“NON SIAMO NATI IERI…” GUAI AL DI LÀ DEL CONFINE ed altro_La Redazione

     

“NON SIAMO NATI IERI…” GUAI AL DI LÀ DEL CONFINE

Il reato di cui è accusato l’ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e che oggi potrebbe costargli l’arresto, è “fabbricato” ad arte per impedirgli di ricandidarsi alla Casa Bianca.” Lo ha detto il presidente del Messico, Andres Manuel Lopez Obrador (AMLO), definendo, quella che si starebbe costruendo intorno a Trump, una manovra “completamente antidemocratica“. “In questo momento l’ex presidente Trump ha dichiarato che potrebbero arrestarlo. Se così fosse, visto che nessuno è nato ieri, sarebbe per far sì che il suo nome non compaia sulla scheda elettorale”, ha detto AMLO durante la tradizionale conferenza stampa quotidiana. “Lo dico perché anch’io ho sofferto per la fabbricazione di un crimine, quando non volevano che mi candidassi. E questo è completamente antidemocratico, perché non permette al popolo di decidere chi lo governa

AMLO prosegue affermando che l’Amministrazione Biden non ha il diritto di parlare di violenza in Messico poiché avrebbe autorizzato il “sabotaggio” del gasdotto Nord Stream, come sostiene il giornalista Seymour Hersh.

Il presidente AMLO risponde al rapporto statunitense sui diritti umani che attacca il Messico: “Non è vero, stanno mentendo. È pura politica… Non vogliono abbandonare la Dottrina Monroe, né il cosiddetto Destino Manifesto. Non vogliono cambiare, e si credono il governo del mondo. Sono dei bugiardi. Non prendetela male. È come se iniziassimo a valutarli in termini di diritti umani. Perché non liberate Julian Assange? Se parlate di giornalismo e libertà di stampa, perché avete Assange in carcere? Come mai un giornalista pluripremiato ci dice che il governo statunitense ha sabotato il gasdotto tra Russia ed Europa?”.

Le dichiarazioni di AMLO sono arrivate poco prima di incontrare l’inviato di Biden, per il cambiamento climatico, John Kerry; questo rende l’impatto delle sue dichiarazioni ancora più significativo e forte.  AMLO da credibilità a una narrazione che sostiene che lo stesso Biden abbia autorizzato un’azione segreta per bombardare il gasdotto Nord Stream.

Altre volte, in passato, Lopez Obrador si è schierato dalla parte di Trump, Nel gennaio del 2021, Lopez Obrador aveva denunciato, ad esempio, la decisione di Twitter di bloccare il profilo di Trump, per i riferimenti alle proteste in corso al Campidoglio. “Una cosa che non mi è piaciuta è la censura. Non mi piace che qualcuno venga censurato e privato del suo diritto di trasmettere messaggi, su Twitter o su Facebook, non sono d’accordo”, ha sottolineato il presidente Messicano “Dobbiamo tutti garantire la libertà“.

Alla vigilia delle elezioni presidenziali del 2020 AMLO fu uno degli ultimi leader stranieri a fare visita all’allora presidente americano tessendo le lodi al presidente Trump, ringraziandolo per il rispetto e l’amicizia riconosciuta al Messico e ad AMLO. AMLO fu anche uno degli ultimi leader mondiali (insieme a Putin) a congratularsi con Biden per le sue elezioni da presidente.

 

 

 

NEL CORTILE DI CASA

Dopo l’Argentina, anche il Messico, il 12 marzo scorso, ha ufficializzato, assieme all’Egitto e ad altri stati, la richiesta di adesione al BRICS. Trattandosi della parte del “cortile di casa” adiacente ai propri confini, pur nello smarrimento e nel caos in cui si trova la leadership statunitense, ci sarà da aspettarsi una sua qualche energica reazione. Il canale più diretto e immediato di intervento potrebbero essere i cosidetti “cartelli della droga” messicani, vere e proprie formazioni paramilitari in gran parte provenienti dalle forze speciali dell’esercito messicano.

Non è detto, però, che questa volta si realizzi facilmente.

È vero che i legami con l’entroterra statunitense sono più che solidi; è altrettanto vero che i laboratori di droghe sintetiche di questi cartelli si forniscono in gran parte dei principi attivi di produzione cinese. Una sorta di nemesi della “guerra dell’oppio” di fine ‘800 che presuppone la tessitura di legami altrettanto forti di questi cartelli con ambienti cinesi.

In guerra non si va certo a sottilizzare sull’integrità morale degli “amici”.

https://eurasiamedianetwork.com/mexico-plans-to-join-brics-amid-growing-tensions-with-us/

 

NEL VICINATO DI CASA NOSTRA

Come ben sanno i nostri lettori, uno dei motivi di contrasto e di logoramento dei rapporti tra l’Algeria e la Francia è stato il mancato rispetto, da parte transalpina, degli impegni di investimento nel settore industriale e manifatturiero in territorio algerino. Uno dei fattori che ha aperto ulteriormente la strada alla Russia e alla Cina. Come un “miles gloriosus” da par suo, il Governo Meloni ha rilanciato con toni roboanti una riedizione della antica politica di Enrico Mattei, che tanto lustro e prestigio ha dato all’Italia in quelle lande.

Ora cominciano a delinearsi i contorni reali di questa politica, in paradossale sodalizio con la Francia.

Macron ha appena annunciato il programma di costruzione di uno stabilimento automobilistico in Algeria. Finalmente una prima parziale soddisfazione tra tante promesse inevase.

Cosa dovrebbe produrre questo stabilimento? Ebbene sì, la FIAT 500.

Questo impegno sarebbe parte del pacchetto di accordi bilaterali di collaborazione tra Italia e Algeria, o parte di un triangolo discreto nel quale l’Italia, in cambio di forniture alquanto dubbie di gas e petrolio, funge da paravento, con i propri marchi e con il proprio residuo prestigio nell’area mediterranea, a mere operazioni di recupero per conto terzi. Del resto aziende come Fiat, ma sempre più anche ENI e Leonardo, gravitano sempre più in orbita statunitense e in subordine dei satelliti europei più importanti.

CERCASI BADOGLIO 2.0. TORNA, PIETRO: TUTTO È PERDONATO.

28 settembre 1937, Stadio di Berlino.

Benito Mussolini [in tedesco]: “Il Fascismo ha la sua etica, alla quale intende rimanere fedele, ed è anche la mia personale morale: parlare chiaro e aperto e, quando si è amici, marciare insieme sino in fondo.”

21 marzo 2023, Senato della Repubblica italiana.

Giorgia Meloni, Presidente del Consiglio: “Continueremo a sostenere l’Ucraina senza badare all’impatto che queste scelte possano avere nel breve periodo sul consenso verso la sottoscritta, il governo, o le forze di maggioranza. Continueremo perché è giusto farlo sul piano dei valori e dell’interesse nazionale”.

 

 

 

I loro nemici: i russi Ma che dire del resto di noi? di Aurelien

Una interessante riflessione di Aurelien sull’universalismo politico del liberalismo e sulla dicotomia amico/nemico schmittiana, nel contesto della guerra in Ucraina e del conflitto tra unipolarismo declinante e multipolarismo nascente.

 

https://aurelien2022.substack.com/p/their-enemies-the-russians?utm_source=post-email-title&publication_id=841976&post_id=108574814&isFreemail=true&utm_medium=email

I loro nemici: i russi

Ma che dire del resto di noi?

di Aurelien

15 marzo

 

La settimana scorsa ho analizzato la dicotomia amico/nemico divulgata da Carl Schmitt e mi sono chiesto se potesse aiutarci a comprendere lo stato deplorevole della politica occidentale contemporanea. Ho sostenuto che molti gruppi sociali che oggi svolgono un ruolo politico hanno di fatto interiorizzato questa dicotomia e la praticano abitualmente. Ora voglio esaminare le conseguenze di questa dicotomia nelle relazioni internazionali, in particolare, ma non solo, nel caso della reazione del PMC occidentale alla crisi ucraina, e vedere se possiamo comprenderla allo stesso modo.

 

Nella discussione della scorsa settimana, ho suggerito che l’originaria antitesi oggettiva amico/nemico identificata da Schmitt sia stata superata, come egli pensava, da gruppi economici e sociali organizzati che svolgono un ruolo politico sempre più ampio. Con l’effettiva scomparsa delle grandi lotte storiche politiche ed economiche, ormai sepolte sotto cumuli dell’insalata di parole liberale e di cui non è più consentito discutere, le energie che animavano le aspre dispute del passato si sono spostate sui dettagli della sfera sociale. Ho anche sostenuto che si trattava di un fenomeno specificamente occidentale, che trovava la sua origine ultima nelle violente e assolutistiche dispute dottrinali del primo cristianesimo, per poi secolarizzarsi nelle lotte politiche ed economiche e infine banalizzarsi nelle discussioni su chi deve usare quale bagno. A differenza di altre culture, dove credenze diverse possono coesistere senza conflitti, la dinamica della cultura occidentale è stata quella di una costante tendenza all’intolleranza e all’affermazione incontestabile della verità. Il liberalismo, che ama presentarsi come il guardiano della tolleranza, è l’esempio attuale di un sistema di credenze assolutiste contro cui non c’è appello.

 

Come potrebbe manifestarsi tutto ciò nella sfera internazionale? Voglio analizzare questo aspetto nel contesto di alcune osservazioni di Carl Schmitt. Come in precedenza, il mio scopo non è quello di elogiare (o denigrare) Schmitt, né di cercare di esporre le sue idee, ma di chiederci se possiamo usare le sue parole come punto di partenza per una riflessione proficua. Credo che forse sia possibile.

Il punto di partenza è il concetto di Schmitt di conflitto tra nazioni. Egli lo chiamava semplicemente “guerra”, ma le sue osservazioni successive chiariscono che aveva capito che le relazioni conflittuali potevano essere più complicate di così. Ma questo conflitto può avvenire solo quando una comunità pronta a combattere per la propria identità entra in collisione con un’altra comunità simile. Questa collisione, che fa di ogni parte il “nemico” oggettivo dell’altra, è indipendente, sosteneva, da qualsiasi altra antitesi basata su differenze culturali, razziali, morali ecc. Ne consegue che non è necessario odiare personalmente il nemico.

 

Ne consegue anche che la guerra, a prescindere da qualsiasi considerazione sulle differenze morali o etiche, è uno strumento legittimo di politica statale, se e solo se viene combattuta non “per ideali e norme di giustizia“, ma “contro un ‘nemico reale’ ” (cioè oggettivo). Non esistono quindi guerre giuste o ingiuste e, almeno in teoria, ogni Stato ha uno ius ad bellum illimitato. Schmitt sembra aver creduto che questo fosse il modello di guerra che si era imposto fino al 1914 e che era durato almeno per diverse generazioni, forse dalla fine delle guerre napoleoniche. In questo modo di pensare, le guerre erano brevi, anche se brutali, dispute organizzative che risolvevano qualcosa nelle relazioni oggettive tra gli Stati. Poiché non erano coinvolti gli odi personali, la posta in gioco della guerra era più bassa e le sue conseguenze limitate. Tutto questo, sosteneva, cambiò nella Prima guerra mondiale, con la retorica disumanizzante diretta contro la Germania e il famigerato articolo 231 del Trattato di Versailles, che rendeva la Germania totalmente responsabile della guerra, con relative sanzioni e punizioni.

 

Ora, la caratterizzazione di Schmitt della guerra nel XIX secolo è stata contestata, ma credo sia abbastanza incontrovertibile affermare che per la maggior parte di quel periodo la guerra è stata uno strumento di politica statale limitato, sia nella sua portata intrinseca sia nell’emozione che vi era investita. Nel periodo che va all’incirca dal 1789 al 1815, la guerra non è stata così, perché l’autonomia dell’antitesi amico/nemico è stata effettivamente stravolta, con l’introduzione di elementi morali, etici e religiosi, e anche di odi personali: ad esempio, contro Napoleone. Le grandi potenze europee si videro difendere l’intramontabile principio morale e religioso del monarca legittimato da Dio, contro le eresie della Francia, della Repubblica, del Direttorio o dell’Impero. (Per questo motivo, le guerre continuarono finché i principi morali e religiosi non vennero finalmente applicati). Poi, Napoleone fu costretto ad abdicare e fu mandato in esilio, Luigi XVIII riportò al potere i Borboni e l’ordine morale divino fu ristabilito.

 

Schmitt sosteneva che, dopo il periodo da lui individuato nel XIX secolo, la Prima Guerra Mondiale era stata diversa, perché gli Alleati avevano tentato di moralizzarla, mentre in realtà perseguivano l’obiettivo economico di distruggere la Germania.  Egli sosteneva più in generale (ma chiaramente in riferimento a quella guerra) che era possibile dirottare e monopolizzare il concetto di “umanità“, in modo tale da negare “al nemico la qualità di essere umano” e dichiararlo “un fuorilegge dell’umanità“. Così, paradossalmente, “la guerra può essere portata alla più estrema disumanità“. Il concetto di umanità, ha sostenuto, “è uno strumento ideologico particolarmente utile all’espansione imperialista e nella sua forma etico-umanitaria è un veicolo specifico dell’imperialismo economico“.  Quindi la “struttura ideologica” del Trattato di Versailles “corrisponde precisamente a questa polarità di pathos etico e calcolo economico“.

 

La difesa della Germania da parte di Schmitt è stata giudicata insufficiente da molti non tedeschi (e anche da alcuni tedeschi) sia prima che dopo. C’è un’intera industria accademica che si dedica alle cause della Prima Guerra Mondiale, e la lascio al suo lavoro. Ma è certamente vero che la disumanizzazione del nemico era una caratteristica costante della propaganda bellica (non dimentichiamo che “Hang the Kaiser“, Impicchiamo il Kaiser, era una canzone popolare dell’epoca). Il moralismo dei vincitori era anche abbastanza reale: già prima della fine della guerra ci si preparava a processare il Kaiser e gruppi di lavoro di avvocati si affannavano a inventare accuse. Schmitt aveva ragione ad affermare che, almeno dal punto di vista procedurale, tutto ciò costituiva un’innovazione.

Ora, il fatto che Schmitt si sia reso colpevole in questo caso di parzialità, se non peggio, non significa che le sue argomentazioni debbano essere automaticamente respinte. Anzi, esse hanno un suono curiosamente moderno e contemporaneo.  Per esempio, molti attenti critici degli interventi militari occidentali degli ultimi trent’anni hanno trovato preoccupante il fatto che:

 

La guerra è condannata, ma restano le esecuzioni, le sanzioni, le spedizioni punitive, le pacificazioni, la protezione dei trattati, la polizia internazionale e le misure per assicurare la pace. L’avversario non è più chiamato nemico, ma perturbatore della pace, e viene così designato come un fuorilegge dell’umanità“.

