È prematuro concludere che la Polonia abbia sostituito il ruolo della Germania nella guida della politica estera dell’UE_di ANDREW KORYBKO

È prematuro concludere che la Polonia abbia sostituito la Germania nel ruolo di guida della politica estera dell’UE

ANDREW KORYBKO
9 MAG 2023

La Polonia ha un’importanza senza precedenti al giorno d’oggi, ma la Germania continua a controllare la politica estera dell’UE. Ciò che è cambiato nell’ultimo anno, tuttavia, è che Berlino ha finalmente deciso di salire sul carro russofobico di Varsavia nel tentativo di guidare questa tendenza. I suoi politici hanno deciso di farlo per promuovere nel modo più efficace gli interessi nazionali del loro Paese, così come li intendono ora in questo nuovo ambiente. Il Cremlino deve riconoscere con urgenza questa realtà e formulare la politica di conseguenza.

L’ultima serie di analisi del Valdai Club per RT

Il direttore del programma del Valdai Club, Andrey Sushentsov, ha appena pubblicato su RT un articolo che spiega “Come i “nuovi” membri orientali dell’UE hanno preso il controllo del blocco”. Si tratta della terza analisi sulla Germania da parte di esperti del Valdai in due settimane, dopo quelle di Fyodor Lukyanov e Timofey Bordachev, che trattavano rispettivamente di “Come il Partito Verde ha trasformato la Germania in un Paese dell’Est” e di “Gli Stati Uniti stanno umiliando la Germania, e i russi sono profondamente delusi per la mancanza di spina dorsale delle élite di Berlino”.

Il filo conduttore che lega la serie di articoli è che la Germania ha perso la sua posizione di leader nella formulazione della politica estera dell’UE dall’inizio dell’operazione speciale della Russia. Lukyanov attribuisce questo fenomeno alla sproporzionata influenza politica esercitata dai Verdi radicali allineati agli Stati Uniti, Bordachev incolpa direttamente l’ingerenza degli Stati Uniti, mentre Sushentsov sostiene che la responsabilità è da attribuire alla rapida ascesa regionale della Polonia, alleata degli Stati Uniti. Come si può notare, tutte e tre le spiegazioni, in un modo o nell’altro, sono riconducibili agli Stati Uniti.

Critiche costruttive delle menti più brillanti della Russia

Per quanto perspicaci siano le analisi di questi esperti, ognuna di esse è tuttavia incompleta. Lukyanov non ha affrontato il ruolo della rapida ascesa regionale della Polonia, Bordachev sminuisce l’impatto a lungo termine del nuovo approccio regionale della Germania alla Russia (indipendentemente da ciò che c’è dietro), mentre Sushentsov ha concluso prematuramente che la Polonia ha già sostituito il ruolo della Germania nel guidare la politica estera dell’UE. Le analisi dei primi due esperti sono già state criticate a lungo in modo costruttivo nelle seguenti risposte:

* “Il nuovo ruolo anti-russo della Germania è parzialmente dovuto alla competizione regionale con la Polonia”.

* “La Russia deve ancora una volta prepararsi a una prolungata rivalità con la Germania”.

Il presente articolo intende quindi criticare costruttivamente la valutazione di Sushentsov per integrare le risposte sopra citate, il cui scopo è quello di articolare in modo esaustivo un’interpretazione contraria dell’attuale ruolo della Germania nella formulazione della politica estera dell’UE. Questa risposta in particolare sostiene che la sua conclusione secondo cui la Polonia avrebbe sostituito il ruolo della Germania in questo ambito è prematura, evidenziando al contempo alcune lacune nella spiegazione fornita nel suo articolo.

La fallacia ideologica delle élite occidentali

Per cominciare, Sushentsov ha ragione nell’osservare che “il conflitto mostra l’emergere di un nuovo equilibrio di potere in Europa”, guidato dalla rapida ascesa regionale della Polonia, ma è rispettosamente fuori strada nell’insinuare che questo avrebbe potuto essere evitato se l’UE non si fosse espansa a est. Il modello economico tedesco non è stato costruito solo sul carburante russo a prezzi accessibili, come ha giustamente osservato, ma anche sull’accesso ai mercati emergenti dell’ex blocco orientale, tra i quali quello polacco è di gran lunga il più grande in questa parte d’Europa.

La securizzazione dei legami con la Russia, storicamente determinata da questo Paese e dai suoi partner baltici, li ha spinti a dare priorità all’integrazione nell’UE a guida tedesca e nella NATO a guida statunitense, strutture egemoniche occidentali complementari che si sono espanse verso est parallelamente l’una all’altra. Berlino le ha accettate per motivi economici, mentre Washington è stata motivata da fattori militari, che sono serviti entrambi a far progredire la loro comune visione del mondo unipolare liberale-globalista, descritta nei due collegamenti ipertestuali precedenti.

L’Europa centrale e la Cina hanno screditato la visione liberale-globalista del mondo

Di rilievo per questo articolo è la convinzione dogmatica dell’ideologia dell’inevitabile erosione delle identità etno-nazionali a favore di quelle sovranazionali, come l’associazione con l’Europa o con l’Occidente in senso più ampio, ma questo assunto è stato screditato dalle tendenze socio-culturali interne in Polonia e negli Stati baltici. Questi Paesi si sono mossi nella direzione opposta, facendo dell’identità etno-nazionale il pilastro dei loro Stati post-comunisti, pur continuando a integrarsi in quelle strutture politico-militari sovranazionali.

Questo è simile a ciò che è accaduto dopo che l’Occidente ha integrato la Cina nelle sue strutture economiche sovranazionali come l’Organizzazione Mondiale del Commercio. I loro leader pensavano che questo avrebbe inevitabilmente portato all’integrazione politica del Paese nel loro previsto ordine mondiale liberal-globalista, ma la Cina ha mantenuto il pilastro economico della sua statualità post-rivoluzionaria, proprio come la Polonia e gli Stati baltici hanno mantenuto l’identità etno-nazionale dei loro Stati post-comunisti. Entrambi i progetti di costruzione della nazione sono quindi falliti.

