TRIS DI “ DEBUTTANTI” ?, di Antonio de Martini

Per uno dei casi di cui è piena la vita, ho conosciuto tutti e tre i generali che diserteranno la sfilata militare di domani.

Due di questi sono stati a capo delle Forze Armate ( Arpino e Camporini) e uno (Tricarico) a capo dell’aeronautica.

Non appartengono a uno stesso schieramento politico.

Lamentano più fatti, anche di dettaglio, ma in buona sostanza lamentano la lamentevole qualità del ministro della Difesa.
Un ministero storicamente sfortunato sotto l’aspetto della scelta dei vertici politici.

Dei tre generali, quello che ho conosciuto meglio é Arpino.
Ho cenato più volte con lui ed é la persona che mi ha più positivamente impressionato.

Mi ha anche fatto capire il « mistero » della caduta degli F104 , detti « le bare volanti » usando accenti di contenuta commozione per il ricordo di tanti compagni di corso caduti.
Colto, intelligente, umano.

La signora ministro gode dei miei sospetti per via di un invio gratuito di beni di consumo che organizzai ( come comitato FAO) verso l’Irak – all’indomani di Nassirya- e che l’inviato di « La Repubblica » scrisse di aver notato commercializzati nei suk.

L’inclusività non è un male in se.
É vero che la festa della Repubblica è la festa di tutti, ma è come il menù di un ristorante: il fatto che la crème caramel e la coda di rospo facciano parte della lista, non autorizza nessuna persona di buon senso a metterli nello stesso piatto.

Se si eviterà di accentuare l’aspetto corporativo di questa « civile protesta dei militari » e gli si saprà dare un respiro più strategico, assisteremo al debutto dei militari nella società italiana, non più nelle vesti dei buttafuori, cui sono stati crocifissi da sempre, ma da portatori sistematici dei valori di sobrietà, serietà, competenza e carattere, che sono i drammatici vuoti nelle carni della nostra Italia.

Questa sarebbe la vera inclusività !

Le elezioni e gli Eletti, di Roberto Buffagni

 

 

Che cosa ci insegnano, o almeno suggeriscono, le elezioni europee testé concluse?

Anzitutto, direi che ci confermano un fatto noto ma sempre rilevante: le elezioni europee non cambiano l’Unione Europea, che conforme la sua natura e l’intenzione profonda – anche filosofica e spirituale – che la costituisce è (quasi) impermeabile al voto popolare, diciamo almost ballotsproof, salvo un vero e proprio diluvio o maremoto di voti ad essa contrari o favorevoli che non si verificherà, molto probabilmente, mai. L’Unione Europea sta o cade per l’azione degli Stati-nazione che la compongono, e/o per un evento esogeno o endogeno che ne faccia precipitare le gravi disfunzionalità.

Le elezioni europee e il voto popolare cambiano invece gli equilibri politici nazionali, come d’altronde è naturale, visto che l’unico contesto in cui la democrazia rappresentativa sia possibile e vitale è – oggi come ieri – la nazione. Cambiano gli equilibri politici nazionali, anche se le elezioni europee vanno per così dire “fuori tema”, visto che il voto europeo non muta gli equilibri parlamentari nazionali; ma il sistema elettorale proporzionalistico che adottano, e l’emergere sempre più chiaro del consenso/dissenso rispetto alla UE come clivage politico principale, le trasformano in un fattore politico e simbolico di prima grandezza.

Le elezioni europee testé concluse infatti ci insegnano, o almeno ci suggeriscono, che il consenso/dissenso riguardo la UE e alle sue logiche premesse, implicazioni e conseguenze – il mondialismo, l’individualismo, il progressismo, il costruttivismo sociale, l’universalismo politico  – emerge con sempre maggiore chiarezza come il principale clivage politico, non solo in Europa ma in tutto l’Occidente.

Chi non si schiera di qua o di là, chi esita, chi tiene il piede in due staffe, chi azzarda dei “sì, ma” o dei “ni” è perduto. Il più antico partito d’Europa, il partito conservatore britannico, ha patito la più cocente disfatta di sempre per le sue esitazioni, compromessi e retropensieri in merito alla Brexit; il suo storico rivale, il Labour, ha subito una punizione elettorale meno siderante ma pur sempre grave; e molto probabilmente il suo leader, Jeremy Corbyn, tra breve sarà costretto a prendere posizione per il Remain, come il prossimo leader Tory sarà senz’altro costretto a schierarsi per il Leave, e a consegnare la Brexit. In Italia, nonostante limiti e incertezze del governo gialloverde e suoi propri, la Lega ha raddoppiato i voti guadagnati alle politiche 2018 in virtù della sua recisa posizione contraria all’immigrazione di massa, l’aspetto simbolicamente e politicamente più manifesto della UE; come per le ragioni opposte e complementari è stato severamente punito dagli elettori il Movimento 5*. Ha tenuto invece il PD, e proprio perché si è schierato senza esitazioni nel campo favorevole alla UE, così rastrellando quasi tutti i voti della ex sinistra massimalista e di alcuni transfughi verso i Cinque Stelle.

Di questo colossale, inaggirabile iceberg – lo schieramento in merito alla UE come clivage politico principale – emerge, sinora, soltanto la proverbiale cima. Per ragioni d’ordine tattico, ma più ancora per ragioni d’ordine culturale profondo, nessuna tra le forze rilevanti situate nel campo avverso alla UE ne propone tout court l’abbattimento, come nessuna tra le forze rilevanti situate nel campo ad essa favorevole ne celebra tout court la compiuta perfezione, “attimo fermati, sei bello!”. In entrambi i campi, se ne dà per scontata la permanenza, la si accetta come contesto culturale e politico, e si propongono vari e più o meno credibili progetti di riforma del Mostro Buono, come definì la UE l’intelligente crudeltà di H.M. Enzensberger. Ma la UE, e soprattutto la cultura dominante in Occidente che l’ha prodotta e la sorregge – mondialismo, individualismo, progressismo, costruttivismo sociale, universalismo politico – restano per tutti l’orizzonte visibile in cui pensare e operare: per tutti, comprese le forze politiche avverse alla UE.

Esse, infatti, alla UE ed alla sua cultura cominciano, balbettando, a muovere critiche, anche forti e precise, ma senza saper  passare dalla critica alla proposta credibile e praticabile; così che l’alterità da esse espressa oscilla tra la repulsione emotiva, la nostalgia per un passato idealizzato, la giusta ma limitata rivendicazione politica di interessi, e il bricolage culturale che vi corrisponde; e si cristallizza in un possente, ma ancor cieco, bisogno “di fare una vita normale”: sapere chi si è, imparare un mestiere, trovare un lavoro e procurarsi un reddito decente, farsi una famiglia e una casa, veder  crescere i figli, essere ricordati da una lapide sulla tomba. Un obiettivo minimo, a prima vista, ma contro il quale paiono congiurare – ed effettivamente congiurano – forze esteriori ed interiori incontrollabili, che è molto difficile identificare e nominare: figuriamoci combatterle.

Intanto, sotto la superficie del pensiero, sotto la lettera delle dichiarazioni e dei propositi, in quello che in un dramma si chiamerebbe “sottotesto”, dove agiscono le intenzioni profonde – consapevoli, semiconsapevoli, inconsapevoli – dei personaggi, si precisa e progredisce lentamente ma inesorabilmente la polarizzazione politica e culturale, o meglio: politica perché culturale.

Per farla breve e chiara: contro la UE ci sono solo le destre europee, a favore solo le sinistre, e in mezzo non ci sono ponti o sentieri praticabili: c’è solo il deserto politico. Chi provenga da una cultura politica di destra (ad esempio, i liberal-conservatori) e si schieri a favore dell’Unione Europea è costretto ad allearsi politicamente con la sinistra. Chi provenga da una cultura politica di sinistra (ad esempio, una parte dei comunisti marxisti) e si schieri contro la UE è costretto ad allearsi politicamente con la destra. La stessa identica polarizzazione è in corso nelle Chiese cristiane, manifestandosi come scisma virtuale nella Chiesa cattolica.

La dinamica irresistibile di questa progressiva polarizzazione dipende, a mio avviso, da una logica anzitutto culturale, tutta interna al più profondo conflitto interiore alla civiltà europea, e dunque anche al cristianesimo e ai suoi avatar politico-culturali; conflitto che si è manifestato prima con le guerre di religione del XVI e XVII secolo, e poi con le Rivoluzioni francese e russa.

Per farla di nuovo breve e chiara: è il conflitto in merito all’universalismo, nella sua duplice accezione di universalismo spirituale e valoriale, e di universalismo politico.

L’Unione Europea, che è un progetto massonico cioè liberale e umanistico al 100%, è stata creata, e dopo la caduta del Muro di Berlino potenziata, dalle classi dirigenti europee e statunitensi: liberals wilsoniani, cattolici e protestanti europei democristiani, socialdemocratici; gli eredi legittimi delle classi dirigenti antifasciste che hanno vinto, sul campo di battaglia o nelle urne elettorali, la Seconda Guerra Mondiale e il dopoguerra. Dalla grande alleanza antifascista mancano solo i comunisti sovietici, ma sono rappresentati dai loro eredi: eredi legittimi anche loro, anche se dopo l’estinzione del ramo principale è un ramo cadetto (i maligni dicono, un ramo bastardo) a portare il titolo. Dopo la grande vittoria comune di settant’anni fa, queste grandi forze politiche si sono aspramente combattute per decenni. Oggi governano insieme l’Unione Europea. Come hanno fatto ad accordarsi? Per il potere, si dirà. Certo, per il potere: ma questa risposta, che è sempre vera, non spiega tutto, e anzi forse non spiega niente. Qual è il minimo comun denominatore che ha consentito a queste grandi forze e culture politiche, un tempo in lotta per il potere, di trovare un durevole accordo?

Il minimo comun denominatore delle grandi Casate americane ed europee che sostengono l’Unione Europea è l’universalismo politico.

L’universalismo è una cosa sul piano delle idee, dei valori, della spiritualità (nella cristianità europea, l’istituzione delegata a incarnarlo era la Chiesa, il primo “sole” del De Monarchia dantesco). Se tradotto sul piano politico, però, l’universalismo non può che incarnarsi in forze inevitabilmente particolaristiche: perché esistono solo quelle, nella realtà effettuale.

Volendo, chiunque se ne senta all’altezza può parlare in nome dell’universale umanità; ma non può agire politicamente in nome dell’universale umanità senza incorrere in una contraddizione insolubile, perché l’azione politica implica sempre il conflitto con un nemico/avversario.

Senza conflitto, senza nemico/avversario non c’è alcun bisogno di politica, basta l’amministrazione: “la casalinga” può dirigere lo Stato, come Lenin diceva sarebbe accaduto nell’utopia comunista. A questa contraddizione insolubile si può (credere di) sfuggire solo postulando come certo e autoevidente l’accordo universale, se non presente almeno futuro, di tutta l’umanità: “Su, lottiamo! l’ideale/ nostro alfine sarà/l’internazionale/ futura umanità!” (il “governo mondiale” è un surrogato o avatar della “futura umanità” dell’inno comunista).

Lenin, e in generale il movimento comunista (o anarchico) rivoluzionario, vuole risolvere la contraddizione con la forza. Nella classificazione machiavelliana, Lenin è un “leone”.

L’universalismo politico delle grandi forze politiche nordamericane ed europee che sostengono l’UE non è meno radicato di quello leniniano, perché discende dalla stessa radice illuminista. Esse però vogliono/devono risolvere la contraddizione con l’astuzia; Machiavelli le definirebbe “volpi”. Scrivo “devono”, perché a prescindere dalle intenzioni soggettive, esse non potrebbero essere altro che “volpi”: entrambi i “federatori a metà” della UE, USA e Germania, non possono portare a compimento con la forza la loro opera.

