LA BISCIA NEL CESTO DEI SERPENTI, di Antonio de Martini

Mario Draghi è ripiombato sulla scena politica. Salutato come un salvatore; etichettato come un esponente della grande finanza, delle lobby finanziarie, dei poteri finanziari. Un abito troppo stretto per un vero decisore politico o, nel minore dei casi, a stretto contatto con i decisori, con gli strateghi. Draghi è tornato in Italia per sistemare le cose, non per galleggiare. E’ diverse spanne sopra gli altri attori. Che poi ci riesca, sarà tutto da vedere.
L’Italia è un paese troppo importante per essere lasciato completamente alla deriva; è un tassello fondamentale per bilanciare la posizione di Francia e Germania; è una piattaforma imprescindibile per influire nell’area mediterranea. I pochi a non rendersene conto sono gli italiani e la quasi totalità del suo ceto politico. Buon ascolto_Giuseppe Germinario
https://rumble.com/vdmdkf-mario-draghi-la-sua-potenza-di-fuoco-con-antonio-de-martini.html
Ad un Matteo che langue e che rischia di fermarsi sulla soglia del traguardo o tuttalpiù di giungere alla meta vincitore, ma spossato, da alcuni anni nello scenario politico italiano si avvicenda un altro Matteo pronto a risorgere improvvisamente dalle ceneri. Entrambi amano l’azzardo e il colpo di scena, in particolare l’abbandono ostentato del palcoscenico.
Matteo I soprattutto perché è un istintivo. Diciotto mesi fa ha abbandonato la scialuppa di Giuseppi, sicuro di poter raccogliere a giorni il frutto elettorale della sua azione politica e fiducioso delle rassicurazioni del suo alter ego, Matteo II. Mal gliene incolse. Aveva sottovalutato la spregiudicatezza del suo clone e il trasformismo ecumenico e senza patemi e remore di Giuseppe Conte. Tutto sommato, però, gli è andata bene. Ha potuto conservare ancora per tempo in un unico consesso le due anime poco armoniche che ormai costituiscono il suo partito eludendo quelle scelte obbligate e dirimenti che di lì a poco la contingenza politica lo avrebbe costretto a prendere; le due anime essendo quella storica, localistica, fornita di radici territoriali e sociali ben delimitate e di una classe dirigente con una qualche esperienza amministrativa; quella nazionale tanto appariscente e conclamata, quanto priva di contenuti solidi e di portatori all’altezza della situazione sino a rischiare di scivolare ripetutamente nell’effimero.
Matteo II soprattutto perché è un beffardo. Il suo azzardo è molto più calcolato e cinico, ma non sufficientemente mimetizzato; ostentato, al contrario, attraverso la sua insopprimibile e compiaciuta fisiognomica. Una caratteristica che lo ha costretto dalle stelle alle stalle in una parabola strettissima e fulminante di appena quattro anni. Il suo è sembrato un epilogo dal sapore definitivo, corroborato dallo scarso proselitismo ottenuto dalla scelta di abbandonare il PD. La scelta di abbandonare la compagine governativa di Giuseppe II senza determinarne la rumorosa caduta è parso ai più come il classico salto della chimera, tanto effimero da far ripiombare nel giro di poche ore il nostro nell’anonimato. E i più hanno avvallato la tesi di una clamorosa sconfitta di Matteo Renzi, confortati tanto più dai sondaggi impietosi ai danni di Italia Viva.
A ben vedere la similitudine potrebbe però indurre ad un giudizio troppo frettoloso.