L’influenza delle tendenze russofobiche e del multipolarismo finanziario

Di conseguenza, ognuno di loro ha cercato di portare avanti gli interessi allineati con i rispettivi pilastri dei loro Stati all’interno delle strutture in cui si sono integrati con successo. La Polonia e gli Stati baltici hanno spinto la russofobia all’interno dell’UE-NATO, mentre la Cina ha spinto il multipolarismo finanziario all’interno dell’OMC. Ognuno di essi ha finito per avere un successo strepitoso, anche se in gran parte dovuto a circostanze al di fuori del loro diretto controllo: la guerra per procura tra NATO e Russia in Ucraina e la crisi finanziaria del 2008.

Non è compito di questo articolo spiegarne le origini, ma la presente analisi si occupa della prima, mentre la seconda è dovuta principalmente alla dilagante finanziarizzazione dell’economia globale. La guerra per procura tra NATO e Russia in Ucraina ha creato il contesto narrativo in cui la Polonia e gli Stati baltici hanno potuto spingere con successo la russofobia in Occidente, mentre la crisi finanziaria del 2008 ha creato le condizioni in cui la Cina ha potuto spingere con successo il multipolarismo finanziario nel Sud globale.

La russofobia e il multipolarismo finanziario sono stati quindi abbracciati da molti in Occidente e nel Sud globale, il che ha messo in moto una serie di eventi in rapida evoluzione che hanno rimodellato le politiche di paesi diversi da quelli che erano stati i primi responsabili di queste tendenze. Ciò ha portato la Germania, economicamente pragmatica e amica della Russia, a formulare una grande strategia russofoba, proprio come l’Arabia Saudita, detentrice del dollaro e alleata degli Stati Uniti, sembra pronta a formularne una basata sul multipolarismo finanziario.

I ruoli di Germania e Arabia Saudita nell’ordine mondiale emergente

In ciascuno di questi due esempi, coloro che in precedenza erano molto indietro rispetto a queste tendenze hanno cercato di recuperare il tempo perduto e di svolgere un ruolo di primo piano in esse, da quando hanno capito che non si può tornare allo status quo precedente alla guerra per procura tra NATO e Russia in Ucraina e alla crisi finanziaria del 2008, rispettivamente. La tendenza russofoba di cui sono responsabili la Polonia e gli Stati baltici non può essere sostenuta senza la Germania, così come la tendenza al multipolarismo finanziario della Cina non può avere successo senza l’Arabia Saudita.

Entrambi avrebbero preferito mantenere tutto com’era per quanto riguarda i legami economici tra Germania e Russia e quelli finanziari tra Arabia Saudita e Stati Uniti, ma ognuno di loro riconosce anche che le circostanze al di fuori del loro controllo sono responsabili del cambiamento di questi legami. Berlino si è avvicinata molto agli Stati Uniti, mentre Riyadh si sta avvicinando molto alla Cina, poiché ognuna di queste superpotenze è responsabile dell’avvio delle tendenze russofobiche e del multipolarismo finanziario che hanno ridisegnato questi assi.

Simbiosi strategica tra Germania-Polonia e Arabia Saudita-Cina

Gli Stati Uniti sono responsabili della guerra per procura NATO-Russia che ha portato la russofobia della Polonia e degli Stati baltici a diventare la norma in tutto l’Occidente, mentre la Cina è responsabile del radicamento della de-dollarizzazione in tutto il Sud globale nel decennio e mezzo successivo alla crisi finanziaria del 2008. La Polonia è ancora il maggior beneficiario dei programmi economici dell’UE a guida tedesca, mentre il petroyuan, da cui dipendono i piani di multipolarità finanziaria della Cina, non può avere successo senza il sostegno saudita.

Invece di sfruttare queste relazioni per frenare queste tendenze, la Germania e l’Arabia Saudita hanno deciso di svolgere ruoli di primo piano in ognuna di esse, poiché hanno concluso che non è possibile tornare allo status quo precedente ed è quindi nel loro interesse nazionale non essere lasciati indietro. La Germania ha quindi deciso di guidare il contenimento della Russia in Europa, le cui origini spirituali nel continente risalgono più recentemente alla Polonia e agli Stati baltici, alleati degli Stati Uniti, mentre l’Arabia Saudita è pronta ad accelerare la de-dollarizzazione guidata dalla Cina.

Spunti analitici

Da queste osservazioni si possono trarre diversi spunti analitici per quanto riguarda il ruolo della Germania nel guidare la politica estera dell’UE, su cui tre esperti del Valdai Club si sono già espressi per RT nell’arco di appena mezzo mese. In primo luogo, la cosiddetta “fine della storia” che l’élite liberal-globalista a guida tedesca dell’UE e americana della NATO si aspettava dopo il 1991 non si è realizzata nemmeno all’interno dello stesso Occidente, come dimostra la priorità data dalla Polonia e dagli Stati baltici alle politiche etno-nazionali.

In secondo luogo, lo status di queste politiche come pilastro degli Stati post-comunisti di questi Paesi li ha influenzati a spingere i relativi interessi politici all’interno delle strutture egemoniche occidentali in cui si sono integrati con successo. In terzo luogo, la guerra per procura tra NATO e Russia in Ucraina, scoppiata per ragioni al di fuori del loro controllo, ha creato il contesto narrativo all’interno del quale la Polonia e gli Stati baltici hanno potuto spingere con successo la russofobia in tutto l’Occidente, come hanno già cercato di fare per decenni.

In quarto luogo, la sequenza di eventi che ne è derivata ha portato altri Paesi, come la Germania, a concludere che è impossibile ripristinare lo status quo precedente e a cercare quindi di salire sul carro dei vincitori per perseguire i propri interessi nazionali, così come i politici li intendono ora in questo nuovo ambiente. E in quinto luogo, lungi dal cedere il controllo della politica estera dell’UE alla Polonia, la Germania sta attivamente competendo con essa per stabilire quale delle due possa contenere più efficacemente la Russia in Europa.

Riflessioni conclusive

Applicando la visione di cui sopra all’ultima serie analitica del Valdai Club per RT, tre delle menti più brillanti della Russia possono essere criticate in modo costruttivo per quanto segue: Lukyanov ignora il ruolo della Polonia, Bordachev minimizza quello di politica interna e Sushentsov esagera il ruolo della Polonia. Tutti hanno ragione nel ricondurre questa tendenza agli Stati Uniti, ma faticano a valutare con precisione il ruolo della Polonia e l’influenza che ha avuto sui politici tedeschi.