 

Schmitt contrappone questa visione della guerra a quella che, secondo lui, aveva caratterizzato il mondo precedente al 1914. A quei tempi gli Stati avevano dei nemici, ma le loro differenze erano per lo più territoriali e le guerre non sfuggivano di mano. Nei suoi scritti successivi, Schmitt sembra aver sperato in un ritorno a questa situazione, con gli Stati che combattono per difendere il proprio territorio, ma non cercano di invadere quello degli altri. Ma questo era possibile solo se, da un lato, vi fosse stata una perfetta coincidenza tra territorio e identità politica e, dall’altro, se le nazioni avessero evitato ideologie universalistiche. Nel primo caso, le guerre più distruttive possono nascere quando parte della popolazione di uno Stato si identifica con un altro Stato. Nel secondo caso, sosteneva Schmitt, gli Stati liberali-umanisti ritengono che i loro valori siano universali e quindi non possono tollerare l’esistenza di altri sistemi e si sentono obbligati a intervenire in essi. Per loro, la guerra non riguarda il territorio, ma le idee, e quindi non è soggetta ai vincoli morali intrinseci della guerra puramente territoriale. Il risultato, secondo Schmitt, sarebbe l’anarchia. Guardando il mondo di oggi, pochi direbbero che Schmitt si sbagliava sul rischio in entrambi i casi. Se il conflitto disumano e illimitato sia il risultato inevitabile è, ovviamente, un’altra questione.

 

L’ultimo secolo è stato infatti caratterizzato dalla percezione di una superiorità morale nella guerra. Naturalmente, nel corso della storia, pochi, se non nessuno, Stati o governanti sono entrati in guerra ammettendo allegramente di essere nel torto e che l’altra parte era moralmente superiore. Fino all’incirca alla Rivoluzione francese, i pretendenti dinastici in competizione sostenevano di avere la migliore pretesa al trono (ricordate l’incipit dell’Enrico V di Shakespeare) o a un territorio, e che quindi la loro causa era giusta. Gli eserciti della Rivoluzione, tuttavia, rappresentarono forse il primo tentativo di combattere una guerra giustificata esclusivamente dalla superiorità morale e ideologica. (Non parliamo poi della Guerra dei Trent’anni).

 

Ma c’è stato un cambiamento qualitativo dopo il 1914, e soprattutto dopo il 1945, quando la superiorità morale dei vincitori era così evidente (ed è rimasta tale nonostante le successive ondate di revisionismo) che è stato possibile raccontare la storia della preparazione alla guerra e la guerra stessa come un racconto morale. Si trattava, come osservò lo stesso Schmitt, della prima volta nella storia in cui un intero regime veniva considerato di per sé criminale e i suoi leader venivano processati per azioni che solo a posteriori venivano classificate come crimini (oltre che, naturalmente, per molte altre che lo erano sempre state). Il Processo di Norimberga era di fatto inevitabile, dal momento che non si poteva permettere che la leadership nazista sopravvivesse, anche se il teatrino morale che ne derivò stabilì un vocabolario e un insieme di concetti che in seguito tornarono a tormentare alcune delle potenze vincitrici.

 

Ma la Seconda Guerra Mondiale non fu un conflitto di ideologie in senso banale. La Guerra Fredda lo fu in teoria, ma l’effettiva competizione politica e militare si limitò alle aree esterne all’Occidente e al blocco sovietico vero e proprio, soddisfacendo così, per inciso, uno dei criteri di stabilità di Schmitt: la coesistenza di sistemi diversi che non cercano di imporsi direttamente l’uno sull’altro. Per questo motivo, se la Guerra Fredda è stata a volte spaventosa per coloro che l’hanno vissuta e profondamente sgradevole per coloro i cui Paesi sono stati contesi, la “coesistenza pacifica” è stata in realtà la regola tacita di tutte le parti, poiché qualsiasi altra cosa sarebbe stata follemente pericolosa.

 

Il catastrofico declino della potenza economica e militare russa dopo il 1991 e la fine del Patto di Varsavia hanno aperto la strada all’attuale dominio del liberismo economico e sociale. Non c’era nulla di ideologicamente inevitabile in questo: è solo che la politica non tollera il vuoto, ed è successo che il liberalismo che aveva progressivamente sostituito l’ethos vagamente socialdemocratico dell’Occidente durante la maggior parte della Guerra Fredda si è espanso, perché aveva alle spalle una potenza militare ed economica e nessun concorrente efficace all’epoca.

 

Come ho sottolineato spesso in precedenza, una peculiarità del liberalismo è quella di non avere alcuna base reale per le sue credenze se non l’asserzione apodittica: nessuna rivelazione divina, nessuna tradizione sacra, nessun corpo sistematico di teoria che pretenda di essere basato sul mondo reale. Per questo motivo, le figure dominanti del liberalismo si sono sempre sentite ideologicamente insicure e a disagio, soprattutto quando si sono confrontate con sistemi di pensiero ancorati a qualcosa di diverso dalla semplice asserzione. Il liberalismo ha sempre avuto un problema con l’Islam, ad esempio, la cui base intellettuale è saldamente fondata sulla rivelazione e la cui base popolare è costituita da società che non condividono le idee liberali. È sorprendente che il liberalismo non sia mai stato in grado di addomesticarlo e assorbirlo come ha fatto con il cristianesimo e persino con il buddismo.

 

Sembra che (e Schmitt avrebbe detto di averlo previsto, suppongo) il liberalismo, con la sua ideologia saldamente sostenuta ma mal fondata, sia incapace di vivere pacificamente nello stesso mondo del tipo di sistemi politici e sociali che troviamo oggi in Cina, Russia e India. Questo è un problema intrinseco a qualsiasi ideologia universalistica, come ho descritto in precedenza, e riflette il fatto che il liberalismo è oggi la cosa più vicina a una religione per le élite occidentali, e che per la maggior parte di esse agisce come una forza di unità precaria, o almeno di coesistenza disagevole. Tuttavia, più l’Occidente tollera l’esistenza di sistemi di pensiero rivali, più la gente inizierà a mettere in discussione le pretese universalistiche del liberalismo.

 

Così, forse, l’Ucraina. Non subito, ovviamente, perché nulla accade così in fretta, ma alla fine. Durante la Guerra Fredda, la competizione ideologica tra i due blocchi si basava in gran parte sui risultati economici e sociali, in quanto ogni sistema sosteneva di avere più successo dell’altro nel miglioramento materiale della vita delle persone. Oggi non è più così: Il liberalismo è per definizione universalmente vero e valido e non ha bisogno di dimostrarsi o confrontarsi con nulla. Le società che non hanno (ancora) abbracciato il liberalismo dovrebbero quindi essere convinte o costrette a farlo. Nella misura in cui si rifiutano di farlo, sono viste come nemici oggettivi. A differenza della Guerra Fredda, la coesistenza pacifica non è di fatto possibile, né auspicabile. Allo stesso modo, le persone e le fazioni che in altri Paesi abbracciano il liberalismo sono dalla parte della storia e vanno automaticamente sostenute. Se non vincono le elezioni è un peccato, ma è colpa dell’elettorato che non è abbastanza illuminato. Alla fine si ricrederanno.

 

Il problema sorge quando il liberalismo si scontra con una forza altrettanto grande, o più grande, di lui, che si rifiuta di seguire il suo esempio, e che rifiuta persino di essere vilipesa. Gran parte del mondo, ovviamente, è impegnata da tempo in una resistenza passiva al liberalismo, anche se raramente ce ne accorgiamo. La maggior parte delle nazioni al di fuori dell’Occidente è generalmente preoccupata di mantenere almeno alcuni elementi delle proprie tradizioni, della propria storia, della propria cultura e della propria società, e di non imitare l’Occidente liberale e il suo individualismo feroce. Ma i Paesi più grandi e più importanti, come la Cina, l’India e la Russia, negli ultimi anni si sono stancati di sopportare semplicemente l’Occidente e la sua ideologia liberale: hanno iniziato a resistere attivamente. Nessuno di questi Paesi, a quanto mi risulta, condivide il tipo di presupposti universalistici che caratterizzano il liberalismo. I cinesi cercano di diffondere la loro influenza e la loro cultura, ma per quanto ne so non stanno cercando di convertire il mondo al confucianesimo, così come gli indiani non stanno cercando di convertirlo all’induismo. In effetti, quando questi Paesi parlano di un sistema mondiale più equilibrato e plurale, parlano in realtà di una sorta di coesistenza ideologica pacifica, che significa che le nazioni non cercano di imporre le proprie norme e pratiche le une alle altre. Ma come ho suggerito, il liberalismo non è in grado di accettare pacificamente la presenza di altre ideologie per molto tempo.

È questo, più di ogni altra cosa, che spiega l’inimicizia incessante verso la Russia e la Cina che ha caratterizzato gli ultimi 15-20 anni. Non c’è, ovviamente, una ragione oggettiva per questa inimicizia: l’Occidente può convivere tranquillamente con questi due Paesi (e con l’India) se vuole, a vantaggio di tutti. La Cina può essere per certi versi un concorrente economico degli Stati Uniti, ma è anche un importante fornitore e un importante cliente. Nessun essere umano razionale crede che una guerra per Taiwan abbia anche solo lontanamente senso o sia probabile. Ma la guerra, quella che Schmitt chiamava la “negazione esistenziale” del nemico, è comprensibile (esito a dire “razionale”) sulla base del fatto che l’Occidente semplicemente non può vivere indefinitamente con la presenza di altri sistemi di pensiero che mettono in pericolo la sua ideologia universalizzante. Tuttavia, è ovvio che l’Occidente non può aspettarsi di vincere una guerra contro la Russia o la Cina da sole, figuriamoci insieme. Questo crea una situazione altamente instabile, in cui i leader occidentali sono costretti a usare una retorica bellicosa, a minacciare e a inasprire le tensioni, nella speranza di ottenere in qualche modo l’effetto politico desiderato. Il problema è che i russi e i cinesi non si lasciano intimidire, anche se i leader occidentali hanno fatto credere ai loro cittadini che l’Occidente sia così temibile e potente da poter sempre ottenere ciò che vuole. Non è chiaro come i leader occidentali possano sfuggire a questo instabile paradosso.

 

E qui ci occupiamo dei leader, oltre che della classe professionale e manageriale, dei media e di altri parassiti. La grande, anche se non dichiarata, debolezza dell’Occidente di oggi, infatti, è proprio la mancanza di un sostegno generale alla promozione bellicosa del liberalismo. Dopotutto, questa ideologia ha molti problemi interni nella maggior parte dei Paesi occidentali e pochi elettori sosterrebbero volentieri le guerre per la sua propagazione. In un certo senso, e per un certo periodo di tempo, le guerre possono essere commercializzate in Paesi lontani come lotte contro persone malvagie: tanto più che noi stessi non rischiamo alcun inconveniente. Ma una guerra offensiva contro la Cina sulla base del fatto che il liberalismo e il sistema cinese non possono coesistere sarebbe un’iniziativa difficile da vendere, anche con Taiwan come pretesto.

 

Eppure è più o meno questo il punto in cui ci troviamo con l’Ucraina. Come ho sottolineato qualche tempo fa, l’isteria e l’odio mostrati dal PMC occidentale sono comprensibili solo se si comprende la dimensione ideologica messianica e la natura apocalittica del conflitto vista da Washington, Londra e Berlino.  È difficile dire come reagirà il liberalismo quando si renderà conto che quella che credeva una forza irresistibile ha sbattuto contro un ostacolo davvero inamovibile, ma non sarà bello e probabilmente assomiglierà a una sorta di esaurimento nervoso politico di massa.

Schmitt, naturalmente, sosteneva che qualsiasi disunione di questo tipo in uno Stato fosse estremamente pericolosa. Non solo seguì Hobbes, ma scrisse un intero libro, Il Leviatano nella teoria dello Stato di Thomas Hobbes, sostenendo che Hobbes era stato troppo moderato. Secondo lui, più antagonismi e differenze politiche ci sono in uno Stato, più questo diventa debole. Anzi, si spinse oltre, sostenendo che chi non si univa al consenso nell’identificare un altro Stato come nemico, era di fatto passibile dell’accusa di aiutare quello Stato: un’argomentazione non nuova o originale, ovviamente.

 

Ora, pur non dovendo arrivare all’estremo opposto, e gorgheggiare di forza nella diversità, è chiaro che la tesi di Hobbes e Schmitt non può reggere a un serio esame come principio storico. Forse Schmitt aveva in mente la grande difficoltà di far votare al Bundestag i crediti di guerra nel 1914. Forse pensava alla leggenda della “pugnalata alle spalle” che circolò dopo la guerra. Ma non c’è alcuna prova che le differenze di opinione in quanto tali danneggino gli interessi di un Paese, e ancor meno che le misure totalitarie siano giustificate per mantenere un falso consenso, anche se ciò fosse possibile.

 

Ma c’è una buona argomentazione che questo è esattamente ciò che i governi occidentali liberali stanno effettivamente cercando di fare. Consapevoli che la loro ideologia non ha una base solida, consapevoli anche della loro impopolarità interna, i leader occidentali sono chiaramente terrorizzati dall’idea che vengano poste domande alle quali non hanno risposte adeguate, soprattutto per quanto riguarda il loro sostegno al regime di Kiev. Solo questo, a mio avviso, può spiegare i sorprendenti sforzi compiuti per garantire il conformismo ideologico con ogni mezzo possibile. Le opinioni scomode, persino i fatti scomodi, devono essere ignorati perché potrebbero “aiutare Putin”, qualunque cosa significhi. Va detto che se la politica sulla più importante crisi politica dal 1945 è così fragile da non poter resistere a semplici domande o a fatti banali provenienti dal terreno di guerra, allora siamo messi male. E credo che sia proprio questa consapevolezza a spiegare l’isteria difensiva e i disperati tentativi di mantenere il consenso con ogni mezzo possibile. C’è da chiedersi se alcuni leader occidentali abbiano studiato Schmitt all’università.

 

Soprattutto, credo, questi sforzi disperati vengono fatti per convincere il popolo (e forse anche se stessi) che le popolazioni occidentali sono unite nel loro sostegno al regime di Kiev. Ai tempi della Seconda Guerra Mondiale, quando le questioni morali erano più semplici, i governi si preoccupavano comunque di convincere le loro popolazioni della giustificazione morale non solo della guerra stessa, ma anche di chi fossero i nemici e gli amici. Così vennero reclutati registi, tra cui l’americano Frank Capra, per realizzare serie come Why We Fight (Perché combattiamo), progettate per convincere i potenziali esitanti della giustizia della causa. C’erano piani, mai realizzati, per produrre film che esaltassero le virtù di tutte le nazioni alleate, compresi i nostri amici norvegesi, i nostri amici olandesi e i nostri amici relativamente recenti, gli italiani. Al giorno d’oggi, la tecnologia è progredita parecchio e ora si tratta dei Nostri Amici Ucraini e, naturalmente, dei Nostri Nemici Russi, in tutte le diverse forme di media. (I fascisti in Ucraina, invece, è stato ritirato dalla circolazione e i suoi autori sono stati epurati). Ma il problema, naturalmente, è che i russi non sono “nostri” nemici, e non c’è motivo per cui dovrebbero esserlo. Sono i nemici della tendenza liberale globalista, e questo è tutto.