La scelta di abbandonare i tre ministeri si è compiuta dopo almeno sette mesi di confronto interno al Governo la cui virulenza è stata percepita solo grazie ai continui rinvii ai quali ci ha adusi il buon Giuseppe. L’argomentazione della scelta è stata per altro particolarmente articolata e scandita da frequenti preavvisi, senza la sicumera e l’arroganza manifestata dal protagonista durante le altrettanto rapide ascesa e caduta di quattro anni fa. Una volta registrata la chiusura di Giuseppe Conte ad una riapertura del confronto, la scelta dell’astensione è stata interpretata come una manifestazione di debolezza dovuta alla scarsa compattezza del gruppo parlamentare; una ragione dal peso piuttosto relativo rispetto al vantaggio offerto da una tattica di logoramento degli schieramenti e dei partiti la quale richiede tempi più appropriati.
Matteo Renzi ha messo in conto la possibile perdita di una parte del suo gruppo parlamentare esterno allo zoccolo duro dei fedeli. Matteo Renzi sa benissimo che per almeno ancora qualche anno ha scarsissime possibilità di conseguire un qualche incarico da Presidente, da ministro o da capo di partito grazie alla sua rovinosa caduta ancora troppo recente e all’impopolarità della quale è vittima. Ha al suo attivo la possibilità e l’obbligo di ricambiare il favore e il riconoscimento esclusivo di una cena offerta in suo onore alla Casa Bianca da quello stesso establishment che ha appena ripreso il sopravvento negli Stati Uniti. Può puntare quindi ad incarichi di apparato di alto livello e di prestigio e puntare o prestarsi a condurre o essere compartecipe nel frattempo di strategie di medio periodo senza l’ossessione della difesa quotidiana delle posizioni di potere.
L’obbiettivo di fondo di Renzi è quello di promuovere e pervenire al dissolvimento finale del M5S e ad una scomposizione e ricomposizione delle restanti forze politiche, ad eccezione probabilmente di Fratelli d’Italia, tale da creare da una parte una forza politica dichiaratamente, apertamente e coerentemente europeista nella sua attuale configurazione e nel suo attuale indirizzo politico, ossequiosa alla NATO con un blocco sociale composto dalle forze più integrate ed efficentiste in esse e corroborate dalla forza d’urto e di consenso di gran parte del terzo settore contrapposta eventualmente a forze sterilmente protestatarie; componente quest’ultima, della cui formazione non può ovviamente farsi carico.
Da questo punto di vista la forza degli argomenti da lui esibiti nel criticare l’azione di governo è tutta dalla sua parte. I sessantadue punti correttivi del Recovery Fund https://www.italiaviva.it/le_62_considerazioni_di_italia_viva_sulla_proposta_italiana_per_il_recovery_fund da lui presentati sono senz’altro un notevole passo avanti dal punto di vista dell’efficacia intrinseca dell’intervento rispetto all’ipotesi originaria ufficiosa fatta circolare da Conte; è però una efficacia tutta interna alla logica delle politiche comunitarie così come illustrate in almeno un paio di articoli su questo blog. http://italiaeilmondo.com/2020/12/31/tre-piani-a-confronto-e-il-bluff-di-giuseppe-germinario/Una logica che non garantisce assolutamente una politica economica ed industriale tale da garantire autonomia e peso strategico al paese; http://italiaeilmondo.com/2020/12/23/piani-a-confronto-da-recovery-di-giuseppe-germinario/ che è propedeutica ad un ulteriore pedissequo allineamento alle future scelte interventiste della nuova amministrazione americana condotte con la copertura del multilateralismo, della difesa dei diritti umani, del catastrofismo ambientalista e della cooperazione internazionale attraverso il sistema di alleanze rinvigorito dopo quattro anni di condotte alterne.
Su questo Renzi ha buon gioco nell’asfaltare Giuseppe Conte; come ha buon gioco nell’accusarlo apertamente di essere del tutto inadeguato a svolgere il proprio compito di Capo di Governo.
Giuseppe Conte, dal canto suo, ha fatto di tutto per confortare l’azione di Matteo II.
