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Rivista geopolitica russa Global Affairs ha pubblicato un nuovo articolo di strategia militare scritto in collaborazione con il generale Yuri Baluyevsky, che è stato capo di Stato Maggiore della Russia — l’attuale posizione di Gerasimov — dal 2004 al 2008. È noto per essersi dimesso dopo essersi opposto alle controverse “riforme Serdyukov” che hanno trasformato — o svuotato, a seconda dei punti di vista — le forze armate russe nel periodo 2008-2012.
Il pezzo si intitola “Guerra digitale – Una nuova realtà”:
Come si evince dal sottotitolo, l’articolo esorta la Russia ad adattarsi il prima possibile a questa “nuova realtà”. L’urgenza deriva dalla tesi affermata secondo cui le capacità tecnologiche dei droni aumenteranno più rapidamente dei mezzi efficaci per contrastarli:
È improbabile che ci sia un esperto che neghi i cambiamenti rivoluzionari in campo militare: la “rivoluzione senza pilota” o la “rivoluzione della guerra dei droni”. Forse, in senso più ampio, potrebbe essere definita la “guerra digitale”. Ci sono tutte le ragioni per credere che questo processo continuerà ad espandersi e ad approfondirsi, poiché il potenziale di aumento della “guerra dei droni” supera la capacità di contrastare efficacemente questo tipo di arma.
Gli autori proseguono spiegando che i droni stanno diventando sempre più economici e piccoli, aumentando al contempo la loro portata. Nel prossimo futuro, osservano, la retroguardia tattica diventerà una vera e propria “zona di sterminio”, cosa che in sostanza è già avvenuta secondo molte testimonianze provenienti dal fronte.
Il campo di battaglia tattico e le retrovie, a decine di chilometri dalla linea di contatto, diventeranno essenzialmente una “zona di sterminio”. Naturalmente, contrastare queste minacce sarà una priorità assoluta. Di conseguenza, la lotta armata si concentrerà principalmente sul raggiungimento della “supremazia dei droni” nell’aria. Di conseguenza, l’organizzazione delle forze militari dovrà allinearsi con gli obiettivi e gli scopi di raggiungere tale supremazia nell’aria e nello spazio.
Alla luce di quanto sopra, ecco un’interessante analisi di un canale russo sulla direzione di Pokrovsk, che descrive come si è evoluta la situazione in termini di logistica e posizionamento delle unità.
Continuiamo il nostro difficile lavoro per rifornire le nostre unità d’assalto nella direzione di Pokrovsk. Questo mese, l’attenzione principale è stata rivolta alle unità d’assalto, alle loro comunicazioni e alla loro sopravvivenza sul campo di battaglia.
Innanzitutto, dobbiamo spiegare come si presenta la linea di contatto in questa direzione e, in generale, su tutto il fronte. In primo luogo, il personale militare assemblato e pronto a svolgere i propri compiti di combattimento viene portato al punto di raccolta a 20-25 km dalla linea del fronte. Quindi attendono il comando. Vengono caricati all’inizio del segmento successivo e lasciati in un punto a circa 10-13 km dalla LBS (linea di contatto), dove possono rimanere per un certo periodo di tempo, da alcune ore a diversi giorni. Si tratta di un punto di evacuazione vicino da cui è quasi garantito poter fuggire e sopravvivere.
Poi c’è il successivo punto di sbarco a 5-7 km dalla LBS: non è possibile proseguire oltre in auto. Tutti gli sbarchi e gli spostamenti sul terreno tra campi minati e aree aperte sono effettuati da guide. Quindi, a piedi, raggiungono il punto da cui può iniziare l’assalto. Da lì, si avvicinano alle posizioni. Di norma, solo la metà di loro raggiunge le posizioni, mentre il resto rimane ferito o ucciso dai droni.
Una coppia di stormtrooper che ha raggiunto le rovine di una casa di solito viaggia in coppia, nascondendosi tra le rovine e nei seminterrati. Non si avventurano all’esterno se non è necessario. Da lì, devono mantenere la comunicazione con il loro comandante per rimanere informati su ciò che accade all’esterno, coordinare le loro azioni con i vicini, fornire assistenza e partecipare agli assalti. Possono trascorrere una settimana, un mese o due tra le rovine.
Se il tempo è brutto : nebbia, pioggia, nevicate, allora le perdite si riducono drasticamente. I droni FPV quasi non volano sotto la pioggia: le gocce si attaccano alla telecamera. La cortina d’acqua blocca fortemente il segnale a 5,8 Ghz. Tuttavia, l’artiglieria nemica inizia a lavorare più attivamente. Il cablaggio di qualsiasi gruppo corazzato viene solitamente notato dal nemico 10-15 km prima dell’LBS. Quando raggiunge le posizioni iniziali per l’attacco, ci sono già dozzine di droni FPV nemici nel cielo e altre dozzine pronte al lancio. Tutto questo poi ricade sul gruppo corazzato e sui paracadutisti. Sì, è difficile per le nostre truppe e ci sono delle vittime, ma siamo ancora in grado di lanciare i paracadutisti e avanzare. Le nostre perdite principali sono sotto forma di soldati feriti.
Come descritto sopra, la zona a 25 km dalla linea di controllo è già diventata estremamente rischiosa, dove la dispersione è necessaria per la sopravvivenza. Quindi, da 5-7 km in poi, diventa essenzialmente la “zona della morte”, per usare la terminologia alpinistica.
Baluyevsky e il suo coautore affermano che il principale sviluppo del campo di battaglia moderno è l’eliminazione totale della “nebbia di guerra”, che ha dato inizio a un’era di completa trasparenza sul campo di battaglia. Il pericolo principale risiede nell’ulteriore sviluppo e nel coordinamento incrociato delle risorse spaziali con quelle di altre tecnologie digitali e dei droni:
Il miglioramento degli strumenti di sorveglianza, dei sensori, della potenza di calcolo, delle reti informatiche, dei metodi di trasmissione e elaborazione dei dati e dell’intelligenza artificiale sta creando un ambiente informativo globale unificato a terra, in aria e nello spazio (lo “spazio di battaglia informativo”) che fornisce e amplia sempre più la trasparenza tattica, operativa e strategica unificata.
A questo proposito, c’è una breve ma interessante digressione tratta da un altro recente rapporto russo. Esso descrive come l’ultima “unificazione digitale” dello “spazio di battaglia informativo” abbia portato con sé alcuni effetti collaterali indesiderati da parte dei comandanti che sono stati dotati di troppo controllo informativo, tanto che spesso cadono nella microgestione o nell’iperconcentrazione su un compito o un obiettivo tatticamente irrilevante, a scapito dell’obiettivo tattico o operativo principale:
Nell’opera di Markin A.V. “Generalizzazione dell’esperienza di combattimento della SVO” fino al luglio 2025. Il terzo quaderno evidenzia aspetti interessanti nel lavoro delle unità di fanteria insieme ai calcoli degli UAV. Si tratta di errori a cui pochi prestano attenzione, anche in una situazione di combattimento.
Il microcontrollo è una situazione interessante in cui un comandante di alto rango, invece di occuparsi della gestione complessiva del combattimento, si siede a guardare un live streaming da Mavik e inizia a dare ordini per distruggere obiettivi secondari sul campo di battaglia, come un soldato ucraino che striscia nel bosco. In questo modo, perde il controllo della situazione nella sua zona, ma in un episodio di combattimento separato sul monitor, è un eroe. Il secondo peccato è la “selezione frammentaria”. Il desiderio di scrivere sul proprio conto l’equipaggiamento o la fanteria nemica distrutta, mentre si “segna” un vero compito tattico. Di conseguenza, il calcolo potrebbe non avere droni quando i gruppi d’assalto chiedono supporto e muoiono senza di esso. Ma hanno registrato sul proprio conto un pick-up/fanteria danneggiato, che anche senza di loro c’è qualcuno che può intercettare.
Ciò che intendono dire è che, conferendo ai comandanti tali nuovi livelli di controllo tattico-militare, talvolta questi ultimi finiscono per perseguire “punti”, gloria o diritti di vantarsi distruggendo obiettivi secondari per abbellire i “rapporti” inviati ai superiori, trascurando invece i compiti primari, come nell’esempio sopra riportato, ovvero la fanteria amica che potrebbe essere in avanzata e necessitare di quei droni di riserva per aiutarla a contrastare le fortificazioni nemiche, ecc.
Tornando al punto, l’aspetto più interessante dell’analisi contenuta nell’articolo di Global Affairs è il riconoscimento da parte di Baluyevsky e del suo coautore che la moderna guerra con droni digitalizzati ha sostanzialmente reso obsolete varie classificazioni militari classiche che sono state alla base della guerra per generazioni. Ad esempio, la “sfumatura dei confini tra tattico, operativo e strategico”, nonché i concetti specifici dei ruoli dei veicoli corazzati e di altri sistemi d’arma.
Il risultato è l’impossibilità di dispiegare e concentrare segretamente forze e risorse nelle aree di concentrazione degli sforzi principali, il che cambia radicalmente la filosofia stessa delle operazioni militari.
Alcune di queste idee riflettono pensieri precedenti di teorici sovietici di cui avevo discusso in articolicome questo, che prevedevano un futuro in cui anche il concetto di “linea del fronte” sarebbe scomparso del tutto, annunciando una nuova forma di combattimento “non lineare”:
I sovietici considerano la battaglia non lineare come una battaglia in cui battaglioni e reggimenti/brigate separati e “tatticamente indipendenti” combattono battaglie di incontro e proteggono i propri fianchi mediante ostacoli, fuoco a lungo raggio e ritmo. . . . Le grandi unità, come le divisioni e gli eserciti, possono influenzare la battaglia attraverso l’impiego delle loro riserve e dei sistemi di attacco a lungo raggio, ma l’esito sarà deciso dalle azioni dei battaglioni e dei reggimenti/brigate interforze che combattono separatamente su più assi a sostegno di un piano e di un obiettivo comuni. . . . Il combattimento tattico sarà ancora più distruttivo che in passato e sarà caratterizzato da combattimenti frammentati [ochagovyy] o non lineari. La linea del fronte scomparirà e termini come “zone di combattimento” sostituiranno i concetti obsoleti di FEBA, FLOT e FLET. Non esisteranno rifugi sicuri o “retro profondo”.
Nello stesso articolo sopra citato, il teorico russo Maggiore Generale Slipchenko ipotizza che la linea del fronte, la zona retrostante, ecc., si fonderebbero tutte in un’unica zona bersaglio:
Inoltre, il teorico militare russo Slipchenko ha sottolineato l’idea precedente secondo cui tutti i concetti classici di campo di battaglia sarebbero stati gradualmente cancellati a causa della natura imprevedibile e onnicomprensiva dei moderni sistemi di attacco:
Concetti fondamentali come “fronte”, “retro” e “linea avanzata” stanno cambiando. . . . Sono ormai superati e vengono sostituiti da due sole espressioni: “bersaglio” e “non bersaglio” per un attacco remoto ad alta precisione.
L’analista russofobo di Youtube ed ex soldato dell’esercito statunitense Ryan McBeth menziona persino a malincuore in un nuovo post come la Russia abbia risolto il classico dilemma del potere aereo che mantiene il controllo del territorio circondando Pokrovsk essenzialmente con un anello di controllo del fuoco dei droni.
Ciò fa eco a un’altra idea del maggiore generale Slipchenko riguardo a una rivoluzione negli affari militari che porterebbe a una forma di guerra “senza contatto” di sesta generazione, definita da forze opposte che non entrano necessariamente in contatto fisico, ma procedono tramite vari attacchi a distanza, non lontano dalla realtà su molti dei fronti attuali in Ucraina:
Secondo il defunto Maggiore Generale Vladimir Slipchenko, probabilmente uno dei più influenti teorici militari russi degli ultimi decenni, l’operazione Desert Storm fu la prima manifestazione di quella che Ogarkov aveva definito una “rivoluzione negli affari militari”, riferendosi al crescente utilizzo di sistemi di attacco di precisione a lungo raggio nelle guerre future. Il concetto di guerra di sesta generazione elaborato da Slipchenko segnava la computerizzazione della guerra e il crescente utilizzo di armi a distanza. Il suo elemento più importante era quindi chiamato guerra senza contatto, in contrapposizione alla tradizionale guerra di contatto di quarta generazione.
Baluyevsky approfondisce questo concetto nell’articolo pubblicato su Global Affairs, spiegando che anche il concetto di “fuoco diretto” è ormai obsoleto in Ucraina, dove persino i carri armati vengono utilizzati principalmente in modalità di fuoco indiretto, ovvero come pezzi di artiglieria, grazie alla maggiore precisione della correzione del fuoco dei droni. Si tratta proprio di uno stile di guerra moderna “senza contatto”, in cui ogni attacco viene effettuato da oltre il raggio visivo, anche da sistemi non originariamente progettati per questo scopo:
La rivoluzione informatica sta cambiando le forme e l’aspetto della guerra. La “trasparenza” del campo di battaglia e l’acquisizione in tempo reale degli obiettivi stanno portando all’eliminazione della necessità del fuoco diretto a favore del fuoco indiretto.Per secoli, il fuoco diretto è stato alla base della guerra e le tattiche sono state costruite intorno alla garanzia della sua efficacia. Tuttavia, con l’avvento del fuoco indiretto, non è più necessario vedere il nemico direttamente davanti a sé. Al contrario, gli obiettivi possono essere individuati a qualsiasi distanza e colpiti con armi a guida di precisione (come i droni) lanciate oltre la linea di vista del nemico. La sopravvivenza e la stabilità in combattimento di qualsiasi mezzo di fuoco remoto disperso da posizioni nascoste e dei loro equipaggi è molto più elevata rispetto a quella di qualsiasi arma in grado di sparare in linea di vista diretta. Ciò porta a un cambiamento fondamentale nella pianificazione dell’intero sistema per infliggere danni da fuoco al nemico.
Gli autori proseguono affermando che questo è il motivo principale dell’apparente obsolescenza dei carri armati sul campo di battaglia moderno:
Questa circostanza, e non la mancanza di protezione dai droni, è stata la causa principale della crisi dei carri armati. Il carro armato è il mezzo principale della guerra a fuoco diretto ed è stato progettato come piattaforma protetta per la guerra a fuoco diretto. Tuttavia, è diventato un bersaglio facilmente individuabile e vulnerabile con un sistema d’arma a fuoco diretto limitato. Di conseguenza, il carro armato ha perso la sua importanza come mezzo principale di sfondamento e manovra dell’esercito.
Ma ecco un’altra affermazione chiave introdotta dagli autori: i droni hanno sostanzialmente cambiato le regole della guerra al punto che la “manovra” tattica non è più un requisito indispensabile per sconfiggere il nemico, il che richiede la riscrittura dei manuali delle operazioni di combattimento e dell’intera struttura organizzativa delle forze armate:
Pertanto, i droni stanno avendo un impatto rivoluzionario sulla scienza militare. Da un lato, stanno influenzando un fattore chiave come la concentrazione di forze e risorse, e dall’altro, stanno rendendo sostanzialmente superflue le manovre tattiche di forze e risorse per garantire la sconfitta. Questi cambiamenti fondamentali sia nella tattica che nell’arte operativa dovrebbero portare a una revisione non solo delle forme di operazioni di combattimento, ma anche della struttura organizzativa delle forze militari.
Questo è più profondo di quanto sembri a prima vista, ed è qualcosa su cui ho insistito a lungo anche qui. I lettori ricorderanno forse le mie opinioni “contrarie” sull’ossessione degli analisti moderni per la “guerra di manovra”. Ho sostenuto l’idea che tali fissazioni siano maschere deliberate volte a rafforzare l’idea che l’Ucraina stia vincendo e che la Russia sia incapace di sottomettere il suo nemico perché non sta praticando una “guerra di manovra” di massa. Negli articoli analitici ho scritto fin dall’inizio che l’idea della “guerra di manovra” sembrava ormai superata, perché stavamo assistendo alla nascita di qualcosa di nuovo e le strategie di adattamento della Russia a questa nuova realtà dimostravano chiaramente che la vittoria poteva arrivare anche senza queste definizioni classiche riduttive.
Questa idea è parte integrante del motivo per cui i progressi russi stanno solo accelerando nonostante il fatto che i componenti chiave di una cosiddetta “forza di manovra” – ovvero i gruppi corazzati e meccanizzati – non vengano quasi più utilizzati. Lo scopo della guerra di “manovra” è quello di creare aperture nella profondità operativa, ma con l’avvento di questo nuovo stile di guerra “di sesta generazione” e “non lineare”, concetti come tattico, operativo, ecc. sono sfocati e perdono il loro significato tradizionale, almeno in una certa misura.
Baluyevsky e colleghi ribadiscono nuovamente questo concetto:
Conflitto post-industriale
La campagna in Ucraina ha segnato la fine di quasi un secolo di predominio della guerra meccanizzata, caratteristica delle società industrializzate. In questo senso, l’operazione militare speciale in Ucraina è stato il primo conflitto armato su vasta scala del XXI secolo, segnando una rivoluzione negli affari militari e il passaggio alla “guerra digitale”. Queste tendenze, che sono già evidenti o stanno appena iniziando a emergere, continueranno probabilmente a plasmare il futuro della guerra nel prossimo decennio.
Si noti che essi affermano apertamente che l’adesione rigida a concetti obsoleti di guerra meccanizzata porterà solo a una diminuzione dell’efficacia dell’esercito.
Proseguono elencando tre principali impatti dei droni sull’organizzazione delle truppe:
Ci sono tre fattori chiave nella guerra dei droni e nel suo impatto sull’organizzazione e sull’uso delle truppe in combattimento.
Primo. La necessità di una dispersione estrema delle forze e dei mezzi con una densità molto bassa delle formazioni di combattimento cambierà radicalmente l’organizzazione delle truppe e la loro interazione.
Secondo. Un forte aumento della profondità di distruzione delle parti avversarie e dei loro mezzi, fino alla profondità operativa. Le “zone di sterminio totale” raggiungeranno presto diverse decine di chilometri. Ciò rende impossibile manovrare e concentrare le truppe anche nella profondità operativa.
Terzo. La guerra ha dimostrato l’insormontabile problema dell’approvvigionamento delle truppe, che ora utilizzano veicoli facilmente vulnerabili e relativamente facili da distruggere da parte del nemico (un problema che covava da tempo, ma che era stato ignorato dagli strateghi sovietici). Nel contesto della “guerra dei droni” e delle vaste “zone di distruzione totale” delle forze e delle risorse in tutta la profondità operativa, il problema dell’approvvigionamento in termini operativi, tattici e “micro-tattici” (“l’ultimo miglio del fronte”) diventa enorme e richiede soluzioni non banali e rivoluzionarie.
Essi indicano il problema logistico come uno dei principali enigmi del nuovo campo di battaglia dominato dai droni. Proprio oggi un soldato ucraino in servizio al fronte ha descritto come la Russia abbia conquistato Pokrovsk restringendo fortemente le rotte logistiche dell’AFU:
È interessante notare che, nella sezione finale, gli autori russi lodano l’M2 Bradley americano come “macchina ideale” in guerra, date le sue buone capacità “a tutto tondo” nonostante la proliferazione dei droni.
Un altro “confine sfumato” menzionato è che i reparti di supporto tecnico e logistico sono, nella guerra moderna, essenzialmente “ruoli di combattimento” a causa della battaglia costante che devono combattere contro i droni che operano nelle retrovie, dove tali ruoli di supporto godevano in precedenza di una sicurezza totale, o almeno relativa.
Facendo un ulteriore passo avanti, gli autori suggeriscono addirittura che l’esercito del futuro non dovrebbe nemmeno avere rami di servizio rigidi.
Pertanto, l’esercito del futuro non dovrebbe essere rigidamente suddiviso in corpi di servizio, ma dovrebbe piuttosto essere una forza altamente unificata, integrata e multifunzionale, in grado di operare in qualsiasi contesto bellico moderno.
Definendo “finita” l’era dei grandi battaglioni, gli autori citano il DeepState ucraino nel descrivere le dottrine attualmente utilizzate dalla Russia in prima linea:
Crediamo che tutti abbiano notato il recente post della risorsa ucraina DeepState, che descrive la “nuova dottrina di fanteria” delle forze armate russe e dimostra chiaramente l’adattamento delle tattiche militari alle esigenze della “guerra dei droni”. Ci sono quattro aspetti chiave dei cambiamenti tattici da parte russa.
Primo. Maggiore utilizzo di sistemi robotici terrestri, munizioni vaganti e FPV pesanti, che portano alla “robotizzazione di determinati processi di combattimento”. Attualmente, il compito delle operazioni di assalto e del supporto di fuoco è stato completamente delegato ai droni per impedire il rilevamento dei gruppi d’assalto.
Secondo. Il passaggio alle azioni di un gran numero di gruppi “dispersi” composti solo da 2-4 persone.
Terzo. Ridurre al minimo il combattimento con armi leggere e gli attacchi frontali alle postazioni e, in generale, avvicinare la fanteria al nemico, trasferendo il ruolo principale del supporto di fuoco dagli aerei d’attacco ai droni.
Quarto. L’uso diffuso di tattiche di infiltrazione lenta e “strisciante” o di aggiramento delle principali posizioni nemiche da parte di piccoli gruppi, compreso l’uso di dispositivi di mimetizzazione (cappucci, ecc.), con penetrazione il più possibile in profondità nelle retrovie, ricerca e neutralizzazione di operatori di droni, squadre di mortai, ecc.
È chiaro che la struttura, l’organizzazione e l’equipaggiamento delle truppe devono essere adeguati di conseguenza. L’era dei “grandi battaglioni” è finita.
In particolare, la quarta sezione sopra riportata è stata sottolineata con urgenza dagli stessi ucraini nel corso dell’ultimo mese su diversi fronti. Continuano a scrivere che, a causa della densità estremamente bassa delle attuali linee, dove solo pochi uomini possono difendere un chilometro di posizioni, le forze russe sono in grado di “infiltrarsi” oltre i difensori ucraini nelle trincee fino ad accumularsi nelle posizioni arretrate. Una volta che si sono accumulate in numero sufficiente, disturbano la retroguardia, causano confusione e caos, essenzialmente attuando una sorta di moderna forma tattica di sfondamento senza la necessità di “manovre” meccanizzate.
A proposito, anche gli Stati Uniti stanno cercando di imparare a proteggere le risorse dalla minaccia onnipresente dei droni. Ecco un video recente che mostra i test effettuati sulle gabbie anti-drone per i depositi di rifornimenti e munizioni dell’esercito americano:
L’articolo di Global Affairs si conclude con un appello finale alla Russia affinché recuperi il ritardo nel campo della potenza di calcolo, che secondo gli autori sarà la chiave per il futuro della guerra, al di là del “controllo del territorio o delle risorse”. Ritengono che, sebbene la Russia sia attualmente in ritardo in questo settore, abbia comunque dei vantaggi unici e una breve finestra di opportunità per recuperare:
Nel medio termine, la Russia sarà in ritardo rispetto ai leader mondiali in termini di sviluppo della potenza di calcolo (mancanza di competenze, capacità industriali e capacità del mercato interno). Questo problema deve essere affrontato immediatamente, altrimenti il divario aumenterà, minacciando gli interessi strategici del Paese.
La Russia ha le risorse per correggere questa situazione e continua a godere di un vantaggio scientifico e tecnologico. Tuttavia, il ritmo dei cambiamenti globali è così rapido che potrebbe essere impossibile sfruttare appieno queste opportunità.
Per realizzare questo obiettivo è necessario mettere da parte le differenze politiche e concentrarsi sulle urgenti sfide amministrative e tecnologiche.
Certamente, dato che la Russia è una potenza energetica e leader mondiale nel settore dell’energia nucleare, dispone almeno di una buona base per l’espansione dei data center informatici, se necessario.
È chiaro che occorre applicare nuovi concetti per comprendere le dinamiche del campo di battaglia moderno. È troppo estremo eliminare completamente le tradizioni militari, ma i confini sono diventati così sfumati che chiunque si affidi principalmente alle definizioni classiche di guerra rimarrà bloccato in un circolo vizioso di incomprensioni sui recenti successi della Russia sul campo di battaglia, che stanno culminando proprio mentre parliamo con l’imminente conquista di diverse città ucraine di grande importanza.
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Non lasciatevi fuorviare dal titolo: questo testo è sostanzialmente una domanda cui si deve cercare di dare una risposta. Il termine patria è particolare: deriva dal latino pater, maschile ma, in italiano, si declina al femminile. I seguaci della cultura liquida dovrebbero apprezzare la circostanza.
Scherzi a parte, mi riallaccio al contributo di WS che trovate qui https://italiaeilmondo.com/2025/10/31/andate-avanti-voi_di-ws/ed al mio commento nel quale chiudevo con la domanda: ci sarà abbastanza realismo nelle pseudo elite italiane rispetto all’evolvere della situazione internazionale con particolare riferimento al teatro Ucraino ed agli ultimi messaggi di Putin?
La situazione italiana mostra da anni, ormai, un completo appiattimento se non servilismo nei confronti delle posizioni di Nato/UE e Usa. Mai una critica una differenziazione una precisazione se non limitata al dichiarato rifiuto di inviare soldati italiani in Ucraina. Ma per tutto il resto piena ed incondizionata approvazione alle decisioni NATO/UE. Almeno questo è quello che appare nelle dichiarazioni pubbliche ed a prescindere da chi sia il governante italiano di turno. Da Budapest, invece, ormai da anni, anche prima della crisi Ucraina, giungono sempre differenziazioni ed ora critiche aperte e, inoltre, la creazione di una piattaforma tra Ungheria, slovacchia e repubblica ceca, al fine di elaborare una condotta alternativa alla Nato/Ue rispetto alla crisi Ucraina. Quindi sorge una domanda: che differenza c’è tra Ungheria, ed ex cecoslovacchia e l’Italia? Ed ancora: posto che sia le elezioni Rumene che quelle moldave sono state palesemente alterate, perchè questo giochino non è riuscito nelle tre nazioni anzidette?
