Egemonia è antico concetto greco che si pose il problema di come una parte minore eserciti potere anche indiretto e spesso guida più che comando, su una parte maggiore. Era di origine militare. Poi Gramsci lo trasferì nell’agone culturale.
Lì, nonostante le obiettive contraddizioni sociali che avrebbero fatto pensare ad un rapido sviluppo del discorso e sviluppo politico comunista e socialista primo Novecento, la presenza di una forte egemonia delle classi dominanti, impediva il contagio delle idee e la loro trasformazione in azione politica collettiva. Gramsci ragionava a griglia di classi, aveva una ideologia, sostenne l’idea del “soggetto collettivo” fatto di partito operante culturalmente, socialmente, politicamente in riferimento alla classe sociale di riferimento, potenziato dagli intellettuali. Ma lo invitò a dar battaglia per l’egemonia prima di realizzare i suoi progetti concreti, proprio per creare le condizioni di possibilità per ottenere quel fine. Il campo delle idee e del loro pubblico discorso, discussione e condivisione, andava emancipato dal meccanicismo sotto-sovrastrutturale, roba da meccanica newtoniana tipo rivoluzione industriale.
Non so quanti di voi sanno dell‘estremo successo che questo concetto ha da decenni nella cultura politica ed intellettuale americana. Da W. Lippman e la nascita delle Relazioni Pubbliche, prima addirittura col nipote di Freud Bernays, fino a J.Nye ed il suo soft power ora smart power, il coro pubblicitario, serie e televisione, il controllo dell’immaginario, fino il porno, Marvel, Hollywood, la musica e molto, molto altro. L’intera costellazione dei think tank, fondazioni, Council, Fondazioni, giornali e riviste, convegni e dibattiti, libri, accademici, vi si basa, da Washinton al mondo, quantomeno occidentale. Tutta la costellazione dei servizi di sicurezza ed informazione americana ne è formata. Si studia nelle università, l’hanno sezionato da Ellul a Chomsky. Ne pariamo tutti i giorni riferendoci al coordinamento stalinista del mainstream. L’intero Internet ne è l’infrastruttura, i social ne sono i nodi. L’universo media in cui siamo immersi come girini nello stagno, ne è il contenitore ultimo.
A questa egemonia invincibile, l’area critica cosa oppone?
In genere, il rimpianto delle scomparse condizioni di possibilità esistenti dopo Gramsci. Un intero partito, il Partito Comunista Italiano, ne conseguì la lezione. Giornali, riviste, associazioni, presenza nella scuola, nel teatro, nel cinema, nell’editoria, naturalmente partito (nazionale e territoriale diffuso) e sindacato. Il PCI arriverà addirittura ad un 34,4% dei suffragi nel 1976, un inedito nella sfera occidentale. Ma nella sfera del discorso e della cultura, stante che la cultura era struttura importante della vita pubblica, il peso ad alone era anche maggiore. Lo capì Berlusconi, il quale, provenendo empiricamente da una stessa sensibilità quasi animale per il discorso, la persuasione, la fascinazione (ce l’hanno tutti i venditori di qualcosa), attaccò frontalmente con cosce, risate, disimpegno, liberazione dalla pesantezza catto-comunista, liberazione degli istinti, dei vizi privati che farebbero una inedita pubblica virtù: aumentare il benessere e la ricchezza. Divertendosi pure.
La plumbea e triste cappa di autoconsapevolezza del realismo contrito che portava la coscienza politica anni ’70 e relativa frizione sociale, veniva squarciata da “”Vamos alla playa!” con uno sfondo di promessa d’accoppiamento e successo sociale da esibire.
Altresì, i figli della stagione precedente, caduti ormai in un buco nero di sconforto ideologico per crollo della realtà sotto forma di Muro e poi Stato sovietico, per quanto non certo questo un reale riferimento politico concreto, hanno da lì in poi rimpianto le certezze del sistema classe+parito=soggetto. Niente soggetto, niente azione politica, quanto alla “classe”, vattelapesca oggi come è oggi la partizione sociale dove la psicografia soverchia la logica sociodemografica.
Si possono portare avanti progetti di egemonia o sfida ed anche solo minimo contrasto, senza i dispostivi classe+partito? Cosa darsi a riferimento se non si ha la possibilità di varare prima un soggetto? Come definire altrimenti un soggetto se non ve ne è uno sociale tagliato precisamente da concrete condizioni? Cosa comporta il fatto che oggi il concetto di “classe” non può far conto su una precisa faglia di popolazione con caratteristiche omogenee?
Nella teoria dei sistemi c’è molto catalogo di forme. Un sistema è formato da una ricetta semplice. Prendete parti, le interrelate tra loro, si saldano naturalmente e fanno una roba maggiore delle sole parti, perché hanno le interrelazioni. Due umani di sesso diverso fanno famiglia, ad esempio, ora alcuni pensano di poterla fare anche se non di sesso diverso. Tali sistemi vivono in un ambiente di sistemi e se sono grandi, essi stessi son fatti di sottosistemi. Ne viene fuori un ambaradan complesso, anche perché non è detto che le interrelazioni siano lineari. Lineare è io ti do uno schiaffo e tu me lo restituisci. Non lineare è se mi spari o mi chiedi di fare pace. Si possono formare complesse catene di interrelazioni non lineari nella catena sistemica. Il tutto si svolge in un contesto con cui i sistemi hanno relazioni da e per. Il concetto che presiede questo stato di compatibilità è il reciproco adattamento. Infine, l’intera questione è una storia, un fenomeno che sta nel tempo, ha una origine, svolgimento, fine o trapasso ad altro.
Provate ad immaginarvi questo cubo pieno di cose che sono sistemi con sottosistemi al loro interno e con interrelazioni tra quelli maggiori che si agitano in un ambiente delimitato da una cornice che fa da contesto in un dato tempo e per un dato tempo. Questo inquadramento può ospitare il mondo intero, quello materiale e quello immateriale. Dai quanti agli ammassi di galassie, dai fonemi ed alfabeti all’intera storia culturale umana, inclusa la religione. Questo impianto descrive il mondo, è in grado di leggerlo ad una certa grana. Non lo interpreta lo offre all’interpretazione, non lo pre-giudica lo offre al giudizio, è solo utile. Non esiste in natura nulla che sia un Uno completamente irrelato, non esiste nulla che sia assoluto. Assoluto viene da -ab solutus-, sciolto da legami. Nulla è sciolto da legami nel grande intreccio del mondo, incluso tu ed io. Tutto è fatto di cose che hanno legami tra loro.
Tale descrizione vale per qualsiasi macchina creata dall’uomo, per l’uomo stesso, per l’intero cosmo, per l’universo delle idee, dei concetti, dei discorsi e delle teorie. Certo, il sistema meccanico ha sua logica, quello biologico anche, quello mentale figurati, quello sociale di più, quello economico-politico anche, quello fisico dipende dai componenti, quello metafisico anche. Ma c’è uno strato del reale studiato da una disciplina negletta, la chimica, che è proprio lì dove si cucinano i totali maggiori della somma delle loro parti. Dalla chimica poi diparte tutto il mondo organico ed inorganico, financo il mentale quando nell’organico s’accende il sistema nervoso. Lo sguardo chimico indaga nella sezione del reale tra il fisico e il biologico, il minerale, l’aeriforme, il liquido.
Il bello epistemico della chimica è che propriamente non ha “leggi” come la fisica (a parte le leggi ponderali che gli sono base per gli aspetti quantitativi delle masse), ha regole, leggi di valenza parziale e fino a caso contrario (che spesso abbondano). Questo perché la chimica risente sempre del contesto in cui opera, non è tutta in sé per sé. Spesso, il nostro pensiero teorico è fortemente influito dal meccanicismo newtoniano poi positivista, tutta roba del XIX secolo, roba che non va più bene, quantomeno nella sua presunzione paradigmatica. Come si possano dire “leggi” in economia o storia o filosofia o psicologia o sociologia è sintomo di quanto male pensiamo. Leggi ci sono in fisica e giurisprudenza, punto. In pieno delirio di potenza potete aggiungere che la vostra individuata legge, ad esempio in economia o politica, è di ferro, di bronzo, d’acciaio, ma state solo facendo dell’immaginaria metallurgia della certezza dato che inconsciamente sapete che non potete star altro che in uno stato reale di incertezza.
La chimica è la scienza dei legami, roba da orticaria per un liberale. Poiché invece tutto il reale è fatto di legami tra cose, varrebbe la pena di studiarli un po’ di più. A me ha sempre fatto impazzire la “regola dell’ottetto”. Pare che gli atomi tendano a formare molecole che poi sono stabili se hanno otto, non meno e non più, elettroni nell’ultima orbita esterna (i chimico-fisici perdoneranno da qui in poi le semplificazioni, spero). H2O è un caso tipico. C’è quindi una logica di equilibrio interno nelle unioni. Ci sono poi le “affinità elettive” avrebbe detto Goethe, le tendenze a maggiori o minori interrelazioni che formano legami. Poi ci sono i catalitici, oggetti che fanno da base per appiccicare atomi o molecole tra loro, partecipano prestandosi come base, poi se tornano a fare gli affari propri. Solone fece una cosa del genere creando i presupposti della successiva stagione democratica ateniese. Chissà perché lo fanno. Non sono i federatori, soggetti guida dei processi di formazione sistemica, poi leader in genere, non hanno interesse al potere se non quello di aiutare a creare maggiori da minori ordinati sebbene dinamici. Vi sono poi processi auto-catalitici, forme di ordine spontaneo di incredibile precisione, dinamica e splendore, vedi acustica e termodinamica. Gli oggetti molecolari poi gradano tra meno di 0, tra 0 e x, oltre x passando dal cristallo al fluido all’aeriforme, sempre con loro logiche di legame. La mano invisibile è un concetto di questa famiglia, un po’ semplificato e idealizzato nella scarsa paginetta della Inquiry smithiana; tuttavia, vi appartiene e tenuto conto dei tempi, alla faccia dell’intuizione, Smith in fondo era solo un professore di filosofia morale scozzese, era la seconda metà del XVIII secolo. Certo era scozzese e non inglese, gli inglesi erano molto più rozzi ed essendo rozzi ne hanno reso rozza l’applicazione. La democrazia in senso radicale è la versione politica della mano invisibile, stessa logica ma con contenuto del tutto diverso. Si chiama “autorganizzazione in stati lontani dall’equilibrio” quelli della vita e porta con se il problema degli adattamenti reciproci. Ne vene spesso fuori ordine dal disordine, mica male, tipo da nubi di supernove il nostro sistema solare, casa. Va poi però anche ricordato che a livello precedente, quello fisico, nel macro, agisce anche la gravità, condizione che spinge le cose tra loro ed aiuta la formazione del concreto e l’ordine della sua dinamica. E c’è anche la termodinamica da considerare. Tuttavia, ammassi galattici che hanno la stessa forma del mio e vostro cervello, invero non sono così precisamente cablati, tuttavia lo sembrano funzionalmente.
Tutto l’argomento, in termini di genealogia dei concetti, sta (vagamente) per certi versi in Aristotele, ma soprattutto non sta nella maniera più assoluta in Platone. Quella mano posta a metà tra cielo e terra quando Aristotele passeggia chiacchierando con Platone con l’indice puntato in cielo (come fanno quelli dell’ISIS per dire che c’è un “solo” Dio, nella famosa Scuola di Atene di Raffaello, indica il regno di mezzo dove le cose si formano per interrelazione, impasto, amalgama. L’ontologia ne risente. In questa impostazione si danno i “possibili” ontologicamente reali (res potentia) e la “realtà” con gli ontologicamente reali (res extensa), Il mondo dei possibili è il mondo che poi alimenta il cambiamento, ma debbono esser possibili almeno “in potenza” per poi diventare “in atto”. A questo stato ci riferiamo quando diciamo di dover essere realistici. Non appiattiti sul reale, ma condizionati dalle più strette condizioni di ciò che può esserlo anche se ora non lo è ancora. Da cui anche l’utilizzo processuale del tempo. Le cose hanno e cambiano nel tempo.
Naturalmente, la trappola della falsa analogia è sempre in agguato. Mondo delle idee, dei discorsi pubblici, della chimica soprattutto biologica, della fisica, sono regni eterogenei o hanno similarità che possono trasferire inferenze? È da vedere caso per caso.
Siamo in epoca liquida si dice, siamo privi di soggetto sociale da autocoscienzare per poi affidarci alla sua leadership di liberazione (ma siamo sicuri di questa idea? Era corretta a livello teorico in generale?), siamo senza partito pur essendo di parte. Non c’è niente da fare? Non possiamo dire e tentare di costruire uno straccio di contro-egemonia oggi ai tempi della dittatura liberal-disperante perché non abbiamo un luogo dove condividere mente ed intenzioni e poi voce ed azione? E poi, quale teoria di mondo potenzialmente collettiva e comune abbiamo a cui riferirci?
I concetti di intelligenza collettiva o quello junghiano addirittura di inconscio collettivo, sono consistenti? O presupporre funzioni individuate come l’intelligenza e l’inconscio mentale nel non individuale è solo analogia vaga? Com’è allora che funziona quando effettivamente si vede un aggregato o un sistema che ha coerenza senza essere Uno? Che legami deboli e tuttavia operativi agiscono?
Si può provare a costruire una area di egemonia relativa nel discorso pubblico senza avere un soggetto fisico ed un sistema ben temperato a guida di leader saggi (i leader saggi penso appartengano al nostro infantile immaginario, nostalgia del genitore, di Dio), per autorganizzazione e convergenza parziale e nebulosa e tuttavia operativa, incidente, risuonante?
Chissà, c’è da studiare penso, al solito…
Io mi occupo da anni, tra le altre cose, delle immagini di mondo. L’immagine di mondo altro non è che l’intera mentalità che io e voi abbiamo in testa, consapevoli o meno. Essa è fatta di contenuti e di metodo, di logica, di categorie, di procedure del pensiero. Spesso ci diciamo i nostri diversi contenuti e non ci capiamo o litighiamo. Per forza, partiamo da forme diverse di comporre il pensiero, dovemmo discutere quelle non i risultati, pensare che partendo dai risultati (idee, opinioni) si possa cambiare il retrostante è senza senso o con possibilità davvero deboli. Bene. Tuttavia, in certi momenti sociostorici, si sono formate immagini di mondo abbastanza omogenee e condivise, Atene, Rinascimento, Zeitgeist, decine di altri casi da Montmartre alla swinging London, passando per la NY anni ’60, il movimento alterglobalista. Entità eterogenee ed autonome che condividono almeno parti o gestalt anche vaghe di immagine di modo (più nel metodo che nei contenuti), sono in grado di dialogare, costruire pensiero collettivo e coordinarsi spontaneamente almeno a certi livelli. Presupposto però, è che i portatori di immagini di mondo dialoghino tra loro, abbiano interrelazione, puntino a formare un quadro di maggiore omogeneità relativa.
Noi non dialoghiamo più tra noi. Ognuno di noi intellettuali critici, parla fuori del noi, si rivolge da solo al mondo, fa Hyde Park corner, ha introiettato l’individualismo esistenziale e mentale. Magari ci leggiamo reciprocamente o leggiamo cose simili, ma se non lo discutiamo in comune, la tela non si tesse, il sistema non si forma, l’immagine rimane caleidoscopica. Sta tutta in un tubo, ma non ha forma sua.
Un tentativo di porsi il problema della per quanto limitata contro-egemonia da poter costruire nel tempo (sono cose che si fanno con questa materia prima: il tempo), forse dovrebbe porsi questo problema. Non avremmo i mezzi ed il soggetto, ma potremmo comunque lavorare a formare una meno eterogenea immagine di mondo di riferimento comune, senza per questo immaginare una truppa ordinata allineata e coperta.
Certo l’impostazione critica di cui qui pur rileviamo problemi, è solo negativa, è condivisione del negativo e il riferimento che critichiamo dà comunque un po’ di ordine. Se dovessimo passare alla fase costruens, la fase positiva, la varietà esploderebbe. Già oggi tra demagoghi populisti, quasi conservatori, destra non conformista, progressisti non traviati, mille sfumature della fu sinistra, ostinati marxisti, vaghe stelle dell’orsa, abbiamo un indice di biodiversità (e confusione) altissimo. Ma tanto abbiamo da occuparci del problema più semplice, per il momento. A coloro che storceranno la bocca per l’estrema eterogeneità dell’elenco pensando subito con ribrezzo il vedersi accumunato a impostazioni del tutto non condivise, segnalo che democrazia radicale prevede la lotta delle idee al suo interno -così come la lotta di classe o addirittura la stasis-, per poi trovare spinta per la lotta esterna che il fine ultimo. Ci sono infatti problemi di egemonia nel sistema per dare poi al sistema la possibilità di lottare contro altri sistemi. L’avversario dominante ha tratti totalitari, si devono opporre masse per quanto poco unificate. Si tratta di idee e discorsi, non ancora di azione politica concreta, di azione culturale. Siamo tutti ateniesi, non siamo spartani, condividiamo la stessa polis, ci piaccia o meno.
Dialogo, logos in comune tra due, discorso non impianto e suoi risultati, semplice discorso, relazione, relazione che forma sistemi tramite legami, anche deboli. Tele, reti, pattern, gestalt, cose di tutti, per tutti e di nessuno, cosa da mettere in mezzo a noi (en mèson), in comune.
Chissà che comunitarismo, bene comune, senso comune, comunismo, sistemi non abbiano questa stessa radice, radice e radicale che si dice: “Essere radicale significa cogliere la cosa alla radice (Marx, Per la critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione)”. Radici, rizomi, tuberi, bulbi. Datemi retta, nei vostri modi di pensiero, abbandonate la meccanica ed avventuratevi in biologia, siamo tutti Bios, perché ragioniamo come macchine?
Capitalismo è macchina, democrazia è Bios.
Sul mondo letto con lenti Bios, segnalo un autore della cultura della complessità americano: Stuart Kauffman, del Santa Fé Institute.
ll sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure PayPal.Me/italiaeilmondo Su PayPal, ma anche con il bonifico su PostePay, è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (pay pal prende una commissione di 0,52 centesimi)
Questa è tecnicamente la terza parte della serie a pagamento “Future of the SMO” che ho realizzato, con la prima parte qui e la seconda qui. Tuttavia, non li numererò più in quanto non si tratta di una continuazione, ma piuttosto di articoli indipendenti su nuovi argomenti che opereranno sotto lo stesso nome della serie, in quanto questa sarà la serie designata per gli abbonati a pagamento. Quindi, se non siete ancora abbonati, non temete di entrare ora, perché l’articolo attuale è a sé stante e segue solo vagamente il tema generale della serie, che consiste nell’analizzare l’SMO da un punto di vista tecnologico-militare e nell’estrapolarne le tendenze e gli sviluppi futuri.
Questo articolo è composto da oltre 6700 parole e questa volta ho deciso di lasciare gratuitamente al pubblico le prime 2500, quindi quasi il 40% dell’articolo, in modo da consentire agli abbonati gratuiti di leggere almeno fino alla rivelazione più importante del “guscio di bomba”. Tuttavia, gli abbonati a pagamento vedranno il nuovo rapporto, più in basso, del primo plotone russo di robot terrestri mobili che prende parte a vere e proprie ostilità, inaugurando una nuova devastante era della guerra.
Nellaprecedente puntata di abbiamo parlato del documento del generale Baluyevsky, teorico militare russo ,Algoritmi di fuoco e acciaio. Questa volta abbiamo un’altra affascinante pubblicazione dalla rivista militare ufficiale russa del MOD, chiamata АРМЕЙСКИЙСБОРНИК, o “Army Digest”. Si tratta di valutare lo stato di apertura dell’SMO e come è cambiato, con quali adattamenti il Ministero della Difesa russo ha apportato per colmare le debolezze emerse nel corso del conflitto.
L’aspetto particolarmente illuminante è la franchezza con cui affronta le limitazioni della Russia, in particolare all’inizio dell’SMO, permettendoci di capire meglio lo stato attuale delle cose e come potrebbe evolvere la guerra in futuro.
È ospitato sul sito ufficiale del mil russo e a quanto pare blocca l’accesso agli indirizzi occidentali, ma è comunque possibile accedervi tramite VPN.
Per motivi di autenticità, si tratta del numero 3 di marzo del 2024, scritto dal colonnello in pensione e veterano delle operazioni militari Oleg Falichev, e si intitola:
Escludere il fattore umano
Inizia raccontando come Putin abbia recentemente fatto una valutazione dell’OMU alla fine del 2023, e abbia francamente affermato alcune aree problematiche chiave in cui le Forze Armate russe hanno bisogno di lavorare; in particolare: ristrutturare seriamente i sistemi di comunicazione, aumentare il raggruppamento satellitare ISR, migliorare il lavoro della difesa aerea, aumentare la produzione e la fornitura di proiettili ad alta precisione come Krasnopol e molti altri, ecc.
“È positivo che, a distanza di due anni, si sia finalmente cominciato a parlare apertamente dei problemi individuati durante l’operazione speciale. Ma cosa aveva in mente esattamente il Comandante Supremo?”.
L’autore descrive innanzitutto ciò che gli Stati Uniti possiedono in termini di sistema di controllo centralizzato su rete del campo di battaglia unificato, che si dà il caso sia a disposizione dell’Ucraina. Voglio incollarlo per intero perché è un’importante base di consolidamento sull’argomento e crea un netto contrasto con il modo in cui descrive poi le capacità russe:
Negli ultimi 30 anni, negli Stati Uniti sono stati creati diversi sistemi di controllo automatizzati (ACS) per le operazioni di combattimento delle forze terrestri. Tutti sono integrati in un unico contorno, che fornisce l’acquisizione in tempo reale dei dati di situazione elaborati necessari per l’impatto del combattimento sul nemico con tutti i mezzi di distruzione, compresi quelli promettenti.
Il sistema di controllo globale degli Stati Uniti nel suo complesso è costituito da: uncontorno aeronautico, che comprende veicoli di ricognizione senza equipaggio, aerei di ricognizione, compresi gli aerei di controllo del combattimento e di designazione dei bersagli del tipo AWACS; uncontorno spaziale, costituito da veicoli spaziali di ricognizione optoelettronici, nonché da satelliti di ricognizione radar e radiotecnici e da satelliti del sistema di allarme missilistico; comunicazioni spaziali globali sicure, che consistono in satelliti di comunicazione e relè, satelliti meteorologici e altri veicoli spaziali .
La costellazione di satelliti per la ricognizione bellica degli Stati Uniti può comprendere fino a 500 veicoli spaziali, di cui fino a 200 possono essere localizzati oggi sul territorio dell’Ucraina. Tutto questo gruppo lavora per le forze armate dell’Ucraina, trasmettendo dati sulle nostre truppe. Permette di ottenere informazioni video e fotografiche ad alta risoluzione, sufficienti a determinare il numero dei nostri aerei nei campi d’aviazione e il movimento di grandi gruppi di truppe. Tutta la situazione monitorata viene riassunta e raccolta nel Centro di elaborazione delle informazioni della NATO, da dove i dati vengono inviati alle Forze armate dell’Ucraina. Questo include l’uso del sistema Starlink, utilizzato per le comunicazioni e il controllo del fuoco nel collegamento “compagnia (batteria) – battaglione (divisione) – reggimento”.