La qualità penosa dei suoi quattro interventi alla Camera e al Senato di lunedì e martedì, conditi con il suo patetico appello finale culminato con il pietoso grido di angoscia “aiutateci”, non ha fatto che rinforzare questo suo giudizio. Un giudizio già suffragato dalla evidente carenza di capacità programmatica e dalla incapacità di controllo e indirizzo della macchina amministrativa; un limite quest’ultimo, per la verità caratteristico di gran parte delle compagini governative succedutesi. Interventi, quindi che hanno evidenziato la sua totale incapacità di indirizzo ed autorevolezza che potesse giustificare e coprire in qualche maniere le nefandezze in corso per raggiungere entro poche settimane una incerta maggioranza assoluta; la sua ingenuità e il suo provincialismo nel prestarsi ostentatamente ad operazioni di sottogoverno; l’inesistenza e l’insulsaggine della principale forza politica, il M5S, ormai principale responsabile della condizione di paralisi ed inadeguatezza politica. Un atteggiamento tipico, ben coltivato negli ambienti più gretti della curia romana della quale è espressione il nostro avvocato del popolo.
L’obbiettivo di fondo della residua compagine di governo, impersonata da Conte, in realtà non è sostanzialmente diverso da quello dichiarato da Renzi.
Cambia nella qualità di presentazione, più abborracciata, e nella credibilità del protagonista ormai avvitato nella terza operazione trasformistica della sua breve ma intensa carriera di Capo di Governo dallo scarso pedigree e dalla “inesistente gavetta”; cambia nei tempi più lunghi richiesti dal processo di trasformazione e di assorbimento, eventualmente sotto altre spoglie, del M5S nell’alveo conformista; cambia nell’entità dei costi richiesti in termini di assistenzialismo e di dispendio insensato di risorse da tale politica trasformista; cambia nell’entità dei rischi di contaminazione che il PD corre, nel suo impegno di traghettamento del M5S, grazie all’immagine scialba di figure della levatura di Gualtieri, Orlando e Zingaretti e al bagaglio culturale del loro mentore Bettini.
L’uno, Matteo II, foriero quindi di una esibizione aperta di obbiettivi capace magari inizialmente di mobilitare ed accelerare le scelte, salvo poi esibire rapidamente la vacuità dei vantaggi che queste scelte così allineate possono offrire ad un blocco sociale sufficientemente coeso ed esteso che possa garantire la sopravvivenza sia pure ulteriormente subordinata del paese.
L’altro, Giuseppi 2 e ½..quasi 3, più attendista e mimetizzato, probabilmente anche più annebbiato nel perseguimento delle stesse scelte di fondo ma più spalleggiato nei corridoi.
L’uno alfiere, paladino e combattente in tutto simile ai patrioti, o presunti tali, della disfida di Barletta, i quali per difendere l’onore degli italiani contro gli spagnoli non trovano di meglio che assumere armi e difesa al soldo dei francesi.
L’altro impegnato, con la complicità di élites sempre più compiacenti ed un relativo favore popolare masochistico, nel predisporre e trasformare ulteriormente in un acquitrino, in una palude un territorio ormai sempre più ben disposto alle incursioni e ai saccheggi.
A noi la scelta in una battaglia talmente feroce da nascondere probabilmente una posta in palio ben più rilevante sotto la pressione di fazioni che vanno al di là dei confini europei e attraversano l’Atlantico. Quando l’oggetto del contendere arriva ad investire apertamente i servizi di intelligence vuol dire che ci si sta avvicinando ad un livello di scontro simile a quello statunitense, con qualche vena parodistica in più ma con un desiderio di regolare i conti per interposta persona analogo. Su questo ha ragione a chiedere lumi il senatore Adolfo d’Urso, voce nel deserto.
Chissà se alla fine la tenzone tra i due si potrà concludere su chi dovrà offrire all’osteria. Possibile, ma poco probabile.