La Polonia ha un’importanza senza precedenti oggi, ma la Germania continua a controllare la politica estera dell’UE. Ciò che è cambiato nell’ultimo anno, tuttavia, è che Berlino ha finalmente deciso di salire sul carro russofobico di Varsavia nel tentativo di guidare questa tendenza. I suoi politici hanno deciso di farlo per promuovere nel modo più efficace gli interessi nazionali del loro Paese, così come li intendono ora in questo nuovo ambiente. Il Cremlino deve urgentemente riconoscere questa realtà e formulare la politica di conseguenza.

La Russia deve ancora una volta prepararsi a una prolungata rivalità con la Germania

ANDREW KORYBKO
27 APR 2023

Prima la comunità degli esperti russi abbandonerà le speranze di un riavvicinamento con la Germania, prima il Cremlino potrà promulgare le politiche appropriate per contenere questa minaccia latente prima che sia troppo tardi.

I massimi esperti russi Fyodor Lukyanov e Timofey Bordachev hanno pubblicato su RT due analisi consecutive sulle relazioni del loro Paese con la Germania, che suggeriscono entrambe un certo wishful thinking. Il primo è stato criticato in modo costruttivo in questa sede, in quanto ha omesso di menzionare la competizione regionale della Germania con la Polonia come fattore alla base del suo nuovo ruolo anti-russo. Al secondo, invece, si risponderà nel presente pezzo che si rivolgerà anche alla comunità degli esperti russi in generale.

L’estate scorsa, il Presidente Putin ha messo in guardia gli analisti del suo Paese dall’indulgere in pensieri velleitari, parlando al personale in servizio e ai veterani del Servizio segreto estero (SVR) in occasione del centenario della fondazione della struttura da parte dell’URSS. Ha consigliato che “l’analisi deve essere realistica, obiettiva e basata su informazioni verificate e su un’ampia gamma di fonti affidabili. Non si deve indulgere in pensieri velleitari”, che è esattamente ciò che si deve tenere a mente riguardo alle relazioni della Russia con la Germania.

Nel loro insieme, gli articoli di Lukyanov e Bordachev lasciano intendere che i legami potrebbero migliorare nel caso in cui i Verdi non influenzassero la formulazione della politica estera del Paese. Se è vero che la destra e la sinistra tedesche condividono la necessità di migliorare i legami con la Russia per ripristinare l’accesso affidabile del Paese all’energia a basso costo, che ha costituito la base del suo modello economico di grande successo per decenni, non si può dare per scontato che una delle due guiderà la Germania a breve.

Invece di sperare che questo scenario si realizzi nel prossimo futuro, la Russia deve prepararsi ancora una volta a una rivalità prolungata con la Germania. A differenza degli anni Trenta, questa non è predestinata a sfociare in un’altra guerra mondiale, ma evoca effettivamente le sfumature della guerra per procura nazi-sovietica in Spagna quando si tratta del crescente ruolo militare di Berlino nella guerra per procura della NATO contro la Russia attraverso l’Ucraina. Gli esperti russi dovrebbero considerare questo sviluppo come un punto di svolta nelle relazioni bilaterali con la Germania.

Non si può tornare indietro dopo quello che Berlino ha appena fatto, poiché la sua leadership ha chiaramente segnalato alla Russia che si considera davvero in una Nuova Guerra Fredda con Mosca sul futuro dell’ordine mondiale emergente ed è disposta a uccidere indirettamente i russi in Ucraina per far avanzare la propria agenda. Il Cancelliere Scholz è un “leader debole”, esattamente come ha valutato Bordachev nella sua analisi per RT, ma il manifesto che ha svelato negli Stati Uniti all’inizio di dicembre a nome della sua burocrazia permanente dovrebbe essere preso sul serio.

È stato analizzato a lungo qui, ma può essere riassunto come la Germania che finalmente dichiara le sue ambizioni egemoniche, già percepibili durante l’era della Merkel. A metà marzo, il segretario del Consiglio di sicurezza nazionale russo Nikolai Patrushev ha dichiarato che “per anni la Casa Bianca ha controllato [l’ex cancelliere] Angela Merkel”, il che ha indotto a rivalutare la sua eredità dopo che molti, sia nella comunità degli Alt-Media che in quella degli esperti russi, l’avevano erroneamente considerata amichevole.

La sua candida ammissione, all’inizio di dicembre, che gli accordi di Minsk erano solo un espediente per riarmare Kiev in vista di un’offensiva finale contro il Donbass sostenuta dalla NATO, ha dimostrato che la Germania ha sempre cospirato contro la Russia, ma la sua stretta relazione con il Presidente Putin ha fuorviato il Cremlino. È comprensibile, col senno di poi, che la comunità di esperti russi abbia creduto alle sue operazioni di influenza ad alto livello, ma i pezzi di Lukyanov e Bordachev suggeriscono che essa è ancora aggrappata alle speranze di un riavvicinamento.

Con il massimo rispetto per entrambi, si tratta di esperti razionali che faticano a riconoscere che i loro colleghi tedeschi non vedono più le relazioni con la Russia come reciprocamente vantaggiose, ma come un peso per ragioni ideologiche e geopolitiche. Il primo si riferisce alla loro visione del mondo liberal-globalista, completamente in contrasto con quella conservatrice-sovranista della Russia, i cui dettagli possono essere letti nei precedenti collegamenti ipertestuali, mentre il secondo è stato trattato nella precedente risposta a Lukyanov.

La visione del mondo polarmente opposta della Germania e la competizione regionale con la Polonia per l’influenza sull’Europa centrale e orientale (CEE), in particolare sull’Ucraina ma anche sulla Bielorussia, rendono inevitabile la sua prolungata rivalità con la Russia. Tutto si è già spostato troppo avanti su questa traiettoria per essere invertito, soprattutto dopo che Scholz ha presentato il suo già citato manifesto egemonico all’inizio di dicembre, che può essere considerato come una promulgazione della prolungata rivalità della Germania con la Russia nella politica ufficiale.