La combinazione dei mezzi di ricognizione e di distruzione del fuoco del nemico in un unico sistema è stata chiamata concetto di guerra network-centrico nella teoria generale della guerra. Si tratta della creazione di un unico spazio informativo per il controllo e la distruzione del fuoco nell’area del teatro operativo.
Una nota a questo proposito:
In primo luogo, ecco un diagramma recente del totale dei satelliti attivi nello spazio rispetto a Starlink, che sta iniziando a occupare da solo tutta l’orbita terrestre:
I satelliti Starlink di SpaceX costituiscono ora quasi il 60% dell’intera costellazione spaziale operativa.
Di questo passo, Starlink diventerà presto la principale forza dominante nello spazio.
Oltre alla valutazione russa di cui sopra, un recente annuncio ha rivelato che Elon Musk ha firmato un contratto segreto con il governo degli Stati Uniti per convertire, come suggerito da un rapporto, circa 500 satelliti Starlink in versioni militari con speciali proprietà crittografiche:
Sfortunatamente per la Russia, questo pone gli Stati Uniti e i loro alleati, come l’Ucraina, diversi anni, e potenzialmente un decennio o due, avanti rispetto alle capacità russe in questo settore. Come indica il colonnello Falichev nella prossima parte, questo è un settore in cui la Russia ha accumulato un grave ritardo dal crollo dell’Unione Sovietica, semplicemente ignorando il problema poiché le sue ramificazioni non sono mai state percepite in modo palpabile dalla vecchia classe dirigente militare.
Ora si stanno affrettando a realizzare un analogo di Starlink, ma una flotta operativa di base non sarà pronta almeno fino al 2027-2030. Per pareggiare le probabilità nel frattempo, la Russia avrebbe contrabbandato una grande quantità di Starlink illegali, che sostiene di utilizzare al fronte nonostante le proteste di Musk, secondo cui il servizio Starlink non opera “sopra la Russia”. Naturalmente, la linea di contatto del campo di battaglia è una “zona grigia” piuttosto vaga e probabilmente consente alle forze russe di ottenere il servizio.
Anche se, come breve inciso, i problemi di comunicazione della Russia non sono mai così gravi come si sostiene. Proprio ieri un esperto ucraino di comunicazioni ha denunciato con rabbia l’uso sempre più diffuso di una nuova “rete ad onde” russa di radio, che ha descritto come segue:
La soluzione di comunicazione a pacchetto di Wave Network si basa sulla tecnologia MESH. Nell’ambito di questa tecnologia, ogni walkie-talkie non è solo un walkie-talkie, ma anche un ripetitore. In altre parole, tutti i segnali si diffondono verso tutte le stazioni vicine più vicine e non ci sono limiti. Questo è molto utile per i militari. Ad esempio, quando un convoglio di attrezzature si estende per 10 chilometri, tutte le radio trasmettono informazioni lungo la catena. Oppure tutti i soldati lungo il fronte comunicano senza ripetitori.
Per non parlare della crittografia AES128.
Ma mentre la Russia si affanna a raggiungere le capacità di comunicazione degli Stati Uniti, questi ultimi tentano di fare un salto ancora più in là nel futuro con l’annuncio del primo supporto tattico “aereo” ravvicinato al mondo, basato nello spazio:
“Le capacità spaziali più grandi non possono integrarsi efficacemente con le unità di spedizione, come le SOF (Special Operations Forces)”, ha dichiarato il capitano Noah Siegel, capo plotone del Triad Experimentation Team, 18a Compagnia Spaziale. Ridurre il nostro equipaggiamento e concentrarci sulla mobilità permette ai nostri soldati di fornire supporto spaziale a unità di tutti i tipi al margine tattico o oltre”. Per i combattenti a terra, questo supporto spaziale tattico consente la sincronizzazione e la convergenza di effetti congiunti e multidominio per migliorare la letalità”.
In breve, si tratta della possibilità di disporre di un’unità di collegamento satellitare mobile di minore impatto, in grado di fornire dati network-centrici e segnali alle unità di prima linea al volo, senza le tradizionali preoccupazioni di interruzioni dei collegamenti di comunicazione dovute a disturbi o alla distanza dai quartieri generali delle unità, o di dover allestire ingombranti relè satellitari fissi. In altre parole, un supporto spaziale a tattico livello. Può sembrare semplice, ma è qualcosa che le nazioni senza una massiccia infrastruttura satellitare farebbero fatica a fare.
Ma quanto sopra è stato solo un test con una piccola unità e non verrà in alcun modo introdotto in massa nell’esercito americano a breve, come ammette lo stesso articolo.
Tornando indietro, il colonnello Falichev chiede: Cosa abbiamo in confronto?
Che cosa abbiamo?
Guardando al futuro, dirò che stiamo combattendo con successo il sistema di intelligence del nemico utilizzando vari strumenti di guerra elettronica. Ma per molto tempo non siamo stati in grado di far notare il nostro efficace sistema di controllo del fuoco, come si suol dire. Basta ricordare l’analogo sistema Constellation creato fin dai tempi dell’URSS, che lasciava molto a desiderare. Solo di recente hanno sviluppato e lanciato una serie di propri sistemi automatizzati di controllo del fuoco di artiglieria, in particolare il “Tablet-A” (sistema Planshet-A). E l’operazione speciale in Ucraina ha accelerato questo processo.
La JSC “Russian Corporation of Rocket and Space Instrumentation and Information Systems” (“Russian Space Systems”) ha sviluppato il primo analogo nazionale del sistema Starlink. A tale scopo è stato lanciato in orbita il satellite di comunicazione Sphere. Il sistema è già in fase di test in ambito militare. Spieghiamo che JSC Russian Space Systems è specializzata nello sviluppo, nella produzione e nel funzionamento di sistemi informativi spaziali, in particolare nello sviluppo e nell’utilizzo mirato del sistema globale di navigazione satellitare GLONASS, del sistema di ricerca e soccorso spaziale, del supporto idrometeorologico e radiotecnico per la ricerca scientifica nello spazio esterno e del telerilevamento della Terra. Oggi, lo sviluppo di queste tecnologie in Russia ha ricevuto la massima attenzione, come richiesto dall’esperienza della formazione economica gratuita.
Inoltre, il Presidente della Federazione Russa ha preso in considerazione il Concetto di sviluppo tecnologico della Russia fino al 2030. Tra le sue sezioni vi sono sistemi e servizi spaziali promettenti.
Il sistema Planshet-A, di cui ho parlato a lungo, è un sistema di gestione del campo di battaglia che la Russia ha lentamente introdotto dall’inizio del conflitto. Un esempio recente di un nuovo sistema analogo russo sul fronte è stato pubblicato questa settimana, anche se credo che si tratti di un sistema ad hoc più fai-da-te. È possibile vedere la geolocalizzazione in tempo reale dei combattimenti tattici in corso, con le informazioni e le coordinate che possono essere trasmesse alle altre unità interessate:
Esclusivo . Finalmente abbiamo l’ultimo programma per il comando e il controllo.
Progettato per l’interazione, il coordinamento e il controllo tra diversi reparti. Un analogo dell’ucraino “Nettle”, la sua versione estesa.
Vorrei richiamare la vostra attenzione: “Ortica” ha fatto parte delle Forze armate ucraine fino all’età di 2022 anni. Cioè, si stavano preparando per un certo tipo di guerra, a differenza nostra. Sapevano che avrebbero attaccato e sapevano con che tipo di armi.
Da una fonte affidabile.
Tra l’altro, è emerso anche un nuovo video di un altro sistema ucraino di questo tipo, che mostra come gli ucraini siano probabilmente ancora un passo avanti nell’implementazione:
Prestate attenzione a come possono inserire simboli tattici su una mappa, che viene distribuita istantaneamente a tutte le unità che utilizzano uno di questi tablet collegati in rete.
Falichev prosegue sottolineando ciò che ho già anticipato in precedenza: perché la Russia ha iniziato ad accumulare ritardi dopo la caduta dell’URSS, comprese le famigerate riforme Serdyukov del 2008, di cui ho scritto molto in precedenza:
LEZIONI E CONCLUSIONI
Naturalmente sorge spontanea la domanda: perché è successo? Dopo il crollo dell’URSS, abbiamo prestato pochissima attenzione a questo segmento della nostra difesa, così come allo sviluppo delle Forze Armate della Federazione Russa nel loro complesso. Ricordiamo che nel 2010 le Forze Armate hanno subito importanti cambiamenti strutturali. Le divisioni motorizzate di fucili e carri armati sono state trasformate in brigate. Secondo il colonnello generale, dottore in scienze militari e membro corrispondente dell’Accademia russa delle scienze missilistiche e dell’artiglieria Vladimir Zaritsky, l’esercito e le serie di truppe missilistiche e di artiglieria in prima linea sono state abolite. Così, abbiamo perso circa la metà della potenza di fuoco delle unità e delle formazioni di artiglieria e quasi la metà della potenza di fuoco delle forze di terra.
Ma secondo lui l’arrivo di Gerasimov e Shoigu ha inaugurato il ripristino di tutto il potere precedentemente perso:
Ma con l’arrivo della nuova leadership del Ministero della Difesa, il Ministro della Difesa Sergei Shoigu, il Capo di Stato Maggiore Valery Gerasimov, il ripristino del sistema che era praticamente perduto, in particolare la struttura divisionale, e nelle Forze Missilistiche e l’artiglieria delle Forze di Terra – il ripristino del potere di combattimento.
Egli afferma che, in particolare, è stata prestata particolare attenzione a tali sistemi di intelligence elettronica, che hanno favorito lo sviluppo di nuovi sistemi di ricognizione sul campo di battaglia e di contro-batteria, come l'”Arkus” e la “Penicillina”.
Ma è qui che fa la più grande notizia bomba del rapporto, che è davvero un’esclusiva mondiale nel divulgare queste informazioni per la prima volta in assoluto:
Con l’inizio dell’SVO, avevamo solo una decina di complessi Zoo-1M nell’esercito. Questo ha fatto sì che all’inizio perdessimo il confronto nella lotta di controbatteria. Anche la mancanza di specialisti necessari ha influito sulla situazione.
Per molto tempo abbiamo sentito lamentarsi dal fronte che la Russia aveva bisogno di una maggiore capacità di controbatteria. Ci sono state speculazioni di ogni tipo sui numeri, ma nessuno conosceva le quantità precise. Qui, per la prima volta, rivela che l’intero esercito russo disponeva di appena 10 unità di controbatteria Zoopark all’inizio della SMO.
Certo, all’inizio i contrattacchi d’artiglieria non avevano ancora acquisito l’importanza che hanno oggi, dato che il conflitto aveva un carattere più da spedizione mobile che da guerra d’artiglieria classica e statica come quella di oggi. La Russia iniziò subito ad aumentare la produzione di tutto, ma è ancora estremamente significativo quanto poco avessero le unità di controbatteria all’inizio.
Si tenga presente che esistono altri tipi di controbatteria, quindi Zoopark non è l’unico su cui si fa affidamento. Non c’erano solo le citate Penicilline – anche se potenzialmente anche meno di questi sistemi di prestigio – ma anche cose come lo Yastreb-AV, lo Snar-10 e molte altre unità tattiche portatili più piccole come l’Aistyonok, il Sobolyatnik e persino il Fara-PV. Quindi, anche se la situazione non era così terribile come sembra, era ben lontana dall’essere ideale.
Ora, però, le cose sono cambiate. Proprio il mese scorso Shoigu ha visitato le imprese NPO Splav e NPO Strela, dove gli è stata mostrata una linea di produzione completa degli ultimi Zoopark-1M in costruzione:
Si può notare che l’officina potrebbe avere fino a una dozzina di sistemi in costruzione simultanea. Quindi, anche se non conosciamo il numero esatto di produzione, ecco cosa ha dichiarato NPO Strela:
NPO Strela sostiene di aver completato gli obblighi di consegna dei sistemi radar di controbatteria Yastreb-AV, Zoopark-1M (nella foto) e Aistyonok per il 2023 e di voler aumentare la produzione di due volte nel 2024 e di quattro volte nel 2025 grazie a nuove attrezzature e al passaggio a un programma di 12 ore di lavoro su turni e 6 giorni alla settimana.
Quindi, gli Zooparchi hanno già aumentato la produzione, ma aumenteranno di 2 volte nel 2024 e di 4 volte nel 2025. Nel frattempo, anche la lista di Oryx elenca solo 16 Zoopark totali “provati” e distrutti. Ciò significa che se la Russia ne sta costruendo anche solo 50-100 all’anno – cosa possibile, vista la quasi dozzina di esemplari costruiti contemporaneamente in officina – compensa ampiamente le perdite.
Tornando, Falichev prosegue:
Un altro problema è che non tutto il territorio ucraino è stato sorvegliato dalla nostra costellazione satellitare, mentre il nemico (gli Stati Uniti) ha appeso sopra l’Ucraina, ripetiamo, circa 200 veicoli spaziali che vedono tutto, e con una buona risoluzione (a volte si è scoperto che loro vedono noi, ma noi no). Ma qui si sono comportati bene i nostri velivoli senza pilota, che hanno colmato queste lacune, in particolare veicoli come Forpost, Orlan, Orlan-10, Aileron e altri. Grazie a loro, siamo stati in grado di risolvere i compiti di identificazione delle coordinate degli obiettivi nemici più importanti, delle loro attrezzature e armi e di infliggere loro danni da fuoco.
Pur sottolineando ancora una volta la disparità nella sorveglianza satellitare con l’Occidente combinato, l’autore tempera il tutto con il riconoscimento che la Russia detiene il vantaggio della sorveglianza UAV, che ha permesso di mantenere una certa forma di parità.
L’ho detto fin dall’inizio, ma l’Ucraina e la Russia hanno avuto entrambe vantaggi asimmetrici l’una sull’altra, grazie a filosofie di sistema e capacità totalmente diverse.
Falichev cita poi l’artiglieria, ma non c’è nulla di particolarmente nuovo qui, quindi la salterò – anche se vale la pena di menzionarla:
Manergame = Linea Mannerheim.
Torna sulla situazione delle tavolette, descrivendo più dettagliatamente il Planshet-A russo:
Il software consente di risolvere l’intera gamma di compiti applicati all’artiglieria nel minor tempo possibile, riduce significativamente il tempo di calcolo delle installazioni per i comandanti dei cannoni da tiro (mortai) e aumenta la precisione del loro calcolo. Il “Tablet-A” è interfacciato con diversi strumenti di intelligence, tra cui telemetri laser, strumenti per tutto il giorno, set meteorologici automatizzati e una stazione balistica, e riceve informazioni in modo automatico. Le coordinate degli oggetti esplorati, i risultati dell’addestramento meteorologico e balistico del tiro vengono trasmessi automaticamente al computer.
Inoltre, è multifunzionale: può controllare il tiro di quasi tutti i sistemi di artiglieria in servizio e l’intera gamma di munizioni.
Un’altra utile capacità del “Tablet” è che il sistema non solo opera con mappe elettroniche ottenute da satelliti di vari sistemi, mapuò anche caricare e utilizzare foto scattate da aerei da ricognizione senza pilota o da aerei da ricognizione. Il caricamento dei dati cartografici consente di aggiornare il più possibile le informazioni elaborate nel minor tempo possibile.
La versione di fascia più alta, chiamata Planshet-M-IR, destinata ai comandanti, può fare molto di più, compresa la sovrapposizione di feed UAV di ricognizione in diretta su una mappa per una distribuzione precisa degli obiettivi.
L’unica domanda è quanto siano diffusi questi tablet nelle forze armate: ancora non lo sappiamo. Nell’ultimo anno ho riportato un video occasionale di comandanti di artiglieria che li utilizzano, ma non ci sono ancora indicazioni concrete sulla loro ubiquità.
L’unica prova che abbiamo è indiretta: negli ultimi mesi c’è stata una serie di attacchi russi in profondità che hanno messo fuori uso sistemi occidentali di prestigio come gli HIMAR, i Patriot, ecc. Molti ritengono, a ragione, che questa improvvisa impennata sia il risultato di una sorta di svolta nelcomplesso d’attacco di ricognizione russo. Un tale aumento può essere solo il risultato del raggiungimento di una massa critica di attrezzature adeguate, che ha permesso alla Russia di stabilire un nuovo livello di capacità operativa. Potrebbe avere a che fare con l’aumento dell’intelligenza artificiale e dei sistemi di identificazione automatica, che consentono ai droni di effettuare scansioni autonome per identificare i sistemi nemici, riducendo notevolmente il carico di lavoro degli operatori umani, che sono troppo sollecitati.
Come funziona? Proprio ieri un gruppo russo chiamato Ploshad Systema (Area Systems) che si occupa di questo problema ha pubblicato una serie di video che mostrano i loro test di identificazione delle unità sul campo di battaglia con la visione artificiale. Come si vede qui sotto, hanno messo a punto il sistema per identificare e seguire automaticamente non solo diversi tipi di sistemi corazzati, ma anche la fanteria:
In particolare, guardate anche il secondo video a 1:55 sopra. Mostra il loro drone FPV a guida automatica che, in modalità completamente automatizzata, è in grado di agganciare e colpire il veicolo di mobilità della fanteria, senza operatore umano.
Ecco il loro resoconto:
🇷🇺🛸 Gli UAV da ricognizione (video 1) e da attacco (video 2) che utilizzano l’intelligenza artificiale sono in fase di sperimentazione da parte delle forze russe, secondo quanto riferito anche nell’ambito dell’Operazione militare speciale.
Recentemente, gli sviluppatori russi hanno presentato il sistema di droni intelligenti “Ploshchad”, in grado di mirare autonomamente.
Nel secondo video, l’operatore indica l’obiettivo al drone, poi l’UAV vola automaticamente verso il bersaglio, senza essere influenzato da misure EW e altre interferenze radio, e lo colpisce. La scritta “AUTO” e il reticolo rosso indicano il funzionamento dell’intelligenza artificiale nel puntamento.
Amici! È passato molto tempo da quando abbiamo parlato degli aggiornamenti dei nostri sistemi di visione artificiale. Al momento, è già pronto un complesso di bordo per gli UAV da ricognizione, che consente di rilevare i bersagli con elevata precisione e di determinarne le coordinate – valutate voi stessi la qualità del riconoscimento.
Inoltre, molti di voi hanno utilizzato la nostra applicazione per analizzare i video catturati. Abbiamo preso in considerazione il vostro feedback sulla velocità del servizio, quindi abbiamo preso la decisione voluta (e forse radicale) di trasferire tutte le operazioni di calcolo sul server. Ci rendiamo conto che questo richiede Internet, ma ora la sede centrale ce l’ha.
Se producete UAV da ricognizione, saremo lieti di collaborare: insieme creeremo le soluzioni più efficaci!
I sistemi senza pilota si evolvono con la maturazione degli UGV
Non sorprende che anche l’Ucraina stia lanciando unità di prova di questi FPV, che sta già utilizzando in combattimento attivo contro le forze russe. Ecco un video mostrato la scorsa settimana, che mostra un FPV che aggancia autonomamente un veicolo russo nonostante un pesante disturbo EW che oscura completamente il canale video dell’FPV:
A circa 0:10 si può vedere che il reticolo si “aggancia” al veicolo, proprio prima che il segnale video ceda. In seguito, si può vedere che l’FPV colpisce ancora con precisione il bersaglio, dimostrando che il disturbo radio è sempre più vicino a diventare obsoleto.
Ora immaginate il prossimo passo dello sviluppo. Da notizie recenti:
In poche ore, uno scienziato ha creato un drone killer dotato di intelligenza artificiale in grado di “dare la caccia” a persone specifiche.
Louis Venus ha introdotto due modelli nell’elicottero: uno riconosce il volto della “vittima” e l’altro ordina al drone di seguire l’oggetto. Secondo lo stesso Venus, questi droni con esplosivi possono diventare armi pericolose nelle mani degli aggressori, poiché la persona media non ha quasi modo di contrastare i droni.
Per quanto raccapricciante, il campo di battaglia potrebbe iniziare a somigliare a questo nel prossimo futuro. Ecco un video di circa un mese fa di uno sfortunato soldato russo perseguitato da un drone: anche se non si tratta di un drone automatico, ci dà un’idea dell’orrore che presto ci aspetta:
Ne approfitto per passare alle seguenti dichiarazioni del massimo esperto di radioelettronica dell’AFU, Serhiy Flash.
In primo luogo, in un video che ho postato di recente – anche se questa è una versione estesa – afferma che la Russia ha iniziato con una quantità di FPV che le consentiva di colpire solo alcuni sistemi importanti come carri armati, stazioni EW, radar, ecc. Poi hanno iniziato a produrne così tanti che sono passati alla fase attuale in cui ne hanno abbastanza per colpire trincee, trincee, ecc.
Ma la svolta decisiva avverrà tra 4-5 mesi, dice. A quel punto la Russia produrrà abbastanza FPV per colpire ogni singolo soldato dell’intera AFU, e la probabilità che ogni soldato muoia sarà del 99%:
Ma la profezia più spaventosa è arrivata sul suo canale di scrittura, quando ha scritto che tra 6 mesi e un anno le battaglie di fanteria in superficie cesseranno di esistere, e tutti saranno scavati nel sottosuolo con robot UGV (Unmanned Ground Vehicle) che combatteranno principalmente in superficie – una visione alquanto inquietante che ricorda le immagini delle scene di guerra future di Terminator 2:
Anche se alcuni possono considerarlo improbabile, negli ultimi mesi c’è stata una notevole impennata nell’uso degli UGV da entrambe le parti. In effetti, ho raccolto video solo nelle ultime settimane, quindi ecco alcune esclusive che non vedrete altrove.
Qui un robot di terra kamikaze ucraino si dirige verso una trincea russa, per esplodere al suo interno:
Un analogo robot suicida ucraino viene distrutto da un drone bombardiere russo:
Ecco una compilation di alcuni recenti, da entrambe le parti. Mostra sia UGV per la posa di mine, sia UGV ausiliari per l’evacuazione e altro ancora:
E un posamine aggiuntivo con un sistema di straordinaria semplicità:
Recente UGV russo che ispeziona un corpo morto (sfocato) sul campo di battaglia:
Un altro sistema visto casualmente:
Un altro nuovo video di un bot di evacuazione russo:
E incredibilmente, proprio nel momento in cui scriviamo, sono emerse nuove immagini di un’intera sottounità robotica russa che assalta le posizioni AFU a Berdychi, a ovest di Avdeevka, con un UGV AGS-17 “Flame” che lancia granate automatiche a guidare l’assalto:
I curatori hanno scritto quanto segue:
Per quanto riguarda il filmato pubblicato del primo utilizzo di droni d’assalto durante l’assalto a Berdychi, nel prossimo futuro saranno pubblicati materiali più dettagliati sul primo attacco completo con droni di terra.
I droni mostrati nel video si sono mostrati molto bene, aiutando a superare le difese nemiche nel villaggio.
I video applicativi degli sviluppatori e dei produttori saranno disponibili domani.