Come l’URSS comunista, anche l’UE postula l’accordo universale, se non presente almeno futuro: accordo anzitutto in merito a se medesima, e in secondo luogo in merito al governo mondiale legittimato dall’umanità universale, che ne costituisce lo sviluppo logico, e giustifica eticamente sin d’ora l’obbligo di accogliere un numero indeterminato di stranieri, da dovunque provenienti, sul suolo europeo. Per questa ragione è impossibile definire una volta per tutte i confini territoriali dell’Unione Europea, che al tempo degli entusiasmi europeisti qualcuno pretendeva di estendere alla Turchia, e persino a Israele: perché ha diritto di far parte dell’UE chi ne condivide i valori universali (cioè virtualmente tutti, dal Samoiedo al Gurkha al Masai), non chi ne condivide i confini storici e geografici.

Il passaggio tra il momento t1 in cui l’accordo universale è soltanto virtuale, e il momento t2 in cui l’accordo universale sarà effettuale, non avviene con il ferro e il fuoco della “volontà rivoluzionaria”. Le volpi oligarchiche UE introducono invece nel corpo degli Stati europei, il più possibile surrettiziamente, dispositivi economici e amministrativi – anzitutto la moneta unica – che funzionano, secondo la celebre definizione di Mario Draghi, come “piloti automatici”. Questi piloti automatici provocano crisi politiche e sociali, previste e premeditate, all’interno degli Stati e delle nazioni, ai quali impongono o di insorgere in aperto conflitto contro la UE, o di addivenire a un accordo universale in merito al “sogno europeo”: per il bene degli europei e dell’umanità, naturalmente, come per il bene dei russi e dell’umanità Lenin ricorreva al terrore di Stato, alle condanne degli oppositori per via amministrativa, etc.

A quest’opera va associata, inevitabilmente, una manipolazione pedagogica minuziosa e su vasta scala, in altri termini una lunghissima campagna di guerra psicologica. La dirigenza UE conduce questa campagna di guerra psicologica da una posizione di ipocrisia strutturale formalmente identica a quella della dirigenza sovietica, perché non è bene e vero quel che è bene e vero, è bene e vero quel che serve alla UE o alla rivoluzione comunista: in quanto Bene e Verità = accordo dell’intera umanità, fine dei conflitti, pace e concordia universali. Le élites, necessariamente ristrette, di “pneumatici” e di “psichici” che conoscono questo arcano della Storia, hanno il diritto e anzi il dovere morale di ingannare e manipolare, per il loro bene, le masse di “ilici” che invece lo ignorano.

Il leone Lenin accetta solo provvisoriamente il conflitto politico, e anzi lo spinge a terrificanti estremi di violenza, in vista dell’accordo universale futuro: dopo la “fine della preistoria”, quando diventerà reale il “sogno di una cosa” comunista e ogni conflitto cesserà nella concordia, prima in URSS poi nel mondo intero. Le volpi UE celano l’esistenza effettuale del conflitto (in linguaggio lacaniano lo forcludono), e da parte loro lo conducono, solo provvisoriamente, con mezzi il più possibile clandestini, in vista dell’accordo universale futuro, quando diventerà reale il “sogno europeo” e ogni conflitto cesserà nella concordia, prima in Europa poi nel mondo intero.

In questo grande affresco romantico proposto alla nostra ammirazione con la colonna sonora dell’Inno alla Gioia (forse non è un caso che il Beethoven delle grandi sinfonie fosse anche il compositore preferito di Lenin) c’è solo una scrostatura: che nella realtà, l’accordo universale di tutta l’umanità non si dà effettualmente mai. Ripeto e sottolineo due volte: mai, never, jamais, niemals, jamàs, etc.

* * *

Ecco. Le recenti elezioni europee hanno certificato questa semplice, persino banale verità: che molti, troppi europei non sono d’accordo. Non sono d’accordo per un’infinità di ragioni, buone e meno buone, nobili e ignobili, serie e frivole, meditate o istintive: ma fatto sta che non sono d’accordo. Questo fatterello elementare, che bastava il buonsenso per prevedere, diventa una pietra d’inciampo grande come l’Himalaya per una cultura politica e filosofica come quella che informa la UE, che del buonsenso non è per nulla amica. Perché il buonsenso, che certo non può dire l’ultima parola sul mondo, né lo pretende, presuppone però che il mondo, e l’azione politica in esso, siano governati dal limite: infatti, uno dei suoi detti preferiti è “c’è un limite a tutto”; mentre l’universalismo politico, il progressismo, l’individualismo, il costruttivismo sociale vedono i limiti solo come sfida a superarli.

Proprio ieri ho letto una conversazione tra due persone intelligenti e preparate, i docenti di filosofia Andrea Zhok e Roberta de Monticelli[1], che mi è parsa esemplare. La professoressa de Monticelli ha pubblicato su “Il Manifesto” un articolo intitolato Stati uniti d’Europa, un edificio politico architettato dalla filosofia, al centro del quale troviamo due argomenti di fondo: che la UE sia  “il vero e proprio cantiere di un edificio politico architettato dalla filosofia: cioè dall’anima universalistica del pensiero politico, che è almeno tendenzialmente cosmopolitica” e che “Cosmopolitica è (…) la forma di una civiltà fondata nella ragione (…). La domanda di ragione e giustificazione è quanto di più universale ci sia. (…) Esser nato in un deserto, o in una contrada afflitta da massacri e guerra, è un accidente: l’accidente della nascita. (…) Ogni ingiustizia si lega all’accidente della nascita.”

Il professor Zhok critica “l’equivalenza tra universalismo e cosmopolitismo”, perché “una volta che la si guardi da vicino” essa “risulta subito destituita di ogni fondamento”, e richiama l’attenzione della de Monticelli sul fatto empiricamente verissimo che “il ‘cosmopolita’, il ‘cittadino del mondo’ di cui qui si parla, è semplicemente un membro di quei ceti economicamente, socialmente, e talvolta anche culturalmente privilegiati, che scelgono di passare periodi della propria vita, per lavoro o per diletto, in più o meno prestigiose sedi estere.” Egli poi passa alla critica filosofica della posizione della de Monticelli, così riformulandola: “Io, che sono un soggetto razionale come te, sono però consegnato alla contingenza di una nascita localmente determinata, che limita la mia aspirazione all’universalità. – Tale contingenza contrasta con la mia natura di soggetto razionale ed è razionalmente ingiustificabile; essa perciò, a causa della sua natura ingiustificata, arbitraria, va corretta.” Le segnala poi l’errore teorico ivi contenuto: “Nella proposizione di cui sopra troviamo presentato come ovvio un contrasto tra universalità e contingenza. Lungi dall’essere un’ovvietà condivisa, l’idea di ‘ragione’ o di ‘universalità’ presupposta da questo ragionamento è assai discutibile. Si tratta infatti di una visione dove la ragione e la sua universalità per essere tali devono appartenere ad una sfera astorica e smaterializzata.” E prosegue citando autori, cari a entrambi gli interlocutori, come Wittgenstein e Husserl, che “hanno attraversato nel corso della loro vita l’intero percorso da una iniziale concezione di razionalità astorica e svincolata dalla materialità, dalle prassi, dalla corporeità, ad una matura concezione in cui la razionalità trovava una sua necessaria collocazione proprio nella sfera della storia, della materia, delle prassi e del corpo vivente.

L’intelligente e interessante conversazione, che invito il lettore a leggere per intero, prosegue poi con una replica della de Monticelli, e una controreplica di Zhok.

Ma quel che più mi sembra interessante e rivelatore, nel dialogo filosofico-politico tra Zhok e la de Monticelli, è che entrambi per così dire “passano a lato” del punto centrale, invero sbalorditivo, del programma filosofico-politico enunciato dalla de Monticelli: “correggere le ingiustizie legate all’accidente della nascita.”

Intesa come programma politico – e così la de Monticelli lo intende, addirittura chiamando in causa l’art. 3 della Costituzione italiana che a suo dire lo implica –  la “correzione delle ingiustizie legate all’accidente della nascita” supera e si lascia indietro di parecchi anni luce tutte le utopie a me note, tutti i programmi politici più massimalisti dell’anarchismo e del comunismo, quello implementato da Pol Pot in Cambogia non escluso; e che a propugnarlo sia una persona di grande intelligenza e cultura, animata dalle migliori intenzioni e certo aliena dalla violenza, fa una notevole impressione.

La professoressa de Monticelli, infatti, proponendo all’Unione Europea l’obiettivo strategico di correggere le ingiustizie legate alla nascita, non si limita ad assumere “il punto di vista di Dio sul mondo”, come le ribatte Zhok. Ella si propone, o meglio propone alla UE, l’ istituzione politica a cui dà il suo sostegno, di prendere il posto di Dio nel mondo, e di agirvi come supplente di una Provvidenza divina assente o difettosa: né più, né meno. (Curioso che la de Monticelli sia curatrice di una bella edizione delle Confessioni di Sant’Agostino, tra i Padri della Chiesa il più attento al tema del peccato originale, che come ognun sa fu occasionato dalla tentazione diabolica ad essere sicut dii, scientes bonum et malum).

Perché è chiaro a tutti che “dall’accidente della nascita” nascono, oltre che tutti gli esseri umani, anche infinite diseguaglianze e ingiustizie. Non è altrettanto chiaro, però, come sia possibile correggerle, fino a qual punto, a quale prezzo, e ad opera di chi. Chi nasce ricco e chi povero, chi bello e chi brutto, chi uomo e chi donna, chi sano e chi malato, chi intelligente e chi stupido, chi africano e chi europeo, chi amato e chi disamato, chi desiderato e chi no, chi destinato a lunga vita, chi a brevissima, eccetera. Che ciò costituisca un enigma, lungamente interrogato dagli uomini nel corso della storia e probabilmente anche prima, non c’è dubbio. A me però pare un enigma anche più grande che qualcuno seriamente programmi di affidare a un’ istituzione politica il compito di correggerlo. Il modesto buonsenso suggerirebbe immediatamente la domanda: “E come si fa?”, ma la maestosa follia universalista, il kantismo turbocompresso della professoressa de Monticelli la scarta con una scrollata di spalle, si rimbocca le maniche e si mette all’opera.

Mettersi politicamente all’opera con questo obiettivo  significa mettersi all’opera nella realtà effettuale, e dunque, tanto per cominciare dal più facile e immediato, spalancare le frontiere all’immigrazione: perché l’accidente della nascita ghanese o afghana non deve privare ingiustamente nessuno dell’opportunità di accedere al tenore di vita, materiale e culturale, dei paesi europei. A chi poi nascesse (o diventasse, ancora non è chiaro) omosessuale, transessuale, *sessuale e in ogni caso non potesse avere figli come gli eterosessuali, privilegiati dall’accidente della nascita, dovrebbe essere garantita (gratis) la possibilità di ricorrere alla maternità surrogata. A chi nascesse stupido, e/o magari, sempre a causa dell’accidente della nascita, appartenesse a un gruppo sociale svantaggiato, dovrebbe essere garantito l’accesso facilitato agli studi, e il loro fruttuoso completamento. A chi nascesse brutto e indesiderabile dovrebbe essere garantito, se non il desiderio altrui (almeno per ora: in seguito, grazie alle psicotecniche, chissà…), il divieto legale di definirlo tale, con relative sanzioni per chi lo violasse. A chi nascesse donna e liberamente decidesse di esercitare una professione tradizionalmente maschile quale, ad esempio, il servizio nei reparti militari d’élite, dovrebbe essere garantita una selezione facilitata, anche se poi sul campo il reparto così selezionato fa fiasco. A chi fosse sul punto di subire “l’accidente della nascita” senza che le condizioni emotive, psicologiche e sociali della madre fossero le ideali per accoglierlo, dovrebbe essere garantito, fino all’ultimo istante, il diritto di non nascere affatto, così risparmiandosi infiniti fastidi, dolori, diseguaglianze e ingiustizie. Per chi nasce povero, poi, le correzioni possibili sono due: o farlo diventare almeno benestante dopo la nascita, mediante provvidenze statali, oppure non farlo nascere affatto (v. punto precedente); come d’altronde proponeva un’altra degnissima e benintenzionata persona, John Maynard Keynes, direttore della Eugenics Society dal 1937 al 1944. Superfluo poi segnalare che il primissimo bersaglio della correzione dell’accidente della nascita dovrà essere la famiglia, nel cui contesto il suddetto sciagurato accidente si verifica con frequenza allarmante, e alla quale dunque sarà opportuno sostituire apposite istituzioni scientificamente validate, che garantiscano risultati statisticamente più omogenei sotto il profilo genetico e sociale.