 

In questo senso, e forse contrariamente a quanto avrebbe immaginato Schmitt, l’Ucraina è una “guerra giusta”, combattuta contro un “vero nemico”, così come lo vedono i responsabili. Per molti versi, vincere il conflitto in Ucraina è una questione di sopravvivenza per l’Occidente globalista – quella confusione di Davos, dell’UE, della NATO, del FMI, di gran parte dei media PMC – il cui credo nell’ultima generazione è stato: sempre avanti, sempre fuori, alla ricerca dell’egemonia mondiale per la propria ideologia. Vedere questa ideologia non solo bloccata, come è accaduto con la Cina, ma addirittura sconfitta militarmente, rappresenterà per i responsabili una sfida che probabilmente non saranno in grado di affrontare, intellettualmente e moralmente. Sostenendo un’ideologia universalista che si basa su asserzioni a priori fragili e indimostrabili, incapace di immaginare un mondo in cui sistemi di pensiero diversi coesistano pacificamente, non hanno sostanzialmente nulla su cui fare affidamento. E poiché l’ideologia liberale globalista diventa sempre meno attraente per le stesse popolazioni occidentali, è ragionevole chiedersi se la conseguenza finale di questa stupida avventura non sarà quella di far vacillare i troni degli stessi governanti globalisti. Non sarebbe la prima volta nella storia che un’avventura imperiale si ritorce contro i suoi ideatori.

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L’Occidente sta intensificando la guerra in Ucraina?_DI ARTA MOEINI

https://unherd.com/2023/02/is-the-west-escalating-the-ukraine-war/

L’Occidente sta intensificando la guerra in Ucraina?

A un anno di distanza, non c’è alcun segno di una conclusione

DI ARTA MOEINI

 

È passato appena un giorno dalla richiesta di carri armati tedeschi Leopard-2 da parte dell’Ucraina, quando il governo di Kiev ha chiesto ai Paesi della NATO di dimostrare ancora una volta la loro solidarietà fornendole i caccia F-16 di produzione statunitense. Sebbene gli esperti militari dubitino che questi veicoli modificheranno in modo significativo la situazione sul campo di battaglia, Kiev li pubblicizza come importanti simboli della determinazione politica dell’Occidente.

 

“La guerra è la continuazione della politica con altri mezzi”, scriveva Clausewitz nel 1832. A un anno dalla guerra russo-ucraina, qual è la politica dell’Ucraina? O dell’America, della Germania e degli altri alleati della Nato? I ripetuti appelli dell’Ucraina per un maggiore sostegno e la risposta accomodante dell’Occidente sono un caso di sfruttamento della “pubblicità strategica”, di diplomazia performativa, di solidarietà dell’alleanza o di qualcosa di completamente diverso? Dopotutto, per quanto gli ucraini stiano combattendo contro le forze russe e subendo ingenti perdite per proteggere l’integrità territoriale dello Stato ucraino, oggi la Nato è apertamente impegnata in una guerra per procura che rischia di trasformarsi in un conflitto catastrofico tra Occidente e Russia.

Sebbene il realismo in politica estera possa aiutare a delineare, persino a prevedere, i contorni generali della guerra e a spiegare la politica di Mosca e Kiev, questa posizione realista mainstream, rappresentata da personalità come John Mearsheimer, fornisce un resoconto incompleto del comportamento della maggior parte degli alleati occidentali, soprattutto degli Stati Uniti. Per comprendere il processo decisionale occidentale e le peculiari dinamiche interalleate della Nato, abbiamo bisogno di un realismo più radicale che prenda in seria considerazione le dimensioni non fisiche, psicologiche e “ontologiche” della sicurezza – comprendendo il bisogno di uno Stato o di un’organizzazione di superare l’incertezza stabilendo narrazioni e identità ordinate sul proprio senso di “sé”.

 

Tuttavia, i conti realisti “strutturali” – incentrati sull’anarchia sistemica, la sicurezza fisica, l’equilibrio di potere e le dimensioni politiche della strategia – possono aiutare a spiegare alcuni aspetti del processo decisionale strategico dell’Ucraina. In un recente studio per l’Institute for Peace & Diplomacy, di cui sono coautore, abbiamo analizzato le ragioni strutturali che guidano il calcolo strategico dell’Ucraina. Abbiamo suggerito che, in qualità di “equilibratore regionale”, l’Ucraina ha corso un rischio enorme sfidando le linee guida russe sul rifiuto esplicito da parte di Kiev delle offerte della Nato e sull’interruzione di qualsiasi integrazione militare con l’Occidente. Si trattava di una mossa massimalista che presupponeva il sostegno militare dell’Occidente e rischiava di provocare attivamente Mosca a proprio svantaggio strategico.

 

Scegliendo la strategia più rischiosa, a somma zero, volta a ostacolare la sfera d’influenza storica e geopolitica di una potenza regionale e civile vicina, l’Ucraina è stata forse imprudente, ma non per questo irrazionale. Come abbiamo scritto:

Praticamente tutte le alleanze di sicurezza americane oggi sono accordi asimmetrici tra gli Stati Uniti e gli equilibratori regionali – una classe di Stati regionali più piccoli e periferici che cercano di bilanciarsi con le medie potenze dominanti nelle rispettive regioni. In quanto grande potenza, l’America possiede una capacità intrinseca di invadere altri complessi di sicurezza regionale (RSC). In questo contesto, è ragionevole che gli equilibratori regionali cerchino di attirare e sfruttare il potere americano al servizio dei loro particolari interessi di sicurezza regionale”.

 

Fissare un obiettivo così elevato, tuttavia, significava di fatto che Kiev non avrebbe mai potuto avere successo senza un intervento attivo della NATO che spostasse l’equilibrio di potere a suo favore. In virtù della sua decisione, l’Ucraina, insieme ai suoi partner più stretti in Polonia e nei Paesi baltici, è diventata il classico “alleato di Troia” – Paesi più piccoli il cui desiderio di avere un peso regionale contro la media potenza esistente (la Russia) si basa sulla capacità di persuadere una grande potenza esterna e la sua rete militare globale (in questo caso, gli Stati Uniti e, per estensione, la Nato) a intervenire militarmente a loro favore. Come abbiamo notato nel nostro studio, “questo avviene con grandi rischi per l’equilibratore regionale e con grandi costi per la grande potenza esterna“. Infatti, in ultima analisi, l’accordo dipende dalla “minaccia dell’uso della forza e dell’intervento militare” da parte della grande potenza esterna, senza la quale l’equilibratore regionale fallirebbe.

 

L’ambizione strategica dell’Ucraina è quella di superare la Russia una volta per tutte e di staccarsi dal controllo storico di Mosca. Mettendo da parte le pretestuose e facili giustificazioni russe per l’invasione, che cercano di sbeffeggiare l’intervento militare della NATO in Jugoslavia, è lo schiacciamento di questa più grande ambizione ucraina a motivare il Cremlino. Questo spiega l’annessione della Crimea da parte di Mosca nel 2014, le sue aspirazioni agli accordi di Minsk e il ricorso finale all’azione militare.

 

Una volta iniziata l’invasione russa, l’obiettivo di Kiev di contrastare Mosca e mantenere intatti i propri territori è diventato impossibile senza un intervento militare occidentale. Il futuro dell’Ucraina come Stato sovrano dipendeva dalla sua capacità di organizzare con successo un’escalation. Dal punto di vista dell’Ucraina, quindi, il desiderio di ricevere forniture di armamenti sempre più sofisticati dalle nazioni occidentali più potenti non è motivato principalmente dal loro immediato impatto pratico e tattico – dopo tutto, la consegna e l’addestramento per questi sistemi saranno ancora lontani mesi. No, le richieste ucraine derivano in gran parte da ciò che l’introduzione di queste armi rappresenterebbe dal punto di vista politico e dalle conseguenze geostrategiche a lungo termine per la prossima fase della guerra.

 

È infatti nell’interesse di Kiev indirizzare la NATO verso un maggiore coinvolgimento nella guerra. L’Ucraina ha fatto ricorso a una combinazione di tattiche – tra cui la guerra d’informazione e lo sfruttamento del senso di colpa storico dell’Occidente – per istigare una cascata informativa e reputazionale tra i membri della NATO che assicurerebbe l’adesione alle richieste ucraine. Date le sue evidenti debolezze a lungo termine in termini di truppe di qualità, artiglieria e munizioni, il governo Zelenskyy ha combattuto astutamente una guerra ibrida fin dall’inizio, sapendo che l’Ucraina non può sconfiggere la Russia senza che la Nato combatta al suo fianco. La domanda che ci si pone ora è se l’Occidente debba lasciarsi intrappolare in questa guerra, mettendo a rischio il destino del mondo intero.

 

Secondo la concezione materialista della sicurezza offerta dalla maggior parte dei realisti, l’America e l’Europa occidentale hanno pochi vantaggi, e certamente nessun interesse nazionale o strategico genuino, nel farsi trascinare in quella che è essenzialmente una guerra regionale in Europa orientale che coinvolge due diversi Stati nazionalisti. Da un punto di vista ontologico, tuttavia, un establishment di politica estera anglo-americano che si “identifica” fortemente con l’unipolarismo statunitense ha investito molto nel mantenimento dello status quo, impedendo la formazione di una nuova architettura di sicurezza collettiva in Europa, che sarebbe incentrata su Russia e Germania piuttosto che sugli Stati Uniti. Come ha osservato l’analista geopolitico George Friedman nel 2015: “Per gli Stati Uniti, la paura primordiale è… [l’accoppiamento di] tecnologia e capitale tedeschi, [con] risorse naturali russe [e] manodopera russa“.

 

Forse seguendo una logica simile, l’establishment statunitense ha lavorato per distruggere qualsiasi possibilità di formazione di un asse Berlino-Mosca allineandosi con il blocco Intermarium di Paesi dal Baltico al Mar Nero, opponendosi ripetutamente (e minacciando apertamente) i gasdotti Nord Stream e respingendo deliberatamente l’insistenza russa su un’Ucraina neutrale. In relazione all’Ucraina, l’obiettivo iniziale di un’alleanza ideologica occidentale orientata verso “valori condivisi”, come la Nato è diventata con la dissoluzione dell’URSS, era quello di trasformare il Paese in un albatros occidentale per la Russia, di impantanare Mosca in un pantano esteso per indebolire il suo potere e la sua influenza regionale e persino di incoraggiare un cambio di regime al Cremlino.

Se si accetta la logica di questa strategia, allora sembra plausibile un limitato sostegno militare occidentale agli obiettivi di guerra ucraini – diretto a creare un conflitto conflittuale e congelato. Tuttavia, anche in questo scenario, l’espansione della portata e del grado di tale sostegno fino a includere sistemi d’arma avanzati, come gli F-16 o i missili a lungo raggio, non è solo imprudente, ma sempre più suicida in qualsiasi calcolo costi-benefici. Un sostegno così esplicitamente ostile potrebbe far degenerare la guerra per procura in una guerra diretta e convenzionale – uno scenario da terza guerra mondiale, che il Presidente Biden insiste di voler evitare. Inoltre, nell’improbabile caso che tale assistenza militare espansiva riesca a cacciare le forze russe dal Donbass, per non parlare della Crimea (dove la Russia possiede una grande base navale), aumenterebbe drammaticamente la probabilità di un evento nucleare, dato che Mosca considera la protezione della sua roccaforte strategica nel Mar Nero come un imperativo esistenziale.

 

Perché, allora, l’Occidente continua ad assecondare l’Ucraina e a cedere alle pressioni reputazionali e al braccio di ferro dei nuovi membri della Nato nel corridoio Intermarium? Le cause sono molteplici e vanno dagli interessi privati e istituzionali dell’establishment internazionalista liberale alla diffusione di una visione del mondo manichea all’interno dell’alleanza. Il più importante, tuttavia, è il fenomeno della compulsione di gruppo verso l’escalation aggravata dall’insicurezza ontologica, che si verifica quando eventi storici mondiali improvvisi e tragici come l’invasione russa sconvolgono il senso unitario di ordine e continuità nel mondo.

 

Esacerbata dall’allargamento e dalla trasformazione della NATO in un colosso istituzionale di circa 30 nazioni con percezioni diverse della minaccia e della sicurezza, questa coazione ha plasmato e rafforzato una “identità” unificata tra le nazioni occidentali – una narrazione di noi contro di loro. In una condizione di insicurezza ontologica, le correnti socio-psicologiche ed emotive permettono di creare cascate di reputazione, di imporre il conformismo in nome dell’unità dell’Occidente e di rafforzare la “polarizzazione di gruppo” intorno alla scelta più rischiosa, che garantisce l’adozione di politiche più estreme ed escalatorie. E, cosa fondamentale, gli alleati troiani usano comprensibilmente queste dinamiche per promuovere i loro reali interessi nazionali e di sicurezza all’interno dell’alleanza, dando loro un ruolo molto più importante nel processo decisionale di quanto il loro potere relativo potrebbe far pensare.

 

Un’analisi più attenta del discorso interalleanza all’interno della Nato rivela anche una psicologia attivista che si cela sotto il segnale politico e ideologico. Dato che l’ideologia – in particolare l’umanitarismo e il democratismo liberali – gioca un ruolo chiave nel mantenimento dell’alleanza, il suo processo decisionale è predisposto alla fallacia dell’action bias: l’idea che fare qualcosa sia sempre meglio che non fare nulla. Questa sorta di mentalità reciproca, che si rafforza a vicenda, tra i membri dell’alleanza che professano un'”etica della cura” attivista, interpreta di riflesso la responsabilità come azione, mentre rimprovera l’esitazione e la moderazione come disumane. La dinamica ricorda l’osservazione di Nietzsche ne La nascita della tragedia, secondo cui “l’azione richiede di essere avvolti da un velo di illusione“; in questo caso, il “velo di illusione” è fornito dal processo ontologico di formazione dell’identità e dalle narrazioni condivise di “responsabilità collettiva” e “unità occidentale”.

 

Nel contesto del processo decisionale interalleanza, un’etica di questo tipo non può fare a meno di assecondare le richieste che le vengono rivolte, soprattutto perché i pari più rumorosi possono mascherare questa costrizione con il presunto imperativo morale di promuovere l’unità occidentale, difendere i “nostri valori” e combattere il male reazionario. La ricerca di sicurezza ontologica di una grande potenza globale ed egemonica come gli Stati Uniti mette in primo piano la necessità di un’ideologia che le offra un senso di coerenza, che faccia apparire le sue azioni come significative e giustificate. Lo stesso fenomeno vale per la Nato, che – pur non essendo uno Stato ma un’istituzione – è oggi praticamente un alter-ego degli Stati Uniti.

Ora, questo potrebbe sembrare indicare una tensione intrinseca tra il desiderio di un racconto di ancoraggio su “chi siamo” e la più tradizionale sicurezza materiale che si basa sull’autoconservazione fisica. Ma se questo è vero in alcuni casi, soprattutto in relazione a grandi potenze ideologiche come gli Stati Uniti, la cui auto-narrazione idealistica dell’eccezionalismo americano spesso si scontra con i suoi interessi reali, la ricerca di sicurezza ontologica e fisica è più congruente negli Stati più piccoli e di medio livello, per i quali sia gli interessi che le identità sono più radicati, localizzati e reali.