Questa è senza dubbio la prima volta in guerra che assistiamo a un intero plotone robotico meccanizzato che esegue un assalto dal vivo, al contrario delle prove o delle azioni di addestramento nelle retrovie.
Cosa c’è dopo
È ormai chiaro che la premonizione di Serhiy Flash si sta già avverando. Sembra che ci troviamo nelle stesse fasi iniziali di maturazione degli UGV che abbiamo visto per gli FPV all’inizio del conflitto. Se il conflitto dovesse durare altri due anni, potremmo benissimo vedere l’uso degli UGV diffuso quanto quello degli FPV oggi. A quel punto gli FPV saranno probabilmente per lo più automatizzati e esponenzialmente più letali.
Allo stesso modo, il prossimo passo dell’evoluzione che prevedo – che ancora non esiste – è la graduale interazione e coordinazione tra robot aerei e terrestri. Probabilmente questo inizierà con gli UAV che si limitano a fornire ripetitori di segnale – cosa già comune – per estendere il raggio d’azione oltre gli ostacoli. Ma l’utilizzo più complesso riguarderà i droni da ricognizione aerea che trasmetteranno i dati di puntamento e posizione agli UGV di terra, che potrebbero poi puntare autonomamente alle posizioni designate dall’UAV.
Naturalmente, la strada è ancora lunga, perché per ora gli UGV rimarranno probabilmente controllati in modalità wireless dagli esseri umani, piuttosto che autonomi dall’intelligenza artificiale. Tuttavia, alla fine si arriverà a operatori umani dietro l’UAV che sceglieranno i bersagli per il sistema di terra autonomo per sparare da posizioni potenzialmente chiuse, fino alla frontiera finale degli UAV autonomi che troveranno i propri bersagli attraverso la visione artificiale e li trasmetteranno agli UGV autonomi che li potranno ingaggiare da soli.
Tra l’altro, questa notizia è arrivata proprio ieri sui canali ucraini:
L’esperto ucraino che l’ha pubblicata ha osservato:
Il cuore dei sistemi di visione artificiale e di acquisizione dei target è un computer di potenza sufficiente.
Deve essere piccolo, economico e produttivo.
Il nemico sta lavorando su questo.
Ha ragione nel dire che, in particolare per i piccoli droni di tipo FPV, i chip devono essere minuscoli e avanzati per consentire un elevato carico di CPU per elaborare tutti i calcoli dell’intelligenza artificiale con un consumo energetico ridotto. La principale debolezza della Russia è stata ovviamente la tecnologia dei chip e dei semiconduttori, quindi questa è stata una delle principali aree di preoccupazione in cui l’Occidente potrebbe fare un passo avanti. Per il momento, però, la Russia sembra in grado di procurarsi i chip e i componenti necessari da altri Paesi e di utilizzare i propri in alcuni punti.
Lo stesso vale per i sensori elettro-ottici, altra area di debolezza russa. Affinché le CPU dell’IA funzionino in modo ottimale, i dati di input iniziali devono essere della massima qualità possibile, in termini di risoluzione, chiarezza, fedeltà, ecc. Un’ottica più debole significa che l’IA ha meno possibilità di lavorare per separare il bersaglio dallo sfondo “sfocato” o pixelato, ecc. Quanto più chiara è la catena elettro-ottica, tanto più raffinata può essere la capacità autonoma, quindi questa è un’altra area di grande preoccupazione per la Russia.
Tuttavia, come per ogni cosa, la Russia potrebbe finire per compensare in modo asimmetrico. I sistemi occidentali potrebbero risultare leggermente più precisi, ma probabilmente saranno sovraingegnerizzati e/o molto più costosi, e quindi prodotti in numero inferiore.
Un esempio: anche l’esercito statunitense sta lavorando su UGV con navigazione autonoma a guida automatica come l’Autopilot di Tesla (si vede alla fine, intorno al minuto 6:55). Ma come per ogni cosa, sembrano scalare cose grandi, ingombranti e costose, rispetto all’attuale concentrazione della Russia su piccoli ed economici robot da campo che possono essere prodotti in grandi quantità:
Anche la Germania sta cucinando:
L’Occidente punta tutto sugli sciami di droni per l’Ucraina
Recentemente è stato annunciato che gli “alleati” intendono raddoppiare la produzione di AI e di droni per l’Ucraina, alla luce della loro incapacità di tenere il passo con la Russia nella produzione di artiglieria e armi convenzionali:
Bloomberg scrive che gli Stati Uniti e la Gran Bretagna stanno lavorando alla creazione di uno sciame di droni che attaccheranno la Russia. Secondo gli esperti occidentali e gli sviluppatori di droni, questo permetterà alle Forze armate ucraine di compensare la mancanza di proiettili e dare un vantaggio sul campo di battaglia.
I droni sono anche l’unico settore in cui le capacità produttive dell’Ucraina non sono così vulnerabili agli attacchi russi alle infrastrutture energetiche, come quelli delle ultime settimane. Questo perché le officine dei droni operano su piccola scala, con generatori di riserva in grado di sostenerle, non avendo le enormi impronte energetiche di arsenali e imprese su larga scala.
Il problema è che le interferenze russe stanno rapidamente recuperando terreno. Un nuovo rapporto del NYTimes esprime la frustrazione degli equipaggi ucraini che si trovano in un crescente blocco del segnale sui rispettivi fronti:
Leggete qui sotto:
Ciò che colpisce di più di questo rapporto non è l’ammissione del solito quantitativo vantaggio che la Russia ha sull’Ucraina nel reparto di disturbo EW, ma anche quello qualitativo: afferma francamente che le unità russe non solo hanno una maggiore capacità di disturbo – un punto ovvio – ma mostrano un migliore coordinamento tra le loro unità EW e quelle regolari.
L’articolo prosegue affermando che la pressione sulla “capacità non presidiata” dell’Ucraina è cresciuta in modo sproporzionato, man mano che si esaurivano gli armamenti. L’articolo sottolinea tuttavia con acume il vantaggio sempreverde dell’artiglieria:
La forza dell’artiglieria deriva spesso dalla sua imprecisione. Ricoprendo ampie aree con alti esplosivi e frammentazione, può rapidamente interrompere le operazioni sul campo di battaglia, mutilando le truppe e distruggendo i veicoli. È una tattica quasi impossibile da replicare con uno o due droni.
L’ubiquità dei disturbatori russi di tipo “trench dome” è dimostrata qui:
Molte persone si confondono: vedono video di soldati russi colpiti dai droni, ma questi provengono principalmente dalle avanzate – dove le truppe d’assalto russe sono costrette ad andare temporaneamente oltre la copertura EW per sfondare, sfidando rischiosamente zone grigie con scarsa copertura EW.
Ma quando si tratta di aree di guerra posizionale statica, dove le truppe russe sono asserragliate in trincee ben attrezzate, queste posizioni sono spesso adeguatamente protette da un assortimento di unità “trench dome” che le rendono quasi impermeabili agli FPV ucraini.
Ecco l’ammissione chiave:
L’approccio della Russia è stato molto più verticistico, con una pesante supervisione militare. Questo ha reso la flotta di droni del Paese più prevedibile, con meno variazioni nelle tattiche e nei tipi. Ma ha anche permesso ai militari russi di bloccare i droni ucraini sul campo di battaglia senza dover bloccare i propri, coordinando le traiettorie di volo e i disturbatori.
“Non c’è nulla di simile da parte ucraina”, ha detto un operatore di droni che vola per l’Ucraina.
L’aspetto affascinante della guerra dei droni è che ha generato una sorta di cultura industriale di piccoli gruppi specializzati e affiatati che hanno i loro marchi e biglietti da visita. Di fatto, hanno sviluppato le loro piccole sottoculture e i loro “seguaci”, simili alle sottoculture degli “ultras” del calcio.
Un esempio di ciò è stato quando il primo carro armato Abrams è stato recentemente distrutto, tre delle migliori unità di droni russi nella regione si sono quasi scontrate su quale drone avesse battuto il carro armato americano: le squadre Ghoul, VT-40 o Gorb; alla fine è stato Ghoul.
E il già citato esperto ucraino di radioelettronica che studia, si specializza e monitora l’EW russa sul fronte dice che può persino identificare ogni specifica squadra solo dalla sua firma di segnali, che scansiona e rileva 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Ogni squadra costruisce e modifica la propria marca di droni, alcuni utilizzando diverse tecniche di stampa 3D, altri utilizzando bande di frequenza radio uniche, ecc. Dice che le “normali” unità di droni russi operano tutte sulla banda di fabbrica e sono facilmente distinguibili dalle squadre speciali d’élite che designano le proprie frequenze proprietarie, rendendo i loro droni molto più difficili da disturbare.
Tuttavia, nonostante le loro limitazioni, l’Ucraina continua a spingersi oltre i limiti dello sviluppo dell’FPV, in genere aprendo per prima un nuovo terreno. Qui di seguito è riportato un esempio di un nuovo progetto di “nave madre” ucraina che lascia cadere un drone secondario per aumentare il raggio d’azione:
Adattamento russo
Per tornare indietro, l’articolo del think tank russo Falichev si conclude con la seguente importante nota:
Un’ultima cosa. Con l’inizio della SVO, la vita scientifica e industriale delle imprese dell’industria della difesa non solo si è ravvivata, ma ha acquisito un impulso particolare. Tutti sono passati alla modalità operativa “24/7”. Hanno capito che la vittoria al fronte dipende dal loro contributo diretto a questo processo.
Per quanto riguarda il Ministero della Difesa della Federazione Russa, sono state firmate molte decisioni congiunte con il Ministero dell’Industria e del Commercio, che oggi permettono alle imprese di rispondere in modo rapido e flessibile alle raccomandazioni del Ministero della Difesa della Federazione Russa, di modernizzare intere linee di prodotti che prima sarebbe stato estremamente difficile migliorare. Alcune procedure burocratiche sono passate in secondo piano. E l’esperienza di un’operazione militare speciale ha giocato un ruolo positivo. Ma questo richiede analisi e generalizzazione, come ha chiesto il Presidente russo Vladimir Putin nel suo discorso alla riunione congiunta del Consiglio del Ministero della Difesa della Federazione Russa.
Può sembrare il solito linguaggio da boiler che parla di migliorare le cose solo per concludere un articolo con una nota positiva. Ma recenti rapporti hanno dimostrato che quanto detto sopra è dimostrabile. Descriverò brevemente alcuni esempi chiave di recenti miglioramenti al volo apportati dal Ministero della Difesa russo a sistemi d’arma critici, sulla base delle osservazioni e degli insegnamenti tratti dalle ostilità in corso.
In primo luogo, le bombe a vela russe erano dotate di 4 antenne satellitari Kometa-M per i segnali GPS/Glonass. Una foto di una recuperata, come illustrazione:
Ma ora, l’Ucraina ha scoperto che le bombe a razzo russe sono dotate di una quantità doppia, 8 x Kometas (Comete), che le rende estremamente resistenti all’inceppamento, aumentando notevolmente la loro precisione:
Un volontario ucraino sostiene che negli UMPC russi sopravvissuti sono stati trovati ricevitori anti-jamming aggiornati per i segnali satellitari Kometa.
Secondo il nemico, il nuovo tipo di “Komet” è dotato di un nuovo sistema di antenna a 8 fasci, in grado di neutralizzare simultaneamente sette fonti di interferenza.
🔸 Ricordiamo che i “Comet” sono installati non solo sulle bombe aeree con UMPC, ma anche su vari droni, tra cui il “Geran-2”.
🔸 Se i ricevitori aggiornati appariranno sui droni, ciò aumenterà significativamente anche la loro protezione dai sistemi di guerra elettronica ucraini.
Ciò ha avuto un ruolo significativo nella recente devastazione dell’Ucraina causata dalle bombe a effetto planare. Vedete, l’inceppamento non è un’impresa che si può fare tutta o niente. Quando munizioni di questo tipo volano in un ambiente contestato dall’EW, potrebbero semplicemente degradare il loro segnale, rendendo la loro precisione non terribile, ma mediocre. Forse 50 metri di CEP invece di 10-20 metri, ecc.
Ma con il doppio delle antenne, si ottiene una fedeltà del segnale di gran lunga migliore, che li rende più immuni alle perdite e in grado di colpire costantemente con la massima precisione.
Lo stesso vale per gli Iskander. Se ricordate, ho scritto molte volte di come i missili balistici Iskander-M abbiano una porta di espulsione avanzata nella parte posteriore, che spara contromisure elettroniche nella fase terminale del volo per disturbare la difesa aerea:
In alto si notano le porte rotonde sul retro, vicino al motore a razzo, da cui escono le boe EW simili a dardi.
Ma, dimostrando la flessibile capacità di adattamento della Russia, ha scoperto che, con l’esaurirsi della difesa aerea ucraina, gli Iskander non hanno più bisogno delle esche, in quanto sono in grado di aggirare la rete AD deteriorata senza di esse. E allora cosa ha fatto la Russia? Ha sostituito le porte di espulsione posteriori con altri terminali satellitari Kometa-M, che gli ucraini hanno scoperto a malincuore tra i rottami degli Iskander dopo gli attacchi riusciti:
Notate le stesse porte posteriori rotonde, ma al posto delle sonde di contromisura ci sono ora le riconoscibili antenne Kometa. Poiché l’Iskander punta verso il basso quando colpisce, questi ricetrasmettitori puntano direttamente verso il cielo per massimizzare il segnale satellitare. Sebbene la Russia sapesse che l’AD rappresentava una minaccia decrescente, l’EW dell’Ucraina poteva ancora potenzialmente alterare la precisione dei missili disturbando il suo segnale. Così ora la Russia ha rafforzato la sua forza di segnale, apportando modifiche significative ai principali processi di produzione al volo nel bel mezzo di una guerra.
Dal momento che i segnali GPS sono tra i più facili da falsificare e disturbare, e l’Iskander si basa su Glonass/GPS – sebbene abbia anche altre ridondanze di correzione della navigazione – questo potrebbe essere responsabile della recente ondata di colpi precisi dell’Iskander su tutto il fronte, che ha spazzato via concentrazioni di truppe ucraine, sistemi di prestigio come gli HIMAR, ecc.
Questo tipo di rinforzo del segnale è stato applicato a diversi sistemi missilistici russi, in particolare perché quasi tutti i missili russi di punta – Kh-101, Kalibr, Iskander, droni Geran-2 e altri – condividono una qualche iterazione delle antenne satellitari Kometa prodotte da Almaz Antey, il che conferisce alla produzione russa una grande efficienza e interoperabilità per diversi sistemi d’arma. In altre parole, un componente critico serve tutti i principali sistemi d’arma.
Ciò è stato evidenziato meglio che nel video di oggi dove, dopo una serie di attacchi mirati alle centrali termiche ucraine la scorsa settimana, il direttore statale dell’energia ha rivelato apertamente che i missili russi hanno migliorato enormemente la loro precisione dall’anno scorso, per quello che sembra essere un motivo misterioso:
Il direttore esecutivo di DTEK dell’operatore energetico, Dmitry Sakharuk:
“Se parliamo del 22 marzo, purtroppo i due impianti più grandi hanno ricevuto i danni maggiori di tutta la guerra (in DTEK i due impianti più potenti sono Burshtynska TPP e Ladyzhynska TPP). 8 missili sono arrivati a ciascuna stazione. Inoltre, a differenza dei periodi precedenti, lo scorso inverno la precisione dei missili è sorprendente. Precisione a un metro. Se prima erano 100 metri, 200, 300, ora arrivano metro per metro. Purtroppo non è stato possibile abbattere questi missili e le conseguenze sono semplicemente colossali. Lì il campo è pulito, non ci sono tetti, non ci sono attrezzature, terra bruciata…”.
Un altro esempio: abbiamo visto come i missili da crociera russi Kh-101 abbiano improvvisamente ottenuto la capacità di sparare contromisure – cosa che nessun missile da crociera aveva mai fatto prima – quando si avvicinavano ai loro bersagli. Un altro adattamento al volo.
Ma oggi nuovi rapporti indicano che anche il Kh-101 russo ha raddoppiato le dimensioni della sua testata. I Kh-101 e i Kalibr sono stati sviluppati per combattere la NATO e quindi necessitano di un raggio di volo estremamente lungo. Ma i missili possono attraversare l’Ucraina con una frazione dei loro serbatoi di carburante. Quindi cosa fa la Russia? Rimuove una parte del serbatoio e aggiunge una testata supplementare, che aumenta l’esplosività totale da 450 kg a 800 kg:
Come ultimo esempio, le truppe ucraine hanno ora rinvenuto diversi tipi di bombe a collisione russe. Oltre alla classica UMPK, c’è ora una nuova UMPB che si dice sia un analogo della tanto decantata GLSDB (Ground Launched Small Diameter Bomb) americana:
Questo è già stato utilizzato, dato che le truppe ucraine stanno trovando i rottami dopo gli attacchi:
Ciò significa che la Russia fu in grado di sviluppare un sistema di combattimento completamente nuovo, praticamente da zero, nel bel mezzo della guerra. Ci sono molti altri esempi, ma si potrebbe dedicare un intero articolo solo a questo.
Questo è tutto per questa parte, restate sintonizzati per le prossime parti di questa serie in corso, dove continuerò ad aggiornare tutti gli ultimi sviluppi e ricerche sia nella teoria militare che nelle scoperte tecnologiche sul fronte. Se è vero che c’è qualche possibilità che la guerra finisca prima che le cose diventino troppo folli, se invece si protrae per qualche anno, allora potremmo assistere all’esplosione di queste tecnologie dei droni, che si stanno sviluppando in concomitanza con la rivoluzione generale dell’intelligenza artificiale, che nei prossimi anni potenzierà le capacità autonome dei droni in modo imprevedibilmente accelerato.
Your support is invaluable. If you enjoyed the read, I would greatly appreciate if you subscribed to a monthly/yearly pledge to support my work, so that I may continue providing you with detailed, incisive reports like this one.
ll sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure PayPal.Me/italiaeilmondo Su PayPal, ma anche con il bonifico su PostePay, è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (pay pal prende una commissione di 0,52 centesimi)
UN CONVEGNO SU ANTONIO DE MARTINI PER LA NASCITA DI UNA NUOVA GEOPOLITICA MAZZINIANA
Alcune domande dello storico Umberto Marsilio al prof. Massimo Morigi, filosofo politico e cultore della storia risorgimentale e del repubblicanesimo. Le domande sono state poste a seguito della visione di Marsilio della conferenza Lo Stato delle Cose della Geopolitica Italiana nei Conflitti Mazzini/Garibaldi, conferenza tenuta da Morigi presso la Società degli Uomini della Casa Matha di Ravenna e disponibile su YouTube all’URL https://www.youtube.com/watch?v=KwA00IOPCsM&t=4693s . Più l’annuncio di un prossimo convegno di studi per onorare la memoria del geopolitico mazziniano Antonio De Martini
In seguito alla visione su YouTube della mia conferenza Lo Stato delle Cose della Geopolitica Italiana nei Conflitti Mazzini/Garibaldi, lo storico Umberto Marsilio ha ritenuto opportuno pormi alcune domande alle quali ben volentieri rispondo, premettendo che per alcune, che riguardano più prettamente l’ histoire événementielle, sarò necessariamente laconico (ciò dovuto allo stato della ricerca storiografica che non consente maggiore precisione), per altre, che investono direttamente la storia delle idee sarò forse ridondante, e questo dipende indubbiamente dalla mia specifica competenza nello studio ed insegnamento della filosofia politica.
Rispondo quindi alla domanda che mi pone Marsilio in merito alle somiglianze e differenze caratteriali e politiche fra Mazzini e Garibaldi. È sempre difficile, se non impossibile, indagare la psicologia intima delle persone, siano queste nostre dirette conoscenze o personaggi storici. I personaggi storici, tuttavia, hanno sulle persone che non hanno svolto vita pubblica, una via privilegiata per scandagliare la loro psicologia perché essi dovettero per ragioni “professionali” rapportarsi con vasti aggregati umani al fine di indirizzarne non solo il presente o il futuro da qui ad una generazione, come possono o si illudono di fare le persone non pubbliche ma con più ristrette cerchie familiari e/o amicali, ma di determinare il futuro di numerose successive generazioni e per svolgere questa missione essi dovettero costruirsi non solo una maschera personale e/o familiare ma anche una maschera pubblica.
Ora dal punto della maschera pubblica, non si potrebbero concepire due personaggi più diversi di Mazzini e Garibaldi. Molto appropriatamente lo storico del movimento repubblicano e del Risorgimento Roberto Balzani ha affermato che Garibaldi costruì il suo carisma sulla presenza e sul riconoscimento ictu oculi della sua persona e sul contatto diretto col suo stesso corpo (i Mille potevano vedere e, se volevano o le circostanze glielo consentivano, addirittura toccare l’oggetto del loro mito, e, in generale, tutto il mito di Garibaldi fu costruito su stereotipi che rimandavano ad un paradigma di sacralità – e quindi di carisma politico – di stampo cattolico cristologico dove la visione dell’immagine è fondamentale nell’adorazione della divinità), mentre Giuseppe Mazzini, sostiene sempre Balzani ed io concordo in pieno, fu l’eroe dell’assenza, voglio dire dell’assenza della sua immagine e del suo contatto diretto presso i suoi seguaci, fra i quali pochissimi ebbero modo di vederlo e riscuotendo, nonostante questo, fortissimi sentimenti di ammirazione e folte schiere di seguaci (una intensità di sentimenti e foltezza di seguaci che però dopo ogni sommossa mazziniana regolarmente fallita andarono mano a mano scemando e dopo ogni rovescio dei moti da lui suscitati molti dei suoi seguaci lo abbandonavano per abbracciare percorsi più realistici e moderati per il loro patriottismo). Plastico in questo senso di leadership per assenza, il caso dei fratelli Bandiera che si immolarono per gli ideali mazziniani senza mai avere visto una sola volta il Maestro di Genova.
Per quanto riguarda gli ideali che accomunavano Mazzini e Garibaldi, facile rispondere. Entrambi volevano l’unificazione del nostro paese, solo che Mazzini voleva che l’Italia fosse unificata e al tempo stesso fosse retta da una forma di governo repubblicana mentre per Garibaldi l’unica cosa importante era l’unificazione e la forma di governo, in fin dei conti, non era così importante perché egli si acconciò ben volentieri al fatto che a dirigere l’unificazione del paese fosse il Piemonte retto dalla monarchia sabauda.
È assolutamente indispensabile a questo punto fare però una precisazione. E non tanto su Garibaldi e sul suo pragmatismo nell’azione ma su Mazzini e sul suo ideale repubblicano e questo mi consente fra l’altro di rispondere ad un’altra domanda che Marsilio mi ponte e che è la seguente «per quali motivi oggi Mazzini è ritenuto un Pater Patriae sebbene la sua visione e la sua azione politiche non sono state determinanti nel processo di unificazione?». Ora ad un livello superficiale di risposta si potrebbe dire perché infine la monarchia che Mazzini tanto detestava ha cessato di esistere e al suo posto abbiamo oggi una “bella” repubblica, nata, si dice sempre, dalla resistenza che su di sé seppe accogliere i migliori empiti anche del risorgimento, dei quali Mazzini seppe dare espressione non solo per la sua lotta per l’unificazione del paese e per la forma di governo repubblicana ma anche per la sua visione sociale, di cui la Repubblica fondata sul lavoro avrebbe saputo cogliere le sue idealità ed i propositi.