Dico la verità: in Orban non vedo una figura di spicco e/o la stazza dello Statista d’eccezione. Tuttavia, è indubbio che abbia sempre assunto posizioni critiche ed autonome rispetto alle rules of life dell’Anglosfera: o almeno, in alcune circostanze nelle quali tali regole erano non coincidenti con l’interesse del suo paese,così è stato. Se guardiamo alla storia dell’Ungheria, troviamo gli aneliti di indipendenza fin da quando faceva parte dell’Impero asburgico ed una indipendenza guadagnata nel 1918 con la dissoluzione di esso. La seconda guerra mondiale la vide alleata dell’Asse fino alla sconfitta ad opera dell’Armata Rossa con successivo ingresso nell’orbita Urss fino al 1991: nel mezzo i fatti del 1956 con la seconda invasione sovietica questa volta per ripristinarne l’orbita attorno all’URSS. Dopo, dissoltasi l’Urss ed il patto di Varsavia, ingresso nell’UE e nella Nato quindi un sostanziale passaggio nell’Anglosfera. Si può quindi dire che, a conti fatti, una vera indipendenza non ci sia mai stata essendo comunque inglobata dentro “alleanze” molto stringenti. E pur tuttavia, i magiari sembrano seguire una loro linea e quindi mi chiedo da dove derivino tali spazi di manovra. Anche le posizioni riguardo all’immigrazione non sono assolutamente in linea con i dettami universalistici della open society abbracciati dalla UE. E dire che George Soros è proprio di origine ungherese ma non sembra abbia molto seguito nella patria di origine.
Sono consapevole che, qui da noi, il 1991 e poi tangentopoli, hanno radicalmente cambiato lo scenario: la cortina di ferro ha fatto un balzo di mille KM verso est e, quindi, il centro europa, neoassunto nell’anglosfera, poteva avere lo stesso ruolo che ebbe l’Italia tra il 1945 ed il 1991: spazi di manovra maggiori e particolare attenzione da parte del nuovo padrone (gli USA) quale base di retroguardia dell’ariete Ucraino.
Del resto, il progetto Brezinski, era in piedi da anni ed oggi lo vediamo messo in pratica.
Mutatis Mutandis, quello che fu consentito all’Italia tra il 1945 ed il 1991, seppure entro centri limiti ed in funzione principalmente anti francese e, residualmente, anti inglese, operazione USA tendente ad addomesticare i due alleati vincitori della IIWW (i Francesi che con il Gollismo avevano una deriva eccessivamente autonoma e gli Inglesi ai quali, sostanzialmente, praticarono una fusione per incorporazione mi si passi il termine), dal 1991/1992 è stato consentito al centro europa nel suo complesso (Polonia ed Ungheria in primis) favorendone lo sviluppo economico ed una certa base industriale migliorativa del reddito procapite e conseguente modernizzazione in stile Anglo: questo ovviamente a discapito delle nazioni occidentali, Italia in primis, in un contesto di collaborazione delle stesse Elite occidentali che praticarono la delocalizzazione produttiva nei nuovi assunti dall’Anglosfera nell’Est europa a discapito delle basi industriali nazionali ma con vantaggi di profitto favoriti anche dalla moneta unica. In questo contesto bisognerebbe analizzare e commentare il ruolo della Germania riunificata e la sua capacità, almeno allora, di guidare questo processo a proprio vantaggio mantenendo una base industriale di tutto rispetto a svantaggio di tutti gli altri in cui il ruolo monetario (l’Euro) non è stato affatto secondario
Però, proprio ora che servirebbero quelle retroguardie, l’Ungheria, se non defeziona del tutto, mette i bastoni tra le ruote: come può permetterselo?
E l’Italia? Con un governo che, almeno di facciata, dovrebbe solidarizzare con le posizioni di Orban, questo disgraziato paese non sembra cogliere nemmeno questa opportunità: così almeno sembrerebbe alla luce dell’ultima visita di Orban di pochi giorni orsono.
Ovviamente non si può sottovalutare la differenza tra le due forme di governo: non conosco il sistema Ungherese nel dettaglio ma la figura del primo ministro sembra avere un peso notevole mentre il nostro sistema costituzionale prevede la figura del Presidente della Repubblica che, come la storia recente conferma, è sostanzialmente un sorvegliante pronto a reindirizzare la politica di qualunque governo entro binari prestabiliti (non vi è giorno che il nostro PdR non esterni la irrevocabilità della scelta UE e Nato e dei valori “occidentali”). La centralità del parlamento, poi, da noi è il veicolo attraverso il quale maggioranze differenti dal responso elettorale in quanto frutto del noto salto della quaglia, hanno dato spazio a governi tecnici forieri delle peggiori iniziative tutte eterodirette da Washington, Londra e Bruxelles.
Eppure il declino Italiano è palese e l’autocastrazione conseguita dalla decisione di interrompere i rapporti con la Russia è evidente a chiunque.
Qualche tempo fa mi è capitato di vedere un intervista a Enrico Mattei: non saprei collocarla nel tempo ma era ancora in bianco e nero. Mattei raccontava un aneddoto, senza fare nomi, relativo ad una trattativa per la costruzione di una raffineria: Mattei chiudeva l’intervista affermando che gli stranieri intesi come Stati e Mutinazionali, dovevano capire che l’epoca dell’Italia che si approcciava agli altri con il cappello in mano era finita.
So bene la fine che ha fatto Mattei anche, ma non solo, per l’opposizione alle “sette sorelle” e so anche bene che, con l’operazione Tangentopoli, una intera classe politica capace di fare, in qualche modo l’interesse nazionale, è stata cancellata e sostituita da veri e propri incompetenti, quando va bene, ovvero cotonieri (come amava chiamarli il Prof La Grassa) quando va male.
Mi chiedo tuttavia: non è rimasto veramente nulla dell’esperienza di uomini come Mattei?
Ho citato questo esempio non a caso. Mi spiego meglio: dopo la fine della IIWW, l’Italia si trovava in una situazione particolare. Era nazione sconfitta ed aveva uno dei partiti comunisti più grandi d”europa ed a due passi dalla Cortina di ferro. In quel lasso di tempo, il polo di attrazione delle masse era l’appartenenza alle due ideolologie contrapposte: il comunismo ed il liberal capitalismo ed i partiti tradizionali ne erano il collettore: è come se, in tutti quegli anni, si fosse vissuti in un tempo sospeso tra la rivoluzione che sarebbe venuta (seppure con metodi “democratici”) e la sconfitta del comunismo. Nelle more di questo tempo sospeso, in ogni caso, è indiscutibile che il paese si sia evoluto economicamente (da paese rurale a paese industriale) e socialmente. E’ altrettanto innegabile che, tra le due fazioni, si sia sviluppato un certo consociativismo e che il PCI, seppure non formalmente al governo, abbia gestito porzioni di potere.
Quel consociativismo non è stato del tutto negativo: è stato infatti capace, in alcune circostanze, di riconoscere l’interesse nazionale e l’opera di Mattei ne è, secondo me, un esempio. Ed anche dopo la sua morte, la sua eredità ha consentito la realizzazione del gasdotto tra Europa e Urss cui ha partecipato anche l’Italia che ha così ottenuto una risorsa a basso costo: per quell’accordo, è risaputo, si mediò attraverso Armando Cossutta i necessari contatti in URSS e fu invece l’allora Pentapartito a mediare con gli USA i quali bloccarono l’esportazione di alcuni componenti che dovevano essere utilizzati nelle pompe necessarie al gasdotto. Ero poco più di un ragazzino e mio padre, che lavorava all’epoca per l’azienda che necessitava del componente per le pompe che dovevano essere fornite all’ENI, ne discuteva, a sera, descrivendo le febbrili attività per la ricerca di soluzioni alternative nel mentre l’azienda, che faceva parte di EFIM, si attivava con la parte politica affinchè interagisse con gli Americani.
Come detto tangentopoli spazzò via tutto: fine delle ideologie che costituivano, comunque, polo di attrazione e fine di quel rapporto consociativo nell’interesse della nazione anche se il consociativismo è rimasto ma senza più alcun riferimento all’interesse nazionale. Anzi, direi esattamente l’opposto e cioè un consociativismo contro l’interesse nazionale.
Peraltro, anni di educazione a confondere l’interesse nazionale con il nazionalismo, hanno favorito ciò che poi è avvenuto: il paese, dopo tangentopoli, si è trovato privo di una seppur modesta guida.
Abituati per anni ad emozionarci per la patria solo nelle partite della nazionale di calcio, senza più nemmeno le ideologie, agli Italiani non è rimasto nulla.
E le conseguenze, di tale vuoto, non hanno tardato ad arrivare: panfilo Britannia, privatizzazione di aziende strategiche, liberalizzazione dei servizi, tagli alla spesa sociale, alla spesa per la ricerca, per la scuola e l’università ecc. ecc..
Si ciancia sui giornali di sovranisti ed Orban è indicato tra questi: lui ed il sovranismo sono sostanzialmente rappresentati come fascismo.
E’ quindi chiaro che parlare di patria rischia di essere, in buona o malafede, frainteso.
Tuttavia, faccio comunque le seguenti domande scomode accollandomi i rischi di fraitendimenti, critiche ed accuse di vetero nazionalismo di ritorno: che cosa è la Patria? Può essere la Patria, una volta definitone il concetto, quella piattaforma ideale capace di creare un senso di appartenenza e di ispirazione? Può essere il filo conduttore di una politica che intenda costruire e difendere una comunità fatta di individui, famiglie, imprese ed apparati statali, in una ottica di interesse generale?
Ripeto e ribadisco: non si tratta di ritornare ai miti novecenteschi o a ideologie superate e sorpassate. Si tratta di trovare un contenitore adatto ad interpretare ed agire, come ente collettivo (lo Stato), nel conflitto strategico internazionale e, nel contempo, interpretare e gestire il conflitto interno tra le varie formazioni sociali che fanno parte dell’Italia: tutto nell’interesse della comunità che la costituisce, della sua autonomia, della sua economia e dei suoi cittadini intesi come complesso di formazioni sociali alle quali, in alcuni casi, dovranno essere chiesti (imposti) sacrifici. Sacrifici alle volte ad alcune Formazioni sociali ed alle volte ad altre formazioni sociali (il nostro WS ha ragione quando ritiene che la vera lotta non sia quella di classe ma il conflitto tra chi per vivere deve lavorare – i molti – e chi invece vive senza dover lavorare – i pochissimi -). Tuttavia compito della politica è quello di imporre anche ai pochi, qualche volta, alcuni sacrifici appunto nell’interesse di tutti.
Non sono in grado di dire se in Ungheria o in Slovacchia o nella Repubblica Ceca, le attuali formazioni politiche, sovraniste o euroscettiche che dir si vogliano, abbiano richiami ideali al concetto di Patria e con quali caratteristiche.
So però che qui, in Italia, l’assenza di un senso di appartenenza, è percepibile ed è terreno fertilissimo per produrre la disgregazione sociale, economica e politica.
In questo senso il vulnus storico di cui soffre l’Italia, dalla caduta dell’impero romano d’occidente, passando per il Medio evo, i comuni, le Signorie, le repubbliche marinare, il rinascimento, gli staterelli vari, il vaticano, fino all’unità nel 1861 nonché, dopo, anche con il ventennio poi seguito dall’epoca repubblicana, è tutta una storia caratterizzata dal perenne intervento esterno e dalla mancanza di una coscienza nazionale che, neppure l’irrendentismo ed il fascismo, sono riusciti a creare.
Insomma, ciò che descrisse il sommo poeta “ahi serva italia di dolore ostello, nave senza nocchier in gran tempesta non donna di provincia ma di bordello” era valido nel 1300 ed è valido ancora oggiusenza alcuna soluzione di continuità.
Se non si trova il modo di creare un rapporto tra enti collettivi (partiti o movimenti o quel che volete) e singoli individui, la massa, che è oggetto mai soggetto, non potrà mai essere il motore, l’energia di un ipotetico cambiamento finalizzato alla costruzione di una comunità, cioè, di una patria.
Chi scrive non ha certo le competenze necessarie allo scopo ma intuisce che in Italia, coloro che fanno parte delle elite politico/economiche, non abbiano alcun senso di appartenenza alla patria: l’attuale classe dirigente, pertanto, non è adatta a prescindere dal colore politico in quanto appositamente scelta tra incompetenti o cotonieri.
Mi chiedo, tuttavia, se tra i così detti intermedi, sia nelle istituzioni che nelle imprese, si possano scorgere barlumi di insofferenza rispetto allo status quo.
Sul punto richiamo una porzione di un recente articolo del Prof Angelo D’Orsi su l’Antidiplomatico, (qui.https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-angelo_dorsi__from_russia_with_love/39602_63351/) il quale descrivendo un suo recente viaggio in Russia dice: “… mi ha colpito la presenza di tutti i grandi brand della moda europei e italiani in specie: Armani, Boggi, Luisa Spagnoli, Calzedonia, Stefano Ricci, Bottega Veneta, e via seguitando. Nel mio hotel (dove tutta la biancheria è etichettata Frette), c’è un meeting di imprenditori europei, con alcuni italiani: mi avvicino e provo a chiacchierare. Non preciso il settore, perché i miei interlocutori non vogliono essere sanzionati, ma mi spiegano che loro e pressocché tutti i colleghi imprenditori hanno messo a punto sistemi vari che consentono di sfuggire ai controlli sanzionatori, e continuare a fare affari in Russia. Uno di loro, sbotta: “Ma secondo lei io devo smettere di vendere ai russi perché lo dice la von der Leyen?! E la libertà di cui ciancia Draghi non è innanzi tutto quella di commerciare? Per sopravvivere, per far girare l’economia, e quindi far bene al nostro Paese!… Se io non vendo smetto di produrre, e licenzio i miei operai e impiegati. È questo che vogliono?!”. Si infervora e gli scappa qualche bestemmia. E mi saluta con un definitivo: “Questi sono pazzi o cretini, creda a me!”.Alcune aziende hanno seguito un’astuta strategia che potrei definire “di distrazione” cambiando le denominazioni ma continuando a vendere i prodotti di prima. Altre hanno delocalizzato o i luoghi di produzione o di vendita…..”
Quindi un embrione di fronda, forse, esiste.
Si tratta solo di capire se può emergere o come farla emergere.
Patria? Alcune idee in ordine sparso.
Non lasciatevi fuorviare dal titolo: questo testo è sostanzialmente una domanda cui si deve cercare di dare una risposta. Il termine patria è particolare: deriva dal latino pater, maschile ma, in italiano, si declina al femminile. I seguaci della cultura liquida dovrebbero apprezzare la circostanza.
Scherzi a parte, mi riallaccio al contributo di WS che trovare qui https://italiaeilmondo.com/2025/10/31/andate-avanti-voi_di-ws/ed al mio commento nel quale chiudevo con la domanda: ci sarà abbastanza realismo nelle pseudo elite italiane rispetto all’evolvere della situazione internazionale con particolare riferimento al teatro Ucraino ed agli ultimi messaggi di Putin?
La situazione italiana mostra da anni, ormai, un completo appiattimento se non servilismo nei confronti delle posizioni di Nato/UE e Usa. Mai una critica una differenziazione una precisazione se non limitata al dichiarato rifiuto di inviare soldati italiani in Ucraina. Ma per tutto il resto piena ed incondizionata approvazione alle decisioni NATO/UE. Almeno questo è quello che appare nelle dichiarazioni pubbliche ed a prescindere da chi sia il governante italiano di turno. Da Budapest, invece, ormai da anni, anche prima della crisi Ucraina, giungono sempre differenziazioni ed ora critiche aperte e, inoltre, la creazione di una piattaforma tra Ungheria, slovacchia e repubblica ceca, al fine di elaborare una condotta alternativa alla Nato/Ue rispetto alla crisi Ucraina. Quindi sorge una domanda: che differenza c’è tra Ungheria, ed ex cecoslovacchia e l’Italia? Ed ancora: posto che sia le elezioni Rumene che quelle moldave sono state palesemente alterate, perchè questo giochino non è riuscito nelle tre nazioni anzidette?
Dico la verità: in Orban non vedo una figura di spicco e/o la stazza dello Statista d’eccezione. Tuttavia, è indubbio che abbia sempre assunto posizioni critiche ed autonome rispetto alle rules of life dell’Anglosfera: o almeno, in alcune circostanze nelle quali tali regole erano non coincidenti con l’interesse del suo paese,così è stato. Se guardiamo alla storia dell’Ungheria, troviamo gli aneliti di indipendenza fin da quando faceva parte dell’Impero asburgico ed una indipendenza guadagnata nel 1918 con la dissoluzione di esso. La seconda guerra mondiale la vide alleata dell’Asse fino alla sconfitta ad opera dell’Armata Rossa con successivo ingresso nell’orbita Urss fino al 1991: nel mezzo i fatti del 1956 con la seconda invasione sovietica questa volta per ripristinarne l’orbita attorno all’URSS. Dopo, dissoltasi l’Urss ed il patto di Varsavia, ingresso nell’UE e nella Nato quindi un sostanziale passaggio nell’Anglosfera. Si può quindi dire che, a conti fatti, una vera indipendenza non ci sia mai stata essendo comunque inglobata dentro “alleanze” molto stringenti. E pur tuttavia, i magiari sembrano seguire una loro linea e quindi mi chiedo da dove derivino tali spazi di manovra. Anche le posizioni riguardo all’immigrazione non sono assolutamente in linea con i dettami universalistici della open society abbracciati dalla UE. E dire che George Soros è proprio di origine ungherese ma non sembra abbia molto seguito nella patria di origine.
Sono consapevole che, qui da noi, il 1991 e poi tangentopoli, hanno radicalmente cambiato lo scenario: la cortina di ferro ha fatto un balzo di mille KM verso est e, quindi, il centro europa, neoassunto nell’anglosfera, poteva avere lo stesso ruolo che ebbe l’Italia tra il 1945 ed il 1991: spazi di manovra maggiori e particolare attenzione da parte del nuovo padrone (gli USA) quale base di retroguardia dell’ariete Ucraino.
Del resto, il progetto Brezinski, era in piedi da anni ed oggi lo vediamo messo in pratica.
Mutatis Mutandis, quello che fu consentito all’Italia tra il 1945 ed il 1991, seppure entro centri limiti ed in funzione principalmente anti francese e, residualmente, anti inglese, operazione USA tendente ad addomesticare i due alleati vincitori della IIWW (i Francesi che con il Gollismo avevano una deriva eccessivamente autonoma e gli Inglesi ai quali, sostanzialmente, praticarono una fusione per incorporazione mi si passi il termine), dal 1991/1992 è stato consentito al centro europa nel suo complesso (Polonia ed Ungheria in primis) favorendone lo sviluppo economico ed una certa base industriale migliorativa del reddito procapite e conseguente modernizzazione in stile Anglo: questo ovviamente a discapito delle nazioni occidentali, Italia in primis, in un contesto di collaborazione delle stese Elite occidentali che praticarono la delocalizzazione produttiva nei nuovi assunti dall’Anglosfera nell’Est europa a discapito delle basi industriali nazionali ma con vantaggi di profitto favoriti anche dalla moneta unica. In questo contesto bisognerebbe analizzare e commentare il ruolo della Germania riunificata e la sua capacità, almeno allora, di guidare questo processo a proprio vantaggio mantenendo una base industriale di tutto rispetto a svantaggio di tutti gli altri in cui il ruolo monetario (l’Euro) non è stato affatto secondario
Però, proprio ora che servirebbero quelle retroguardie, l’Ungheria, se non defeziona del tutto, mette i bastoni tra le ruote: come può permetterselo?
E l’Italia? Con un governo che, almeno di facciata, dovrebbe solidarizzare con le posizioni di Orban, questo disgraziato paese non sembra cogliere nemmeno questa opportunità: così almeno sembrerebbe alla luce dell’ultima visita di Orban di pochi giorni orsono.
Ovviamente non si può sottovalutare la differenza tra le due forme di governo: non conosco il sistema Ungherese nel dettaglio ma la figura del primo ministro sembra avere un peso notevole mentre il nostro sistema costituzionale prevede la figura del Presidente della Repubblica che, come la storia recente conferma, è sostanzialmente un sorvegliante pronto a reindirizzare la politica di qualunque governo entro binari prestabiliti (non vi è giorno che il nostro PdR non esterni la irrevocabilità della scelta UE e Nato e dei valori “occidentali”). La centralità del parlamento, poi, da noi è il veicolo attraverso il quale maggioranze differenti dal responso elettorale in quanto frutto del noto salto della quaglia, hanno dato spazio a governi tecnici forieri delle peggiori iniziative tutte eterodirette da Washington, Londra e Bruxelles.
Eppure il declino Italiano è palese e l’autocastrazione conseguita dalla decisione di interrompere i rapporti con la Russia è evidente a chiunque.
Qualche tempo fa mi è capitato di vedere un intervista a Enrico Mattei: non saprei collocarla nel tempo ma era ancora in bianco e nero. Mattei raccontava un aneddoto, senza fare nomi, relativo ad una trattativa per la costruzione di una raffineria: Mattei chiudeva l’intervista affermando che gli stranieri intesi come Stati e Mutinazionali, dovevano capire che l’epoca dell’Italia che si approcciava agli altri con il cappello in mano era finita.
So bene la fine che ha fatto Mattei anche, ma non solo, per l’opposizione alle “sette sorelle” e so anche bene che, con l’operazione Tangentopoli, una intera classe politica capace di fare, in qualche modo l’interesse nazionale, è stata cancellata e sostituita da veri e propri incompetenti, quando va bene, ovvero cotonieri (come amava chiamarli il Prof La Grassa) quando va male.
Mi chiedo tuttavia: non è rimasto veramente nulla dell’esperienza di uomini come Mattei?
Ho citato questo esempio non a caso. Mi spiego meglio: dopo la fine della IIWW, l’Italia si trovava in una situazione particolare. Era nazione sconfitta ed aveva uno dei partiti comunisti più grandi d”europa ed a due passi dalla Cortina di ferro. In quel lasso di tempo, il polo di attrazione delle masse era l’appartenenza alle due ideolologie contrapposte: il comunismo ed il liberal capitalismo ed i partiti tradizionali ne erano il collettore: è come se, in tutti quegli anni, si fosse vissuti in un tempo sospeso tra la rivoluzione che sarebbe venuta (seppure con metodi “democratici”) e la sconfitta del comunismo. Nelle more di questo tempo sospeso, in ogni caso, è indiscutibile che il paese si sia evoluto economicamente (da paese rurale a paese industriale) e socialmente. E’ altrettanto innegabile che, tra le due fazioni, si sia sviluppato un certo consociativismo e che il PCI, seppure non formalmente al governo, abbia gestito porzioni di potere.
Quel consociativismo non è stato del tutto negativo: è stato infatti capace, in alcune circostanze, di riconoscere l’interesse nazionale e l’opera di Mattei ne è, secondo me, un esempio. Ed anche dopo la sua morte, la sua eredità ha consentito la realizzazione del gasdotto tra Europa e Urss cui ha partecipato anche l’Italia che ha così ottenuto una risorsa a basso costo: per quell’accordo, è risaputo, si mediò attraverso Armando Cossutta i necessari contatti in URSS e fu invece l’allora Pentapartito a mediare con gli USA i quali bloccarono l’esportazione di alcuni componenti che dovevano essere utilizzati nelle pompe necessarie al gasdotto. Ero poco più di un ragazzino e mio padre, che lavorava all’epoca per l’azienda che necessitava del componente per le pompe che dovevano essere fornite all’ENI, ne discuteva, a sera, descrivendo le febbrili attività per la ricerca di soluzioni alternative nel mentre l’azienda, che faceva parte di EFIM, si attivava con la parte politica affinchè interagisse con gli Americani.
Come detto tangentopoli spazzò via tutto: fine delle ideologie che costituivano, comunque, polo di attrazione e fine di quel rapporto consociativo nell’interesse della nazione anche se il consociativismo è rimasto ma senza più alcun riferimento all’interesse nazionale. Anzi, direi esattamente l’opposto e cioè un consociativismo contro l’interesse nazionale.
Peraltro, anni di educazione a confondere l’interesse nazionale con il nazionalismo, hanno favorito ciò che poi è avvenuto: il paese, dopo tangentopoli, si è trovato privo di una seppur modesta guida.
Abituati per anni ad emozionarci per la patria solo nelle partite della nazionale di calcio, senza più nemmeno le ideologie, agli Italiani non è rimasto nulla.
E le conseguenze, di tale vuoto, non hanno tardato ad arrivare: panfilo Britannia, privatizzazione di aziende strategiche, liberalizzazione dei servizi, tagli alla spesa sociale, alla spesa per la ricerca, per la scuola e l’università ecc. ecc..
Si ciancia sui giornali di sovranisti ed Orban è indicato tra questi: lui ed il sovranismo sono sostanzialmente rappresentati come fascismo.
E’ quindi chiaro che parlare di patria rischia di essere, in buona o malafede, frainteso.
Tuttavia, faccio comunque le seguenti domande scomode accollandomi i rischi di fraitendimenti, critiche ed accuse di vetero nazionalismo di ritorno: che cosa è la Patria? Può essere la Patria, una volta definitone il concetto, quella piattaforma ideale capace di creare un senso di appartenenza e di ispirazione? Può essere il filo conduttore di una politica che intenda costruire e difendere una comunità fatta di individui, famiglie, imprese ed apparati statali, in una ottica di interesse generale?
Ripeto e ribadisco: non si tratta di ritornare ai miti novecenteschi o a ideologie superate e sorpassate. Si tratta di trovare un contenitore adatto ad interpretare ed agire, come ente collettivo (lo Stato), nel conflitto strategico internazionale e, nel contempo, interpretare e gestire il conflitto interno tra le varie formazioni sociali che fanno parte dell’Italia: tutto nell’interesse della comunità che la costituisce, della sua autonomia, della sua economia e dei suoi cittadini intesi come complesso di formazioni sociali alle quali, in alcuni casi, dovranno essere chiesti (imposti) sacrifici. Sacrifici alle volte ad alcune Formazioni sociali ed alle volte ad altre formazioni sociali (il nostro WS ha ragione quando ritiene che la vera lotta non sia quella di classe ma il conflitto tra chi per vivere deve lavorare – i molti – e chi invece vive senza dover lavorare – i pochissimi -). Tuttavia compito della politica è quello di imporre anche ai pochi, qualche volta, alcuni sacrifici appunto nell’interesse di tutti.
Non sono in grado di dire se in Ungheria o in Slovacchia o nella Repubblica Ceca, le attuali formazioni politiche, sovraniste o euroscettiche che dir si vogliano, abbiano richiami ideali al concetto di Patria e con quali caratteristiche.