E chi si incaricherebbe dell’opera di “correzione dell’accidente della nascita”? Be’, naturalmente gli Eletti, i Correttori al timone dell’Unione Europea e dei suoi successivi, logici sviluppi sino al coronamento del progetto di Correzione: il Governo Mondiale.

Che il precedente elenco di maestose follie metafisiche degli Eletti Correttori coincida con posizioni culturali, pratiche sociali e programmi politici attualmente in corso nella realtà effettuale dell’Occidente contemporaneo – posizioni, pratiche e programmi che vanno sotto il nome collettivo di “politically correct” – non è un caso. Non è un caso perché l’Unione Europea, il progressismo, il mondialismo, l’individualismo, etc., condividono lo stesso “accidente della nascita”: è più che vero infatti che, come dice la professoressa de Monticelli, gli Stati Uniti d’Europa sono un edificio politico architettato dalla filosofia.

Peccato che questa filosofia, se politicamente implementata, conduca per direttissima a un dispotismo politico, culturale, psicologico e spirituale senza precedenti nella storia umana; e che se adesso non fa direttamente e intenzionalmente versare un mare di sangue,  probabilmente in futuro ne farà versare un oceano indirettamente e involontariamente, perché sta assiduamente costruendo le condizioni per più guerre civili su base etnico/religiosa, a temperature variabili dal freddo all’incandescente, in tutto l’Occidente.

Secondo Julien Freund, “compito della politica è antivedere il peggio, e sventarlo” (Sociologie du conflit, 1983). Secondo gli Eletti Correttori, compito della politica è produrre una versione riveduta, corretta e migliorata del mondo: fiat iustitia, si correggano gli accidenti della nascita, ed entrino in scena il Mondo e l’Uomo Nuovo.

Ecco perché la polarizzazione in corso non si arresterà, ed ecco perché sono gli antichi involucri delle culture politiche di destra e di sinistra, che si contrapponevano, sino a ieri, intorno a un diverso clivage politico principale, ad accogliere oggi le forze politiche e culturali che si schierano pro o contro l’Unione Europea. A schierarsi contro l’Unione Europea sono tutte le forze che, per motivi anche diversissimi e inconciliabili, rifiutano l’universalismo politico: sia le puramente identitarie e tribali, sia le nazionalistiche, sia quelle che, riferendosi alla “corrente ateniese” del cristianesimo, continuino a distinguere tra universalismo dei valori e universalismo politico, tra spirituale e temporale. A schierarsi a favore dell’Unione Europea, sono tutte le forze che accettano l’universalismo politico: sia le liberali pure, sia le progressiste, sia quelle che, riferendosi alla “corrente ierosolimitana” del cristianesimo, ne mutuano il messianismo e cortocircuitano dimensione escatologica e storicità immanente.

Terreno comune culturale e politico tra le due posizioni ce ne sarà sempre meno; a meno che non nasca una terza forza, una riedizione del partito dei “politiques” che uscì vincitore e conciliatore dalle guerre di religione in terra di Francia, cinque secoli fa. Sarebbe una gran bella cosa, e una riedizione del Trattato di Westfalia il migliore degli esiti e dei compromessi desiderabili. Difficile? Difficile. Chissà.

[1] http://antropologiafilosofica.altervista.org/cosmopolitismo-universalismo-e-lunione-europea-una-risposta-a-roberta-de-monticelli/?doing_wp_cron=1559203478.2017359733581542968750

intervista al Generale Marco Bertolini_ Il concetto di sovranità e la sua declinazione in politica

Qui sotto una importante intervista al Generale Marco Bertolini. Si parte dalla sottolineatura del concetto di sovranità e della sua imprescindibile deglinazione in qualsivoglia azione politica. Si passa poi al riconoscimento dell’importanza degli strumenti dello Stato che consentono l’esercizio di queste prerogative in un contesto geopolitico sempre più complesso. Marco Bertolini, già Comandante della Folgore, ha assunto numerosi ed importanti incarichi nelle più svariate missioni all’estero dei contingenti militari italiani. Un patrimonio prezioso di esperienza al servizio del paese e della nazione. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

NB_In alcune parti la qualità dell’audio, dovuta ad un collegamento telematico non ottimale, non consente un ascolto agevole e lineare_Ce ne scusiamo con gli ascoltatori e con il Generale Marco Bertolini. Siamo sicuri che l’importanza degli argomenti rendano sopportabili tali mancanze

Europa: accademismo contro la storia (1/6), di Annie Lacroix-Riz

https://www.les-crises.fr/europe-lacademisme-contre-lhistoire-1-6/

Mappa:

– Introduzione

– “Eminenti storici europei” contro il monarchico documentato Philippe de Villiers

– Un fascicolo storico “di parte” di “eminenti storici europei”

  • Le origini fallaci dell’Unione europea
  • Adenauer e la sua gente, dalla vecchia alla “nuova Germania”
  • Dalla Francia “europea” e “resistente” contro Petain al trionfo dei Vichysto-americani?
  • Dimenticando le “prime comunità europee”
  • Jean Monnet “l’americano”: una calunnia?
  • Il tandem Monnet-Schuman e la cosiddetta “bomba” del 9 maggio 1950
  • Robert Schuman diffamato?
  • Walter Hallstein, semplice ” non resistente”?

– Conclusione

introduzione

I preparativi per le elezioni europee di solito danno origine a un torrente di personalità, storici in mente, a favore dell’Unione europea e contro ogni critica. Nel marzo-aprile 2019, l’ondata di indignazione si è concentrata sul lavoro di Philippe de Villiers, ho tirato su il filo delle bugie e tutto è venuto , presentato come un modello di “falsità” e “cospirazione” anti-europea. Non c’era dubbio, poco prima di una nuova scadenza per le elezioni europee, di lasciare senza punizione quello che era considerato un pericoloso attacco contro l’Unione europea e l’atlantismo. Dall’Audiovisual Public Service alla stampa, un’inondazione si è riversata, consultando gli “storici di riferimento” a supporto. Così, e tra gli altri, Le Monde , 14 marzo1 , France Culture , 20 marzo, 2 , Le Monde , il 27 marzo, 3 marzo , ha solennemente ammonito i loro lettori contro il ” tessuto di falsi pretesti ” di cui questo ” europeista convinto ” sarebbe stato colpevole ” sulle origini di costruzione europea “. L’ultima “tribuna” menzionata sopra, firmata da ” eminenti storici europei “, ha ispirato vari giornalisti, come Anne-Sophie Mercier, che ha creato una rabbia “copiata” in Le Canard enchaîné du 3 avril 4

“Paranostradamus. “L’Agité du bocage” ha una visione della fondazione dell’Europa apocalittica e l’arte di trasformare le fantasie in verità storiche. . Non esaurisce la lista delle chiamate accademiche per cancellare la vera storia della costruzione europea (o americano-europea) dopo il 1945, che continuò allo stesso modo, in particolare a Le Monde il 17 aprile, 5 , da due dei firmatari del 27 marzo, Robert Frank e Gérard Bossuat, e il 19 aprile, da una nuova squadra internazionale, per iniziativa di due accademici di Lille, Stéphane Michonneau e Thomas Serrier 6 .

La “tribuna” del 27 marzo è incentrata su due temi decretati “Europhobes”:

– 1 ° ” Attacchi approssimativi e tendenziosi contro tre costruttori d’Europa”: Jean Monnet, Robert Schuman e Walter Hallstein “e, contemporaneamente, sull’argomento centrale di Villiers, l’origine molto americana dell’Unione europea . Dedicherò la maggior parte del testo seguente

– 2 ° L’attacco portato da Villiers ” all’onore dei ricercatori francesi ed europei impegnati negli studi sull’Unione europea “, che servirà come una breve conclusione.

I firmatari di questi attacchi pretendono di combattere ” gli attacchi approssimativi e tendenziosi [effettuati] contro” il trio mirato dei “Padri d’Europa ” con affermazioni prese direttamente dalle schede di Wikipedia quando loro (in francese, in particolare) servire gli argomenti presentati: il caso è particolarmente evidente per Walter Hallstein. “Difendere” la loro amata “Europa” senza essere costretti a fare dimostrazioni d’archivio è il solito metodo di “eminenti storici europei”. Assicurati di trovare un caloroso benvenuto in tutti i principali media e avendo l’enorme eco che questa benevolenza dà alla popolazione, si sentono consecutivamente esentati dal presentare le fontidel loro filippico contro le ” insinuazioni ” e ” il metodo insidioso ” di M. de Villiers.

“Eminenti storici europei” contro il regista documentato Philippe de Villiers

Il lavoro incriminato lo conferma, e gli ultimi capitoli in modo caricaturale, Philippe de Villiers è senza dubbio un esempio del royalismo contemporaneo della Vandea. In particolare incolpa l’Unione europea di non essere né abbastanza cattolico-cattolico né anti-“metic” abbastanza o anti-rosso o anti-illuminista, ecc., E negli Stati Uniti di incarnare o incoraggiare il malecristiano che avrebbe sommerso un continente cristiano di essenza, in collusione a volte con … i bolscevichi. Ha anche come complici della rivoluzione in generale, e in particolare i sovietici, e sempre contro l’eterno Europa cristiana, il giornalista diplomatico William Bullitt, accusato di aver dato che la Rivoluzione d’Ottobre ha portato alla complicità fatto tra l’America e i bolscevichi. Un’accusa assurda contro una personalità che, dalla Conferenza di Parigi del 1919, al servizio di Woodrow Wilson, fino alla sua morte (1967), dedicò la sua vita agli interessi del capitale finanziario e della crociata anticomunista. E chi era particolarmente distinto, in questa materia, in Francia, come ambasciatore in posta, prima della guerra, o ancora come interlocutore regolare di circoli dirigenti, dopo la guerra, incluso il governo di “sinistra”, legittimamente ritenuto essenziale per raggiungere il spaccatura decisiva della CGT. Sognando solo tagli e contusioni contro il “rosso” Bullitt, dopo la seconda guerra mondiale, quando l’URSS aveva reso gli Stati Uniti un grande servizio per sconfiggere la Wehrmacht, anche momentaneamente imbarazzante che il Reich, inondato la stampa il suo testi di vendetta che chiedevano di bombardare l’Unione Sovietica in una “guerra preventiva”, poi, dopo il 1949, per riservare lo stesso destino alla Cina persa da Washington.

Tuttavia, riguardo al tema attuale, dobbiamo ammettere che Philippe de Villiers, ansioso di fondare il suo fuoco, cerca di dimostrare le sue affermazioni “Europhobic”. Avendo acquisito durante la sua lunga carriera politica una seria conoscenza delle cose “europee”, conoscenza condivisa con tuttii suoi pari, “sinistra” e destra, ma da loro rigorosamente censurati, ha anche procurato una massa di documenti originali inconfutabili. Questo uomo di destra, anti-sovietico convinto, osa persino, sulla duplice base della sua esperienza personale e della lettura degli archivi, calpestando la doxa delle responsabilità sovietiche nella “guerra fredda”, risuscitando la problematica economica dell ‘”imperialismo”: omettendo qua e là l’ideologia, sottolinea l’ossessione degli Stati Uniti di vendere oltre i loro confini, in questo caso nel continente europeo, le loro (strutturalmente) eccedenze di produzione (anche se non dice la loro sovrapproduzione di capitali, anche versata in enormi quantità).