Ma, purtroppo, qui siamo in piena costruzione non tanto di un mito mazziniano (se studiato a fondo, uno dei rischi che corre anche lo storico più smaliziato ed arcigno è di mitizzare Mazzini, vedi Salvemini con i suoi giudizi sempre altalenanti fra l’ipercritico e l’ammirato su Giuseppe Mazzini) ma in pieno mito regressivo sui quarti di nobiltà che dovrebbe vantare la nostra repubblica, o meglio, siamo in pieno mito regressivo e di rimozione sulla realtà effettuale
della genesi e natura reale della sua costituzione materiale che anche oggi, ancor dopo più di settant’anni dalla sua nascita, anche a livello non meramente pubblicistico e/o giornalistico ma anche in sede scientifica o pseudotale, continua ad essere rappresentata come una repubblica nata dalla resistenza contro il totalitarismo fascista e quindi in virtù di questo mitologico inizio incontestabilmente democratica (in realtà nacque dalla sconfitta ed occupazione militare anche se, dobbiamo pure dirlo, non c’è storia di fondazione di nessuna nazione che non sia intrisa di mitologia e/o di false e ridicole rappresentazioni della stessa, da questo punto di vista paese che vai mito di fondazione che trovi), mentre nella realtà effettuale della sua costituzione materiale la nostra repubblica solo con molta fantasia può essere definita, qualsiasi cosa si intenda col termine, come una democrazia, manifestandosi essa come una cristallina e tetragona oligarchia elettiva seppur a suffragio universale e sul significato di questa definizione non penso sia necessario dilungarsi se non addentrandoci su un “piccolo” dettaglio in merito al pensiero di Giuseppe Mazzini.
Ora se si va a leggere a fondo e per esteso Mazzini, ci accorgiamo che egli impiega assai di rado il termine ‘democrazia’ e gli preferisce il termine ‘repubblica’, intendendo con repubblica non solo il dato puramente istituzionale (e qui siamo in piena banalizzazione del pensiero di Mazzini così come oggi lo intendono i suoi attuali stanchi emuli), ma proprio una forma di Stato che fosse finalizzata all’insegna della tutela e sempre maggiore valorizzazione della Res Publica, intendendo quindi Mazzini la Repubblica come quell’insieme di valori materiali e spirituali verso i quali era dovere di tutti i cittadini agire in vicendevole collaborazione al fine di ottenerne un sempre maggior accrescimento e potenziamento di generazione in generazione.
A ciò si potrebbe obiettare che anche la nostra repubblica e in Costituzione ed anche nelle sue politiche concrete si pone questi obiettivi mazziniani ma qui io non voglio sindacare sull’efficacia nel raggiungimento di questi buoni propositi (penso non sia necessario un mio giudizio al riguardo…) ma su un fatto che riguardo a Mazzini non viene mai messo in rilievo e si tratta del seguente punto: Mazzini aveva una visione olistica della società che era radicalmente nemica della visione atomistica della società così come la vede e disegna il liberalismo e così come è strutturata nella reale filosofia di impianto e nell’azione delle forze politiche che agiscono nella repubblica italiana.
Questo atomismo di fondo nella visione della società è solidalmente condiviso sia dalla attuale “destra” politica che dalla attuale “sinistra” politica, da questo punto di vista non ci sono differenze ma, ancor peggio (o ancor meglio, lo studioso weberianamente deve segnalare i valori in gioco ma dopo, per quali prender parte, è la coscienza di ognuno di noi che deve assumersi l’onere decisione finale), bisogna dire che il male (o il bene, lo ripeto, dipenda dal carattere di ognuno di noi decidere per quali valori propendere) proviene dalle origini di questa repubblica, che non nacque su un patto costruttivo e condiviso di valori basato sulla tradizione storico-morale della nazione ma su una finzione valoriale nata dal compromesso politico fra i valori delle forze comuniste e quelli delle forze cattoliche e che celava una terribile sconfitta militare e la conseguente umiliante sottomissione “democratica” verso i vincitori (Art. 11 della Costituzione: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.», non ha altro significato effettuale che stabilire che l’Italia rinuncia alla guerra perché impossibile da muovere solo con le sue deboli forze ma vi partecipa se quelle potenze anticomuniste che hanno vinto la seconda guerra mondiale ritengono necessario che lo faccia. Ogni riferimento alle odierne vicende è puramente casuale… ).
E quindi rispondo alla domanda: se Mazzini viene preso sul serio non può essere considerato un padre nobile di questa patria perché il suo pensiero, e riprendo qui una definizione di Costanzo Preve impiegata dal filosofo pensando ad una rifondazione in senso umanistico del marxismo, imporrebbe tutto un ‘riorientamento gestaltico’ della nostra vita politico-sociale, riorientamento gestaltico all’insegna di una visione olistica della società e assolutamente nemico della impostazione liberale anomica ed atomistica della stessa, in questa impostazione anomica ed atomistica, fra l’altro, la democrazia rappresentativa italiana (ma parlando in sede di analisi politologica, lo ripeto, si dovrebbe dire al posto di ‘democrazia rappresentativa’ ‘oligarchia elettiva a suffragio universale’) in assoluta buona compagnia con tutte le forme di democrazia rappresentativa (cioè di oligarchia elettiva) di tutti quei paesi che oggigiorno, definizione nata in seguito alla guerra russo-ucraina, vengono definiti presi nel loro insieme come “occidente collettivo” (definizione coniata da Putin per designare le potenze occidentali che gli si contrappongono nella guerra russo-ucraina ma ormai fatta propria, per una sorta di eterogenesi dei fini, anche dallo stesso occidente che muove guerra, seppur non dichiarata e per procura, alla Russia. Prima della caduta del muro di Berlino, aveva corso legale il termine ‘mondo libero’, libero, cioè, dal comunismo e per questo comprendente anche le liberissime dittature militari latino-americane; oggi che il comunismo è sepolto e quindi non si può più lottare per difendersi da un morto, per combattere la Russia e la Cina in un mondo sempre più multipolare ed imprevedibile, è meglio richiamarsi all’idea di un mitico occidente che si contrapporrebbe alle autocrazie asiatiche russe e cinesi. In conclusione, quello di ‘occidente’ termine dal nobilissimo orizzonte valoriale e dalle profondissime radici storico-filosofiche ma in questa fase storica prostituito dagli italici ed esteri pennivendoli agli interessi della Nato…).
È noto come Gramsci non amasse Mazzini e su questo fatto è stato in passato sottolineato che se sullo specifico Gramsci imputava a Mazzini di non aver affrontato, e con lui tutto il risorgimento, la questione contadina, su un piano più generale ciò sarebbe dovuto perché l’uno, Gramsci, era portatore di un pensiero totalitario mentre Mazzini può essere considerato l’alfiere di un pensiero democratico, dando all’aggettivo una semantica del tutto sovrapponibile a quella conferitagli dalla versione liberal-atomistico-anomica anzi descritta.
E qui siamo in presenza di un vero e proprio travisamento del pensiero mazziniano: Mazzini nei suoi scritti con molta parsimonia impiega il lemma ‘democrazia’ preferendogli il termine ‘repubblica’ e questa non è una casualità lessicale perché, come ho cercato di illustrare, la repubblica mazziniana intende agire nell’ambito e forgiando una società olistico-organica nella quale certo, le libertà politiche ed individuali non sono assolutamente conculcate ma nella quale il termine ultimo di riferimento e legittimità non è mai il singolo individuo anonimicamente ed atomisticamente inteso ma il popolo olisticamente inteso (dalla maggior parte dei suoi attuali sfiancati emuli, lo scritto più rappresentativo del pensiero di Giuseppe Mazzini, i Doveri dell’Uomo, con la sua idea della primazia dei doveri sui diritti, altro non significherebbe altro, sic et simpliciter, che prima di reclamare un diritto bisogna aver ottemperato al complementare dovere senza porsi, questi tristi emuli, troppe domande del perché di questa gerarchia, se non affermando la fuorviante banalità che per Mazzini la morale veniva prima della politica – o, tradotto in maniera ancora più banale, che il mio diritto finisce dove comincia quello del mio vicino –, mentre quello che voleva far emergere Mazzini con la sua teoria della prevalenza dei doveri sui diritti è che la società è un tutto organico e che l’individuo è sì importante ma è solo concepibile all’interno di questa società verso la quale, proprio in virtù della sua totalità organica, si ha il dovere di concepirla sovraordinata rispetto all’individuo che pur giustamente reclama i diritti).
Possiamo quindi dire che fra Gramsci e Mazzini sussistono, certo, profonde differenze, l’uno guardava alla classe operaia e contadina come base di manovra per la sua azione politica mentre Mazzini guardava al popolo italiano ma se la classe operaia e la classe contadina costitituiscono per Gramsci la totalità politica sulla quale doveva agire il nuovo principe partito comunista per portare queste due classi all’autocoscienza della propria totalità organica, per Mazzini, non classista ma in un certo senso ugualmente “totalitario”
(totalitario ma non autoritario-dittariale e penso sia meglio per questa comunicazione risparmiarci la ricostruzione dell’origine del termine e del suo impiego da parte di Mussolini, del fascismo e poi anche, se non soprattutto, da parte della pubblicistica di stampo liberal democratico: ad altra puntata…), la totalità sulla quale svolgere l’azione politica era il popolo italiano nella sua interezza e l’agente che doveva portare il popolo italiano alla consapevolezza della sua totalità organica doveva essere sempre un partito politico, ma repubblicano, da lui guidato che, tramite sommosse e financo azioni che noi oggi definiremmo terroristiche, avrebbe cercato di far sorgere questa autocoscienza di totalità organica nel popolo italiano.
Quindi sia Mazzini che Gramsci nella storia del pensiero politico italiano possiamo dire che fossero entrambi portatori di una linea di azione che possiamo dire ‘olistico-culturalista’ perché in assenza del suscitamento politico e pedagogico da parte dell’avanguardia politica dell’autoscoscienza della propria natura olistica sulle rispettive masse di riferimento (classe operaia e contadina in Gramsci, popolo italiano in Mazzini) nessuna azione politica sarebbe stata né possibile né di alcun valore (i moti mazziniani che Mazzini sapeva votati ad un probabilissimo fallimento nell’immediato sono da Mazzini stesso indicati come fenomenale strumento pedagogico e i Quaderni del Carcere di Gramsci, oltre che testimoniare una incrollabile fede di stampo veramente mazziniano nel trionfo finale della causa rivoluzionaria, sono intesi dal rivoluzionario sardo come strumento per portare le sue due classi di riferimento alla propria autocoscienza organica, premessa indispensabile questa autocoscienza per il trionfo della rivoluzione comunista). L’antipatia di Gramsci verso Mazzini può quindi anche essere considerata come la percezione da parte del rivoluzionario sardo di avere avuto una sorta di precursore nella metodologia ed impostazione valoriale da parte di un personaggio il quale, però, non guardava esclusivamente al proletariato e alla massa contadina come base di azione politica, mentre di tutt’altro segno, giusto per fare un esempio che ci aiuti a rendere più chiaro il concetto, era l’avversione di Gobetti verso Mazzini: in questo caso il campione della rivoluzione liberale, quindi una rivoluzione sì ma una rivoluzione che avrebbe ancor più accentuato i tratti atomistici e anomici del già allora esistente regime liberale, non poteva che considerare un vuoto filosofema tutta l’impostazione olistico-organica mazziniana.
Vengo ora velocemente a rispondere alle altre domande tenendomi per ultima la domanda di Marsilio relativa allo “stato delle cose” sui vizi e le virtù della odierna geopolitica italiana. Per quanto riguarda la domanda se l’epilogo della Repubblica Romana sia il segno delle divergenze politiche e di azione che già si potevano intravvedere fra Mazzini e Garibaldi, rispondo che rispetto a quanto fin qui affermato sulle loro differenze, nella Repubblica Romana rifulse il genio politico di Mazzini mentre Garibaldi, anche se efficace sul piano militare, non riuscì nella maniera più assoluta a concepire
un percorso politico per cercare di salvare la Repubblica Romana (Mazzini cercò sempre una trattativa col corpo di spedizione francese venuto per sopprimere la Repubblica Romana giocando sulle ambiguità politiche e sulla tradizione rivoluzionaria della Repubblica francese mentre Garibaldi voleva semplicemente rigettarla manu militari a mare, un progetto assolutamente impossibile da realizzare). Quindi anche se alla fine il progetto mazziniano di trascinare a fianco
– o in posizione di neutralità – della Repubblica Romana la repubblica francese fu un fallimento, esso dimostra che in questo caso il vero pragmatico della politica era Mazzini mentre Garibaldi, in fondo, altro non si comportò e connotò che come un validissimo militare ma sprovvisto di alcuna visione politica, e questo contrariamente a quanto si dice tuttoggi anche a livello storiografico che Garibaldi fosse un concreto uomo d’azione mentre Mazzini sarebbe stato una sorta di generoso acchiappanuvole. Se vogliamo usare queste usurate categorie, è semmai vero il contrario. Mazzini il concreto uomo politico, Garibaldi il generoso, efficace uomo d’azione, ma in fin dei conti, politicamente ingenuo acchiappanuvole.
E sulla base di questo ribaltamento degli stereotipi pubblico caratteriali dei due personaggi mi avvicino alla domanda di Marsilio sul perché la guerra di Crimea vide la contrarietà di Mazzini alla partecipazione piemontese e rispondo affermando che Mazzini aveva capito benissimo che il monarchico regno di Sardegna tramite questa partecipazione avrebbe avuto ascolto fra le grandi potenze europee e questo, oltre a dare una svolta moderata e monarchica a tutto il movimento rivoluzionario italiano, celava anche un altro rischio che la storiografia non ha mai a sufficienza sottolineato: mentre Mazzini e Garibaldi intendevano per unificazione italiana tutta la penisola più le isole principali, intendevano cioè un’Italia con un territorio più o meno sovrapponibile a quello odierno, il regno di Sardegna e segnatamente Cavour non pensavano assolutamente a questo tipo di assetto territoriale, volendo Cavour ingrandire il Piemonte a spese del dominio diretto dell’Austria nell’Italia del nord e forse aggiungendo, se proprio si vuole esagerare, qualche propaggine dell’Italia centrale. Cavour definiva l’idea di una unificazione di tutta la penisola una autentica corbelleria e mi preme sottolineare che se la spedizione dei Mille fu segretamente appoggiata da Vittorio Emanuele II e dalla Gran Bretagna dovette affrontare la contrarietà di Cavour. Comunque, per farla breve: il sognatore Mazzini era ben al corrente di tutti questi rischi qualora l’iniziativa della rivoluzione italiana fosse passata al Regno di Sardegna, Garibaldi bellamente li ignorava o fingeva di ignorarli.
In merito alla domanda quanto Mazzini stimasse Garibaldi e se la stima di Garibaldi verso Mazzini fosse superiore a quella che Mazzini aveva per Garibaldi, rispondo molto semplicemente che allo stato degli atti si può affermare che ad un’iniziale vicendevole e profonda stima, a partire dalla Repubblica Romana in poi mai nessuno dei due mise in dubbio la buona fede dell’altro ma le accuse che entrambi vicendevolmente si scagliarono riguardarono l’altrui l’ingenuità politica e la conseguente facilità di manipolazione: nel caso delle accuse di Mazzini contro Garibaldi, ad opera della monarchia sabauda e nel caso delle accuse rivolte a Mazzini, secondo Garibaldi in una sorta di automanipolazione mazziniana dovuta alle proprie elucubrazioni ideologiche e dalla sua intransigenza repubblicana che non avrebbero lasciato alcuno spazio di manovra politica con chi repubblicano non era ma intendeva comunque lottare per l’unificazione del paese. Sull’intensità intima di questi vicendevoli sentimenti di apprezzamento e di ridimensionamento delle rispettive figure, confesso che non so pronunciarmi, in quanto i due personaggi furono due figure pubbliche e quando si scrive e si agisce per la storia c’è sempre, in positivo come in negativo, un non detto, sul quale è sempre molto difficile esprimerci.
In merito alla domanda di Marsilio sulle potenze che i due eroi del Risorgimento stimavano di più, per Garibaldi è facile rispondere: Garibaldi stimava moltissimo la Gran Bretagna (vedi la mia conferenza e anche i lavori Eugenio Di Rienzo) e da questa fu anche
decisamente aiutato nella sua Spedizione dei Mille mentre Mazzini pur avendoci vissuto molti anni non espresse mai sentimenti di così forte amicizia pur non arrivando mai direttamene ad accusare l’Inghilterra di una politica imperialista (veramente, come ho detto nella mia conferenza, Mazzini era ben consapevole che l’Inghilterra faceva i suoi comodi a danno di coloro che si mostravano più deboli e meno resistenti all’avanzata dell’uomo bianco, solo che questa aperta sincerità Mazzini la riteneva dannosa, alla luce del suo realismo politico, per tessere alleanze per una futura unificazione dell’Italia e dall’altro lato, Mazzini non era del tutto contrario al colonialismo europeo, perché, non molto originalmente rispetto alla sua epoca, da lui ritenuto propedeutico alla diffusione della civiltà). Ma per essere veramente sintetici, Mazzini amava profondamente solamente una nazione e questa era l’Italia che nei disegni mazziniani doveva costituire il fulcro del futuro concerto europeo costituto dalle nazioni liberate dal giogo delle potenze continentali di allora, l’Austria e la Russia, ed affratellate in seguito all’abbattimento della Santa Alleanza, all’insegna di una egemonia italiana meritata sul campo della distruzione di queste potenze prevaricatrici dei diritti dei popoli europei.
Alla domanda cosa pensavano Cavour e Vittorio Emanuele di Mazzini, rispondo molto semplicemente che se fosse loro capitato fra le mani e avessero potuto decidere unicamente alla luce delle loro convinzioni personali, lo avrebbero impiccato. Non so quindi cosa gli avrebbero fatto se fosse effettivamente capitato fra le loro mani, i due personaggi in questione erano sempre uomini politici e in politica non sempre, anzi quasi mai, si fa quello che si vorrebbe, ma sicuramente dare seguito alla condanna a morte che il Regno di Sardegna aveva posto sul suo capo, certamente rispondeva alla loro più sentita convinzione.
Infine rispondo alle forse più importante domanda di Marsilio in merito alle virtù e manchevolezze della geopolitica italiana. Senza voler fare l’elenco delle più o meno commendevoli iniziative di pubblicistica geopolitica che in seguito alla guerra russo-ucraina hanno preso vigore e che sono sorte principalmente sul Web (e in questo generale movimento di rinnovamento di queste varie iniziative di pubblicistica geopolitica anch’io ho dato, soprattutto sul piano della riflessione teorica attraverso l’elaborazione del paradigma del Repubblicanesimo Geopolitico, il mio modesto contributo; ma di esso non parlerò oltre perché altro è l’argomento dell’intervista. Una cosa è però assolutamente necessaria dirla: i primi vagiti del Repubblicanesimo Geopolitico furono ospitati dalle colonne on line del blog di geopolitica “Il Corriere della Collera”, ora cessato nelle sue pubblicazioni – ma ancora in Rete – per la morte del suo fondatore, lo studioso di politica internazionale, il mazziniano, pacciardiano e quindi fautore ante litteram della repubblica presidenziale Antonio De Martini, al cui impareggiabile magistero politico, scientifico e morale dovrà necessariamente ispirarsi la geopolitica italiana per la sua auspicabile rifondazione ab imis ma, in conclusione, del succitato movimento di rinnovamento della geopolitica italiana non mi dilungo oltre in quanto, proprio per la sua carica innovativa, eccentrico rispetto al mainstream della geopolitica italiana e quindi lodevolmente con scarso valore di rappresentatività della stessa e, comunque, chi si ritenga incuriosito da questa mia affermazione può benissimo andarsi ad ascoltare la mia conferenza, nella quale viene elencata, oltre alle lodevoli nuove iniziative di riflessione geopolitica, anche una nutrita schiera di “esperti” geopolitici, molto esperti nel realismo politico ma solo pro domo loro…), parlerò solo di “Limes” e del suo valente direttore e deus ex machina Lucio Caracciolo.
Ora uno dei suoi ultimi editoriali su YouTube si intitola Stiamo perdendo la guerra. Medio Oriente e Ucraina in fiamme. L’Italia paga il conto ma non conta, ed io ho già definito questo titolo e il contenuto del video «disperazione ed ingenue illusioni di un geopolitico à la recherche du temps perdu.». In estrema sintesi l’illusione: la Nato nella guerra russo-ucraina si è dimostrata inefficace, l’Italia non può però lasciare andare questo quadro di riferimento e deve quindi rafforzare i legami con gli Stati Uniti tramite un trattato bilaterale che rimedi alle problematiche messe in luce dalla crisi della Nato. Come si dice: auguri e figli maschi. Necessità quindi di un riorientamento gestaltico della politica e delle geopolitica italiane in senso mazziniano come, appunto, avrebbe voluto De Martini. À suivre…
Massimo Morigi, nell’anno 2024 e nel mese della nascita della Repubblica Romana del 1849
P.S. dell’intervistatore. Il professor Massimo Morigi mi avevaconcesso l’intervista pochi giorni dopo il IX febbraio, ricorrenza mazziniana della nascita della Repubblica Romana del 1849. Più che una coincidenza. E, inoltre. L’intervista era stata pubblicata originariamente in data 11 marzo 2024, il giorno dopo l’anniversario della morte di Giuseppe Mazzini (altra coincidenza…) sulla rivista on line “Nazione Futura” (Wayback Machine:https://web.archive.org/web/20240313160712/https://www.nazi
onefuturarivista.it/2024/03/11/mazzini-e-garibaldi-nelle diatribe-geopolitiche-risorgimentali/ ) ma si è ora ritenuto opportuno ripubblicarla sul blog di geopolitica “L’Italia e il Mondo”(forse l’iniziativa on line che Morigi sente talmente vicina e propria che egli, per una sorta di pudore, non aveva nominato nell’intervista)perché egli mi ha comunicato che è intervenuto un fatto nuovo e questo fatto nuovo consiste nel fatto che Morigi e “L’Italia e il Mondo” hanno deciso di organizzare a Ravenna un convegno per onorare la memoria del geopolitico mazziniano Antonio De Martini. Il seguito all’insegna, ci auguriamo tutti, del motto mazziniano ‘Pensiero e Azione’, che fu anche la stella polare dell’operato politico, scientifico e morale di Antonio De Martini. Ora e sempre.
Umberto Marsilio, Pasqua di Risurrezione 2024
ll sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppurePayPal.Me/italiaeilmondoSu PayPal, ma anche con il bonifico su PostePay, è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (pay pal prende una commissione di 0,52 centesimi)
Luigi Mazzella, Critica della follia pura (a cura di Ylva Mazzella), Genesi Editrice, pp. 421, € 18,00.