So però che qui, in Italia, l’assenza di un senso di appartenenza, è percepibile ed è terreno fertilissimo per produrre la disgregazione sociale, economica e politica.
In questo senso il vulnus storico di cui soffre l’Italia, dalla caduta dell’impero romano d’occidente, passando per il Medio evo, i comuni, le Signorie, le repubbliche marinare, il rinascimento, gli staterelli vari, il vaticano, fino all’unità nel 1861 nonché, dopo, anche con il ventennio poi seguito dall’epoca repubblicana, è tutta una storia caratterizzata dal perenne intervento esterno e dalla mancanza di una coscienza nazionale che, neppure l’irrendentismo ed il fascismo, sono riusciti a creare.
Insomma, ciò che descrisse il sommo poeta “ahi serva italia di dolore ostello, nave senza nocchier in gran tempesta non donna di provincia ma di bordello” era valido nel 1300 ed è valido ancora oggiusenza alcuna soluzione di continuità.
Se non si trova il modo di creare un rapporto tra enti collettivi (partiti o movimenti o quel che volete) e singoli individui, la massa, che è oggetto mai soggetto, non potrà mai essere il motore, l’energia di un ipotetico cambiamento finalizzato alla costruzione di una comunità, cioè, di una patria.
Chi scrive non ha certo le competenze necessarie allo scopo ma intuisce che in Italia, coloro che fanno parte delle elite politico/economiche, non abbiano alcun senso di appartenenza alla patria: l’attuale classe dirigente, pertanto, non è adatta a prescindere dal colore politico in quanto appositamente scelta tra incompetenti o cotonieri.
Mi chiedo, tuttavia, se tra i così detti intermedi, sia nelle istituzioni che nelle imprese, si possano scorgere barlumi di insofferenza rispetto allo status quo.
Sul punto richiamo una porzione di un recente articolo del Prof Angelo D’Orsi su l’Antidiplomatico, (qui.https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-angelo_dorsi__from_russia_with_love/39602_63351/) il quale descrivendo un suo recente viaggio in Russia dice: “… mi ha colpito la presenza di tutti i grandi brand della moda europei e italiani in specie: Armani, Boggi, Luisa Spagnoli, Calzedonia, Stefano Ricci, Bottega Veneta, e via seguitando. Nel mio hotel (dove tutta la biancheria è etichettata Frette), c’è un meeting di imprenditori europei, con alcuni italiani: mi avvicino e provo a chiacchierare. Non preciso il settore, perché i miei interlocutori non vogliono essere sanzionati, ma mi spiegano che loro e pressocché tutti i colleghi imprenditori hanno messo a punto sistemi vari che consentono di sfuggire ai controlli sanzionatori, e continuare a fare affari in Russia. Uno di loro, sbotta: “Ma secondo lei io devo smettere di vendere ai russi perché lo dice la von der Leyen?! E la libertà di cui ciancia Draghi non è innanzi tutto quella di commerciare? Per sopravvivere, per far girare l’economia, e quindi far bene al nostro Paese!… Se io non vendo smetto di produrre, e licenzio i miei operai e impiegati. È questo che vogliono?!”. Si infervora e gli scappa qualche bestemmia. E mi saluta con un definitivo: “Questi sono pazzi o cretini, creda a me!”.Alcune aziende hanno seguito un’astuta strategia che potrei definire “di distrazione” cambiando le denominazioni ma continuando a vendere i prodotti di prima. Altre hanno delocalizzato o i luoghi di produzione o di vendita…..”
Quindi un embrione di fronda, forse, esiste.
Si tratta solo di capire se può emergere o come farla emergere.
I termini “teoria” e “dottrina” nelle scienze politiche
Le scienze politiche (politologia/politologia) sono una disciplina scientifica generale che studia la politica. Il termine “politica” era spesso definito come l’arte di governare lo Stato (dal greco antico polis – città-Stato), ma nel corso della storia è stato inteso e trattato in modo diverso come materia di studio. Inizialmente, la scienza politica come materia di studio era solo una parte della storia generale del pensiero filosofico, ma in seguito è diventata gradualmente indipendente sotto forma di storia delle dottrine politiche, storia della filosofia politica o filosofia sociale, pensiero filosofico statale e/o giuridico, e persino come storia delle teorie giuridiche, dato che l’arte di gestire uno Stato e i suoi cittadini si basa in gran parte sull’applicazione, l’interpretazione, la realizzazione e il rispetto delle norme giuridiche ufficiali (nonché sull’applicazione della legislazione giuridica non scritta ma tradizionale e delle sue norme socio-morali sulla base delle quali un determinato ambiente sociale ha vissuto e risolto le sue relazioni interpersonali per secoli).
Il termine “filosofia” nel suo significato è sufficientemente elaborato e conosciuto e si riduce essenzialmente all’“amore per la saggezza”, cioè alla conoscenza o alla conoscenza generale (scienza) dell’uomo, cioè della sua esistenza in questo mondo o nell’altro, nonché del mondo che lo circonda, compresa una vasta gamma di fenomeni sociali e naturali che influenzano l’esistenza dell’uomo. Tuttavia, il significato dei termini “teoria” e “dottrina” rimane in molti casi specifici di ricerca, almeno per quanto riguarda le scienze politiche, indefinito o, nella maggior parte dei casi, definito in modo poco chiaro o non accettato a livello generale (globale).
Il termine “teoria” ha origini greche antiche e, in senso generale, rappresenta una conoscenza generalmente accettata come tale. Tuttavia, tale conoscenza appare anche nella pratica in almeno tre forme:
1. Conoscenza teorica che non è (o non deve essere) direttamente correlata all’applicazione nella pratica;
2. Conoscenza scientifica, ovvero conoscenza ottenuta attraverso sistemi ufficiali di verifica e prova scientifica, e che come tale diventa formalmente provata e “generalmente riconosciuta” come conoscenza accurata (provata) (ovvero conoscenza del funzionamento di un determinato fenomeno);
3. Significato ipotetico (cioè un’affermazione che non è stata ancora provata, cioè “generalmente riconosciuta”, ma che è ampiamente applicata nella pratica così com’è).
A differenza del termine ‘teoria’, il termine “dottrina” in scienze politiche è generalmente prevalente tra i teorici e gli scrittori occidentali, ma soprattutto francesi, che si occupano di storia delle scienze economiche. Tuttavia, lo stesso termine “dottrina” nelle scienze politiche può assumere un significato completamente diverso in contesti diversi, ad esempio in riferimento alle azioni di politica estera delineate da uno Stato (ad esempio, la “Dottrina Bush” del 2001, che proclamava la politica “America First”). In ogni caso, i teorici francesi ritengono che nella storia della filosofia (politica ed economica) si debbano distinguere due tipi di pensiero:
1. Conoscenze scientifiche e leggi accuratamente stabilite e ufficialmente adottate (nel senso stretto del termine – provate) relative a un determinato fenomeno che è oggetto di un determinato studio – “teoria”;
2. Opinioni, comprensioni, interpretazioni o punti di vista di determinate persone che non sono ufficialmente stabiliti come “teorie scientifiche”, ma sono utilizzati come una sorta di direttiva per azioni politiche specifiche – “dottrina” o ‘ipotesi’, che sono più o meno istruzioni pratiche per un’azione specifica, ma non conoscenze scientificamente riconosciute ufficialmente come verità provata o sviluppo provato di un fenomeno (“teoria”).
Tuttavia, il termine “dottrina” è di origine latina e deriva dalle parole doceo, docere, doctus (insegnare, essere insegnato, conoscere). Tuttavia, questo termine latino ha originariamente diversi significati, come ad esempio:
1. Conoscenza teorica che non ha ancora ricevuto conferma scientifica ufficiale come verificata, cioè conoscenza provata nella vita pratica (questo punto è praticamente identico al punto 3 della suddetta presentazione del significato del termine “teoria”);
2. Conoscenza che è essenzialmente considerata vera, ma che in senso pratico è legata all’azione (politica o economica), cioè conoscenza che non è puramente teorica. In questo caso, è importante notare che la conoscenza teorica è considerata un fatto provato, mentre la dottrina implica una sorta di istruzioni per l’azione pratica o, in politica, un ordine di eseguire un determinato compito pratico al fine di risolvere un problema pratico.
3. Conoscenza scientifica, che coincide praticamente con i punti 1 e 2 della suddetta presentazione del significato del termine “teoria”.
Tuttavia, nella pratica della ricerca scientifica nelle scienze politiche, giuridiche ed economiche, “teoria” significa conoscenza comprovata (scientifica), mentre il termine “dottrina” si riferisce a conoscenze ancora non comprovate da un punto di vista puramente scientifico – ipotesi che, in sostanza, non devono essere necessariamente errate, ma che nella pratica non sono ancora state formalmente dimostrate come scientificamente corrette, cioè vere. Nelle scienze politiche, il termine “teoria” è usato nel senso più ampio del termine per indicare la conoscenza in senso generale: quindi, come conoscenza che è stata scientificamente verificata, ma anche come conoscenza che è ancora sotto forma di opinione ipotetica non provata o conoscenza che è fondamentalmente diretta all’attività pratica di un certo gruppo di persone.
Dr. Vladislav B. Sotirovic
Ex professore universitario
Ricercatore presso il Centro di studi geostrategici
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The Terms “Theory” and “Doctrine” in Political Science
Political science (politology/politologia) is a general scientific discipline of politics. The term “politics” was most often defined as the art of managing the state (ancient Greek polis – city-state), but it was understood and treated differently as a subject over the course of history. Initially, political science as a subject was only part of the general history of philosophical thought, but later it gradually became independent in the form of the history of political doctrines, the history of political philosophy or social philosophy, state and/or legal philosophical thought, and even as the history of legal theories, given that the art of managing a state and its citizens is largely based on the application, interpretation, realization, and respect for official legal norms (as well as on the application of unwritten but traditional legal legislation and its socio-moral norms based on which a certain social environment has lived and resolved its interpersonal relations for centuries).
The term “philosophy” in its meaning is sufficiently elaborated and known and essentially boils down to “love of wisdom”, i.e., knowledge or general knowledge (science) about man, i.e., his existence either in this world or the next, as well as the world around him, including a wide range of social and natural phenomena that influence man’s existence. However, the meaning of the terms “theory” and “doctrine” remains in many specific research cases, at least as far as political science is concerned, undefined or, in most cases, unclearly defined or not accepted at some general (global) level.
The term “theory” is of ancient Greek origin and, in a general sense, represents knowledge that is generally accepted as such. However, such knowledge also appears in practice in at least three forms:
1. Theoretical knowledge that is not (or does not need to be) directly related to application in practice;
2. Scientific knowledge, i.e., knowledge obtained through official systems of scientific verification and proof, and which as such becomes formally proven and “generally recognized” as accurate (proven) knowledge (i.e., knowledge of the functioning of a certain phenomenon);
3. Hypothetical meaning (i.e., a statement that has not yet been proven, i.e., “generally recognized”, but is widely applied in practice as it is).
In contrast to the term “theory”, the term “doctrine” in political science is generally prevalent among Western, but especially French, theorists and writers who deal with the history of economic science. However, the same term “doctrine” in political science can mean a completely different context in terms of, for example, the outlined foreign policy actions of a state (e.g., the “Bush Doctrine” of 2001, which proclaimed the “America First” policy). In any case, French theorists believe that in the history of (political and economic) philosophy, two types of thought should be distinguished:
Accurately established and officially adopted (in the strict sense of the word – proven) scientific knowledge and laws relating to a certain phenomenon that is the object of a certain study – “theory”;
2. Views, understandings, interpretations, or opinions of certain persons that are not officially established as “scientific theories” but are used as a kind of directive for specific political actions – “doctrine” or “hypotheses”, which are more or less practical instructions for a specific action but not officially scientifically recognized knowledge of proven truth or proven development of phenomenon (“theory”).
Nevertheless, the term “doctrine” is of Latin origin and comes from the words doceo, docere, doctus (to teach, to be taught, to know). However, this Latin term originally has several meanings, such as:
1. Theoretical knowledge that has not yet received official scientific confirmation as verified, i.e., proven knowledge in practical life (this item is practically identical to point 3 from the above-mentioned presentation of the meaning of the term “theory”);
2. Knowledge that is essentially considered true, but is in a practical sense related to action (political or economic), i.e., knowledge that is not purely theoretical. In this case, it is important to note that theoretical knowledge is considered proven facts, while doctrine implies some kind of instructions for practical action or, in politics, an order to perform a certain practical task in order to solve a practical problem.
3. Scientific knowledge, which practically coincides with points 1 and 2 from the above-mentioned presentation of the meaning of the term “theory”.
However, in the practice of scientific research in political, legal, and economic sciences, “theory” means proven (scientific) knowledge, while the term “doctrine” refers to still unproven knowledge from a purely scientific point of view – assumptions, which in essence do not have to be incorrect but in practice have not yet been formally proven as scientifically correct, i.e. true. In political science, the term “theory” is used in the broadest sense of the word for knowledge in a general sense: therefore, as knowledge that has been scientifically verified, but also as knowledge that is still in the form of use as an unproven hypothetical opinion or knowledge that is basically directed at the practical activity of a certain group of people.
Dr. Vladislav B. Sotirovic
Ex-University Professor
Research Fellow at Centre for Geostrategic Studies
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Di tutti i progressi nella nostra comprensione della mente umana nell’ultimo secolo circa, nessuno è più fondamentale della scoperta dell’Inconscio e della lenta comprensione del suo funzionamento, eppure nessuno ha avuto così scarso effetto sul nostro modo di pensare al mondo, nella maggior parte dei casi. Questo saggio riguarda cosa potrebbe accadere se ciò accadesse.
In teoria, le intuizioni di Freud (sì, so che aveva dei predecessori, ma non ho lo spazio per trattare tutto, mi dispiace) le precedevano tutte. Il modello meccanico delle funzioni cerebrali, l’assunto che la mente cosciente fosse tutto ciò che contava, o addirittura esistesse, la convinzione che ci fosse una corrispondenza esatta tra pensiero ed espressione, e che dicessimo ciò che intendevamo, e intendessimo ciò che dicevamo, non erano più sostenibili. Nella vita quotidiana (dove, ironia della sorte, si era sempre riconosciuta l’importanza di apparenti confusioni ed errori verbali) divenne comune parlare di “lapsus freudiani”, in inglese, e di lapsus révélateur in francese, anche tra coloro che non avevano mai letto, o sentito parlare, di Psicopatologia della vita quotidiana. Generazioni di studenti di letteratura furono introdotte all’idea che il narratore di Proust non sempre comprende le proprie motivazioni, e che quando Antonio ne Il mercante di Venezia non sa perché è così triste, è a causa dei suoi sentimenti inconfessati per Bassanio.
Solo nella psicologia accademica, ironicamente, l’idea dell’inconscio è stata disprezzata e sminuita. Nella prima metà del XX secolo, la ricerca psicologica era sotto la morsa del comportamentismo, e quindi contava solo il comportamento effettivo delle persone, non ciò che pensavano. Il rifiuto irritabile di Freud e del movimento psicoanalitico fu rafforzato dal desiderio di far apparire la ricerca psicologica una scienza “dura”, che si occupava di cose quantificabili e quindi rappresentabili su grafici e tabelle. Solo lentamente gli psicologi si sono avvicinati allo studio dei processi mentali, e sono stati infine costretti a prendere in considerazione i processi inconsci solo quando le letture hanno mostrato che nel cervello dei soggetti sperimentali accadevano cose di cui i soggetti stessi erano completamente inconsapevoli. Solo di recente gli psicologi hanno accettato a malincuore le intuizioni della psicoanalisi e a riconoscere l’enorme importanza dell’Inconscio. Ora è accettato che l’Inconscio sia fondamentale nel determinare i nostri pensieri e comportamenti, e che i processi mentali inconsci siano in realtà altamente sofisticati e adattivi, anche se ne siamo in gran parte inconsapevoli. In effetti, alcuni psicologi sono arrivati al punto di suggerire che la mente inconscia svolge praticamente tutto il lavoro e che, in fin dei conti, la volontà cosciente potrebbe essere solo un’illusione.
Eppure, l’effetto di questo riconoscimento sul modo in cui vengono scritti la storia, la biografia, le scienze politiche e l’opinione pubblica d’attualità è stato prossimo allo zero, con alcune infelici eccezioni che affronteremo più avanti. Questo è, a dir poco, strano. Non si tratta qui di cercare di erigere nuove ed elaborate teorie psicologiche per spiegare eventi attuali o passati; si registra solo il pensiero che, ora come in passato, i decisori e coloro che ne scrivono potrebbero agire o parlare per ragioni di cui non sono del tutto consapevoli. Eppure, in varie occasioni nel corso dei decenni, quando ho suggerito, su carta o di persona, che questo tipo di fattori debbano almeno essere riconosciuti, sono stato accolto con ogni sorta di atteggiamento, dalla semplice incomprensione al sarcastico rifiuto. Il che è, a dir poco, curioso.
In parte, ovviamente, abbiamo a che fare con quel tipo di scientismo volgare e argomentativo del diciannovesimo secolo che ancora oggi determina il modo in cui la maggior parte delle persone pensa al mondo. La visione materialistica del mondo, sempre più abbandonata nelle ultime generazioni dagli stessi scienziati, ha ancora oggi una presa potente sul pensiero anche delle persone istruite. Ha il vantaggio di rendere facili spiegazioni ampie, di richiedere poca conoscenza di materie come la lingua e la cultura (e, in effetti, la psicologia) e di fornire spiegazioni opportunamente riduzioniste per quasi tutto ciò che accade nel mondo. Le interpretazioni rozzamente materialiste della storia e degli eventi attuali si dimostrano errate o incomplete con soporifera regolarità, eppure rimangono più potenti che mai. Gli esperti presumono che gli attori, anche nelle crisi, si comportino con incrollabile razionalità e siano guidati da motivazioni del tutto consapevoli, la maggior parte delle quali interamente materialistiche. Questo è, a dir poco, singolare.
Parte del motivo, come ho già accennato, è la sua semplicità. Questo modo di pensare si adatta perfettamente alle teorie realiste e neorealiste del comportamento statale e a molti paradigmi di comportamento politico basati sull’attore razionale. Si sposa bene con i tentativi di ridurre tutto il comportamento politico a fattori economici, iniziati con il marxismo, ma non conclusi con esso. E soprattutto evita la necessità di pensare agli attori politici come esseri umani viventi e respiranti, con le proprie fragilità, desideri e bisogni, piuttosto che come sagome di cartone che agiscono secondo un qualche modello teorico. È anche l’equivalente politologico delle teorie dell’attore economico razionale con informazione perfetta e, almeno in teoria, apre la strada a un trattamento finale del comportamento politico con il (falso) rigore intellettuale della teoria economica. Inoltre, naturalmente, Freud è attualmente fuori moda, per nessun’altra ragione ovvia se non il fatto che è nato nel diciannovesimo secolo in una società molto diversa e non aveva le stesse idee delle nostre élite culturali contemporanee. Ma nonostante ciò, oggigiorno nessuno sosterrebbe seriamente che l’Inconscio non esista affatto. (E comunque la psicoanalisi come disciplina si è sviluppata notevolmente nell’ultimo secolo.) Eppure il fatto è che le motivazioni inconsce giocano in modo dimostrabile e inequivocabile un ruolo nel modo in cui sia il grande pubblico che le élite politiche concepiscono il mondo e nel modo in cui cercano di interpretare gli eventi.
Ecco un esempio semplice e classico, che è stato effettivamente studiato dagli storici. Se si esamina attentamente il linguaggio usato dai sostenitori della guerra in Ucraina, si scopre subito che dobbiamo “fermare Putin ora”, altrimenti… accadrà qualcosa in futuro, non sappiamo cosa. Questa ingiunzione viene ripetuta all’infinito da paesi spesso molto lontani (Parigi dista circa 2500 km da Mosca, per esempio). Anzi, viene spesso ripetuta da paesi che non hanno alcun disaccordo strategico con la Russia. Quindi Gran Bretagna e Francia, tra i maggiori allarmisti, hanno intrattenuto relazioni ragionevoli con la Russia per molto tempo. Sono stati per lo più alleati e, a parte la breve guerra di Crimea e il sostegno a diverse parti in alcuni conflitti, le loro relazioni non sono state particolarmente conflittuali secondo gli standard europei. Non c’è alcuna ragione logica per cui dovrebbero essere nemici, e tanto meno combattersi tra loro.
La risposta, ovviamente, risiede nelle esperienze degli anni Trenta, e in particolare nell’autoflagellazione che le classi politiche e intellettuali britannica e francese si inflissero quasi immediatamente dopo l’accordo di Monaco del 1938, e sempre più dopo lo scoppio della guerra. Sono stati scritti interi libri su “Se solo avessimo”, “Se solo non avessimo”, “Chi sono i colpevoli?” e, soprattutto, “Questo non deve mai più accadere”. Persone come Churchill e De Gaulle, che all’epoca non erano al governo, riuscirono a imporre una narrazione di debolezza e codardia di fronte all’aggressione che dominò a lungo la narrazione storica del periodo e che non è ancora stata superata. E quando inglesi e francesi si stancano temporaneamente dell’autoflagellazione, gli americani sono sempre pronti a intervenire per colmare il vuoto. “Qualcosa”, a quanto pare, si sarebbe dovuto fare, ma come spesso accade in questi casi, quel qualcosa non può essere effettivamente definito e non va mai oltre la fase esitante di “resistere all’aggressione” o qualcosa di simile. L’idea che in qualche modo la Germania avrebbe potuto essere persuasa o costretta ad accettare per sempre le disposizioni di Versailles, o in alternativa avrebbe potuto essere duramente bastonata in una rapida guerra preventiva, continua a circolare in assenza di prove a sostegno.
A questo punto, è importante ricordare che la cosa più fondamentale, ma anche la più sorprendente, della mente inconscia è che non ha il senso del tempo. È sempre presente. Lo sappiamo per esperienza personale: un trauma, una delusione, un errore di giudizio di decenni fa, se non affrontati, producono oggi gli stessi sintomi fisici ed emotivi di allora. Probabilmente abbiamo tutti incontrato persone che hanno fatto qualcosa di cui si sono amaramente pentite quando erano molto più giovani e che inconsciamente mettono in atto rituali di espiazione per tutta la vita, come se il passato potesse essere cambiato. E naturalmente, dal punto di vista dell’inconscio, dove il tempo è sempre presente, potrebbe esserlo. Esistono diverse terapie per cercare di portare alla luce questi conflitti e forse dissiparli, ma nulla di simile, per quanto ne so, è disponibile per la classe politica occidentale.
Ciò che colpisce è come l’impulso all’espiazione, in questo caso, fosse inizialmente relativamente palese, e nel corso dei decenni sia scivolato impercettibilmente nell’inconscio. Il mantello del nuovo Hitler e del nuovo regime nazista è stato posto sulle spalle di destinatari improbabili: ma d’altronde l’inconscio ha una sua logica particolare. Alla fine degli anni Quaranta, si pensava ampiamente, e si sosteneva spesso, che Stalin stesse semplicemente ripetendo il modello di conquista territoriale di Hitler, e che quindi dovesse essere fermato. Negli anni Cinquanta, Nasser era il “nuovo Hitler” e la sua Filosofia della Rivoluzione era il nuovo Mein Kampf. Gli inglesi e i francesi si congratulavano con se stessi perché l’operazione di Suez aveva almeno impedito la distruzione di gran parte dell’Africa da parte di Nasser. Negli anni Sessanta, Patrice Lumumba era il nuovo uomo pericoloso, proprio mentre si temeva che la vittoria del FLN in Algeria avrebbe aperto la strada a un’invasione sovietica dell’Europa meridionale. La teoria del domino che portò alla guerra del Vietnam fu essenzialmente un esempio di questo modo di pensare, così come la reazione occidentale all’invasione sovietica dell’Afghanistan nel 1979, ma a questo punto le reazioni dei leader occidentali avevano perso ogni contatto con gli eventi degli anni ’30 ed erano diventate in gran parte inconsce. All’epoca delle due guerre contro l’Iraq o del bombardamento della Serbia, allora, secondo la mia osservazione, queste idee si erano praticamente ritirate completamente nell’inconscio, lasciando solo vaghe tracce verbali nella mente cosciente a significare la loro presenza.
Ma come hanno sempre detto gli analisti, ciò che conta davvero non è ciò che le persone vogliono dire, ma ciò che effettivamente dicono e ciò che rivelano inavvertitamente. La crisi ucraina è un classico assoluto, l’epitome di come generazioni di sensi di colpa e tentativi di espiazione, di abuso della storia per scopi politici di parte e di uso di emozioni represse come scuse per giustificare guerre ovunque siano finalmente sprofondate così profondamente nell’inconscio che i partecipanti non sanno più nemmeno perché pensano ciò che pensano. E in effetti, qualsiasi osservatore imparziale dovrebbe concludere che la crisi ucraina incontrollata è disperatamente e inespertamente guidata dal lato occidentale da un gruppo di leader di capacità rigorosamente moderate che, francamente, ora non hanno la minima idea di cosa stiano facendo . Questa è, ovviamente, una prospettiva spaventosa per chi è occidentale, ed è comprensibile che alcuni abbiano cercato conforto nell’immaginare un gruppo oscuro e anonimo di manipolatori che sanno cosa stanno facendo, mentre altri hanno sostenuto che ovunque ci trovassimo in un dato momento, il Piano era sempre stato in atto. (Tornerò tra un attimo all’origine di tali idee.) Ma se ci pensate, se accettate che la maggior parte del nostro comportamento nella vita quotidiana è determinato da fattori inconsci, non dovrebbe essere altrettanto vero per le crisi politiche, con il loro panico, lo stress e la mancanza di informazioni?
Eccoci qui, guidati da persone a malapena consapevoli di ciò che stanno facendo e del perché, che vivono un’allucinazione collettiva e giocano a prendere le decisioni che i loro bisnonni avrebbero dovuto prendere ma non hanno fatto. Così, la “guerra” che alcuni leader ed esperti occidentali immaginano oggi con leggerezza contro la Russia è simbolicamente la guerra di aggressione non combattuta contro la Germania del 1938-39, proprio come l’armamento dell’Ucraina è una sorta di espiazione per il mancato invio di armi al governo repubblicano in Spagna durante la Guerra Civile: un’azione che molti hanno sostenuto (erroneamente, a mio avviso) avrebbe potuto impedire la Seconda Guerra Mondiale. E per quel che vale, dal punto di vista dell’argomentazione, a sostegno della Russia c’è la motivazione inconscia di combattere simbolicamente la guerra preventiva non combattuta che avrebbe potuto (e alcuni pensano avrebbe dovuto) essere scatenata da Stalin nel 1941. Ci sono alcune prove che l’attuale leadership russa sia guidata da questi stessi impulsi inconsci, ma non ne so abbastanza sulla Russia per poter esprimere un giudizio.