Si è soffermato su alcuni ausiliari (tra una folla innumerevole) a cui le élite americane, politiche ed economiche, hanno fatto ricorso per raggiungere i loro obiettivi “europei”. Fornisce ” tre [presunti] costruttori europei: Jean Monnet, Robert Schuman e Walter Hallstein “, informazioni a volte molto precise, in particolare per quanto riguarda i primi archivi americani a sostegno. Le sue numerose lettere riprodotte in extenso confermano le dimostrazioni condotte per lungo tempo da storici per lo più inglesi: 1 °, a volte per cinquanta o sessant’anni, sugli appetiti europei di Washington 7

; 2 °, per venti o trenta anni, su questi ausiliari, in inglese soprattutto 8 , ma non esclusivamente 9 .

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Gli storici europei sono stati così audaci contro questi tre “padri d’Europa”, eroi di una saga che loro stessi hanno forgiato per diversi decenni, succedendo alla generazione precedente guidata da Jean-Baptiste Duroselle e preso di mira da Villiers. Rimuovendo fin dall’inizio i numerosi e inconfutabili documenti citati e riprodotti spesso in extenso , li riducono a ” allusioni “, preferendo al loro esame indispensabile l’attacco ad personam e ad hominemirrilevante. Di solito, è vero, il campo libero per eliminazione della concorrenza, esterno ed interno. Da un lato, il lavoro pionieristico in lingua inglese sull’argomento viene tradotto solo raramente in francese e, quando lo fa, scompare rapidamente dagli scaffali delle librerie, nonostante la domanda. Così è stato per il libro, essenziale, sulla “guerra culturale” americana in Europa dello scienziato politico Frances Saunders pubblicato nel 1999 (seguendo altri, meno in profondità). La sua traduzione del 2004 Chi ottiene la ragazza , esausta e mai ristampato, è diventata finanziariamente inaccessibili si è scambiato sul mercato nero per le informazioni storiche circa 300 € 10 .

D’altra parte, i potenziali storici francesi curiosi, sono stati eliminati dal campo accademico (congressi nazionali ed internazionali “europeo”, riviste accademiche a “pari” stampa scritta o interviste audiovisive, storica consiglio documentari, ecc ) 11 . L’università offre critica in francese, sostenuto le fonti originali, è molto limitata, lo storico di ultra-minoranza “Europe” che mi rifarò il lettore, che può quindi confrontare detto ricerche sulla lunga storia dell’Unione europea, a quelli di “eminenti storici europei”.

Un record storico “prevenuto” da “eminenti storici europei”

Le origini fallaci dell’Unione europea

I firmatari non sono andati indietro nella cronologia “europea” come il loro predecessore Pierre Gerbet, professore all’Istituto di studi politici morto nel 2009 e tra questi, una vera e propria venerazione 12 , che ha datato il progetto europeo di Carlo Magno. Qui, l’origine del vasto progetto è attribuito al re Giorgio di Poděbrady del XV ° secolo. La pagina di Wikipedia francesi, probabile fonte dei firmatari della “piattaforma” del 27 marzo questo sovrano sconosciuto ai contemporanei, questo vantaggio politico-ideologica di forgiare l’Unione europea delle radici dell’Europa centrale 13: la grande idea “europea” verrebbe da un paese situato nell’ex zona di influenza sovietica, che, decisamente, era stato storicamente programmato di non appartenere mai. È quindi legittimo e logico che, dopo il 1989, in conformità con la sua missione “storica”, la Cecoslovacchia, o, d’ora in poi, ciò che rimane di esso, frammentato dal 1938-1939 al 1945, sarebbe entrato in una piega “europea”. Al che lo spaventoso dopo il maggio 1945 l’aveva strappato.

Per quanto riguarda Aristide Briand, altro “fondatore” presunto, lo scopo è in accordo con un mare serpenti della storia ufficiale dell’UE 14 , anche se formalmente abolito negli archivi diplomatici francesi, tedesco, inglese e americana. Briand era dopo la prima guerra mondiale un innegabile precursore del “Appeasement” (1930) contro il Reich in cerca di vendetta su Versailles e un’espansione illimitata, sia in Occidente che in Oriente del Europa, e al Vaticano, che servì a tal fine come battitore permanente a Berlino. Ma il molto cosmetico “Piano dell’Unione Federale Europea”da 1929-1930 il ministro degli Esteri francese, ex “sindacalista rivoluzionaria” seguace del “sciopero generale” convertito le virtù del capitalismo e della repressione anti-lavoro da parte di intenso coinvolgimento ministeriale 15 , realizzato in ambizioni molto limitate. Come dopo la guerra successiva, il Reich si stava già ponendo come “miglior studente della classe europea”, per compiacere Washington contro la Francia e altri paesi europei. Ho applicato qui per la formula 1920 che lo storico Pierre Guillen per la prossima USA Germania del dopoguerra definendolo il ” miglior studente della classe europea e la classe Atlantico ” 16 : era negli anni ’70, dove potevamo ancora, confrontando le notizie nelle fasi precedenti (perché gli archivi non erano ancora aperti), chiama un gatto un gatto.

Briand era, per il suo presunto “piano” “europea”, presentato nel settembre 1929 al podio della Società delle Nazioni, un obiettivo più modesto che ha proclamato fermare o ritardare l’attuazione del totale Gleichberechtigung (parità di diritti). La Repubblica di Weimar ha affermato di essere in grado di spazzare via i trattati di pace del 1919-1920 che sancivano la sconfitta. Avevano infatti, in realtà o sulla carta, ha ridotto il suo territorio del 1918 e le risorse correlate, e ha vietato o limitato la sua espansione territoriale, il riarmo e la vendetta. Il Reich fu assicurato in quest’area come in ogni altro riarmo incluso il fermo supporto degli Stati Uniti: avevano già stabilito la loro testa di ponte in Europa tramite questo socio privilegiato (e rivale) capitalismo commerciale, industriale e finanziario fortemente concentrato se collegato dal prebellico al loro. Quasi tutti i partiti politici tedeschi (KPD e piccola minoranza di socialisti tranne sinistra) ha affermato che “diritti uguali” della maggioranza della SPD in fondo a destra 17 .

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Adenauer e la sua gente, dalla vecchia alla “nuova Germania”

Illustre nel caso, tra gli altri, il sindaco di Colonia, uno dei leader del partito cattolico, il Zentrum, Adenauer, qui citato, solo una volta, come “cancelliere della nuova Repubblica federale di Germania”.

Nuova Germania, davvero? Questo non è ciò che emerge dal Quai d’Orsay e dagli archivi diplomatici stranieri irremovibile la perfetta continuità della politica estera dello stato tedesco, il II ° Reich Germania Ovest tramite Weimar e III e Reich. Per decenni, il lavoro scientifico ha dimostrato l’importanza delle ipotesi avanzate in questo senso dagli storici con opzioni ideologiche radicalmente opposte. In particolare, lo storico Charles Bloch, ebreo tedesco espulso dalla Germania, bambino, dal regime hitleriano, francese, poi israeliano, autore della sintesi The Third Reich e il mondo 18 Charles Bloch, The Third Reich e il mondo, Parigi, Imprimerie Nationale, 1986 ; e Fritz Fischer, che, per essere stato all’Università di Amburgo, sotto Hitler, dal 1942, professore di storia incontestabilmente nazista (come tutti i suoi colleghi) – ci torneremo su Walter Hallstein, era nondimeno Dopo il 1945, un grande storico, specialista negli obiettivi di guerra molto duraturi della Germania imperiale 1914-1918 19 Fritz Fischer, Gli obiettivi di guerra , Parigi, Treviso, 1970, trad. da Griff nach der Weltmacht , 1961. Buona sintesi, Walter von Goldendach, Hans-Rüdiger Minow, ” Deutschtum erwache! ” Aus dem Innenleben staalichen PangermanismusBerlino, Dietz Verlag, 1994 .

Adenauer, che si potrebbe pensare qui come “nuovo” come il FRG, non lo era molto di più. Molto di mano destra e il sindaco clericale di Colonia (nato 1876), strettamente legato al capitale finanziario tedesco che in precedenza aveva assegnato una serie di scheda di posizioni 20 e ufficiale “padre dell’Europa” dopo “Seconda guerra mondiale, M. de Villiers non dice niente neanche. Ma Adenauer è stato uno dei leader all’interno del Zentrum(partito cattolico), la crociata contro il Diktat di Versailles e tutti i trattati imbrigliare espansione tedesca, contro l’occupante francese e contro la “vergogna nera” del suo Truppe di occupazione coloniale e uno degli araldi della vendetta. Tutti questi obiettivi hanno stabilito prematuramente l’accordo tra Zentrum, Vaticano e NSDAP, sulla politica estera e sull’accordo governativo con il NSDAP, formula di un diritto esclusivo perseguito dopo la Sconfitta.

Champion Sound Gleichberechtigung , severe “parità di diritti” spazzare trattati erigere Reich sconfitto stato di minore Adenauer presentato nel 1920 Anschluss al pubblico straniero – è stato soprattutto l’americano come scopo innocente e pacifica “europea “. Ha ingannato nessuno nei circoli ben informati: l’annessione tedesca dell’Austria è stato vietato dai trattati di Versailles e di St. Germain, perché avrebbe ucciso pochi mesi dopo la sua realizzazione, la Cecoslovacchia e portare a molto assorbimento a breve termine di tutto l’ex impero austro-ungarico 21 .

Lo stesso Adenauer, cancelliere istituito 73 anni sotto gli auspici della occupazione americana, durante la fondazione ufficiale della RFT (Maggio 1949), si è distinto ancora una volta dopo il maggio del 1945, avvocato Gleichberechtigung con i suoi ministri, non ufficiali e ufficiali, gli affari esteri (Walter Hallstein) e guerra (Theodor Blank), anche pangermanisti e vendicativo come lui. “L’uguaglianza dei diritti” della Germania (allora Ovest) coinvolti tra gli altri, sotto l’egida degli Stati Uniti, e come nel precedente post-bellico: 1, agli inizi del riarmo: preparato in maggio 1945 è stato ufficialmente ricevuto nel 1950, con vari pretesti raggruppati sotto il tema della “minaccia sovietica” ideologica, politica e militare, invocato anche dai nostri firmatari; 2 °, la riunificazione del Reich, sotto l’egida dell’amato RFA di Washington.

