiore. Non aspettate nemmeno voi di dare una risposta unica e conclusiva; ma vagliate ciò che noi diciamo punto per punto e replicate subito se qualche affermazione vi pare poco opportuna. E, tanto per cominciare, diteci se la nostra proposta incontra il vostro favore.” 86. 1 consiglieri dei Meli risposero così: “Sulla opportunità che i vari punti siano vicendevolmente chiariti in tutta tranquillità, non c’è nulla da obiettare sennonché, la guerra ormai è alle porte; non è solo una minaccia e questo, pare, non si accorda con quanto proponete. Noi vediamo, infatti, che siete venuti in veste di giudici di ciò che si dirà e che, alla conclusione, questo colloquio porterà a noi la guerra se com’è naturale, forti del nostro diritto, non cederemo; se invece accetteremo, avremo la schiavitù”. 87. Ateniesi: “Se, dunque, siete convenuti per fare sospettose supposizioni riguardo al futuro o per altre ragioni, piuttosto che per esaminare la situazione concreta che avete sotto gli occhi e prendere una decisione che comporta la salvezza della vostra città, possiamo far punto; se, invece, quest’ultimo è lo scopo del convegno, noi siamo pronti a continuare il discorso”. 88. Meli: “È naturale, e merita anche scusa, che quando ci si trova in simili frangenti si volgano parole e pensieri in mille parti: tuttavia,, questa riunione ha come primo intento la salvezza: e il colloquio si svolga pure, se vi pare; nel modo da voi suggerito”. 89. Ateniesi: “Da parte nostra, non faremo ricorso a frasi sonanti; non diremo fino alla noia che è giusta la nostra posizione di predominio perché abbiamo debellato i Persiani e che ora marciamo contro di voi per rintuzzare offese ricevute: discorsi lunghi e che non fanno che suscitare diffidenze. Però riteniamo che nemmeno voi vi dobbiate illudere di convincerci coi dire che non vi siete schierati al nostro fianco perché eravate coloni di Sparta e che, infine, non ci avete fatto torto alcuno. Bisogna che da una parte e dall’altra si faccia risolutamente ciò che è nella possibilità di ciascuno e che risulta da un’esatta valutazione della realtà. Poiché voi sapete tanto bene quanto noi che, nei ragionamenti umani, si tiene conto della giustizia quando la necessità incombe con pari forze su ambo le parti; in caso diverso, i più forti esercitano il loro potere e i piú deboli vi si adattano”. 90. Meli: “Orbene, a nostro giudizio almeno, l’utilità stessa (poiché di utilità si deve parlare, secondo il vostro invito, rinunciando in tal modo alla giustizia) richiede che non distruggiate quello che è un bene di cui tutti possono godere; ma quando qualcuno si trova nel pericolo, non gli sia negato ciò che gli spetta ed è giusto; e anche, per quanto deboli siano le sue ragioni, possa egli trarne qualche vantaggio, convincendone gli avversari. Questa politica sarà soprattutto utile per voi, poiché, in caso di insuccesso, servirete agli altri d’esempio per l’atroce castigo”. 91. Ateniesi: “Non siamo preoccupati, anche se il nostro impero dovesse crollare, per la sua fine: poiché, per i vinti, non sono tanto pericolosi i popoli avvezzi al dominio sugli altri, come ad esempio, gli Spartani (d’alra parte, ora, noi non siamo in guerra con Sparta), quanto piuttosto fanno paura i sudditi, se mai, assalendo i loro dominatori, riescano a vincerli. Ma, se è per questo, ci si lasci pure al nostro rischio. Siamo ora qui, e ve lo dimostreremo, per consolidare il nostro impero e avanzeremo proposte atte a salvare la vostra città, poiché noi vogliamo estendere il nostro dominio su di voi senza correre rischi e nello stesso tempo salvarvi dalla rovina, per l’interesse di entrambe le parti”. 92. Meli: “E come potremmo avere lo stesso interesse noi a divenire schiavi e voi ad essere padroni?”. 93. Ateniesi: “Poiché voi avrete interesse a fare atto di sottomissione prima di subire i più gravi malanni e noi avremo il nostro guadagno a non distruggervi completamente”. 94. Meli: “Sicché non accettereste che noi fossimo, in buona pace, amici anziché nemici, conservando intatta la nostra neutralità?”. 95. Ateniesi: “No, perché ci danneggia di più la vostra amicizia, che non l’ostilità aperta: quella, infatti, agli occhi dei nostri sudditi, sarebbe prova manifesta di debolezza, mentre il vostro odio sarebbe testimonianza della nostra potenza”. 96. Meli: “E i vostri sudditi sono così ciechi nel valutare ciò che è giusto, da porre sullo stesso piano le città che non hanno con voi alcun legame e quelle che, per lo più vostre colonie, e alcune addirittura ribelli, sono state ridotte al dovere?”. 97. Ateniesi: “Essi pensano che, tanto agli uni che agli altri, non mancano motivi plausibili per difendere la loro causa; ma ritengono che alcuni siano liberi perché sono forti e noi non li attacchiamo perché abbiamo paura. Sicché, senza contare che il nostro dominio ne risulterà più vasto, la vostra sottomissione ci procurerà maggior sicurezza; tanto più se non si potrà dire che voi, isolani e meno potenti di altri, avete resistito vittoriosamente ai padroni del mare”. 98. Meli: “E con l’altra politica, non pensate di provvedere alla vostra sicurezza? Poiché voi, distogliendoci dal fare appello alla giustizia, ci volete indurre a servire alla vostra utilità, bisogna pure che noi, qui, a nostra volta, cerchiamo di persuadervi, dimostrando qual è il nostro interesse e se per caso non venga esso a coincidere anche con il vostro. Or dunque tutti quelli che ora sono neutrali non ve li renderete nemici, quando, osservando questo vostro modo di agire, si faranno la convinzione che un giorno voi andrete anche contro di loro? E in questo modo, che altro farete voi se non accrescere i nemici che già avete e trascinare al loro fianco, pur contro voglia, coloro che fino ad ora non ne avevano avuto nemmeno l’intenzione?”. 99. Ateniesi: “No, perché non riteniamo per noi pericolosi quei popoli che abitano sul continente e che, per la libertà che godono, ci vorrà dei tempo prima che facciano a noi il viso dell’armi; sono piuttosto gli abitanti delle isole che ci fanno paura; quelli che, qua e là, come voi, non sono sottomessi ad alcuno; e quelli che mal si rassegnano ormai ad una dominazione imposta dalla necessità. Costoro, infatti, molto spesso affidandosi ad inconsulte speranze, possono trascinare se stessi in manifesti pericoli e noi con loro”. 100. Meli: “Ordunque, se voi affrontate cosi gravi rischi per non perdere il vostro predominio e quelli che ormai sono vostri schiavi tanti ne affrontano per liberarsi di voi, non sarebbe una grande viltà e vergogna per noi, che siamo ancora liberi, se non tentassimo ogni via per evitare la schiavitù?”. 101. Ateniesi: “No; almeno se voi deliberate con prudenza: poiché questa non è una gara di valore tra voi e noi, a condizione di parità, per evitare il disonore; ma si tratta, piuttosto, della vostra salvezza, perché non abbiate ad affrontare avversari che sono di voi molto più potenti”. 102. Meli: “Ma sappiamo pure che le vicende della guerra prendono talvolta degli sviluppi più semplici che non lasci prevedere la sproporzione di forze fra le due parti. Ad ogni modo, per noi cedere subito significa dire addio a ogni speranza: se, invece, ci affìdiamo all’azione, possiamo ancora sperare che la nostra resistenza abbia successo”. 103. Ateniesi: “La speranza, che tanto conforta nel pericolo, a chi le affida solo il superfluo porterà magari danno, ma non completa rovina. Ma quelli che a un tratto di dado affidano tutto ciò che hanno (poiché la speranza è, per natura, prodiga) ne riconoscono la vanità solo quando il disastro è avvenuto; e, scoperto che sia il suo gioco, non resta più alcun mezzo per potersene guardare in futuro. Perciò, voi che non siete forti e avete una sola carta da giocare, non vogliate cadere in questo errore. Non fate anche voi come i più che, men- tre potrebbero ancora salvarsi con mezzi umani, abbandonati sotto il peso del male i motivi naturali e concreti di sperare, fondano la loro fiducia su ragioni oscure: predizioni, vaticini, e altre cose del genere, che incoraggiano a sperare, ma poi traggono alla rovina”. 104. Meli: “Anche noi (e potete ben crederlo) consideriamo molto difficile cimentarci con la potenza vostra e contro la sorte, se non sarà ad entrambi ugualmente amica. Tuttavia abbiamo ferma fiducia che, per quanto riguarda la fortuna che procede dagli dèi, non dovremmo avere la peggio, perché, fedeli alla legge divina, insorgiamo in armi contro l’ingiusto sopruso; quanto al- l’inferiorità delle nostre forze, ci assisterà l’alleanza di Sparta, che sarà indotta a portarci aiuto, se non altro, per il vincolo dell’origine comune e per il sentimento d’onore. Non è, dunque, al tutto priva di ragione la nostra audacia”. 105. Ateniesi: “Se è per la benevolenza degli dèi, neppure noi abbiamo paura di essere da essi trascurati; poiché nulla noi pretendiamo, nulla facciamo che non s’accordi con quello che degli dèi pensano gli uomini e che gli uomini stessi pretendono per sé. Gli dèi, infatti, secondo il concetto che ne abbiamo, e gli uomini, come chiaramente si vede, tendono sempre, per necessità di natura, a dominare ovunque prevalgano per forze. Questa legge non l’abbiamo istituita noi , non siamo nemmeno stati i primi ad applicarla; così, come l’abbiamo ricevuta e come la lasceremo ai tempi futuri e per sempre, ce ne serviamo, convinti che anche voi, come gli altri, se aveste la nostra potenza, fareste altrettanto. Da parte degli dèi, dunque, com’è naturale, non temiamo di essere in posizione di inferiorità rispetto a voi. Per quel che riguarda l’opinione che avete degli Spartani, e sulla quale basate la vostra fiducia che essi accorreranno in vostro aiuto per non tradire l’onore, noi vi complimentiamo per la vostra ingenuità, ma non possiamo invidiare la vostra stoltezza. Gli Spartani, infatti, quando si tratta di propri interessi e delle patrie istituzioni, sono più che mai seguaci della virtù; ma sui loro rapporti con gli altri popoli, molto ci sarebbe da dire: per riassumere in breve, si può con molta verità dichiarare che essi, più sfacciatamente di tutti i popoli che conosciamo, considerano virtù ciò che piace a loro e giustizia ciò che loro è utile: un tal modo di pensare, dunque, non s’accorda con la vostra stolta speranza di salvezza. 106. Meli: Anzi, è proprio questa la ragione che ci infonde la massima fiducia in quello che è un effettivo interesse loro: non vorranno essi, tradendo i Meli che sono loro coloni, suscitare il sospetto fra i Greci amici e favorire in tal modo i loro nemici”. 107. Ateniesi: “Voi, dunque, non siete convinti che l’interesse di un popolo si identifica con la sua sicurezza, mentre giustizia e onestà si servono a rischio di pericoli: e questo è un coraggio che, di solito, gli Spartani assolutamente non dimostrano”. 108. Meli: “Eppure noi siamo sicuri che, per la causa nostra, essi affronteranno più volentieri anche i pericoli e meno gravi li giudicheranno in confronto agli altri; perché, come campo di azione, siamo vicini al Peloponneso e, per disposizione d’animo, data la comune origine, diamo una garanzia di fedeltà maggiore degli altri”. 109. Ateniesi: “Non è tanto la simpatia di coloro che invocano l’aiuto che garantisce la sicurezza di chi si accinge a portarlo, quanto, piuttosto, la superiorità effettiva delle loro forze: a questo gli Spartani badano anche più degli altri (non si fidano, si vede, della propria potenza e, per marciare contro i vicini, hanno bisogno dell’appoggio di molti alleati); sicché non c’è da pensare che essi facciano uno sbarco in un’isola, quando siamo noi i padroni del mare”. 110. Meli: “Potrebbero, però, incaricare altri dell’impresa: è vasto il mare di Creta, e sarà meno facile ai padroni del mare intercettare i convogli nemici, che a questi mettersi in salvo se vogliono non farsi scorgere. E se anche qui dovessero fallire, potrebbero volgersi contro il vostro paese e contro quello dei vostri alleati che non sono stati attaccati da Brasida; e così voi dovreste combattere non tanto per un paese estraneo, quanto per difendere i vostri alleati e il vostro stesso paese”. 111. Ateniesi: “In tal caso non si tratterebbe di una esperienza nuova, nemmeno per voi, che ben sapete come gli Ateniesi non si siano mai ritirati da alcun assedio, per paura d’altri. Osserviamo, invece, che, mentre dicevate di voler deliberare per la vostra salvezza, nulla in così lungo colloquio avete ancora detto, che possa giustificare in un popolo la fiducia e la certezza che esso verrà salvato dalla rovina: la vostra massima sicurezza è affidata a speranze che si volgono al futuro; le forze di cui al momento disponete non sono sufficienti a garantirvi la vittoria su quelle che, già ora, vi sono contrapposte. Darete, quindi, prova di grande stoltezza di mente, se anche dopo che ci avrete congedati, non prenderete qualche altra decisione che sia più saggia di queste. Poiché non dovrete lasciarvi fuorviare dal punto d’onore che tanto spesso porta gli uomini alla rovina tra pericoli inevitabili e senza gloria. Molti, infatti, che pur vedevano ancor chiaramente a quale sorte correvano, furono attirati da quello che noi chiamiamo sentimento d’onore, dalla suggestione di un nome pieno di lusinghe; sicché, soggiogati da quella parola, in effetto piombarono ad occhi aperti in mali senza rimedio, attirandosi un disonore più grave di quello che volevano fuggire, perché frutto della loro stoltezza, non imposto dalla sorte. Da questo errore voi vi guarderete, se intendete prendere una buona decisione; e converrete che non ha nulla di infamante il riconoscere la superiorità della città più potente di Grecia, che ha propositi di moderazione; diventarne alleati e tributari, conservando la sovranità nel vostro paese. Dato che vi si offre la scelta tra la guerra e la vostra sicurezza, non ostinatevi nel partito peggiore: il massimo successo arriderà sempre a quelli che si impongono a chi ha forze uguali, mentre con i più forti si comportano onorevolmente e quelli più deboli trattano con moderazione e giustizia. Riflettete, dunque, anche quando noi ci ritireremo; ripetetevi spesso che è per la patria vostra che deliberate; che la patria è una sola, e la sua sorte da una sola deliberazione sarà decisa, di salvezza o di rovina”. 112. Gli Ateniesi si ritirarono dalla sala del convegno; e i Meli, restati soli, constatato che il loro punto di vista rimaneva presso a poco quale l’avevano esposto, formularono questa risposta: “Noi, o Ateniesi, non la pensiamo diversamente da prima; né mai ci indurremo a privare della sua libertà, in pochi momenti, una città che ha già 700 anni di vita, ma, fidando nella buona sorte che fino ad oggi, con l’aiuto degli dei, l’ ha salvata e nell’appoggio degli uomini, specie di Sparta, faremo di tutto per conservarla. Vi proponiamo la nostra amicizia e neutralità, a patto che vi ritiriate dal nostro paese, dopo aver concluso degli accordi che diano garanzia di tutelare gli interessi di entrambe le parti”. 113. Tale fu la risposta dei Meli; e gli Ateniesi, mettendo fine ormai al colloquio, dissero: “A quanto pare, dunque, da queste decisioni, voi siete i soli a considerare i beni futuri come più evidenti di quelli che avete davanti agli occhi; mentre con il desiderio voi vedete già tradotto in realtà ciò che ancora è incerto e oscuro. Orbene, poiché vi siete affidati agli Spartani, alla fortuna e alla speranza, e in essi avete riposto la fiducia più completa, altrettanto completa sarà pure la vostra rovina”. 114. Gli inviati di Atene se ne tornarono, quindi, all’accampamento; e i generali allora, vedendo che i Meli non volevano sentir ragione, subito si accinsero ad atti di guerra, e, ripartitisi per città i vari settori, costruirono un muro tutto intorno ai nemici. Poi gli Ateniesi lasciarono in terra e sul mare un presidio formato di soldati loro e alleati; quindi, con la maggior parte delle truppe si ritirarono. La guarigione rimasta sul posto continuò l’assedio. 115. Nello stesso periodo di tempo, gli Argivi fecero irruzione nel territorio di Fliunte; ma, sorpresi in un’imboscata dai Fliasii, che erano rinforzati dagli esuli di Argo, lasciarono sul terreno circa 80 uomini. Gli Ateniesi, rientrati da Pilo, avevano portato un ricco bottino degli Spartani; questi, però, anche così rifiutarono di rompere la tregua e far guerra aperta; tuttavia fecero proclamare per mezzo di araldi che autorizzavano chiunque volesse dei loro a depredare gli Ateniesi; i Corinzi per delle divergenze particolari dichiararono guerra ad Atene: tutto il resto del Peloponneso se ne stava tranquillo. Una notte i Meli attaccarono quella parte del muro degli Ateniesi che guardava la piazza del mercato e l’espugnarono: uccisero alcuni difensori, introdussero in città viveri e tutto quanto poterono trovare di generi utili, quindi si ritirarono e stettero all’erta. Gli Ateniesi, in seguito, provvidero a migliorare il servizio di guardia. Intanto anche l’estate volgeva al termine. 116. Nell’inverno seguente gli Spartani fecero i preparativi per una irruzione nell’Argolide; ma, siccome i sacrifici fatti sui confini per il successo della spedizione non erano risultati favorevoli, si ritirarono. Gli Argivi allora, in seguito a questo tentativo, sospettarono di complicità alcuni dei loro concittadini: qualcuno fu arrestato, qualche altro si diede alla fuga. Nella stessa epoca, i Meli con un nuovo assalto espugnarono un’altra parte del muro ateniese, approfittando che le guardie non erano numerose. Ma più tardi, siccome questi tentativi si ripetevano, venne da Atene una seconda spedizione, al comando di Filocrate, figlio di Demeo; sicché, stretti ormai da un assedio molto rigoroso, ed essendosi anche inoltrato il tradimento, i Meli si arresero senza condizioni agli Ateniesi. Questi passarono per le armi tutti gli adulti caduti nelle loro mani e resero schiavi i fanciulli e le donne: quindi occuparono essi stessi l’isola e più tardi vi mandarono 500 coloni.». Null’altro da aggiungere. Massimo Morigi – 11 marzo 2022»