 

Nell’Anglosfera, forse a causa dell’eredità dell’imperialismo e della realtà storica dell’unipolarismo, esiste attualmente uno scollamento tra gli autentici interessi nazionali, definiti in modo ristretto e concreto, e il comportamento del suo establishment di politica estera liberale e internazionalista, che privilegia la ricerca di una sicurezza ontologica con ramificazioni globali. Questo fatto deve essere rettificato. Fortunatamente, ci sono i primi segni che il Presidente Biden e almeno alcuni dei suoi consiglieri, tra cui il presidente dello Stato Maggiore degli Stati Uniti, Gen. Mark Milley, hanno percepito questa terribile realtà e le sue ricadute potenzialmente pericolose, e stanno iniziando a parlare della necessità di negoziati e di una soluzione diplomatica in Ucraina.

 

All’inizio del secondo anno di guerra, molti a Washington si sono finalmente resi conto che l’esito probabile di questa tragedia è lo stallo: “Continueremo a cercare di convincere [la leadership ucraina] che non possiamo fare tutto e niente per sempre“, ha dichiarato questa settimana un alto funzionario dell’amministrazione Biden. Per quanto si parli di agenzia ucraina, questa dipende interamente dall’impegno della NATO a continuare a sostenere lo sforzo bellico di Kiev a tempo indeterminato. Un desiderio così massimalista di “vittoria completa” non solo è altamente distruttivo e fa pensare a un’altra guerra infinita, ma è anche imprudente; il suo stesso successo potrebbe scatenare un olocausto nucleare.

 

Mosca ha già pagato a caro prezzo le sue trasgressioni in Ucraina. Prolungare la guerra a questo punto, in una ricerca ideologica di vittoria totale, è discutibile sia dal punto di vista strategico che morale. Per molti internazionalisti liberali in Occidente, la richiesta di una “pace giusta” che sia sufficientemente punitiva per la Russia suggerisce poco più di un desiderio poco velato di imporre a Mosca una pace cartaginese. L’Occidente ha effettivamente ferito la Russia; ora deve decidere se lasciare che questa ferita si incancrenisca e faccia esplodere il mondo intero. Infatti, a meno che a Mosca non venga fornita una ragionevole via d’uscita che riconosca lo status della Russia come potenza regionale con i propri imperativi esistenziali di sicurezza strategica e ontologica, questo è il precipizio verso cui ci stiamo dirigendo.

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E’ LA VALMY ASIATICA. LA CINA SI FA PORTAVOCE DI DUE TERZI DEL MONDO, di Antonio de Martini

E’ LA VALMY ASIATICA. LA CINA SI FA PORTAVOCE DI DUE TERZI DEL MONDO: DALLA RUSSIA ALL’INDIA, DALL’AZERBAJAN ALLO YEMEN.

Nel ventesimo anniversario dell’attacco all’Irak, Il Presidente cinese XI Jinping ha piazzato tre “ banderillas” sul dorso del toro americano distratto dal panno rosso: la ripresa delle relazioni diplomatiche tra Iran e Arabia Saudita, la visita di Stato a Mosca ad onta del “ mandato d’arresto” CPI a Putin e la visita in Cina dell’ex presidente di Taiwan.

A conclusione, la ciliegina sulla torta : “ Nessun paese può dettare l’ordine mondiale,” vecchio o nuovo che sia. Non si poteva dir meglio.

L’annuncio della ripresa dei rapporti diplomatici tra sauditi e iraniani con la mediazione cinese, mi ha ricordato la battaglia di Valmy contro la prima coalizione.

Non successe praticamente nulla, cannoneggiamenti lontani, una scaramuccia con quattrocento morti, ma gli storici l’hanno identificata come il momento in cui la rivoluzione francese fece il suo ingresso in Europa.

Il compromesso Iran-Arabia ha identica valenza. Ha dato diritto di cittadinanza alla politica di rifiuto dell’uso della forza, alla scelta indiana della neutralità e rivitalizzato i paesi non allineati a partire dall’Azerbaijan ultima recluta. La prossima tentazione potrebbe averla la Turchia.

Con questa mossa. La Cina é comparsa sul palcoscenico del mondo mediorientale come autorevole arbitro imparziale, partner affidabile e patrono dell’idea di sicurezza collettiva. Non c’é stato bisogno di sconfessare le politiche dei vari KerryBushObamaClintonTrumpBiden. A ricordarli, é rimasto solo Netanyahu, sconfessato dall’ex capo del Mossad Efraim Halevy ( su Haaretz) che propone un appeasement con l’Iran con toni che riecheggiano Kissinger.

Con la visita a Mosca XI Jinping ha delegittimato la pagliacciata della Camera Penale Internazionale, ormai specializzatasi nei mandati di arresto a carico dei nemici degli Stati Uniti ( Hissen Habré, Gheddafi, Milosevic, ) e gestita da un mercante di cavalli pakistano tipo Mahboub Ali.

Poi, con la prossima visita di dieci giorni dell’ex presidente di TaiwanMa Ying Jeou, ha mostrato di non aver bisogno di dar voce al cannone per affermare la consustanziazione tra l’isola e il continente e di considerare superato l’uso della forza in politica estera, inutile l’accerchiamento dell’AUKUS nel Pacifico, assennando con questo un colpo contemporaneo anche alla mania russa di imitare servilmente gli americani anche – e sopratutto- nei difetti.

Da giovedì, Putin dovrà scegliere tra l’accettazione dei dodici punti del piano di pace cinese e l’isolamento internazionale. La strategia sarà però quella cinese che considera la guerra uno strumento obsoleto e non la brutalità cosacca vista finora.

Come potrà l’ONU rifiutare il ruolo di sede arbitrale del mondo che la Cina gli offre senza squalificarsi definitivamente ? I paesi del Vicino e Medio Oriente, dopo i pesantissimi tributi di sangue pagati per decenni, sono ormai tutti consapevoli e convinti della inutilità delle guerre – dirette come con lo Yemen o per procura come con la Siria- e della cruda realtà delle rapine fatte a turno a ciascuno di loro:Iran, Irak, Libia, Siria, con la violenza e agli altri paesi dell’area con forniture , spesso inutili, a prezzi stratosferici: Katar, Arabia Saudita, o col selvaggio impadronirsi di risorse minerarie come col Sudan e la Somalia.

Certo, senza il conflitto in atto che ha predisposto alcuni schieramenti ( specie africani) e senza la capacità di mobilitazione di quindici milioni di uomini, la voce della Cina non risuonerebbe alta come rischia di accadere, ma anche con questo accorgimento, assieme alla discrezione assoluta di cui hanno goduto i colloqui di Pechino, l’effetto sarebbe minore, ma ugualmente evocativo in un mondo che non sente il bisogno di una dittatura a matrice primitiva.

Ora Biden, tra un peto e l’altro, dovrà decidersi a leggere i dodici punti di XI e smettere di litigare con Trump sul costo di una puttana, oppure affrontare il mondo intero col sostegno di Sunak e Meloni.

https://corrieredellacollera.com/2023/03/20/e-la-valmy-asiatica-la-cina-si-fa-portavoce-di-due-terzi-del-mondo-dalla-russia-allindia-dallazerbajan-allo-yemen/#like-35733

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Il Washington Post ha finalmente raccontato tutta la verità, di Andrew Korybko

Il Washington Post ha finalmente raccontato tutta la verità su come le forze di Kiev se la stanno cavando male

Andrew Korybko
14 marzo

È comprensibile che l’occidentale medio sia sotto shock dopo aver letto l’ultimo rapporto del Washington Post sul conflitto ucraino. La verità è che il loro blocco di fatto della Nuova Guerra Fredda è sul punto di perdere malamente, a meno che non compiano un miracolo militare con la loro imminente controffensiva, che alcuni a Kiev temono sia destinata a essere solo un massacro suicida. Le loro truppe sono inesperte, poco addestrate e in alcuni casi letteralmente disarmate nella loro lotta contro la Russia.

L’evoluzione della “narrazione ufficiale” dell’Occidente sul conflitto ucraino, iniziata due mesi fa, ha appena raggiunto il suo culmine con il Washington Post (WaPo) che ha finalmente detto a tutti la piena verità su quanto male stiano facendo le forze di Kiev. Nell’articolo intitolato “Ukraine short of skilled troops and munitions as losses, pessimism grow” (L’Ucraina è a corto di truppe qualificate e di munizioni, mentre crescono le perdite e il pessimismo), questo risultato è stato raggiunto grazie a una combinazione di fonti ucraine e statunitensi senza nome, nonché a un coraggioso tenente colonnello che ha permesso che il suo nome di battaglia Kupol fosse incluso nel rapporto.

Prima di procedere, i lettori che non hanno seguito da vicino la guerra per procura tra NATO e Russia sono pregati di scorrere almeno le seguenti analisi per essere aggiornati sulle ultime dinamiche strategico-militari che collocano l’inatteso rapporto del WaPo nel suo giusto contesto:

* 26 giugno: “Il New York Times ha inavvertitamente rivelato l’entità qualitativa delle perdite di Kiev”.

* 8 gennaio: “Alti funzionari ucraini ed ex funzionari USA sono in preda al panico per il fatto che 100 miliardi di dollari di aiuti non sono abbastanza”.

* 13 gennaio: “Cinque ragioni per cui la liberazione di Soledar è così significativa”.

* 21 gennaio: “Il presidente dello Stato Maggiore ha appena ammesso che Kiev non può sconfiggere la Russia”.

* 14 febbraio: “L’autodichiarazione della NATO sulla ‘corsa alla logistica’ conferma la crisi militare-industriale del blocco”.

In breve, la parziale mobilitazione di riservisti esperti da parte della Russia e il suo robusto complesso militare-industriale hanno permesso a questa Grande Potenza multipolare di tenere testa in modo impressionante alla forza combattente completamente sostenuta dalla NATO, ma fronteggiata dall’Ucraina, per tutto questo tempo, il che dimostra la sua resilienza duratura.

Il lettore dovrebbe anche essere a conoscenza di due recenti rapporti della CNN e di Politico sulla spaccatura tra gli Stati Uniti e Kiev sull’importanza di Artyomovsk/”Bakhmut”, che i primi ritengono strategicamente insignificante, mentre i secondi temono che la Russia possa attraversare il resto del Donbass se viene catturato:

* 7 marzo: “Esclusivo: Zelensky avverte di una “strada aperta” attraverso l’est dell’Ucraina se la Russia cattura Bakhmut, mentre resiste alle richieste di ritirarsi”.

* 12 marzo: “Piccole fessure”: L’unità di guerra tra Stati Uniti e Ucraina si sta lentamente sgretolando”.

L’ultimo rapporto del WaPo conferma le precedenti osservazioni condivise dai membri della comunità Alt-Media (AMC), secondo cui è la Russia che sta logorando le forze di Kiev nel tritacarne di Artyomovsk/Bakhmut, e non l’inverso, come i media mainstream (MSM) hanno falsamente insistito finora.

Dopo aver informato il lettore del contesto corretto in cui interpretare il rapporto del WaPo, il resto del presente pezzo metterà in evidenza i dettagli più dannosi nell’ordine in cui sono stati condivisi. Si tratterà di semplici riassunti di una sola frase seguiti dall’estratto pertinente a sostegno di quanto detto. Dopo aver dimostrato quanto le forze di Kiev siano in difficoltà, come dimostrano i dettagli appena condivisi dalle fonti del WaPo, l’analisi si concluderà con alcune riflessioni finali sull’argomento.

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* Kiev dubita tranquillamente che la sua tanto sbandierata controffensiva avrà successo

– “La qualità delle forze militari ucraine, un tempo considerate un vantaggio sostanziale rispetto alla Russia, è stata degradata da un anno di perdite che hanno portato molti dei combattenti più esperti fuori dal campo di battaglia, portando alcuni funzionari ucraini a mettere in dubbio la prontezza di Kiev nell’organizzare la tanto attesa offensiva di primavera”.

* L’Occidente stima che le perdite dell’Ucraina siano quasi 10 volte superiori a quelle dichiarate da Kiev

– “Funzionari statunitensi ed europei hanno stimato che ben 120.000 soldati ucraini sono stati uccisi o feriti dall’inizio dell’invasione russa all’inizio dello scorso anno… Il generale Valery Zaluzhny, comandante in capo dell’Ucraina, ha detto in agosto che quasi 9.000 dei suoi soldati erano morti. A dicembre, Mykhailo Podolyak, un consigliere di Zelensky, ha detto che il numero era salito a 13.000”.

* Le Forze Armate Ucraine (UAF) sono più deboli sotto tutti i punti di vista di quanto non lo siano mai state prima.

– “Statistiche a parte, l’afflusso di reclute inesperte, portate per tamponare le perdite, ha cambiato il profilo delle forze ucraine, che soffrono anche di una carenza di base di munizioni, compresi i proiettili di artiglieria e le bombe da mortaio, secondo il personale militare sul campo”.

* Tutti i veterani sono già stati uccisi o feriti e sono rimaste solo le reclute inesperte.

– Un soldato che è sopravvissuto a sei mesi di combattimento e un soldato che viene da un poligono di tiro sono due soldati diversi. È il cielo e la terra. E ci sono solo pochi soldati con esperienza di combattimento”, ha aggiunto Kupol. Purtroppo sono già tutti morti o feriti”.

* Kiev continuerà a lanciare la sua controffensiva nonostante i timori che le sue truppe vengano massacrate.

– “Si crede sempre in un miracolo”, ha detto [Kupol]. O ci sarà un massacro e dei cadaveri o sarà una controffensiva professionale. Ci sono due opzioni. In ogni caso ci sarà una controffensiva”.

* La coalizione di carri armati della NATO è puramente simbolica e non cambierà nulla

– “Un alto funzionario del governo ucraino, che ha parlato a condizione di anonimato per essere sincero, ha definito il numero di carri armati promessi dall’Occidente una quantità “simbolica””.

* Anche gli alti funzionari ucraini sanno che la prossima controffensiva è suicida

– “Non abbiamo né le persone né le armi”, ha aggiunto l’alto funzionario. E conoscete il rapporto: Quando sei all’offensiva, perdi il doppio o il triplo delle persone. Non possiamo permetterci di perdere così tante persone”.

* Le ultime reclute di Kiev scappano dai russi perché non sanno letteralmente come combattere

– Kupol, che ha acconsentito a farsi fotografare e ha detto di aver capito che avrebbe potuto subire un contraccolpo personale per aver dato una valutazione franca, ha descritto di essere andato in battaglia con soldati appena arruolati che non avevano mai lanciato una granata, che abbandonavano prontamente le loro posizioni sotto il fuoco e che non avevano fiducia nel maneggiare le armi da fuoco”.

* Oltre 100 miliardi di dollari di aiuti non sono stati sufficienti per addestrare ed equipaggiare adeguatamente l’UAF.

– “Abbiamo bisogno di istruttori NATO in tutti i nostri centri di addestramento, e i nostri istruttori devono essere mandati laggiù nelle trincee. Perché hanno fallito nel loro compito”. [Kupol] ha descritto gravi carenze di munizioni, tra cui la mancanza di bombe da mortaio semplici e granate per gli MK 19 di fabbricazione statunitense”.

* I funzionari ucraini sono in overdose di copium invece di implementare con urgenza soluzioni sistemiche

– “Siete in prima linea”, ha detto Kupol. Vengono verso di te e non c’è niente con cui sparare”. Kupol ha detto che Kiev deve concentrarsi su una migliore preparazione delle nuove truppe in modo sistematico. È come se tutto ciò che facciamo fosse rilasciare interviste e dire alla gente che abbiamo già vinto, solo un po’ più lontano, due settimane, e vinceremo”, ha detto.”