Ad una rilettura il mio articolo del 23 dicembre scorso “tre piani a confronto…” http://italiaeilmondo.com/2020/12/23/piani-a-confronto-da-recovery-di-giuseppe-germinario/ mi era apparso eccessivamente livoroso. I contenuti li ho ritenuti validi, ma il tono troppo spietato per una partita tutto sommato ancora in buona parte da giocare. Colpa probabilmente della claustrofobia sedimentata in settimane di reclusione in una stanza d’ospedale.
Devo ricredermi! La realtà delle cose sta assumendo aspetti ancora più irrealistici e prosaici, mi si perdoni il gioco di parole.
Un giallo che sta assumendo i tratti multicolori di una farsa, elevando con ciò la compagine di governo, in particolare la triade Conte, Gualtieri, Di Maio e con un paio di rare eccezioni ridotte ormai al ruolo di mera testimonianza, la stessa riservata nel Conte I a Luciano Barra Caracciolo, al rango di giocatori delle tre carte.
In quell’articolo avevo sottolineato con forza che il piano di investimenti, il pezzo forte del PNNR (NGEU) italiano, sarebbe rifluito progressivamente in un recupero di investimenti in realtà già programmati e finanziati. Avevo specificato per altro che il documento prevedeva questa possibilità, ma di fatto avevo attribuito ai condizionamenti politici esterni, in particolare quelli dei ventriloqui della Commissione Europea, alla mancanza di ambizione e strategia del piano, al dissesto istituzionale e alla inadeguatezza dell’apparato tecnico-amministrativo centrale l’inesorabilità di quell’inerzia. Invito chi non lo avesse fatto, a leggerlo con una buona dose di pazienza.
Le fibrillazioni politiche interne allo schieramento politico che sostiene il governo hanno portato alla luce intanto uno degli aspetti cruciali di un piano mantenuto nella riservatezza e nel mistero, possibilmente sino al suo varo: i 4/5 di quel piano di investimenti sono già il recupero di opere già programmate e finanziate.
https://www.agi.it/estero/news/2020-12-31/discorso-fine-anno-angela-merkel-10867389/
Così recita il Ministro Gualtieri: “L’unico momento in cui la discussione si e’ accesa e’ stato quando il ministro Gualtieri ha ribadito che l’Italia non si puo’ permettere di puntare tutti i prestiti europei su progetti aggiuntivi perche’ questo farebbe schizzare il debito e rischierebbe di far saltare il percorso di rientro approvato in Parlamento. “
Quello che sarebbe stato l’esito di una inerzia delle cose, è in realtà una scelta politica ex ante del Governo.
Se si aggiunge il fatto che già dal 2023, non alla scadenza decennale del piano di azione, è già previsto un programma di rientro del deficit pubblico intorno al 2,5% medio annuo, di fatto una massa finanziaria all’incirca equivalente ai finanziamenti europei, il quadro diventa leggibile e trasparente, non ostante l’evasività mistificatoria dei nostri saltimbanchi; il Recovery Fund (NGEU-PNNR), almeno per l’Italia, si sta rivelando una mera partita di giro o poco più.
È l’evidenza che un accordo politico, magari di massima, con i ventriloqui della Commissione Europea c’è già, di fatto se non ancora formalizzato; un accordo frutto di una presa d’atto piuttosto che di una trattativa vera e propria.
Le fibrillazioni politiche non devono ingannare. I sussulti che scuotono il governo sono tutti interni a questa logica e se la tentazione di esasperare una strumentalizzazione a fini di bottega dovesse alla fine prevalere, gli efficaci strumenti di persuasione, trasformismo o di annichilimento non mancheranno di certo. Né del resto dalla parte dell’opposizione politica appaiono forze credibili, di una certa consistenza, capaci ed realmente intenzionate a sostenere uno scontro ed un confronto politico così arduo.
I portatori di questa dinamica sono nel PD, le mosche nocchiere sono in Italia Viva, gli insulsi, gli inconsapevoli e gli opportunisti di basso rango nel M5S.
Forze che trovano lì, a Parigi, a Bruxelles, a Berlino, dire anche a Washington sarebbe forse una sopravalutazione, la propria legittimazione e la propria ragione d’esistenza.