ETHNOS E STATO, di Daniele Lanza

ETHNOS E STATO (1 di 2)
(alle radici degli etnonazionalismi d’Europa orientale, con attenzione al caso ucraino) [da LEGGERE, può essere illuminante]
——–
Introduzione
Nodo di Gordio (diciamo). Le difficoltà nel tormentato processo di negoziazione nella crisi in corso hanno molteplici cause : una di esse – direi quella cardine, ma che stenta ad imporsi nella narrativa d’occidente – si colloca nella più intima sfera della società ucraina ed è qualcosa che inibisce dal comunicare propriamente col vicino russo.
Si potrebbe quasi affermare che l’attuale classe politica di questo paese – al potere da oramai molti anni – è quasi ontologicamente inadatta (per sua stessa natura cioè), inadeguata al dialogo con Mosca. Questo si deve ad un genoma ideologico del tutto anomalo rispetto all’Europa di cui vorrebbe – paradossalmente – fare parte, denso di elementi identitari le cui origini variano a seconda di luogo e tempo, ma che prese tutte assieme vanno a comporre l’agglomerato che chiameremmo “nazionalismo ucraino”.
L’espressione ultima è evocata continuamente in questi giorni (intensità massima da parte russa e minima da parte occidentale) tanto da risultarne quasi banalizzata…….cerchiamo di fare un minimo di chiarezza sulla questione ora.
Premessa :
A beneficio di chi legge e ad onore della verità – a prescindere da come ci si rapporti al nazionalismo ucraino nello specifico – occorre innanzitutto ricordare un dato essenziale che concerne il contesto più ampio : si intende dire che l’intera Europa orientale, presa nella sua totalità, vede una maggiore frequenza di tali fenomeni nazionalistici ed identitari rispetto alla zona più occidentale dell’Europa. L’elenco di sigle e correnti (parlamentari e non) distribuite su tutto l’arco di paesi dell’ex patto di Varsavia sarebbe lungo : si inizia dalle provincie dell’ex Germania orientale coi suoi rigurgiti neonazisti, ai nazional-cattolici polacchi, per poi dirigersi a nord tra i paesi baltici che commemorano le proprie formazioni SS durante l’ultimo conflitto mondiale e invece a sud, nei Balcani, lo strabiliante particolarismo etno nazionalista emerso sin dalla conclusione del sistema socialista nei primissimi anni 90. L’Ucraina non fa eccezione, ma anzi rientra in tutto nella media di un quadro molto più vasto….di un brodo di coltura comune, potremmo anche dire.
Le ragioni autentiche di questo brodo di coltura – volessimo indagarne le radici ultime – sono antiche e vanno ben oltre gli slogan e i gesti ispirati ai regimi totalitari del XX secolo che tutti conosciamo : il fatto centrale è che il quadrante più orientale d’Europa vede un percorso di sviluppo sociopolitico differente rispetto al suo analogo occidentale già a partire dalla tarda età moderna e per tutta quella contemporanea (gli ultimi 250 anni). Mentre l’Europa occidentale, affacciata all’oceano si lancia nella sua conquista del mondo forgiando imperi oltremare di dimensioni continentali che vanno ad investire giocoforza altri contesti geografici e culturali (e venendone a sua volta influenzati), viceversa gli stati e le società dell’oriente europeo, fisicamente limitati in questo senso ovvero sprofondati in un loro isolamento continentale, mantengono e sviluppano una visione più autoctona del mondo. Per esprimerla in altre parole, l’est Europa percorre un sentiero divergente rispetto al processo di globalizzazione capitanato dal fulcro anglo/franco/ispanico che già prende forma nei secoli dell’età moderna (il cui prodromo sono le scoperte geografiche che mettono fine al medioevo, per andare ancora più indietro).
Individuiamo quindi in questo primo momento – che si dispiega nel corso di secoli – il primo tassello di una differenza evolutiva profonda nella sfera psicosociologica di est e ovest europeo : se è vero che i nazionalismi emergono tanto ad occidente quanto ad oriente è utile notare che il carattere più duro e premoderno lo mantengono quelli d’oriente, meno abituati al confronto col cosmopolitismo che avviene nel corso del tempo per chi si affaccia all’oceano nella sua conquista coloniale planetaria (considerazione che sfiora l’elementare eppure trascurata).
A questo macro fattore si assomma inoltre una divergenza sostanziale data dall’imperfetta sintonia tra evoluzione delle strutture politiche e della psiche collettiva (comparativamente). Proviamo a spiegarci più chiaramente : la diversità di fondo di cui si è parlato si mantiene anche entrando nell’età contemporanea e anzi si accentua proprio in concomitanza con gli eventi cardine che inaugurano il XIX secolo, quando il fenomeno della grande rivoluzione (“Rivoluzione francese” sui nostri manuali) ridefinisce il concetto di nazionalità nella cultura europea, donandogli un carattere civile, che combaci col concetto legale di stato. Tale “nazionalismo civico” posteriore al 1789 si diffonde al di fuori della Francia durante l’era napoleonica lasciando la propria eredità in tutto il continente, non priva tuttavia di un’asimmetria profonda che emergerà nel secolo a seguire : nel contesto occidentale il vibrante risveglio delle identità nazionali riesce in qualche modo ad svilupparsi e ramificarsi in sinergia con le strutture dello stato contemporaneo (parlamentare, via via democraticizzato col passare delle generazioni) mentre ad oriente il risveglio identitario in questione è un fenomeno che si manifesta al di fuori di un forte e condiviso contesto statale, essenzialmente indipendente dall’idea di statalità : questo è naturale se si considera la parcellizzata natura degli imperi multinazionali nell’Europa centro-orientale del XIX secolo. Al reazionario paternalismo di questi ultimi – contestato dai più, prima e dopo – va a sostituirsi la tempesta imprevedibile dell’etnia quindi.
Un nazionalismo popolare, scisso (o non ben amalgamato) dal più secolarizzato e organizzato concetto di istituzioni, che vede il primato dell’ETHNOS rispetto allo STATO : un arcaico diritto del sangue che prescinde/pervade quello civile (…).
Questo è quanto oggi chiamiamo ETNONAZIONALISMO, nel gergo comune.
Non è un caso se si usa tale parola per riferirsi preferibilmente ai fenomeni identitari nell’Europa orientale contemporanea : espressione pressochè assente nel frasario abituale fino ai conflitti balcanici dei primissimi anni 90 vivi ancora nella memoria di tutti (anche se in realtà lo si può usare retroattivamente per tutti i frangenti storici che vedono insorgenze etniche negli ultimi secoli). Rispetto al “nazionalismo civico” che tende a promuovere un patriottismo istituzionale basato sulla ricerca dell’unità, l’etnonazionalismo si definisce al contrario nel conflitto contro il diverso da sé, contro la “tribù differente” che ci è vicina.
Il caso UCRAINO non è diverso da altri (fatta eccezione per le dimensioni dell’areale in questione rispetto ad altri più piccoli nei Balcani)

 

La lunga regola di Putin, di Vladislav Surkov.