A cura della moglie Ylva sono raccolti nel volume tanti scritti di Luigi Mazzella che, quasi quotidianamente afferra l’occasione per esercitare una intensa e serrata critica agli idola contemporanei; usiamo il termine di Bacone perché quello moderno, cioè fake news è stato affibbiato dai padroni della parola alle esternazioni dei loro oppositori. Il filo conduttore dei quali è la critica a convinzioni e idee che sotto l’apparenza di una razionalità (ma anche di bontà, di compassione, di umanità, ecc. ecc.) compiono le più profonde rotture col pensiero razionale e ragionevole. Scrive l’autore «la “follia” di cui io intendo parlare è quella racchiusa nelle fandonie utopiche e nei sogni irrealizzabili in questo o in altri mondi, diffusa dai “fratelli” cristiani di Erasmo e, dall’Ottocento, dai “camerati” e dai “compagni” figli del post-platonico Hegel. Più che una follia è una caligine (mediorientale e teutonica) che annebbia la ragione e induce gli Occidentali a fare scelte sbagliate». E l’autore non pensa che attualmente le ideologie se la passino tanto male, ad onta del fatto che nel secolo scorso hanno esaurito, con due colossali sconfitte rapidamente il proprio “ciclo”. Questo perché i fideismi hanno soltanto cambiato le derivazioni (scriverebbe Pareto).
Al posto della società senza classi (Marx) e del Reich millenario (Hitler) hanno innalzato idoli (e idola) nuovi: dall’ambiente (e il clima) ai diritti umani, a quelli degli animali. E questi nuovi idola vengono usati essenzialmente per indicare il nemico da combattere, caricandolo di negatività ed anche di crimini, spesso di cui non è neppure responsabile. E dietro i quali si intravede una delle regolarità del politico: quella, tucididea della lotta per il potere e il dominio dell’uomo sull’uomo.
Oltretutto con ragionamenti spesso ingenuamente (ma occultamente) irrazionali, quelli che Freund chiamava “razioidì”. Ad esempio il cambiamento climatico che tanto preoccupa (anche) l’UE, attribuito al consumo di combustibili fossili. Ma i dati dicono che il più inquinante dei quali, cioè il carbone, è utilizzato, per circa un terzo della produzione mondiale, dalla Cina, e per un altro 15% dall’India, mentre l’UE ne brucia neanche il 7%.
C’è da chiedersi perché Greta (e gretini al seguito) non vadano a manifestare da Xi o da Modi, invece che a Bruxelles. Forse se convincessero i leaders cinesi ed indiani il pianeta ne avrebbe un beneficio superiore.
La scarsa congruità allo scopo dichiarato della transizine climatica limitata all’Europa fa pensare che gli interessi sottostanti siano tutt’altri.
A questo punto tre considerazioni, per non gravare il lettore di una recensione che seppur meritata dal libro, sarebbe troppo lunga.
La prima: è vero che le religioni monoteistiche sono connotate da una intolleranza strutturale, perché se Dio è unico, vuol dire che gli dei degli altri non sono tali o meglio sono creature infernali, per cui il politeismo greco-romano, apprezzato da Mazzella, è per sua natura tollerante (vedi il Pantheon). Solo che anche per il politeisti – e per qualsiasi altra comunità umana, c’è un nemico. Quello che nega la tolleranza del politeismo. Così ai tempi nostri, i nemici dei liberali, anche di quelli classici, erano coloro che negavano la libertà: cioè i vari totalitarismi. I regimi liberali, nazisti e comunisti erano largamente secolarizzati, onde la regolarità amico-nemico funziona in assenza di Dio. Perché in ogni sintesi politica c’è sempre qualcosa di assoluto: nel caso più “laico”, quello dell’esistenza della comunità.
La seconda è che le derivazioni (anche) dei totalitarismo erano costituite da mete superiori, mai raggiunte dall’umanità: che richiedevano uno sforzo prometeico. Le odierne paiono alla portata di qualsiasi frequentatore di internet e delle di esso limitate (e private) aspirazioni. Quelle erano ideali di società in ascesa, queste di decadenti.
Non a caso (e siamo a tre) Mazzella ci ricorda le ciminiere europee che scompaiono e il capitalismo che qui è diventato essenzialmente finanziario.
Le conseguenze, ci ha ricordato qualche anno fa un generale, uno dei più influenti teorici militari cinesi è che il potere militare (e quindi politico) è quello di coloro che producano più beni reali, cioè, già da oggi, della Cina. E chi ha più potere, finisce sempre col comandare a chi ne ha di meno.
Teodoro Klitsche de la Grange
ll sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppurePayPal.Me/italiaeilmondoSu PayPal, ma anche con il bonifico su PostePay, è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (pay pal prende una commissione di 0,52 centesimi)
Il tema della decadenza di una civiltà non è nuovo tra politologi e filosofi. Julien Freund ne è un acuto osservatore. La tesi assume contorni più nitidi e chiari a partire da metà ‘800. Al giorno d’oggi appare drammaticamente attuale anche se paradossalmente la percezione risulta più acuta tra le classi popolari e nel ménage quotidiano piuttosto che tra le élites e le classi dirigenti europee e statunitensi, non ostante tale processo stia assumendo le caratteristiche e le dimensioni di una vera e propria catastrofe. Emmanuel Todd lo ha sottolineato con certosina accuratezza. Due autori e due loro testi caduti sotto la lente di osservazione di Roberto Buffagni e Teodoro Klitsche de la Grange. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
ll sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure PayPal.Me/italiaeilmondo Su PayPal, ma anche con il bonifico su PostePay, è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (pay pal prende una commissione di 0,52 centesimi)
COMUNISTI E STATO. (Qualcuno si domanderà dell’attualità e senso di questo post rispetto ai discorsi che qui sviluppiamo da tempo. Va letto, purtroppo, per scoprirlo). Il rapporto teorico e pratico tra comunisti e Stato è assai problematico.
La concezione dello Stato nello sviluppo del lavoro teorico di Marx ed Engels è di lenta e mai ultimata precisazione. Ma la linea principale vedeva l’idea di impossessarsi dello Stato con la forza per poi far deperire lo Stato per lenta autodemolizione nella fase della “dittatura del proletariato”, in favore di un modello finale che Marx idealizza nella Comune di Parigi (1871).
Ma la Comune durò scarsi due mesi, era una città non uno Stato come dimensioni e complessità di funzioni. Lenin rimarrà strettamente ortodosso nel perseguimento della strategia marxiana, ma la prematura morte portò poi a Stalin dove si realizza l’esatto contrario, la creazione di uno Stato totalitario, burocratico e poliziesco.
E tuttavia, va osservato, Marx idealizzava su una comunità di 1,8 milioni di parigini neanche alle prese con responsabilità di governo di un ente nazionale esteso, invisi certo ai poteri di mezza Europa, che per due mesi fecero baldoria producendo mito e speranza, ma Stalin guidava una nazione assediata non solo dagli europei (tra cui poi i nazifascisti) ma dagli anglosassoni con americani sempre più rilevanti, ma anche famelici giapponesi, per più di trenta anni, con una estensione territoriale immensa e con tra 150 e 200 milioni di abitanti.
Ora, in pura linea teorica, il pensiero marxiano dialettico, prevede un circolo ricorsivo tra teoria e prassi per il quale l’azione è premessa in teoria ma questa è poi modificata dall’azione o meglio dalla presa in atto dei suoi effetti. Su questo argomento dello Stato però, la parte teorica è della seconda metà dell’Ottocento, basata su standard europei e nelle sole menti di Marx ed Engels con giusto lo spunto concreto, limitato, della Comune. Marx dice chiaramente che l’intento ultimo è il superamento dello Stato, non meno di quanto non lo teorizzavano anche gli anarchici, solo, sul piano della prassi politica, era necessaria una fase di transizione in cui bisognava impossessarsi dello Stato per poi farlo deperire lentamente dal di dentro, preparando e guidando il suo “superamento”. Allora, si sarebbe poi potuto passare alla radiosa seconda fase di una società senza classi con una attesa e data per certa, esplosione di libero sviluppo delle forze produttive. Promessa o attesa basata su cosa non si sa, per quanto addirittura vantata come “scientifica”, in pieno delirio positivista.
La parte pratica fu solo per poco nelle mani guida di Lenin fedele all’impianto marxiano e presto passata nelle mani di Stalin che però doveva gestire una situazione concreta innegabilmente incongruente rispetto alla teoria e sue aspettative astratte. Per esser chiari, s’immagini di prendere a modello i due mesi della comune di Parigi e si pensi a come farlo diventare il modello della nazione sovietica sotto attacchi molteplici, nella complessità socio-storica di un secolo dopo, con 150 milioni di abitanti con altrettante etnie su un territorio non sempre facile ed immenso, in marcia verso il comunismo.
Si sarebbe allora dovuto realizzare la chiusura del circolo dialettico e riformulare in qualche modo la teoria sulla base delle prassi e del realismo, ma ciò non fu mai fatto. Lo Stato staliniano divenne un fatto duro e ben chiaro nella forma che nulla aveva a che fare con le premesse teoriche di un secolo prima, anzi ne era la specchiata inversione. Per esser di nuovo chiari: che cosa altro avrebbe potuto o dovuto fare Stalin anche ammesso non fosse lo Stalin che poi conosciamo?
Il ruolo di Lenin in questo processo fu quello di aver preparato la forma che doveva gestire la transizione della prima fase del processo di sviluppo verso il comunismo, centralizzando, dando al partito sempre più e sempre meno ai soviet, ma in vista del deperimento dello Stato conformemente la teoria di M/E. Quando morì, Stalin ereditò una forma che però usò in modo del tutto opposto, assumendola come forma migliore senza traguardi di superamento dello Stato, come unica forma possibile. Quanto ciò corrispondesse a sua preferenza ideologica o quanto fosse invece semplicemente realistico data la situazione socio-storica, è questione che qui non ci interessa. Sta di fatto che la storia teorico-pratica del rapporto tra pensiero e prassi politica comunista e Stato, è spezzettata teoricamente e invertita nei fatti, dimostrandosi una non teoria.
Si realizza così il paradosso su cui già Marx aveva avvertito: ogni rivoluzione finisce poi con il perfezionare la macchina dello Stato che pure doveva spezzare negli intenti.
Se allora la teoria comunista non ha invero una vera teoria dello Stato ed anzi a presupposto ne ha vagheggiato l’estinzione programmata senza prender atto che cinquemila anni di storia di civiltà umana mostra la totale dominanza strutturale, universale per tempo e spazio, di una qualche forma di Stato (responsabilità teorica di Marx), allora la teoria comunista non ha senso politico usabile.
In più, non considerare la differenza strutturale tra modelli micro (Parigi) e macro (URSS) e voler comprimere per pura volontà il tempo storico necessario ad ogni transizione, tempo tanto più lungo, contraddittorio e complesso, quanto più è complessa la struttura stessa di ciò che va in transizione, comprimendo anzi a forza tale complessità nei meccanicismi ciechi della confusa ed inebriante furia rivoluzionaria, aggrava la non usabilità di questa ipotesi teorica senza fondamenti realistici. La teoria è ingombra, spesso, di tardivi slanci indealistico-romantici che dovrebbero andare a verifica ora che son passati un secolo e mezzo di anni.
Infine, con la mancanza di lettura di come strutturalmente ogni fatto politico socio-storico di un determinato popolo o Paese, debba fare i conti con le pressioni di diverso contesto geo-storico, la cultura comunista si è condannata ad una cecità del reale fatale.
Da ultimo, c’è un grave problema nell’ambiente teorico marxista per il quale l’impostazione marxiana (IIa ed XI Tesi su Feuerbach) dell’anello ricorsivo teoria1-prassi-teoria2, secondo poi Gramsci l’essenza che sorreggeva questa visione politica del mondo e della trasformazione sociale, non è mai stata applicata. Quando nel 1991 crolla l’URSS, l’ambiente teorico marxista, ebbe l’occasione di riservarsi uno spazio libero per operare questa revisione proprio sulla base di ciò che era stata l’URSS, fuori ormai dal conflitto Novecentesco avendo nei fatti perso tutto. Ma non lo fece. Così rimane lì morta questa linea teorica che pure qualcuno ritiene ancora semi-viva o rivitalizzabile o solo da rimpiangere in un esteso e malinconico “sarebbe stato bello se…”.
Peccato, l’idea di Marx del circolo teoria-prassi è ottima e senza alternative, peccato sia stata solo enunciata e mai praticata. Se praticata, anche tardivamente dopo il 1991, oggi avremmo un qualche straccio di alternativa teorica alle forme politiche in cui viviamo. Forse i comunisti si sarebbero dati una calmata osservando un po’ più la complessità di tali auspicate trasformazioni comportano, forse avrebbero capito come utilizzare la democrazia (non quella che noi chiamiamo democrazia ovvio). Forse oggi invece che continuare a scrivere inutili libri sulle forme economiche, questo pur rilevante serbatoio di spesso acuti pensatori, si sarebbe dedicato allo sviluppo di nuova teoria politica.
Imparare dagli errori, anche tardivamente, sarebbe comunque onorare finalmente l’intuizione pragmatica di Marx, ma pare che ancora a pochi sia venuta in mente l’idea di intraprendere questa revisione lasciata lì abbandonata e senza seguito. Peccato che tanti di quell’ambiente teorico, preferiscano rimanere nella Scolastica della difesa dei dogmi del Libro (o più che “un” libro” una collezione di citazioni estrapolate qui e là), festeggino attualità e vivezza del pensiero del grande Maestro (che vedono spesso solo loro e qualche volta il the Economist uso farci ogni tanto delle belle copertine pop), trovino magie da Marx ecologista, ambientalista, femminista e quant’altro di anacronistico di possa inventare e continuino, ostinati oltre ogni ragione, a fondare e rifondare inutili partitini surreali come le mosche della bottiglia di Wittgenstein.
Se l’azione ovvero la realtà verificata, non torna al pensiero modificandolo, non si va da nessuna parte. Vale per gli individui, le società, i gruppi, gli intenti politici di ogni ordine e tempo.
INVOCARE UN JIHAD CULTURALE.
Sebbene di jihad (maschile), Scarcia Amoretti ne rilevi presenza solo in cinque casi del Corano (meccano), se ben ricordo, solo in due aveva significato di “guerra santa”, probabilmente retaggio del periodo medinese o successivo (non è una contraddizione, nella composizione del Corano ci sono famosi problemi di interpolazione temporale nei blocchi meccano-medinese). Per tre volte, jihad, è semplicemente “sforzo nella fede”.
Sempre se ben ricordo, Cardini, raccontava di un viaggio al Cairo in cui gli fecero visitare una scuola media dove c’era la settimana del jihad contro le mosche. Uno sforzo collettivo per gestire il problema sanitario della presenza delle mosche. Data la struttura atipica del sistema imam rispetto i nostri concetti di clero o chiesa, il jihad qualcuno può anche proclamarlo ma con dubbi effetti visto che non c’è centralizzazione di sistema. Più che altro si “invoca”, si lancia un avviso, si aspetta venga raccolto.
Ora, io credo che molti di noi non ce la facciano più. Non ce la facciamo più di esser anche aggressivamente e captivamente accerchiati dall’ignoranza e dalla sua fiera e prepotente esibizione. C’è un preciso dispositivo in sviluppo per coltivare intensamente la stupidità artificiale al fine di rendere la mente una trasmissione del comando comportamentista. Questo e il dominio della società dell’informazione e non della conoscenza.
Troppe cose non vanno nel mondo che ci circonda, molte sono belle grosse e complicate, lo tsunami emotivo sull’ingiustizia dilagante ed incrementale cui siamo giornalmente sottoposti è intollerabile. E più aumentano e crescono di numero tali ingiustizie, più il discorso pubblico diventa dadaista, nessuno sembra interessato più a capire, solo a giudicare, like, dislike, binarismo comportamentista, gabbie di Skinner, appunto.
Io credo che, non so come, i dispersi che soffrono in questo bagno di sfarinamento culturale delle nostre società, dovrebbero cominciare a gravitare maggiormente su alcuni punti, stante poi le varie, profonde, ampie differenze ed a volte divergenze su ciò che consegue il porre assunti iniziali, più semplici e quindi “ecumenici”. Uno di questi punti in comune, dovrebbe essere un jihad culturale, un far sapere che molti noi credono che l’informazione sia nulla senza la conoscenza. Abbiamo un urgente e disperato bisogno di capire di più e meglio, raccoglierne i dati è solo premessa.
Molti di noi non gliela fanno più a vedere rappresentato nel discorso pubblico un mondo fatuo di narcisisti patologici, di maschere da Vaudeville, di discorsi che non meritano la definizione, di ignoranti saccenti e supponenti, di polemici nevrotici, di bugie clamorose urlate come verità ultime, di quel fenomeno della torma di ignavi con cui se la prendeva anche Andrea Zhok in un post di ieri, code ingrossanti di irresponsabili che parlano di guerra con la bava alla bocca e non solo. E ‘mo basta! Diamine, tocca dargli un limite!
Dal Covid da Gaza, via Ucraina ed Ambiente e Clima, più altre migliaia di argomenti e fenomeni inquietanti, assistiamo stupefatti alla riduzione di complessità da esplorare con cautela epistemica a schemi interpretativi pre-razionali. Schemi conditi di emozione insopprimibile che portano molti incontinenti emotivi a vomitare a cascate i loro giudizi isterici, forse terapia di sfogo individuale, ma che inquina il paesaggio mentale comune. Sguazziamo nel vomito emotivo direzionato a precise tabelle di disgusto, gabbie di Skinner, di nuovo.
Non so dire cosa più precisa. Inviterei chi vuole, a riflettere su come usare ad esempio qui le nostre uscite “social” (cominciando a contestare i termini, questo non è un “social” è un semplice aggregatore di individualità debolmente e limitatamente interrelate secondo giudizio di algoritmi opachi), per denunciare questo nostro crescente di disagio, trasformandolo in indignazione.
Vogliamo capire di più, discutere proficuamente di più, esplorare di più, le società umane sono culture, le culture vanno coltivate. C’è molto da capire del mondo in cui siamo capitati, i nostri schemi conoscitivi soffrono come i medioevali soffrirono l’avvento del moderno, anche peggio come entità del “salto” di conoscenza che sembra esserci richiesto. Se a questi richiami del reale e del concreto continuiamo a rispondere con gli standard attuali del discorso pubblico, soffriremo sempre di più, pene materiali, non intellettuali. Soffriremo ovviamente secondo la scala sociale, le pene di prima classe si scaricheranno in seconda e così a cascata fino alle sempre più ampie stive dei passaggi ponte.
Tocca cominciare a porre dei limiti. Non servono “appelli in difesa”, servono “appelli in attacco”.
ll sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure PayPal.Me/italiaeilmondo Su PayPal, ma anche con il bonifico su PostePay, è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (pay pal prende una commissione di 0,52 centesimi)
Questi saggi saranno sempre gratuiti, ma potete sostenere il mio lavoro mettendo like e commentando e, soprattutto, trasmettendo i saggi ad altri e i link ad altri siti che frequentate. Ho anche creato una pagina Buy Me A Coffee, che potete trovare qui.☕️
E grazie ancora a coloro che continuano a fornire traduzioni. Le versioni in spagnolo sono disponibili qui, e alcune versioni italiane dei miei saggi sono disponibili qui. Anche Marco Zeloni sta pubblicando alcune traduzioni in italiano e ha creato un sito web dedicato a queste traduzioni.
Suppongo che sia l’avanzare dell’età a farmi iniziare questi saggi a volte con un riferimento al passato, quando le cose erano, nel bene e nel male, innegabilmente diverse. Ma voglio iniziare questo saggio con il tropo del “quando ero giovane”, perché sto scrivendo di qualcosa che è cambiato in modo sostanziale da allora: l’offerta di dati sul mondo e il modo in cui ci relazioniamo ad esso. Sostengo che molti dei media moderni ci stanno facendo ammalare e che dovremmo considerarli una minaccia e proteggerci da essi.
Questo può sembrare un giudizio esagerato, ma in realtà molto spesso si riscontrano proprio queste lamentele da parte della gente comune, e anche nei media stessi. Una delle immagini più diffuse è quella del “tubo di scarico” che ci riversa le informazioni più velocemente di quanto riusciamo a recepirle. Non riesco a contare quante persone si sono lamentate con me di come “tutte le notizie sono cattive” e “non posso sopportare di guardare o ascoltare le notizie”. Ma ovviamente è così. Ecco quindi alcune riflessioni suscitate da questo tipo di commenti.
Tanto per cominciare, non è sempre stato così. Dall’arrivo dell’alfabetizzazione di massa nel XIX secolo fino forse agli anni ’80, gli individui hanno assorbito quantità relativamente limitate di informazioni sul mondo. C’era un gran numero di giornali e riviste stampate, certo, ma costavano tutti e la maggior parte delle persone ne leggeva solo alcuni. I più coscienziosi passavano di tanto in tanto un’ora nella biblioteca pubblica per aggiornarsi sugli ultimi avvenimenti. Io stesso lo facevo spesso. La scelta delle stazioni radiofoniche e televisive era limitata e, se si perdevano i notiziari, bisognava aspettare il successivo. Tutto questo significava che il volume di dati che arrivava a tutti era relativamente limitato. Ciò aveva una serie di conseguenze pratiche.
Uno di questi è che ti ha trasformato in un consumatore passivo. Non era possibile evitare il telegiornale: si guardava tutto ciò che il produttore della BBC pensava fosse necessario sapere. I genitori potevano trovare una scusa per parlare a voce alta durante alcuni segmenti che ritenevano inadatti ai loro figli, così come potevano cercare di dissuadere i loro figli dal leggere certi giornali o riviste, ma la censura a livello micro (compresa l’autocensura) era in realtà piuttosto difficile, ed era impossibile evitare di venire a conoscenza di cose del mondo che non piacevano o potevano turbare.
In secondo luogo, era molto più omogeneo di oggi. In linea di massima, i principali canali televisivi e radiofonici e i principali giornali trattavano le stesse storie, anche se con ovvie differenze di enfasi. Si poteva discutere di ciò che accadeva con la maggior parte delle persone, con un discreto grado di comprensione comune. Le barriere all’ingresso per le organizzazioni giornalistiche, sia finanziarie che pratiche, erano abbastanza alte da far sì che esse stesse fossero relativamente poche. Inoltre, tendevano a disporre di risorse adeguate rispetto agli standard dei loro discendenti odierni.
Il risultato era che se si leggevano uno o due quotidiani, si guardava il telegiornale una volta al giorno, si ascoltavano le notizie alla radio al mattino e si guardava qualche documentario di attualità (ve lo ricordate?) ci si poteva considerare ragionevolmente informati sul mondo. Ovviamente, c’erano dei limiti. I punti di vista delle minoranze potevano essere più difficili da trovare e non tutti gli argomenti venivano trattati, soprattutto quelli controversi. Allo stesso modo, un documentario televisivo poteva richiedere un’ora di tempo per essere guardato (a differenza di una trascrizione che poteva richiedere dieci minuti per essere letta) e quindi la quantità e la diversità di informazioni che potevano essere consumate dalla persona media erano limitate. Ciononostante, nella realtà (e non nella teoria) oggi le differenze su questi punti sono probabilmente minori di quanto si possa immaginare.