Qualche beneficio d’inventario, con qualche buona volontà, lo si potrà pur concedere: il trasferimento possibile dalle spese ordinarie agli investimenti, sia pure sempre meno strategici, può rientrare nel ventaglio dei margini operativi; gli stessi investimenti già previsti, programmati e finanziati, senza il Recovery Fund rischierebbero di essere quantomeno dilazionate; la stessa consistenza effettiva dei piani di rientro del deficit dipendono molto dall’accondiscendenza politica verso i ventriloqui della C.E., dalle dinamiche geopolitiche ad essa legate e dai rischi politici interni al paese. Tutti fattori che potrebbero agire quantomeno nella funzione di moltiplicatore keynesiano del piano, almeno nell’immediato; non nella futura posizione strategica del paese.
Qualche beneficio d’inventario in meno, in verità uno spreco criminale alla luce del futuro che si sta profilando, si stanno rivelando la pletora di bonus elargiti allegramente e meschinamente nella fase iniziale di emergenza.
Ma ormai nelle dinamiche della UE le opzioni di politica economica dell’Italia sono strette non in una, bensì in due morse: quello del principio di austerità che deve regolare il rientro del deficit pubblico; quello della rimessa in discussione, per inadeguatezza del piano, dello stanziamento dei fondi di NGEU. Due ganasce che sottendono dinamiche geoeconomiche e geopolitiche interne alla UE e soprattutto esterne ad essa che vanno bel oltre le capacità di comprensione e di azione del nostro ceto politico e della nostra classe dirigente; limiti che stanno portando questi ultimi ad un livello di connivenza e complicità a titolo sempre più gratuito.
Lo stellone, le competenze sempre più disperse e il genio italico, sia pure appannati, purtuttavia rimangono e covano sotto le ceneri; emergono qua e là, capaci di disegnare gioielli come l’ultima portaerei varata a Trieste. Sono strumenti però utili, tra i tanti possibili, a chi li sa e li vuole utilizzare.
Già in altre fasi storiche il genio e lo stellone italici hanno tratto il classico coniglio dal cappello nelle situazioni più complicate e disperate, a partire dal conseguimento stesso dell’Unità d’Italia e dalla fondazione della Repubblica. Lo hanno potuto fare nei momenti più traumatici e drammatici. Oggi la situazione è, almeno per il momento, diversa. Viviamo in una fase nella quale la rana, cioè noi, si trova immersa ancora in una pentola ravvivata a fuoco lento. Più sarà lenta la fase di ebollizione, meno la rana capirà in tempo utile o in extremis in quale gioco nefasto, ma inizialmente confortevole è andata a cacciarsi.
Al dottor Massimo Giletti
conduttore della trasmissione “Non è l’arena”
Dottor Giletti,
ho seguito con attenzione la puntata di “Non è l’arena” del 20 dicembre scorso. Guardo ormai di rado la televisione, ma capita spesso di osservare la sua produzione quasi sempre interessante, incalzante, il più delle volte con una rappresentazione sufficientemente completa della realtà, altre volte con una intensità ed una partecipazione drammatica talmente forte da spingere ad una visione unilaterale, distorta, deleteria e spesso tribunizia dei problemi posti. Nella fattispecie mi riferisco alla parte di trasmissione dedicata ai problemi di inquinamento e sanitari legati al complesso industriale dell’ILVA di Taranto. Sono originario di quelle parti, ne sono andato via ormai da più di trenta anni, ci torno comunque molto volentieri in vacanza quasi ogni anno, conosco la radicale e particolare combattività di quella popolazione ma osservo anche il progressivo degrado di quell’area, simile purtroppo ad altre del paese e in particolare del Mezzogiorno. Negli anni ‘70 ho esercitato funzioni pubbliche relativamente a margine di quell’area, ma sufficientemente prossime da poter conoscere e nel mio piccolo influenzare la situazione