Il più famoso consigliere del presidente russo, Vladislav Surkov, ha pubblicato un clamoroso saggio nel febbraio 2019. In essa annunciava, nel contesto dell’ascesa del populismo, la quasi vittoria del modello Putin.

Ecco la traduzione integrale, seguita da un’analisi di Michel Eltchaninoff, filosofo e giornalista francese, autore di Dans la Tête de Vladimir Poutine (Solin-Actes Sud, 2015). L’ultima parte di questa nota è dedicata alla versione originale del testo russo di Vladislav Surkov.

“Che abbiano una scelta è solo un’illusione. Queste parole colpiscono per la loro profondità e la loro audacia. Pronunciate circa quindici anni fa, oggi sono dimenticate e non vengono mai citate. Ma le leggi della psicologia mostrano che ciò che dimentichiamo ci colpisce molto più di ciò che ricordiamo. E queste parole, ben al di là del contesto in cui sono state pronunciate, sono diventate il primo assioma della nuova governance russa, su cui si basano tutte le teorie e le pratiche della politica attuale.

L’illusione della scelta è l’ultimo stratagemma dello stile di vita occidentale, in particolare della democrazia occidentale che ha aderito a lungo più alle idee di Barnum 1 che a quelle di Clistene di Atene 2 . Il rifiuto di questa illusione, che favorisce un realismo fatalistico, ha in primo luogo portato la nostra società a riflettere sul proprio modello sovrano di sviluppo democratico 3 . L’ha poi portata a ignorare completamente la questione di cosa dovrebbe essere la democrazia, e anche se dovrebbe esistere in linea di principio.

Sono apparse vie per costruire uno stato libero, guidate non da chimere importate ma dalla logica dei processi storici, dall’“arte del possibile”. La disintegrazione della Russia – impossibile, contrariamente alla natura e alla storia – è stata fermata, tardivamente ma con fermezza. Crollando dal livello dell’URSS al livello della Federazione Russa, il paese ha interrotto la sua decomposizione. La Russia ha iniziato a ricostruirsi ed è tornata al suo unico stato naturale: un paese immenso, che estende e riunisce le terre di una comunità di popoli. Il ruolo immodesto che la storia del mondo ha attribuito al nostro Paese gli vieta di uscire di scena o di tacere tra le comparse. Non garantisce riposo e determina la natura ardua del nostro governo.

Comunque sia, lo stato russo persevera nel suo essere ed è diventato uno stato di un tipo senza precedenti, che non abbiamo mai conosciuto prima. Formatosi a metà degli anni 2000, rimane poco studiato. Ma la sua specificità e la sua fattibilità sono evidenti. Gli stress test che ha già superato, e sta ancora superando, mostrano che è proprio questo modello organicamente costituito l’unico mezzo efficace di sopravvivenza e di elevazione della nazione russa, non solo per i prossimi anni ma per i prossimi decenni, o meglio per tutto il secolo a venire.

La storia della Russia ha conosciuto quattro grandi modelli statali che possono essere designati secondo i loro creatori: lo Stato di Ivan III (Granducato/Regno di Moscovia e tutte le Russie, XV-XVII secolo), lo Stato di Pietro il Grande (Russian Impero, 18°-19° secolo), Stato di Lenin (Unione Sovietica, 20° secolo) e Stato di Putin (Federazione Russa, 21° secolo). Create da persone che potremmo chiamare, nello stile di Goumilev 4 , “di lunga volontà”, queste grandi macchine politiche si sono succedute, riparate e adattate man mano che procedevano, assicurando nei secoli l’ostinata ascesa del mondo russo.

La grande macchina politica di Putin sta appena iniziando a prendere slancio e si prepara a un lavoro lungo, difficile e decisivo. La sua piena capacità è ancora molto lontana. Inoltre, quando sarà raggiunto, tra molti anni, questo Stato sarà ancora la Russia di Putin, così come la Francia di oggi è chiamata la Quinta Repubblica di De Gaulle, così come la Turchia poggia sull’ideologia delle Sei Frecce di Atatürk (nonostante il fatto che gli anti-kemalisti sono ora al potere) o come gli Stati Uniti fanno ancora affidamento sulla visione e sui valori dei padri fondatori semileggendari.

È essenziale comprendere, comprendere e descrivere il sistema di governo di Putin, l’insieme delle idee e delle dimensioni del Putinismo come l’ideologia del futuro. Proprio dal futuro, perché Putin non è proprio un putinista, così come Marx non è un marxista e probabilmente non avrebbe accettato di esserlo se avesse saputo di cosa si trattava. Questo lavoro di analisi dell’ideologia di Putin deve essere svolto per servire tutti coloro che vorrebbero essere come Putin. Per rendere possibile la diffusione dei suoi metodi e approcci in futuro.

Questa descrizione non dovrebbe essere fatta nello stile di due propaganda, quella “nostra” e quella “di altri”, ma in un linguaggio accettabile per i discorsi filo-russi così come per i discorsi anti-russi. Questa lingua può essere accolta da un pubblico abbastanza ampio. Ciò è necessario perché il sistema politico inventato in Russia non è solo adatto a un futuro interno, ma ha anche un forte potenziale di esportazione. Inoltre, tale domanda, per tutte o per alcune parti di questo sistema, esiste già. La sua esperienza è studiata e parzialmente adottata. Leader o gruppi di opposizione lo imitano in molti paesi.

All’estero, i politici accusano la Russia di interferire nelle elezioni e nei referendum in tutto il mondo. In realtà, la questione è molto più seria. La Russia si sta insinuando nei loro cervelli e non sanno cosa fare con la propria coscienza alterata. Dai catastrofici anni ’90, quando il nostro Paese ha rifiutato i prestiti ideologici e quando abbiamo iniziato a dare il nostro significato agli eventi e abbiamo lanciato il nostro contrattacco informativo verso l’Occidente, esperti europei e americani hanno iniziato a ingannare sempre più spesso nelle loro previsioni. Le preferenze paranormali del loro elettorato li stupivano e li facevano infuriare. Confusi, annunciarono l’espansione del populismo. Possiamo anche dirlo così, se non abbiamo le parole.

L’interesse degli stranieri per l’algoritmo politico russo è comprensibile: nessuno è un profeta nel suo Paese. Ma tutto ciò che sta accadendo oggi nel resto del mondo è stato previsto dalla Russia per molto tempo.

Quando tutti erano entusiasti della globalizzazione e propagandavano un mondo piatto e senza confini, Mosca ci ricordava chiaramente che la sovranità e gli interessi nazionali erano importanti. A quel tempo, molti erano coloro che ci accusavano di un attaccamento “ingenuo” a queste cose vecchie, presumibilmente obsolete da molto tempo. Ci hanno insegnato che non c’è più niente da trattenere dai valori del 19° secolo, che dovevamo entrare coraggiosamente nel 21° secolo, dove non ci sarebbero più nazioni indipendenti o stati sovrani. Ma, nel 21° secolo, le nostre previsioni si sono avverate. La Brexit inglese, il “#GreatAgain” americano, il partizionamento europeo anti-migrazione sono solo i primi elementi di un elenco esaustivo di manifestazioni onnipresenti di de-globalizzazione,

Quando, ad ogni angolo di strada, Internet è stato elogiato come uno spazio inviolabile di libertà illimitata, dove pensavamo di poter fare tutto e dove eravamo tutti uguali, è stata ancora una volta la Russia ad aver osato porre una domanda che ha fatto riflettere su questa ingenua umanità : “Chi siamo su questo Web: ragni o mosche? E ora tutti si precipitano a districare il Web, comprese le burocrazie più impegnate per la libertà personale, arrivando ad accusare Facebook di complicità nelle ingerenze straniere. Questo spazio un tempo libero, presentato come il prototipo di un paradiso futuro, è ora monitorato e delimitato da cyberpolizia e cybercrime, cybereserciti e cyberspie, cyberterroristi e cybermoralisti.

Quando l’egemonia dell’egemonia americana era incontrastata da nessuno, quando il grande sogno americano del dominio del mondo era quasi realizzato e quando molti furono coloro che videro questa fine della storia dove “il popolo tace”, in questa atmosfera di silenzio globale, il Monaco di Baviera il discorso risuonò improvvisamente 5 . All’epoca questo discorso sembrava dissenziente, ma oggi tutto ciò che esprime risuona come prova: il mondo intero è scontento degli Stati Uniti, compresi gli americani.

Non molto tempo fa, il termine politico turco “derin devlet” è stato ripreso dai media americani e tradotto in inglese come “deep state” e poi diffuso dai nostri media. Il termine designa un’organizzazione del potere rigida e totalmente antidemocratica, mascherata da una bella immagine delle istituzioni democratiche presentata al mondo intero. In realtà, questo meccanismo operativo si basa sulla violenza, sulla corruzione e sulla manipolazione, e si nasconde nel profondo sotto la superficie di una società civile che (ipocritamente o ingenuamente) condanna ogni manipolazione, corruzione o violenza.

Notata l’esistenza di questo spiacevole “deep state” all’interno del proprio paese, gli americani non furono però molto sorpresi: ne sospettavano l’esistenza da molto tempo. Se la rete profonda e la rete oscura esistono, perché non dovrebbero esserci uno stato profondo e uno stato oscuro ? Dalle profondità e dalle tenebre di questo potere oscuro e nascosto emergono i miraggi sublimi della democrazia creati per le masse: l’illusione della scelta, il sentimento di libertà, il sentimento di superiorità, ecc.

La sfiducia e l’invidia, utilizzate dalla democrazia come fonti prioritarie di energia sociale, portano necessariamente ad un’assolutizzazione della critica e ad un aumento del livello di ansia. Odiatori , troll e robot malvagi che si unirono a loro, formarono una maggioranza urlante, soppiantando l’onorevole classe media che un tempo esprimeva un tono completamente diverso.

Nessuno crede alle buone intenzioni dei politici. Sono gelosi e quindi considerati viziosi, astuti e persino decisamente marci. Famose serie che vanno da Boss a House of Cards mostrano immagini molto realistiche della opaca vita quotidiana dell’establishment politico .