Questo è tutto ciò che dirò direttamente sull’Ucraina, poiché ho già trattato ampiamente altri aspetti della questione altrove. Vorrei passare a modi in cui potremmo comprendere più genericamente l’influenza dell’inconscio sulla psiche dei decisori, con esempi concreti, ma prima sono necessarie alcune precisazioni.
Tanto per cominciare, la mia argomentazione non ha alcuna relazione con la psicologizzazione popolare di personaggi storici, come se potessimo entrare nei loro crani. (“Cosa avrà pensato Napoleone mentre salpava dall’Oceano Atlantico da Sant’Elena nel 1816?” Non ne abbiamo idea e sarebbe uno spreco di tempo e di energie speculare). Né è correlata alla moda della psicoanalisi amatoriale di persone decedute, come nei tentativi di spiegare la Seconda Guerra Mondiale facendo riferimento all’infanzia apparentemente travagliata di Hitler. E non è nemmeno fattibile cercare di costruire una sorta di teoria generale dell’Inconscio nella Storia, proprio perché i contenuti della mente inconscia differiscono da persona a persona, così come gli effetti dell’Inconscio e le circostanze in cui questi effetti diventano importanti. Inoltre, la maggior parte delle decisioni politiche viene presa da gruppi (anche se un leader ha l’ultima parola) e quasi per definizione i contenuti del mio inconscio non sono i contenuti del tuo. Solo in casi come quello sopracitato, che ho chiamato sindrome di Monaco, si può parlare di un’influenza collettiva della mente inconscia più o meno nella stessa direzione e su larga scala.
In ogni caso, non dovremmo denigrare l’inconscio con leggerezza: ne abbiamo bisogno. Se ogni pensiero, parola e azione dovesse essere preparato ed eseguito consapevolmente, non saremmo in grado di vivere. Il problema è cosa c’è nell’inconscio, se è pericoloso in un dato caso, e perché coloro che scrivono con erudizione sulle cause della guerra non prendono mai in considerazione le intuizioni della psicologia, rifugiandosi invece in fuorvianti banalità sull’aggressività umana istintiva. L’influenza dell’inconscio non è sempre negativa, né le decisioni che propone, e per le quali la mente conscia deve trovare una giustificazione, sono necessariamente sbagliate o inadeguate.
Infine, e cosa più importante, il fatto che le decisioni siano in gran parte prese dalla mente inconscia non significa che siano necessariamente casuali o irrazionali. Dopotutto, è abbastanza chiaro che tutte le decisioni e i discorsi sono in qualche modo influenzati dalla mente inconscia. In effetti, gli psicologi ci dicono che in casi estremi – ad esempio nei paranoici – questi processi possono essere, e spesso lo sono, razionali e coerenti. Potete verificarlo visitando qualsiasi sito di cospirazionismo, dove personalità anal-ritentive con troppo tempo a disposizione usano argomentazioni ingegnose e ricerche estremamente dettagliate per cercare di convincerci che, ad esempio, Paul McCartney morì in un incidente d’auto nel 1966 e fu sostituito da un sosia, o che i nazisti fuggirono in Antartide nel 1945 a bordo di un disco volante.
Se si accetta l’ovvia ipotesi che l’inconscio sia presente tanto nel processo decisionale in caso di crisi, nello scrivere e nel parlare di essa, quanto nella vita di tutti i giorni, allora ci si aspetterebbe di vedere ripetuti schemi comuni della vita quotidiana, e in effetti è così. Basteranno alcuni semplici esempi. Uno è la semplice cecità a ciò che non vogliamo vedere. Pertanto, sia gli amici che i nemici trattano ancora gli Stati Uniti come se fossero una potenza militare decisiva in Europa, quando in realtà non hanno forze militari in grado di fare la differenza nei combattimenti in Ucraina. Questa è una di quelle scomode verità di cui decidiamo semplicemente di non parlare, come l’imminente necessità di rimborsare un prestito o la preoccupante rata che non vogliamo ammettere possa essere maligna. L’inconscio ci protegge dalla necessità di fare qualcosa per affrontare la nuova situazione.
Un caso parallelo è la nostra capacità di dimenticare e distorcere fatti scomodi, e di rimanere convinti della loro verità anche sotto pressione. Mi è stato detto da diverse persone presenti all’epoca , ad esempio, che i bombardamenti NATO sulla Jugoslavia furono una risposta all’espulsione degli albanesi, sebbene una semplice occhiata alle notizie dell’epoca, per non parlare dei miei ricordi, dimostri che ciò è sbagliato. Ma inconsciamente, le persone invertono causa ed effetto in tali situazioni per apparire virtuose. Ci sono molti altri casi di “buco della memoria”: uno di questi è la convinzione, ormai comune, che la Siria non avesse armi chimiche nel 2013, sebbene il governo le avesse ammesse e che fossero state ritirate sotto controllo internazionale. In entrambi i casi, l’inconscio funziona come un potente editor, plasmando e semplificando i nostri ricordi (come dimostrano inevitabilmente i miseri risultati dell’affidarsi alle prove dei testimoni oculari nei casi giudiziari).
Un caso correlato è quello in cui la mente inconscia si ritrae in preda al disordine da un problema troppo grande e spaventoso da risolvere o comprendere. Sarebbe interessante sapere, ad esempio, se i leader mondiali e i loro consulenti riuniti alle riunioni della COP sull’ambiente siano consapevoli dello stato del clima mondiale e di ciò che probabilmente accadrà. Ci sono cose che sono semplicemente troppo opprimenti da assimilare, e la nostra mente inconscia le nasconde alla nostra normale coscienza. Ci pensavo di recente leggendo diversi articoli sul cessate il fuoco di Gaza che si presentavano come disinteressati e che si soffermavano amorevolmente sull’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 e sulla necessità di assicurarsi che Hamas non prendesse parte al prossimo governo, ma non si sono nemmeno soffermati a menzionare le morti palestinesi , nemmeno per minimizzarle. Questo è l’inconscio che trattiene cose angoscianti che non riusciamo a elaborare fuori dalla mente cosciente, ed è ragionevole scommettere che molti leader europei e i loro consulenti si trovino probabilmente in questa situazione.
La domanda è quindi se esistano modi per pensare alla mente inconscia in modo più organizzato e se possiamo avvalerci del lavoro di qualcuno che ne sa molto più di me su questi temi. Vorrei suggerire che alcuni lavori di Jacques Lacan potrebbero essere utili in questo caso.
Ora, ci sono un paio di avvertenze di sicurezza da dare prima. Lacan era un pensatore notoriamente, e deliberatamente, complesso e difficile, che cambiò idea su diverse questioni importanti nel corso degli anni e non cercò un vasto pubblico, preferendo limitare il suo pubblico ai colleghi professionisti. Pubblicò poco durante la sua vita e la sua eredità è una serie di seminari settimanali nella seconda metà della sua vita, successivamente dattiloscritti e pubblicati lentamente in forma rivista nel corso degli anni, dopo la sua morte nel 1980. Non è chiaro se siano già stati tutti pubblicati, ma se vi sentite coraggiosi potete trovare una copia delle trascrizioni qui . Inoltre, la complessità del suo pensiero e della sua espressione rendeva difficile una traduzione accurata, e non è esagerato affermare che molte delle scuole più impenetrabili della moderna teoria sociale americana traggano origine da incomprensioni di ciò che Lacan diceva. (Niente di che, se non un risultato piccante per uno psicoanalista.) I risultati della sua influenza sono quindi alquanto ambigui.
Ciononostante, vorrei analizzare e prendere un paio delle idee più interessanti e utili di Lacan, e vedere dove ci portano. Ognuna è preziosa: nessuna, come ci si aspetterebbe, è del tutto originale. In ogni caso le delineerò brevemente e poi passerò a spiegare come ritengo possano essere utili per comprendere sia come vengono gestite le crisi politiche, sia come vengono interpretate e descritte. Se siete interessati ad approfondire, ci sono diverse buone guide al pensiero di Lacan in inglese, di cui la più recente e meno tecnica è quella di Todd McGowan, che ha anche un canale YouTube informativo.
La prima è l’idea dell’Ordine Simbolico, che è la struttura che sottende tutte le nostre azioni e conferisce loro significato. È il modo in cui comprendiamo la realtà e, attraverso il linguaggio, comunichiamo con gli altri. L’Ordine Simbolico non è facoltativo e noi siamo sempre soggetti ad esso. Ora, questo sembra strutturalismo, e in effetti gli studenti di Lacan hanno trovato chiari precedenti in Lévi-Strauss e Saussure , ma Lacan si sforza di non presentare il Soggetto come una vittima indifesa dell’Ordine (come potrebbero fare Marcuse e Foucault), bensì come un individuo attivo e soggettivo. L’Ordine Soggettivo stabilisce una serie di concetti (alcuni li hanno chiamati “finzioni”) che permettono al Soggetto di orientarsi, ma non esiste una struttura complessiva visibile, e in effetti agisce solo indirettamente. Questi concetti non sono necessariamente coerenti tra loro, né tantomeno coerenti, e non si impongono a noi. Accettiamo quelli che meglio corrispondono alle esigenze della nostra psiche. Naturalmente non c’è motivo per cui i concetti debbano rispecchiare fedelmente l’ordine reale delle cose, e questo è un punto importante su cui torneremo tra un attimo.
Il linguaggio è fondamentale qui, e Lacan eredita da Saussure l’idea che non vi sia alcun legame tra le parole stesse (significanti) e gli oggetti a cui presumibilmente si riferiscono (il significato). Il linguaggio non si riferisce quindi alla realtà degli oggetti. Nella misura in cui esiste una relazione, questa è negativa: quindi, dice Saussure, il significante “bambino” è semplicemente inteso convenzionalmente come “non adulto”. Ma mentre per Saussure il significato è più importante, per Lacan, in quanto psicoanalista, il significante – in questo caso le parole effettivamente usate – è ciò che conta davvero, perché il significante rappresenta il funzionamento della mente inconscia: come, se vogliamo, l’inconscio sceglie di rappresentare il mondo materiale agli altri e a se stesso. Un esempio evidente e rilevante è il significante “aggressione”, il cui uso pressoché infinitamente variabile ci dice molto sulla persona che lo usa e su come vede il mondo. Da giovane, un certo tipo di persona si chiedeva “come possiamo fermare l’aggressione statunitense in Vietnam?” Comunicando così in forma sintetica, seppur inconsciamente, un’intera filosofia politica. Oggigiorno, se qualcuno ti dice che la guerra in Ucraina è il risultato di un'”aggressione della NATO” (e che non sta lavorando per il governo russo), questo comunica allo stesso modo, seppur inconsciamente, un’intera visione del mondo, e ti permette di prevedere le sue opinioni su una vasta gamma di altre questioni.
Inoltre, non tutte le parti dell’Ordine Simbolico hanno lo stesso status: alcuni significanti hanno uno status più elevato di altri. Pochi movimenti politici abbracciano volontariamente il significante “estremo”, ad esempio: è considerato un significante di basso status, indipendentemente dalle politiche effettive che il movimento può abbracciare e da come sarebbe stato descritto in passato. Allo stesso modo, i significanti vanno e vengono di moda: “patriottico” nel corso della mia vita si è trasformato da un significante ampiamente positivo a uno prevalentemente negativo, come dettato da misteriose regole di interpretazione. È noto che i gruppi politici violenti fanno tutto il possibile per evitare il significante “criminale”, sebbene le loro attività lo siano innegabilmente secondo le leggi del loro paese. L’IRA era pronta a far morire di fame alcuni dei suoi uomini per cercare di cambiare il significante in “prigioniero politico”. In questi casi, ovviamente, la realtà, il significato, non è cambiato affatto. E gli effetti possono essere piuttosto profondi. Cinquanta o sessant’anni fa, i giovani maschi tendevano prevalentemente ad attrarre significanti idealizzati come “avventuroso”, “autosufficiente”, “maturo” e “affidabile”, a cui erano incoraggiati ad aspirare. Oggigiorno, i giovani maschi sono prevalentemente rappresentati come “violenti” e “sessualmente aggressivi” e, con sorpresa generale, lo sono sempre di più. Come semini, così raccogli.
Sebbene Lacan non abbia discusso l’uso politico dei significanti, alcuni di coloro che sono stati influenzati dalle traduzioni inglesi della sua opera lo hanno fatto. Le femministe hanno sottolineato che diverse professioni (vigile del fuoco, lattaio) usavano il suffisso “man” e, confondendo le parole tedesche originali Man, una parola neutra che significa “qualcuno” o “una persona”, e Mann , una parola maschile che significa, appunto, “uomo”, hanno sostenuto che usare una parola diversa avrebbe incoraggiato le donne a intraprendere nuove attività lavorative. In una certa misura, questo è stato implementato: l'”uomo della spazzatura” della mia giovinezza è ora un “addetto allo smaltimento dei rifiuti”, sebbene non disponga di dati sulla partecipazione femminile in quell’ambito. Ma, cosa ancora più importante, c’è una tendenza politica moderna a cambiare il significante in qualcosa che distorce o maschera attivamente ciò che il significato è in realtà. Quindi “senza fissa dimora” suona come se una persona fosse solo temporaneamente a corto di una casa, “senza documenti” suggerisce che un immigrato illegale semplicemente non abbia ancora ricevuto i documenti per qualche errore, “in cerca di lavoro” maschera il fatto che la persona in questione potrebbe essere stata licenziata e le attribuisce la responsabilità di trovare un impiego. Più seriamente, forse, rappresentare Gaza come una “guerra” porta con sé tutta una serie di presupposti e norme, molti dei quali naturalmente inconsci, che hanno l’effetto pratico di cambiare ciò che pensiamo degli eventi sul campo: il significato.
Il secondo concetto che voglio discutere è il Grand Autre, tradotto in modo un po’ poco elegante come il Grande Altro. Con questo, Lacan non intende autorità formali come il governo, ma piuttosto una sorta di autorità sociale i cui dettami seguiamo e che struttura le nostre vite, e che ci permette di dare un senso al mondo e di comunicare tra noi (piccoli) altri. Tuttavia, e ancora una volta in contraddizione con gli strutturalisti, Lacan è molto chiaro sul fatto che il Grande Altro non ha un’esistenza oggettiva. È un costrutto umano collettivo, fatto di regole e consuetudini che creiamo per noi stessi (se questo sembra improbabile, basta pensare al cortile di una scuola). Noi reifichiamo il Grande Altro, cerchiamo la sua approvazione e il suo riconoscimento e ne ricaviamo la nostra identità simbolica. Ma poiché in realtà non esiste, non possiamo mai soddisfarlo, e poiché è un costrutto collettivo di nostra concezione, non può fornirci una guida utile.
Il Grande Altro si manifesta in molte forme, alcune delle quali in competizione tra loro. Nella sua forma originale, si tratta ovviamente dell’Autorità Genitoriale: non dei nostri genitori umani, veri e imperfetti, ma del concetto che creiamo attorno a loro. Ai tempi in cui l’educazione dei figli era più severa di oggi, l’adolescenza era il momento della sfida e della liberazione da questo Grande Altro, e della sua sostituzione con regole sociali più ampie. Oggigiorno, in un mondo di adolescenza permanente, molti dei nostri leader ed esperti continuano a combattere con il loro Grande Altro genitoriale: Putin, ad esempio, è per molti di loro la figura del genitore severo che, a differenza dei loro, non permette loro di ottenere tutto ciò che desiderano, come l’Ucraina. E le illusioni che abbiamo sui nostri genitori quando siamo piccoli – onniscienti, onnipotenti, onniscienti, con rituali misteriosi che non comprendiamo – vengono trasferite man mano che cresciamo in astrazioni immaginarie come il Patriarcato o lo Stato profondo, o addirittura proiettate sulle agenzie di intelligence della vita reale, la cui conoscenza e i cui poteri sono illimitati e il cui funzionamento è per sempre misterioso.
Ma, dice Lacan, liberarci dal Grande Altro genitoriale, se ci riusciamo, significa solo cercare altri Altri. Cerchiamo convalida, status e riconoscimento da altri costrutti collettivi immaginari. Alcuni sono ovvi – il sistema legale, i codici sociali dominanti, la religione organizzata – ma altri sono più indiretti e più interessanti. Esiste un Grande Altro politico dominante, dove il prezzo per l’ammissione e il riconoscimento è avere le Giuste Opinioni. Lo possiamo vedere al momento con l’Ucraina e Gaza. Ma ci sono anche Grandi Altri dissidenti o trasgressivi, dove gli individui cercano riconoscimento e status proprio perché non hanno le Giuste Opinioni o il Giusto Comportamento. A dieci minuti di macchina da dove sto scrivendo ci sono comunità in cui status e riconoscimento derivano dalla disobbedienza alla legge, dall’uso della violenza e dal guadagno rapido di molti soldi, e dove il Grande Altro è la criminalità organizzata legata alla droga.
Non è impossibile sfuggire agli effetti del Grande Altro (anzi, Lacan lo considerava uno degli obiettivi della psicoanalisi), ma è molto difficile. I veri individualisti sono estremamente rari, ed è per questo che, ad esempio, ogni volta che seguo il link di un blog che “smaschera le bugie” sull’Ucraina o su Gaza ed è orgogliosamente indipendente e ferocemente anticonformista, trovo che dica esattamente la stessa cosa di qualsiasi altro blog orgogliosamente indipendente e ferocemente anticonformista che smaschera le bugie ecc. Per molti versi, questo non sorprende. Al di là della nostra esperienza di vita immediata, e forse della conoscenza e dell’esperienza professionale, pochi di noi hanno effettivamente ciò che serve per giudizi autenticamente indipendenti: tutto ciò che abbiamo è la scelta tra i Grandi Altri. Questo non significa che non abbiamo o non dovremmo avere opinioni personali, ma se iniziamo a diffonderle e ad aspettarci che gli altri ci ascoltino, dobbiamo accettare che in pratica stiamo cercando l’approvazione e la convalida di un Grande Altro o, al contrario, venendo rifiutati ed emarginati, cerchiamo l’approvazione di un Altro Grande Altro. È noto che non esiste nessuno più conformista del radicale anticonformista: solo il Grande Altro è diverso.
È importante capire cosa significa e cosa non significa. L’Inconscio non è qualcosa di cui aver paura, non è un residuo primitivo di violenza e terrore, e le decisioni che prende (che sono la maggior parte) non sono intrinsecamente peggiori di quelle prese dalla mente cosciente. Senza di esso non potremmo funzionare. Ma come suggerisce il nome, è al di là del nostro controllo cosciente e non ha il senso del tempo: è sempre Ora. Alcuni trovano questo spaventoso e scoraggiante, e non sorprende che ci sforziamo molto per trovare spiegazioni razionali e consapevoli per le decisioni prese dall’Inconscio, proprio come a nostra volta ci sforziamo molto per trovare spiegazioni razionali e consapevoli per le decisioni di governi e organizzazioni che sono ovviamente per lo più il prodotto di forze inconsce.
In realtà, ben poco di quanto detto sopra dovrebbe essere controverso. Considerate: ci sono due possibilità. O tutti i giudizi, le decisioni e i discorsi tendono a basarsi in modo sproporzionato sull’Inconscio e su motivazioni, speranze e paure inconsce, oppure, in modo univoco, nel caso della gestione e della scrittura di crisi politiche, solo la mente cosciente è coinvolta, e tutti (o almeno un ipotetico Grande Altro) sanno esattamente cosa stanno facendo. (Quel suono che avete sentito era quello di Guglielmo di Occam che affilava il suo rasoio.) Il problema non è se questa immagine di come funzionano le cose sia vera (dato che ovviamente lo è), ma come la utilizziamo per comprendere meglio il mondo. Ho cercato di avanzare qui alcune timide proposte.
Non solo perché è raro che i francesi non denigrino qualcosa di italiano , ma anche perché è scritto bene seppure teso a rinforzare il punto di vista dell’autore.
Soprattutto è interessante che nel tracollo della civiltà occidentale si riscopra Machiavelli.
Quindi val la pena evidenziare la complessità di quel suo pensiero che lo rende ancora un maestro della politica , ma anche evidenziarne le peculiarità di uomo del suo tempo e di ciò che di quel pensiero politico allora ne impedì l’applicazione pratica.
Premetto per i pochi interessati che questo commento sarà un po’ più lungo del solito e poco attinente alla geopolitica corrente.
Diciamo subito che la distanza tra teoria e pratica in politica non è una quisquilia perché dipende da una miriade di fattori spesso anche casuali. In politica , per il successo personale la semplice teoria non basta, come dimostrò il più pratico Guicciardini.
Tra il Machiavelli e il Guicciardini il pensiero politico non era molto dissimile, anzi pare che i due furono anche amici; ma il Guicciardini servendo sempre e soltanto “i Grandi” ebbe un enorme successo personale; il Machiavelli, al contrario, servendo solo le sue idee rimase sostanzialmente un “fallito”.
La differenza è che seppur oggi gli aristocratici discendenti del Guicciardini vendono un ottimo vino, nessuno rilegge il Guicciardini mentre si rilegge Machiavelli e non ci sono suoi discendenti che vendono vino con il suo nome.
E io sono sicuro che Machiavelli sarebbe contento così.
Perché innanzitutto diamo giustizia al Machiavelli? In lui non c’era altra motivazione personale che quella degli “eroi”: la gloria conseguita con merito.
E c’era anche una grande tensione morale. Lui non era quel cinico che Federico il grande cercò poi di rivelarsi; lui sì, un cinico “politico di successo”.
Machiavelli invece semplicemente descriveva i meccanismi del potere come essi sono sempre stati e sempre saranno all’ interno dello “Stato” inteso come organizzazione di ogni società umana.
Machiavelli non era nemmeno un antireligioso, ma uno che prende atto che la Religione non basta a moderare il male nella vita umana e che in questo essa deve essere supplita dall’etica di uno Stato dotato della forza necessaria ad imporla ad uomini intrinsecamente cattivi.
E non è quindi un caso che questa conclusione sia stata apprezzata da tanti pensatori marxisti. La differenza, però, è che Machiavelli non si illude che l’ indole umana sia modificabile da uno Stato che si proclama “ etico”, perché sa bene che anche dietro quello Stato ci sarebbero in posizione di potere uomini intrinsecamente cattivi sempre pronti a diventare così dei “Grandi” a spese altrui.
Per Machiavelli quindi l’ unica forma di Stato utile è quella “repubblicana” nella quale un gruppo di uomini liberi gestiscono la “cosa pubblica” con la prima e principale attenzione a che nessun uomo di “virtù” ( “virtù” machiavellica appunto ) possa coartare gli interessi di tutti gli altri , così che a questi uomini, potenzialmente “Grandi”, resti solo il servizio dello Stato come unico campo dove esprimere la propria “virtù”.
Una posizione di potere che però non è una sinecura; la repubblica punisce severamente i dirigenti fedifraghi , incapaci ed inetti ). Né è trasmissibile a membri della propria “familia”, nel senso romano, se non attraverso un nome reso grande da grandi cose fatte ad esclusivo vantaggio della Repubblica.
Ed in questo, sì, la “repubblica” di Machiavelli è la “repubblica romana” descritta nei libri di Tito Livio, cosa che non era certo la “repubblica fiorentina” che Machiavelli servì con impegno venendo poi sempre “sorpassato” da incapaci membri di consorterie , per poi essere alla fine pure punito dai Medici, tornati momentaneamente “signori” a Firenze.
Recuperata comunque la fiducia di costoro, tornando quindi a servire lo Stato fiorentino, ne fu poi espulso alla seconda cacciata dei Medici come “pallesco” .
Machiavelli allora opportunista e banderuola come milioni di “ordinari” italiani ? No, solo la coerente ambizione a servire il SUO “ Stato” sapendo di poter svolgervi un grande servizio, sempre comunque malpagato per altro.
Ma è proprio nella sua attività di uomo di Stato e di pianificatore militare che si evidenziano i limiti di Machiavelli, grande analista e teorico politico, a disbrigarsi nella gestione pratica della politica.
Sia chiaro, niente di male in questo; piuttosto l’ evidenza che teoria e pratica in politica sono cose estremamente diverse perché “la politica è l’ arte del possibile”. In politica si può definire una teoria , ma nella pratica si deve operare solo nel campo del possibile
Perché, oltre che una grande tensione morale, Machiavelli aveva anche una coscienza “nazionale” che però non andava molto oltre la sua Firenze. Se infatti Machiavelli vedeva il disastro che si stava appressando su una Italia divisa ed imbelle, di fatto si preoccupava soprattutto dello “Stato” che conosceva. Se certamente capiva il limite di una Italia che non aveva mai superato la dimensione degli “ Stati regionali”, non sognava certo “l’ Italia “ di Dante.
Machiavelli studiava i meccanismi della politica e poteva anche simpatizzare per il “Valentino” che si stava costruendo un suo stato personale a spese di tanti “signorotti” e in prospettiva anche di Firenze; ma serviva solo lo Stato fiorentino.
Il quale era allora giustappunto l’ unica “repubblica” italiana di un peso “passabile” sebbene il cui “populus” e il suo “senatus” erano però con caratteristiche ben diverse dal modello romano. E soprattutto era diverso il tipo di guerra combattuta nel 1500 da quella di 1800 anni prima. Fallì così ovviamente il Machiavelli nella sua costruzione pratica della milizia fiorentina.
E qui si apre un interessante capitolo sulla interazione intervenuta tra lui e Giovanni delle Bande Nere .
Narrano infatti le cronache che, essendo venuto a passare in Firenze Giovanni con le sue “bande” e avendo il Medici e il Machiavelli discusso di tattica militare e di ordini di battaglia, Giovanni dimostrò al Campo di Marte come le sue “bande” superassero agilmente le milizie fiorentine schierate “alla romana” e come invece quest’ultime , scegliendovi un gruppo più piccolo meglio selezionato e molto più mobile si comportassero molto meglio quando gestite dallo stesso Giovanni.