Il successo di questo secondo obiettivo, di cui il ministro degli esteri pan-tedesco Adenauer Walter Hallstein è stato presentato non appena la sua nomina ufficiale, il campione del suono rivendicando la legittimità dell’unica Repubblica federale di Germania come rappresentante dell’intera Germania, ha richiesto, date le relazioni di forze e compromessi ereditati dal 1945, ancora qualche decennio. Uno dei nostri migliori diplomatici, Armand Bérard, lo aveva spaventato formalmente all’inizio del 1952, con tutte le sue conseguenze per l’Europa dell’Est, incluso il crollo della zona di influenza sovietica:

“L’offensiva anti-sovietica contro che iniziano per innescare gli americani […] risveglia i tedeschi sperano che la sconfitta del 1945 fu un episodio in un conflitto più lungo, nessun trattato e la sanzione la soluzione europea non sarà basata sulla situazione del 1945, ma su quella che deriverà da questa controffensiva. Ora i loro diplomatici reclutati per lo più in zone della Wilhelmstrasse che ha servito il regime di Hitler, e gli esperti militari di manovra al momento del regolamento in Germania è nella posizione più favorevole e rende più una pace dove, per la prima volta, per 40 anni, si svolgerà al fianco dei vincitori. Credono che i meriti che otterrà dipenderanno in larga misura da la soluzione della questione austriaca e quella dei problemi territoriali nell’Europa centrale e orientale. Con l’assenza di qualsiasi misura che lo caratterizzi, la Germania si precipiterà con ardore nel percorso indicato dall’America, se acquisirà la convinzione che la più grande forza è da questa parte e sarà ancora più americana degli Stati Uniti. Uniti. […] Adottando tesi americane, lo staff del Cancelliere [Adenauer] generalmente considera che il giorno in cui l’America sarà in grado di mettere in linea una forza superiore, l’URSS si presterà a un accordo in cui abbandonerà i territori. Europa centrale e orientale che attualmente domina. ” La Germania si precipiterà avidamente nella strada indicata dall’America, se acquisisce la convinzione che la più grande forza è da questa parte e sarà ancora più americana degli Stati Uniti. […] L’adozione dei dipendenti tesi americane Cancelliere [Adenauer] generalmente considerare che quando l’America sarà in grado di caricare un potere superiore, l’URSS si si presta a un insediamento in cui si darà territori Europa centrale e orientale che attualmente domina. ” La Germania si precipiterà avidamente nella strada indicata dall’America, se acquisisce la convinzione che la più grande forza è da questa parte e sarà ancora più americana degli Stati Uniti. […] L’adozione dei dipendenti tesi americane Cancelliere [Adenauer] generalmente considerare che quando l’America sarà in grado di caricare un potere superiore, l’URSS si si presta a un insediamento in cui si darà territori Europa centrale e orientale che attualmente domina. ” l’URSS si presterebbe a un accordo in cui abbandonerà i territori dell’Europa centrale e orientale che attualmente domina. ” l’URSS si presterebbe a un accordo in cui abbandonerà i territori dell’Europa centrale e orientale che attualmente domina. “

In Francia correttamente informato, il telegramma Berard del 18 Febbraio 1952 denunciando i pericoli, per tutta l’Europa, un irredentismo tedesco sfrenata da parte degli Stati Uniti desiderosi di fare battaglia con l’URSS dovrebbe essere replicato in extenso da tutti i libri di storia, dalla scuola superiore 22 . Il testo mozzafiato di questa Cassandra che annunciava il 1989 e il suo futuro sarebbe passato oggi per la letteratura “cospirazione” per “demonizzare” una Germania pacifica e gli Stati Uniti benevoli. Non si adatta bene alla visione idilliaca di una vittoria per la democrazia, finalmente vinta nell’Europa orientale contro il totalitarismo sovietico.

La conversione dei futuri insegnanti alla rilevanza di questa pittura irenica è stato uno dei principali obiettivi nella scelta del tema del Concorso per il reclutamento della scuola secondaria 2007-2009, The Construction of Europe . E ‘stato coniato dallo storico francese Robert Frank firmatario (ed editore) importanti forum del 27 marzo e 17 aprile 2019. Era rendendo così la “pedagogia” per ignoranti Francese provato e espiare loro maggioranza NO al referendum sulla Costituzione europea del maggio 2005: era necessario convincere i candidati alla cattedra di storia, cioè, consecutivamente, le generazioni di alunni e studenti che avrebbero formato, il miracolo “europeo” nato da la “caduta dell’URSS e del muro” 23 .

Le campagne elettorali della primavera del 2019 sono in una notevole continuità. Philippe de Villiers è sulla domanda Adenauer, che peccato, una grande discrezione come i loro firmatari.

Di Annie Lacroix-Riz, professore emerito di storia contemporanea all’Università Paris 7.

Proponiamo questo articolo per ampliare il tuo campo di riflessione. Ciò non significa necessariamente che siamo d’accordo con la visione sviluppata qui. In ogni caso, la nostra responsabilità si ferma con le osservazioni che riportiamo qui. [Leggi di più]

Note

1. https://www.lemonde.fr/les-decodeurs/article/2019/03/14/philippe-de-villiers-et-l-europe-entre-contre-verites-et-complotisme_5436099_4355770.htmli
2. https://www.franceculture.fr/histoire/leurope-est-elle-une-creation-des-etats-unis
3. https://www.lemonde.fr/idees/article/2019/03/27/philippe-de-villiers-na-pas-le-droit-de-falsifier-l-histoire-de-l-union-europeenne- il-nome-di-un-ideologie_5441688_3232.html
4. “Paranostradamus. “L’Agité du bocage” ha una visione della fondazione dell’Europa apocalittica e l’arte di trasformare le fantasie in verità storiche.
5. Robert Frank e Gérard Bossuat, https://www.lemonde.fr/idees/article/2019/04/17/the-historians-are-non-sold-of-villiers-to-breaking-the-mythe- by-che-solo-il-resistente-have-a-aiuta-the-building-europeenne_5451663_3232.html
6. sconcertante Prescrizione per il lavoro storico ma progressivo, comparsa antirazzista, Stéphane Michonneau e Thomas Serrier, https://www.lemonde.fr/idees/article/2019/04/19/pour-construire-l-europe-il- deve ricostruire la-sua-histoire_5452318_3232.html
7. I pionieri comprendono William A. Williams, The Tragedy of American Diplomacy , New York, Dell Publishing Co., New York, 1972 ( I edizione, 1959); Gabriel Kolko, The Politics of War. La politica estera mondiale e degli Stati Uniti, 1943-1945 , New York, Random House, 1969, e G. e Joyce Kolko, I limiti del potere. Il mondo e la politica estera degli Stati Uniti 1945-1954 , New York, Harper and Row, 1972; e
8. Works, Essential, di Richard Aldrich, The Secret Hand: Inghilterra, America e Cold War Secret Intelligence , Londra, John Murray, 2001; e “OSS, CIA e unità europea: il comitato americano per l’Europa unita, 1948-60”, Diplomacy & Statecraft , 8/1, 1997, citato da Villiers; città, con ulteriori riferimenti nel mio articolo “L’Unione europea della leggenda a realtà storiche,” 2 e di parte, “dall’Europa tedesca verso gli Stati Uniti in Europa: 1940-inizio 1950,” II, The Revival of the Fighters , No. 850, dicembre 2018-gennaio 2019, n. 8, p. 16 (13-20).
9. Oltre ai libri, la sezione articoli e comunicazioni di http://www.historiographie.info/cv.html, molto numerosa, fornisce approfondimenti su Robert Schuman, Jean Monnet e sulla non denazificazione in Europa occidentale (come evidenziato da il caso di Walter Hallstein) solo con i titoli; alcuni sono citati in Le origini del giogo europeo, 1900-1960. Francia sotto influenza tedesca e americana , Parigi, Delga-Le temps des cerises, 2016; revisione degli ausiliari, anticomunista lasciato a destra, Eric Branca, amico americano. Washington contro de Gaulle , Perrin, Parigi, 2017.
10. Saunders Frances, The Cold War culturale: La CIA e il mondo dell’arte e delle lettere , New York, The New Press, 1999 ( Who leading the dance, Cultural Cold War , Denoel, 2004). Anche Philippe de Villiers lo ha rimosso dalla sua bibliografia, preferendo citare autori meno completi e meno opprimenti sugli strumenti ideologici e politici di Washington. Prezzo visualizzato da Amazon, in occasione, fine 2018.
11. Atmosfera accademica, dove la storia si differenzia sempre meno dalla pura propaganda, dalla storia di Carcan e dalla storia contemporanea , Parigi, Delga-The cherry time, 2012.
12. Ibid ., Dove spesso appare la “guida” Gerbet ( Carcan , pp. 8-9), uno dei membri del “team di storici” che ha realizzato le Memorie di Monnet, Villiers, J’ai tir , p. 37.
13. https://fr.wikipedia.org/wiki/Georges_de_Boh%C3%AAme
14. La bibliografia del suo file https://fr.wikipedia.org/wiki/Aristide_Briand#cite_note-13 è un modello di storiografia “europeista”.
15. Il suo curriculum di cui sopra non fornisce alcuna fonte sullo sciopero dei ferrovieri del 1910 e la rabbia che, come presidente del Consiglio, ha schierato (pari a quella del ministro degli interni Clemenceau dal 1906 al 1909).
16. Pierre Guillen e Georges Castellan, Germania. La costruzione di due stati tedeschi, 1945-1973 , Parigi, Hatier, 1979, p. 94; eccellente libro di Guillen, L’Impero tedesco 1871-1918 , Paris, Hatier, 1 ° edizione, 1970 sostituire vantaggiosamente i libri di testo “europeisti” degli ultimi decenni per entrare a studiare il pubblico la notevole continuità della politica tedesca.
17. Non tradotto: Schuker Stephen A., The End of French Predominance in Europe: La crisi finanziaria del 1924 e l’adozione del piano Dawes , Chapel Hill, University of North Carolina Press, 1976; Costigliola Frank, Awkward Dominion: Relazioni politiche, economiche e culturali con l’Europa, 1919-1933 , Itaca, Cornell University Press, 1984; Lacroix-Rice, The Vatican, Europe and the Reich dalla prima guerra mondiale alla guerra fredda (1914-1955) , Parigi, Armand Colin, 2010, indice Briand.
18. Charles Bloch, The Third Reich and the World , Parigi, Imprimerie Nationale, 1986.
19. Fritz Fischer, Gli obiettivi della guerra , Parigi, Treviso, 1970, trad. da Griff nach der Weltmacht , 1961. Buona sintesi, Walter von Goldendach, Hans-Rüdiger Minow, ” Deutschtum erwache! ” Aus dem Innenleben del Pangermanismus staalichen , Berlino, Dietz Verlag, 1994.
20. https://de.wikipedia.org/wiki/Konrad_Adenauer#Oberb%C3%BCrgermeister_K%C3%B6lnssulle sue schede 1920.
21. Stretta comunità sul terreno “cattolico”, Lacroix-Rice, The Vatican , cap. 1-10, passim ; Anschluss, miniera d’Europa, fondi Austria 1918-1940, elencata a p. 664.
22. Tel. riservato n ° 1450-1467 Berard, Bonn, 18 febbraio 1952, generalità Europa, 22, dicembre, gli archivi del ministero degli Esteri, citato testualmente , Carcan , pag. 153-156.
23. Bibliografia di “Pensare e costruire l’Europa”. Historians and Geographers , No. 399, September 2007; Lacroix-Rice, “Pensa e costruisci l’Europa. Osservazioni sulla bibliografia della questione della storia contemporanea 2007-2009 pubblicata in Historians and Geographers No. 399 “, Thought , No. 351, October-December 2007, p. 145-159; e Carcan , p. 6 e passim .

Carlo Galli Sovranità, recensione di Teodoro Klitsche de la Grange

Carlo Galli Sovranità Il Mulino, Bologna 2019, pp. 154, € 12,00

Uno degli effetti dell’esplosione dei partiti sovran-popul-idealitari è di aver tolto dal cono d’ombra creato nella seconda metà del novecento il concetto di sovranità.

Solo a parlare del quale si era spesso stigmatizzati come reazionari, sciovinisti e, in una logica tutta contemporanea, fascisti. Che la sovranità nazionale fosse stata la bandiera di Mazzini e Garibaldi, dei patrioti polacchi ed irlandesi, dei coloni americani e, anche se meno enfatizzata, di tanti partiti comunisti (da quello cinese a quello vietnamita), non valeva a questa legittima aspirazione/concetto, di essere sottratto all’anatema dell’oblio, al doversi rassegnare a un posto nell’archivio della Storia.

È quindi assai interessante questo saggio di Carlo Galli che ripercorrendo la storia dell’idea di sovranità e le concezioni della stessa colloca “le cose a posto” nella prima parte, per poi formulare le conclusioni negli ultimi due capitoli.

Non è il caso di ricordare al lettore il percorso che fa Galli nella prima parte, sintetica ed esauriente.

Importante è ricordare comunque alcuni connotati fondamentali della sovranità. Questa, nata con Bodin nell’intento di neutralizzare i conflitti di religione (avente funzione cioè di decisione-neutralizzazione del conflitto), fu pervertita nel fine dai totalitarismi del novecento: da strumento di protezione della società (individualistica) borghese (Hobbes), era diventato quello di affermazione aggressiva del “noi” comunitario (classe, nazione o razza); ed è stata superata dalla sconfitta dei totalitarismi (nel 1945 e nel 1989).