A un bastardo non dovrebbe essere permesso di esagerare solo perché è un bastardo. E quando assumiamo che ci siano solo bastardi, dobbiamo usare, per scoraggiare i bastardi, le tecniche dei bastardi. Un cattivo deve essere espulso da un altro cattivo. C’è una vasta gamma di bastardi e una vasta gamma di regole complicate per negare l’impatto della loro lotta per il potere. Così viene creato un sistema benefattore di controlli ed equilibri, come un equilibrio dinamico di bassezza, un equilibrio di avidità, un’armonia di imbrogli. E se qualcuno dimentica se stesso, si spinge troppo oltre in questo gioco e ne danneggia l’armonia, lo Stato Profondo, sempre vigile, emerge come un salvatore e trascina il rinnegato nelle sue profondità.

Non c’è niente di spaventoso in questa descrizione della democrazia occidentale. Basta cambiare leggermente l’angolazione del tiro in modo che la paura si dissipi. Ma il dubbio persiste. E l’uomo occidentale comincia a guardarsi intorno alla ricerca di altri modelli e modi di esistere. E vede la Russia.

Il nostro sistema politico, come tutto nel nostro Paese, sembra meno raffinato, ma comunque più onesto. E anche se “più onesto” non è sinonimo di “migliore” per tutti, le attrazioni non mancano.

Il nostro stato non è diviso tra uno stato profondo e uno stato esterno. È intero e tutti i suoi componenti sono chiaramente visibili. Le costruzioni più brutali della sua struttura di forza sono sulla facciata, senza alcun artificio architettonico. La nostra burocrazia, anche quando imbroglia, non prende mai le pinze, partendo dal presupposto che “nessuno si fa fregare”.

Forti tensioni interne dovute alla necessità di tenere sotto controllo permanente immensi spazi eterogenei, nonché la partecipazione costante del nostro Paese alla lotta geopolitica internazionale, rendono indispensabile e decisivo il potere militare e di polizia. Questo potere è sempre stato avanzato, perché né i mercanti, che considerano gli interessi militari inferiori agli interessi del commercio, né i liberali che basano la loro dottrina sul rifiuto totale di ogni militarismo, hanno mai governato la Russia (con poche eccezioni: un pochi mesi nel 1917 6 e qualche anno negli anni ’90 7). Non c’era nessuno che velasse la verità di illusioni, mettendola timidamente in secondo piano e nascondendo il più possibile la proprietà primaria di ogni Stato: essere strumento di attacco e di difesa.

Non esiste uno stato profondo in Russia, ma esiste un popolo profondo. In superficie brilla l’élite. Secolo dopo secolo, con dinamismo (va riconosciuto), coinvolge il popolo in alcune sue attività: assemblee di partito, guerre, elezioni, esperimenti economici… Il popolo partecipa a queste attività, ma in modo un po’ distaccato, non mostrandosi non in superficie, vivendo la propria vita nel profondo. Due nazioni, una superficiale e l’altra profonda, a volte vanno in direzioni opposte, a volte si intersecano, ma non si fondono mai.

Le persone profonde mantengono sempre la propria opinione, sfuggendo a sondaggi, propaganda, minacce e altri metodi di studio e influenza diretti. A volte le persone fortunate riescono a capire chi è, cosa pensa e cosa vuole. Ahimè! questa conoscenza spesso non viene colta se non troppo tardi e dalle persone sbagliate.

I sociologi rari osano determinare con precisione se le persone profonde rappresentano l’intera nazione o solo una parte – e quale parte! In tempi diversi erano considerati a volte contadini, a volte proletari, a volte apartitici, a volte hipster , a volte funzionari. Questo popolo, lo cercavamo, volevamo immergerci in esso. A volte si diceva che fosse un teoforo 8 , o addirittura il contrario. A volte abbiamo deciso che era immaginario e non esisteva realmente. Abbiamo iniziato le riforme in fretta e furia, senza tenerne conto, e molto presto ci siamo imbattuti in essa, accorgendoci improvvisamente che esisteva nonostante tutto. A volte, si ritirava sotto la pressione di occupanti interni o esterni. Ma tornava sempre.

Con la sua gigantesca supermassa, il popolo profondo crea un’irresistibile forza di gravitazione culturale, che unisce la nazione e attira (getta) l’élite a terra (sulla terra natale), e talvolta cerca di elevarsi verso il cosmopolitismo.

Il principio popolare, qualunque sia il significato della parola, domina lo stato, ne determina la forma, limita le fantasie dei teorici e costringe gli uomini d’azione a compiti specifici. È un potente attrattore a cui conducono tutte le traiettorie politiche, senza eccezioni. In Russia, non importa con quale movimento politico inizi: conservatorismo, socialismo, liberalismo…, tutto andrà più o meno allo stesso modo. Vale a dire, da ciò che è.

La capacità di ascoltare e comprendere le persone, di vedere tutto in loro, in profondità, e di agire in modo adeguato con loro, costituisce la principale ed eccezionale virtù del governo di Putin. Questa sposa il popolo, segue la stessa strada, non affronta quindi i sovraccarichi distruttivi delle controcorrenti della storia. E, quindi, è efficace e durevole.

In questo nuovo sistema tutte le istituzioni sono subordinate allo stesso compito principale: quello di instaurare uno spirito di fiducia attraverso la comunicazione e l’interazione del capo supremo con i cittadini. Diversi rami del potere convergono sulla persona del leader. Il valore di questi rami è determinato solo dall’importanza e dalla vicinanza del loro legame con lui. Inoltre, i mezzi di comunicazione informali operano aggirando le strutture ufficiali e i gruppi d’élite. E quando la stupidità, l’arretratezza o la corruzione creano interferenze tra le onde di comunicazione con le persone, vengono prese misure drastiche per ristabilire il collegamento il prima possibile.

La struttura multilivello delle istituzioni politiche, copiata dal modello occidentale, è qui talvolta vista come non necessaria e adottata solo per “fare come tutti gli altri”. Quindi le differenze nella nostra cultura politica non sono evidenti ai nostri vicini: li irritano e li spaventano meno. Sono come gli indumenti da esterno che indossi per uscire ma non indossi mai a casa.

La società si fida davvero solo del leader. È l’orgoglio di un popolo non conquistato, il desiderio di rendere più facile il cammino verso la verità o qualcos’altro? Difficile dirlo, ma è un dato di fatto e questo fatto non è nuovo. La novità è che lo Stato ne è consapevole, ne tiene conto e ad esso si riferisce nell’esercizio di tutte le sue funzioni.

Sarebbe una semplificazione eccessiva ridurre questo argomento alla famosa “fede nel buon re”. Le persone profonde non sono affatto ingenue e non considerano la gentilezza dello Zar un valore primario. Piuttosto, sarebbe incline a considerare un buon leader come Einstein considerava Dio, “sottile, ma non malevolo”.

Il modello contemporaneo dello stato russo inizia con la fiducia e tiene insieme la fiducia. Questo è ciò che lo differenzia fondamentalmente dal modello occidentale, che coltiva sfiducia e critica. È qui che attinge la sua forza.

Il nostro nuovo Stato, in questo nuovo secolo, avrà una storia lunga e gloriosa. Non sarà rotto. Agirà a modo suo, otterrà e manterrà i posti migliori nella champions league della lotta geopolitica. Prima o poi tutti coloro che chiedono alla Russia di “cambiare comportamento” dovranno rassegnarsi ad accettarlo così com’è. Dopotutto, che abbiano una scelta è solo un’illusione.

https://www.fondapol.org/etude/la-longue-gouvernance-de-poutine-%d0%b4%d0%be%d0%bb%d0%b3%d0%be%d0%b5-%d0%b3%d0%be%d1%81%d1%83%d0%b4%d0%b0%d1%80%d1%81%d1%82%d0%b2%d0%be-%d0%bf%d1%83%d1%82%d0%b8%d0%bd%d0%b0/

La Russia non ha solo sfidato l’Occidente_di Pyotr Akopov

Proseguiamo con la pubblicazione di testi inediti in Italia di esponenti ed accademici russi, necessari alla comprensione del retroterra culturale alla base delle drammatiche decisioni politiche di questa fase. I giudizi di merito sul testo, ovviamente, non sono riconducibili alla linea editoriale del blog_Giuseppe Germinario

“La Russia non ha solo sfidato l’Occidente, ha dimostrato che l’era del dominio globale occidentale può essere considerata completamente e definitivamente finita”

Fondazione per l’Innovazione Politica | 02 mar 2022

La Fondazione per l’innovazione politica ha tradotto dal russo al francese la versione integrale di un editoriale dell’agenzia russa RIA Novosti, firmato dall’editorialista Pyotr Akopov e intitolato “L’avvento della Russia e il nuovo mondo”. Questo articolo è stato caricato accidentalmente il 26 febbraio 2022. Inizialmente, la pubblicazione di questo testo doveva aver luogo dopo l’occupazione dell’Ucraina da parte della Russia. L’articolo è stato eliminato rapidamente, ma il servizio Web Internet Archive è riuscito a salvarlo.

Questo articolo descrive il progetto imperialista concepito da Putin. La russificazione totale di Ucraina e Bielorussia si presenta come il punto di partenza per una ricomposizione dell’ordine mondiale. Il testo è stato tradotto dal russo da Inna Uryvskaya.

Un nuovo mondo sta nascendo davanti ai nostri occhi. L’operazione militare russa in Ucraina ha inaugurato una nuova era, e questo in tre dimensioni 1 alla volta. Senza dimenticare la quarta, la dimensione interna della Russia. Inizia oggi un nuovo periodo, sia dal punto di vista ideologico che socio-economico; ma questo argomento merita di essere discusso in seguito.

La Russia ristabilisce la sua unità. In effetti, la tragedia del 1991, questa terribile catastrofe nella nostra storia, questo sconvolgimento innaturale, è stata finalmente superata. Questa restaurazione richiede grandi sacrifici, attraverso i tragici eventi di una guerra quasi civile, in cui i fratelli, separati dalla loro appartenenza all’esercito russo e ucraino, si sparano ancora a vicenda, ma non ci sarà più un’Ucraina antirussa. La Russia viene riportata alla sua integrità storica, riunendo il mondo russo, il popolo russo: i Grandi Russi 2 , i Bielorussi ei Piccoli Russi 3 .

Abbandonare l’idea di questa riunificazione, lasciare che questa divisione temporanea si stabilizzi per secoli, significa tradire la memoria dei nostri antenati ed essere maledetti dai nostri discendenti per aver lasciato che la terra russa si disintegrasse.

Vladimir Putin si è assunto, senza alcuna esagerazione, una responsabilità storica prendendo la decisione di non lasciare la questione ucraina alle generazioni future. In effetti, la necessità di risolvere il problema dell’Ucraina non poteva che rimanere una priorità della Russia, per due ragioni principali. E la questione della sicurezza nazionale della Russia, cioè lasciare che l’Ucraina diventi anti-russa, non è la ragione più importante.

Il motivo principale è un eterno complesso di popoli divisi, un complesso di umiliazioni nazionali dovute al fatto che la patria russa ha prima perso parte delle sue fondamenta (Kiev), e deve sopportare l’idea dell’esistenza di due Stati, di due popoli. Continuare a vivere così significherebbe rinunciare alla nostra storia, sia accettando l’idea folle che “solo l’Ucraina è la vera Russia” o ricordando, impotenti e digrignando i denti, il tempo in cui “abbiamo perso l’ucraino”. Nel corso dei decenni, la riunificazione della Russia con l’Ucraina sarebbe diventata sempre più difficile: sarebbero aumentati il ​​cambio dei codici, la derussificazione dei russi che vivono in Ucraina e la propaganda antirussa tra i Piccoli Russi ucraini. Inoltre, se l’Occidente avesse consolidato il controllo geopolitico e militare in Ucraina,

Ora questo problema non esiste più: l’Ucraina è tornata in Russia. Questo ritorno non significa che l’Ucraina perderà la sua statualità. Semplicemente, sarà trasformato, riorganizzato e riportato al suo stato originale come parte integrante del mondo russo. Sotto quali confini? In che forma? Sarà stabilita un’alleanza con la Russia, attraverso la CSTO e l’Unione economica eurasiatica o come stato che fa parte dell’Unione di Russia e Bielorussia? Questo sarà deciso quando l’Ucraina anti-russa non esisterà più. Comunque sia, il periodo di divisione del popolo russo sta volgendo al termine.