Non si può tornare indietro dopo che il proverbiale Rubicone è stato appena attraversato, e aggrapparsi alla speranza che tutto possa presto cambiare è solo un meccanismo di coping per coloro che sono ancora sotto shock dopo ciò che è appena accaduto. Invece di rimanere nella fase di negazione o di attribuire tutto a un singolo partito politico, gli esperti russi devono riconoscere con urgenza questo stato di cose, approvato dalla burocrazia permanente della Germania. Poiché la Germania si sta preparando a una prolungata rivalità con la Russia, quest’ultima non ha altra scelta che fare altrettanto.

Di conseguenza, la Russia dovrebbe porre la Germania nella stessa categoria degli Stati Uniti e del Regno Unito, percependola come un rivale interminabile invece che come un possibile partner. Tutti e tre funzionano come parti complementari dell’egemone liberal-globalista che si contende il dominio del mondo nella nuova guerra fredda. A meno che non si verifichi l’evento del cigno nero dell’assunzione del cancellierato da parte dell’AfD o di Die Linke, che l’élite al potere in Germania cospirerà con i suoi alleati anglo-americani per fermare con le buone o con le cattive, questa è la “nuova normalità”.

Qualsiasi segnale di dissenso interno dovrebbe essere ignorato dagli esperti russi, poiché è molto improbabile che rappresenti una tendenza emergente. I gestori della percezione della Germania potrebbero addirittura maliziosamente ritrarli per fuorviare Mosca, soprattutto se le sue agenzie di intelligence valutano che i politici rimangono illusi sulla possibilità di un riavvicinamento, come suggeriscono gli ultimi articoli di Lukyanov e Bordachev, il che potrebbe ritardare ulteriormente la formulazione di una risposta appropriata da parte del Cremlino.

In prospettiva, si prevede che la rivalità russo-tedesca definirà il fronte europeo della nuova guerra fredda, in particolare la sua dimensione ideologica, dal momento che entrambi sposano visioni del mondo completamente diverse. Attualmente, le ambizioni continentali della Germania sono in parte tenute sotto controllo dall’ascesa della Polonia come Grande Potenza nello spazio CEE, ma la potenziale sconfitta del partito di governo “Diritto e Giustizia” (PIS) alle elezioni di quest’autunno potrebbe trasformare il Paese in uno Stato cliente se l’opposizione sostenuta da Berlino andasse al potere.

Anche se il PIS manterrà la sua posizione di leader, indipendentemente dal fatto che entri in coalizione con il partito anti-establishment Confederazione, la Germania rimarrà il principale rivale della Grande Potenza russa in Europa per le ragioni geopolitiche e ideologiche che sono state spiegate in questa analisi. Quanto prima la comunità di esperti russi abbandonerà le speranze di un riavvicinamento con la Germania, tanto prima il Cremlino potrà promulgare le politiche appropriate per contenere questa minaccia latente prima che sia troppo tardi.

Il nuovo ruolo anti-russo della Germania è in parte dovuto alla competizione regionale con la Polonia

ANDREW KORYBKO
25 APR 2023

Le motivazioni ideologiche e le oscure reti di influenza degli Stati Uniti sono sufficienti a spiegare il passaggio della Germania da primo partner della Russia in Europa a uno dei suoi principali avversari. L’ultima analisi di Fyodor Lukyanov, esperto russo di primo piano, avrebbe probabilmente beneficiato dell’inserimento di una dimensione geopolitica per quanto riguarda la competizione regionale della Germania con la Polonia.

Il presidente del Consiglio per la politica estera e di difesa e direttore di ricerca del prestigioso Valdai Club Fyodor Lukyanov, le cui posizioni lo rendono uno dei principali influencer politici russi, ha osservato nella sua ultima analisi per RT che “il Partito Verde ha trasformato la Germania in un Paese dell’Est”. Secondo Lukyanov, “la Germania si è ora spostata verso una posizione convenzionale dell’Europa orientale (nei confronti della Russia), così come in precedenza era stata un pilastro del normale posizionamento dell’Europa occidentale”.

Lukyanov ritiene che ciò sia principalmente attribuibile all’influenza che i Verdi stanno esercitando sulla grande strategia della Germania, alla quale, a suo dire, vengono ora promesse ulteriori garanzie di sicurezza da parte degli Stati Uniti in cambio dell’abbandono del precedente pragmatismo e dell’autonomia economica strategica nei confronti della Russia. Questa è una spiegazione ragionevole di come gli Stati Uniti abbiano affermato con successo la loro egemonia, precedentemente in declino, sul leader de facto dell’UE, ma c’è dell’altro, con tutto il rispetto per questo esperto.

Le motivazioni ideologiche e le oscure reti di influenza degli Stati Uniti possono spiegare solo in parte il passaggio della Germania da primo partner della Russia in Europa a uno dei suoi principali avversari. L’analisi di Lukyanov potrebbe trarre vantaggio dall’inserimento di una dimensione geopolitica nella competizione regionale della Germania con la Polonia, la quale intende ripristinare la sua “sfera d’influenza”, da tempo perduta, e persino ampliarla. A tal fine, nell’ultimo anno la Polonia ha enfatizzato la minaccia tedesca all’Europa centrale e orientale (CEE).

Ha sfruttato la percezione della visibile riluttanza di Berlino, fin dall’inizio dell’operazione speciale della Russia, a svolgere un ruolo di primo piano nella conseguente guerra per procura della NATO lungo le linee di Varsavia e degli Stati baltici, per temere che la Germania potesse essere segretamente in combutta con il Cremlino. Dopo aver fatto leva su ricordi storici estremamente delicati legati al Patto Molotov-Ribbentrop, la Polonia è stata in grado di esercitare la massima pressione sulla Germania affinché abbandonasse il suo precedente pragmatismo nei confronti di Mosca.

I fattori precedentemente identificati dell’ideologia liberal-globalista e dell’influenza oscura degli Stati Uniti hanno fatto sì che il timore a somma zero di alcuni politici tedeschi che la Polonia sia pronta a sostituire l’influenza del loro Paese sui Paesi dell’Europa centrale e orientale nel corso di questo conflitto abbia portato al previsto pivot anti-russo degli Stati Uniti. Se non fosse stato per i due fattori sopra citati, questo stesso timore non sarebbe stato messo in atto, ma si può anche dire che questo timore ha influenzato la politica che questi due fattori hanno influenzato.