Perché in politica anche la migliore teoria si scontra sempre con la realtà e i cittadini fiorentini del 1500 non potevano essere organizzati in una “formazione quadrata” come ancora potevano esserlo i montanari svizzeri e , seppur in misura minore, anche i contadini spagnoli.
Quella lezione, poco dopo, Giovanni la stava appunto impartendo ai lanzichecchi che calavano in Italia se non vi fosse morto per il tradimento dei principotti padani.
La grandezza così inespressa di Giovanni che forse, se non fosse morto così giovane, avrebbe fatto un’ ALTRA Italia, fu dimostrata dalle sue “bande”, che seppur “ decapitate” continuarono la loro guerra di decimazione della soldataglia imperiale finché lo stesso papa Medici gli ordinò il “ disbando” dopo la sua resa a Carlo V.
E in quelle “bande nere” si era distinto anche quel Ferrucci che fu chiamato dalla seconda repubblica fiorentina a difendere Firenze dall’ attacco degli imperiali cosa che fece egregiamente finché non cadde, per il solito tradimento, nell’ imboscata di Gavinana.
Quale è quindi la lezione che portava Giovanni ?
Che gli italiani non sono un “popolo”. Noi siamo una variegata accozzaglia di “miseria e nobiltà”, ragion per cui non siamo nemmeno un “gregge”.
Si, ci sono tantissime “ pecore” e tantissimi aspiranti “cani pastore”, ma ci sarebbero anche tanti “lupi” che però non possono essere schierati sparsi in mezzo a “ pecore e traditori “.
Ma se fosse stato possibile schierare tutti insieme un numero sufficiente di “lupi” , forse avremmo potuto costruire 500 anni fa uno stato , “etico” nel senso del Machiavelli , per cui oggi potremmo anche essere quei “romani“ che lui sognava.
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Senza grandi uomini a guidarla, la democrazia è solo un ideale su un pezzo di carta. Ma l’esistenza di grandi uomini alla guida di una democrazia presuppone naturalmente un’agilità nell’attraversare un sistema per raggiungere i propri interessi, il che contraddice esplicitamente gli obiettivi del sistema stesso. Gli intellettuali dell’Illuminismo che idearono sistemi democratici sulla carta e parteciparono a dibattiti su ciò che fosse meglio per il popolo o più giusto, molto spesso avevano scarso controllo sulla loro idea quando la mettevano in pratica.
Nella Rivoluzione francese, Spengler elogia la seduta notturna del 4 agosto come nobile e pura , nel senso che gli uomini si riunirono e tennero discorsi per tutta la notte, dichiarando il loro sostegno a un nuovo regime. Fu l’apice dell’intellettualismo esercitato. Ma la storia della Rivoluzione non finì lì. Ciò che la rivolta aveva scatenato sulla Francia fu, per la prima volta, il potere di interessi monetari sfrenati. Inizialmente, la borghesia appoggiò i giacobini, ma una volta rovesciato l’Ancien Régime, gradualmente ritirarono il loro sostegno, uno a uno, a favore di mezzi di governo alternativi, che alla fine si manifestarono nel Direttorio e poi nel Consolato di Napoleone. Le idee e la tirannia dei giacobini durarono solo finché furono sostenute dal potere, che in quel periodo stava iniziando a trasformarsi in potere del denaro. E le verità che rappresentavano contavano molto meno del loro valore politico.
Nel periodo della cultura, la politica era governata da fazioni guidate da principi, signori, baroni, re e imperatori: teste, o volti, del potere investiti nei loro corpi. La diplomazia si svolge tra di loro, ma nel periodo della civiltà, il potere viene investito nei partiti per consenso popolare. La capacità di fabbricare questo consenso diventa l’oggetto di nuovi poteri che governano con il popolo come cuscinetto tra la politica e il denaro che la ossigena.
Affinché una democrazia funzioni, è necessaria la completa uguaglianza tra tutti i voti espressi. Ma nel momento in cui si forma inevitabilmente una gerarchia, per qualsiasi motivo l’abbia provocata, il voto espresso da un individuo non è più rivolto a un’idea, ma a un’organizzazione con interessi propri e completi per il resto della popolazione. Possiamo votare per i rappresentanti, ma questi vengono scelti dal partito in modo da riflettere i loro interessi. Questo è stato causa di grande frustrazione in sistemi in cui due partiti dominanti forniscono una gamma ristretta di politiche, con l’avvertenza che votare per una buona politica porta il partito ad attuarne un’altra cattiva, ma questo non è il riflesso del declino della democrazia da uno stato più armonioso, bensì la sua condizione naturale quando lasciata formarsi organicamente.
Da questa prospettiva, non c’è differenza tra il modo in cui le masse si formano come elettorato e quando si formarono come obbedienza collettiva, o setta islamica, o esercito, o società segreta. La forma della nazione e dello Stato rimane la stessa, mentre la sua struttura interna cambia da monarchia a oligarchia, a plutocrazia, a dittatura, a democrazia rappresentativa. Si potrebbe quindi concludere che ciò che conta molto più del successo della politica interna dello Stato, qualunque essa sia in astratto, è il successo della politica esterna dello Stato.
Tra le democrazie classiche e moderne, l’influenza dell’opinione pubblica è l’elemento unificante prima di qualsiasi altra qualità. Nella Grecia ellenistica e a Roma, la forma della politica era in linea con l’idea di compatto, vicino e sensuale. Il corpo dei cittadini, quindi, esercitava il proprio diritto di governo come popolo nel foro. Qui, non c’era bisogno di forme di influenza a distanza, perché se si voleva esercitare i propri diritti, ci si doveva presentare fisicamente. Emerse un’arte retorica in cui i cittadini potevano vedere e ascoltare i venditori di politica attraverso ” singhiozzi preparati e stracci di vesti; con sfacciate adulazioni del pubblico, fantastiche bugie sugli avversari; con l’impiego di frasi brillanti e cadenze clamorose (di cui si formò un repertorio perfetto per questo luogo e scopo); con giochi e regali; con minacce e percosse; ma, soprattutto, con denaro ” .
Roma aveva stagioni elettorali molto intense. Candidarsi a una carica pubblica a Roma richiedeva una quantità esorbitante di denaro contante, poiché veniva investito in giochi pubblici, come nel caso dell’edilismo di Cesare nel 65 a.C., in patronati, dove la lealtà politica (clientela) veniva comprata finanziando carriere e impieghi commerciali, come si vide con Pompeo, in opere pubbliche e nella filantropia. L’ascesa di Cesare fu sinonimo del potere del denaro nella Repubblica. Era immensamente indebitato con Marco Licinio Crasso quando si candidò a edile, e la sua candidatura a Pontefice Massimo lo avrebbe rovinato se non avesse vinto. La conquista della Gallia alla fine lo tirò fuori dai suoi debiti e lo rese l’uomo più ricco del mondo, rendendo così la campagna di tutta la Francia una necessità economica per lui. Tutto perché aveva bisogno di saldare i debiti contratti per le elezioni.
Spengler sottolinea come la polvere da sparo e la stampa siano essenzialmente simboli della cultura faustiana, entrambi utilizzati dalle nostre menti tecniche come forma di conquista, sia essa marziale o ideologica. Il successo della Riforma si basò sulla diffusione della Bibbia tra la popolazione generale, e la Rivoluzione francese fu diffusa tramite opuscoli. Durante le guerre napoleoniche, l’Inghilterra condusse una guerra ideologica contro la Francia attraverso la diffusione di volantini e articoli. Ma quando l’elettorato si formò, emerse una guerra interna dello Stato contro il proprio popolo, attraverso la stampa.
Culture come la Grecia o l’India avevano un’etica incentrata sull’interiorità. La capacità di distaccarsi interiormente dalla civiltà era quindi molto facile da mettere in pratica. Ma la storia della società occidentale è l’esatto opposto, poiché i flussi di verità che utilizziamo quotidianamente per interagire con il mondo sono intasati da influenze esterne a fini politici. ” La volontà di potenza, che opera sotto una pura maschera democratica, ha completato il suo capolavoro così bene che il senso di libertà dell’oggetto è in realtà lusingato dalla schiavitù più completa che sia mai esistita “. La stampa esiste per preparare l’opinione pubblica alla scelta della candidatura e per approvare le opinioni. La stampa prepara il pubblico alla guerra, alla pace, alla stagnazione, con intrattenimento e pornografia della miseria per mantenere il pubblico coinvolto nella situazione esterna. La preparazione alla Rivoluzione francese era contenuta in grandi libri che trattavano argomenti altamente consapevoli e filosofici, ma il giornale annientò il libro e lo sostituì con contenuti rapidi che, dai tempi di Spengler, sono diventati sempre più rapidi nel loro bombardamento di informazioni.
“ La gente legge un solo giornale, il “suo” giornale, che ogni giorno si fa strada a milioni dalle porte, incanta l’intelletto dalla mattina alla sera, fa dimenticare il libro con la sua impaginazione più accattivante e, se un esemplare o l’altro di un libro emerge alla luce, ne previene ed elimina i possibili effetti “recensendolo” .”
Il problema della stampa è che si adatta agli scrittori del passato, in particolare ai filosofi e ai critici più intelligenti dell’Illuminismo, per mascherare i fatti politici dietro la presunta verità oggettiva. Se qualcuno è contrario alla stampa, o semplicemente non gli importa di ciò che dice, viene attaccato da giornalisti con lauree provenienti da università di seconda categoria che affermano la necessità e il coraggio dei giornalisti nel dire la verità al potere. Ma il giornalista, come il giacobino, non ha alcun potere reale. È chi possiede la stampa che ha il potere.
Un esempio: Mordechai Vanunu era un tecnico nucleare che voleva rivelare alla stampa britannica dettagli riguardanti l’inesistente programma nucleare israeliano . Inizialmente si rivolse al Sunday Mirror, ma il Mirror bloccò la notizia. Poi portò la storia al Sunday Times, dove alla fine fu pubblicata, ma prima che potesse essere pubblicata, Vanunu fu rapito dal Mossad e riportato in Israele per essere processato per tradimento. La storia non andò mai in onda sul Mirror. Anni dopo, un ex membro dell’intelligence israeliana rivelò che il proprietario del Mirror e alcuni dei suoi giornalisti lavorarono per far trapelare la posizione di Vanunu al Mossad, dove avrebbe potuto essere rapito in modo efficiente e discreto. Il proprietario del Sunday Mirror era Robert Maxwell.
La stampa è uno strumento politico utilizzato per scopi politici da uomini che fingono di dire la verità al potere, mentre in realtà non fanno altro che servirlo. Le verità sono egualitarie, ma la gerarchia le soffoca in nome dei fatti, una storia che risale alla morte di Robespierre.
Oggi, possiamo vedere le stesse operazioni sui social media. Twitter è un nodo di sinistra, X è un nodo di destra, ed Elon Musk è irremovibile sul fatto che il suo acquisto di Twitter abbia cambiato le sorti delle elezioni del 2024. I reel di Instagram sono tristemente noti per la diffusione di contenuti un tempo riservati a siti come 4chan a un pubblico più ampio, ma con un cambio di algoritmo ordinato da Mark Zuckerberg, la situazione potrebbe cambiare con un aggiornamento. TikTok è stata ridicolizzata per le sue difficoltà nell’essere un’azienda cinese; la soluzione del governo americano è stata quella di creare una filiale locale nel paese e di farla diventare di proprietà di un americano. Quell’americano è Larry Ellison, il proprietario di Oracle, un orgoglioso sionista ebreo che un tempo voleva che Netanyahu sedesse nel suo consiglio di amministrazione. Dall’acquisto di TikTok, le ricerche della USS Liberty hanno suscitato severi richiami all’Olocausto per i ricercatori, e l’emoji del cartone di succo di frutta è stata censurata. Netanyahu considerava TikTok l'”ottavo fronte ” della sua guerra. Nel mondo dei podcast, Charlie Kirk ha pubblicato una lettera postumoristica in cui implorava Israele di investire in una guerra ideologica sul suolo americano, ma più in generale, ci sono stati scandali riguardanti la Russia che ha pagato persone come Tim Pool per esprimere opinioni specifiche al suo pubblico. Sotto l’amministrazione Biden, YouTube ha agito per conto del governo bandendo dalla propria piattaforma i critici dei vaccini. Mentre scrivo, mi vengono in mente esempi su esempi, ma la parola “deplatforming” dovrebbe evocare anche il vostro.
E in fin dei conti, i social media funzionano allo stesso modo dei vecchi media. Abbiamo il diritto di usare YouTube e Twitter per esprimere le nostre opinioni? Potremmo dire che questo è il nuovo “spazio pubblico”, ma quando mai c’è stato uno spazio pubblico nella storia occidentale?
“ E l’altro lato di questa libertà tardiva è che a tutti è permesso dire ciò che vuole, ma la stampa è libera di prendere nota di ciò che dice o meno. Può condannare a morte qualsiasi “verità” semplicemente non intraprendendo la sua comunicazione al mondo – una terribile censura del silenzio, tanto più potente in quanto le masse dei lettori di giornali sono assolutamente ignare della sua esistenza .”
Hitler parlava alla folla, ma alla folla non era mai permesso di salire sul suo palco e parlare con e/o contro di lui. Se dovessimo tornare ai forum antichi per recuperare il nostro tradizionale spazio pubblico, allora non è mai stato reale per noi, tanto per cominciare. Prima che YouTube decidesse se darti una piattaforma o meno, c’era la televisione; prima della televisione, c’erano i giornali e, prima ancora, il pubblico semplicemente non era un veicolo verso alcun tipo di cambiamento.
Tutto questo è concepito per costituire i partiti (sotto forma di idee e ideologie) che interagiscono con le istituzioni democratiche. Un voto non ha mai avuto alcun peso nella democrazia, ed è questa consapevolezza che, a lungo termine, genera il cesarismo, non votando per un salvatore della democrazia, ma non credendo più di poterla risolvere.
Con questo si conclude la nostra analisi della politica come ambito di attività durante il declino dell’Occidente. Oltre a ciò, vi rimando al cesarismo, ma è qui che inizia l’apatia per la politica e i sistemi si trasformano in operazioni private. Viviamo nel pieno di questa matrice di controllo e i più giovani tra noi vedranno tutti i loro conoscenti rinunciare all’idea del cambiamento nel corso della loro vita, aprendo la strada alla politica imperialista e ai grandi uomini che faranno ciò che desiderano senza nessuno che li ostacoli.
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KARL FITZGERALD: Va bene. Benvenuti a tutti, a un altro incontro Patreon Q&A con Michael Hudson, la Tavola Rotonda Hudson, dove abbiamo la fortuna di essere raggiunti dal professor Michael Hudson, il principale critico mondiale del neoliberismo, del debito e della necessità di un sistema finanziario migliore. Quindi, Michael, benvenuto alla chiacchierata e benvenuto a tutti i nostri sostenitori di Patreon.
MICHAEL HUDSON: Mi piacciono questi incontri e vi ringrazio per il vostro sostegno.
KARL FITZGERALD: E se guardiamo all’economia, lei è stato molto critico sul fatto che la teoria della bilancia dei pagamenti è a malapena insegnata all’università. Potrebbe darci una panoramica sul perché la bilancia dei pagamenti e una forte comprensione di essa sia così importante e forse come sia stata corrotta?
MICHAEL HUDSON: Beh, non ho mai detto una cosa del genere, Karl. Non c’è un corso sulla bilancia dei pagamenti che si tenga in un’università americana. E non c’è mai stato da quando insegno io nel 1969. Non si parla di come si mettono in pratica le statistiche. La discussione di oggi verterà sul fatto che le statistiche commerciali che si leggono sui giornali non hanno nulla a che fare con la bilancia commerciale effettiva calcolata in denaro;
Voglio quindi raccontarvi come sono arrivato a capire cosa c’è di sbagliato nelle statistiche, dove si è sbagliato e perché si è sbagliato. Il primo studio sulla bilancia dei pagamenti che feci fu con la Chase Manhattan Bank nel 1965. Mi chiesero di esaminare la bilancia dei pagamenti di Argentina, Brasile e Cile – e soprattutto del Cile – perché lì uno dei clienti della Chase, Anaconda, stava nazionalizzando la miniera di rame che aveva, Chuquicamata. E Citibank era la banca di Kennecott. Stavano cedendo le loro miniere al governo cileno. La domanda che mi è stata posta è stata: come influisce questo sulla bilancia dei pagamenti?
Il modo per scoprirlo è stato quello di consultare la Banca Nazionale del Cile e la sua bilancia dei pagamenti, i rapporti Balanzo in spagnolo. E ho trovato qualcosa di meraviglioso. Il volume nominale in dollari delle esportazioni di rame negli Stati Uniti. Poi lo hanno diviso in due categorie: il valore trattenuto all’estero e ciò che il Cile ha effettivamente ricavato da queste esportazioni. Ho scoperto che ciò che veniva trattenuto all’estero – Anaconda, Kennecott e Cerro Copper era la terza società – acquistava il rame dalle miniere di proprietà e gestite dal governo, non da loro stessi. Il Cile avrebbe ricevuto l’intero pagamento, presumibilmente al “prezzo dei produttori” per i contratti a lungo termine – la chiave era che le società statunitensi sarebbero state gli acquirenti designati. Il Cile non sarebbe stato responsabile di chi avesse acquistato il rame.
Ma le [aziende statunitensi] non pagavano quando importavano il rame. Tutte queste transazioni sono state effettuate in dollari. E non rimborsarono al Cile i costi di produzione. Questi costi di produzione includevano gli oneri per i tassi d’interesse, le esportazioni di attrezzature statunitensi alle miniere per aiutarle a operare, le spese di gestione e i costi di trasporto. E mi sono reso conto che il Cile riceveva solo una piccola parte del rame effettivo.
Quindi la cifra riportata nella bilancia dei pagamenti degli Stati Uniti sulle importazioni di rame non significa che gli Stati Uniti abbiano pagato in dollari per il rame;
Poco dopo, mi fu chiesto di fare uno studio sulla bilancia dei pagamenti dell’industria petrolifera. Dovevo progettare un formato di contabilità per tutte le principali compagnie petrolifere, affinché mi inviassero le loro informazioni riservate su come compilavano le statistiche governative e rispondessero a un paio di domande. Ho scoperto che, per ogni 100 dollari dichiarati come importazioni di petrolio dagli Stati Uniti, e questa era una delle caratteristiche principali del deficit commerciale americano, solo circa 10 centesimi venivano effettivamente pagati all’estero. Questo perché le compagnie che importavano, Exxon, Mobile, le solite compagnie, e tutte le importazioni di petrolio dagli Stati Uniti provenivano da affiliate statunitensi.
Quindi tutta la contabilità veniva fatta nella sede centrale di queste affiliate. Il tesoriere della Standard Oil del New Jersey mi ha illustrato tutte le statistiche. Mi disse che quando importiamo dall’Arabia Saudita o da altri Paesi, sottraiamo dal prezzo che ricevono i nostri profitti. Sottraiamo tutte le attrezzature petrolifere che inviamo ad Aramco, la compagnia petrolifera locale. Quell’attrezzatura petrolifera è ovviamente un addebito su quanto viene pagato. Sottraiamo gli interessi passivi. Sottraiamo le spese di trasporto. Sottraiamo le commissioni di gestione che addebitiamo.
E dopo aver preso tutte queste tasse, compresi i nostri profitti, l’Arabia Saudita o i Paesi esportatori di petrolio non ottengono molto, perché quasi tutto il petrolio importato, il 100%, proviene da filiali estere delle major petrolifere statunitensi. E dico filiali, non affiliate, perché Aramco e le compagnie petrolifere, le filiali all’estero, sono state consolidate nel bilancio della società madre. Non erano affiliate estere. Venivano letteralmente consolidate, e tutto ciò avveniva nella contabilità;
E ho detto che ho le statistiche che tutte queste aziende forniscono sulla quantità di attrezzature che inviano all’estero. Quali sono i loro pagamenti agli ingegneri americani – che pagano in dollari agli americani che mandano laggiù per supervisionare la produzione. Vedo i pagamenti degli interessi. Dove sono i profitti? E non li trovo in nessun Paese. Ho cercato nel Vicino Oriente e mi hanno detto che i profitti sono alla fine. Qui c’è l’Europa, l’Asia, altri Paesi, l’Africa. Qui c’è qualcosa chiamato “Internazionale”. E io ho detto: “Pensavo che tutto fosse internazionale”? E loro mi hanno spiegato che internazionale significa che non è un vero e proprio Paese. È solo uno Stato finto, come la Liberia o Panama. Uno Stato vero ha la sua moneta e la sua tassazione, ma questi sono Paesi che usano il dollaro.
Quindi non dobbiamo preoccuparci di alcun rischio di cambio. Sul mio sito web c’è una fotocopia della bilancia dei pagamenti dell’industria petrolifera statunitense in dettaglio. Copie di questo documento sono state messe sulla scrivania di ogni senatore e di ogni rappresentante per ottenere l’esenzione dai controlli sulla bilancia dei pagamenti imposti dal presidente Johnson per contribuire al finanziamento della guerra del Vietnam.
Ebbene, da quello studio sono passato a parlare della guerra del Vietnam. E ci furono una serie di cose che vidi immediatamente nella bilancia dei pagamenti;
Innanzitutto, si pensa alla bilancia dei pagamenti come al conto capitale e al conto commerciale. Ma questo non è il quadro completo. Dov’è il governo in tutto questo? Ho scoperto che separando il settore pubblico da quello privato, cosa che era necessario fare, sono riuscito a scoprire quali sono i costi della bilancia dei pagamenti delle spese militari all’estero e degli aiuti all’estero. Il primo studio che ho fatto è stato quello delle statistiche sugli aiuti all’estero;
E nel mio libro, Super Imperialismo, troverete il mio grafico sugli aiuti all’estero. E forse avete sentito i politici parlare, credo che Trump abbia detto: “Non invieremo più i nostri dollari all’estero ai Paesi stranieri. Taglieremo questo flusso in uscita. Fermeremo gli aiuti all’estero, sono un salasso”. E i politici lo dicono da 50 anni;
Quello che ho scoperto è che negli anni ’60 e nei primi anni ’70 non un solo centesimo di aiuti esteri è stato pagato in dollari all’estero. Zero è stato pagato all’estero perché il Congresso ha approvato una legge che stabilisce che tutti gli aiuti esteri devono essere spesi negli Stati Uniti. Gli aiuti all’estero non servono per aiutare i Paesi stranieri; servono per aiutare gli Stati Uniti, ma usando i Paesi stranieri come veicolo.
Quindi ci saranno aiuti esteri in cibo, inviando esportazioni di cibo. Tutto questo grano viene acquistato negli Stati Uniti in cambio di dollari e poi inviato ai Paesi stranieri. Il governo fornirà aiuti esteri ai Paesi che hanno debiti in dollari con gli Stati Uniti. Presterà loro, apparentemente, i dollari che saranno accreditati per pagare gli interessi ai banchieri e agli obbligazionisti statunitensi che questi Paesi non potrebbero altrimenti permettersi. Quindi gli aiuti esteri vanno alle banche e agli obbligazionisti statunitensi;
Tutto questo rimane negli Stati Uniti, probabilmente amministrato dalla Federal Reserve di New York. E ho proseguito lungo la linea. Ogni tipo di sottoscrizione al Fondo Monetario Internazionale e alla Banca Mondiale, tutte queste voci di aiuto all’estero sono state tutte spese negli Stati Uniti. Ma in realtà è anche peggio, perché quando gli Stati Uniti davano aiuti all’estero all’Egitto o ad altri Paesi del Medio Oriente, dovevano ottenere un ritorno. Non è stato Trump a inventarlo. E la contropartita era: vi abbiamo dato crediti in dollari per far fronte ai pagamenti ai fornitori, ai banchieri e agli agricoltori americani.
Ma dovete darci una quantità uguale della vostra valuta nazionale, in modo che possiamo usarla per sostenere la nostra spesa locale nel vostro Paese. Possiamo usarla per qualsiasi scopo nefasto. E così gli Stati Uniti hanno effettivamente guadagnato sugli aiuti all’estero;
Alla fine sono andato a lavorare per la Arthur Anderson e ho detto: “Voglio fare quello che ho fatto per l’industria petrolifera statunitense e fare uno studio sull’intera economia degli Stati Uniti. Vediamo quanto del commercio e degli investimenti esteri degli Stati Uniti comporta effettivamente dei pagamenti e quanto è semplicemente imputato come se fosse pagato. C’è una finzione di base che sottende tutti i dati della bilancia dei pagamenti degli Stati Uniti e di tutti gli altri Paesi, e questa finzione è servita a farli coincidere con le statistiche del PIL. Si divide in bilancia commerciale e bilancia degli investimenti esteri.
Così, nella bilancia commerciale, si avrà, ad esempio per il petrolio, l’intero costo nominale estero del petrolio che le compagnie petrolifere statunitensi importano dall’estero, come se questo denaro d’importazione fosse pagato a un paese straniero. E poi si va altrove nel bilancio e si hanno le compensazioni per tutto questo. Le compensazioni spiegano perché c’è un saldo netto pari a zero, che gli economisti chiamano transazione di lavaggio. Per esempio, sul conto degli investimenti, ci saranno disinvestimenti o investimenti di denaro nell’industria petrolifera;
Sul conto delle esportazioni, ci sono le esportazioni di macchinari utilizzati per l’estrazione del petrolio all’estero. Ci sono i pagamenti per la manodopera americana, che è una transazione di servizi, da parte di stranieri agli Stati Uniti. Tutti questi pagamenti, che compensano il 100% delle importazioni di petrolio, vengono conteggiati come se fossero un costo. Lo stesso vale per gli aiuti esteri. Gli aiuti esteri sono trattati nel conto del governo come se fossero tutti in uscita;
E poi il governo pubblicava una cosa chiamata Tabella 5 nei rapporti sulla bilancia dei pagamenti che faceva annualmente o trimestralmente nell’indagine sulle attività correnti del Dipartimento del Commercio. E si suddividevano i soldi effettivamente pagati all’estero. È da lì che ho ricavato le statistiche relative a quanto denaro è stato effettivamente speso all’estero in aiuti stranieri e a quanto denaro è rimasto negli Stati Uniti, il 100% di tutto ciò.