È qui che inizia la seconda dimensione della nuova era: riguarda le relazioni della Russia con l’Occidente, e non solo della Russia, ma del mondo russo, cioè tre Stati: Russia, Bielorussia e Ucraina, che agiscono come un’unica entità geopolitica. Queste relazioni sono entrate in una nuova fase e l’Occidente vede la Russia tornare ai suoi confini storici in Europa. Ne è fortemente indignato, anche se nel profondo della sua anima deve ammettere che non avrebbe potuto essere altrimenti.

Chi, nelle vecchie capitali europee, a Parigi o a Berlino, poteva davvero credere che Mosca avrebbe rinunciato a Kiev? Che i russi sarebbero stati per sempre un popolo diviso? E questo, proprio nel momento in cui l’Europa si unisce, quando le élite tedesca e francese stanno cercando di riprendere il controllo dell’integrazione europea dagli anglosassoni e di costruire un’Europa unita! Dimenticando che l’unificazione dell’Europa è stata resa possibile solo dall’unificazione della Germania, ottenuta grazie alla buona – seppur poco intelligente – volontà russa. Qualsiasi pretesa sulle terre russe è più che l’apice dell’ingratitudine, è stupidità geopolitica. L’Occidente nel suo insieme, e l’Europa in particolare, non avevano il potere di mantenere l’Ucraina nella sua sfera di influenza, per non parlare di conquistare l’Ucraina.

Per essere più precisi, c’era una sola opzione: scommettere sull’ulteriore crollo della Russia, cioè della Federazione Russa. Ma il fatto che questa opzione non funzionasse avrebbe dovuto essere chiaro vent’anni fa. Quindici anni fa, dopo il discorso di Putin a Monaco, anche i sordi avrebbero potuto sentire che la Russia era tornata.

Oggi l’Occidente sta cercando di punire la Russia per essere tornata, per aver impedito agli occidentali di arricchirsi a sue spese, per aver fermato l’espansione occidentale verso est. Cercando di punirci, l’Occidente crede che il nostro rapporto con esso sia di vitale importanza. Ma ormai non è più così da molto tempo. Il mondo è cambiato e gli europei così come gli anglosassoni che governano l’Occidente lo capiscono. Qualsiasi pressione occidentale sulla Russia sarà vana. Il danno dovuto all’escalation del confronto sarà bilaterale, ma la Russia è moralmente e geopoliticamente preparata, quando un aggravamento dell’opposizione comporterà per l’Occidente costi significativi, i principali dei quali non saranno necessariamente economici.

L’Europa, come l’Occidente, voleva l’autonomia. In effetti, il progetto tedesco di una maggiore Europa integrata è una sciocchezza strategica se gli anglosassoni mantengono il controllo ideologico, militare e geopolitico sul Vecchio Mondo. Inoltre, questo progetto non può avere successo poiché gli anglosassoni hanno bisogno di un’Europa che controllino. Tuttavia, l’Europa deve cercare l’autonomia per un altro motivo: nel caso in cui gli Stati Uniti si isolino (a causa dei crescenti conflitti e controversie interne) o si concentrino nella regione del Pacifico, dove oggi il baricentro geopolitico si sta spostando.

Gli anglosassoni conducono l’Europa in un confronto con la Russia e privano così gli europei di ogni possibilità di indipendenza. Allo stesso modo, l’Europa sta cercando di imporre una rottura con la Cina. Se gli atlantisti oggi si rallegrano che la “minaccia russa” stia unificando il blocco occidentale, Berlino e Parigi devono capire che, avendo perso ogni speranza di autonomia, il progetto europeo crollerà nel medio termine. Questo è il motivo per cui gli europei indipendenti non sono affatto interessati a costruire una nuova cortina di ferro ai loro confini orientali, rendendosi conto che si trasformerà in un bullpen per l’Europa. L’era della leadership mondiale del Vecchio Mondo (più precisamente, mezzo millennio) è comunque finita. Tuttavia, sono ancora possibili varie opzioni per il suo futuro.

La terza dimensione dell’attualità è l’accelerazione della costruzione di un nuovo ordine mondiale, i cui contorni sono sempre più chiaramente dovuti al fatto che la globalizzazione anglosassone è così diffusa. Un mondo multipolare è finalmente diventato realtà. In questa operazione in Ucraina solo l’Occidente si oppone alla Russia, perché il resto del mondo la comprende perfettamente: è un conflitto tra Russia e Occidente, è una risposta all’espansione geopolitica degli atlantisti, è il ritorno della Russia alla il suo spazio storico e il suo posto nel mondo.

Cina, India, America Latina, Africa, mondo islamico e Sud-est asiatico, nessuno crede che l’Occidente governi l’ordine mondiale, tanto meno ne stabilisca le regole del gioco.La Russia non ha solo sfidato l’Occidente, ha dimostrato che il l’era del dominio globale occidentale può considerarsi completamente e definitivamente conclusa. Il nuovo mondo sarà costruito da tutte le civiltà e da tutti i centri di potere, e questo, ovviamente, in collaborazione con l’Occidente (unito o meno), ma quest’ultimo non potrà più imporre né i suoi termini né le sue regole .

https://translate.google.com/website?sl=auto&tl=it&hl=it&u=https://web.archive.org/web/20220226224717/https://ria.ru/20220226/rossiya-1775162336.html

https://www-fondapol-org.translate.goog/decryptage/la-russie-na-pas-seulement-defie-loccident-elle-a-montre-que-lere-de-la-domination-occidentale-mondiale-peut-etre-consideree-comme-completement-et-definitivement-revolue/?_x_tr_sl=auto&_x_tr_tl=it&_x_tr_hl=it

Adversvs Tristi Bestie: Repvblicanisvs Geopoliticvs Fontes Origines et Via (PARTE TERZA DI 3)_di Massimo Morigi

Massimo Morigi

Adversvs Tristi Bestie: Repvblicanisvs
Geopoliticvs Fontes Origines et Via
(PARTE TERZA DI 3)

Presentazione
Nella prima decade di questo nuovo millennio ebbi modo di partecipare a vari
convegni internazionali di filosofia politica e i miei contributi furono sempre
incentrati sull’estetizzazione della politica nei regimi autoritari del XX secolo e
ho più volte sottolineato quanto questi iniziali studi sull’estetizzazione della
politica e sulla politicizzazione dell’estetica (la contromossa di Walter Benjamin
all’estetizzazione della politica dei regimi autoritari di destra) siano stati
centrali nella successiva elaborazione della Weltanschauung del
Repubblicanesimo Geopolitico. In seguito, nel 2014, decisi di riunire in un unico
documento questi interventi sotto il titolo di Repvblicanisvs Geopoliticvs Fontes
Origines et Via che poi caricai autonomamente su Internet Archive e quindi
consultabile e scaricabile all’URL
https://archive.org/details/RepvblicanismvsGeopoliticvsFontesOriginesEtViaMa
ssimoMorigiGeopolitics_436. Oggi, dopo aver deciso che le mie aurorali
incursioni nella storia filosofica e nella filosofia politica pubblicate sull’ “Italia e
il Mondo” e che vanno sotto il titolo di La Loggia “Dante Alighieri” nella Storia
della Romagna e di Ravenna nel 140° anniversario della sua fondazione (1863-
2003) e di Ancora in avvicinamento al Nuovo Gioco delle Perle di Vetro del
Repubblicanesimo Geopolitico: Pombalina et Inactualia Archeologica potevano
aiutare a ricostruire la genealogia del Repubblicanesimo Geopolitico, a questo
appello non potevano mancare questi interventi e che ora vengono proposti con
una leggera modifica nel titolo rispetto al documento immesso autonomamente
su Internet Archive, aggiungendo, appunto, Adversus Tristi Bestie. Come non è
difficile comprendere si tratta di un diretto riferimento ai bestioni di vichiana
memoria, ma in questo caso le nostre Tristi Bestie sembrano non preludere ad
alcuna Epifania Strategica ma solo ad un definitivo degrado antropologico e
culturale connotato dalle due opposte ma equivalenti superstizioni scientifiche
ed antiscientifiche delle ultime cronache virali su cui mi sono più volte
soffermato e di cui ho accennato anche in Ancora in avvicinamento al Nuovo
Gioco delle Perle di Vetro del Repubblicanesimo Geopolitico: Pombalina et
Inactualia Archeologica. Un avviso alla fruizione del documento. Il file a suo
tempo caricato su Internet Archive è un file Word al cui interno vi sono anche
contenuti multimediali che non possono essere utilizzati nel formato PDF
pubblicato dall’ “Italia e il Mondo”: si tratta di URL che rimandavano a video
musicali allora presenti su YouTube che per paura che venissero, come poi è
stato, rimossi, erano stati inseriti direttamente nel file Word in questione.
Quindi chi vuole vedere questi contenuti multimediali non deve far altro che
andare al documento Word caricato su Internet Archive. Inoltre, si avverte che
per mantenere la linearità del discorso sull’estetizzazione della politica
sviluppato in queste conferenze il presente documento contiene anche Aesthetica
Fascistica II, già pubblicato in Ancora in avvicinamento al Nuovo Gioco delle
Perle di Vetro del Repubblicanesimo Geopolitico: Pombalina et Inactualia
Archeologica ma che nel documento di questa antologia immessa
originariamente autonomamente in Rete prende il nome di Gesamtkunstwerk Res
Publica. La Leitbild in frontespizio è Warrington Colescott, Picasso at the Zoo,
from the series A History of Printmaking, 1978, collage su carta, Smithsonian
American Art Museum, dove la trista bestia è evidente come pure la tecnica
della citazione, molto praticata da quell’eroe dell’estetizzazione della politica,
della politicizzazione dell’estetica e dello stato di eccezione permanente (e
quindi, all’insegna del suo iperdecisionismo antesignano – assieme ad Antonio
Gramsci con la sua filosofia della prassi – del paradigma olistico-dialetticoespressivo-strategico-conflittuale del Repubblicanesimo Geopolitico) che va sotto il nome di Walter Benjamin.
Massimo Morigi – IX Febbraio 2022

ADVERSUS RIFATTO PARTE TERZA

CENTO ANNI DI SOLITUDINE GEOPOLITICA_Vladislav Surkov

Otto anni prima dell’invasione dell’Ucraina, Vladislav Surkov, l’ideologo del Putinismo, aveva teorizzato l’isolamento della Russia

Esistono molti tipi di professioni, alcune delle quali possono essere svolte solo in uno stato leggermente diverso dal normale. Così, per esempio, un proletario nell’industria dell’informazione, un semplice fornitore di notizie fresche, è generalmente una persona con un cervello frenetico, che vive in una sorta di febbrile permanente. Niente di sorprendente in questo, perché è l’intero settore dell’informazione che vive una corsa contro il tempo: bisogna sapere tutto prima degli altri, comunicare di tutto prima degli altri, interpretare tutto prima degli altri.

Questi stessi informatori trasmettono la loro febbre a coloro che informano. Allo stesso tempo, coloro che ne sono colpiti spesso prendono il loro stato di febbrile per un vero processo intellettuale, quando non lo sostituisce completamente. Da qui la loro tendenza ad eliminare dal proprio ambiente oggetti durevoli come “convinzioni” e “principi”, a favore di “opinioni” usa e getta. Da qui, anche, la totale incoerenza delle loro previsioni – che, peraltro, non sembrano infastidire nessuno. Tale è il prezzo della fretta e dello scoop di informazioni.

Pochi sono coloro che sanno percepire il silenzio beffardo del destino, soffocato dal continuo fruscio dei media. Raro sono coloro che prestano attenzione all’informazione lenta e massiccia, quella che non nasce dalla schiuma della vita, ma dal suo fondo, dal luogo in cui si muovono e si scontrano strutture geopolitiche ed epoche storiche. Se i loro significati ci appaiono solo dopo il fatto, non è mai troppo tardi per conoscerli.