Invece di esserci due ragioni primarie per cui la Germania ha iniziato il suo pivot anti-russo, ce ne sono in realtà tre, con le prime due che Lukyanov ha identificato che hanno una relazione simbiotica con la terza che è stata introdotta in questa analisi. I timori geopolitici nei confronti della Polonia hanno portato alla preventiva creazione di un quadro di contingenza che è stato poi messo in atto grazie a catalizzatori ideologico-influenzali interconnessi. Se uno di questi fattori non fosse stato presente, probabilmente la Germania non avrebbe fatto perno sulla Russia.

Per stessa ammissione dell’ex Cancelliere Merkel, è ormai noto che Berlino non ha mai avuto alcuna intenzione di rispettare gli accordi di Minsk, cercando invece di sfruttarli per riarmare Kiev in vista di un’offensiva finale contro il Donbass. Ciò dimostra che la Germania ha cercato di espandere la propria influenza fino alle regioni più lontane della CEE per tutto questo tempo, ma questo grande obiettivo strategico è stato bruscamente messo in discussione dall’operazione speciale della Russia e dal ruolo di primo piano che la Polonia si è assegnata nel combattere la guerra per procura della NATO.

Nonostante i fattori ideologici e di influenza che già esercitavano un’influenza sulla politica tedesca all’inizio di questo conflitto, non erano abbastanza potenti da soli per far sì che la Germania giocasse un ruolo uguale a quello della Polonia. I politici potrebbero aver pensato, a torto, che sarebbe finita in poche settimane o al massimo in un mese, scommettendo così che fosse meglio mantenere una politica relativamente più pragmatica nei confronti della Russia, nonostante la sua adesione alle richieste di sanzioni degli Stati Uniti.

È stato solo dopo che è apparso evidente che il conflitto si sarebbe probabilmente protratto nel tempo che hanno iniziato a valutare se cambiare la loro posizione assumendo un qualche ruolo militare in risposta all’immensa pressione di competere con la Polonia per i cuori e le menti nella CEE. Dal punto di vista degli Stati Uniti, era utile incoraggiare queste dinamiche per evitare di dipendere troppo dalla Polonia come primo partner europeo dopo la fine del conflitto e per far sì che la Germania rovinasse i suoi legami con la Russia.

La confederazione de facto annunciata da Polonia e Ucraina dopo il viaggio del presidente Duda a Kiev a fine maggio 2022 ha fatto temere alla Germania che il suo vicino potesse batterla nella competizione per diventare il più importante partner dell’Ucraina dopo il conflitto. Questo sviluppo, unito alle crescenti pressioni di soft power esercitate dalla Polonia nei Paesi dell’Europa centrale, ha fatto sì che la Germania prendesse finalmente in considerazione un ruolo maggiore in questa guerra per procura, culminata con il manifesto egemonico del Cancelliere Scholz, presentato negli Stati Uniti lo scorso dicembre.

Tutto ciò che è seguito riguardo al crescente ruolo della Germania come Grande Potenza anti-russa può essere collegato a quel precedente manifesto, che è stato analizzato a lungo nel collegamento ipertestuale incorporato per quei lettori intrepidi che desiderano saperne di più. Questa grande strategia non sarebbe stata condivisa con il pubblico se non fosse stato per la confluenza di fattori ideologici, di influenza e geopolitici, dimostrando così l’importanza di tutti e tre e in particolare dell’ultimo.

Tornando all’analisi di Lukyanov, essa è ovviamente molto perspicace, ma rimane incompleta in quanto manca il fattore polacco, che spiega perché gli altri due hanno portato alla fine dell’anno scorso a una svolta antirussa della Germania e non subito dopo l’inizio dell’operazione speciale. In ogni caso, la sua conclusione che la Germania è oggi uno dei principali oppositori della Russia è significativa perché si può intuire che rifletta le opinioni dei suoi colleghi influenti in materia di politica, il che non lascia presagire nulla di buono per il futuro dei legami bilaterali.

https://korybko.substack.com/p/its-premature-to-conclude-that-poland

https://korybko.substack.com/p/russia-needs-to-once-again-brace

https://korybko.substack.com/p/germanys-new-anti-russian-role-is

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OLAF SCHOLZ: L’ALTRA EUROPA GEOPOLITICA_di Olaf Scholz

Il discorso del cancelliere tedesco Olaf Scholz, qui tradotto, tenuto il 9 maggio al Parlamento Europeo, preceduto da un saggio-manifesto sulla rivista statunitense “Politico” a dicembre, anch’esso a suo tempo tradotto, rivela sostanzialmente due aspetti più volte rimarcati su questo sito: in Europa le spinte all’autonomia e all’indipendenza politica, sia pure flebili, esistono ma non riescono a trovare una espressione politica compiuta e matura; l’attuale compagine governativa tedesca, di fatto il ceto politico nella sua quasi totalità, si pone comunque agli antipodi di questa aspirazione. Li si coglie in ogni punto di questo discorso nel momento in cui:

  • definisce imperialistica la politica estera russa, quando il suo carattere prevalente è nazionalista. Un carattere alimentato soprattutto dalla natura espansionista della NATO, ben assecondata dal processo di allargamento della Unione Europea e dagli atti di aperta discriminazione delle popolazioni russe rimaste intrappolate nei nuovi stati scaturiti dall’implosione della Unione Sovietica;
  • ripropone una funzione ancillare alla Unione Europea quando definisce nella mera regolazione e normazione in punta di diritto dei rapporti e delle relazioni internazionali, siano esse di natura economica che diplomatica, la ragione di esistenza delle istituzioni europee, delegando con ciò ad altri la riserva di potenza necessaria a supportare autorità ed autorevolezza; una riproposizione della coltre di ipocrisia tesa che ha coperto per decenni la reale ragione d’esistenza della UE, consistita nello scindere il nesso tra forza e diritto e nel nascondere con sempre più ridotta efficacia sotto l’aura della forza propria del diritto la propria condizione di sudditanza.

Aspetti, quindi, dalle implicazioni politiche ormai evidenti e stridenti con una postura dignitosa nell’attuale contesto geopolitico. 

Di fatti, dopo qualche timido tentennamento iniziale, il leader tedesco non fa che traslare pedissequamente il peccato d’origine e la ragione d’esistenza antisovietica e filostatunitense della Unione Europea in quella antirussa, per meglio dire russofobica.