Mi ci è voluto un anno per separare il conto del commercio e ho scoperto che l’America non spendeva neanche lontanamente il costo delle importazioni che dichiarava, ma anche il costo delle esportazioni. Naturalmente, la maggior parte delle esportazioni di grano veniva pagata in dollari, ma molte delle esportazioni di grano – gli altri Paesi non le pagavano in dollari perché c’era un deflusso di aiuti esteri sul conto del governo. Questo mi ha portato a dire di separare il conto del governo e gli aiuti esteri dalla spesa militare;
Quello che ho scoperto è che, per quanto riguarda i pagamenti effettivi relativi alle esportazioni e alle importazioni, la bilancia dei pagamenti degli Stati Uniti in termini di dollari e valuta estera era esattamente in equilibrio dal 1950, quando ho iniziato le statistiche, fino al 1964, o forse fino al 68, quando le statistiche sono terminate. L’intero deficit della bilancia dei pagamenti in termini di dollari in uscita riguardava i conti militari; non gli aiuti esteri, né il conto commerciale, né gli investimenti esteri all’estero, come aveva erroneamente immaginato il presidente Johnson.
Stavamo per pubblicarlo. Il reparto artistico della Arthur Anderson ha realizzato grafici molto belli. Poi il mio capo è venuto nel mio ufficio e mi ha detto che abbiamo appena ricevuto una telefonata molto sconvolgente. Temo che dovremo interrompere il suo rapporto di lavoro qui. E io ho chiesto: “Che cosa è successo? Che cosa ho fatto di male?
Beh, non avete fatto nulla di male, ma il signor McNamara – credo quando era a capo della Banca Mondiale – ha chiamato il capo della nostra azienda e ha detto: se pubblicate questo rapporto, non otterrete mai più un altro contratto dal governo degli Stati Uniti. E noi abbiamo bisogno dei contratti del governo americano;
Lui ha detto: “Mi dispiace molto per questo. Le faremo un regalo: potrà prendere tutte le diapositive, tutte le immagini e i grafici e farne ciò che vuole.
Così ho portato il grafico alla Business School della New York University, che ha pubblicato un regolare bollettino. È una pubblicazione accademica e sono stati felicissimi di riceverla. L’hanno pubblicato in un numero triplo del loro bollettino e ha avuto un certo risalto negli ambienti finanziari di Wall Street; quasi nessun risalto nella stampa di sinistra o nella stampa popolare, in generale;
Qualche mese dopo, il Federal Reserve Bulletin – c’è stata un’importante revisione e non ricordo di quale pubblicazione si trattasse – la Federal Reserve ha pubblicato uno studio – credo sull’American Economic Journal o sull’American Economic Literature o qualcosa del genere. Diceva: “Esaminiamo tutte queste pubblicazioni della NYU Business School”. Le ha esaminate tutte e poi è arrivato alla mia relazione. Diceva che il fatto che il dottor Hudson trovi che la spesa militare sia la radice del deficit della bilancia dei pagamenti non dà fiducia al suo studio;
E ho pensato: sto usando tutti i dati del governo. Che cosa è successo? Ho parlato con la mia classe – uno dei miei studenti lavorava per la Federal Reserve come economista personale. Mi disse di darvi una copia di una nota interna che avevamo ricevuto. La nota interna diceva che i miei dati andavano bene, ma che non dovevamo renderli pubblici perché avrebbero stimolato il movimento contro la guerra e ciò era contrario alla politica estera americana.
Questo è un altro motivo per cui sono il nome che non deve essere pronunciato nelle statistiche governative. Era contro l’interesse degli Stati Uniti fare un’analisi finanziaria degli effetti reali sul tasso di cambio del dollaro in termini di mercato dei cambi, di domanda di dollari rispetto alla domanda di valute estere per coprire le esportazioni, gli investimenti esteri, il commercio, le transazioni governative e militari;
Il governo non voleva evidenziare il fatto che la debolezza del dollaro e ciò che aveva costretto il dollaro a staccarsi dall’oro, come ho descritto in Superimperialismo, era dovuto alle spese militari all’estero. Questo è stato l’unico scarico. Non c’è stato alcuno scarico sul conto commerciale, né sul conto degli investimenti esteri, né sugli aiuti esteri. L’intera pressione al ribasso degli Stati Uniti; il deficit della bilancia dei pagamenti è iniziato con la guerra del Vietnam – pardon, con la guerra di Corea – nel 1950-1951, e da lì è andato sempre peggio.
In seguito, una società di Wall Street mi chiese se potevo provare a rifare lo studio. E pensai: mi ci è voluto un anno intero della mia vita per fare lo studio sulla bilancia dei pagamenti degli Stati Uniti. È così che ho imparato a conoscere le statistiche vere e proprie. E se non si volesse studiare le statistiche vere e proprie e vedere come vengono messe insieme, proverbialmente, come si fa una salsiccia, ci si accorgerebbe che non è come ci si aspetterebbe. Non avrei capito la differenza tra un’analisi finanziaria e un’analisi imputata, come se fosse lì.
L’idea di separare il conto del commercio e il conto degli investimenti è stata quella di inserirsi nelle categorie del prodotto nazionale lordo che sono state sviluppate come parte del PIL che ha vinto il premio Nobel. Posso capire la logica del PIL, ma avrebbero dovuto avere due misure. Prima del PIL, il governo registrava l’effetto specifico sul cambio delle esportazioni e delle importazioni statunitensi. Tutto questo è stato cambiato per rientrare in questo ipotetico conto del PIL. Il problema del PIL non è solo quello di lavare le transazioni di questo tipo, ma anche quello delle transazioni di ogni tipo nel conto del reddito nazionale che non coinvolgono affatto il reddito.
Ad esempio, uno dei principali fattori che contribuiscono al PIL e al reddito nazionale negli Stati Uniti è l’affitto imputato dei proprietari di casa. Molti di voi hanno visto i prezzi degli affitti salire e salire e salire molto bruscamente negli Stati Uniti, e avete avuto consigli computerizzati ai proprietari su come aumentare i prezzi – tutti agiscono come un monopolio per spremere davvero gli affittuari.
Quando il Bureau of Labor Statistics si rivolge alle varie famiglie come studio di prova – sono in miniatura per ingrandire queste statistiche a livello nazionale. E una delle domande che pongono alle famiglie è la seguente: se tu fossi proprietario di una casa e dovessi pagare un affitto a te stesso, se tu fossi il padrone di casa e dovessi pagare un affitto a te stesso, a quanto affitteresti la tua casa? Come potete immaginare, sono sempre di più i proprietari di case che dicono che siamo contenti di aver comprato la nostra casa, perché se non l’avessimo comprata, avremmo pagato ogni mese un affitto così alto, così alto e così alto.
Il PIL dice che stiamo contando l’affitto come prodotto effettivo. E così il PIL come prodotto ha l’aumento del canone di affitto per pagare la casa, o presumibilmente un immobile commerciale, come se fosse un prodotto effettivo che aiuta la crescita del PIL invece di soffocare la crescita del PIL; deindustrializzare l’economia facendo pagare così tanto che i proprietari di casa e gli affittuari non possono permettersi di usare il loro reddito per acquistare beni e servizi effettivi, come abbiamo detto prima.
KARL FITZGERALD: Torniamo alla teoria della bilancia dei pagamenti. Forse potremmo fare uno speciale sul PIL una volta o l’altra, perché so che ha molto da dire in proposito. Ma in sostanza lei sta dicendo che è fondamentale che i Paesi in via di sviluppo comprendano la teoria della bilancia dei pagamenti, soprattutto quando il FMI e la Banca Mondiale utilizzano i deficit delle partite correnti come punto di pressione.
MICHAEL HUDSON: Se sono esportatori di materie prime, ovviamente lo capiscono. E come ho detto, il modello di rapporto che ho trovato di tutte le banche centrali che ho guardato, e ho camminato per 15 metri fino alla biblioteca di Chase Manhattan, dove c’erano i rapporti delle banche centrali di ogni paese per ogni anno, e, naturalmente, il Cile ha dovuto calcolare da solo “qual è la nostra situazione effettiva della bilancia dei pagamenti?”. Quanto denaro ricaviamo effettivamente dalle esportazioni di rame e di guano?
Le esportazioni di oro erano il risultato della raffinazione del rame; per via elettrolitica, l’oro cade sul fondo e l’anodo raccoglie elettricamente tutto il rame. I Paesi che esportano materie prime devono fare questo calcolo. Lo sanno. Non so se gli esperti di finanza che compilano la bilancia dei pagamenti cerchino di interagire con quelli del PIL per dire: “Aspettate un attimo, come possiamo combinare quello che stiamo facendo con un conto dei pagamenti basato sulla realtà per i pagamenti effettivi invece che per quelli figurativi?
Ma certamente sanno cosa stanno facendo e sanno che non ricavano tutti i soldi dalle materie prime che producono. Il problema è quindi nei Paesi industrializzati, e soprattutto negli Stati Uniti, che si trovano all’estremo opposto, che non vogliono far capire ai Paesi stranieri che si pensa di arricchirsi esportando rame, cacao, petrolio e altre materie prime;
Ma non siete neanche lontanamente ricchi come credete di essere, perché ottenete solo una piccola parte di questi soldi per voi, grazie al fatto che le aziende americane possiedono le vostre risorse naturali, o inglesi e olandesi e altri paesi europei possiedono le vostre risorse naturali, e non state davvero diventando così ricchi come pensate. Se gli Stati Uniti pubblicassero o sponsorizzassero la pubblicazione di un’analisi finanziaria realistica, dimostrerebbero che molti dei Paesi del Sud globale non si stanno sviluppando;
Lo scopo della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale è quello di impedirne lo sviluppo. Si potrebbe dire che sono mal strutturati o soffocati, ma certamente non in via di sviluppo. Lo scopo è dimostrare che non ci si può permettere di pagare il debito estero esistente nei confronti di obbligazionisti e banchieri, a meno che non si prenda in prestito il denaro per pagare i debiti.
In altre parole, il debito estero – lo schema del debito estero del Sud globale – è uno schema Ponzi. Gli Stati Uniti e altri governi, in particolare il Fondo Monetario Internazionale, presteranno loro il denaro. Il Fondo Monetario Internazionale ha appena prestato all’Argentina un’enorme quantità di denaro per pagare gli obbligazionisti stranieri, perché hanno detto: siete un Paese fascista, siete un Paese sionista, ovviamente vi daremo i soldi per pagare gli obbligazionisti.
E a proposito, dite ai vostri obbligazionisti che non possiamo farlo per sempre. Lasciate che usino il denaro che vi stiamo prestando per uscire dall’economia argentina e mettere i loro soldi in dollari, oro o valuta forte. Il nostro compito è quello di sovvenzionare la fuga di capitali da parte delle oligarchie clienti in Argentina o in altri Paesi. Far uscire i loro soldi e svuotare i loro Paesi in modo che, una volta che il governo di destra di Milei sarà sostituito, presumibilmente, da un governo di sinistra, quest’ultimo sarà assolutamente a corto di liquidità e dovrà impedire la svalutazione andando al FMI e dicendo: “Se svalutiamo, allora dovremo abbassare il tenore di vita dei nostri lavoratori, perché i nostri lavoratori dovranno pagare molto di più tutte le loro importazioni, proprio come negli Stati Uniti”;
E il FMI dirà che se voi, governo di sinistra, vi comporterete come una dittatura cliente di destra, ovviamente vi presteremo i soldi. Questo è il gioco finanziario internazionale. Ed è quello che si vede se si fa un’analisi finanziaria reale invece di un’analisi ipotetica. Non sarebbe bello se guadagnassero davvero tutti i soldi che dichiarano nei loro conti di esportazione?
KARL FITZGERALD: Danny Wheel scrive nei commenti: ‘Vediamo la stessa cosa qui in Ecuador. Rubio è arrivato qui ieri sera, ma le miniere sono sovvenzionate dallo Stato, mentre la gente deve portare le proprie medicine ai sudici ospedali pubblici lasciati a marcire per la privatizzazione tra il FMI e l’economia di esportazione, il che significa che non abbiamo alcuna industria, tranne l’estrazione. La povertà è oltre ogni comprensione e la violenza è la più grande del mondo. Tutto questo è reale. Le cose di cui parla Michael riguardano persone reali. È una truffa da casinò sostenuta dall’esercito degli Stati Uniti, ma è una realtà predominante in tutto il mondo, non è vero? E le nazioni devono capire cosa sta succedendo”;
FRANK MOELLER: [Ho] ascoltato e letto diversi libri del professor Hudson. In un recente podcast ha parlato dell’eccedenza della bilancia dei pagamenti e mi chiedevo se l’eccedenza della bilancia dei pagamenti venga utilizzata per l’alloggio, l’istruzione, lo sviluppo del capitale umano, l’assistenza sanitaria. E se è così, possiamo dare un valore in dollari a questo, per persona o pro capite, laggiù e come viene distribuito per questi utilizzi?
MICHAEL HUDSON: Beh, non si può ricavare quel materiale dai conti della bilancia dei pagamenti. Se si parla di medicinali, credo che ci siano forniture mediche a Paesi stranieri come flusso in uscita degli aiuti governativi all’estero. E sul fronte dei crediti all’esportazione, ci sarebbero le esportazioni di prodotti farmaceutici statunitensi e anche i pagamenti di trasferimento, i pagamenti ai medici statunitensi o al personale delle ambasciate statunitensi, o al personale del Dipartimento di Stato, o ad altri individui che effettuano tutti questi pagamenti che vengono pagati negli Stati Uniti.
Ma di certo non danno a questi altri Paesi dollari da spendere. Danno dollari solo all’Ucraina o all’Argentina o alle dittature clienti. Hanno un controllo molto stretto per assicurarsi che gli altri Paesi non ricevano effettivamente dollari dagli Stati Uniti, ma che solo le imprese, i fornitori e i creditori statunitensi ricevano questi dollari. Si può fare il calcolo pro capite, ma è un’altra cosa. Non è una cosa di cui mi occupo. Sono tutte statistiche nazionali da utilizzare.
KARL FITZGERALD: E anche Danny Wheel ha alcune domande in arrivo. Danny, vuoi venire sullo schermo e fare qualche domanda a Michael? È bello vedere qui alcuni membri del nostro team di trascrizione; Ced e Kimberly fanno un ottimo lavoro per Michael.
E sono lì, non preoccuparti. Il microfono di Danny è fuori uso. Sta chiedendo informazioni sui pagamenti della Previdenza Sociale qui da qualche parte. Durante gli anni ’60, i fondi della Previdenza Sociale, ci è stato detto, non potevano essere toccati per nient’altro che la Previdenza Sociale. Per quanto ne so, questi fondi sono stati usati per la guerra, e vorrei sapere se Michael può confermarlo.
MICHAEL HUDSON: Il fatto è che non ci sono fondi. Come ha detto George W. Bush, non ci sono soldi. Tutto ciò che c’è è una promessa del governo degli Stati Uniti di pagare i contratti di previdenza sociale che hanno firmato. La Previdenza Sociale ha avuto un surplus per molti anni.
Il ruolo di questo surplus era quello di finanziare le spese militari e di finanziare il deficit di bilancio. Il deficit di bilancio è stato finanziato non solo con il pagamento delle tasse da parte degli Stati Uniti, ma anche utilizzando la Previdenza Sociale come tassa. Quel denaro veniva versato al governo e il governo lo utilizzava per le operazioni. E a fronte di questo utilizzo da parte del governo per le operazioni, il governo aveva un debito futuro, il debito da pagare ai beneficiari della Previdenza Sociale;
Quindi, in questo momento, il discorso dei repubblicani al Congresso, che in realtà è stato avviato dal Presidente Obama, ha deciso di lavorare con i repubblicani per mobilitare il Partito Democratico per abolire la Sicurezza Sociale e rendere disponibili i fondi della Sicurezza Sociale per essere investiti nel mercato azionario. Nel 2007, credo di aver scritto una storia di copertina per la rivista Harper’s che ripercorreva questa vicenda. Questo era il piano di Obama quando cercava di lavorare con i repubblicani per fare proprio questo. Non ci sono soldi nel conto della previdenza sociale. Il governo degli Stati Uniti è tenuto a pagare la previdenza sociale.
Ma i repubblicani dicono: se paghiamo la previdenza sociale, non possiamo tagliare le tasse ai ricchi. Le nostre economie funzionano – l’industria e l’occupazione sono solo una voce di spesa. Lo scopo dell’economia statunitense è quello di generare denaro per il 10% dei rentier. È generare denaro per le banche e i proprietari. Dimentichiamo il popolo. Togliamo loro tutti i soldi e diamoli al 10%. Acceleriamo l’andamento dell’economia nel lungo periodo;
Ovviamente sono molto infastidito, come potete vedere, ma i repubblicani e i leader democratici sono d’accordo: non paghiamo così tanto il lavoro americano, questo è il problema. Perché gli americani stanno facendo qualcosa di molto antipatriottico: vivono più a lungo. E il governo dice che state vivendo più a lungo di quanto avevamo calcolato. Dovreste morire a 75 anni, forse a 78, e non state morendo nei tempi previsti. E questo significa che dobbiamo pagare molto di più. E se paghiamo voi, non possiamo pagare i nostri finanziatori della campagna elettorale: le banche, il settore finanziario, i proprietari terrieri, i monopolisti e i rentier;
E questo non è positivo per il mercato azionario e obbligazionario, che è quello che produce gli Stati Uniti. Potete vedere l’ipocrisia qui. Si discute così poco della politica monetaria e fiscale di questo Paese, perché una volta che la si esamina, ci si rende conto di quanto l’intero sistema sia totalmente distorto e ingiusto, costruito per avvantaggiare i più ricchi, i creditori e gli interessi dei rentier, non i veri salariati. È terribile.
KARL FITZGERALD: Esiste un buon deficit delle partite correnti, che finanzia qualcosa di produttivo?
MICHAEL HUDSON: No, non c’è alcun tentativo di fare questo calcolo. Voglio dire, cos’è la produzione? E cos’è il conto corrente? In linea di principio, se si studia la teoria del commercio, il surplus o il deficit delle partite correnti dovrebbe essere bilanciato dal conto capitale. Quindi, se si registra un’eccedenza nelle esportazioni, ciò consente di investire denaro all’estero, sia nel conto degli investimenti che in quello dei capitali. Oppure, se si investe denaro all’estero, questo fornisce dollari ai Paesi stranieri che hanno un deficit commerciale nei nostri confronti;
C’è questo ipotetico equilibrio tra conto corrente e conto capitale. Ma dove sono le cannoniere? Dove si colloca l’esercito in tutto questo? È un conto corrente? È un conto capitale? Si tratta di una semplificazione fittizia che presuppone che il capitale e il conto corrente si compensino a vicenda e che il risultato sia zero. Ho scoperto che funziona così per il settore privato. È quello che hanno dimostrato le mie statistiche. Ma il jolly è la spesa militare del governo all’estero.
KARL FITZGERALD: Diana DiRienzo chiede: “La previdenza sociale aumenta il deficit? Quando il governo spende all’interno del Paese, in breve tempo ottiene un gettito fiscale superiore a quello originariamente speso, non è vero? Inoltre, possiamo vedere i dati su come la previdenza sociale stia esaurendo i fondi? Reagan ha raddoppiato il FECA per coprire le esigenze del baby boom. E perché il governo non può semplicemente pagare la previdenza sociale senza richiedere il pagamento del FECA?”.
MICHAEL HUDSON: Beh, non si tratta affatto di esaurire il denaro perché, tanto per cominciare, non c’è denaro. Non ci sono soldi. E ancora, George W. Bush ha riconosciuto questo fatto quando ha detto che è davvero tutto ipotetico. Quando si dice che la previdenza sociale sta finendo i soldi, si dice che non siamo in grado di dare i tagli alle tasse se paghiamo anche la previdenza sociale e l’assistenza sanitaria ai lavoratori americani;
Qualcosa deve cedere, e a cedere sarà la previdenza sociale, in modo da poter tagliare le tasse. Come utilizzerete le entrate del governo rispetto alla spesa pubblica? E come abbiamo sottolineato noi MMTers e come ha scritto Stephanie Kelton in un recente libro, ciò che rimane fuori dal conto non sono solo le entrate e le uscite del governo, ma anche la creazione di moneta da parte del governo.
La Federal Reserve crea solo denaro da dare alle banche perché lo prestino per investire in azioni, obbligazioni, immobili e giochi d’azzardo, come i derivati. La Federal Reserve non crea denaro da spendere nell’economia. Questo è ciò che potrebbe fare il Tesoro e ciò che il Tesoro ha fatto durante la Guerra Civile con i greenback e in altre occasioni. È così che i governi finanziano la guerra;
Ma tutto questo è una finzione per sembrare di trovare un modo plausibile di pensare per creare una narrativa che faccia pensare, secondo questa narrativa, che il governo non ha abbastanza soldi per pagare la previdenza sociale se taglia le tasse ai ricchi, se va in guerra e spende i soldi per l’esercito. Lo si vede molto chiaramente in Europa in questo momento. È questo il motivo della lotta politica con Merz, la Germania e gli altri. Dicono che siamo limitati dalle regole dell’Euro e dell’Unione Europea per quanto riguarda il deficit che possiamo avere. Gli Stati Uniti non sono soggetti ad alcun limite sul deficit, gli europei no.
E quindi se gli europei – l’intera crescita del PIL europeo viene spesa per le spese militari che ora sono promesse, come promessa contrattuale, dalla Germania e da altri governi europei – se tutto l’equivalente della crescita del PIL viene pagato per le forze armate, si dice che dovremo tagliare i sussidi che stiamo dando ai consumatori;
E questo è ciò che sta causando molti problemi politici in Gran Bretagna, ad esempio Starmer, che dice: “Ora il governo dice che, poiché stiamo spendendo così tanto denaro per combattere la Russia, non saremo in grado di darvi i sussidi per l’elettricità che vi davamo prima, perché non riceviamo più il gas. Dobbiamo pagare il gas e il petrolio molto di più di quanto dovevamo pagare prima di rompere le relazioni con la Russia. L’Europa sta tagliando la spesa sociale per diventare un’economia militarizzata e cercare di combattere nuovamente la Seconda Guerra Mondiale, sperando che questa volta l’esito sia diverso;
KARL FITZGERALD: Sembra che nel corso del tempo, da quando siamo passati all’era dell’egemonia del dollaro, il post-gold standard, la teoria e la comprensione della bilancia dei pagamenti siano diventate ancora meno comprese e meno importanti. Vorrebbe descrivere come si è svolto questo fenomeno?
MICHAEL HUDSON: Beh, credo di averlo appena fatto.
Il problema è iniziato quando si è cercato di far coincidere la spesa militare con il PIL. Nessuno si aspettava che le spese militari del governo avrebbero avuto un ruolo così importante nella bilancia dei pagamenti e che avrebbero creato un tale deficit. Ma certamente, come ho già detto molte volte, anche in questo gruppo, negli anni ’60, ogni giorno verso mezzogiorno, ci riunivamo, la Federal Reserve riferiva sulla disponibilità di oro del Tesoro, e noi guardavamo quanto l’oro fosse sceso;
Ogni cartamoneta statunitense, i biglietti da un dollaro che avete in tasca, e tutti i tagli dovevano essere sostenuti per il 25% dall’oro. E man mano che la valuta aumentava, che l’economia si espandeva o si gonfiava, l’offerta di oro diminuiva. E si capiva che, a un certo punto, il governo avrebbe finito l’oro;
E i giornali avrebbero denunciato il generale de Gaulle per aver fatto la voce grossa dicendo: “Non ci piacciono le spese militari americane. Incasseremo tutti i dollari che l’America spende in Vietnam, Cambogia, Laos e nel Sud-Est asiatico. Questi sono territori francesi e le banche francesi inviano i loro dollari a Parigi e noi li incassiamo subito in oro.
In realtà la Germania ha incassato ancora più dollari in cambio di oro rispetto alla Francia. Se si parla di realtà economica, questa sarà diversa da quella raccontata dalla stampa tradizionale. Ed è molto difficile mantenere questa narrazione fittizia che viene insegnata alla gente.
KARL FITZGERALD: Che mi dice dei classici periodi di deficit gemelli negli anni ’80 e di come ciò abbia contribuito a creare deficit sostenuti?
MICHAEL HUDSON: Cosa negli anni ’80?
KARL FITZGERALD: Il periodo dei deficit gemelli, gli ampi divari fiscali e il dollaro forte. Come ha influenzato la politica fiscale degli Stati Uniti?
MICHAEL HUDSON: Ebbene, una volta che i Paesi non potevano più incassare i dollari che venivano pompati nell’economia in cambio di oro, l’unica scelta che avevano era quella di acquistare titoli di Stato statunitensi. Dovevano farlo, erano sicuri. Questo prima che il governo cominciasse ad accaparrarsi il denaro russo, venezuelano e di tutti i paesi che non gli piacevano;
È stata la spesa militare in deficit degli anni ’80 a pompare dollari nell’economia che sono finiti nelle mani delle banche centrali straniere, le quali hanno investito questo denaro in obbligazioni, buoni e banconote del Tesoro americano per finanziare il deficit di bilancio. Così gli americani non hanno dovuto – il governo non ha dovuto tassare gli americani. Dovevano solo spendere più denaro militare all’estero e lasciare che le banche centrali straniere acquistassero i titoli. Un flusso circolare.
KARL FITZGERALD: Buongiorno, se lo dice così è tutto molto semplice.
MICHAEL HUDSON: È per questo che la gente non ne parla. È semplice. Ma come si fa a renderlo così complicato che nessuno ne discuterà? Si ottiene un’intera serie di categorie irrealistiche. È a questo che serve l’economia e il ruolo degli economisti.
KARL FITZGERALD: E così la visione del risparmio globale di Bernanke è stata costruita su quel gioco che si è verificato negli anni Novanta. È la stessa cosa?