Il quattordicesimo anno del secolo in corso è stato reso memorabile da una serie di grandi e straordinarie realizzazioni, note a tutti e di cui tutto è stato detto. Ma è solo ora che ci viene rivelato l’evento fondamentale di quest’anno, che ci arriva il suo tardivo e profondo insegnamento. Questo evento non è altro che la fine dell’epico viaggio della Russia in Occidente, il culmine dei suoi numerosi e infruttuosi tentativi di integrarsi nella civiltà occidentale, di unirsi alla “buona famiglia dei popoli d’Europa”. 

Questo quattordicesimo anno del nostro secolo ha inaugurato una nuova era, di durata ancora sconosciuta, “l’era 14+”, che ha in serbo per noi cento, duecento, trecento anni, chissà, di solitudine geopolitica.

***

Per quattro secoli nessuna traccia è stata trascurata per l’occidentalizzazione della Russia, avviata con leggerezza dal “falso Dmitrij” e perseguita con decisione da Pietro I. Che cosa non ha fatto la Russia per imitare a volte l’Olanda, a volte la Francia; diventare a volte America, a volte Portogallo? Quali sforzi ha compiuto per integrarsi completamente nell’Occidente? Tutti gli sconvolgimenti che l’Occidente ha vissuto e tutte le idee che ci sono venute da esso sono stati accolti dalla nostra élite con fenomenale – e forse in parte eccessivo – entusiasmo.

Lžedmitrij o “il falso Dmitrij”, zar dal 1605 al 1606 durante il periodo del “Tempo dei guai”, sostenuto dal re di Polonia. Vedi in particolare Yves-Marie Bercé, Il re nascosto. Salvatori e impostori: miti politici popolari nell’Europa moderna , Parigi, Fayard, 1990.

I nostri autocrati insistettero a sposare donne tedesche; la nostra nobiltà imperiale e la nostra burocrazia si sono popolate di “sconosciuti erranti”. Ma se gli europei si sono russizzati in modo massiccio e rapido in contatto con la Russia, i russi non si sono in alcun modo europeizzati.

L’espressione “brodjažnye inozemcy” deriva probabilmente dal poema “Russkij Bog” (Il Dio russo) di Pëtr Vjazemskij (1792-1878).

Dai trionfi ai sacrifici, l’esercito russo ha combattuto in tutte le grandi guerre d’Europa, la cui esperienza dimostra che può ben essere considerato il continente più incline alla violenza di massa e il più veloce ai bagni di sangue. Queste grandi vittorie e questi grandi sacrifici ci hanno portato molti territori occidentali, ma non meno amici. 

In nome dei valori europei (allora di natura religioso-monarchica), San Pietroburgo ha avviato e garantito la Santa Alleanza delle Tre Monarchie . Era in tutta coscienza che adempiva ai suoi doveri di alleato quando era necessario salvare gli Asburgo dall’insurrezione ungherese. Ma quando la stessa Russia si è trovata in una situazione difficile, l’Austria che aveva appena salvato non solo si è rifiutata di aiutarla, ma si è persino rivoltata contro il suo alleato.

L’autrice rievoca la posizione dell’Austria-Ungheria durante la guerra di Crimea (1853-1856), dove si schierò con la coalizione formata contro l’Impero russo. Un anno dopo la rivolta ungherese del 1849 contro l’impero austriaco di Francesco Giuseppe, un esercito di 150.000 soldati russi comandato dal generale Paskevič riportò l’Ungheria nell’ovile dell’Impero.

Successivamente i valori europei furono capovolti: fu Marx a diventare di moda a Parigi e Berlino. Alcuni residenti di Simbirsk e Janovka volevano che lo stesso accadesse in Russia. Avevano il terrore di essere lasciati indietro dall’allora Occidente amante dei socialisti. Avevano così paura che la rivoluzione mondiale, presumibilmente sotto la guida dei lavoratori europei e americani, perdesse il loro remoto buco. Hanno fatto tutto il possibile. Ma quando le burrasche della lotta di classe si placarono, l’URSS, costruita a costo di sforzi sbalorditivi, si rese conto che la rivoluzione mondiale non era avvenuta, che il mondo occidentale non era diventato un mondo contadino – operaio, ma al contrario, un mondo capitalista,

 Simbirsk e Janovka sono i rispettivi luoghi di nascita di Lenin e Trotsky.

Alla fine del secolo scorso, la Russia si stancò del suo isolamento e cercò ancora una volta di integrarsi con l’Occidente. Ovviamente, la nostra altezza era un fattore importante. Troppo grandi, troppo terribilmente tentacolari, semplicemente non ci adatteremo all’Europa. Di conseguenza, bisognava ridurre il territorio, la popolazione, l’economia, l’esercito, le ambizioni alle proporzioni di qualsiasi paese dell’Europa centrale, e poi saremmo stati annoverati tra i suoi. Siamo diminuiti. Allora credemmo in Hayek con la stessa fermezza con cui una volta avevamo creduto in Marx. Il nostro potenziale demografico, industriale e militare è stato dimezzato. Ci siamo separati dalle repubbliche dell’Unione e abbiamo cominciato a separarci dalle repubbliche autonome… Ma anche quella Russia, sminuita e umiliata, 

Alla fine abbiamo deciso di porre fine allo sminuimento, all’umiliazione e, ancor di più, a far valere i nostri diritti. Gli eventi del 2014 sono poi diventati inevitabili. 

***

Nonostante le somiglianze superficiali tra i modelli culturali russo ed europeo, non funzionano con lo stesso software, le stesse interfacce. Non è dato loro di formare un sistema comune. Ora che questo presentimento è diventato un fatto indiscutibile, sentiamo emergere suggerimenti: perché non girare nella direzione opposta? Verso l’Asia, verso l’Oriente? 

Non è necessario, per un motivo molto semplice: la Russia c’è già stata. 

Il protoimpero di Mosca è nato da una complessa collaborazione politico-militare con l’Orda asiatica, un quadro che alcuni tendono a chiamare un “giogo”, altri un'”alleanza”. Giogo o alleanza, libero o patito, il vettore orientale di sviluppo è stato infatti scelto e sperimentato. 

Anche dopo il “grande arresto dell’Ugra”, lo Zara russo rimase fondamentalmente parte dell’Asia. Si associava volentieri alle terre orientali. Rivendicò l’eredità di Bisanzio, questa Roma dell’Asia. Si trovò sotto la schiacciante influenza di illustri famiglie dell’Orda.

La “grande fermata dell’Urgea” è un evento del 1480 che segna classicamente la fine della dominazione tartara sulla Russia (1236-1480).

L’apice dell’asiatismo moscovita fu la nomina del Khan di Qasim, Simeon Bekbulatovič, a Gran Principe di tutte le Russie. Gli storici, abituati a considerare Ivan il Terribile come una sorta di “oberiut” al berretto di Monomakh, attribuiscono le sue “deviazioni” esclusivamente alla sua natura leggera, ma la realtà era più seria. Dopo il Terribile, si formò un solido partito di corte che fece una campagna affinché Simeon Bekbulatovič diventasse zar. Boris Godunov dovette esigere che al momento di prestargli giuramento i boiardi rinunciassero a pretendere di portare sul trono Simeone Bekbulatovič ei suoi discendenti. In altre parole, il governo era sul punto di finire sotto il controllo di una dinastia di chinggiskhanidi evangelizzati e di sancire il paradigma “orientale” dello sviluppo.

Simeon Bekbulatovič, gran principe di tutte le Russie nel 1575-1576, è di origine tartara. 

“Oberiut” è il nome dei membri della OBERIU (Ob”edinenie Real’nogo Iskusstva / Association for Real Art), un gruppo letterario degli anni ’20 e ’30, con manifestazioni spesso burlesche e provocatorie. Per quanto riguarda il berretto Monomakh, è la corona tradizionale dei gran principi e zar di Russia.

I boiardi sono una classe aristocratica di alcuni paesi ortodossi dell’Europa orientale, inclusa la Russia.

Tuttavia, né i Bekbulatovič né i Godunov (discendenti di una nobile famiglia tartara) avrebbero avuto un futuro. Era giunto il momento dell’invasione polacco-cosacca, che portò a Mosca nuovi zar dall’Occidente. Per quanto brevi siano i regni del falso Dmitrij – molto prima che Pietro irritasse i boiardi con i suoi modi europei – e del principe polacco Vladislav, questi regni sono altamente simbolici. Alla loro luce, il periodo dei Troubles non appare più come una crisi dinastica, ma come una crisi di civiltà. La Russia si staccò dall’Asia per iniziare la sua traslazione verso l’Europa. 

***

Così, la Russia ha viaggiato per quattro secoli verso l’Oriente e per altri quattro secoli verso l’Occidente, senza mettere radici né qui né là. Ha percorso entrambe le strade. D’ora in poi si darà teorie della terza via, del terzo tipo di civiltà, del terzo mondo, della terza Roma…

Eppure, probabilmente non siamo una terza civiltà. Più probabilmente, una civiltà doppia e ambivalente. Affermata in Oriente e in Occidente, sia europea che asiatica, senza essere completamente asiatica o interamente europea. 

La nostra appartenenza culturale e geopolitica richiama l’identità vagabonda di una persona da un matrimonio misto. Ovunque è “della famiglia”, senza essere “la famiglia” da nessuna parte. A casa tra estranei; un estraneo tra i suoi. Capace di capire tutti ma incompreso da tutti. Mezzosangue, mezzosangue, strano. 

La Russia è davvero questo paese bastardo, occidentale-orientale. Con la sua forma statale a due teste, la sua mentalità ibrida, il suo territorio intercontinentale, la sua storia bipolare, è, come tutti i sangue misto, carismatica, talentuosa, bella e solitaria. 

***

Le parole più straordinarie di Alessandro III, “La Russia ha solo due alleati: esercito e flotta”, sono forse la metafora più chiara della solitudine geopolitica che è giunto il momento che la Russia abbracci come proprio destino. Possiamo naturalmente ampliare a piacimento l’elenco dei suoi alleati: i nostri lavoratori e i nostri insegnanti, petrolio e gas, la classe creativa e i robot patriottici, il “General Frost” e l’archistratega Mikhail… Il retroscena rimane lo stesso: siamo noi stessi alleati.

“General Frost” è uno dei nomi dati all’inverno, alleato dei russi contro gli invasori. “L’archistratega” è una delle epiclesi dell’Arcangelo Michele nel cristianesimo ortodosso.

Di cosa sarà fatta questa solitudine futura? Sarà la vita vegetativa di un contadino solitario in mezzo al nulla? O è la felice solitudine del leader, di una nazione alfa che va avanti, davanti alla quale “gli altri popoli e nazioni si staccano e cedono il passo”? Dipende da noi.

Citazione da Dead Souls di Nikolaj Gogol (conclusione del capitolo XI del volume I).

La solitudine non significa isolamento totale, ma nemmeno l’apertura infinita è un’opzione: ognuna di queste opzioni equivarrebbe a riprodurre gli errori del passato. Tuttavia, il futuro conoscerà i propri errori; quelli del passato non gli servono.

La Russia, senza dubbio, scambierà, attirerà investimenti, scambierà conoscenze, combatterà (perché la guerra è anche un modo di comunicare), parteciperà a progetti comuni, integrerà organizzazioni, competerà e collaborerà, creerà paura e odio, curiosità, simpatia, ammirazione . Solo, lo farà senza falsi obiettivi e senza disprezzo di sé.

Sarà difficile; Più di una volta torneremo su questo grande classico della poesia nazionale: “Tutto intorno, rovi, rovi, rovi… accidenti, quando verranno le stelle? “.

Testi tratti dalla canzone “Nevaljaška” del rapper russo Oxxxymiron (2013), che ha recentemente cancellato una serie di concerti a Mosca e San Pietroburgo per protestare contro la guerra in Ucraina.