Altro punto – dall’autore passato ripetutamente in esame – è che il rapporto conflitto/sovranità è l’inverso di quanto pensano i “politicamente corretti”. Non è la sovranità a creare i conflitti: in effetti è il contrario. Se non vi fossero conflitti, se gli uomini fossero angeli, di sovrani (e anche di governi) non se ne avrebbe bisogno.

Resta il fatto che dalla lotta e dall’ostilità come presupposti del politico (Freund) non si può prescindere: “la sovranità è il farsi carico del fatto che all’origine della normalità c’è l’incompletezza dell’esistere associato”. Al sovrano, inoltre, compete non solo (e non tanto) dare delle norme, ma, ancor di più, decisioni per applicare quelle o anche per derogarle nello stato di eccezione (Schmitt).

La sovranità, inoltre, è realismo e prudenza politica, non “ipertrofia” dell’Io, individuale o collettivo “Sovranità per un corpo politico è la capacità di stabilire come stare nel mondo e nella storia, come organizzare l’interdipendenza fra più soggetti politici… Quindi sovranità come volontà della nazione non è necessariamente nazionalismo: è autonomia di quella volontà”

Pertanto alla domanda di sovranità contemporanea occorre dare risposte non demonizzaitrci (come quelle delle élite declinanti): nelle concezioni delle quali sintetizzate da Galli “Il funzionamento della politica interna è la governance, cioè la mediazione, fin che si può; ma quando ci sono ostacoli … allora interviene la decisione politica…. La politicità implicita nel sistema torna a farsi esplicita”. La governance è insomma una politica in maschera: una politica che non ha il coraggio di qualificarsi tale, ma non rinuncia ai mezzi propri: forza ed astuzia. In effetti una sovranità mistificata.

Come sostiene Galli: “Il problema, semmai, è decifrare quanto la richiesta di sovranità che nasce nelle società occidentali sia funzione del dominio già esistente, che cambia forma e legittimazione per mantenere la propria valenza oppressiva, o quanto al contrario quella richiesta sia uno sforzo di risolvere in direzione emancipativa le contraddizioni dell’oggi. Per gran parte dei cittadini europei la richiesta di sovranità politica è il ritorno alla funzione protettiva, la prima prestazione della sovranità … è insomma sintomo di una sofferenza economica e psicologica, di un’autodifesa della società davanti all’eccesso di movimento, di mobilità, di instabilità”. E la stessa domanda di sovranità non ha finalità imperialiste o iperpolitiche “ha più il segno della tutela delle esistenze singole e familiari, dei piani di vita individuali, che non della ipertrofia del «politico», della volontà di potenza nazionalistica. Ciò che si chiede è più uno Stato protettore che uno Stato guerriero”. L’autore conclude “La tesi di questo libro è che la sovranità è una tematica ineludibile, e che – se l’Italia non vuole sperimentare la «non-sovranità in un solo Paese» – va trattata seriamente, in chiave storica e politica, e non con anatemi”. Anche se la richiesta di sovranità è superficiale, carente di capacità progettuale e di direzione politica incerta, chi oggi teme la democrazia “illiberale” dovrebbe chiedersi quanto sia il “tasso di democraticità” del “neoliberismo” o di altre “ideologie” post moderne che della sovranità pretendono (e credono) di fare a meno.

Per cui “un tempo il pensiero non conformista doveva criticare la sovranità e la sua pretesa di autosufficienza, la sua intrinseca alienazione, la violenza implicita nelle sue istituzioni. Oggi, davanti ad altra violenza, ad altra alienazione, ad altra pretesa di autosufficienza deve vedere nelle pur contraddittorie richieste di sovranità il sintomo dell’esigenza di ritrovare un approccio integrale, ed emancipativo, alla politica”.

Un saggio, in definitiva, la cui lettura è la migliore difesa contro gli idola dei mass-media allineati al (non-) pensiero unico.

Teodoro Klitsche de la Grange

 

Trump, Pareto e la caduta delle élite, di Norman Rogers

Il significativo manifesto di una élite emergente

https://www.americanthinker.com/articles/2019/05/trump_pareto_and_the_fall_of_the_elites.html

Trump, Pareto e la caduta delle élite

Il sociologo ed economista italiano Vilfredo Pareto morì nel 1923. Vide le credenze e le azioni degli uomini motivate dal sentimento e dall’interesse personale. Le motivazioni apparenti date per certe credenze e azioni, come aiutare i non privilegiati, sono spesso la copertura di azioni realmente motivate dal desiderio di proteggere i privilegi delle élite – la struttura del potere. Ad esempio, i democratici sostengono di essere motivati ​​dal desiderio di aiutare i meno abbienti. Ma le loro azioni sono chiaramente motivate dal desiderio di proteggere il proprio potere e privilegi. Incoraggiare l’immigrazione di massa di clandestini che competono per posti di lavoro di livello inferiore non aiuta i diseredati, ma crea un nuovo gruppo di elettori che sosterrà i democratici. Aiuta anche gruppi privilegiati fornendo manodopera a basso costo.

Prendiamo, ad esempio, la ricca contea di Marin , in California. Marin è in gran parte popolato da professionisti benestanti e altamente istruiti. Una sottoclasse di immigrati spesso illegali fornisce servizi a prezzi accessibili come il lavoro in giardino e il servizio di babysitting. Nelle elezioni presidenziali del 2012, Marin ha votato il 74% per Obama . Nelle elezioni del 2016, Marin ha votato il 77% per Hillary e solo il 16% per Trump. Un’altra ricca contea della California, Santa Clara County, è il cuore della Silicon Valley. Nelle elezioni del 2016, la Contea di Santa Clara ha votato solo il 21% per Trump. La Contea di Fresno, in California, una contea a maggioranza ispanica con un tasso di povertà molto elevato, ha votato il 43% per Trump. La California nel suo complesso ha votato il 32% per Trump. La nazione nel suo complesso ha votato il 46% per Trump. Nel distretto di Manhattan, a New York City, uno dei posti più ricchi del paese, solo il 10% dei voti è andato a favore di Trump. Chiaramente la classe privilegiata vota democratica e si oppone fortemente a Trump.

In luoghi abitati da élite, i democratici dominano. La vittoria di Trump è stata costruita con il voto pesante delle persone della classe operaia che non condividono il patrocinio che i Democratici conferiscono ai gruppi di identità considerati vittime. I gruppi che sono vere vittime, come le persone il cui lavoro è stato esternalizzato a paesi a basso reddito, si sono ribellati ai democratici ed hanno eletto Trump. Chiaramente i democratici rappresentano l’élite, classe dominante. Questo non vuol dire che i repubblicani non sono compagni di viaggio con i democratici. Gran parte delle classi intellettuali e politiche di destra si schiera con i democratici nel loro odio per Trump. Molti politici nascondono la loro antipatia per Trump per paura di essere primari.

La reazione delle élite all’elezione di Trump fu di lanciare un attacco extra-giudiziario con accuse false di collusione russa. L’FBI e il Dipartimento di Giustizia hanno adottato tattiche di stato di polizia come intercettazioni, intrappolamento e persino il collocamento di sospetti in isolamento per lunghi periodi al fine di esercitare pressioni su di loro per testimoniare contro Trump. La maggior parte della stampa, a sua volta parte dell’élite, ha partecipato con tutto il cuore a questo sforzo per distruggere Trump e rimuoverlo dall’incarico.

Trump ha, finora, respinto gli attacchi dell’élite establishment. La sua prestazione come presidente è stata molto forte. Ha cambiato le leggi fiscali con l’effetto di migliorare notevolmente la competitività dell’economia statunitense. Ha risollevato l’industria del petrolio e del gas. Gli Stati Uniti ora sono indipendenti dal punto di vista energetico e diventeranno uno dei maggiori esportatori di energia. È in procinto di rinegoziare le condizioni commerciali di vecchia data che sono state sfavorevoli ai lavoratori statunitensi e americani, in particolare con la Cina. Ha cambiato la relazione tra gli Stati Uniti e i nemici della Corea del Nord e dell’Iran, mettendo quei nemici sulla difensiva. Ha fatto queste cose di fronte agli attacchi implacabili dei media e dell’élite establishment.

L’élite, i democratici e i repubblicani, che gestivano il paese prima che Trump presiedesse a un lento declino nazionale.L’economia era incatenata dalla regolamentazione e dalle tasse. I problemi non sono stati risolti ma buttati giù per la strada.La crisi del riscaldamento globale è un esempio di una crisi fasulla, credenza in cui è diventata una necessità politicamente corretta.Le soluzioni proposte per il riscaldamento globale non in crisi, come capovolgere l’economia e alimentarla con mulini a vento, sarebbero comiche se non che i sostenitori di tali politiche sono seri. Ovviamente le misure per ridurre le emissioni di CO2 sono inutili perché l’86% delle emissioni proviene da altri paesi, molti dei quali non hanno intenzione di aderire al Green New Deal suicida. Prima di Trump, gli Stati Uniti erano alla deriva senza direzione e distratti da mode irrilevanti e problemi immaginari.

Trump è entrato in carica con una serie di politiche completamente diverse che hanno rimesso in discussione la precedente saggezza convenzionale sull’economia, il commercio, la difesa e l’energia. Le sue politiche stanno cambiando opinione pubblica e intellettuali. È arrivato un nuovo paradigma e sta guadagnando terreno. Questa è una minaccia per il vecchio establishment dell’élite. Devono fermare Trump e screditarlo, altrimenti il ​​vecchio establishment sarà ulteriormente screditato e perderà la sua capacità di governare.

Pareto ha visto la vita di un paese influenzato dalla crescita e dal declino delle classi dirigenti d’élite. Quando una classe dirigente perde la sua vitalità, è probabile che una nuova classe dominante sorgerà e sostituirà la vecchia classe dominante. In questa transizione, la vecchia classe dominante potrebbe tentare di preservare i suoi privilegi attaccando selvaggiamente l’aspirante classe dominante. Trump è il capo dell’aspirante classe dominante. Lui e i suoi sostenitori sono selvaggiamente attaccati. Trump è raffigurato come un criminale, un eccentrico conoscitore, come qualcuno guidato da una mancanza di controllo degli impulsi o da un razzista. Ma Trump è un vero talento politico. Ha astutamente respinto gli attacchi e ha un’eccellente possibilità di essere rieletto. È aiutato dalla disorganizzazione e dall’estremismo dei suoi avversari nella classe dirigente in declino.

Se una nuova classe dirigente, ispirata da Trump, consolida il potere, molti degli occupanti di sinecure nel governo e nell’istruzione correranno il rischio di perdere il lavoro. Sotto la vecchia élite, le università sono diventate mostri sovrafinanziati, sfruttando gli studenti il ​​cui futuro è ipotecato dal debito degli studenti. Questo oltraggio può continuare perché le università fanno il lavaggio del cervello ai giovani per sostenere la vecchia classe dirigente e perché le università forniscono supporto intellettuale per le politiche della vecchia classe dominante. Sotto la vecchia classe dominante, il governo è diventato pesantemente popolato da server temporali il cui impiego continuato sarebbe diventato inutile in seguito a una riorganizzazione del governo ispirata da Trump.

Il cambiamento è un pericolo chiaro e presente per i responsabili. Questo è ciò che sta dietro gli attacchi feroci e illegali contro Trump. Trump è chiaramente la migliore speranza per il futuro degli Stati Uniti. Siamo molto fortunati che Trump sia riuscito a superare in astuzia l’establishment e rimanere presidente.

Norman Rogers è l’autore del libro: Dumb Energy: A Critique of Wind and Solar Energy .

IL TESTAMENTO SPAGNOLO, di Antonio de Martini

IL TESTAMENTO SPAGNOLO

Tra un paio di giorni, la Spagna ci dirà se vuole restare unita oppure farsi preda di una delle periodiche convulsioni che contagiano regolarmente l’Europa.