MICHAEL HUDSON: Certo. L’eccesso di risparmio globale è stato il neoliberismo. Hanno smesso di regolare le economie. Hanno permesso la monopolizzazione. Il risparmio, si potrebbe dire, è stato un eccesso di creazione di denaro. Quali erano questi risparmi? Le banche prestavano denaro ai loro principali clienti, i proprietari di case e il settore immobiliare, per l’80%. Quindi, la maggiore quantità di denaro creata dalle banche avrebbe spinto al rialzo i prezzi degli immobili, delle obbligazioni societarie e delle azioni;
L’economia è stata inondata dal denaro della Federal Reserve e questo ha creato il più grande rally obbligazionario della storia, dall’epoca di Paul Volcker nel 1979 che ha fatto cadere l’amministrazione Carter fino a pochi anni fa con la politica dei tassi zero. Non si tratta quindi di un risparmio. La finzione, e questo risale alle finzioni della fine del XIX secolo;
L’idea che se sei un miliardario, hai risparmiato i tuoi soldi. E il modo in cui Böhm-Bawerk, Eugen von Bawerk, e la scuola austriaca hanno detto: “Dobbiamo capire che c’è una ragione per cui gli interessi sono un prodotto, e i creditori svolgono un ruolo molto produttivo nell’economia. Fanno un sacrificio. Il loro sacrificio è l’astinenza. Non spendendo i loro soldi in beni di consumo e gratificazioni, rimandano le loro gratificazioni a dopo. Ed è così che si misurano i tassi di interesse.
E così tutto il denaro che i miliardari hanno viene risparmiato non consumando. Questo ha portato Marx a dire: “Immagino che i Rothschild siano la famiglia più astinente d’Europa”. E pensate che Donald Trump abbia guadagnato altri 5 miliardi di dollari nelle ultime settimane con criptovalute spazzatura? Non ha risparmiato quei soldi. Quel denaro è stato semplicemente creato;
Quindi l’idea stessa di fare riferimento al risparmio, il vocabolario è tutto un vocabolario eufemistico per far sembrare che i creditori, i proprietari terrieri e i monopolisti paghino un ruolo produttivo, invece che l’affitto che ottengono sia a somma zero. Quello che ottengono i proprietari, i banchieri e i monopolisti è un trasferimento di reddito dai consumatori, dagli affittuari o dai debitori ai creditori, senza alcuna contropartita. E come ha detto John Stuart Mill, e l’ho ripetuto abbastanza spesso, i proprietari fanno l’affitto nel sonno. Non fanno nulla per fornire un servizio produttivo.
Quindi, naturalmente, si vuole creare un vocabolario economico che faccia sembrare che le persone ricche ottengano le loro fortune essendo produttive invece che parassitarie. Il mio libro, J is for Junk Economics, tratta proprio di questo. Esaminare il vocabolario utilizzato, cercando di demistificarlo.
KARL FITZGERALD: Che dire del privilegio esorbitante degli Stati Uniti? È quasi come se uno Stato nazionale avesse messo in piedi un sistema per creare denaro nel sonno. E nel corso dei decenni, gli Stati Uniti hanno guadagnato più rendimenti sulle loro attività estere di quanti ne paghino sulle loro passività, come lei ha spiegato in Super Imperialismo. Quindi è davvero questo il senso di tutta la bilancia dei pagamenti con il cambio del dollaro?
MICHAEL HUDSON: Sì, in una parola. L’hai espresso in modo molto conciso, Karl.
KARL FITZGERALD: Ok. Beh, ho pensato che avrebbe potuto fare una sfuriata per noi.
MICHAEL HUDSON: Bene, l’ha detto chiaramente; non c’è bisogno di sproloquiare quando è tutto così chiaro.
KARL FITZGERALD: Ok, qualcuno può venire sullo schermo e fare qualche domanda? So che si tratta di materiale complicato, ma spesso è d’aiuto mentre cerchiamo di comprenderlo.
MICHAEL HUDSON: Qualunque cosa.
MICHAEL HUDSON: Sai, abbiamo mezz’ora di tempo.
MATT CONNORS: Ho una domanda, se non ce l’ha nessun altro.
KARL FITZGERALD: Andate, venite avanti.
MATT CONNORS: Inizierò esprimendo gratitudine al professor Hudson per il suo lavoro. Immensamente, immensamente grato. Ha un modo di indicarci una direzione in cui non stiamo guardando. Ricordo di aver letto un saggio, poco dopo l’inizio del recente conflitto tra Russia e Ucraina, in cui lo definiva la terza guerra degli Stati Uniti contro la Germania, e pensavo di essere molto confuso, ma non lo ero. E sapete, questo è estremamente utile;
Allo stesso modo, quando un paio di anni fa la gente ha iniziato a entusiasmarsi per l’emergere dei BRICS, il professor Hudson è stato coerente nel condividere un po’ di entusiasmo, ma sottolineando il fatto che non avevano trovato un sistema che permettesse loro di lasciarsi alle spalle il dollaro. Sarei interessato a sentire la sua analisi per capire se sono migliorati in questo senso, se è all’orizzonte. Si tratta di una domanda specifica che si inserisce nella mia domanda più ampia, ovvero quanto questo sistema truccato sarà ancora in piedi dopo tutti gli errori o i passi falsi che gli attuali leader occidentali hanno commesso.
MICHAEL HUDSON: Beh, questa settimana ho fatto due trasmissioni. Su Naked Capitalism di oggi, e sul mio sito web, c’è la mia discussione con Glenn Diesen su questo. E ho appena fatto un’intervista alle 11 di oggi con Nima su Dialogue Works proprio su questo argomento. Non hanno ancora messo insieme un sistema per ristrutturare le loro economie e renderle diverse. Tutto ciò che i Paesi hanno fatto dal 1955 in poi è stato lamentarsi a partire dalla Conferenza di Bandung. Il mondo non è ingiusto? Ma bisogna andare oltre il dire: sì, il mondo è ingiusto. Che cosa faremo al riguardo?
La soluzione deve essere quella di cambiare l’intera politica fiscale. Questo è ciò che devono fare. Primo: non sono in grado di pagare i loro debiti in dollari e in valuta estera senza sacrificare la loro crescita economica. Secondo, i Paesi BRICS e il Sud globale si trovano di fronte a un problema. Gli investitori stranieri provenienti dagli Stati Uniti, dall’Inghilterra e dall’Europa possiedono le loro materie prime, il loro petrolio, le loro miniere, le loro foreste, le loro piantagioni, e ne ricavano un affitto. E queste aziende straniere che possiedono materie prime estraggono rendite di materie prime dai Paesi del Sud Globale e da altri Paesi oggi.
Stanno svolgendo lo stesso ruolo che i proprietari terrieri svolgevano in Gran Bretagna, in Francia e in Europa all’inizio del XIX secolo, facendo pagare l’affitto del terreno a tutti. È una tassa di peso morto. È un pagamento di trasferimento da cui l’economia classica voleva liberare le economie, per creare un mercato in cui non ci fosse alcuna rendita economica che finisse in mani private. Ricardo descrisse la teoria del valore, del prezzo e della rendita nel capitolo 2 dei suoi Principi di economia politica. Ha detto che la rendita fondiaria include le rendite delle risorse naturali. Non ha parlato di rendite di monopolio e non ha parlato di rendite finanziarie, ma almeno ha parlato di materie prime;
Diceva che è un prezzo senza valore di costo. E la sua teoria del valore del lavoro è stata concepita per dire: quale parte del sistema dei prezzi che paghiamo non è valore? Qual è il prezzo che non è realmente un costo necessario della produzione? Se tutti i costi sono in ultima analisi risolvibili in lavoro; la terra è fornita dalla natura, i monopoli grezzi sono creati dai sistemi legali, e l’estrazione bancaria di interessi e oneri finanziari è anch’essa una creazione istituzionale, non parte del lavoro necessario;
L’intera dottrina della teoria classica della rendita, dai Fisiocratici ad Adam Smith, a John Stuart Mill, a Marx, a Thorstein Veblen, era incentrata sul modo in cui allineare la struttura dei prezzi ai costi di produzione effettivi, in modo da non avere più transazioni a somma zero, pranzi gratis, pagamenti a una classe di rentier che fa soldi nel sonno. Questo era l’aspetto rivoluzionario del capitalismo industriale. Si stava evolvendo verso il socialismo, liberando le economie dalle classi di rendita.
Poi c’è stata un’intera reazione anticlassica, all’inizio del XX secolo. Dopo la prima guerra mondiale, i rentiers si sono ribellati. Le banche e gli interessi immobiliari si uniscono per dire che la rendita economica non esiste. Ognuno guadagna quello che guadagna e si è guadagnato le fortune che è riuscito ad accumulare;
Lo chiameremo risparmio. Anche se non sono stati risparmiati, sono stati fatti nel sonno senza che loro abbiano avuto alcun ruolo nel risparmio. Quindi l’intero vocabolario economico è stato concepito per creare una narrazione fittizia del funzionamento delle economie, e questa narrazione fittizia ha richiesto la negazione dell’intero secolo di teoria classica del valore, dei prezzi e della rendita, che era stata concepita per minimizzare la rendita. È una risposta lunga alla sua domanda, ma ho cercato di fornirle il contesto.
MATT CONNORS: Grazie mille. Mi dispiace. Avrei altre domande, ma non voglio rubare tempo alla trasmissione, quindi lascerò che siano gli altri a rispondere.
MICHAEL HUDSON: Le domande sono tutte ottime. Sono sempre contento di averle. Lascerò che sia Karl a decidere cosa fare.
FRANK MOELLER: Ok. La mia domanda è: come fa la Cina a sovvenzionare l’istruzione, la sanità, i trasporti e le comunicazioni in modo da avere salari competitivi per i propri dipendenti? Mentre in questo Paese abbiamo costi esorbitanti per le assicurazioni e l’istruzione. C’è un debito studentesco di 1.700 miliardi di dollari. Il tutto è finanziato da prestiti. Come fa la Cina a finanziare il proprio processo educativo e tutti gli altri aspetti a cui la società partecipa?
MICHAEL HUDSON: Hanno tolto la finanza, la creazione di denaro e di debito dal settore privato e ne hanno fatto un servizio pubblico. E invece di essere le banche a creare denaro con la tastiera del computer, è la Banca Popolare Cinese, la banca centrale, a creare denaro. È come se il Tesoro degli Stati Uniti stampasse banconote da spendere nell’economia. Quindi, se voi create il vostro denaro, il governo crea il denaro e decide per cosa spendere il nostro denaro?
Vogliamo spenderli per fornire un’istruzione gratuita. Non vogliamo che la gente debba pagare così tanto. Vogliamo assicurarci di abbassare i costi di produzione. Vogliamo fare proprio quello che un’economia industriale capitalista vorrebbe fare. Vogliamo ridurre al minimo i costi di produzione per rendere la nostra economia più competitiva rispetto alle altre. E la rendiamo più competitiva riducendo al minimo il costo della vita che i datori di lavoro devono pagare ai loro salariati. E non vogliamo che i datori di lavoro in Cina, siano essi del settore pubblico o di quello privato, debbano pagare i loro salariati solo per pagare l’istruzione.
Quindi la Cina fornisce l’istruzione gratuitamente. Non vogliamo che i lavoratori debbano spendere i loro soldi per l’Obamacare per pagare i grandi conglomerati di assicurazione medica e le aziende farmaceutiche. Quindi forniremo noi l’assistenza medica. Questa era la buona politica economica conservatrice in Gran Bretagna nel XIX secolo, quando Benjamin Disraeli disse: “La salute e l’assistenza sanitaria sono tutto”. E questo era l’obiettivo del Partito Conservatore: rendere più competitiva la manodopera britannica facendo sì che la sanità pubblica riducesse al minimo i costi che la manodopera doveva sostenere;
Lo stesso vale per gli alloggi. La Cina non ha trattato l’edilizia abitativa come ha trattato l’istruzione e l’assistenza sanitaria. E questo è stato un problema di cui ora si sta rendendo conto. Ma sta cercando di farlo. La Cina non ha un settore bancario che presta denaro alle aziende cinesi per rilevare altre aziende cinesi e poi prendere in prestito altro denaro, una volta rilevata l’azienda, per acquistare l’azienda e poi versarlo come dividendo agli azionisti o per acquistare le proprie azioni;
Nessuno di questi trucchi finanziari, che negli Stati Uniti fanno soldi grazie alla pura ingegneria finanziaria, viene fatto in Cina. La loro economia è progettata come da ingegneri, e la maggior parte del Comitato Centrale ha una formazione ingegneristica o di amministrazione pubblica, in modo da evitare di trattare la loro economia nel modo finanziarizzato e privatizzato in cui funziona l’economia degli Stati Uniti.
MATT CONNORS: Grazie.
MICHAEL HUDSON: È chiaro?
FRANK MOELLER: Sì, è così. Grazie.
MICHELLE ROMINE: Vorrei solo chiedergli: se i paesi BRICS riusciranno a organizzare un altro sistema alternativo in un certo momento, dichiareranno il debito odioso e nazionalizzeranno le proprie risorse?
MICHAEL HUDSON: Beh, per farlo devono agire insieme. Non possono farlo uno per uno, perché potrebbero essere presi tutti e le loro partecipazioni estere potrebbero essere accaparrate, proprio come Paul Singer ha cercato di accaparrarsi le attività dell’Argentina per pagare gli obbligazionisti. Quindi bisogna farlo tutti insieme. E ora hanno la scusa perfetta per ripudiare i loro debiti, perché i dazi di Donald Trump hanno impedito loro di guadagnare i dollari per pagare gli obbligazionisti. Ha chiuso loro il mercato statunitense. E se non possono esportare nel mercato statunitense, non c’è modo di ottenere i dollari per pagare i debiti esteri;
Così possono unirsi e dire: questa è la festa del debito di Donald Trump. Questo è quanto. L’ha reso impossibile. Ha distrutto la capacità di pagare i debiti. Non sacrificheremo la nostra crescita e lasceremo che gli Stati Uniti la distruggano. La politica di Donald Trump è quella di dire: “Creeremo il caos nella vostra economia, dichiareremo guerra alla Russia e alla Cina e vi faremo quello che è successo in Ucraina”.
Possono dire: abbiamo scelto la strada della civiltà. E così si ha una lotta tra la civiltà e quella che oggi viene chiamata la barbarie dell’ultimo stadio.
MATT CONNORS: Intervengo con una domanda veloce. Michael ha iniziato parlando del Cile nel 1965, se la mia memoria funziona per un tratto di un’ora e mezza. Qualche idea sulla capacità del Cile di ritornare sulla questione di uscire dalla costituzione di Pinochet che hanno cercato di riscrivere e che è fallita? Hanno imparato da questo? O gli altri Paesi che li hanno osservati hanno imparato da questo? L’idea che un Paese straniero possa possedere tutte le loro materie prime, le loro miniere e tutto il resto mi ha fatto capire cosa stavano cercando di fare. È stata una cosa unica e finita? E ora si trovano in una posizione ancora più debole per tentare qualcosa di simile?
MICHAEL HUDSON: Laggiù è un disastro totale. Pinochet introdusse questo sistema di pensioni truffaldine in modo che le aziende potessero semplicemente investire – pagavano i soldi della pensione ai lavoratori per essere pagati in azioni proprie, e poi organizzavano l’azienda che impiegava i lavoratori come una filiale della holding bancaria. Le aziende erano organizzate come i cosiddetti “grupos”, una holding e l’azienda privata;
In questo modo l’azienda cilena avrebbe continuato ad andare avanti e poi avrebbe detto: “Un giorno abbiamo versato a noi stessi tutti i soldi della tesoreria. Siamo al verde. Mi dispiace, abbiamo cancellato tutto il debito pensionistico. Dobbiamo fallire. Abbiamo mandato tutto al nostro grupo, la nostra banca, e loro hanno cancellato tutte le pensioni. Sono rimasto sconcertato dalla politica cilena. Non riesco a capire perché sia stata così cattiva da quando ho iniziato a seguirla negli anni Sessanta. Tutti guardavamo il presidente Frey e la sua cattiva gestione dell’economia.
Poi Allende ha gestito male l’economia con questa sorta di marxismo volgare che ignorava la questione fondiaria. Il Cile ha il più grave problema di riforma agraria dell’America Latina. Vaste piantagioni e la più bassa produttività agricola, eppure ha le più alte risorse naturali di fertilizzanti di tutta l’America Latina. Il guano è una delle sue principali esportazioni. È solo un esempio di come non si gestisce un’economia. Il Cile è l’economia più autodistruttiva e mal gestita dell’America Latina. Non capisco come possano andare così male. Quindi, non c’è risposta a metà della sua domanda. Come si spiega che le persone siano così incompetenti?
KARL FITZGERALD: Ok, grazie, Matthew. Passiamo a Wendell, che ha alzato la mano. Allora, Wendell, vuoi entrare?
WENDELL FITZGERALD: Il mio economista preferito, di cui Michael è a conoscenza, è Henry George, che suggerì di imporre una tassa del 100% sui redditi non percepiti derivanti dalla proprietà di terreni e altri monopoli;
MICHAEL HUDSON: Perché dici Henry – perché non dici Adam Smith? Perché non dire John Stuart Mill? Si potrebbe fare una carrellata di economisti. Lo dicevano tutti.
WENDELL FITZGERALD: Abbiamo un vero mercato libero. Il modo in cui si ottiene un libero mercato della terra è quello di non permettere alle persone di tenersi l’affitto della terra che non hanno effettivamente creato. La comunità crea quel valore. Quindi, paghiamolo alle persone che lo hanno effettivamente creato. Marx, e voglio dire, Adam Smith e Ricardo, sì, assolutamente. Henry George.
MICHAEL HUDSON: Ecco il problema: George era un giornalista 150 anni fa. E ora, tutti questi affitti sono privatizzati non più a una classe di proprietari ereditari, non alla classe che lui descriveva, che George descriveva così bene nella questione della terra irlandese. L’affitto viene pagato alle banche. E non credo che né George né altri economisti del suo tempo lo avessero previsto. Sì, c’è il libero mercato di cui si parla per quanto riguarda gli alloggi e i beni immobili;
Chiunque può acquistare una casa o un edificio da solo. Ma quasi tutti, per acquistare questa proprietà, devono chiedere un prestito a una banca. E competono con altri mutuatari per ottenere il prestito ipotecario, per acquistare la casa o l’edificio commerciale. Accettano di pagare gli interessi alla banca. Così la maggior parte degli interessi e della rendita fondiaria dell’economia americana viene pagata al sistema bancario.
Oggi non c’è nessun successore di George che dica queste cose. Alla fine, si è scoperto che i banchieri si sono buttati a capofitto sugli interessi immobiliari, rendendosi conto che qualsiasi tassa il governo avesse tagliato sulla terra sarebbe stata libera di pagare l’affitto economico come interesse alle banche. Quindi la vera questione in ogni economia oggi non è se i proprietari o i proprietari di casa o il governo otterranno la rendita fondiaria. È se le banche o i proprietari privati otterranno l’affitto.
Il governo non ha ovviamente tassato l’affitto, e tutto ciò che il governo non ha riscosso finisce per essere pagato alle banche. Questo è il problema. Ecco cos’è la finanziarizzazione. Ed è per questo che il capitalismo finanziario che si è verificato nell’ultimo secolo è così diverso dalle prospettive del capitalismo industriale, come sembrava ad Adam Smith, John Stuart Mill e Henry George nel 1879.
WENDELL FITZGERALD: Quindi qual è la soluzione? Non sono in disaccordo con lei. Qual è la soluzione che propone? C’è una soluzione fiscale?
MICHAEL HUDSON: Si, certo che bisogna tassare la terra. Ma oggi, se si cerca di tassare la terra, è molto più difficile che ai tempi di George, perché se si tassa la terra, l’affitto della terra, l’affitto è già dato in pegno alle banche per pagare gli interessi ipotecari. Il sistema bancario fallirà. Beh, io sono d’accordo, francamente;
Sì, il sistema bancario deve fallire. Per avere l’imposta fondiaria che Henry George, Adam Smith, John Stuart Mill e Karl Marx sostenevano, bisogna privare il sistema bancario e cancellare tutti i crediti delle banche e dei creditori che già, con 30 anni di anticipo, rivendicano l’affitto della terra da pagare a loro, non all’esattore delle tasse.
KARL FITZGERALD: Sì. Stiamo cercando di specializzarci sulla bilancia dei pagamenti in questa discussione. Ci occupiamo spesso di questo argomento. E abbiamo solo un po’ di tempo a disposizione. Quindi Wendell, spero che non ti dispiaccia se ci allontaniamo dal nostro argomento preferito. Ma sì, mi interessa, Michael, la domanda di Frank di prima sulla Cina. C’è un paese in cui, in termini di teoria del commercio, il vantaggio comparativo è ancora dominante? Dove si perseguono…
MICHAEL HUDSON: Domanda trabocchetto. Non ha mai retto. È sempre stata la mia teoria dello sviluppo commerciale e del debito estero. L’intera teoria del vantaggio comparato era, se leggete il mio libro, tutta fittizia. Non ha mai funzionato. Non ha mai retto.
KARL FITZGERALD: Ma la Cina ha avuto questo enorme surplus commerciale perché ha avuto un vantaggio comparativo nella produzione. Quindi, come funziona la politica commerciale per loro? Hanno l’enigma di avere tutti questi buoni del tesoro, cosa ne faranno in realtà?
MICHAEL HUDSON: Non ha affatto un vantaggio comparativo. Ha un vantaggio assoluto. Ci sono alcuni costi comuni in America e nell’economia mondiale. Ogni Paese, tranne gli Stati Uniti, deve pagare lo stesso prezzo per il rame, l’acciaio e il petrolio, e questo rende la struttura dei costi assoluta la chiave;
La teoria del vantaggio comparato di Ricardo, per farla breve, dimostrava che il Portogallo era il vincitore nel commercio con l’Inghilterra e che la soluzione era che gli altri Paesi fornissero materie prime e dipendessero dai produttori e dai monopoli inglesi. Questa era spazzatura, spazzatura fin dall’inizio. E ne parlo nel mio libro sulla teoria del commercio.
Ma la Cina è avvantaggiata perché ha seguito il piano originale degli economisti classici. Si minimizza la rendita economica e si razionalizza l’economia.
Quindi non c’è un settore finanziario privato parassitario, né una classe di rentier parassitaria. E almeno il Presidente Xi ha detto che la casa è un bene da abitare, non da trattare come un bene di investimento. E credo che in questi giorni stiano iniziando a cercare di muoversi in questa direzione;
La Cina ha seguito la logica del capitalismo industriale. Lo chiamano socialismo con caratteristiche cinesi. Potrebbero chiamarlo capitalismo industriale con caratteristiche cinesi, perché è esattamente quello che stanno seguendo; lo stesso percorso con cui la Gran Bretagna, la Germania e gli Stati Uniti hanno organizzato il loro decollo industriale.
KARL FITZGERALD: Beh, fino agli ultimi 10 o 15 anni, quando il settore FIRE, in particolare quello immobiliare, ha preso il potere, il controllo, e ora abbiamo tutte queste città fantasma in Cina. Quindi è triste vedere che, anche lì, sono stati vittime dell’economia di rendita. Stiamo parlando di bilancia dei pagamenti, e non sono sicuro che ne abbiamo parlato oggi, ma di prezzi di trasferimento. Che ruolo ha il fatto che le multinazionali usino i prezzi di trasferimento per svalutare i loro obblighi fiscali in vari Paesi?
MICHAEL HUDSON: Si tratta di prezzi fittizi. Organizzavano una serie di multinazionali e facevano in modo che – ecco come l’industria petrolifera applicava i prezzi di trasferimento: tutto il petrolio prodotto in Medio Oriente e in altri Paesi veniva venduto a una società in Liberia o a Panama che non aveva alcuna tassazione. L’affiliata liberiana e panamense della Standard Oil o della Saccone o di qualsiasi altra compagnia petrolifera rivendeva poi il petrolio a un prezzo molto alto alle raffinerie negli Stati Uniti o in Europa;
E il prezzo dell’affiliato in questa enclave bancaria offshore, questi tipi di società fittizie, tutti i profitti sarebbero stati realizzati lì; non c’era alcun profitto [a causa] del prezzo che applicavano a valle nei Paesi che avevano un’imposta sul reddito. Non c’erano imposte sul reddito in Liberia o a Panama. E in base al trattato fiscale, una società può sostanzialmente seguire le regole fiscali del conglomerato e le regole fiscali del luogo in cui si trova la sua grande società commerciale.
Ecco perché, quando ho chiesto al tesoriere della Standard Oil: “Dove si fanno i profitti?”, lui mi ha risposto: “Sono fatti proprio qui nel mio ufficio”. E lui rispose: “Sono fatti proprio qui nel mio ufficio”. E ha detto: “Io dichiaro che sono stati fatti in Liberia o a Panama perché lì non ci sono tasse”.
E così l’intero profitto – avrebbe potuto dire rendita economica, ma non la pensava così – derivante dal petrolio, è stato pagato alla società madre nel New Jersey. E poiché tutto era stato realizzato in un Paese fittizio, utilizzando la valuta del dollaro, che non aveva imposte sul reddito, un’enclave bancaria offshore, non dovevano alcuna imposta sui profitti agli Stati Uniti. Ecco cos’era il transfer pricing. Il prezzo a cui l’affiliata commerciale nel centro bancario offshore vendeva il petrolio era così alto che non c’erano profitti da realizzare a valle nel settore della raffinazione e della distribuzione alle stazioni di servizio. Questo risponde alla sua domanda?
KARL FITZGERALD: È così. E mi viene in mente che se c’è una nazione che ha sfruttato a proprio vantaggio la teoria della bilancia dei pagamenti e la comprensione delle rendite economiche, questa è Singapore. Lei sa molto di Singapore e delle sue partecipazioni Temasek e di come utilizza il suo surplus di conto capitale per investire in altri servizi nazionali?
MICHAEL HUDSON: In realtà non l’ho seguito. Non ho avuto occasione di seguirlo.
KARL FITZGERALD: Quindi devo farvi dare un’occhiata. Kimberly Mims, la nostra amica, vuole venire sullo schermo? Ci stiamo avvicinando alla fine della giornata. Sì, è una delle nostre collaboratrici qui con la troupe di Michael Hudson. Ci sta chiedendo delle multinazionali. Puoi entrare, Kimberly?
KIMBERLY MIMS: Mi interessava la questione di come questa sorta di circolazione dei benefici, diciamo, rimanga all’interno degli Stati Uniti e non esca mai davvero in una sorta di modo giusto ed equo, giusto?
È di questo che sta parlando. E ha anche menzionato brevemente i partenariati pubblico-privato, e questo è un aspetto che vedo in questo Paese come privo di regolamentazione dappertutto. Voglio dire, lo vedo a Chicago dappertutto. È semplicemente fuori controllo. E francamente non so cosa siano. A volte si chiamano centri. Non si sa nemmeno cosa siano, letteralmente, come modelli di business;
Sembra quindi un modo per aprire una sorta di spazio non regolamentato che è sia nazionale che potenzialmente internazionale. E mi chiedo se questo abbia un qualche ruolo o se veda un modo di guardare a questo, che sia proficuo e costruttivo in termini di bilancia dei pagamenti.