* Le nuove reclute perdono la calma in trincea a causa dei bombardamenti incessanti della Russia

– “I bombardamenti sono così intensi a volte, [Dmytro, un soldato ucraino che il Post identifica solo con il nome di battesimo per motivi di sicurezza,] ha detto, che un soldato ha un attacco di panico, e poi ‘gli altri lo prendono’. La prima volta che ha visto i suoi commilitoni molto scossi, ha detto Dmytro, ha cercato di convincerli della realtà dei rischi. La volta successiva, ha detto, “sono scappati dalla posizione”. Non li biasimo”, ha detto. Erano così confusi”.

* Kiev nasconde all’Occidente il conteggio delle vittime per paura che glielo taglino per la sconfitta

– “Un funzionario tedesco, che ha parlato a condizione di anonimato per essere sincero, ha detto che Berlino stima che le vittime ucraine, compresi i morti e i feriti, siano fino a 120.000. Non condividono le informazioni con noi perché non si fidano di noi”, ha detto il funzionario”.

* Il comandante delle forze di terra ucraine ammette che le reclute russe sono meglio addestrate delle sue.

– “Nonostante le notizie di combattenti russi mobilitati e non addestrati che vengono lanciati in battaglia, (il col. gen. Oleksandr) Syrsky, (comandante delle forze di terra dell’Ucraina) ha detto che quelli che stanno arrivando sono ben preparati. Dobbiamo vivere e combattere in queste realtà”, ha detto. Certo, è problematico per noi”.

* Kiev ha rifiutato il consiglio degli Stati Uniti e ha continuato a gettare migliaia di persone nel tritacarne di Artyomovsk/”Bakhmut”.

– “Date le pesanti perdite che l’Ucraina sta subendo [a Bakhmut], i funzionari di Washington hanno messo in dubbio il rifiuto di Kiev di ritirarsi. Gli Stati Uniti hanno consigliato all’Ucraina di ritirarsi dalla città almeno da gennaio, ha detto il funzionario statunitense”.

* Molti degli ufficiali ucraini addestrati dagli USA negli ultimi nove anni sono già stati uccisi

– “L’Ucraina ha perso molti dei suoi ufficiali minori che hanno ricevuto l’addestramento degli Stati Uniti negli ultimi nove anni, erodendo un corpo di leader che ha contribuito a distinguere gli ucraini dai loro nemici russi all’inizio dell’invasione, ha detto il funzionario ucraino. Ora, ha detto il funzionario, queste forze devono essere sostituite. Molti di loro sono stati uccisi”, ha detto il funzionario.

* I volontari ucraini si sono volatilizzati e ora sono solo i reclutati forzati a combattere

– “All’inizio dell’invasione, gli ucraini si sono precipitati a offrirsi volontari per il servizio militare, ma ora gli uomini di tutto il Paese che non si sono arruolati hanno cominciato a temere di vedersi consegnare per strada le liste di leva. Il servizio di sicurezza interno ucraino ha recentemente chiuso gli account Telegram che aiutavano gli ucraini a evitare i luoghi in cui le autorità distribuivano le convocazioni”.

* I funzionari del Pentagono stanno già ridimensionando le aspettative sulla portata della controffensiva di Kiev.

– “Anche con nuovi equipaggiamenti e addestramento, i funzionari militari statunitensi considerano le forze ucraine insufficienti per attaccare lungo tutto il gigantesco fronte, dove la Russia ha eretto difese sostanziali, quindi le truppe vengono addestrate a sondare i punti deboli che consentono loro di sfondare con carri armati e veicoli blindati”.

* La guerra per procura sarà probabilmente persa a meno che Kiev non sferri un colpo da ko contro la Russia molto presto.

-I funzionari statunitensi hanno dichiarato di aspettarsi che l’offensiva ucraina inizi a fine aprile o all’inizio di maggio e sono consapevoli dell’urgenza di rifornire Kiev, perché una guerra prolungata potrebbe favorire la Russia, che ha più persone, denaro e produzione di armi”.

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È comprensibile che l’occidentale medio sia sotto shock dopo aver letto il riassunto dell’ultimo rapporto del WaPo sul conflitto ucraino. La verità è che il loro blocco di fatto della Nuova Guerra Fredda è sul punto di perdere malamente, a meno che non compiano un miracolo militare con la loro imminente controffensiva, che alcuni a Kiev temono sia destinata a essere solo un massacro suicida. Le loro truppe sono inesperte, poco addestrate e in alcuni casi letteralmente disarmate nella loro lotta contro la Russia.

Le dinamiche strategico-militari sono chiaramente a favore di Mosca almeno dall’inizio di gennaio, quando sono diventate evidenti con la liberazione di Soledar, ma quest’ultimo sviluppo è stato ovviamente reso possibile, col senno di poi, dai suoi successi logistici e di addestramento dietro le linee del fronte. Al contrario, la situazione sul lato di Kiev di quelle stesse linee è stata assolutamente disastrosa, come dimostrato dall’ultimo rapporto del WaPo, ma l’opinione pubblica è stata privata di questi fatti e invece alimentata con un copione senza fine.

Tutto potrebbe svelarsi rapidamente se la Russia facesse un passo avanti intorno ad Aryomovsk/”Bakhmut” nel prossimo futuro e/o se la controffensiva di Kiev finisse per fallire ancora di più di quanto si aspettino alcuni dei suoi stessi schieramenti. Questo spiega il vero motivo per cui il WaPo ha pubblicato il suo rapporto sorprendentemente veritiero, informando tutti su come i proxy dell’Occidente stiano andando male, al fine di precondizionare il pubblico per una serie di cattive notizie, in modo da non essere completamente colti di sorpresa da esse.

https://korybko.substack.com/p/the-washington-post-finally-told

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Ucraina, il conflitto 30a puntata. Stessi scenari, nuove star Con Max Bonelli e Stefano Orsi

Non sempre le avanzate clamorose corrispondono a successi duraturi. Quasi sempre il clamore della narrazione insistente nasconde una realtà opposta. La guerra, nella sua tragedia e nella sua energia distruttiva, specie quando contiene le caratteristiche di un conflitto civile, può diventare l’evento in grado di piegare ed annichilire un popolo, quanto di forgiare una nuova classe dirigente. Nel conflitto ucraino stiamo assistendo ad entrambe le dinamiche. Non sono solo i popoli ucraino e russo a sperimentarne le conseguenze, ma tutti gli attori partecipi. Un nuovo mondo sta sorgendo, ma non tutti potranno godere della nuova luce. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Il futuro economico della Russia – Semiconduttori, armi e altro ancora, di Simplicius The Thinker

Il futuro economico della Russia – Semiconduttori, armi e altro ancora
Si dice che la Russia dipenda dall’Occidente, ma… in realtà è il contrario? Svelata la verità che apre gli occhi.

https://simplicius76.substack.com/p/russias-economic-future-semiconductors

Il pensatore Simplicius
3 febbraio
Di recente è stato versato molto inchiostro sul futuro economico della Russia in relazione alle “sanzioni paralizzanti” emanate dalle odiose potenze atlantiche occidentali. La sfera filo-ucraina/imperialista occidentale è in fermento per la presunta distruzione del potenziale economico e manifatturiero della Russia, in particolare in alcune industrie critiche come quella dei semiconduttori e delle armi, senza le quali la campagna militare russa sarebbe in pericolo.

Ma diamo un’occhiata ad alcune recenti rivelazioni che dipingono un quadro piuttosto contrario a quello che ci è stato detto.

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Innanzitutto, una breve contestualizzazione per rinfrescarci la memoria su quanto è accaduto nell’ultimo anno dall’inizio dell’OMT. Sappiamo già che il Rublo è stato dichiarato da tempo la valuta più forte del 2022, grazie alla sua spettacolare ascesa non solo dopo il breve shock subito all’inizio, ma anche per il modo in cui ha superato i livelli precedenti all’OMT.

Sappiamo anche che la Russia stava rastrellando una cifra assolutamente sbalorditiva e senza precedenti di 20 miliardi di dollari AL MESE in vendite di petrolio, con conseguente enorme crescita delle riserve di valuta estera.

L’Occidente, infatti, gongolava mentre “sequestrava” la metà di queste riserve valutarie, oltre 300 miliardi di dollari. Molti nella sfera della resistenza si sono scagliati contro la mancanza di lungimiranza del Cremlino e della tanto criticata banca centrale russa. Tuttavia, un fatto poco noto e poco discusso è che la Russia ha sequestrato a sua volta un equivalente di 300 miliardi di dollari di beni occidentali. La maggior parte di questi non erano Forex, ma piuttosto beni aziendali delle varie megacorporazioni occidentali che operano in Russia.

Per esempio, pochi hanno preso nota di questo commento molto trascurato di Dmitry Medvedev:

È vero: se ricordate, la Russia ha sequestrato molti jet Boeing che erano stati noleggiati alle sue compagnie aeree.

Finora sono stati recuperati solo 24 dei 500 jet che la Russia aveva trattenuto, e il resto aveva un valore di oltre 10 miliardi di dollari. (e i numeri sono incerti, considerando che 470+ jet del valore di oltre 80 milioni di dollari ciascuno dovrebbero essere un totale di circa 40 miliardi di dollari, non i “10 miliardi di dollari” che sostengono, a meno che quei jet non costino solo 22 milioni di dollari l’uno, il che è dubbio, ma li assecondiamo).

Un insider del settore ha dichiarato a Bloomberg che le società di leasing straniere hanno ripreso possesso solo di circa 24 degli oltre 500 aerei noleggiati ai vettori russi. Gli aerei rimanenti avrebbero un valore di circa 10,3 miliardi di dollari (14,1 miliardi di dollari australiani).

Inizialmente si temeva che la Russia non avesse i pezzi di ricambio per la manutenzione di questi jet e che quindi sarebbe stata messa sotto scacco dall’Occidente, ma in realtà è stato poi confermato che la Russia è riuscita ad acquisire una pipeline di ricambi attraverso l’India e la Cina. E questa è solo una delle tante imprese che la Russia ha rilevato. L’elenco è lungo, ad esempio, di importanti compagnie petrolifere occidentali, del valore di decine di miliardi, che sono fuggite lasciando le loro lucrose attività nelle mani dei russi. E queste sono solo alcune delle cose a cui Medvedev si riferisce quando dice che anche la Russia ha sequestrato beni equivalenti per un valore di 300 miliardi di dollari.

Ma anche questo settore è stato un fallimento occidentale sotto altri aspetti. Abbiamo visto che solo una minima parte delle aziende che hanno minacciato di andarsene e quindi di “schiacciare” l’economia russa ha effettivamente fatto i conti con la realtà. Solo 120 aziende su 1.405 hanno finito per andarsene, e la maggior parte di questo numero trascurabile proveniva comunque dagli Stati Uniti.

Infatti, con un annuncio estremamente ironico, è stato reso noto che l’economia russa non solo è destinata a crescere anziché contrarsi negli anni a venire, secondo il Fondo Monetario Internazionale, ma il suo tasso di crescita è destinato a superare quello degli Stati Uniti e del Regno Unito.

E tutto ciò proviene da fonti economiche occidentali. Doh!

Come si può vedere in questo grafico, il FMI prevede ora che l’economia russa cresca nel 2023 anziché contrarsi (come previsto in precedenza), e per il 2024 prevede una crescita del PIL del 2,1%. Potrebbe sembrare poco, se non si guarda alle previsioni per i principali Paesi occidentali: 1,0% per gli Stati Uniti, 1,6% per l’intera area dell’euro con Germania all’1,4%, Francia all’1,6%, Italia e Regno Unito allo 0,9%, ecc. Ciò è in contrasto con la tipica propaganda di basso sforzo diffusa dai russofobi nella twitter-sfera e altrove.

Passiamo ora alla sostanza. Molti discorsi ruotano intorno al tema critico delle capacità russe di semiconduttori, una delle principali debolezze classiche dell’economia e delle capacità russe in generale. Anche qui ci sono notizie ottimistiche.

Questo grafico mostra che le forniture russe di semiconduttori e circuiti integrati dai principali Paesi occidentali sono prevedibilmente diminuite nel 2022 rispetto al 2021. Tuttavia, è promettente che le forniture dalle principali economie orientali siano aumentate in modo esponenziale. Se assumiamo che le cifre a sinistra rappresentino “milioni”, la Cina ha aumentato le sue forniture di microcircuiti alla Russia da 400 milioni di dollari nel 2021 a quasi 950 milioni di dollari. La Malesia è aumentata di 20-30 milioni di dollari e persino la Turchia è venuta in soccorso, incrementando il proprio sostegno da 0 a ben 150 milioni di dollari.

L’aspetto fondamentale è che la perdita netta di forniture dall’Occidente sembra aggirarsi intorno ai 500 milioni di dollari. Ma il guadagno netto in termini di sostituzione del prodotto da parte dell’Est è di oltre 700 milioni di dollari. Quindi, non solo la Russia ha completamente annullato le perdite di semiconduttori dovute alle sanzioni e ha completato con successo la sostituzione delle importazioni, ma ha addirittura guadagnato un aumento considerevole, che probabilmente corrisponde alla domanda notevolmente accelerata di semiconduttori/circuiti alla luce dell’aumento della produzione nell’industria della difesa russa per l’SMO.

Ma non credetemi sulla parola, ecco un articolo di un vero capo economista ed esperto di sanzioni russe presso vari think-tank/istituti globalisti. Ha ottenuto più o meno gli stessi numeri, ed ecco il suo grafico:

Come si può vedere, l’importazione di circuiti da parte della Russia è quasi raddoppiata nel 2022. Ciò significa che le sanzioni non solo sono un completo fallimento e non hanno avuto come risultato nemmeno quello di ostacolare le capacità russe, ma in realtà hanno fatto un enorme favore alla Russia, dandole l’impulso e l’incentivo a riorientare completamente la sua catena di approvvigionamento di tecnologie per infrastrutture critiche verso i partner molto più affidabili dell’Est. Inoltre, la Cina stessa ha annunciato nuovi investimenti massicci in impianti di produzione di chip e in capacità generali di semiconduttori, in risposta alle recenti sanzioni e alle aggressioni generali degli Stati Uniti contro i chip e la tecnologia cinese.

Ciò significa che la Cina sarà presto una potenza ancora maggiore in questo settore, in grado di fornire alla Russia tutto ciò di cui ha bisogno per il futuro. Naturalmente, anche la Russia sta cercando di rilanciare la propria industria dei semiconduttori e sono stati fatti dei passi avanti, anche se non c’è ancora nulla di eclatante. Ma ha firmato nuove iniziative, come la seguente:

Il governo russo ha elaborato un piano preliminare per affrontare il problema. Si tratta di investire circa 3,19 trilioni di rubli (38,3 miliardi di dollari) nello sviluppo dell’industria microelettronica locale. Il denaro sarà destinato a quattro aree principali: lo sviluppo di tecnologie locali di produzione di semiconduttori, lo sviluppo di chip nazionali, la commercializzazione di tali chip e la formazione di talenti locali.