Eppure sembriamo non capirlo. Preferiamo guardarci l’ombelico della nostra crisi senza capire che siamo inestricabilmente connessi a tutte le convulsioni del mondo Mediterraneo.

Per tre secoli gli spagnoli hanno dominato il globo e sono passati dal dominio alla irrilevanza in maniera inusitata : senza aver subito invasioni o perso una battaglia “storica” decisiva che segnasse la fine.

Sono stati distrutti – con una “ guerra senza guerra” e cento mini sconfitte- dalla inflazione per troppa ricchezza che non hanno saputo gestire e dalla superiorità di interpretazione della realtà degli anglosassoni che hanno logorato questo grande impero militar-cattolico sostituendolo gradatamente con un impero commercial-protestante basato sul dominio del mare.

Grandi studi sono stati realizzati negli anni sugli imperi, dal romano, al cinese all’ottomano, ma pochi sanno come Madrid sia passata da capitale del vecchio e nuovo mondo a buen retiro dei Borboni.

Credo che la ragione dell’oscuramento subito da questi studi, sia da ritrovarsi nella grande somiglianza con la situazione dell’Unione Europea. Potrebbero suggerire paragoni.

L’UE , per numero di abitanti, capacità tecnologiche, potenza commerciale, non è, finora, stata seconda a nessuno nel mondo.

Questo gigante commerciale, culturale, scientifico e demografico, è stato però progressivamente ridotto a un nano politico e gli è stato impedito di dotarsi di un apparato difensivo all’altezza del necessario.

È stato provato della capacità di iniziativa politica e sociale e paralizzato progressivamente.

Senza addentrarci nella Storia, constatiamo che siamo stati incapaci di risolvere il problema dei rapporti con gli USA e con la Russia, di convincere l’Inghilterra a non violentare la geografia e la storia allontanandosi da noi, abbiamo ceduto alle suggestioni egoistiche nazionali di ciascuno senza capire che il livello cui i problemi si pongono è ormai irreversibilmente continentale.

Non abbiamo nemmeno risolto problemi locali come Cipro o Gibilterra o il problema basco.
Non abbiamo stabilizzato il Levante o assorbito armonicamente la Turchia.

Ci siamo fatti imporre il controllo dei traffici marittimi e aerei con gli stessi mezzi che condizionarono gli spagnoli nel XVII e XVIII secolo: la pirateria e la finanza, l’ipervalutazione politica delle minoranze religiose o etniche usate come grimaldello per incrinare il grande valore dell’Unità.

Ci siamo regolarmente fatti imporre lo spartito del concerto, spesso da musicisti da strapazzo, stonando comunque.

Tra due giorni, vedremo se almeno gli spagnoli hanno imparato la lezione, restando uniti e concordino se abboccheranno al nuovo problema della grottesca “ indipendenza” catalana.

Poi tra un mese toccherà a tutta l’Europa.

L’Europa, gli Stati, l’Unione tra attualità e lunga durata. Intervista a Piero Visani

Tocca, dopo Pierluigi Fagan, a Piero Visani offrire il suo punto di vista sulle dinamiche politiche e geopolitiche in Europa. Lo spunto, ancora una volta, sono le prossime elezioni europee; l’intenzione è quella di individuare le dinamiche più profonde che stanno tracciando il solco e segnando l’esito del contenzioso tanto acceso quanto inadeguato a reggere il confronto geopolitico planetario. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

EUROPA SI EUROPA NO, di Antonio de Martini

Antonio de Martini ricostruisce da par suo a larghi tratti le dinamiche che hanno portato alla condizione attuale dell’Europa, in particolare dei suoi stati e dei suoi popoli. Ne evidenzia le fratture che hanno determinato ascesa e declino e conclude con un appello accorato: “L’Europa deve restare unita ad ogni costo come entità geopolitica e regolare i conti in famiglia. Se possibile, spietatamente.” E’ un appello realistico e corrispondente alla realtà? Sino a che punto il peccato d’origine dell’Unione Europea, la natura delle sue classi dirigenti, la conferma della sua espressione di dipendenza geopolitica con la implosione del blocco sovietico rendono praticabile una strategia interna di trasformazione della sua missione politica?

EUROPA SI EUROPA NO

Credevo di parlare a gente che sa cosa sia l’Europa e conosca le sue istituzioni. Mi sono accorto dell’errore.

Bisogna partire da zero.

Chi guarda all’Europa di oggi, scopre la caratteristica di una grande civiltà in guerra perenne con se stessa.

È un grande cervello – dove si è più volte pensato il pensiero del mondo – ma ha in se due segni di frattura che vengono definite CULTURE dagli intellettuali e che periodicamente degenerano in tumori che cercano di distruggerla.

La prima frattura è quella tra la cultura cattolica e quella protestante.
L’altra è la religione dell’attaccamento al patrio suolo, con confini che nell’ultimo trentennio hanno assunto addirittura dimensioni provinciali.

Il carattere di ogni società procede dalla sua filosofia, ossia dalla sua religione.

Prima del cinquecento, l’Europa ( e il mondo Mediterraneo di cui non parleremo) era unita e una sola era la religione, da quando Costantino imperatore l’aveva unificata accettando il cristianesimo e creando lo strumento unificante dei Concili per evitare scelte frazionistiche ( eresia = scelta).

L’Europa rimase sostanzialmente una – col nome di cristianità- fino alla Riforma e alle guerre che ne seguirono.

Dal punto di vista geopolitico, gli inglesi introdussero il concetto di “equilibrio europeo” che postulava la divisione dell’Europa in due blocchi e loro ago della bilancia.

I tentativi di ricreare l’Impero unito naufragarono regolarmente ma il danno si allargò perché ogni tentativo ( dei franchi, degli Hohenstaufen, degli Ottoni, degli Absburgo) contribuì, con morti e battaglie, a creare delle metastasi: il concetto di patriottismo e in successivi frazionamenti addirittura fedeltà a dinastie o singoli.

Tutti pretesero riti, cerimonie, giuramenti, ripresi dalla religione, il cui indebolimento progressivo veniva ad essere surrogato con la dimensione “ laica” territorio/signore.

Gli intrighi del papato fecero il resto, ossia cercavano di supplire all’indebolimento della capacità aggregante della religione con l’assunzione di un ruolo politicoe la stipula di alleanze.

Lo stesso “ laicismo “ nacque come concetto a causa delle scomuniche scagliate contro i re francesi.

Il massacro, enorme per l’epoca, della guerra dei trenta anni impose a tutti i trattati di Westfalia e l’accettazione di una serie di leggi internazionali ( che proibivano la pirateria, riconoscevano ai principi tedeschi la scelta religiosa , confini e diritti riconosciuti, princìpi di non ingerenza ecc).

L’affermarsi del nazionalismo in Francia ( Richelieu) e successivamente con Bismarck in Germania ( e gli intrighi inglesi) portarono a confronti armati sempre più cruenti fino al massacro inaudito di trenta milioni di persone nella prima guerra mondiale.

Si giurò che “mai più”, ma una pace mal concepita indusse la Germania ad affidarsi a chi prometteva la rivincita .

La seconda guerra mondiale portò il numero dei morti a sessanta milioni e alla creazione di strumenti bellici capaci di distruggere il pianeta.

Nessuna meraviglia che l’idea di riunificare l’Europa prendesse nuovamente piede assieme all’idea di bandire la armi nucleari.

Anche l’Inghilterra – stremata, surclassata dagli USA e con l’impero perduto – per qualche anno percorse questa strada, ( Churchill promosse anche con successo la costituzione del Consiglio d’Europa), ma riprese dapprima l’armamento nucleare e poi la strada della competizione con una Germania dimezzata ma ancora capace di produrre più ricchezza di un’ isola senza impero e senza agricoltura.

Nel frattempo era nata una forma di Europa economica in funzione anti sovietica, accettabile, perché importatrice solvibile , anche dalla nuova potenza anglosassone nata dai due conflitti mondiali.

La morte di Stalin raffreddò il processo di unificazione in atto ma non riuscì a fermarlo.

L’Inghilterra tentò di mettersi in competizione radunando – il vecchio sogno di Hitler- i paesi satelliti del nord del mondo creando “ la zona di libero scambio “, ma nel 1973 si arrese ed entro nella Comunità economica Europea

La caduta dei soviet e lo sfaldamento del patto di Varsavia produssero – come era già avvenuto per la morte di Stalin- una nuova sensazione di sicurezza appena temperata dalla riunificazione della Germania.

Siamo ormai ai tempi nostri. Senza entrare nel merito basterà dire che gli USA non potendo più reggere il loro ricco e dispendioso treno di vita, identificarono il pericolo per la loro egemonia politica ed economica, nel fattore Europa/ Germania.

L’Europa ha quasi il doppio degli abitanti/consumatori degli Stati Uniti, tecnologie se non superiori, uguali; capacità di sfruttamento dei paesi meno sviluppati e legami mondiali più soft.

Basterebbe la sola Germania, alleata con le riserve della Russia a piegare gli USA.

L’Europa Unita legata a Russia o Cina relegherebbe gli USA al rango potenza secondaria.

Da quando il presidente George Bush senior annunziò IL NUOVO ORDINE MONDIALE, gli USA hanno incoraggiato la rottura tra l’Unione Europea e l’Inghilterra; distrutta la Jugoslavia che minacciava da tergo i paesi dell’est Europa; occupato , di fatto, il continente africano con 86 nuove basi e presidi militari ; polverizzato le velleità indipendentistiche del mondo arabo; indebolito i paesi dell’Europa Mediterranea esportandovi la loro crisi finanziaria e proibendo loro di commerciare con la Russia e l’Iran ; destrutturato la Libia, l’Irak e il Venezuela , ipotecando così l’intera produzione petrolifera del mondo ( eccetto la Russia e Kazakistan).

Unici ostacoli : l’Asia, dove l’Afganistan, e la Siria resistono in armi da 17 e 8 anni rispettivamente e l’Iran ( sono gli stessi paesi che resistettero nel XIX secolo agli attacchi inglesi, con l’aggiunta della Siria all’epoca, ottomana ) .

Il cemento unificante della unità Europea , la cristianità, è in crisi profonda e fu respinta , col silenzio, quando Benedetto XVI lo propose.
L’unico cemento comune rimasto , la democrazia, vissuta dai più come sinonimo di benessere, è crollato sotto i colpi della crisi finanziaria “ globale”.

Manca, oggi, la motivazione filosofica per l’Unità Europea, ma sussiste l’imperativo categorico geopolitico senza il quale saremo condannati all’oscurità per il resto dei tempi.

L’urto più subdolo , sotterraneo, violento è decisivo si sta avendo – nel contempo- tra il mondo cattolico e quello protestante, con quasi gli stessi protagonisti di un tempo, ( Irlanda, Cuba, America Latina, Africa sub sahariana) ma con “una guerra senza guerra” giocata a colpi di comunicazione planetaria. Chi primo conquisterà la Cina vincerà la partita.

Il Papa è gradito a circa il 55% del mondo ( con punte dell’80 % in zone strategiche come Italia-Spagna-Polonia mentre gli USA sono attorno al trenta e arrancano con la palla sul piede di Israele al 20%. del gradimento mondiale e in discesa.

Di qui la “scoperta” della omosessualità dei preti e l’accusa di “ inazione” mossa al Papa da parte di paesi che pur fanno della omosessualità una bandiera di libertà e degli stupri sistematici di interi orfanotrofi del Galles un hobby per intoccabili lords.

Il Papa è in difficoltà sopratutto interna ( replica della operazione wikileaks in chiave vaticana, vicenda omosessualità dei prelati e frazionismo del Papa dimissionario che sembra non aver chiara la situazione geopolitica per concentrarsi su aspetti dottrinari, permettetemi di dirlo, desueti) .