Sarà qualcosa da vedere… E ci saranno le stelle.

Guillaume Lancereau_

“Che il mondo muoia con la Russia. » Oggi, la « solitudine del mezzosangue » attraversa una guerra totale e una corsa a capofitto. Otto anni prima dell’invasione dell’Ucraina, Vladislav Surkov, l’ideologo del Putinismo, aveva teorizzato l’isolamento della Russia.

Vladislav Surkov, la cui fama in Occidente sembra ristretta ai circoli di specialisti della Russia contemporanea, è una delle figure centrali dell’entourage di Vladimir Putin. Le sue funzioni di braccio destro del Presidente della Federazione fino all’estate del 2020 gli sono valse il titolo di “eminenza grigia del Cremlino” ( seryj kardinal Kremlja ). Le sue capacità diplomatiche sono state messe alla prova in Ucraina, dove la sua influenza con Viktor Janukovič nel 2014 è stata particolarmente notata. Accusato dai suoi critici di essere uno dei principali responsabili della monopolizzazione del potere politico da parte del partito al governo “Russia Unita” ( Edinaja Rossija) e lo sradicamento dei media e dell’opposizione politica, è stato soprattutto, negli ultimi vent’anni, il principale ideologo del Cremlino.

L’articolo tradotto di seguito è uno dei suoi maggiori interventi teorici. Pubblicato sulla rivista di esperti geopolitici Russia in World Politics ( Rossija v global’noj politike), questo intervento del 2018 si colloca esattamente a metà strada tra gli eventi ucraini del 2014 e la guerra in corso. La posizione espressa da Vladislav Surkov può essere riassunta in questi termini: se la storia della Russia è indissolubilmente legata a quella dell’Oriente così come dell’Occidente, questo Paese-continente resta un’entità a sé stante. La rottura del 2014, registrata dalla questione ucraina e dalle sanzioni dell’Occidente, appare lì come un atto di divorzio, condannando ormai la Russia all’isolamento geopolitico. Quest’ultimo non avrebbe più nulla da aspettarsi dall’Occidente e dovrebbe abbracciare pienamente il suo destino di solitario “sangue misto”.

Questo articolo dalla prosa originale e levigata, lontano dai luoghi comuni patriottici che il più delle volte cadono dalla penna degli ideologi attivi sulla stampa “mainstream” russa, è stato ampiamente commentato – in Russia e altrove – alla sua pubblicazione e variamente accolto. Alcuni lo hanno visto non tanto come un gesto di previsione geopolitica quanto un tentativo di giustificare gli errori accumulati dal governo russo dal 2014. Altri sono stati felici di vedere finalmente i capi pensanti del Cremlino fare di necessità virtù e riconoscere i veri destini di questo hapax storico e geopolitico che sarebbe la Russia. Tuttavia, molti commentatori non potevano non sottolineare la mancanza di credibilità del divorzio tra Russia ed Europa profetizzato dall’autore.

Le opinioni sviluppate da Vladislav Surkov non sono solo immediatamente rilevanti. L’autore fissa il suo soggetto a lungo termine, evocando eventi sparsi tra il XVI e il XX secolo . Nulla di sorprendente in questo, Surkov si era già distinto per la sua teoria dei “quattro modelli di Stato” in Russia  : lo Stato di Ivan III dal XV al XVII secolo lo Stato di Pietro il Grande dal 18° al 19° secolo lo stato di Lenin nel 20° secolo e lo stato di Putin nel 21° secolo – destinato secondo l’autore a durare quanto lo “Stato galliano” in Francia del 5° secoloRepubblica, lo “Stato di Atatürk” nella Turchia contemporanea o lo “Stato dei Padri Fondatori” negli Stati Uniti. 

Nonostante i suoi insistenti riferimenti all’antica Russia, l’articolo di Vladislav Surkov in realtà ci avvicina a noi, al 19° secolo . Fu allora che il movimento di occidentalizzazione – avviato da Pietro il Grande nel secolo precedente – e l’idea di un Sonderweg russo ( osobennyj puy’ Rossii ), iniziarono a prendere un posto preponderante nel dibattito politico e culturale. Nicola I ( 1825-1855 ) inaugurò quindi il discorso di Stato sull’identità nazionale russa ( narodnost’ ) associandolo all’idea di una “Santa Russia” ( Svjataja Rus’), scelto da Dio. Parallelamente, gli anni 1830-1840 videro una nuova generazione di intellettuali competere intorno alla modernizzazione del Paese e ai rapporti da mantenere con l’Occidente. Mentre gli “occidentali” ( zapadniki ) propugnavano un riavvicinamento, una collaborazione, un’emulazione con l’Europa, gli “slavofili” ( slavjanofily ) dotarono la Russia di una distinta funzione futura e storica, in nome di una contraddizione insolubile tra i presunti valori russi e quelli presumibilmente specifici dell’Occidente (materialismo contro spiritualismo, individualismo contro collettivismo, ragione controfede, sentimento o forza vitale). La dialettica del ritardo e dell’avanzata tra i due spazi e la tensione tra autonomizzazione e integrazione internazionale permeavano ancora gli scontri dei socialisti russi alla fine dell’Ottocento .secolo. Il divorzio annunciato da Vladislav Surkov ci riporta a questi dibattiti obsoleti, che hanno sempre peccato di due riflessi di pensiero: determinismo ed essenzialismo. Determinismo: nella visione disperata della storia che ci viene data qui, sono proprio i morti a governare i vivi, “il sangue”, versato o bollente, che controlla i destini del presente. Essenzialismo: la “Russia” in questione si pone in definitiva come un’entità astratta, fungendo da iconostasi tra i russi e il loro futuro. In entrambi i casi, questo discorso rivela nientemeno che un’ontologia del sociale: secondo i suoi postulati, non esisterebbero i “russi”, animati da culture, ambizioni, immaginari plurali, ma una massa passiva, presa nelle insidie ​​del suo passato e schiavo di un’entità sovrastante, la “Russia”. Sempre recitando, mai attori, i loro destini rimarrebbero così nelle mani degli zar che, da soli, parlano la voce della Madre Russia, della Santa Russia, anche della Russia atomica, quella di cui ha detto il conduttore del canale governativo Dmitrij Kiselëv , questa domenica 27 febbraio, esaltando la forza di distruzione nucleare del Paese: “Che importa per noi il mondo se la Russia non esiste più? – o, in altre parole: “Che il mondo muoia con la Russia”. Il futuro giudicherà questa ontologia come un’emanazione servile e pigra dell’autocrazia al potere, e dirà se gli stessi russi si riconosceranno in questa irrealizzabile “solitudine”. quella di cui ha detto, questa domenica 27 febbraio, il presentatore del canale governativo Dmitrij Kiselëv, esaltando la forza di distruzione nucleare del Paese: “Che importa per noi il mondo se la Russia non esiste più? – o, in altre parole: “Che il mondo muoia con la Russia”. Il futuro giudicherà questa ontologia come un’emanazione servile e pigra dell’autocrazia al potere, e dirà se gli stessi russi si riconosceranno in questa irrealizzabile “solitudine”. quella di cui ha detto, questa domenica 27 febbraio, il presentatore del canale governativo Dmitrij Kiselëv, esaltando la forza di distruzione nucleare del Paese: “Che importa per noi il mondo se la Russia non esiste più? – o, in altre parole: “Che il mondo muoia con la Russia”. Il futuro giudicherà questa ontologia come un’emanazione servile e pigra dell’autocrazia al potere, e dirà se gli stessi russi si riconosceranno in questa irrealizzabile “solitudine”.

https://legrandcontinent.eu/fr/2022/03/04/cent-ans-de-solitude-geopolitique/?mc_cid=898be470ca&mc_eid=4c8205a2e9

PARTENDO DA “UNA CIVILTÀ CHE SI SPEGNE” DI ROBERTO BUFFAGNI: SAM DUNN È MORTO, Di Massimo Morigi

PARTENDO DA “UNA CIVILTÀ CHE SI SPEGNE” DI ROBERTO BUFFAGNI: SAM DUNN È MORTO

Di Massimo Morigi

Su Ucraina e dintorni, in assenza di decisivi e soprattutto significativi sviluppi, mi ero ripromesso di tacere, ma anch’io come Buffagni, la butto lì, tanto le cose sono talmente evidenti, che non varrebbe la pena spendere riflessioni troppo profonde (ma come lo fa Buffagni sull’ “Italia e il Mondo” in “Una civiltà che si spegne” – URL http://italiaeilmondo.com/2022/03/09/una-civilta-che-si-spegne_di-roberto-buffagni/ , Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20220309160039/http://italiaeilmondo.com/2022/03/09/una-civilta-che-si-spegne_di-roberto-buffagni/, ne vale la pena eccome..). Ma anche buttandola lì, si può tangenzialmente rilevare una non irrilevante novità e, senza tanti giri di parole, possiamo semplicemente – ma nient’affatto banalmente – dire che la leggerezza con cui si parla in occasione del conflitto russo-ucraino della possibilità di intraprendere una terza guerra mondiale da combattersi con armamenti termonucleari, non fa altro che essere il segno rivelatore di un degrado culturale che non coinvolge solo i sempre più asserviti e ridicoli organi di formazione della pubblica opinione ma anche il degrado emotivo e cognitivo della popolazione che per atavico istinto e ragionato senso di autoconservazione dovrebbe provare terrore e ripugnanza verso l’eventualità della propria autodistruzione.

In altre parole, le masse sono passate dallo spregevole ma dotato di un minimo buon senso popolare del “meglio rossi che morti” (minimo, perché non era proprio escluso che, proprio in virtù di un conflitto termonucleare, si potesse essere contemporaneamente sia rossi che morti) ad un del tutto delirante “meglio morti che vivi”, un sentimento che rispetto al primo è certamente un netto guadagno dal punto di vista della logica formale ma denotante anche il degrado emotivo e cognitivo di cui si è appena detto. Questo nuovo sentimento popolare che può essere definito una sorta di cupio dissolvi di massa vissuto in una sorta di ipnotica consapevolezza (non è la prima volta che popolazioni e/o masse intraprendono comportamenti autodistruttivi ma è assai raro, se non unico, che questi comportamenti siano consapevolmente assunti, se non nel caso per quei gruppi che per accecamento ideologico abbiano ritenuto la resa come la premessa della propria distruzione, vedi la disperata resistenza della popolazione tedesca durante l’ultimo conflitto mondiale, ma in questo caso si era erroneamente convinti che la sconfitta avrebbe potuto implicare lo sterminio del popolo tedesco, mentre invece nel caso presente nessuno più o meno sano di mente pensa che i russi vogliano il nostro sterminio ma nonostante questo con ipnotica consapevolezza alla vita si preferisce la morte – e sottolineo ipnotica perché anche se dal punto di vista cognitivo ben si comprendono i termini della questione, dal punto di vista emotivo le masse rimangano obnubilate ed intorpidite e prediligono un comportamento con potenzialità autodistruttive ) è certamente una novità per la teoria geopolitica, la quale, per farla breve, oltre a studiare le condizioni fisico-territoriali che condizionano i gruppi organizzati deve anche considerare come questi gruppi culturalmente si pongono al mondo e un dato che finora aveva connotato tutti i gruppi umani e tutte le culture era l’istinto di autoconservazione del gruppo, cosa che in questo caso dell’accettazione di massa della guerra mondiale termonucleare è completamemte venuto a mancare (rarissimi gli esempi di gruppi umani che pur avendo la possibilità di arrendersi per avere salva la vita si danno la morte: suicidio di massa degli Zeloti a Masada, suicidio di massa dei davidiani a Waco, soldati giapponesi nel secondo conflitto mondiale, ma questo è caso particolare: i kamikaze pensavano di svolgere un’azione militare comunque efficace mentre i fanti giapponesi che non si arrendevano, non sempre si suicidavano cercando talvolta di non farsi prendere dal nemico e quando si suicidavano lo facevano o perché ritenevano terribile la prigionia inflitta dal nemico o per un alto senso di onore militare. E notiamo tangenzialmente che preservare il proprio onore militare suicidandosi è sì un gesto autodistruttivo ma, al contempo, amorevole e conservatore della comunità dalla quale provenivano, la quale, in virtù del fortissimo senso comunitario giapponese, tutto può sopportare e a tutto può sopravvivere ma non certo al disonore di essersi comportata vigliaccamente in guerra. E questo non è certo il caso delle pulsioni autodistruttive emerse a livello di massa durante la guerra russo-ucraina dove la distruzione del proprio gruppo è vissuta come un’eventualità quasi irrilevante, come se la nostra morte fosse estranea a noi stessi).