Ad oggi, la Russia è in ritardo di oltre 15 anni rispetto ai leader occidentali nella progettazione di semiconduttori. Ciò significa che la dimensione dei transistor che il gruppo russo Mikron, leader del settore, è attualmente in grado di produrre sui propri chip (65 nm) è all’incirca equivalente a quanto faceva Intel nel 2006. Gli attuali chip di Intel sono su scala 5nm e 3nm. Detto questo, il problema non è così grave come potrebbe sembrare, almeno non per le applicazioni militari. Certo, per l’elettronica di consumo prodotta su larga scala si tratta di una differenza enorme. Ma la maggior parte degli attuali armamenti utilizza ancora circuiti vecchi di decenni. Dopo tutto, gli Stati Uniti hanno ancora in magazzino molti Tomahawk e altri missili prodotti molti anni fa, con circuiti che potrebbero risalire agli anni ’90 o 2000, la maggior parte dei carri armati e i loro sistemi elettronici di controllo del fuoco sono stati prodotti negli anni ’80 e ’90, con la relativa tecnologia, ecc. Per questi scopi di navigazione e tracciamento di base, i circuiti di quell’epoca possono ancora essere più che “sufficienti”. Non sono necessari chip super avanzati da 5 nm per eseguire la mappatura di base del terreno e il tracciamento GPS, ecc. Tuttavia, quando si tratta di capacità di intelligenza artificiale, che sta diventando sempre più importante, è necessaria una potenza di calcolo grezza, e chi ha la potenza necessaria avrà sistemi molto più “intelligenti” e capaci in questo senso.

E le cose non vanno così bene come sembrano per gli Stati Uniti e l’Occidente su questo fronte. Per esempio, c’è la realtà ignorata che è in realtà l’Occidente e il suo potenziale militare-industriale a dipendere pericolosamente dalla Russia/Cina, piuttosto che il molto più spesso discusso contrario.

Questo articolo descrive come i produttori di armi occidentali non solo dipendano fortemente dalle materie prime russe, senza le quali non possono produrre polvere da sparo e molti altri sistemi d’arma, ma anche dalle reti ferroviarie russo-ucraine che trasportano gli ancor più essenziali minerali cinesi in Europa:

Un bell’inconveniente per chi ha blaterato di molte piccole parti e circuiti occidentali trovati nelle armi russe sequestrate in Ucraina, ignorando però selettivamente l’impossibilità di produrre quelle stesse parti senza le materie prime russe.

La Cina fornisce oltre il 90% degli elementi di terre rare utilizzati in Europa e gli ultimi dati dell’UE mostrano che le linee ferroviarie russe rimangono una trafficata via di navigazione e una tappa fondamentale dell’iniziativa “Belt and Road” di Pechino.

E questo articolo sottolinea come l’Ucraina abbia uno dei più grandi depositi di titanio al mondo, un metallo assolutamente essenziale per tutti i più avanzati sistemi d’arma del mondo.

Se l’Ucraina vincerà, gli Stati Uniti e i loro alleati si troveranno in pole position per coltivare un nuovo canale di approvvigionamento di titanio. Ma se la Russia riuscirà a impadronirsi dei giacimenti e degli impianti del Paese, Mosca aumenterà la sua influenza globale su una risorsa sempre più strategica.

E indovinate un po’? Non solo Cina e Russia sono tra i primi 3 produttori di titanio:

Ma la maggior parte degli enormi giacimenti di titanio (e di altri metalli di terre rare) in Ucraina, per i quali l’Occidente è così entusiasta, si trovano nelle regioni del Donbass e della “Novorossiya”:

Che corrispondono abbastanza bene al territorio che la Russia probabilmente annetterà:

Newsweek: “Un bene vitale”
Il Dipartimento degli Interni ha classificato il titanio come una delle 35 materie prime minerali vitali per la sicurezza economica e nazionale degli Stati Uniti. Ma gli Stati Uniti importano ancora più del 90% del loro minerale di ferro, e non tutti da nazioni amiche.

Come si vede, l’Occidente, come al solito, proietta le proprie inadeguatezze: non è la Russia ad averne bisogno e a naufragare sotto il peso delle sanzioni dell’Occidente, ma l’Occidente senza risorse, terrorizzato di perdere la presa su risorse vitali per la propria sopravvivenza di fronte alla nascente nascita di un nuovo mondo multipolare guidato da Russia e Cina.

Gli Stati Uniti non detengono più la spugna di titanio nel loro National Defense Stockpile e l’ultimo produttore nazionale di spugna di titanio ha chiuso i battenti nel 2020.

L’Ucraina è uno dei soli sette Paesi produttori di spugna di titanio, la base del titanio metallico. Cina e Russia, i principali rivali strategici dell’America, fanno parte di questo gruppo selezionato.

“La militarizzazione delle risorse energetiche da parte di Mosca ha fatto temere a Washington e ad altre capitali della NATO che il Cremlino possa un giorno congelare anche le esportazioni di titanio, mettendo in difficoltà le aziende del settore aerospaziale e della difesa.

Il gigante aerospaziale Boeing mantiene la sua joint venture con la russa VSMPO-Avisma – il più grande esportatore di titanio al mondo – anche se ha congelato gli ordini dopo l’invasione. Altri, come l’azienda europea di aerei commerciali Airbus, continuano a rifornirsi di titanio dalla VSMPO”.

Consiglio di leggere il resto dell’articolo di Newsweek. Apre gli occhi sulla disperazione degli Stati Uniti nel voler strappare segretamente alla Russia il controllo dei metalli rari ucraini di importanza cruciale e su come le industrie americane di armi e aerospaziali sarebbero devastate se la Russia le privasse di questi metalli chiave. Gli Stati Uniti sopravvalutano la presunta “dipendenza” della Russia dall’Occidente per le industrie chiave, al fine di nascondere in modo insincero la propria disperata dipendenza dai metalli, dal petrolio, dal gas, dall’energia, dal legname e da tutto il resto della Russia.

Vorrei soffermarmi ancora di più sugli aspetti specifici della produzione di armi: quali sono le vere scorte e le capacità della Russia di produrre granate, munizioni e missili guidati? Ma possiamo lasciare questa discussione per la seconda parte. Ma, come sempre, assicuratevi di abbonarvi per ricevere la notifica delle parti successive.

Sentitevi liberi di lasciare commenti, domande e critiche/suggerimenti qui sotto. E restate sintonizzati sulla seconda parte della serie Coming Offensive, che probabilmente sarà la prossima.

IL POPOLO DEI LUPI (cap.1 e 2), di Daniele Lanza

IL POPOLO DEI LUPI (cap.1)
(note storiche sparse tra Moldavia, Valacchia e Transilvania, dagli albori alla contemporaneità / ripub. 2018*)
Può avere vent’anni come quaranta…forse non ha mai avuto un’età. Inebetito, steso contro un tronco che stancamente si specchia nei flutti del grande fiume. Al suo passaggio gli elementi si tingono di rosso : terra e acqua sono uniformate in flusso scarlatto…..persino l’aria attorno a lui sembra percorsa da chiazze del medesimo riflesso. Prima che il sole cali la vita se ne sarà andata.
Si chiama Sudogvast ? o Vädusan ? altro ancora ? Cerca di dirmelo, ma in un idioma incomprensibile che in ogni caso non è più in grado di articolare. Una manciata di ore avanti, durante una sortita, qualcosa è andato storto ed un giorno qualsiasi si è trasformato nell’ultimo che potrà vedere. Lui non ha rimpianti in realtà : il suo concetto di morte non è analogo alla coscienza secolarizzata di chi legge…….ritiene che sia solo il passaggio verso un’altra esistenza, non meno piena o eroica.
Oltre il “grande fiume” non possiamo seguirlo, solo osservare ciò che si è lasciato dietro nella dimensione mortale : una sagoma compatta e slanciata che affiora dalla vegetazione, coperta unicamente da brache ridotte a brandelli, gli occhi ancora spalancati e una cascata di un castano lucido sulle spalle.
Eh…..si da il caso che la nostra sgangherata navicella spazio-temporale (con cui faccio viaggiare nel tempo chi mi legge) è riemersa presso l’uncino sud-orientale del nostro continente, 500 giri della Terra attorno al sole prima che Cristo iniziasse a predicare : da qualche parte, lungo il ricco bacino idrogeografico del Danubio.
L’uomo che ci guardava poco fa prima di transitare alla nuova vita, un suo remoto abitante……la cui fisionomia incute terrore tra i piccolo uomini bruni più a sud verso il mare Egeo.
Il popolo di Sudogvast è quello dei LUPI : così lo chiama chi vi confina e così loro appellano se stessi…fondamento mitico/fantastico che trova una parte di accordo anche nell’archeologia odierna. Esso si articola in un interminabile susseguirsi di clan e tribù che si spalma su un territorio che va dai Balcani fino alla pianura sarmatica (dalla Serbia fino all’Ucraina meridionale e occidentale) : la massa aborigena della protostoria è stata indoeuropeizzata sino a dar vita a uno strato di civiltà che chiameremo (paleo) Trace.
L’elemento TRACE non ha certo bisogno di presentazioni o precisazioni dal sottoscritto o da altri…….combattivo e acerrimo, in sinergia con l’ecosistema balcano/carpatico le cui immense foreste di conifere incutono timore nelle civiltà mediterranee, a partire da quella ellenica, che la associano a quello spazio di tenebra (quel “nord” mitico) dal quale di tanto in tanto sprizzano come scintille demoni dalle barbe che brillano rossicce tra la fiamme del saccheggio.
La percezione immaginifica del greco antico chiaramente dilatava inverosimilmente la frequenza di codeste fisionomie aliene ed oggi l’archeologia (supportata dalla genetica) ritiene più plausibilmente che i barbari a nord e sud del bacino danubiano fossero assai più simili ad un qualsiasi abitante dell’Europa meridionale per aspetto (solo disseminati di elementi più chiari che generano leggenda). I traci, come norma nella struttura organizzativa umana più elementare di allora NON sono uno stato unitario, che anzi sono anni luce dal conoscere : la parcellizzazione fino al livello di clan regna sovrana. Dal brodo sopramenzionato prende forma un sottoinsieme che assume il nome di DACI…..o Geto-daci (per la precisione i geti si trovavano in Valacchia, come si chiamerà in seguito, mentre i daci veri e propri in Transilvania odierna).
Il significato dell’etnonimo (usato dagli stessi) è questione di dibattito tuttora, ma parte dell’opinione scientifica li chiama “LUPI” o loro fratelli o discendenti…..il popolo dei lupi. Questi autoctoni subiscono variegate influenze celtiche e periodicamente praticano incursioni verso sud guadagnandosi fama sinistra presso i più meridionali vicini che negli stessi anni edificano il Partenone (…).
La struttura politica è estremamente semplice, adeguata al loro stadio di evoluzione umana : un grappolo di regni, grandi quanto un francobollo, che vanno e vengono assieme alle loro rudimentali dinastie sostenute da reti di clientele e relazioni di clan. Con tale status quo si mantengono relativamente indipendenti dal turbinio della collisione greco-persiana dei secoli cruciali e, sempre in queste condizioni vanno a incontrare con l’elemento romano (o meglio quest’ultimo va a cozzargli contro) : il II° secolo dopo Cristo vede assorbire questo mondo nell’assai più caotica voragine della latinità…….alle vittorie di TRAIANO segue un afflusso (non comune) di coloni di diversa provenienza fino a creare sul posto la provincia romana di cui tutti i manuali ci informano. La Dacia romana equivale solo a metà dell’attuale Romania e arriverà a contare 1 milione e mezzo di sudditi dell’imperatore : tutti gli appartenenti a tribù non comprese nel dominio romano vengono denominati “daci liberi” e tra di essi spicca la tribù dei “carpi”. Nel giro di un secolo sorgono ben 10 città ed oltre 100 forti, impiantandosi così il seme della civiltà latina, strettamente legato all’ambiente urbano, in contrasto col vasto entroterra rurale dei nativi.
L’area nonostante gli sforzi rimarrà instabile, assorbendo circa il 10% della forza militare dell’impero e resistendo non più di 175 anni complessivamente (ovvero da Traiano fino ad Aureliano, quando l’impero ordinatamente si ritira da una regione ritenuta indifendibile : siamo nel 275 dopo Cristo).
Il disimpegno militare romano lascia tuttavia sul campo dietro di sè qualcosa di inestimabile : gli abitanti del luogo nei 2 millenni a seguire, continueranno ad esprimersi in un idioma a noi familiare classificato come componente orientale della neo-latinità.
Occorre qui fermarsi un momento poiché la questione si fa cruciale : il processo di latinizzazione possa apparire scontato o banale, nel discorso scientifico esso NON lo è.
In parole altre, la dinamica di tale latinizzazione è tutt’altro che scontata e tuttora si confrontano due opposte opinioni : secondo alcuni la romanizzazione linguistica sarebbe avvenuta secondo un linearissimo ed intuibile moto di aggregazione dell’elemento indigeno ai nuclei romani già insediati sul territorio, finchè alla fine sono TUTTI “romani”. Secondo la tesi avversa (più macchinosa, ma non impossibile) l’elemento di lingua latina sarebbe emigrato sul posto da aree romanizzate da più lungo tempo (tutto l’illirico), fuggite al momento del collasso imperiale in cerca di riparo in zone più inaccessibili, giusto nel mentre della calata dei barbari da nord.
A questo, si aggiungono svariati punti di vista intermedi……ma il punto che accomuna tutti, il grado di ideologizzazione che il tema presenta, già alla vigilia dell’età delle idee (tarda modernità), come vedremo.
(continua) 
IL POPOLO DEI LUPI. (cap. 2)
(note storiche sparse tra Moldova, Valacchia e Transilvania, dagli albori alla contemporaneità, ripub. 2018*)
Abbiamo lasciato Sudovgast morente sulle rive di un fiume, 500 anni prima di Cristo : come sono divenuti i suoi discendenti 500 anni DOPO Cristo ?
Un millennio di evoluzione non può non sentirsi e i suoi posteri riconoscerebbero molti tratti culturali in lui, tranne uno vitale : ora sarebbe complicato comunicare verbalmente con lui. Malgrado il disimpegno imperiale nella provincia di DACIA (già nel 275 d.C.), il disfacimento dell’impero stesso 200 anni ancora dopo ed il conseguente gioco imprevedibile di maree demografiche che si innesca, niente riesce a cancellare la numerosa componente daco-romana nel cuore di quella che oggi chiamiamo Romania : è come se i più numerosi e aggressivi flussi slavi (e magiari) provenienti da settentrione non riuscissero a penetrare il nucleo geografico valacco/transilvano né passarvi traverso, risultandone deviati e costretti a costeggiarlo, passarvi tutto attorno.
Un residuo vivente della remota romanità (adattata al contesto particolare) trincerato attorno ai Carpazi, mentre lo spazio immediatamente limitrofo è sommerso dal suono di parlate aliene : la sopravvivenza, su così larga scala, di un ceppo smarrito della famiglia filologica romanza, a migliaia di km dal blocco italo-franco-porto-spagnolo del Mediterraneo occidentale è un miracolo (o anomalia) geoculturale dell’intera Europa sud-orientale.
I secoli post-imperiali passano senza che alcuna organizzazione politica di rilievo venga prodotta : questi nativi “romanzofoni” costituiscono sostrato aborigeno utile del quale il governante o dominatore di turno si serve all’occorrenza. Vista l’oggettiva infattibilità di riportare fedelmente gli innumerevoli e tortuosi sentieri della storia balcano/carpatica medievale (anche per non irritare i valenti medievisti che per caso leggono) effettuo una macro-sintesi culturologica………il lettore immagini questo (grossomodo) : sui nostri amici di lingua latina gravano DUE forze acculturanti principali, una da SUD e l’altra da NORD.
1) L’”energia” che viene dal sud è l’elemento BULGARO (che da sud supera la linea del Danubio ed estende la propria influenza fino a tutto l’areale dell’odierna Romania tra il 7° ed il 10° secolo dopo Cristo : si tratta della fase storica del cosiddetto impero bulgaro, potenza dominante nei Balcani dell’era altomedievale (di tale impero vi saranno due fasi, oggi chiamate dalla storiografia 1° e 2° impero : quest’ultimo si spegne definitivamente alla fine del 14° secolo quando la Bulgaria è incamerata dagli ottomani…1396 circa).
2) L’”energia che viene da nord è l’elemento MAGIARO (che si presenta successivamente rispetto ai bulgari : inizia a comparire nel 12° secolo, penetrando dal bassopiano pannonico e nelle stesse generazioni in cui si combattono le prime crociate in Terrasanta, si fa strada sempre più a sud strappando all’influenza bulgara e bizantina le provincie più settentrionali dell’attuale Romania.
Orbene, se si tiene a mente questo basilare schema di movimenti e forze, si ha una prima chiave d’accesso alla storia dell’identità romena e moldava e i suoi asimmetrici sviluppi a seconda delle regioni che oggi troviamo viaggiando in questo paese : diciamo sinteticamente che si parte da un’originaria dominanza bulgara, che ottiene la fondamentale conversione della cristianità dell’area in questione all’ortodossia, per poi subire un processo di erosione nella frangia più settentrionale dei territori balcano/carpatici, ad opera dei monarchi d’Ungheria che nel corso del XIII° secolo riescono ad espandere durevolmente il loro confini fino a ricomprendere quella che oggi chiamiamo “Transilvania”. Quest’ultima a partire dai primi anni del 1300 è parte del regno di Ungheria di cui costituisce l’estensione più orientale. Sempre i sovrani d’Ungheria nella loro avanzata verso meridione determinano la nascita di due ulteriori principati a parte la Transilvania……….la MOLDAVIA (ad ovest) e la VALACCHIA (a sud), inizialmente pensati come cuscinetto della frontiera sempre più balcanica d’Ungheria.
Ricapitoliamo : a partire dai primi decenni del 300 nell’area di lingua romanza (non chiamiamolo ancora “romena”) vengono a costituirsi TRE principati sotto l’impulso del regno medievale d’Ungheria.
1) Transilvania (direttamente inglobata)
2) Valacchia (1330)
3) Moldavia (1359)
Codeste entità chiaramente NON costituiscono alcuno stato unitario, né ci pensano : si tratta di potentati indipendenti l’uno dall’altro che semplicemente sorgono su popoli della medesima base linguistica culturale (elemento che tuttavia in età premoderna non è fondamentale).
Teniamo a mente un punto CHIAVE : mentre Valacchia e Moldavia si rendono presto autonome dai sovrani magiari (pur rimanendo formalmente vassalli), la Transilvania invece è oggetto di una vera e propria annessione territoriale all’Ungheria medievale che ne farà una regione della mitteluropa ungherese (poi austro-ungarica) per gli oltre 600 anni a venire (!). Questo fatto apre le porte della Transilvania al torrente della cultura centro-europea e dei relativi flussi migratori, ovvero popolandosi di minoranze germaniche, ebraiche e slave per il mezzo millennio che traghetta tutta la zona fino ai primi del XX° secolo.
Questo particolare assetto geoculturale è quindi un carattere di lunghissimo periodo che persisterà nonostante il successivo “ombrello ottomano” dal tardo medioevo : Valacchia e Moldavia stati autonomi di confine, mentre la Transilvania (a dispetto della maggioranza di lingua neolatina che la abita) è parte dell’Ungheria vera e propria. I sultani osmanidi erediteranno QUESTA suddivisione, più o meno.
(continua)