MICHAEL HUDSON: Beh, l’intero settore finanziario è altamente sfruttato. E come lei sottolinea, questi partenariati pubblico-privato sono stati sviluppati sotto la Thatcher e ancor più sotto Tony Blair. L’idea è che tutti i profitti vadano al proprietario privato e che tutte le perdite siano assorbite dal governo. L’effetto è quello di trasferire denaro dal governo;
Il governo sovvenziona un’azienda che apparentemente subisce perdite e le perdite assumono la forma di alti interessi, pagamenti manageriali e altri oneri finanziari in gran parte fittizi e pagamenti di trasferimento ai manager finanziari. Quindi, ancora una volta, abbiamo a che fare con un’economia fittizia. E la maggior parte dell’economia odierna, credo si possa dire, si basa su finzioni economiche con una storia di copertura fittizia, una narrazione per far sembrare che tutto questo sia guadagnato e che tutti si siano guadagnati ciò che prendono e finiscono con l’essere produttivi o improduttivi se si è operai;
KARL FITZGERALD: Beh, sto cercando di pensare a un modo per concludere, Michael, perché è stata una conversazione complessa e che tutti noi dobbiamo approfondire. Immagino che con l’arrivo dei BRICS, dove pensi che stia andando il futuro della teoria della bilancia dei pagamenti? E queste nazioni stanno effettivamente recependo ciò che lei insegna o, secondo lei, cadranno nello stesso buco?
MICHAEL HUDSON: In realtà non esiste una teoria della bilancia dei pagamenti perché l’intera discussione e le categorie economiche sono come se tutte le transazioni comportassero pagamenti monetari effettivi. E come ho detto, l’affitto dei proprietari di casa non comporta un pagamento. Le importazioni di petrolio dalle consociate americane non comportano pagamenti effettivi in valuta estera. Quindi la gente non ne discute;
L’intera terminologia e le categorie utilizzate dalle economie, come il PIL, non sono molto utili. Negli articoli che ho scritto insieme a Dirk Bezemer, mi sono occupato di ricreare il PIL. Mettiamo al netto il PIL. Quanto è il prodotto effettivo e quanto è la rendita economica? Non un prodotto, ma un pagamento di trasferimento. E si scopre che tutta la crescita del PIL americano è una rendita economica. Non è un prodotto. Il prodotto, il settore produttivo, sta diminuendo. Ecco perché l’America si sta deindustrializzando, perché siamo in un’economia di rendita.
Le economie occidentali non saranno mai in grado di ricreare le statistiche del PIL in questo modo. Vogliono dire, beh, guardate quanto è potente l’America, guardate il nostro PIL. Ma è come dire: guardate quanto pesa questo bambino. Pesa più degli altri, ma è solo un tumore sulla schiena. Così si potrebbe considerare il PIL dell’America come un tumore finanziario;
L’obiettivo, spero, che vorrei vedere nei Paesi BRICS è quello di evitare il tumore finanziario, il tumore della rendita economica, il tumore del proprietario e il tumore del monopolio. Evitino tutto questo, proprio come la Cina ha detto che avrebbe fatto fin dall’inizio, e proprio come Adam Smith e l’intera scuola classica di economisti speravano che sarebbe stato il capitalismo industriale.
Ma per farlo, devono tornare a studiare gli economisti classici del XIX secolo. Sto scrivendo un libro su questo argomento e probabilmente mi ci vorrà un altro semestre per finirlo. Ma è proprio su questo che sto spendendo tutti i miei sforzi al momento.
KARL FITZGERALD: Beh, grazie, Michael. Questo lavoro è inestimabile ed è bello avere qui alcuni dei nostri sostenitori di Patreon. Loro fanno…
MICHAEL HUDSON:
Sono davvero grato a tutti voi per aver aderito. È per questo che scrivo. L’idea non è solo quella di sedermi e scrivere le mie idee, ma di diffonderle. E spero che possiate fare tutto il possibile per continuare a portare avanti le idee e in qualche modo irradiarle. È l’unico modo per far sì che queste idee si diffondano, perché non si diffonderanno attraverso il New York Times.
MATT CONNORS: Questo è certo.
KARL FITZGERALD: Va bene. Beh, grazie, Michael. Grazie a tutti. Ci auguriamo di rivedervi qui tra tre mesi. Vedremo se sarà cambiato qualcosa o se continueranno le stesse tendenze di avidità e rentierismo. Speriamo quindi che….
MICHAEL HUDSON: Spoiler alert, sarà la stessa tendenza.
Ci sono sempre nuovi colpi di scena. E credo che oggi abbiamo dovuto fare un passo indietro. È un bene che Karl mi abbia chiesto di concentrarmi sulla bilancia dei pagamenti, perché ha fatto emergere l’importanza delle categorie, della struttura e del formato contabile e, in ultima analisi, del formato della politica fiscale e tributaria.
KARL FITZGERALD: Ben fatto, amico. Eccellente. Bene, allora… Ci vediamo tra qualche mese.
MATT CONNORS: Grazie a tutti.
MICHAEL HUDSON: Grazie.
KARL FITZGERALD: Ci sono applausi da tutte le parti. Ben fatto, amico. Ok. Ci vediamo tutti. Ciao a tutti.
La nostra democrazia è in crisi: come possiamo reinventarla? Cosa possiamo imparare da coloro che, nel corso dei secoli, ne sono stati i creatori? La terza puntata della nostra serie sui filosofi e la democrazia è dedicata a Nicolas Machiavelli (1469-1527). Per il fiorentino il conflitto è un orizzonte politico ineludibile: il “popolo” deve essere armato per non subire la tirannia del “Grande” e le repubbliche devono essere potenti per non subire l’imperialismo degli Stati vicini.
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Machiavelli fu un pensatore che fece della sopravvivenza e della fondazione degli Stati una questione fondamentale. Per Machiavelli, che fu un alto funzionario della Repubblica fiorentina, la questione del regime politico era subordinata a quella della sopravvivenza in un contesto sempre segnato dalla prospettiva della guerra.
Il regime migliore è necessariamente quello che assicura sia la libertà che il potere e che permette di fondare lo Stato nel tempo. La scienza politica che egli inaugura non è più una riflessione teorica, ma un programma politico che articola l’ideale con il pragmatismo.
Per i repubblicani, fino alla metà del XIX secolo, l’estensione e persino l’universalizzazione della cittadinanza era una questione essenziale. Dato che la classe media è cresciuta gradualmente nel tempo fino a raggiungere una quota molto ampia, addirittura maggioritaria, della popolazione europea, il repubblicanesimo, in queste condizioni, era legato a una cittadinanza universalmente attribuita ai membri della società e poteva quindi essere proposto come fondamento teorico delle democrazie moderne e poi contemporanee.
L’orizzonte del potere
Da un punto di vista interno, Machiavelli ritiene che la divisione sociale sia inevitabile e che il ruolo di un sistema giuridico sia quello di permetterle di esprimersi, fermandola nelle sue manifestazioni più estreme. Come ha sottolineato, i grandi vogliono naturalmente dominare, quindi bisogna impedire loro di tiranneggiare. Il “popolo ” (per intenderci, le “classi medie “) vuole solo non essere dominato, quindi bisogna dargli le armi che gli consentano di costituire un contropotere alla potenziale tirannia dei Grandi.
Il mondo di Machiavelli è guerrafondaio; il potere è al tempo stesso garanzia di sopravvivenza e strumento di conquista. Se il popolo può accontentarsi di non essere schiavo, una società, in un mondo instabile, deve essere potente. La politica si costituisce nell’articolazione ben ponderata sia di ciò che è in sostanza, la ricerca di una convivenza sostenibile, sia della sua situazione nel mondo, composta dalle sue inevitabili interazioni con altre entità politiche.
Per Machiavelli, il mondo della politica non è cristiano: il suo fondamento, il fondamento di ogni società, rimane l’appetito dell’individuo. Se fossimo tutti santi cristiani, la politica semplicemente non esisterebbe. Il desiderio di dominio, perfettamente naturale e quindi inevitabile, struttura ogni comunità e la divide in tre gruppi: coloro che vogliono dominare (i Grandi), coloro che accetterebbero questo dominio per necessità di sopravvivenza (la plebe, la plebe) e coloro che non vogliono né l’uno né l’altro (la gente comune, il “ceto medio”). Il sistema politico repubblicano accetta questo come punto di partenza. Accetta la fondamentale disuguaglianza di condizioni e desideri nella sua stessa tripartizione.
Da quel momento in poi, Machiavelli pone al centro del sistema sia la legge, che tutti devono rispettare sopra ogni cosa, sia le armi. Il fiorentino non immagina nemmeno per un secondo che i Grandi smettano di loro iniziativa di avere sete di dominio e di riconoscimento. Anticipa così i liberali, in particolare Montesquieu su questo punto, ritenendo che solo il potere fermi il potere. Nella visione machiavellica e pragmatica delle cose, fermare un dominio che potrebbe essere tirannico non può essere fatto solo dalla legge. Il popolo deve essere armato per imporre ai Grandi il rispetto della Legge.
Per il fiorentino, questa dinamica iniziale non portò alla guerra civile, ma piuttosto all’evoluzione della sete di dominio dei Grandi, che li portò a rivolgere i loro desideri verso l’esterno. Più che tiranni, avevano il duplice interesse di diventare generali e statisti. Questo punto è ben visibile attraverso lo schema dei Discorsi sulla prima decade di Tito Livio, un libro poco noto al grande pubblico ma molto letto dai repubblicani successivi. Per Machiavelli, il sistema politico repubblicano, nella sua turbolenza e instabilità di fondo, offriva la possibilità di un potere esterno e di una certa forma di imperialismo.
” Si vis pacem… “
Per Machiavelli, ogni situazione di pace corrisponde a quel momento che precede una nuova guerra. Di conseguenza, la guerra deve essere preparata al meglio per non doverla combattere. La vita del Segretario si svolge durante le guerre d’Italia, quando la guerra era onnipresente e inevitabile. Dal suo punto di vista, un pacifismo che potesse presiedere a una gara di armi per difendere le democrazie assumendo il rischio di una guerra era sempre preferibile a un disarmo che poteva solo far presagire una futura invasione.
La questione della pace, per Machiavelli, ci viene così restituita come quella di una tensione molto difficile da raggiungere e non come un progetto ideale razionale. Così, lo sforzo kantiano di promuovere la pace perpetuaattraverso un’estensione dello Stato di diritto a tutte le entità politiche è l’opposto del pensiero machiavelliano. Secondo il fiorentino, per raggiungere la pace, un potere imperiale repubblicano dovrebbe essere limitato da un altro potere imperiale equivalente. Potremmo dire che, nel nostro mondo contemporaneo, questo è stato il caso dell’Europa dal 1945, sotto il dominio della potenza imperiale americana sull’URSS. Una volta che la prima potenza non c’è più, deve essere sostituita da una potenza sufficiente a scoraggiare qualsiasi aggressione esterna.
Morire per la libertà?
Machiavelli avrebbe indubbiamente collegato questa domanda a un’altra, per lui più essenziale e che, ai suoi occhi, sarebbe stata indubbiamente alla base di tutto il problema democratico: siamo disposti a morire per la libertà, cioè per ciò che la rende possibile, cioè la patria e il suo sistema politico?
Per Machiavelli, questa semplice e cruciale domanda non dovrebbe mai uscire dall’orizzonte di una società che voglia durare. Per Machiavelli, la libertà è potere: solo un popolo in armi è libero e capace di mantenere la propria libertà dai Grandi e dalle ambizioni dei vicini, imponendo la paura.
Oggi si sentono molte voci sulla sacralità della vita. In una prospettiva machiavellica, che si rifà all’antico pensiero filosofico precristiano, in particolare a quello degli stoici, la vita non può essere sacra. Non è un dono ineffabile del Creatore, ma un fatto che ci proietta in un universo collettivo all’interno del quale dobbiamo fare delle scelte e contribuire a un significato che non è dato in anticipo e non è esterno a questo mondo. C’è tutta un’area di interrogazione da esplorare qui, un significato da dare alla politica nelle nostre società, che sono allo stesso tempo cristianizzate e disincantate, per usare il termine di Max Weber.
Machiavelli fornisce una risposta repubblicana inequivocabile, che implica una risposta radicale alla domanda se vogliamo vivere a tutti i costi, anche sotto una tirannia. Questo primo pensatore della modernità rifiuta chiaramente qualsiasi prospettiva cristiana a favore, in modo molto singolare per il suo tempo, di una “religione civica” sul modello romano precristiano. La riflessione che la lettura di Machiavelli suscita per le nostre democrazie liberali si riferisce al posto della politica nella nostra vita. Per il fiorentino, la vita vale la pena di essere vissuta solo se è politicamente libera.
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L’autunno è arrivato e ha segnato la fine della mia terza stagione di coltivazione nell’orto. Ho ancora alcune brassicacee più resistenti, come cavoli, germogli e broccoli, nell’orto. Tuttavia, i bei tempi sono effettivamente finiti e le mie colture invernali decisamente poco entusiasmanti, come porri, cipolle e aglio, sono quasi pronte per essere trapiantate. Ripensando alla stagione di coltivazione, posso raccontare i miei successi e i miei fallimenti.
Ho piantato pomodori per la prima volta e ho scoperto che erano piante incredibilmente deboli e bisognose. Prima, da giovani piantine, non c’era abbastanza luce solare; poi, da piante, faceva troppo freddo; poi ricevevano troppa acqua; infine richiedevano fertilizzanti costosi. Durante l’ondata di caldo estivo, faceva troppo caldo.
Al contrario, un grande successo quest’anno è stato quello dei fagiolini scarlatti. Mentre i pomodori reclamavano attenzione nella serra, i fagiolini scarlatti si sono arrampicati allegramente su un traliccio improvvisato e hanno prodotto un gran numero di baccelli lunghi trenta centimetri (!).
Ho avuto un raccolto di patate enorme, mentre i piselli si sono rivelati un completo disastro perché, ancora una volta, non avevo calcolato quanto sarebbero cresciuti in altezza.
Accanto alle mie piantine di cipolla e porro ci sono alcune piante più rare e insolite con cui sto sperimentando.
E c’è una storia dietro a tutto questo…
Non sorprende che l’algoritmo di YouTube promuova in modo piuttosto aggressivo i “contenuti” di giardinaggio nel mio feed video. All’inizio di quest’anno, mi è stato consigliato un video intitolato ” 15 verdure dimenticate coltivate dai contadini medievali che DEVONO tornare ” . Il video, che sospetto fosse principalmente generato dall’intelligenza artificiale, elencava numerose erbe e verdure del Medioevo che da allora sono scomparse dalla nostra dieta quotidiana. Nonostante la natura “scarsa” del contenuto, sono rimasto incuriosito dalla premessa e ho approfondito ulteriormente.
Devo ammettere che non avevo riflettuto molto su come il nostro cibo sia cambiato nel corso dei secoli. Se William Shakespeare avesse visto una patata, l’avrebbe considerata una stranezza, forse un afrodisiaco. I Romani non sapevano cosa fosse un pomodoro. E nemmeno Leonardo da Vinci.
Mentre gli uomini europei navigavano verso le terre selvagge e inesplorate del mondo, tornavano con nuove colture che si insinuarono nella nostra dieta quotidiana fino a quando non le riconoscemmo più come estranee. Le colture tradizionali che sarebbero state familiari a un monaco o a un contadino medievale furono, per così dire, relegate ai margini del piatto, per poi essere completamente dimenticate.
Chi ha mai sentito parlare oggi del Buon Re Enrico? Era anche chiamato “Spinaci del Povero” o “Piede d’oca perenne”. Un’altra è il levistico, un parente del prezzemolo e del sedano. Il tanaceto è una pianta piuttosto aromatica con fiori a bottone giallo brillante e una vasta gamma di usi, alcuni dei quali sembrano decisamente dubbi, se non addirittura pericolosi. Poi c’è lo skirret, un parente della carota e della pastinaca che forma una spessa massa di bulbi nutrienti. Un’altra radice di cui non si sente molto parlare oggigiorno è la scorzonera, che si dice abbia un sapore di mare.
Il buon re Enrico
L’elenco degli alimenti che non mangiamo più, non coltiviamo più e non ricordiamo più è lungo. L’amministrazione dell’imperatore Carlo Magno produsse un documento intitolato “Capitulare de villis” che, tra molti altri editti amministrativi, prescriveva quali piante dovessero essere considerate benefiche per il popolo e per l’Impero in generale.
Più leggevo sui gusti e le abitudini culinarie degli europei in continua evoluzione, più mi sentivo come se fossi in un giallo. Perché, ad esempio, non avevo mai sentito parlare del levistico, figuriamoci di averlo visto al supermercato? Lo skirret era davvero una patata o una carota di qualità inferiore, da gettare nella zona fantasma storica e culturale? Era una cospirazione? Se il buon Re Enrico è un asparago o uno spinacio da poveri, perché non era facilmente reperibile?
Il primo indizio mi è venuto in mente quando ho capito perché all’improvviso avevo voluto ordinare dei semi e provare a coltivare alcune di queste piante dimenticate: erano piante perenni.
(Una pianta che viene seminata e completa il suo intero ciclo vitale nell’arco di un anno è detta annuale. Un pomodoro o un fagiolo sono annuali. Una pianta che rimane nel terreno per anni e anni, producendo raccolti stagionalmente, è detta perenne. Il rabarbaro o un melo sono perenni.)
Addentrandoci nel mistero, scopriamo che non è tanto il fatto che le colture straniere più saporite abbiano soppiantato e sostituito quelle autoctone più antiche, quanto piuttosto che erbe e verdure abbiano iniziato a essere scelte in base ai loro cicli di crescita. Per un monaco o un contadino medievale, l’incentivo era quello di coltivare colture affidabili che richiedessero il minimo sforzo e fossero il più possibile vicine alla cucina. Pertanto, una coltura resistente e resistente come il levistico o il levistico era l’ideale poiché, una volta piantata, produceva frutti anno dopo anno.
È, letteralmente, una questione di radicamento.
L’umile, dimenticato da tempo skirret
Certo, il giardiniere del Medioevo non coltivava solo piante perenni, ma anche annuali, che si adattavano a un’esistenza più ritmica, in cui le colture principali erano già sistemate e l’appezzamento aveva solo bisogno di essere curato.
Il problema è che un sistema del genere non si replica né sopravvive bene in una civiltà di massa basata su scala industriale. Infatti, durante la Rivoluzione Industriale, la classe contadina fu principalmente espulsa dalla terra e trasferita nei mulini, nelle miniere e nei cortili. I prodotti alimentari di base furono razionalizzati; l’incentivo era la scalabilità e l’efficienza.
Un proprietario terriero o un azionista di mercato dovevano essere in grado di valutare costi e benefici durante l’intero anno. Il mercato doveva adattarsi rapidamente alle condizioni meteorologiche, ai semi marci o alle catene di approvvigionamento problematiche. I lavoratori dovevano essere riforniti di cibo nutriente in quantità sempre maggiori. In questo caso, una coltura come la patata ha superato la coltivazione di patate in quasi tutti i parametri, tranne che in termini di durata e resistenza.
Le radici profonde furono recise e sostituite da un modello più transitorio e favorevole al mercato. Gli europei cessarono di essere parte dell’ordine naturale, non più generandolo ma dominandolo attraverso la tecnica. La natura divenne una riserva permanente uniforme, i cui ritmi subordinati ai programmi di produzione e ai margini di profitto. Quella trasformazione plasmò più che le colture: plasmò i nostri sensi.
Levistico
Non abbiamo mai veramente deciso che il sedano fosse più saporito del levistico: non lo è, semplicemente le nostre scelte sono state fatte per noi da un sistema meccanizzato che richiedeva delicatezza, uniformità e velocità.
È la storia del trionfo del “Regno della Quantità”, a prescindere dai gusti culinari e dall’estetica. La tecnica privilegia il generico, il disneyano e l’insipido, ed è per questo che così tante persone considererebbero orribile la massa grumosa di radici nodose della pianta di styrret, e confortante e familiare l’aspetto arancione e infantile della carota.
Eppure, mentre questa società di massa e scala scivola sempre più nella follia e nel nichilismo, aneliamo a una via d’uscita, a un rifugio che ci riporti alle radici e all’appartenenza. Quante volte ci è capitato di passare inconsapevolmente accanto a un gruppo di piante di Re Enrico il Buono, accanto a un vecchio muro diroccato? O a un groviglio di levistico incastonato in una siepe?
Il mio interesse per queste verdure è nato perché erano piante perenni, perché sarebbero rimaste lì indipendentemente dalle altre condizioni. La definizione di perenne è:
duraturo o esistente per un tempo lungo o apparentemente infinito; duraturo o che si ripete continuamente.
È uno sguardo verso un altro mondo, più antico, in cui il tempo funziona in modo diverso e indipendente dalle esigenze dei processi digitalizzati; appartiene al passato e molto probabilmente anche al futuro.
In un mondo che ha superato l’uniformità, lo standardizzato, il generico, forse avranno la loro rivincita.
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Di questo lungo articolo di MdL condivido sia la premessa che la conclusione , ma non il concetto di fondo, perché seppure “il male” è ineliminabile esso è sempre contenibile; la prova è che l’umanità è ancora qui in miglior condizioni di quando si è affrancata dalla ferinità.
Per ora , precisiamo, datosi che gli inistancabili “maligni” sono anch’essi ancora qui ma stavolta con mezzi e tecnologie mai avute prima.
In questo articolo MdL decrive benissimo il meccanismo che avvelena la nostra società.
La quale società , oggi “morente”, e che noi tutti siamo chiamati a deridere e a disprezzare storicamente, è stata GRANDE, tant’è che migliaia di “ cervelli a pagamento” sono oggi chiamati a riscriverne la Storia come in “1984”.
E non c’è dubbio che la prognosi per questa società sia infausta; ma saremo NOI a finire, non il mondo .
E per altro a questo NOSTRO disastro non ci sono soluzioni “personali “ . Non è fuggendo dal mondo che si riducono né il proprio, né l’ altrui dolore di vivere su questa terra, anche perché il cammino umano seppur tortuoso è stato positivo, almeno fino ad ora.
Quindi non condivido la critica feroce contro ogni sovrastruttura sociale sia essa religiosa che politica che affermi e quindi cerchi di ridurre la quota di “male” che sempre spetta “ai più” perché “i meno” abbiano più “bene” per sé, perché il contenimento del male non si ottiene “contemplando il proprio ombelico”.
Anche se “homo homini lupus “, l’ uomo è un animale sociale e come in un branco di lupi le società umane si basano su regole tese a massimizzare il vantaggio di tutti.
E la prima regola di un gruppo, anzi il concetto fondante del gruppo, è “ tutti per uno e uno per tutti”; il che comporta anche il sacrificio del singolo finalizzato alla maggior forza del gruppo, purché TUTTI siano chiamati al sacrificio in ragione della propria posizione nel “gruppo” stesso.
Se si permettesse la “speciazione” del gruppo in due gruppi in cui uno deve solo dare e l’ altro solo ricevere il gruppo si frantumerebbe qualunque strumento coercitivo usasse il gruppo dei “privilegiati”.
E le “religioni” siano esse “trascendenti” o “civili” servono solo a questo: fortificare il gruppo affinché tutti possano vivere meglio. Queste “religioni” muoiono quando esse cessano da questa funzione.
Non è un caso che ogni “religione” FUNZIONANTE parli di “prossimo” e non di “genere umano” e peggio ancora di “pianeta Terra”.
Lo stesso Emmanuel Todd il “descrittore” franco-ebreo del collasso della civiltà occidentale ha correttamente attribuito la fine della nostra civiltà alla scomparsa della nostra (ex) religione cristiana, ma si guarda bene da analizzarne le cause profonde.
Quindi non basta , come fa benissimo MdL, descrivere come ha agito e ancora agisce il veleno ponerologico in ogni società, la nostra compresa ; bisogna trovarne dei rimedi anche se fossero solo “pannicelli caldi” perché “il gruppo non tiene”. Se ne accorgeranno anche gli attuali “privilegiati” per quanto “ricchi&potenti” essi siano.
E di sicuro non serve la fuga,per altro personale e quindi socialmente inutile , verso il “buddismo”. Storicamente dopo una grande espansione le società basate sul buddismo sono state pressoché tutte travolte da altre , sicuramente eticamente inferiori, ma più dinamiche, perché per la sopravvivenza del “gruppo” il buddismo offre MENO.
E siccome su il “Primum vivere deinde philosophari” sarà certamente d’accordo anche MdL , se “la fuga” non arresta il declino allora a che ci serve la “filosofia “? .
Ma chi volesse arrestare questo NOSTRO declino non potrà mai ottenere nulla se PRIMA non indaga e non capisce su CHI e perché abbia diffuso questo veleno nella nosta società.
E qui si potrebbe fare una analisi storico-politica ma in realtà le ragioni sono “trascendenti” sebbene in ogni capitolo storico gli “attori” siano sempre facilmente individuabili.
La prima ragione trascendente che avvelena ogni società è “politica”, e l’ ho già richiamata altre volte : ci sarà sempre un conflitto sociale tra “chi deve lavorare per poter vivere, peggio e chi può vivere, meglio, senza dover lavorare”
La seconda è filosofica , ma è anche intrinsecamente legata alla prima: ci sarà sempre un conflitto ideologico e morale tra “verbo” e “gnosi” cioè tra “verità” rivelata a tutti e “verità” riservata a pochi
E le società muoiono quando “la gnosi” prende il sopravvento sul “verbo” come strumento di oppressione dei “pochi” su “tutti”.
E siccome lo vede anche un “diversamente intelligente” che la NOSTRA società sta morendo qualcuno adesso potrebbe chiedersi chi siano oggi i “pochi” che opprimono i “tutti” e con quale “gnosticismo”.
Ma la risposta non vale la pena di darla perché “ ci sono cose che se potessero essere capite non dovrebbero essere spiegate”.
Quando anche la massa , costretta dalla realtà , si porrà quelle domande che è stata addestrata a non porsi , forse allora troverà anche “il messia “ che gli spiegherà il suo“ verbo”.
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