Una vera e propria, formale abdicazione da un ruolo autonomo compiuto, mai realmente considerato ed acquisito in questi ottanta anni.

Tre sono gli obbiettivi politici posti da Scholz:

  • l’accelerazione del processo di allargamento della UE, in particolare nei Balcani e ai confini della Russia. Il risultato sarà quello di accompagnare il ben più importante e strategico allargamento della NATO all’ulteriore indebolimento politico di una Unione incapace di formare un polo politico autonomo realmente coeso, magari più ristretto, però più efficace; in grado, quindi, di aggregare o quantomeno influenzare il resto del continente senza cercare contrapposizioni forzate con la Russia e la Cina;
  • una maggiore coesione ed efficacia decisionale interna con il voto a maggioranza in politica estera, di difesa e di immigrazione. L’assenza della rivendicazione di una politica industriale e finanziaria comune, come pure il mancato inserimento del contenzioso commerciale con gli Stati Uniti la dice lunga sul reale afflato unitario del suo proclama. Riguardo alla politica estera, la vera natura della UE, ossia la mancanza di una visione statuale unitaria del continente, emerge dal continuo strattonamento sulle priorità da definire e sull’assenza di definizione politica unitaria rispetto ai tutti e quattro i quadranti geografici che contornano il continente. Una definizione cui non si può pervenire con un voto a maggioranza, ma con una sintesi unitaria che al momento e nel futuro solo gli Stati Uniti sono in grado di garantire. Quanto alla politica di difesa e di sviluppo del complesso militare-industriale europeo, parlano da soli l’assenza di citazione dei progetti industriali comuni europei e il veto tedesco alla proposta francese di garantire all’industria europea l’esclusiva delle forniture ai propri eserciti;
  • il ripristino e il mantenimento della apertura e della cooperazione globale. Delle due l’una: siamo alla totale incomprensione della nuova fase geopolitica e geoeconomica verso cui ci si sta avviando nell’aspettativa illusoria del ritorno agli antichi fasti che hanno consentito alla Germania di lucrare copiosamente sulla propria posizione ancillare verso gli Stati Uniti e sub-egemonica in Europa; oppure siamo alla riproposizione di una funzione messianica e universalista del liberalismo occidentale, di fatto a guida statunitense, contrapposta anche fisicamente nelle varie parti del globo ai poli in formazione in un contesto multipolare ormai esplicitamente riconosciuto dallo stesso Scholz. Si tratta certamente, con questa considerazione, di allettare con un miraggio la stessa Cina per allontanarla dalla crescente tentazione di una alleanza stretta con la Russia capace di attrarre larga parte del mondo circostante. Lo sguardo di Scholz è però rivolto soprattutto all’interno dell’Europa. La sua visione ecumenica tende a contrastare l’emersione di rivali interni, in particolare la Polonia, con il corollario dei paesi scandinavi da una parte e dei paesi baltici e la Romania dall’altra, altrettanto e più congeniali agli attuali disegni statunitensi, i quali paesi hanno fondato sul nazionalismo straccione le proprie profferte di fedeltà atlantica.

L’ambizione ancillare di Scholz, della sua compagine e di gran parte della opposizione politica è certamente fondata. Posta di fronte ad un bivio, la Germania ha scelto la strada più facile ed apparentemente meno impegnativa. Tra il recupero dei cocci della sua sfera di sub-influenza nel vicinato e la prospettiva di rapporti più intensi con Russia e, presumibilmente, Cina ha scelto la prima pur di non contrariare l’attuale leadership statunitense. Con questo ha posto una pietra tombale sul timido tentativo di impostare una propria politica di influenza sull’Europa Orientale e la Russia, naufragata miseramente e tragicamente a cavallo degli anni 80/90 con l’assassinio di Herrhausen e Roewedder. Sholz dovrà passare, però, per il nodo scorsoio del campo d’azione geopolitico più ristretto e competitivo e per le crescenti e rapaci richieste, di fatto un vero e proprio saccheggio, esatte dagli Stati Uniti, ben lontane dai lauti margini concessi nei gloriosi trenta (quaranta) anni succeduti al secondo conflitto mondiale. Il nostro corre il rischio da un lato di agevolare la formazione di un cappio in grado di stringere il proprio paese da ovest con il Regno Unito, da Nord con gli scandinavi, da est con Polonia e soci e di alimentare dall’altro le rivalità interne al continente anche tra i paesi più importanti. L’esito prevedibile consisterà nell’innescare una gara convulsa al riconoscimento del proprio ruolo ancillare verso la nazione egemone; Giorgia Meloni e il suo governo ne sono l’ultimo esempio. La leadership statunitense sino a quando sarà in grado di tenere le redini e condurre il gioco, riuscirà a contenere e ricondurre ai propri disegni ambizioni e rivalità; dovesse implodere rischieremo il ritorno a scenari tragici già vissuti due volte nel secolo scorso, ma in condizioni peggiori di disfacimento. Buona lettura, Giuseppe Germinario

OLAF SCHOLZ: L’ALTRA EUROPA GEOPOLITICA
Scholz sta diventando il nuovo think tank del continente? Nel suo discorso al Parlamento europeo del 9 maggio, il Cancelliere tedesco ha proposto una formulazione alternativa dell’Unione geopolitica, opposta a quella di un’Europa potenza immersa nel mito della civiltà. Lo traduciamo e lo commentiamo riga per riga per la prima volta.
AUTORE PIERRE MENNERAT

Il discorso di Olaf Scholz per la Giornata dell’Europa prosegue una serie di interventi iniziata a Praga nel settembre 2022 e guarda già alle prossime elezioni europee del 2024. Questo discorso commemorativo non è una dichiarazione politica generale, ma ci permette di cogliere alcuni dei punti chiave della politica europea della coalizione tricolore in carica dal novembre 2021: il Cancelliere elogia l’Unione e ne presenta anche una concezione specificamente tedesca.

Si tratta indubbiamente di una volontà di “occupare spazio” in Europa e di sottrarre al presidente francese – indebolito dalla crisi sociale in Francia – una forma di leadership nell’agenda. Lo stile non è dissimile da quello di Emmanuel Macron. Come lui, Olaf Scholz fa largo uso di riferimenti, mescolando citazioni politiche (Robert Schuman e Willy Brandt) e letterarie (Paul Valéry e Oscar Wilde) per arricchire il suo discorso.