La deregolamentazione dei media radiotelevisivi negli anni ’80, l’avvento della videoregistrazione e la successiva introduzione della televisione satellitare hanno portato a molti cambiamenti, ma in questa sede mi occupo principalmente di quelli che riguardano l’informazione. E con “informazione” non intendo dire che il materiale fosse necessariamente “conoscenza”, che fosse accurato o che fosse utile. In effetti, si è verificato un cambio di passo nel volume di dati che venivano indirizzati al consumatore. Ma il tempo a disposizione per elaborare questi dati era ancora limitato, per ovvie ragioni, e se l’offerta aumentava radicalmente mentre la capacità di assimilazione rimaneva sostanzialmente statica, allora inevitabilmente la qualità si abbassava e la quantità di conoscenza veramente utile trasmessa in un determinato periodo di tempo diminuiva. Chiunque sia stato costretto, per motivi professionali, a sopportare la televisione satellitare 24 ore su 24 negli anni Novanta, conosce bene i notiziari infinitamente ripetitivi, le interviste ripetute e le interviste sulle interviste, e gli infiniti ospiti che non avevano altro da fare che speculare nel vuoto su qualunque fosse, o potesse diventare, la crisi del giorno. La televisione satellitare – all’epoca costosa – si prestava soprattutto a servizi brevi, sensazionali e in gran parte privi di contesto, che probabilmente fuorviavano più di quanto informassero.
Ma naturalmente è stato l’avvento di Internet a fare la vera differenza e ad aprire le porte, permettendo ai dati di riversarsi nella mente della persona media. L’introduzione di telefoni cellulari in grado di ricevere Internet ha anche aumentato la quantità di tempo in cui le persone possono essere sottoposte a questo flusso di dati. Mentre in passato, se si finiva il giornale mentre si tornava a casa dal lavoro, si doveva leggere un libro o guardare fuori dalla finestra, negli ultimi anni si potevano passare ore e ore al cellulare assorbendo dati di ogni tipo e qualità da tutte le direzioni. (Ricordiamo che in 1984 i teleschermi negli appartamenti del Partito Esterno non potevano mai essere spenti. Dubito che Orwell avrebbe creduto che un giorno la gente li avrebbe lasciati accesi continuamente e volontariamente).
Eppure è generalmente accettato che le persone non sono mediamente più informate di quanto lo fossero cinquant’anni fa e che la qualità media dei dati che ricevono è più bassa che mai. In teoria, dovremmo vivere in un’età dell’oro dell’informazione, in cui tutto ciò che vorremmo sapere è a portata di clic: un’illusione che ha portato alcuni idioti a suggerire, nei primi anni di Internet, che presto le scuole e le università non sarebbero più state necessarie, perché tutto ciò che avremmo dovuto sapere sarebbe stato facilmente disponibile.In realtà, non è solo perché c’è così tanta spazzatura in giro (e non posso davvero prendermi la briga di entrare nel merito delle “fake news”), ma anche perché, al giorno d’oggi, cercare di trovare qualcosa di affidabile con cui informarsi può sembrare richiedere le capacità di un analista di intelligence addestrato.
È anche diventato, paradossalmente, troppo facile trovare ciò che si sta cercando: la quantità di materiale disponibile online è tale che qualsiasi ipotesi si possa pensare è supportata, qualsiasi interpretazione si possa immaginare è già documentata da qualche parte. Spesso penso a Internet come alla Biblioteca di Babeledi Jorge Luis Borges , che contiene tutti i libri possibili di una certa dimensione. La maggior parte di essi sono completamente privi di senso, ma uno, da qualche parte, deve contenere la verità sull’Universo, mentre un altro la confuterà e un altro ancora confuterà la confutazione. La disperazione dei bibliotecari della Biblioteca di Borges sarà familiare a chiunque abbia cercato di ricavare informazioni veramente utili da Internet. Ma naturalmente è anche vero che l’informazione è diventata una merce: si può comprare la verità o l’interpretazione che si desidera in cambio della sopportazione di una o due pubblicità. Ben Jonson notò la tendenza del capitalismo a ridurre tutto a merce già nel 1625 con la sua opera teatrale The Staple of News. (Nella commedia, le notizie vengono vendute a seconda di ciò che il cliente desidera sentire: davvero, alcuni artisti vedono molto lontano nel futuro.
Quello che possiamo definire il rapporto “segnale/rumore” dei dati disponibili oggi non è mai stato così basso, anche se la quantità continua a crescere. Questo problema ha riguardato anche le fonti di notizie tradizionali, che oggi pubblicano una quantità di dati infinitamente maggiore rispetto al passato, ma di valore nettamente inferiore. Pochi comprano i giornali cartacei e per scaricare un PDF di uno di essi è generalmente necessario un abbonamento: poche persone sono disposte a pagare per un gran numero di questi. In generale, quindi, consumiamo ciò che un tempo era la carta stampata (gran parte della quale non ha comunque più un equivalente fisico) in forma sintetica, attraverso link e feed RSS. Di conseguenza, è abbastanza normale non riuscire a ricordare esattamente dove ci si è imbattuti in una determinata storia. Questo ha l’effetto di distruggere quelle che prima erano identità discrete per le pubblicazioni. Un tempo si comprava un giornale e lo si leggeva fino in fondo, magari sfogliando le pagine sportive, finanziarie o di lifestyle, a seconda dei propri interessi e del tempo a disposizione. Oggi è di fatto impossibile riprodurre quell’esperienza, di un’ampia varietà di notizie e commenti riuniti in un formato coerente a cui si è abituati. In pratica, significa orientarsi tra una dozzina di siti diversi alla ricerca di qualcosa di interessante, scontrandosi spesso con i paywall e venendo assaliti da pubblicità, link e storie del tutto irrilevanti.
Prendiamo un semplice esempio. Per decenni ho comprato il Grauniad con i miei soldi e l’ho letto quasi tutto. Oggi sfoglio il suo feed RSS alla ricerca di qualcosa che valga la pena leggere. Come la maggior parte dei siti di “notizie”, proietta un flusso costante di storie, sperando in qualche modo che ne trovi una abbastanza interessante da cliccarci sopra. Alle 10h00 CET, mentre scrivo, solo nelle ultime ventiquattro ore sono apparse duecento storie diverse. Mi ci vorrebbero tre o quattro ore di applicazione costante per leggerle, e un po’ di tempo per decidere se vale la pena leggerle, soprattutto perché si tratta per lo più di intrattenimento, sport (soprattutto calcio femminile) turismo, altri -ismi e “interesse umano”, mescolati a qualche sproloquio e a qualche notizia vera e propria. Tutto per attirare lettori e ottenere click e introiti pubblicitari.
Inoltre, la polemica ha sostituito sempre di più il mix di notizie e commenti che caratterizzava la carta stampata e i media radiotelevisivi, e comunque queste categorie non sono più realmente separate. Molti siti si pubblicizzano come “notizie e commenti”, anche se spesso è difficile estrarre informazioni reali da ciò che viene presentato. Ora può essere interessante leggere le opinioni di qualcuno su qualcosa, a patto che abbia una certa preparazione sull’argomento, e ciò che dice ci lascia meglio informati, anche se non si è necessariamente d’accordo con l’autore. Questo è il significato di “opinione” una volta. Al giorno d’oggi, la facilità d’ingresso nello spazio pubblico è tale che è così difficile distinguersi dagli altri, se non per il volume e la ferocia, che abbiamo assistito all’ascesa del polemista a tutto tondo, che passa senza soluzione di continuità dall’Ucraina a Gaza allo Yemen, dalla politica interna degli Stati Uniti all’economia cinese, fino a qualche questione di guerra culturale, il tutto sulla base di una rapida ricerca di mezz’ora, spesso su altri siti polemici, insieme a un certo talento nell’esprimere opinioni forti e persino violente.
Come avrete capito, questo sito non funziona in questo modo. Cerco di scrivere di ciò che conosco o di ciò che penso di poter contribuire in modo utile. Non mi piace che mi si urli contro e non lo faccio con gli altri. Ma bisogna riconoscere che gridare contro gli altri è in realtà un modello di business di grande successo. Non richiede grandi sforzi di ricerca, non richiede sofisticate capacità di costruzione e di espressione, e vi procura molti lettori che vengono sul vostro sito sapendo che voi articolerete e confermerete idee che già hanno, e quindi si sentiranno confortati e giustificati.
L’enorme quantità di dati – ancora una volta, non confondiamo i dati con le informazioni, per non parlare della conoscenza – ci sta seppellendo. Guardate la vostra casella di posta elettronica personale e vedete quanta spazzatura contiene. Anche con i sofisticati filtri antispam ne passa parecchia. Vi ricordate di esservi iscritti a quella newsletter? Cancellate con irritazione l’ennesima e-mail di marketing di un sito di giardinaggio da cui avete acquistato un annaffiatoio di scarsa qualità? Vi sfuggono cose davvero importanti nella vostra casella di posta elettronica tra la massa di fango? E che dire della vostra vita professionale: quante ore al giorno dovete passare a cercare di tenere sotto controllo le informazioni che vi arrivano, soprattutto ora che potete riceverle ovunque vi troviate? Io stesso non sono abbonato a nessun canale televisivo (non guardo quasi mai la TV), ma sento continuamente lamentele da parte di persone che devono spendere una fortuna ogni mese per una serie che gli piace, da qualche parte tra tutta la spazzatura a cui si sono inconsapevolmente abbonati.
Non doveva essere così. La deregolamentazione maniacale della televisione negli anni ’80 è stata una scelta politica deliberata, parte della privatizzazione e della finanziarizzazione della vita quotidiana. Gli eventi sportivi che prima guardavate gratuitamente sono stati presi in ostaggio e rivenduti sotto forma di abbonamento. Avrebbe potuto essere altrimenti. I sistemi di telecomunicazione sarebbero potuti rimanere monopoli governativi, responsabili nei confronti dei parlamenti e dell’opinione pubblica, piuttosto che vacche da mungere per essere vendute agli amici dei ministri. L’informatico e guru della produttività Cal Newport ha recentemente spiegato in un podcast quanto sarebbe potuta essere diversa la posta elettronica, soprattutto in ambito aziendale, se non fosse stata introdotta da Bill Gates alla Microsoft, che voleva un sistema che gli permettesse di comunicare istantaneamente con chiunque nell’azienda, e loro con lui. Il proto-internet francese, il Minitel introdotto negli anni ’80, era gratuito, sicuro e di proprietà pubblica.
Penso che dobbiamo fare qualcosa prima che tutto questo ci seppellisca e ci faccia ammalare. Non sto parlando di censura, né della “disintossicazione digitale” che alcuni sostengono, in cui ci si allontana dai social media per un po’. (In realtà, credo che si dovrebbe abbandonare del tutto i social media, a meno che non si possa dimostrare a se stessi che si ha la necessità operativa di usarli per uno scopo ben definito, ma questo è un discorso a parte). No, quello che ho in mente è un cambiamento psicologico, l’erezione di uno schermo che impedisca di raggiungere qualsiasi cosa tranne ciò che si desidera e di cui si ha bisogno. Oltre all’evidenza che troppo tempo davanti a schermi di ogni tipo ci fa ammalare, oltre al documentato effetto ormonale del cliccare ripetutamente su link di video, oltre allo stress e all’irritazione di non riuscire mai a trovare quello che si vuole, oltre alla totale schifosità dei risultati di ricerca per cui il primo risultato promettente dopo una pagina di pubblicità è vecchio di dieci anni, c’è il semplice fatto che siamo diventati schiavi di tecnologie che esistono principalmente per sfruttarci e prendere i nostri soldi. Dobbiamo riprendere il controllo.
Più facile a dirsi che a farsi, direte voi? È inevitabile, ma credo che dobbiamo iniziare a pensare in modo strutturato a come difenderci e a come utilizzare effettivamente tutti questi dati senza esserne sommersi e lasciarci deprimere. Il cambiamento che ho in mente è molto semplice: avere una domanda di default quando si ricevono informazioni, o quando si accende qualcosa che si sa che ci fornirà informazioni: ho bisogno di questo? Non intendo dire “potrebbe essere interessante?”. “potrebbe essere utile un giorno?” e tanto meno “è meglio che lo guardi perché tutti ne parlano”. Intendo dire letteralmente che non accendete la TV o la radio, non accendete il computer o non cliccate su un link a meno che non possiate convincervi che ne trarrete un qualche beneficio. Ovviamente si tratta di un modello estremamente austero e, in pratica, una volta soddisfatti questi criteri, avrete tempo e spazio per soddisfare la vostra genuina curiosità per altre cose. Così guardo video e ascolto podcast sulla storia del pensiero esoterico e sbavo su siti web dedicati a costosi articoli di cancelleria, ma questa è una scelta, non il risultato di un clic ozioso su qualcosa.
Ma come si fanno questi giudizi? Propongo due regole, una di selezione per argomento, l’altra di selezione per tipologia. La prima è più facile da capire e vi faccio un esempio. Qualche tempo fa ho deciso di non seguire gli eventi in Myanmar, se non in modo sommario. Non sono mai stato nel Paese e dubito che lo farò mai. Non conosco particolarmente bene la regione. Non ho alcuna necessità operativa di conoscere i combattimenti: Non ho intenzione di scriverne, ed è improbabile che qualcuno voglia seriamente conoscere la mia opinione sull’argomento. Così, nel mio cervello si libera spazio per altre cose. Dopo tutto, a parte la curiosità e la sensazione compiaciuta di essere “ben informato”, perché dovrei seguire gli eventi in Myanmar for? Allo stesso modo, non mi interessa molto la cosiddetta “intelligenza artificiale”. Non capisco la tecnologia se non a grandi linee e non la capirò mai. Mi interessano le ramificazioni sociali e gli effetti sul mondo accademico, quindi leggerò articoli su questo aspetto, a patto che siano scritti da qualcuno che sa di cosa sta parlando.
Il che ci porta al secondo punto. Poiché le barriere all’ingresso sono così basse, chiunque, in linea di principio, può scrivere di qualsiasi cosa. Io, per esempio, cerco di non scrivere mai di Paesi che non ho visitato o di argomenti che non conosco personalmente. Ma questo sono solo io, e Intertubes è pieno di articoli di opinione di persone che chiaramente non hanno la più pallida idea di cosa stiano realmente parlando. Quindi, quando vi imbattete in un articolo o in un video sul Myanmar che suggerisce che la guerra è il risultato di un complotto della CIA, dei russi, dei cinesi o di chiunque altro, guardate chi è l’autore. Si tratta di uno “staff writer”, di un “attivista per la pace”, di uno “scrittore di politica globale” o di qualche altra formula mortale che significa che stava cercando un argomento e ha trovato (o gli è stato dato) questo? La mia regola normale è quella di non leggere o ascoltare produzioni di questo tipo, a meno che non sia evidente che la persona in questione abbia almeno un background dettagliato e una conoscenza specialistica. Dopo tutto, vi fidereste di un articolo sui probabili movimenti dei prezzi del coltan e delle tariffe di spedizione scritto da un dentista in pensione che scrive soprattutto di musica rock e manga giapponesi?
L’altra cosa che si può fare è guardare alla natura dell‘articolo o del video, anche se l’autore in questione sembra effettivamente sapere qualcosa. Immaginate per un momento di cercare materiale su Gaza e che i primi quattro articoli che compaiono siano i seguenti:
Un articolo arrabbiato che condanna la politica israeliana a Gaza e chiede che i membri del governo di quel paese siano processati per crimini di guerra. `
Un articolo arrabbiato che difende la politica di Israele a Gaza e chiede di perseguire i critici in base alle leggi contro l’odio razziale.
Un lungo articolo in cui si sostiene che è tutta colpa degli inglesi per la Dichiarazione Balfour, dei sionisti, della CIA o dei russi, per distogliere l’attenzione dal loro “fallimento” in Ucraina.
Un articolo di uno specialista regionale sulle prospettive di un qualche tipo di negoziato di pace.
Tra tutti questi, quale leggereste? Beh, nei primi due casi sarete d’accordo o in disaccordo, e proverete un’ondata di accordo o di rabbia, nessuna delle quali è particolarmente utile. Nel terzo caso, c’è poco da guadagnare discutendo sulle “colpe” della storia. È, appunto, storia, e non fa alcuna differenza se non in discussioni che nessuno vincerà, quindi perché preoccuparsi? In ogni caso, probabilmente finirete per non essere d’accordo con l’autore, soprattutto se conoscete l’argomento. Non leggeteli e non leggete l’ultimo, a meno che l’autore non abbia un’interpretazione interessante e inedita che non avete mai visto prima.
In questo modo si libera un’enorme quantità di spazio nel cervello e si evita di stressarsi con emozioni inutili su cose che non si possono influenzare. Quindi, una volta deciso che ciò che sta accadendo a Gaza è terribile, e lo è, a quanti altri video e storie dovete sottoporvi per confermare questa opinione? Ora, se dite ad altre persone “sto molto attento a quello che guardo su Gaza, mi fa arrabbiare inutilmente”, potreste ricevere una delle due risposte. Potreste sentirvi dire “devi tenerti informato”. Ma mentre l’annuncio di un nuovo promettente piano di pace è davvero interessante e probabilmente vale la pena di leggerlo, un altro video di gazesi morti non vi dirà nulla che non sappiate già, e probabilmente vi farà solo sentire arrabbiati e impotenti. Volete sentirvi arrabbiati e indifesi? O forse la risposta è “Immagino che non ti interessi, allora?”, il che è stupido, ma è anche un’indicazione della nostra attuale convinzione narcisistica che le cose del mondo esistano solo nella misura in cui noi ci interessiamo ad esse, e per questo motivo che arrabbiarci e infelicitarci abbia in qualche modo un effetto sulla realtà. Ma cosa ci guadagniamo, in realtà, a essere infelici e scontenti per cose che non possiamo modificare e che probabilmente non riusciremo mai a influenzare?
Supponiamo quindi che non apriate un link, non guardiate un video o non accendiate la TV, a meno che non siate abbastanza sicuri di imparare qualcosa, invece di essere sgridati, emozionati o di avere la vostra attenzione venduta a un inserzionista. Questa è già una grande economia di tempo e di lavoro emotivo. Ma che dire di altre cose?
Ebbene, date un’occhiata agli abbonamenti. È molto facile iscriversi a cose che non si leggono mai, e poi c’è una successione infinita di momenti in cui si scorrono le cose o si cancellano, pensando “prima o poi dovrò disdire l’abbonamento”. Ma non lo si fa mai, e così ogni giorno è più difficile trovare il numero relativamente piccolo di cose che vale la pena leggere e per le quali si intende trovare il tempo. E naturalmente spesso ci si perde qualcosa in un flusso di spazzatura. Trovo che sia una buona disciplina esaminare tutte le e-mail istituzionali o commerciali che si ricevono e cancellarne una, solo una, al giorno, che non si legge quasi mai. Dopo una o due settimane, inizierete a notare che la vostra casella di posta elettronica (e su questo torneremo) inizia a ridursi, a patto che cancelliate regolarmente le e-mail (e anche su questo torneremo). Ciò aumenta il rapporto segnale/rumore e rende la somma totale delle informazioni che ricevete più preziosa, in media, di quanto non lo sarebbe altrimenti. Inoltre, può dare un senso di controllo che prima mancava e togliere un peso psicologico. È difficile opporsi a tutto ciò.
Sì, è vero che potreste perdervi qualcosa di utile, sì, è possibile che la newsletter che avete irritabilmente cancellato negli ultimi mesi acquisisca finalmente un buon autore o qualcuno con opinioni divertenti. Ma il senso di questo approccio è che si leggono le cose solo per eccezione. Continuare a sottoscrivere un abbonamento sulla base del fatto che “potrebbe saltar fuori qualcosa” è una perdita di tempo.
C’è un’intera sezione dell’industria della produttività dedicata al concetto di “casella di posta zero”, ma non preoccupatevi, non mi occuperò di questo. Mi limiterò a constatare che ho visto molte persone in preda al panico, all’impotenza e alla depressione per una casella di posta elettronica con duemila messaggi, tre quarti dei quali non letti e centinaia dei quali non hanno idea del motivo per cui li hanno ricevuti. Questo provoca stress e infelicità ed è una ricetta sicura per perdere cose importanti. Non sono certo un guru in questo campo, ma per quello che vale, ecco alcuni trucchi che ho adottato nel corso di decenni di utilizzo del computer e che trovo tendano a rendermi meno irritabile e ad aumentare notevolmente il rapporto segnale/rumore.
Innanzitutto, che cosa volete nella vostra casella di posta? In sostanza, volete cose per le quali farete sicuramente qualcosa, alle quali risponderete di solito, che tratterete o che leggerete all’istante. Le cose che leggerete “quando avrete un minuto”, le newsletter che sfoglierete a volte e la pubblicità di prodotti che non comprerete mai appartengono a un’altra categoria. Bene, direte voi, ma come ci si arriva? La risposta è: regole, di cui ho scritto la settimana scorsa, ma regole automatiche, che non richiedono alcun intervento da parte vostra. Per farlo, avete bisogno di un programma di posta elettronica decente con un potente componente di regole: Io uso Postbox per Mac da moltissimi anni, soprattutto per questo motivo. Inizio con diversi account per scopi diversi. Uno è il mio account Gmail “serio” per i contatti personali e professionali. Uno è il mio account Apple, che si limita per lo più alle notizie e ai contatti con loro. Poi ne ho altri tre o quattro, tra cui uno per l’acquisto di materiale e l’iscrizione a newsletter, e uno per la gestione di questa newsletter, oltre a uno accademico. Questo impone immediatamente un effetto di smistamento, poiché so che non devo guardare nessuno degli account subordinati più di una volta al giorno.
Per tutti questi account ho poi dei filtri. Il risultato è che, per il mio account Gmail, solo una manciata di e-mail arriva effettivamente nella mia casella di posta ogni giorno. Il resto viene automaticamente spostato altrove prima che io lo veda, e se ho più di dieci e-mail nella mia casella di posta, significa che ci sono nuovi mittenti per i quali non ho ancora elaborato una regola, oppure un’improvvisa ondata di e-mail importanti. Tutto ciò che ho trattato viene archiviato nella cartella appropriata e tutto ciò di cui mi occuperò in seguito viene copiato in Omnifocus, dove viene assegnato a un giorno. Solo le cose che non posso fare o pianificare immediatamente rimangono nella Posta in arrivo. Può sembrare estremo, ma la sensazione di avere il controllo, di aver deciso da soli cosa guardare e cosa no, vale le poche ore necessarie per creare e mantenere le Regole.
Ma questa è solo la metà. Avete migliaia di e-mail in attesa di essere lette? Ho impostato delle regole che si applicano alle singole cartelle di lettura. Dopo un determinato periodo di tempo, i documenti che non ho salvato, le richieste di soddisfazione a cui non risponderò mai, i dettagli di viaggi in treno o in aereo che ho già fatto, i dettagli delle prenotazioni di hotel o ristoranti passati, le offerte speciali ormai scadute, scompaiono tutti, che siano stati letti o meno. Forse sparisce anche del materiale utile, ma la mia opinione è che se non l’ho letto dopo un periodo compreso tra sette e trenta giorni, non lo leggerò. Meglio sbarazzarsene. Non da ultimo, i vantaggi di questo tipo di approccio sono che si vede cosa è importante e cosa no, e cosa è effettivamente necessario fare, invece di quello che qualcun altro vuole che si faccia.