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Addendum del PVR USA/NATO: Immersione profonda nelle fughe di notizie dal Delta, di Simplicius the Thinker

https://simplicius76.substack.com/p/usnato-isr-addendum-deep-dive- into?utm_source=substack&utm_medium=email

Addendum del PVR USA/NATO: Immersione profonda nelle fughe di notizie dal Delta

Una panoramica dettagliata di come funziona realmente il C4ISR integrato della NATO in Ucraina.

 

di Simplicius the Thinker

 

 

4 marzo

US/NATO ISR Addendum: Deep Dive Into The Delta Leaks

79

In due articoli precedenti ho menzionato non solo lo schiacciante C4ISR che l’Occidente comanda in Ucraina, ma anche, nello specifico, la serie di fughe di notizie che lo hanno corroborato e che ci hanno permesso di capire come funzionano effettivamente i loro sistemi e con quale livello di dettaglio trasmettono i dati essenziali alle forze ucraine sul campo.

Facciamo quindi un piccolo approfondimento sul tipo di informazioni che forniscono, in modo da avere un quadro generale:

  1. Perché l’Ucraina ha avuto un tale “successo” a volte, per esempio in alcune capacità di tendere imboscate alle forze russe, o di provocare “ritiri” come la “grande controffensiva di Kharkov” dello scorso
  2. Perché la Russia è costretta a combattere in modo molto “fumoso”, senza mai impegnare forze troppo grandi in nessun
  3. Come i resti dell’aviazione ucraina siano in grado di sopravvivere così a lungo eludendo i contrattacchi russi e viceversa, come l’aviazione russa debba rimanere piuttosto limitata nelle sue
Programma Delta

Che cos’è il programma Delta? Negli articoli precedenti ho illustrato alcuni dei principali sistemi di rete ucraini in uso, da GIS Art, Nettle e Delta, alcuni dei quali sono di produzione propria, mentre altri sono stati sviluppati reciprocamente in tandem con la NATO.

Quindi, per fare una breve premessa generale, cosa fanno esattamente questi programmi? In breve, consentono la completa integrazione in rete del campo di battaglia, fornendo mappe digitali dell’Ucraina con tutte le unità ucraine attive, le unità russe e così via, in tempo reale. Sono quindi in grado di distribuire digitalmente e istantaneamente i dati di coordinamento degli obiettivi alle unità meglio posizionate (artiglieria, ecc.) per attaccare un determinato obiettivo.

Inoltre, con l’aggiunta di Starlink, i centri di comando possono distribuire i feed delle telecamere dei droni in tempo reale a qualsiasi altra postazione, in un modo che nemmeno la maggior parte delle unità russe ha.

In pratica, ciò significa quanto segue:

Prendiamo come esempio il teatro di Bakhmut. Un’unità di droni ucraina in prima linea nel sud-est di Bakhmut può posizionare il suo drone e ottenere una chiara visione delle posizioni Wagner più a est. Il suo Starlink invia poi il segnale video in tempo reale a un centro di comando che lo distribuisce a un sistema di artiglieria che può essere a 20 km di distanza, a ovest, vicino a Kramatorsk, cioè nelle “retrovie” di Bakhmut.

Ecco un video, a titolo di esempio, che mostra proprio un centro di distribuzione HQ di questo tipo a Bakhmut:

Qui si possono vedere decine di schermi che collegano le immagini in diretta dei droni in vari settori intorno a Bakhmut. Qui possono ridistribuire questi feed, se necessario, ai cannoni di artiglieria del settore e ad altre unità tramite Starlink.

Quindi, per i non addetti ai lavori, che vantaggi ha tutto ciò? Molto semplice: in genere, un’unità standard posiziona un drone nel cielo, quindi fornisce coordinate approssimative della griglia all’unità di artiglieria via radio. Quando l’artiglieria spara alcuni colpi (magari “facendo forcella”), l’operatore del drone si limita a fornire correzioni via radio, in modo grossolano, come “Qualche click a sinistra, cinque gradi a nord”, ecc.  Questo metodo va bene, ma è molto meno efficace rispetto alla versione integrata.

Con Starlink, invece, l’unità di artiglieria con sede a Kramatorsk, a molti chilometri di distanza, avrà un’esatta trasmissione video in diretta dei propri attacchi nel teatro di Bakhmut. Spareranno, vedranno letteralmente i loro colpi attraverso le riprese dei droni e saranno in grado di correggerli istantaneamente, al volo, con la loro percezione visiva, senza dover ascoltare le vaghe e forse imprecise istruzioni radio di qualcuno che ti dice “un po’ più a destra”.

Ora, la Russia dispone di sistemi propri, come ho illustrato anche nel precedente articolo più completo. Tuttavia, non sono ancora in piena adozione e in uso diffuso, e alcune unità inferiori e non d’élite utilizzano ancora le forme più elementari e lente di correzione dell’artiglieria.

Per chi fosse interessato, ecco un esempio di un sistema russo chiamato ESU TK. Ancora una volta, se interessati, potete leggere ulteriori informazioni sugli altri sistemi russi di questo tipo già utilizzati nell’articolo ISR, come i sistemi ASUNO, Planshet, Strelets-M e Andromeda-D. Tuttavia, nessuno di questi sistemi offre un flusso video in tempo reale di questo tipo, ma piuttosto coordinate di puntamento integrate nella rete su una mappa digitale.

Dopo questa spiegazione, che cos’è il programma Delta?

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⚡️🇷🇺Russian hacker Joker hacked the US Delta command and control program used by the Armed Forces of Ukraine.😎🥂

Si tratta di un sistema di gestione del campo di battaglia che funziona nel modo seguente: Gli analisti degli Stati Uniti e della NATO passano al setaccio un’infinità di dati satellitari e inviano le coordinate esatte di tutte le unità russe, le unità e gli altri dati, movimenti, movimenti/direzioni potenziali, ecc. Tutto questo viene inserito nel sistema digitale che viene poi distribuito a tutti i quartieri generali del C3 ucraino, che possono decidere come affrontare tali obiettivi/minacce.

Un esempio del sistema Delta violato dal gruppo Joker della DPR, che mostra le posizioni delle unità russe in tutta la regione di Kherson.Ma lo scopo di questo articolo era quello di mostrare in modo dettagliato il funzionamento di questo processo, che nell’ultimo lungo articolo era troppo discorsivo.Ecco i documenti effettivamente trapelati a cui potete accedere da soli. Mettiamo in evidenza alcune pagine per mostrare la sostanza di ciò che accade dietro le quinte.Questi documenti sono trasmissioni dell’intelligence statunitense alle reti C3 ucraine di tutte le varie posizioni e unità russe che vengono rilevate 24 ore su 24, 7 giorni su 7, attraverso le reti satellitari USA/NATO/Five-Eyes. Ecco alcuni esempi:

TRATTAMENTO OtMMEOIATO 0PRIORITV

ROUTINE

 

2022052705152RUS-UKR Rollup

 

  1. Russia-Ucraina: Possibili elementi della 38ª Brigata di segnali aviotrasportati a Rossosh, vicino al confine con l’UcrainaElementi di una brigata C2 russa, forse la 38ª Brigata di segnali aviotrasportati (GASB) delle truppe aviotrasportate (VOVI) .

sono stati schierati a Rossosh, a est di Valuyki in Russia e a 45 km a nord-est del confine con l’Ucraina. Fino a 100

veicoli.

la maggior parte dei quali erano veicoli C2, sono arrivati sul posto a 50.2139.570556 dal 3 maggio; inoltre, circa 17 tende sono state montate nelle vicinanze. Alcuni dei veicoli erano forse R-43900 C2. La possibile presenza di R-43900 suggerisce che l’unità potrebbe essere il 38° GASB. Il sito di dispiegamento è vicino ai posti di comando del

OSK e Stato Maggiore del Distretto Centrale della Birmania.

 

  1. Russia: Ulteriori attrezzature del TsOMR arrivano allo scalo ferroviario di Krasnaya Hechka per il transito verso l’Ucraina Ulteriori attrezzature militari del Centro per il supporto alla mobilitazione (TsOMR) (precedentemente noto come 243° AESRBJ) sono arrivate allo scalo ferroviario di Krasnaya Rechka dal 24 maggio e sono state imbarcate per la partenza, mentre

Sono rimasti gli elementi di una compagnia di fucilieri a motore equipaggiati con BMP e di un carro armato.

compagnia, probabilmente proveniente dalla caserma AL4 di Khabarovsk da cui sono partiti almeno 13 BMP e 6 carri armati T-80 dal 23 maggio, è arrivata il 25 maggio ed è stata imbarcata su un convoglio ferroviario arrivato il 26 maggio. I principali elementi del gruppo tattico del battaglione, arrivati a metà maggio, sono rimasti parcheggiati nella stiva di Rarea del cantiere ferroviario (pera 48.343333 13S.080278).

 

  1. Batteria di missili per la difesa aerea SA-27-Equlpped rimane schierata a sud-ovest di Mclitopol, 25 Una batteria della 67ª Brigata missilistica di difesa aerea rimane schierata in un campo a 14 km a sud-ovest di Melitopol dal 25 maggio 2022. Tre probabili SA-27 TEIAR caricati ciascuno con due-quattro contenitori di missili (46.763611 35.241667) e almeno un veicolo di supporto rimangono schierati in un campo. Il 67°ADMB è subordinato alla 58° Armata d’Armi Combinate del Distretto Militare Sud.

 

  1. Russia-Ucraina: Il 26 maggio 22, sono state segnalate probabili colonne di supporto russe di minore entità sulla rotta T-13, a circa 20 km a ovest della città ucraina di Rubiznhe. 26 maggio 22, probabili colonne di supporto russe di minore entità in transito sulla rotta T-13 vicino al cimitero di Zhytlivka. Sono stati segnalati i seguenti elementi e attività:
  • Una colonna è stata segnalata tra 49.099444 38.189722 e 49.10361138.186389, composta da sette probabili veicoli di supporto, tutti in transito verso sud in direzione di Rubiznhe sulla rotta T-13.
  • Una colonna è stata segnalata tra 49,117778 38,176944 e 49,118611 38,176111, circa 2,5 km a nord

dal cimitero di Zhytlivka. La colonna era composta da tre probabili veicoli di supporto, tutti in transito verso nord sulla T-13

percorso.

  • Una colonna è stata segnalata tra 49.025278 111667 e 49.025278 38.1080S6, vicino alla città ucraina di Dibrova, a circa 9,6 km a sud-ovest del cimitero di Zhylllvka.

veicoli, entrambi in transito verso est in direzione di Kremennaya.

  • Due probabili autocarri di supporto sono stati segnalati sul percorso T-13 a 143056 38.153056, con un veicolo

che transita a nord e l’altra che transita a sud.

  • Un plotone corazzato è arrivato IVO 129167 38.159444. Il plotone comprendeva quattro probabili IFV BMP-2 parcheggiati a lato della strada T-t3, nella città di Chervonopoplvka.
  • Un distaccamento della MTO era partito da 106389 38.163056.
  • Un distaccamento è partito da 040278 38.098611. È probabile che venga utilizzata la rotta T-l 3.

per le operazioni logistiche ru$siane al fine di sostenere le offensive di terra russe in prima linea.