Termino con un invito alla lettura. Nel 1917 il ravennate Brumo Corra (sinonimo del conte Bruno Ginanni Corradini), sodale di Marinetti e futurista della prima ora pubblicò il romanzo “Sam Dunn è morto”. Si tratta di un’opera praticamente introvabile nelle nostre patrie biblioteche ma a conferma del fatto che quello che l’Italia non riesce culturalmente a trattenere e a coltivare spesso lo fanno istituzioni straniere, questa opera, su iniziativa dell’Università del Maryland, è scaricabile presso Internet Archive agli URL https://archive.org/details/mdu-rare-074979/mode/2up e https://ia600704.us.archive.org/12/items/mdu-rare-074979/rare-074979.pdf. Il sottotitolo recita “Romanzo sintetico futurista” e il lucido cupio dissolvi del viveur Sam Dunn e il surreale procedere del racconto, oltre a magnificamente rappresentare lo spirito autodistruttivo del primo conflitto mondiale, sono convinto possa ben fornire elementi per rappresentare e sintetizzare non solo le presenti pulsioni autodistruttive massa di questi tempi ma anche di quelle future.

Mai come oggi la geopolitica per comprendere gli eventi politici e culturali dei nostri giorni deve rivolgere la sua attenzione laddove ha avuto veramente inizio l’ autodistruttiva modernità della mobilitazione delle masse attraverso la travolgente potenza dei mezzi meccanico-tecnici di comunicazione di massa e il “Romanzo sintetico futurista” di Bruno Corra per far condensare e precipitare davanti al nostro teorico sguardo questa nuova mortifera Stimmung, ci è molto più d’aiuto di molti (spompati) autoproclamati geopolitici che oggi solcano gli italici (ed occidentali) mari.

Massimo Morigi – 9 marzo 2022

(

Una civiltà che si spegne_di Roberto Buffagni

Intanto la butto lì, poi ci penserò su. L’amputazione dei rapporti anche culturali con la Russia è un errore terribile, che può trasformarsi nel colpo di grazia alla cultura e alla civiltà europee, per quel che ne rimane. Non solo perché la cultura russa ci offre tesori inestimabili, e una continua meditazione dei rapporti tra Russia e Occidente, Asia ed Europa (l’Europa è una propaggine dell’Asia, e nel rapporto conflittuale con l’Asia si è definita).
Certo, anche questo. La cultura russa e la Russia, però, come intuitivamente tutti comprendiamo, sono per noi (anche) un’immagine della della pre-modernità “ingenua”, della “vita sorgente”, della “natura”, della “Kultur”, insomma della “infanzia perduta”. E’ immediatamente evidente a tutti il tratto “infantile” del carattere russo, con la sua vitalità rigogliosa e pasticciona, il suo indomabile coraggio, il suo amore sensuale per la terra, per i miti e le visioni, la sua semplicità, e la sua brutalità.
Russia e cultura russa, insomma, sono l’oggetto di un forte risentimento e di una struggente nostalgia per noi “sentimentali”, per noi moderni, per noi che ci sappiamo scissi dall’infanzia e dalla natura, per noi che sentiamo orgogliosamente e dolorosamente la scissione di coscienza e vita (“l’ingenuo” è una proiezione psicologica del “sentimentale”).
Dalla riflessione filosofica e artistica di questo rapporto tra moderno e antico, “ingenuo” e “sentimentale”, “natura” e “spirito”, Kultur e Zivilization, è nato quanto di meglio la cultura europea ci ha dato negli ultimi due secoli e mezzo, da quando ha cominciato a riflettere sul salto di paradigma della modernità con le correnti di pensiero che usiamo chiamare “Illuminismo” e “Romanticismo”.
Amputare la cultura russa dalla cultura europea equivale a spedire un missile nucleare su Friedrich Schiller, lo Schiller autore dell’ “Inno alla gioia”, che musicato da Beethoven è stato eletto, paradossalmente, a inno dell’Unione Europea.
Schiller è anche autore del più classico dei saggi tedeschi, “il saggio tedesco che rende superflui tutti gli altri” (Thomas Mann): “Sulla poesia ingenua e sentimentale”, cento pagine scritte, non casualmente, nel corso della Rivoluzione francese e pubblicate nel 1795.
Ecco che ci dice Schiller a proposito degli “oggetti ingenui”, ossia dei popoli e culture che noi moderni sentiamo come arretrati, premoderni, nel bene e nel male “infantili”:
“Essi sono ciò che noi eravamo; sono ciò che noi dobbiamo tornare a essere. Come loro noi eravamo natura, e ad essa la nostra cultura deve ricondurci attraverso la via della ragione e della libertà. Sono dunque rappresentazione della nostra infanzia perduta, che rimane in eterno per noi la cosa più cara, e per questo ci colmano di una vaga tristezza. E sono nel contempo rappresentazioni della nostra perfezione più alta nell’ideale, e per questo ci donano una sublime commozione.”
(Schiller, “Della poesia ingenua e sentimentale”, 1795)

SOSPENDERE L’USO PUBBLICO DELLA RAGIONE, di Pierluigi Fagan

SOSPENDERE L’USO PUBBLICO DELLA RAGIONE.

La “società aperta” ha deciso di chiudersi. La società liberale va a polarizzarsi nella contraddizione delle sue stesse premesse.

L’ambasciatore italiano a Mosca, lì col chiaro mandato di favorire le relazioni commerciali bilaterali, ha avuto l’ardire di segnalare in una audizione parlamentare, il costo delle sanzioni per le nostre imprese su dati FMI. Un argomento che dovrebbe interessare una democrazia di mercato visto che parla di mercato, no? Dire questo è dire che non si dovevano elevare sanzioni? Credo che un ambasciatore navigato come Starace con un passato in Cina, USA, Giappone sappia qual è il suo limite ovvero dare informazioni, non suggerire decisioni. Ma la società aperta che amava definirsi anche società dell’informazione, ora scopre che le informazioni non piacciono, le informazioni disturbano le decisioni o per lo meno ne ricordano il prezzo. Non c’è nulla di male a sapere il costo delle decisioni, aiuta ad organizzarsi per poterle pagare o si pensa o si vuol far pensare che le decisioni ideali siano libere e gratuite?

Il direttore dell’unico quotidiano di informazioni sulle relazioni internazionali, Sicurezza internazionale, edito dalla LUISS Guido Carli, collegata in vari modi a Confindustria, diretto da un professore ricercatore affiliato al MIT di Boston e che pubblica in USA con la Cornell University, A. Orsini, ha l’ardire di invitare in tv ad inserire ciò che sta avvenendo in Ucraina in una inquadratura più ampia, nello spazio (geografia) e nel tempo (storia). Bassanini domanda nervosamente su twitter se Orsini esprime il pensiero della LUISS o personale di modo che LUISS sia obbligata a ribadire la sua stretta osservanza atlantista facendo una ramanzina al suo professore in pubblico sul fatto che questi si doveva attenere ai fatti e non dare interpretazioni. Già, “i fatti”.

Il giornalista RAI Marc Innaro, una prima volta a Mosca per sette anni, poi di nuovo negli ultimi otto, per aver riferito cosa i russi dicono dei fatti (se sta a Mosca cosa deve fare, riferire cosa dice Zelensky? Quello già lo riferiscono 7/24 sette-reti-sette+stampa e radio) è ora richiesto a gran voce esser spostato ad altro incarico. Magari come mi è capitato di sentire l’altro giorno su RAI News riferisce che i russi affermano di aver convocato l’ambasciatore della Croazia perché i russi avrebbero pizzicato 200 neo-nazi con passaporto croato ed avrebbero affermato che ve ne sono da ogni parte d’Europa e quindi hanno poi affermato che non tratteranno gli stranieri come prigionieri di guerra (il che ha un brutto significato come potrete intuire). O come ieri ha riferito che i russi sostengono che non sono così deficienti da sparare ad una centrale nucleare: 1) perché la vogliono prendere intatta; 2) perché la Russia dista dalla centrale meno che la Moldavia; 3) perché Mosca dista meno di Vienna. Così i russi sostengono che la controllano da giorni e che l’incidente è organizzato dagli ucraini per mandare in mondovisione la fake news. Siamo tutti adulti e dovremmo sapere tutti che la guerra delle informazioni e controinformazioni è norma, ma quando la fa Zelensky è verità, quando la fa Mosca è falsità sempre e comunque. Ma poi, non si capisce cosa altro dovrebbe fare Innaro se non riferire cosa dicono lì, cosa significa “corrispondente”?

Così, nell’uso pubblico della ragione, non puoi avanzare qualche dissonanza se prima non reciti il Credo nella Verità della Chiesa Unitariana del Bene contro il Male e del Vangelo della Marvel Comics, ma pare che ormai non basti più neanche quello. Non vogliamo nessun mondo multipolare, quindi ci polarizziamo, noi Bene, altri Male, tertium non datur e chi lo dà è collaborazionista suo malgrado. Il mondo crede a quel Vangelo, l’ha celebrato anche all’ONU. Peccato che tra astensioni e contrari, abbiamo votato paesi con metà della popolazione terrestre e poiché quel voto non comportava alcuna sanzione, è pure dubitabile che chi ha votato per la risoluzione voglia mai andare oltre alla semplice dichiarazione. Io non sono un paese ONU, ma se fossi stato lì l’avrei votata anche io quella dichiarazione, chi mai può difendere il “diritto” si un paese a varcare armato il confine di un altro? Siamo all’ovvio. Com’è ovvio che a tutt’oggi solo un quarto del mondo, l’Occidente polarizzato su Washington con il senior partner UK, ha elevato sanzioni, sebbene secondo la strana geografia surrealista della von der Leyen, questa sia la “comunità globale”.

Cos’è l’Illuminismo? Pensare con la tua testa. Avere il coraggio, pagarne il prezzo. Non pagare chi pensa per te tenendoti nell’infanzia eterna deresponsabilizzata, assumerti le tue responsabilità davanti al mondo. “Senonché a questo illuminismo non occorre altro che la libertà, e la più inoffensiva di tutte le libertà, quella cioè di fare pubblico uso della propria ragione in tutti i campi. Ma io odo da tutte le parti gridare: – Non ragionate! – L’ufficiale dice: – Non ragionate, ma fate esercitazioni militari. – L’impiegato di finanza: – non ragionate, ma pagate! – L’uomo di chiesa: – Non ragionate, ma credete!” diceva Kant in quel del 1784. Comprendere è prender assieme quanti più fatti ci è possibile, giudicare viene solo dopo che hai ben compreso, comprensione e giustificazione sono atti separati e con fini diversi.

Così oggi sembra che la società aperta-chiusa, la Wide-Shut-Society, la società spalancate ad alcune cose ma chiusa ad altre, necessiti di spegnare la luce, non è epoca di illuminismi. La società aperta mi sembrava dovesse esser liberale, ma si sa i liberali annunciano principi universali, ma con applicazioni particolari. Sono come i contratti assicurativi, la fregatura è a corpo 5. Locke annunciava la totale libertà di credenza, ma il totale era dentro il protestantesimo, se eri cattolico o ateo andavi al gabbio e buttavano via la chiave, se non di peggio.

Quando s’impone il buio, vuol dire che si vuol nascondere qualcosa?

1 46 47 48 49 50 85