Naturalmente, nulla di tutto ciò impedirà alle persone di cliccare su link casuali o video che si riproducono automaticamente uno dopo l’altro. Ma provate, a titolo di esperimento, a pensare che forse il diluvio di informazioni a cui siamo sottoposti in questi giorni potrebbe essere un vantaggio piuttosto che una sfida, a patto che, e solo a patto che, ve ne facciate carico. Dopo tutto, qualcuno avrà il controllo della vostra vita informativa, e potreste essere voi.
E ora, se volete scusarmi, vado a svuotare alcune cartelle e a cancellarmi da un paio di newsletter.
ll sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure PayPal.Me/italiaeilmondo Su PayPal, ma anche con il bonifico su PostePay, è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (pay pal prende una commissione di 0,52 centesimi)
1.0 L’esito – scontato – delle elezioni presidenziali in Russia, con un plebiscito a favore di Putin ha suscitato, in Occidente, una copiosa contestazione della legittimità delle stessa (e quindi dell’esito).
A parte il fatto che, indubbiamente, le condizioni in cui si sono svolte e, ancor di più, la storia della Russia – così diversa da quella dell’Europa occidentale – fanno sì che pretendere lì le stesse garanzie normali da noi è come sparare sulla croce rossa. Altro sono le elezioni in Stati che da secoli si sono evoluti in democrazie liberali altro quello di un popolo che, a parte qualche mese nel 1917 (!)fino al 1989 è passato da autocrazia al totalitarismo. Insomma il Cremlino e S. Basilio possono essere belli, ma sicuramente non profumavano di democrazia e libertà come Downing Street.
Tuttavia l’occasione è provvida per tornare sul concetto di legittimità, di cui, specie da noi, si fa, a parte questa occasione un uso parsimonioso e, nemmeno a dirlo, parziale.
La legittimità è definita (trascriviamo il tutto dal Dizionario di politica di Bobbio-Matteucci-Pasquino) consistere “nella presenza in una parte rilevante della popolazione un grado di consenso tale da assicurare l’obbedienza senza che sia necessario, se non in casi marginali, il ricorso della forza” tuttavia “il processo di legittimazione non ha come punto di riferimento lo Stato nel suo complesso, ma i suoi diversi aspetti; la comunità politica, il regime, il governo… Pertanto la legittimazione dello Stato è il risultato di una serie di elementi disposti a livelli crescenti, ciascuno dei quali concorre in modo relativamente indipendente a determinarla”. Riguardo al potere costituito si possono individuare “due tipi fondamentali di comportamento. Se determinati individui o gruppi percepiscono il fondamento e i fini del potere come compatibili o in armonia con il proprio sistema di credenze e operano per la conservazione degli aspetti di fondo della vita politica, il loro comportamento si potrà definire come legittimazione. Se, invece, lo Stato viene percepito nella sua struttura e nei suoi fini come contraddittorio con il proprio sistema di credenze e questo giudizio negativo si traduce in un’azione” allora non c’è legittimazione. Ora Weber individuava tre tipi di legittimità: tradizionale, razionale-legale, carismatica. In genere strumenti istituzionali di verifica della compatibilità dei governanti, con il common sense dei governati si trovano soltanto in un tipo di Stato: quello democratico, soprattutto attraverso le elezioni (a larga base elettorale). Il che non vuol dire che non votandosi in altri tipi di Stato questi non siano legittimi.
Pellicani scrive che “La legittimità è lo specifico attributo che hanno gli Stati che godono di un diffuso consenso da parte dei governati. Essa non va confusa con la legalità, Questa si riferisce al modus operandi del potere sovrano, mentre la legittimità riguarda la titolarità dello stesso. È legittimo il potere che l’opinione pubblica percepisce come l’istituzione che ha il diritto di governare” onde “naturalmente, il principio di legittimità varia da civiltà a civiltà, società e società e da epoca a epoca. Ma la sua funzione è sempre la stessa: quella di conferire a un soggetto (individuale o collettivo) il diritto di comandare e di dare all’obbedienza dei governati una base morale”.
Onde anche se non legittimati elettoralmente, come ad esempio i monarchi negli Stati dell’età moderna (come anche di quella feudale), erano legittimi perché i sudditi credevano che avessero il diritto di comandare. Fino al punto di prendere le armi per difenderne il trono come nell’insurrezione vandeana e nelle guerre partigiane (ossia di popolo) in Italia e in Spagna.
Nel caso di Putin quindi, e premettendo che le elezioni, tenuto conto della situazione interna, hanno comunque dato una legittimazione positiva a Putin
vediamo perché.
Dicono i sondaggi che il Presidente russo goda di un’ampia popolarità, non lontana dalla percentuale di voti favorevoli riscossi. Non sappiamo se fidarcene: comunque bisogna registrarla e cercare in altre, possibili cause il consenso che Putin avrebbe.
In primo luogo se è vero che il concetto più condiviso di legittimità è quello della “coincidenza di valori” o meglio dell’idem sentire de re publica tra governati e governanti è noto che ce n’è anche un altro, dovuto ad Hobbes, cioè della concreta ed effettiva prestazione della protezione da parte dei governanti a fronte dell’obbedienza richiesta ai governati che esponiamo trascrivendola dal Dizionario di politica citato “Quando il potere è stabile ed è in grado di assolvere in modo progressista o conservatore alle proprie funzioni essenziali (difesa, sviluppo economico ecc.), esso fa valere contemporaneamente la giustificazione della propria esistenza, facendo appello a determinate esigenze latenti nelle masse, e con la potenza della propria positività si crea il consenso necessario”. Orbene Putin ha conseguito indubbi risultati positivi nel suo più che ventennale governo della Russia. Emerge dai dati internazionali che il PIL individuale è cresciuto di circa 4 volte (tanto per fare un confronto in Italia la crescita è stata, nello stesso periodo, di pochi punti percentuali).
Quanto alla difesa non ha esitato a difendere lo Stato sia contro le forze secessioniste (v. conflitto ceceno) sia contro le intromissioni internazionali (Georgia ed Ucraina).
Se poi si condivide idea di un pensatore come Bonald secondo il quale la Costituzione è (in primo luogo) il modo di esistenza di un popolo, Putin, sia con le opere che con i discorsi, ha dimostrato di voler proteggere il mondo d’esistenza russo, e ancor più di non volerlo fotocopiare da quello americano-occidentale.
In sostanza la legittimità di Putin può essere contestata ma prendendo come elementi qualificanti l’accettazione da parte dei governati e la conformità allo spirito e agli interessi nazionali.
2.0 Diversamente gli osservatori occidentali delegittimano Putin sulla base di presupposti e valutazioni ideologiche e soprattutto non riferentesi alla legittimità come rapporto tra capo e seguito, lubrificante del potere e del presupposto del comando/obbedienza. Vediamo come.
Sui soggetti. A giudicare se un potere sia legittimo o meno sono coloro che gli sono soggetti. Cioè i russi e non politici e giornalisti occidentali. Che un potere sia legittimo o meno è un giudizio su fatti: il consenso, la pace, l’ordine. Potrà pure essere un colossale errore condiviso, ma resta il fatto che se i sudditi sono convinti del diritto dei governanti a governare il potere è legittimo. Il fatto che non lo pensino gli stranieri non ha significato e conseguenze di rilievo.
Sui parametri. Anche qui mentre i parametri con cui gli esterni giudicano il potere di Putin sono procedurali e valoriali (e soprattutto non sono – o solo in parte – quelli dei russi); quelli dei russi sono assai più ampi e soprattutto più concreti: a cominciare dall’incremento del benessere economico e della salvaguardia delle specificità nazionali. I diritti LGBTQIA+ e l’attuazione delgreen deal non sembra che siano in cima alle aspirazioni ed ai giudizi dei russi. Probabilmente una maggiore libertà lo sarebbe: ma tenuto conto che ne hanno sempre avuta poco, quel di più che i governi post-comunisti hanno loro assicurato non appare disprezzabile.
Infine è curioso che a giudicare della legittimità di un governo siano coloro che, con quello, sono in uno stato di ostilità manifesta. A parte il resto, è chiaro che contestare, fino a demolire la legittimità del nemico è una risorsa importante – e spesso decisiva – della guerrapsicologica. Perché indebolisce il nemico; e quindi è poco credibile sia come giudizio sine ira et studio che come strumento di pace.
3.0 C’è una terza considerazione da fare: politici e giornalisti omettono di considerare che se Putin deve fare ancora molta strada per essere considerato un ineccepibile liberaldemocratico, anche ad ovest della Vistola ci sono stati e governanti che dovrebbero “rifare gli esami”; e non ci riferiamo al solito Orban. Ma soprattutto all’Italia. Specialmente alla c.d. “seconda repubblica”. Se è vero che Putin è poco liberale, è altrettanto vero che in Italia abbiamo avuto: a) governanti mai eletti dal popolo, non solo in elezioni per la carica di governo ma in nessuna elezione, neppure nell’assemblea di condominio (Monti e Draghi). Per cui è impossibile verificare elettoralmente il consenso che avevano (per Draghi) e verificarne solo a posteriori (per Monti) accertando che godeva di percentuali da prefisso telefonico (v. elezioni europee del 2014 il risultato delle liste “montiane”); b) che tutti i Presidenti del Consiglio dal 2011 sono stati nominati malgrado non designati elettoralmente ma altrove. La prima a infrangere questa costante è proprio la Meloni, che ha rammendato (per noi) lo strappo tra democrazia parlata e oligarchia praticata; c) per essi come per il Presidente della Repubblica a decidere è il Parlamento. Pertanto se Putin ha riportato un consenso plebiscitario, anche se contraffatto, in genere i governanti italiani né sono stati nominati dal popolo, né al popolo piacevano un granché. E questo senza voler approfondire circostanze che, forse, hanno alterato i risultati elettorali in maniera decisiva (v. politiche 2006 con la maggioranza risicata dei voti al centrodestra in una Camera e nell’altra al centrosinistra) e che è superfluo ricordare. In particolare quelli che conseguono al controllo dei principali strumenti di informazione. Per cui se Putin lascia, come liberaldemocratico, a desiderare, certi governanti nostrani non sono certo un esempio di virtù. Anche nel senso di Machiavelli.
Teodoro Klitsche de la Grange
ll sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure PayPal.Me/italiaeilmondo Su PayPal, ma anche con il bonifico su PostePay, è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (pay pal prende una commissione di 0,52 centesimi)
Dopo il discorso del Papa sulla “bandiera bianca” (ossia sull’esigenza di negoziati) c’è stata una copiosa produzione di articoli, asserenti in sostanza che, essendo Putin un aggressore era doveroso, lecito e necessario che fosse sconfitto e punito.
Cui è facile rispondere che siccome lo zar non è convinto di ciò, tutto questo argomentare si scontra con l’unica condizione indispensabile alla cessazione della guerra, la volontà di ambo le parti di fare la pace, e così anche di Putin. Ma se dalle critiche da salotto si va a valutare l’esortazione del Papa alla luce della teologia cristiana – che tanta parte ha avuto nel diritto internazionale – si nota che i presupposti di quanto sostenuto dal pontefice vi sono tutti.
Andiamo a leggere Francisco Suarez oltre che teologo anche gesuita. Scrive che la “guerra di difesa non solo è sempre lecita ma talvolta anche prescritta” e peraltro anche quella d’aggressione non è il male in sé “ma può essere lecita e necessaria” se ne ricorrono le condizioni individuate dai teologi: che la guerra sia dichiarata dal potere legittimo, che vi sia una justa causa e un corretto modo di condurla.
Anche De Vitoria riteneva legittima in ogni caso la guerra difensiva, anche da parte di privati (aggrediti). Ogni comunità politica (cioè una e totale) può comunque dichiarare e condurre la guerra. Anche la guerra d’aggressione può essere giusta ove rivolta a tutelare un (proprio) diritto offeso.
Ma se anche la guerra di aggressione può essere giusta e quella difensiva lo è sempre, al riguardo i teologi-giuristi scolastici si ponevano il problema conseguente che, in tal caso, poteva succedere che i belligeranti vantassero entrambi di combattere per una justa causa.
Deriva da ciò che se si desidera che la guerra cessi non è realistico condizionare il risultato al ripristino del diritto leso dal “crimine d’aggressione”, come è stato declinato in tutte le forme dalle anime belle (???), ma raggiungere un accordo che possa tener conto delle posizioni (e situazioni) delle parti belligeranti, anche se non coincidenti – anzi quasi mai lo sono – con l’ordine precedente. Quasi tutte le guerre si concludono con trattati: le poche non concluse così sono le peggiori. Perché o chiuse con un diktat non negoziato ma imposto dal vincitore ovvero quando il nemico è politicamente distrutto (v. la Germania nel 1945, il Regno delle due Sicilie nel 1861 ecc. ecc.) onde non c’è un nemico con cui trattare, che rappresenti la comunità vinta.
Perché quello che si dimentica e che invece la Chiesa non ha obliato è che il nemico non è soltanto colui che ci fa (o cui facciamo) guerra, ma anche il soggetto con cui si può – e normalmente si conclude – la pace. Non è solo il perturbatore dell’ordine – come nella narrazione degli Sceriffi globali – ma quello con cui si costruisce un ordine nuovo.
Teodoro Klitsche de la Grange
ll sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure PayPal.Me/italiaeilmondo Su PayPal, ma anche con il bonifico su PostePay, è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (pay pal prende una commissione di 0,52 centesimi)
Sono stato felice di essere invitato a comparire nel podcast Coffee and a Mike la scorsa settimana, condotto da Michael Farris. Abbiamo discusso principalmente delle questioni sollevate nei miei ultimi saggi, inclusa la perdita di speranza e disperazione, e di cosa potremmo fare. Se davvero non hai niente di meglio da fare con il tuo tempo, puoi trovare il podcast qui:
Questi saggi saranno sempre gratuiti, ma puoi sostenere il mio lavoro mettendo mi piace e commentando, e soprattutto trasmettendo i saggi ad altri e i link ad altri siti che frequenti. Ho anche creato una pagina Comprami un caffè, che puoi trovare qui .
E grazie ancora a chi continua a fornire traduzioni. Le versioni in spagnolo sono disponibili qui , e alcune versioni italiane dei miei saggi sono disponibili qui. Marco Zeloni sta pubblicando anche alcune traduzioni in italiano e ha creato un sito web dedicato qui. Ora, dov’eravamo rimasti?
Una volta ero seduto con un gruppo di ufficiali militari ad ascoltare una conferenza sullo sbarco a Gallipoli nel 1915, preludio a uno dei più grandi disastri militari britannici della Prima Guerra Mondiale. Il conferenziere fece circolare copie degli ordini operativi impartiti ai comandanti delle Brigate per gli sbarchi, ed erano davvero molto esaurienti. Ogni brigata aveva un obiettivo, ma c’erano anche una serie di requisiti dettagliati: quante munizioni doveva portare ogni uomo, cosa doveva essere preso per gli animali da soma, distribuzione delle razioni e così via. Cosa mancava?, chiese il docente.
Era abbastanza ovvio a pensarci, ma ci sono voluti alcuni secondi perché il centesimo cadesse, e poi uno degli ufficiali militari ha detto: “qual era lo scopo dell’operazione?” E infatti era quello che mancava. In tutta questa massa di dettagli, nessuno aveva pensato di dire ai comandanti quali fossero gli obiettivi più importanti dell’operazione , motivo per cui l’unica Brigata che ha effettivamente raggiunto il suo obiettivo è poi tornata sulle navi, perché non avevano ordini su cosa fare. fai dopo. Ma ogni uomo aveva la giusta quantità di munizioni.
È facile criticare la leadership militare britannica durante la Prima Guerra Mondiale, ed esiste tutta una serie di stereotipi della cultura popolare sui generali stupidi, alcuni dei quali sono in realtà giustificati. Ma qui abbiamo a che fare con un problema sistemico, che fa seguito alla mia discussione sugli scopi delle organizzazioni un paio di settimane fa, e in effetti è rilevante per la mia argomentazione della settimana scorsa sull’incapacità dell’Occidente di distinguere tra diversi livelli di conflitto. Voglio approfondire questi punti in questa sede e sostenere che la nostra società moderna prolifera sempre più regole e leggi perché i responsabili hanno abbandonato qualsiasi concetto di scopi più elevati e a lungo termine e sono in ogni caso intellettualmente e personalmente incapaci di concettualizzare e perseguirli. I rituali e le formalità inutili che costituiscono gran parte della vita moderna, e le banalità in cui si sono ridotti i discorsi politici e intellettuali, sono sintomi del bisogno di apparire attivi pur non essendo in grado di fare nulla di importante, e di sostituire i concetti tradizionali di comune interesse. senso e consuetudine con il tipo di regole ossessivamente dettagliate a cui il liberalismo è così affezionato e che forniscono posti di lavoro ben pagati per la casta professionale e manageriale (la PMC).
Se torniamo all’esempio di Gallipoli per secondo, era ovvio che l’obiettivo – eliminare la Turchia dalla guerra e aprire un secondo fronte nei Balcani – era sensato, e gli storici oggi criticano molto più l’esecuzione che non la il concetto stesso. C’è qui un interessante punto di sociologia militare: l’esercito britannico prima del 1914 aveva avuto più di cinquant’anni di guerre coloniali con azioni di piccole unità, in cui gli ufficiali junior dovevano decidere cosa fare da soli. Ciò rese l’esercito del 1914 molto bravo a livello tattico. Ma per lo stesso motivo i suoi ufficiali erano completamente non abituati a pensare in termini di operazioni su larga scala con obiettivi strategici, quindi ripiegarono su quello che sapevano. L’esercito tedesco, per certi versi il più sviluppato, aveva comandanti abituati a comandare unità molto grandi, e a pianificarne ed esercitarne l’impiego per obiettivi strategici di alto livello. Il loro esercito operava in base al principio secondo cui ai subordinati veniva concessa una grande libertà verso obiettivi definiti e, poiché erano stati tutti addestrati allo stesso modo, tendevano ad agire in modo coerente senza la necessità di ordini dettagliati.
Non è difficile, credo, vedere come esista oggi questo tipo di dicotomia nelle organizzazioni. Come ho detto prima (discutendo della corruzione , per esempio) il liberalismo diffida di qualsiasi forma di tradizione o sistema etico informale, e non ne ha alcuno proprio, e quindi cerca di soddisfare la necessità con regole dettagliate. Queste regole non possono soddisfare ogni situazione, quindi è necessario aggiungerne di nuove, e queste nuove regole creano conflitti con quelle vecchie, che devono essere affrontate da regole ancora più nuove, e così via in una spirale di complessità sempre crescente, che alla fine ha essere risolti da specialisti altamente qualificati e ben pagati. Ciò è inevitabile una volta che si adotta l’idea che le persone comuni sono intrinsecamente incapaci di risolvere i problemi da sole e che quindi necessitano di una guida formale ed esplicita, e persino di una direzione, su tutto. Anche se a volte nella vita di tutti i giorni può essere utile una vera guida esperta, negli ultimi anni essa ha preso completamente il sopravvento sulle funzioni fondamentali della vita e della società occidentale, senza aggiungere nulla ai risultati.
Il tema delle regole e della burocrazia è stato recentemente esplorato da altri, in particolare da David Graeber, ma qui voglio adottare una prospettiva un po’ più ampia. La mia tesi, in breve, è che nel suo entusiasmo per la modernizzazione e la razionalità, il liberalismo ha creato un vuoto concettuale là dove un tempo c’erano regole informali e presupposti comuni. Questo deve essere riempito con sempre più regole, ma le regole non potranno mai sostituire le convenzioni stabilite e non fornire indicazioni su come comportarsi quando si verificano eventi imprevisti. Le organizzazioni, e anche la società nel suo insieme, diventano così meno capaci, poiché sono sempre più in grado solo di seguire le regole, e sono sempre meno capaci di affrontare problemi che in passato sarebbero stati pragmaticamente gestibili. Si sviluppa a sua volta la convinzione che la soluzione a qualsiasi problema sia una maggiore precisione e dettagli nelle regole, il che, ovviamente, non è certo il modo per gestire una crisi politica. Un ottimo esempio di ciò è il ricorso alle sanzioni contro la Russia dal 2022: poiché la gravità della situazione supera la capacità dei leader occidentali di affrontarla, si rifugiano in qualcosa che conoscono, anche se le sanzioni vengono riconosciute inutili e addirittura controproducente. E naturalmente tutto lo sforzo necessario per stilare elenchi infiniti di sanzioni viene reindirizzato verso altri obiettivi più utili e rafforza il ruolo degli esperti tecnici a scapito di coloro che capiscono la politica. Questo è il motivo per cui l’Occidente non ha imparato nulla durante la crisi con la Russia, anzi ha dimenticato parte del poco che sapeva.
Ora, prima di andare oltre, vi offrirò qualcosa che potrebbe sorprendervi: una difesa della burocrazia e delle regole. Weber, nonostante scrivesse come al solito sui Tipi Ideali, ha correttamente identificato alcuni dei loro principali vantaggi, che hanno essenzialmente a che fare con l’equità e la prevedibilità. Se hai bisogno di un visto per viaggiare all’estero, e se ne otterrai uno o meno dipende da come si sentirà il funzionario consolare quel giorno, se l’ispettore fiscale che valuta la tua dichiarazione dei redditi applica i suoi personali standard di analisi, che potrebbero essere diversi da il loro collega alla scrivania accanto, allora avresti un reclamo legittimo. In questo senso, le regole non sono altro che la messa per iscritto di una visione comune su come dovrebbero essere fatte le cose. Per questo motivo, le organizzazioni lasciate a se stesse tendono ad avere il minor numero di regole effettive compatibili con il loro corretto funzionamento. Quando sono entrato nel servizio pubblico britannico, c’erano davvero poche “regole”, nel senso popolare del termine, e il sistema retributivo, ad esempio, era molto semplice e completamente trasparente. Quando me ne andai, le regole erano proliferate ovunque al punto da intralciare il lavoro vero e proprio, e il sistema retributivo era diventato così complesso che nessuno lo capiva veramente, e le sue bizzarre conseguenze erano ampiamente risentite. Ciò che è accaduto, ovviamente, è stata l’invasione e l’occupazione del settore pubblico da parte di coloro che vendevano regole e procedure del settore privato.