Attività in Russia

 

Tra metà giugno e luglio, il Servizio russo di supporto tecnico-materiale (MTO) ha spedito circa 4.488 tonnellate di munizioni da un impianto vicino a Bezmenovo verso ovest per rifornire le forze russe attualmente in Ucraina.

 

Almeno 10 lanciarazzi multipli BM-21122-mm che si trovavano in precedenza vicino al punto di trasferimento ferroviario (RTP) di Omsk, nel Distretto Militare Centrale, sono stati trascinati insieme a quattro BM-21 precedentemente trascinati.

 

 

 

SEGRETO//RELATIVO ALL’UKR

Come si può vedere, si tratta di dispacci altamente specifici, inviati con le esatte coordinate geografiche di ogni possibile movimento militare russo, dagli apparentemente banali riposizionamenti dei rifornimenti, ai principali movimenti strategici russi (bombardieri, ecc.), ai movimenti di tutti i mezzi navali russi e a tutto il resto.

 

Un altro esempio: le posizioni esatte di ogni singolo sistema russo altamente avanzato e segreto Zhitel e Zoopark EW (e controbatteria):

Lo stesso vale per i disturbatori russi di navigazione satellitare e GPS:

Ci sono anche analisi/estrapolazioni sulle probabili posizioni dei quartieri generali con le mappe fornite:

E molte foto satellitari esatte che mostrano viste termicamente migliorate anche delle posizioni russe più “nascoste” con le coordinate complete:

Esistono vari tentativi di comprendere i sistemi russi impiegati, come schede tecniche, diagrammi sui droni kamikaze russi e le loro caratteristiche “presunte”, spiegazioni sul loro funzionamento, ecc. Gli analisti statunitensi tentano di comprendere la minaccia russa dei droni in transito. In questo caso, rendono evidente che questi droni sono molto problematici per loro e che i loro sistemi non sono in grado di rilevarli. Si noti in particolare la menzione del fatto che le loro firme sono “difficili da raccogliere da mezzi aerei”.

Dal momento che l’Ucraina non dispone di “mezzi aerei” propri (dato che si riferisce sia agli AWACS che alla ricognizione satellitare), si sta facendo riferimento principalmente ai vantati mezzi degli Stati Uniti e della NATO. E ammettono che questi mezzi non sono in grado di rilevare i droni.

Si noti anche il riferimento al famoso complesso russo Reconnaissance-Strike-Complex, di cui ho scritto in dettaglio in questo precedente rapporto. È chiaro che la NATO comprende e rispetta il famoso RSC/RFC russo.

Una delle cose più sorprendenti di questi rapporti è che un’enorme porzione della loro potenza di calcolo è dedicata a svelare i vari “disturbatori” russi. Questo conferma il fatto che la Russia sta effettivamente disturbando attivamente ogni cosa su ogni linea del fronte, con grande sgomento dei molti scettici che sostenevano che l’EW russa non fosse attiva nell’SMO.

Ci sono avvisi di prossimi attacchi come questo:

E anche una parola in anticipo su precisi attraversamenti fluviali. Ciò che rende interessante il seguente caso è che, se ricordate, uno dei primi “disastri” russi fu un particolare attraversamento del fiume Seversky Donets, avvenuto esattamente a maggio:

Qui decine di unità corazzate russe sono rimaste imboscate in uno stretto chokepoint / kill-box dall’artiglieria. Ed ecco che anche questa trasmissione, risalente a maggio, mostra le fughe di notizie su Delta:

E ci sono molti altri avvertimenti anticipati di punti di attraversamento fluviale localizzati con precisione per VDV e altre unità. Quindi, per tutti coloro che si sono chiesti come sia possibile che l’AFU abbia potuto organizzare in passato colpi di artiglieria così precisi sugli attraversamenti dei battaglioni russi, non guardate oltre.

Gli attraversamenti fluviali sono particolarmente difficili perché di solito ci sono solo alcune aree facilmente identificabili dove un particolare fiume può essere guadato o pontato in modo efficace o tempestivo.

Sembra che gli Stati Uniti siano in grado di identificare questi punti seguendo le unità russe di ricognizione/avanguardia ingegneristica che vengono prima inviate a riconoscere i migliori punti di attraversamento, per misurarne l’idoneità e la sicurezza per l’attraversamento del battaglione.

Poi gli Stati Uniti riferiscono via Delta che un battaglione russo si sta preparando ad attraversare in quel punto esatto, fornendo le coordinate esatte e la tempistica stimata. E voilà: le unità dell’UFU sono in grado di posizionare segretamente l’artiglieria/MLRS (e probabilmente gli HIMAR con le esatte coordinate GPS fornite dal feed Delta programmato direttamente in loro) per colpire l’attraversamento proprio nel momento in cui il battaglione sta transitando.

E la gente si chiede perché la Russia potrebbe aver sviluppato le nuove piccole unità “distaccamenti d’assalto”, come descritto qui.

Tra l’altro, questa fuga di notizie parziale/incompleta di Delta è composta da oltre 130 pagine di dati di intelligence densamente stampati e altamente dettagliati, che corrispondono solo a un paio di settimane a scelta tra luglio e maggio. Decine di posizioni e movimenti identificati in ogni pagina, per oltre 130 pagine: letteralmente decine di migliaia di dati di intelligence in un periodo di poche settimane. Immaginate la quantità assolutamente gargantuesca di analisti e data-crunchers necessari per compilare questi dati 24/7?

Vi ho accennato nell’articolo precedente, dove ho affermato che decine di migliaia di analisti occidentali e della NATO sono coinvolti in questa procedura. Il dettaglio dei dati lascia a bocca aperta. In un rapporto elencano il tipo e il numero esatto di casse di munizioni in una determinata posizione del campo d’aviazione, notando che ci sono 78 casse di uno specifico tipo di variante di munizioni, ecc. Sanno quando e da dove provengono le munizioni, esattamente come e quando e dove si dirigerà la prossima volta. Alla luce di tutto questo, è scioccante quanto la Russia sia riuscita a fare finora – e credo che sia una testimonianza della potenza dei sistemi EW e AD russi che continuano a salvaguardare con successo le forze armate.

Inoltre, se avete visto questa recente intervista con un mercenario americano che ha disertato in Russia dall’AFU, a un certo punto menziona come ci fossero mercenari speciali nella Legione Straniera di cui faceva parte, che avevano contatti con la CIA (probabilmente con le centrali della CIA sotto copertura). E questi ragazzi avevano speciali telefoni satellitari che usavano per chiamare i loro analisti/manipolatori, i quali fornivano loro le coordinate e le posizioni russe. È logico che gli Stati Uniti abbiano inserito un agente come questo in ogni distaccamento della Legione Straniera, per massimizzarne l’efficacia, fornendo loro tutte le informazioni necessarie sulle posizioni russe su un piatto d’argento.

Un’altra chicca interessante riguardava le informazioni sui carri armati russi. La cosa più interessante è che a maggio, Oryx e altre famigerate liste, mostravano che circa 600-750 carri armati principali russi erano già stati persi (distrutti, catturati, abbandonati, ecc.) Tuttavia, questa fuga di notizie nota che fino a maggio, la Russia aveva iniziato a prelevare solo un totale di 124 carri armati dalle proprie scorte di riserva.

Ciò fornisce un’interessante visione “sotto il cofano” che sembra indicare le reali perdite di carri armati russi entro il periodo di maggio, che sarebbero solo un po’ più di 100. Ciò si accorda perfettamente con la mia analisi, come ho descritto nell’articolo precedente, secondo cui la Russia ha probabilmente perso un totale di 400-500 carri armati fino ad ora, poiché la lista di Oryx non solo gonfia i numeri attraverso frodi e attribuzioni errate, ma non distingue nemmeno tra DNR/LNR. Quindi il suo attuale “totale” di oltre 1600 carri armati russi perduti rappresenta in realtà solo 800 carri armati russi e

 

800 DNR/LNR, il che significa che le perdite reali di carri armati “solo russi” sarebbero di gran lunga inferiori.

Quindi è ipotizzabile che a maggio avessero perso più di 120 persone e, dato che si trattava di circa un quarto di SMO, si può moltiplicare quel numero per 4 per ottenere un conteggio realistico delle perdite attuali.

Tra l’altro, un analista di spicco di youtube (e per giunta filo-ucraino) ha fatto un’indagine molto approfondita, includendo tonnellate di foto satellitari acquistate da terzi e da lui stesso finanziate, ed è giunto a conclusioni simili, scoprendo che la Russia stava utilizzando solo il 10% del suo inventario di carri armati di riserva.

Un importante deposito di riserva era passato da 800 carri armati prima dello SMO a 700. Un altro è passato da 400 a 380, un altro ancora non ha subito alcun cambiamento nell’inventario dei serbatoi, che sono rimasti 350 su 350. Un altro grande deposito con oltre 1000 serbatoi in deposito ha subito un piccolo cambiamento, con circa 900 serbatoi rimanenti. Un altro grande deposito, con oltre 1.000 serbatoi in giacenza, ha subito un piccolo cambiamento con circa 900 serbatoi rimanenti. Un altro sito ne aveva 700, ora ne ha 600. Un altro è passato da 215 a 180. Un altro da 350 a 250. Un altro ancora da 700 a 500.

Secondo le sue stime, in tutti i siti messi insieme ci sono 700-800 serbatoi in meno rispetto a un anno fa, anche se ammette che alcuni di essi potrebbero essere stati semplicemente spostati nei garage, dato che molti dei siti hanno ampi garage/rifugi/hangar/ecc. Inoltre, è probabile che la maggior parte di quei carri armati non accantonati siano stati destinati alla DNR/LNR e a varie brigate di volontari. Quindi il numero totale di “carri armati perduti” russi che potrebbe rappresentare è in realtà molto inferiore.

Ma questa è una digressione.

Quindi, immaginate che tutte le decine di migliaia di dati contenuti nei documenti trapelati vengano ora inseriti in questo sistema digitale in rete, che dà accesso all’intera AFU, in pratica a ogni singola posizione concepibile, movimento, unità nascosta, ecc. dell’esercito russo, con la semplice pressione di un pulsante. Ogni unità dell’AFU con un tablet o un computer corrispondente può accedere a questo sistema e sapere esattamente dove si trova ogni sistema russo nelle sue vicinanze, dove si sta muovendo, come si sta muovendo, cosa sta pianificando di fare, ecc. Riuscite a capire il problema che questo rappresenta per la Russia?

Come ho mostrato nell’articolo precedente, questo livello di dettaglio si estende persino all’aviazione russa, i cui aerei possono essere tracciati in tempo reale e trasmessi ai sistemi dell’AFU.

La tavoletta mostra un aereo russo che viene tracciato su una mappa da qualche parte. Questo può essere trasmesso alle unità avanzate di AD, che possono così capire come posizionarsi e rispondere.

Ho già spiegato in precedenza che la ragione per cui l’AD ucraino è molto difficile da distruggere/degradare completamente tramite SEAD/DEAD, è perché non operano più in modalità “calda” con i radar accesi, scrutando alla cieca i cieli nella speranza di catturare un aereo russo. Se lo facessero, i Su-30mk, i Su-34 e i Su-35 russi armati con i Kh-31P anti-radiazioni li eliminerebbero.

Ma con questi sistemi, l’Ucraina può far funzionare i suoi AD con i radar “a freddo”, cioè spenti, e usare una combinazione di osservatori avanzati per notificare loro se/quando un aereo è nell’area, o qualche altro sistema di rilevamento come gli AWACS statunitensi, alimentati direttamente al loro tablet in rete. E solo a quel punto, l’AD ucraino può accendere il suo radar – ora che sa esattamente dove si trova l’aereo russo – e preparare un attacco, senza dover temere la risposta perché il radar si spegnerà di nuovo subito dopo.

Nel video qui sopra, tuttavia, non sono sicuro di come stiano tracciando l’aereo russo con il sistema “Nettle”. Dipende dal punto della mappa in cui è avvenuto il fatto, poiché il raggio d’azione degli AWACS non consente loro di vedere il Donbass dalla Polonia/Romania. Tuttavia, a giudicare dalla data del video, dall’ambiente e da quel poco di mappa che riesco a vedere, sembra che l’aereo si trovasse vicino a Nikolayev/Kherson, e che sia nel raggio d’azione della NATO.

Gli AWACS operano in Romania, poiché la distanza è di soli 330 km, e gli AWACS possono percorrere almeno  400-450 km, e più a lungo per i grandi bombardieri strategici ad alta quota.

Spero che questo vi faccia capire meglio come funzionano questi sistemi e quali enormi vantaggi ha l’Ucraina in alcuni settori della lotta. Assicuratevi di consultare i documenti qui, in modo da farvi un’idea di ciò che stanno facendo “dietro le quinte” per organizzare una sconfitta russa in questa guerra.

Tuttavia, nonostante lo sforzo C4ISR senza precedenti che ne deriva, è chiaro che la Russia continua a respingere e superare la NATO, anche se in grande svantaggio numerico. Questo deve dire qualcosa sui sistemi russi, e con buona probabilità le capacità C4ISR e satellitari della Russia sono molto più estese di quanto molti credano. Inoltre, ci sono prove che la Cina stia fornendo alla Russia un aiuto simile a quello che la NATO ha fornito all’Ucraina.

Alcuni giorni fa è stato reso noto che l‘azienda satellitare cinese “Spacety Inc.” avrebbe fornito alle forze armate wagneriane fotografie satellitari.

 

Ma l’aspetto più interessante è che lo stesso Prigozhin ha smentito il presunto rapporto, dichiarando:

 

“Non abbiamo bisogno di acquistare immagini satellitari. La PMC “Wagner” da 1,5 anni ha quasi due dozzine di satelliti, alcuni dei quali sono radar, e il resto sono ottici”.

 

Sostiene che il suo sistema di satelliti permette a Wagner di osservare tutti i punti del mondo. Cosa può significare questo?

[di qui in poi l’articolo è accessibile solo per gli abbonati]

“There is no need for us to purchase satellite imagery. PMC “Wagner” for 1,5 years has almost two dozen satellites, some of which are radar, and the rest are optical.”

He claims that his own system of satellites allows Wagner to observe all points of the world.

Now what could that mean?

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Da “le ali del brujo”: UN ANNO DI GUERRA BILANCI E PROSPETTIVE. Con Gen. M. Bertolini R. Buffagni e G. Gabellini

Il primo anniversario dall’intervento diretto della Russia in Ucraina ha offerto l’occasione di offrire un bilancio politico di un evento che si rivelerà un vero e proprio catalizzatore di profondi mutamenti delle dinamiche geopolitiche. Pubblichiamo una conversazione sull’argomento tra Roberto Buffagni, Giacomo Gabellini e il generale Marco Bertolini organizzata dal sito “le ali del brujo”. Un bilancio che, unitamente a tutta la produzione, tra i vari siti, di “italiaeilmondo”, può offrire numerosi spunti riguardo alle prospettive future in quell’area e in tutto lo scacchiere mondiale. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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