Il Cancelliere pronuncia un discorso che è una variante dello slogan socialdemocratico “L’Europa è il nostro futuro”, messo in prospettiva rispetto alla frattura civile rappresentata dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Tuttavia, l’Europa che Scholz descrive non deve essere una “potenza vecchio stile”, ma deve essere “aperta” – geograficamente ai nuovi Stati membri, economicamente agli accordi di libero scambio e all’innovazione, e geopoliticamente all’alleanza transatlantica.

Signora Presidente,

Signore e Signori,

Vi ringrazio per l’opportunità di parlare con voi in questo luogo speciale oggi, nella Giornata dell’Europa. Sono onorato e commosso dal vostro invito. Mi onora perché voi, deputati liberamente eletti, rappresentate 450 milioni di europei – i cittadini d’Europa.

E mi commuove perché il 9 maggio è l’unica risposta valida per il futuro alla guerra mondiale scatenata dalla Germania, al nazionalismo distruttivo e alla megalomania imperialista.

Oggi, 73 anni fa, il ministro degli Esteri francese Robert Schuman propose di creare una nuova “Europa organizzata e viva”.

All’inizio c’era la collettivizzazione del carbone e dell’acciaio, i beni che per decenni erano stati utilizzati per produrre armi, armi che i nostri nonni e bisnonni hanno messo gli uni contro gli altri. Il sogno dei padri e delle madri d’Europa era quello di porre fine a questa uccisione reciproca. Per noi questo sogno si è avverato: la guerra tra i nostri popoli è diventata inconcepibile, grazie all’Unione Europea e per la felicità di tutti noi.

Ma se vi guardate intorno, vedrete che questo sogno non è una realtà in tutti i Paesi europei. A costo di molte vittime, gli ucraini difendono ogni giorno la loro libertà e democrazia, la loro sovranità e indipendenza contro la brutalità dell’esercito russo invasore, e noi li sosteniamo in questo.

I padri e le madri dell’Europa hanno già attribuito all’Europa una missione che va ben oltre la pacificazione dei suoi confini. Per loro era ovvio: l’Europa ha una responsabilità globale, perché il benessere dell’Europa non può essere separato dal benessere del resto del mondo.

La Dichiarazione Schuman afferma: “Questa produzione”, cioè il carbone e l’acciaio, “sarà offerta al mondo intero senza distinzioni o esclusioni, per contribuire all’innalzamento del tenore di vita e allo sviluppo di opere di pace. L’Europa sarà in grado, con maggiori mezzi, di perseguire uno dei suoi compiti essenziali: lo sviluppo del continente africano.

Lo “sviluppo del continente africano” era allora contrapposto allo sfruttamento coloniale perpetrato dall’Europa sul nostro vicino continente.

Ecco perché affrontare le conseguenze del colonialismo deve essere parte integrante di ogni partenariato con i Paesi dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina. Un partenariato che scarti la visione eurocentrica del passato. Un partenariato che non si limiti a proclamare l’uguaglianza, ma la metta in pratica. Costruire tali partenariati è più importante che mai.

Nell’Unione vivono 450 milioni di cittadini, forse 500 milioni dopo il prossimo allargamento. Si tratta solo del 5% della popolazione mondiale. In Asia, Africa e Sud America stanno emergendo nuovi pesi massimi economici, demografici e politici – un successo, tra l’altro, della divisione del lavoro tra Paesi e continenti che ha fatto uscire dalla povertà un miliardo di persone. Non si accontenteranno di un mondo bipolare o tripolare, e giustamente. Per questo sono convinto che il mondo del XXI secolo sarà multipolare – e lo è già da molto tempo.

Cosa significa questo per noi in Europa? “L’Europa diventerà”, per citare lo scrittore francese Paul Valéry, “ciò che realmente è: un piccolo promontorio del continente asiatico?”. Non possiamo trovare la risposta a questa domanda guardando al passato. Vivere nel passato significa aggrapparsi al ricordo nostalgico della potenza mondiale dell’Europa, illudersi con l’illusione nazionale di essere una grande potenza. Ma anche coloro che avvertono costantemente il declino dell’Europa non vincono il futuro, soprattutto perché sottovalutano la capacità dell’Europa di trasformarsi e di agire.

Lo abbiamo dimostrato più volte nelle crisi degli ultimi anni e nel presente. Ricordiamo solo come abbiamo superato lo scorso inverno insieme, in solidarietà e unità con i nostri partner in tutto il mondo.

Ma ne traggo tre lezioni:

Primo: il futuro dell’Europa è nelle nostre mani.

Secondo: più rafforziamo l’unità dell’Europa, più facile sarà assicurarci un buon futuro.

E terzo: ciò di cui abbiamo bisogno ora non è meno, ma più apertura e cooperazione.

Per garantire che l’Europa abbia un buon posto nel mondo di domani, non al di sopra o al di sotto di altri Paesi e regioni, ma su un piano di parità con loro, al loro fianco.

Il discorso si apre con una panoramica commemorativa della storia dell’Unione come risposta all’imperialismo e al nazionalismo guerrafondaio. Inoltre, Scholz presenta la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) come un progetto concepito fin dall’inizio con una vocazione esterna e una responsabilità per il mondo extraeuropeo, citando la Dichiarazione Schuman che assegnava alla CECA il compito di “sviluppare il continente africano”. Il contesto coloniale di questa dichiarazione non sfugge a Olaf Scholz, che tuttavia sostiene che il lavoro dei “padri e delle madri d’Europa” è un antidoto alle illusioni di grandezza e implica oggi la ricerca di partenariati tra pari. In ogni caso, l’Europa non può più permettersi di essere una potenza mondiale dominante, ma deve essere un attore con un’influenza globale positiva.

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Un’Europa geopolitica
Perché questo accada, l’Europa deve cambiare. Abbiamo bisogno di un’Europa geopolitica, di un’Europa allargata e riformata e infine di un’Europa lungimirante. Vedo il Parlamento europeo come una forza trainante e un alleato in tutto questo. Prendiamo la creazione di un’Europa geopolitica. Willy Brandt ne sottolineò la necessità esistenziale qui al Parlamento europeo cinquant’anni fa. “L’unificazione dell’Europa”, scriveva nel vostro libro degli ospiti, “non è solo una questione di qualità della nostra esistenza. È una questione di sopravvivenza tra giganti e nel mondo incrinato di nuovi e vecchi nazionalismi.