Quindi la distinzione fondamentale è tra regole che stabiliscono in termini semplici come un’organizzazione lavorerà per raggiungere il suo obiettivo, e regole che cercano di dettare come verrà svolto il lavoro, indipendentemente da quale sia il lavoro o quale sia lo scopo. Poiché i sostenitori del secondo tipo di regole tendono a provenire dall’esterno e sono in cerca di denaro, potere o entrambi, dopo un po’ le regole che sono interamente determinate dal processo finiscono per predominare, e l’organizzazione è così impegnata a rincorrersi che dimentica a cosa serve realmente. Un’organizzazione che chiede “abbiamo spuntato tutte le caselle?” e non “stiamo facendo la cosa giusta?” è un’organizzazione in difficoltà. Inoltre, inizia a svilupparsi il pensiero insidioso che, poiché si selezionano tutte le caselle, l’organizzazione deve funzionare bene. Eppure, in realtà, puoi spuntare tutte le caselle in uno di questi schemi alla moda come Investire nelle persone (che scopro con mia sorpresa è ancora in corso) e avere comunque uno staff infelice e risentito in un’organizzazione non funzionale.
Non sono sicuro se ora sia meglio o peggio, ma c’è stato un tempo in cui i dirigenti senior riunivano le persone e facevano domande del tipo “perché siamo tutti qui?” o “qual è la missione di questa organizzazione?” Alla quale l’unica risposta onesta, ovviamente, è stata: se non lo sai, perché fai il tuo lavoro? Ma la convinzione che le organizzazioni dovessero avere una serie di obiettivi ben definiti, diffusi a tutti i livelli, fu rapidamente adottata in tutto il mondo occidentale e lasciò dietro di sé una scia di caos. Si è trattato di un tipico esempio dell’impulso liberale a prendere cose fondamentalmente semplici e a trasformarle in processi altamente complessi che richiedono tempo, impegno e denaro, nonché l’assunzione, ovviamente, di membri del PMC, la cui unica vera abilità sta nel spuntare le caselle e nel convincere gli altri a spuntarle, e che sono incapaci di contribuire agli obiettivi reali dell’organizzazione. E questi obiettivi sono spesso semplici, o almeno semplici da esprimere. Il risultato, ovviamente, è una quantità di lavoro inutile e controproducente, se “lavoro” è davvero la parola giusta. Mi è stata raccontata la storia di un dipartimento di un ministero del governo britannico, in gran parte interessato a negoziati di diverso tipo, a cui è stato detto che doveva fornire ai suoi dirigenti una sorta di obiettivi quantificabili per l’anno. Invano, a quanto pare, hanno sottolineato che le negoziazioni sono un’attività collettiva che, per definizione, dipende dal partner o dai partner, e non qualcosa in cui il successo può essere quantificato. Alla fine, in preda alla disperazione, qualcuno ha avuto l’idea di ridurre il numero delle violazioni della sicurezza, quando documenti riservati venivano lasciati per errore sulle scrivanie, e l’idea è stata accettata. Non so come andò a finire il resto della storia, ma potete immaginare l’inutile spreco di risorse che ciò comportò.
La realtà è che la maggior parte delle norme dettagliate non sono necessarie, a meno che non riguardino, ad esempio, disposizioni legali, questioni fiscali complesse o questioni fortemente dipendenti dalla personalità. Ma anche al di là dei dettagli, ci sono spesso regole generali tratte dall’esperienza e dal buon senso che le persone comprendono e generalmente si attengono. Ad esempio, se lavori nel governo nazionale o locale e tratti direttamente con il pubblico, verresti tradizionalmente socializzato nella comprensione che dovresti cercare di essere educato e paziente nel tuo lavoro. Ma questo non è abbastanza, e non ci sono soldi né posti di lavoro per tipi di PMC non specializzati. Quindi otterrai qualcosa di simile al seguente
“(L’Organizzazione X) ha tolleranza zero per comportamenti scortesi o incivili da parte del personale. Non saranno tollerati comportamenti discriminatori o che incitano all’odio contro i clienti a causa del sesso, del colore, dell’etnia, della religione, dell’orientamento sessuale o del grado di abilità. Tutti i clienti dovrebbero essere trattati allo stesso modo, con particolare attenzione alle donne, ai bambini, agli anziani, alle persone diversamente abili, alle minoranze sessuali, ai gruppi razziali e religiosi minoritari e ad altre popolazioni emarginate e vulnerabili”.
Tutto è iniziato come un tentativo di parodia, ma forse non lo è. Il fatto è che una volta che si intraprende quella strada, si trasforma quello che dovrebbe essere un semplice principio guida in un incubo burocratico, di cui non avvantaggiano nemmeno i “clienti”. È anche un sostituto di una gestione sensata, e uno degli sporchi segreti delle PMC è che in realtà sono pessime nella gestione, perché la gestione nel senso tradizionale è qualcosa che impari dall’esperienza e dall’emulazione, non da un corso MBA. Ancora una volta, l’incapacità di svolgere effettivamente il lavoro è nascosta da una nuvola di spazzatura senza senso.
Questo è solo un esempio di alcuni dei problemi reali della gestione del personale e della leadership che, nel senso tradizionale del termine, significa far sì che le persone lavorino insieme felicemente ed efficacemente per un obiettivo comune. Questo in realtà è piuttosto difficile da fare, e in generale non viene fatto affatto oggigiorno, perché richiede esperienza, empatia, pazienza e altre cose che non vengono insegnate nei corsi MBA. Quanto è più facile trattare gli esseri umani come “risorse”, come il denaro, i mobili e le attrezzature informatiche. Un tempo, per qualsiasi organizzazione, reclutare, identificare e promuovere le persone giuste, per poi inserirle nei posti di lavoro giusti, era una delle principali preoccupazioni. Non è adesso, perché è troppo difficile e gli MBA non ne vedono comunque la necessità. Valutare le persone, vedere cosa possono fare e di cosa potrebbero essere capaci, assicurandosi che abbiano la giusta esperienza e formazione, è complicato. Quanto è più facile, e quanto più potente ti rende, dettare semplicemente che le posizioni saranno occupate in modi particolari. Quindi un dirigente senior, che non potrebbe guidare un gruppo di boy scout, domina comunque il processo di reclutamento e promozione, secondo quote razziali o di altro tipo. È facile, perché è solo una questione di numeri: ne abbiamo abbastanza di questo o quel gruppo? Il risultato è che, qualunque cosa si pensi delle iniziative a favore della diversità, significa che la gestione delle organizzazioni è progressivamente passata nelle mani di dilettanti, che non sanno gestire, ma sanno almeno contare fino a dieci.
E questo è vero più in generale. Si potrebbe pensare che obiettivi e valutazioni dettagliati migliorerebbero la gestione, ma in realtà è vero il contrario. Perché? Ebbene, a parte l’ovvio costo in termini di tempo e fatica, è quasi impossibile trovare obiettivi quantificabili che abbiano effettivamente un significato. Prendiamo ad esempio le sperimentazioni mediche. Ci si aspetterebbe che obiettivi dettagliati fossero fissati da esperti profondi, desiderosi di assicurarsi che tutto fosse gestito in modo efficace. Ma no, è molto più probabile che ciò che verrà valutato sarà il numero di studi condotti, il numero di dosi somministrate, se le relazioni provvisorie sono state presentate in tempo, se sono state prodotte le giuste dichiarazioni di impatto, se sono state effettuate le giuste valutazioni di sicurezza, e se il budget è stato rispettato. Tutto, insomma, tranne ciò che era importante. Tali procedure danno ai dilettanti il controllo sul lavoro degli esperti e rovinano le organizzazioni perché le rendono ossessionate dalla procedura. Niente è più mortale, secondo i medici con cui ho parlato, dei “Protocolli”. Prendi questa medicina così tante volte al giorno per questo numero di giorni, e fai questo trattamento ogni mese per tre anni, perché è quello che dice il libro. Non importa chi sei, conta solo il Protocollo, perché se questo è stato seguito i medici non possono essere ritenuti responsabili se qualcosa va storto. E se non è nel Protocollo, non puoi farlo, anche se ha senso.
Consideriamo la gestione del Covid, in tutta la sua complessità. È generalmente accettato che il Covid fosse un problema troppo grande da gestire per i governi occidentali nel loro stato indebolito e infestato dalle PMC. In preda al panico, si sono messi alla ricerca non necessariamente della soluzione migliore, ma di quella più semplice. Dopo averlo ignorato e poi minimizzato, è subentrata la paura e si sono guardati intorno disperatamente alla ricerca di misure che fossero facili da quantificare e tenere traccia, anche se non erano molto efficaci. I vaccini erano la risposta, perché in realtà non erano necessarie conoscenze avanzate di sanità pubblica (che il PMC in generale non possiede) per introdurli. E quindi la “gestione” della crisi è stata caratterizzata da campagne di pubbliche relazioni, raccolta di statistiche, diffamazione dei critici e vanto del numero di colpi somministrati: tutte abilità che il PMC possiede, o ama pensare di possedere.
Se l’approccio del PMC alla gestione di una tale crisi ignora il buon senso (affrontare le malattie infettive trasmesse attraverso l’aria impedendo in primo luogo alle persone di respirarle), non solo scredita i governi occidentali agli occhi dei cittadini, ma scredita anche la salute pubblica. più in generale: così, ad esempio, il ritorno del morbillo. Ma il problema più ampio è che l’agenda liberale del PCM si fissa sulla gestione razionale delle cose che pensa di comprendere, piuttosto che sull’applicazione del buon senso e dell’esperienza. La salute (e, significativamente, non la “medicina”) è un’area in cui esiste un’enorme quantità di dati provenienti da centinaia o migliaia di anni di osservazione di n = un numero gigantesco. Se la stessa pianta viene apprezzata per le stesse qualità salutari o medicinali in diverse civiltà diverse e non collegate tra loro, allora potrebbe esserci qualcosa che vale la pena indagare. Se questa o quella tecnica o terapia viene consigliata da persone che conosci e di cui ti fidi, allora potresti anche provarla. Se i medici cinesi fossero formati allo stesso modo da migliaia di anni, se diagnosticassero i problemi secondo metodi analitici comuni e se i loro rimedi fossero aneddoticamente efficaci almeno quanto la medicina occidentale, allora varrebbe la pena tenerne conto. Essendo un completo laico, ho pensato che quando i medici parlavano di medicina basata sulle “evidenze”, questo era il tipo di prove che intendevano. Ma a quanto pare no: ciò che intendono sono principalmente Random Controlled Trials, e nient’altro, come chiarisce questo utilissimo articolo tratto dall’indispensabile sito Naked Capitalism . Il problema è che molte misure di sanità pubblica non sono suscettibili a questo tipo di approccio, e in ogni caso molti dei risultati vengono interpretati e applicati con entusiasmo da PMCer con, nella migliore delle ipotesi, una conoscenza limitata delle statistiche. Conosci la battuta sul perché non dovresti portare il paracadute su un aereo leggero? Non sono stati condotti studi controllati casuali per scoprire se sono efficaci.
Ciò che questi esempi hanno in comune è un disgusto patrizio, accreditato, per le esperienze della gente comune, per il valore della saggezza e della tradizione, e in effetti per l’importanza del puro buon senso. Gran parte della vita professionale della PMC consiste nel giocare con i numeri, senza necessariamente capire come farlo correttamente, tanto meno a cosa si applicano effettivamente i numeri o quali sono le conseguenze del loro utilizzo. Ciò ha trasformato la gestione delle istituzioni (e della società, come vedremo tra poco) in una semplice misurazione e applicazione di obiettivi e regole spesso arbitrari, estranei alla vita reale.
Tutto ciò è reso molto più problematico dal modo piuttosto schizofrenico con cui il PMC affronta le regole. La loro eredità, se così possiamo chiamarla, risiede nelle ribellioni adolescenziali degli anni ’60, che erano, per la maggior parte, contro le “regole”. Ed è vero che, diciamo, sessant’anni fa, c’erano più “regole” esplicite nella società di quante ce ne siano adesso. Ad esempio, nella maggior parte dei paesi le scuole hanno imposto l’uniforme, il che è stato ritenuto un’inaccettabile violazione della libertà e della scelta personale. Ma le scuole che abolirono le regole sulle uniformi scoprirono presto che erano state sostituite da regole informali generate dagli stessi alunni, solitamente sotto l’influenza dei media e della pubblicità. Tutti hanno storie degli anni ’80 e successivi di bambini vittime di bullismo spietato perché non venivano a scuola con le ultime scarpe da ginnastica costose. Quelle che prima erano regole stabilite dai genitori (“non vai a scuola vestito così!”) ora sono regole stabilite attraverso Internet. Quindi in Francia, mi risulta dagli insegnanti in prima linea, ora ci sono video di TikTok che mostrano come realizzare abiti che quasi, ma non del tutto, violano la legge contro l’abbigliamento apertamente religioso a scuola. Quindi metà delle ragazze (mi è stato detto) si presentano con queste, mentre l’altra metà si presenta con canottiere tagliate che sarebbero considerate provocanti in una discoteca.
Ciò di cui il PMC non si rendeva conto era innanzitutto che “anarchia, nessuna regola, OK!” era uno scherzo, non un programma politico, e che in secondo luogo, in assenza di regole formali, accadono due cose. Il primo è che le regole informali vengono stabilite dai più potenti (dopo tutto, le carceri sono in gran parte gestite da bande criminali), l’altro è che le persone stabiliscono regole per se stesse che potrebbero non essere quelle che il PMC vorrebbe. Le “regole” universitarie furono una delle prime cose ad essere gettate nel fuoco negli anni ’70, soprattutto quelle riguardanti la condotta personale. Ma una PMC spaventata è stata costretta negli ultimi due decenni a introdurre regole che facciano sembrare rilassata la vita quotidiana in Corea del Nord. a confronto. Mentre in passato esistevano spesso regole semplici che le persone si divertivano a violare (“non sono ammessi visitatori in camera dopo le 22”, ad esempio), oggi gli studenti sono soggetti a regole molto complicate ma vagamente espresse, la cui applicazione è in gran parte soggettive e spesso casuali, e che sono il risultato di gruppi di potere in competizione, ciascuno dei quali cerca di influenzare il comportamento degli studenti e del personale in modi diversi. Si potrebbe pensare che sia sensato riunire le persone per discutere regole di buon senso per la convivenza collettiva: ma il PMC non fa cose sensate, e le persone che amministrano le università oggigiorno non hanno più le capacità gestionali e personali per pensare oltre i semplici cliché e la pacificazione dei vari gruppi di potere.
Questo è un caso particolare del tentativo di controllare le istituzioni attraverso regole dettagliate, invece di chiedersi come possono funzionare al meglio e nel modo più felice. Storicamente è sempre stato così che le persone fanno amicizia e trovano partner romantici al lavoro e all’università, probabilmente più che in qualsiasi altro ambiente. Un’organizzazione meritevole ha quindi sempre avuto regole come “non fare un **** di te stesso” o “non abusare della tua posizione”, ma il PMC non usa nemmeno il buon senso e il buon giudizio. In effetti, a volte penso che il PMC sia completamente contrario al concetto di giudizio: si fida solo di ciò che può essere estratto da un foglio di calcolo o letto parola per parola da un documento lungo e complesso. Ad esempio, gli ultimi due decenni hanno visto un diffuso ingresso delle donne nel mondo del lavoro in lavori prestigiosi e ben pagati (poiché poche hanno lottato per diventare minatori di carbone), e spesso in ambienti di competizione aggressiva con gli uomini per il denaro e il potere. Un’organizzazione sensata avrebbe esaminato la situazione e avrebbe considerato come gestirla con il minimo spostamento e con il massimo beneficio per il personale e l’organizzazione. Ma il PMC non agisce in modo sensato, e quindi la risposta, se così si può chiamare, si basa su “politiche” lunghe, complicate e generalmente inapplicabili, solitamente elaborate da gruppi di pressione esterni. Siamo di nuovo ad organizzazioni che non sanno quello che vogliono e respingono con arroganza ogni esperienza e ogni soluzione pragmatica.
Personalmente non ho mai amato particolarmente lavorare da casa, e non credo che gli “uffici virtuali” funzionino molto bene, dato che i contatti personali incidono in gran parte sull’efficacia di un’organizzazione, e che comunque cose come il reclutamento e la la promozione è davvero impossibile da fare virtualmente. Ma mi chiedo se la riluttanza a tornare in ufficio che ha tanto caratterizzato il post-Covid non sia legata, in qualche modo, alla massa di regole mal pensate e mal applicate che le persone nelle organizzazioni devono sopportare Oggi. Quanto è più facile stare a casa, limitare le proprie interazioni con i colleghi alle e-mail e alle chat, fornire meno occasioni possibili alle persone per lamentarsi della propria condotta e volare il più possibile sotto il radar della Polizia del pensiero. È un commento piuttosto triste sullo stato delle organizzazioni, ma qui sto suggerendo che il ruolo teorico delle organizzazioni è troppo difficile da svolgere per la maggior parte di loro, quindi passano il loro tempo a torturare la loro forza lavoro.
Alcuni sostengono che tutto questo sta diventando sempre più una caratteristica della società nel suo complesso, e che le persone trovano sempre più che i rapporti con gli altri, o peraltro con le istituzioni, siano semplicemente troppo difficili e potenzialmente pericolosi. In fondo è più semplice passare la serata a casa con una pizza da asporto e Netflix, anche se è meno soddisfacente di una cena fuori con gli amici o con il partner. Ma in un certo senso questo è un buon esempio di come le norme tradizionali siano svanite, ma non siano state sostituite da altro che confusione. Supponiamo che tu e un collega di lavoro pranziate per parlare di qualcosa di professionale. Ai miei tempi, quell’uomo si offriva sempre di pagare, perché ciò rifletteva sia il suo probabile stipendio più alto e la sua posizione più importante, sia un senso di cavalleria in via di estinzione ma ancora influente. (In effetti, quando ero giovane, gli uomini si lamentavano spesso di quante cose dovevano pagare per le donne, poiché la consuetudine lo richiedeva). , ma alla fine si rimette ai desideri della donna. Ma cito particolarmente questo esempio, perché negli ultimi mesi ho letto sia che un’offerta di pagamento in un ristorante da parte di un uomo può essere percepita come una microaggressione, sia che la mancanza di tale offerta può essere considerata una anche la microaggressione. Quindi, alla fine, perché non semplicemente scambiarsi e-mail? È meno efficiente, ovviamente, ma anche meno pericoloso per entrambe le parti.
Sono ben lungi dall’essere un entusiasta acritico delle regole sociali del passato, siano esse private o istituzionali. Ma avevano l’inestimabile vantaggio di fornire un punto di riferimento comune, e quindi un vocabolario e un insieme di concetti comuni. In effetti, uno dei loro usi principali era quello di fornire ai giovani una serie di idee da rifiutare e da cercare di eludere. L’uniforme scolastica poteva essere obbligatoria, ma c’erano sempre modi per imbrogliare, come indossare la cravatta a mezz’asta o assicurarsi che le scarpe fossero consumate e sporche. C’erano modi per mettere alla prova la pazienza dei genitori, e i genitori saggi non cercavano di far rispettare le regole in modo troppo rigido. Il risultato è stato quello di favorire il processo di ciò che Jung chiamava “individuazione”: il processo per diventare un individuo, che per la maggior parte delle persone non si conclude prima dei vent’anni. La cultura politica adolescenziale di oggi è, ne sono convinto, in gran parte il risultato dell’assenza di regole formali contro le quali i giovani della classe media possano ribellarsi.
Mentre le famiglie della classe operaia tendevano a far rispettare le regole in modo più rigoroso, i figli di genitori della classe media scoprivano sempre più di non avere nulla contro cui ribellarsi, e quindi dovevano cercare nuovi modi per scioccare i loro genitori. Uno degli slogan della ribellione studentesca del 1968 in Francia era “inventiamo nuove perversioni sessuali”: le vecchie perversioni apparentemente non erano più abbastanza scioccanti. (Si dà il caso che una delle perversioni scelte sia stata la pedofilia, che era una causa popolare tra gli intellettuali di sinistra negli anni ’70.) Ma i figli dei figli di queste persone ora si ritrovano gettati, con poco preavviso, in un mondo di norme altamente complesse e talvolta non scritte, che coprono ogni aspetto del comportamento personale e la cui violazione inconsapevole può porre fine alla loro carriera accademica o professionale. Non c’è da stupirsi che l’incidenza della depressione e persino del suicidio sia così alta tra i bambini della PMC. Cosa pensavano che sarebbe successo?
Beh, erano ingenui. Purtroppo è vero che stabilire e imporre regole agli altri è qualcosa di inquietantemente comune, soprattutto tra le persone più accreditate. Il PMC tende comunque ad attrarre personalità autoritarie (è praticamente un requisito per l’ingresso nel Partito Interno) ed è convinto non solo di essere giusto e superiore, ma che le sue credenziali gli diano il diritto di prendere in giro il resto di noi. Ma poiché rifiuta tutta la saggezza e il buon senso accumulati, è obbligato a cercare di riempire il vuoto esistenziale con regole e regolamenti sempre più dettagliati, nella vana speranza di aver un giorno coperto tutte le possibilità.
Finché le organizzazioni non avranno più la reale idea a cosa servono, e poiché saranno sempre più incapaci di svolgere anche le funzioni per le quali non possono sottrarsi alla responsabilità, prolifereranno regole per dare l’impressione di attività e per controllare coloro che lavorano per loro. loro. I quadri del PMC che vedono le organizzazioni per cui lavorano solo come beni da saccheggiare, non possono pretendere con la faccia seria lealtà e duro lavoro dal loro personale, che probabilmente è comunque disilluso e arrabbiato. In tali circostanze, le regole, e soprattutto le regole arbitrarie adottate a causa della pressione esterna, rappresentano il meccanismo di controllo ideale. Non è necessario valutare la competenza e le prestazioni del personale, ma solo la sua disponibilità a superare i limiti ideologici. Poiché ciò implica virtualmente che le persone competenti se ne vadano o vadano in pensione e che le persone incompetenti vengano promosse, non sorprende che la maggior parte delle organizzazioni siano in gravi difficoltà.
Il buon senso non è una guida infallibile su ciò che funziona meglio. Forse potresti dire che le norme e le pratiche tradizionali riflettono le tradizionali relazioni di potere, e non ti sbaglieresti necessariamente. Ma come ho sottolineato in molte occasioni, il “potere”, nel senso reso famoso da scrittori come Foucault, è solo un meccanismo moralmente neutrale per portare effettivamente a termine le cose. Caratteristiche come le gerarchie di esperienza e attitudine, o le regole tradizionali per le interazioni personali, possono essere legittimamente criticate, ma demolirle e sostituirle con nulla è una ricetta certa per rendere le organizzazioni, e la società, non funzionali. Se le organizzazioni conservassero ancora un certo senso di scopo, e se l’Occidente conservasse l’idea di una società genuina basata su qualcosa di più delle relazioni transazionali, questo sarebbe meno un problema. Ma siamo bloccati con organizzazioni che generalmente hanno dimenticato a cosa servono, gestite da persone che sono lì solo per saccheggiarle, e che vivono tutte in una società in cui la vita è sempre più una questione di transazioni commerciali. Quando non puoi dare speranza alle persone, quando non puoi fornire loro una visione, quando non puoi nemmeno fare qualcosa di così semplice come suggerire uno scopo più ampio nella vita, regole, regole e sempre più regole sono tutto ciò a cui puoi ricorrere.
ll sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure PayPal.Me/italiaeilmondo Su PayPal, ma anche con il bonifico su PostePay, è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (pay pal prende una commissione di 0,52 centesimi)