sociopolitica del tarantino. Ho conosciuto il fervore, le aspettative generate dall’insediamento dell’acciaieria, ma anche le enormi problematiche che avrebbe generato progressivamente, ma allora già incipienti se non adeguatamente affrontate. Oggi siamo certamente di fronte forse nemmeno ancora all’epilogo, ma di sicuro all’agonia di una tragedia sanitaria ed ambientale certamente, ma anche economica di quella zona e di tutto il paese, in particolare nella fattispecie nella capacità di controllo delle leve economiche. Un dramma che però deve essere risolto positivamente di pari passo con l’altro. Lascio perdere la narrazione a buon mercato e facilona di un paese intero, ma anche di un territorio così esteso e popolato che possa vivere di solo turismo ed agricoltura. Di quale turismo e di quale agricoltura ci sarebbe comunque da discutere, viste le luci e le ombre che caratterizzano quelle attività in quell’area, come in tante altre per la verità. Non è questo il cuore del problema. Ci sono ormai innumerevoli esperienze di paesi di una certa importanza e dimensione che hanno scelto questa strada e che sono finite velocemente nell’irrilevanza politica e nella tragedia economica e sociale. Un paese che abbia a cuore il proprio benessere, la propria autonomia, la propria indipendenza, la propria coesione e progressione sociale non può rinunciare all’industria.
Non voglio dilungarmi eccessivamente; ci sarebbe da scrivere interi tomi e il blog di Italiaeilmondo.com nel suo piccolo ritiene di aver dato un proprio contributo al tema.
In sintesi cerco di affrontare il tema e rispondere ad alcuni luoghi comuni ricorrenti ed apparsi in modo unilaterale e senza contraddittorio nella sua trasmissione:
L’ILVA di Taranto, ex Italsider, è una delle attività superstiti che fornisce il prodotto di base all’industria cantieristica, meccanica, di utensileria, mezzi di produzione e quant’altro in Italia. Rappresenta l’esito di una grande battaglia politica simboleggiata da personaggi come Mattei, condotta da vari esponenti degli schieramenti politici sin dagli anni ‘50 contro altri ben insinuati nei gangli vitali; battaglia che pose le basi dello sviluppo industriale del paese
il IV centro siderurgico di Taranto non è nato in una fase di sovrapproduzione dell’acciaio, precisando che quando si parla di acciaio non si parla di un prodotto di base indistinto buono per tutti gli usi. Esistono delle precise e finalizzate specializzazioni di prodotto. Fuori dal contesto economico apparvero invece in parte il V e soprattutto il VI centro, del resto mai sorto a Gioia Tauro non ostante la costruzione del porto ad esso finalizzata
il fatto che un paese disponga di una propria industria di base non è affatto un fattore irrilevante e lo sarà sempre meno in una fase di crescente multipolarismo e di incipiente costruzione di diverse e tendenzialmente contrapposte sfere di influenza politiche ed economiche. Il parametro di sovrapproduzione su cui hanno più volte insistito tutti i partecipanti alla trasmissione sottende un contesto geopolitico e geoeconomico del tutto sorpassato se mai esistito
il gruppo Arcelor-Mittal non è un gruppo indiano; è un gruppo franco-indiano. La sua attività, il suo comportamento predatorio e i condizionamenti posti in essere e subiti da esso rientrano a pieno titolo per altro nel sordido scontro tutto interno all’Europa, in particolare alla Francia, alla Germania e all’Italia riguardo alla ripartizione delle quote di produzione di acciaio che vedeva l’Italia nei tempi andati detenere ampiamente il primato di produzione ed ora subire pesantemente la riduzione proporzionalmente maggiore delle quote sino a posizionarsi nelle retrovie tra i produttori europei
sulle vicende dell’ILVA agiscono sotto traccia dinamiche geopolitiche e logiche di posizionamento militare legate alla presenza dell’Arsenale, del porto militare e delle vicine basi aeree e di osservazione