Le prossime elezioni Europee sono l’opportunità che si offre agli USA per dare una ulteriore spallata alla costruzione europea con stati e partiti neo costituiti e dai finanziamenti opachi, i cui protagonisti sono costantemente “ pompati” dai media.

Questi stati e liste quisling sono guidate da marionette al cui confronto i collaborazionisti del terzo Reich erano dei premi Nobel di ogni disciplina e dei gran signori.

Salvini e Di Maio hanno avuto in sei mesi più copertura stampa ( anche internazionale) che Andreotti in quaranta anni. E c’è ancora chi ha dubbi.

L’Agente USA Bannon è venuto in Italia per seminare discordia tra le file dei cattolici, specie tradizionalisti, dispone di ingenti fondi ( ad esempio, ha stipulato un affitto ventennale della Abbazia di Trisulti ( 24.000 metri quadri) e ha detto a Salvini che il vero nemico è il Papa.

I suoi consigli di strategie politiche può darli qualsiasi pubblicitario con cinque anni di esperienza, ma capisco che a costoro sembrino oracoli. Gira con un seguito da magnate con fondi “ di proprietà di una signora”.

L’Europa deve restare unita ad ogni costo come entità geopolitica e regolare i conti in famiglia. Se possibile, spietatamente.

Gli Inglesi – che mostrano segni di europeismo tardivo- sono già fuori. The sooner, the better.

Tulsi Gabbard, di Giuseppe Germinario

Qui sotto il video di Tulsi Gabbard, membro del Congresso Americano e candidata alle primarie del Partito Democratico per le elezioni presidenziali del 2020. In calce la traduzione in italiano del suo appello. Segue qualche considerazione.

“Ho rivendicato con forza che si consentisse a Muller di completare l’ indagine sulle accuse al Presidente Trump di aver tramato con la Russia per influenzare le elezioni del 2016. Mi fa molto piacere che Muller abbia potuto concludere le sue indagini, e presentarne le risultanze. Il popolo americano deve poter accedere al rapporto di Muller. Ma ora che Muller ha dichiarato che dalle indagini non risulta alcuna cospirazione, dobbiamo tutti mettere in secondo piano i nostri interessi di parte e riconoscere che è bene per il nostro Paese che il Presidente degli Stati Uniti non abbia cospirato con la Russia per manipolare le elezioni, perché se il Presidente fosse stato posto in stato d’accusa per aver cospirato con la Russia allo scopo di manipolare le elezioni e influenzarne l’esito, il nostro Paese sarebbe precipitato in una crisi terribile, che avrebbe potuto sfociare nella guerra civile. Dunque, dovrebbe essere un sollievo per tutti che il Presidente Trump non sia stato trovato colpevole di collusione con i russi. Ora dobbiamo superare questo tema divisivo, e agire per proteggere il corretto svolgimento delle nostre elezioni, proteggere il corretto svolgimento delle elezioni del 2020, e approvare la mia proposta di legge, il Securing the American Elections Act, che consentirebbe a tutti gli Stati di usare schede elettorali cartacee verificate da scrutatori, e renderebbe impossibile per la Russia, qualunque altro paese straniero o gruppo criminale di manipolare o cambiare il risultato delle nostre elezioni. E’ essenziale che mettiamo in secondo piano gli interessi di parte, lavoriamo insieme per unire il nostro Paese, per affrontare i seri compiti che ci attendono, come ricostruire le nostre infrastrutture in pessime condizioni, porre fine alle guerre combattute per impiantare regimi democratici, proteggere l’ambiente, assicurare a tutti l’assistenza sanitaria, implementare una riforma complessiva dell’immigrazione, e tanto altro.”

Tulsi Gabbard sembra avere i requisiti necessari all’investitura di candidata alle elezioni presidenziali. Di origine multietnica, postura solenne, sguardo solare ma determinato, aspetto attraente ma non vistoso, eloquio chiaro e diretto, ma anche determinato, atteggiamento autorevole ma non autoritario.

 

I suoi trascorsi di militare e di sportiva ne hanno forgiato il carattere; gli studi le hanno dato gli strumenti culturali necessari a sostenere il confronto politico; la gavetta e gli antefatti paterni in politica le hanno garantito, pur alla sua relativamente giovane età (38 anni), una sufficiente esperienza.”

Tulsi Gabbard sembra possedere i crismi necessari all’investitura a candidata democratica alle elezioni presidenziali del 2020.

 

 

Fedele al partito sin dagli albori del suo impegno politico; sostenitrice, ma senza eccessi, come deve esserlo un potenziale uomo di stato, dell’affermazione di tutto il catalogo dei diritti umani proprio di quel partito, a cominciare dall’aborto in stato avanzato di gravidanza per finire  con il matrimonio tra omosessuali e con le rivendicazioni LGBT.

Eppure Tulsi Gabbard certamente non gode del sostegno dello stato maggiore democratico; la stessa componente radicale di quel partito non sembra particolarmente convinta delle sue potenzialità. L’onnipresente George Soros, proprio lui, le ha messo alle calcagna, nel suo stesso collegio elettorale delle Hawaii, un avversario apparentemente ben più radicale nelle posizioni politiche, ma soprattutto dotato di un sostanzioso corredo di svariati milioni di dollari. Un impegno spropositato, non per le tasche del noto filantropo, certamente per il peso politico di quel collegio nell’agone statunitense.

Quali possono essere i motivi di tanta attenzione e di altrettanta avversione?

Come qualsiasi persona, in particolare personaggio politico, anche Tulsi sembra nascondere qualche ombra agli occhi di costoro.

La sua conversione alla causa dei diritti civili è un po’ tardiva e stride leggermente con precedenti prese di posizione; qualche sospetto sulla effettiva genuinità delle posizioni può insinuarsi. Non si sa se sia stato il suo fermo proposito di maggior impegno nel Partito Democratico a determinare la conversione o se sia stata quest’ultima a spingerla ad un maggiore impegno politico. Sia Soros che la dirigenza democratica hanno accettato e sostenuto per altro operazioni trasformistiche ben più stridenti e clamorose senza batter ciglio e garantendo il necessario conforto, anche il più prosaico. Non pare quindi un motivo sufficiente di ostracismo.

Con coerenza Tulsi si è sempre schierata apertamente contro gli interventi militari americani a sostegno dei cambiamenti di regime, in particolare in Iraq, in Libia e in Siria. Una posizione che certamente può destare qualche inquietudine in quegli ambienti. I suoi trascorsi recenti da militare impegnato in alcune di quelle campagne le danno più autorevolezza e potrebbero offrirle qualche antidoto e qualche resistenza in più a possibili ripensamenti più o meno indotti. Ma i circoli sorosiani e i centri dello stato profondo sono riusciti facilmente a travisare gli impegni più solenni; è ancora vivo il ricordo dell’impegno solenne di Obama, il primo premio Nobel per la pace preventivo, ad uscire dalle guerre di Bush e la sua repentina conversione a paladino della destabilizzazione e della sovversione caotica nel Nord-Africa, nel vicino e medio oriente e nell’est europeo. In tempi più incerti, ma per loro orribili ed ostici, sono riusciti comunque a neutralizzare i propositi di Trump favorevoli ad una distensione con la Russia. Non hanno ragione quindi di temere particolarmente i propositi di una ragazza proveniente dalla periferia politica e ancora ancorata a quella terra.

Con vigore, ma senza eccessi agonistici, la Gabbard ha sempre sostenuto diritti e stato sociali, dal salario minimo alla assistenza sanitaria generalizzata al diritto universale allo studio. Argomenti che la collocano e la rendono popolare negli ambienti più radicali interni e ai margini del Partito Democratico sula scia del successo di Bernie Sanders. Ambienti attualmente in auge in quell’area politica; non si sa, però, quanto stabilmente.  Personaggi navigati come Soros e come quelli presenti nei centri decisionali strategici sanno benissimo che spesso è necessario cedere, nei momenti più critici e almeno temporaneamente, sulle rivendicazioni economiche e sociali pur di mantenere le prerogative di potere e di controllo politico. Nemmeno questo, appare quindi un motivo dirimente per tanta avversione e circospezione verso la Gabbard.

Non rimangono da esaminare che due altre posizioni della neofita tra quelle che possono aver scatenato tante attenzioni.

  • Il primo è rappresentato dall’appello alla riconciliazione nazionale a seguito dell’esito del Russiagate e dall’evidente compiacimento riguardo all’assoluzione di Trump. Una sconfessione pacata ed impietosa della partigianeria e della faziosità che ha informato l’azione politica democratica e dei neocon. Soprattutto, il campanello di allarme su di una possibile futura saldatura di fatto, se non proprio dichiarata, tra la componente trumpiana dello schieramento conservatore ormai prevalente nel Partito Repubblicano e quella radicale di sinistra, su alcune tematiche fondamentali di politica estera e politica economica. Una prospettiva fantasmagorica sino ad un paio di anni fa, ma che deve aver cominciato a rovinare i sonni di più di qualche stratega politico dell’ “ancien regime”. Personaggi scafati come Soros e come gli alti strateghi hanno comunque la possibilità di tentare appelli retorici alla riconciliazione, per quanto compromessi siano dai comportamenti recenti particolarmente faziosi
  • George Soros per altro ci ha rivelato da sempre la sua particolare sagacia e attenzione ai problemi di indirizzo e di strategie politiche confortata da altrettanto dispendio di risorse finanziarie per altro ben remunerate. Il suo inedito attivismo mediatico negli ultimi due anni ci ha svelato un aspetto inedito del suo impegno politico: la certosina attenzione agli aspetti pratici della azione politica sino ai particolari più minuti. Nell’ “annus horribilis” a cavallo dell’elezione di Trump George Soros ha infatti confessato apertamente alcuni propri fallimenti sia nella selezione delle classi dirigenti, sia nella inaspettata sconfitta nelle elezioni dei procuratori in diverse contee americane. Una notazione apparentemente astrusa e di tono minore. Tulsi Gabbard d’altro canto è stata componente del DNC (comitato di controllo) del Partito Democratico sino alle sue dimissioni per protesta, avvenute una volta emersa la truffa ai danni di Bernie Sanders ad opera del clan dei Clinton. La stessa Gabbard ha sottolineato più volte, anche in questa breve registrazione, la necessità di tornare al voto abolendo il sistema elettronico di votazione e introducendo un sistema certo di registrazione degli aventi diritto al voto. Il motivo conclamato è quello di limitare le influenze esterne, comprese quelle russe, sugli esiti elettorali. Il motivo reale è quello di mettere fine al sistema truffaldino di manipolazione delle espressioni di voto, particolarmente facilitato dalle modalità elettroniche di esercizio del diritto nelle elezioni americane. Un sistema che avvicina l’attendibilità del voto americano a quello delle primarie del PD italiano e delle consultazioni on line pentastellate. Una mossa tanto abile nella modalità di presentazione, tesa a neutralizzare la componente russofoba sul suo stesso terreno, quanto dirompente nella ordinaria gestione interna del consenso elettorale. Tanto più che la raccolta e la gestione elettronica dei dati elettorali è da tempo in mano ad una società di George Soros, il noto filantropo, così impegnato nelle sue opere di bene anche a favore dei più riottosi a riceverle da chiudere spesso gli occhi sui mezzi per rifilarle.

Sarà, ma probabilmente è proprio questa la soglia banalmente prosaica che Tulsi non avrebbe dovuto oltrepassare per evitare attenzioni così malevoli. La “Pianta” (il significato di tulsi) però sembra avere radici più forti addirittura del corpo emerso. Che a Trump si aggiunga una Trumpina con l’asinello? Il confronto è assolutamente impari. Lo era anche quello tra Clinton e Trump

La trentottenne Tulsi Gabbard, o chi per lei, tanto ingenua probabilmente non è. George Soros, da uomo di mondo quale è, & C qualche ragione profonda a temerla e soprattutto a prevenirla devono averla. Buona fortuna, Tulsi. Di tanto in tanto guardati alle spalle.

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