i problemi di ristrutturazione e risanamento dello stabilimento si sono cumulati, acuiti progressivamente e di fatto saturati con la dissennata privatizzazione, purtroppo nemmeno l’unica, in favore della famiglia Riva, con il discutibile nelle modalità e tardivo intervento della magistratura e con l’insipienza politica legata alla scelta dell’affidatario, alle clausole e alle modalità di affidamento dello stabilimento al gruppo Arcelor-Mittal, alla gestione da parte del Governo e dei vari pesci in barile della Regione Puglia a dir poco dilettantesca la quale ha offerto all’impresa numerosi pretesti per la sua condotta predatoria e dilatoria
i problemi ambientali e sanitari di Taranto sono legati, oltre alle attività predominanti dell’ILVA, alla combinazione delle attività prospicienti della raffineria, del tutto passate sotto silenzio anche dalla stampa e dai contestatori; sono problemi cumulativi che riguardano la responsabilità a vari livelli, diretta ed indiretta, dei vari imprenditori avvicendatisi, degli organi di controllo e delle autorità politiche
buona parte dei problemi sanitari ed ambientali sulle popolazioni sono determinate anche dalla criminale vicinanza di insediamenti urbani sviluppatisi successivamente a quello industriale, in particolare il quartiere Tamburi, più che prossimi, praticamente all’interno dello stabilimento e delle correnti d’aria metereologiche peculiari della zona. Su questa prospicienza si dovrebbe in realtà agire per cominciare quantomeno a ridurre gli effetti immediati dell’inquinamento
la chiusura dello stabilimento di Taranto rappresenterebbe una sconfitta tragica del paese e della popolazione locale, per altro nient’affatto compatta nella richiesta di chiusura dello stabilimento e la conferma e consolidamento purtroppo duraturi nel tempo ai danni di una intera nazione di un ceto politico e di una classe dirigente miserabilmente ignavi
Ritengo non sia cinismo, ma realismo ed esperienza di chi in altri tempi qualche ruolo positivo pensa di averlo avuto. La chiusura dello stabilimento rappresenterebbe di fatto e purtroppo, mi duole il cuore dirlo, una sconfitta sonora anche dello stesso movimento ambientalista e di denuncia e contrasto dell’emergenza sanitaria che non è stato in grado nemmeno di pretendere con successo in questi anni la banale copertura dei depositi di minerali, figuriamoci di promuovere uno sviluppo alternativo e controllato dell’area, di un attivo processo di risanamento ambientale pur a spese degli interessi strategici di una nazione. Il miraggio della monocoltura del turismo e dell’agricoltura è l’ennesimo esempio dell’abitudine, purtroppo sempre più presente in quelle aree, ad affidare alle parole e agli slogan un valore taumaturgico destinato ad ingannare ed illudere in cambio del nulla o quasi
Dottor Giletti,
la concretezza e la verità, almeno a mio parere, è alla fine apparsa nella sua trasmissione, ma sul suo finire. Non la hanno proferita gli esperti, i giornalisti e i politici cosi animati, ben motivati ed animosi in quella trasmissione; l’ha espressa Vittorio, nel modo ingenuo, elementare e diretto proprio di un ragazzino: la salute, un ambiente vivibile ed una vita sociale serena devono convivere con l’esistenza ed il risanamento di quella industria. Evidentemente Vittorio ha saputo esprimere l’angoscia di una tragedia sanitaria ed ambientale che deve essere risolta con l’esistenza di una attività produttiva altrettanto indispensabile e propedeutica al benessere di una comunità e aggiungo io alla solidità di una nazione,
Giuseppe Germinario
https://www.la7.it/nonelarena/rivedila7/non-e-larena-puntata-del-20122020-21-12-2020-356659
NB_ l’intera trasmissione è interessante; l’argomento trattato parte dall’ora 1:45 della registrazione