Il Parlamento europeo ha sempre agito secondo questa massima e per questo gli sono molto grato. Lo fate quando onorate il potere della legge e quando ricordate a tutti noi che l’Europa può essere ascoltata solo quando parla con una sola voce. La brutale guerra d’invasione della Russia contro l’Ucraina ci ha mostrato proprio di recente quanto ciò sia necessario, e di conseguenza, dopo questa infame violazione della pace internazionale, l’Unione si è riunita come raramente prima. Questa esperienza ci porta alla fondazione di un’Europa geopolitica, come ho proposto durante la mia visita all’Università Carlo di Praga la scorsa estate.

Ciò include un coordinamento molto più stretto dei nostri sforzi di difesa e la costruzione di un’economia di difesa integrata in Europa. Il Fondo europeo per la pace, l’acquisto congiunto di munizioni per l’Ucraina, la più stretta cooperazione tra i nostri Paesi in materia di difesa aerea, la nostra bussola strategica, la stretta collaborazione tra l’Unione e la NATO: sono tutti passi positivi che dobbiamo approfondire e accelerare.

Ora dobbiamo gettare le basi per la ricostruzione dell’Ucraina. Naturalmente, questo richiede un capitale politico e finanziario a lungo termine. Ma è anche una grande opportunità, non solo per l’Ucraina, ma anche per l’Europa nel suo complesso. Un’Ucraina prospera, democratica ed europea è la risposta più chiara alla politica imperialista, revisionista e illegale di Putin.

L’Europa deve anche ottenere buoni risultati nella competizione internazionale con le altre grandi potenze. Gli Stati Uniti restano il più importante alleato dell’Europa. Ciò significa che saremo alleati migliori per i nostri amici transatlantici quanto più investiremo nella nostra sicurezza e difesa, nella nostra resilienza civile, nella nostra sovranità tecnologica, nella sicurezza degli approvvigionamenti, nella nostra indipendenza dalle materie prime critiche. Il nostro rapporto con la Cina è giustamente descritto dal trittico “partner, concorrente, rivale sistemico”, anche se la rivalità e la competizione sono indubbiamente aumentate. L’UE se ne rende conto e sta reagendo. Sono d’accordo con Ursula von der Leyen: il nostro motto non è “de-coupling”, ma “intelligent de-risking”!

Come a Praga in settembre e alla Sorbona in gennaio durante la commemorazione del 60° anniversario del Trattato dell’Eliseo, il Cancelliere ha adottato l’idea di una “Europa geopolitica”. Tuttavia, riprendendo questo concetto, gli ha dato un significato “più tedesco”, dove non si tratta tanto di autonomia quanto di efficienza. I suoi principali elementi concreti riguardano aspetti logistici ed economici: l’integrazione dell’industria europea della difesa, l’acquisto congiunto di armi e munizioni per Kiev, gli aiuti per la ricostruzione dell’Ucraina. Per quanto riguarda i progetti strutturanti di questa Europa geopolitica, Olaf Scholz cita il progetto di difesa aerea europea, lanciato nell’ottobre 2022 dalla Germania all’insaputa della Francia, ma ancora una volta omette di menzionare lo SCAF e il MGCS. Anche la concezione delle alleanze del Cancelliere tedesco rimane fondamentalmente atlantista: la sua Europa geopolitica esiste solo nella NATO, dove è un partner migliore per gli Stati Uniti. Per Olaf Scholz, tuttavia, il mondo non è né “bi-” né “tripolare”, ma multipolare. La delicata questione dell’allineamento all’uno o all’altro polo è quindi sostituita da quella della necessaria diversificazione di alleanze e accordi. Per quanto riguarda la Cina, il Cancelliere tedesco sostiene la formula del “de-risking” promossa dalla Commissione europea, un’opzione meno radicale del “de-coupling” che egli rifiuta.

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I Paesi del Sud globale sono nuovi partner di cui prendiamo sul serio le preoccupazioni e gli interessi. Per questo è fondamentale che l’Europa si impegni con forza e solidarietà per la sicurezza alimentare e la lotta alla povertà, che mantenga le promesse fatte sulla protezione internazionale del clima e dell’ambiente.

E, poiché anche questa è una questione geopolitica dell’Europa, è più che ragionevole concludere nuovi accordi di libero scambio: con il Mercosur, il Messico, l’India, l’Indonesia, l’Australia, il Kenya e in prospettiva con molti altri Paesi, accordi equi, che incoraggino anziché ostacolare lo sviluppo economico dei nostri partner! Equo significa, ad esempio, che la prima lavorazione delle materie prime avvenga in loco, non in Cina o altrove. Se ancoriamo queste idee alle nostre relazioni commerciali, diamo anche un importante contributo alla diversificazione delle nostre filiere produttive.

L’Europa deve guardare al mondo, perché se continuiamo a negoziare per anni nuovi accordi di libero scambio senza risultati, saranno altri a dettare le regole, con standard ambientali e sociali più bassi.

Un’Europa allargata e riformata
L’anno scorso abbiamo preso una decisione centrale sulla forma dell’Europa geopolitica. Abbiamo scelto un’Europa più grande. Abbiamo detto ai cittadini dei Paesi dei Balcani occidentali, dell’Ucraina, della Moldavia e, in prospettiva, anche della Georgia: voi appartenete a noi. Vorremmo che diventaste membri della nostra Unione europea. Non si tratta di altruismo, ma di credibilità e senso economico. Si tratta di garantire la pace in Europa dopo il cambiamento epocale causato dalla guerra di aggressione della Russia. L’Europa geopolitica sarà giudicata anche in base alla misura in cui manterrà le promesse fatte ai suoi vicini più prossimi. Una politica di allargamento mantiene le sue promesse, in primo luogo nei confronti degli Stati dei Balcani occidentali, ai quali abbiamo fatto balenare la prospettiva dell’adesione negli ultimi vent’anni. Naturalmente, il processo di normalizzazione tra Serbia e Kosovo e le riforme nei Paesi candidati devono continuare. Naturalmente, dopo il coraggio politico della Macedonia del Nord, il suo processo di ammissione deve progredire rapidamente. Tali progressi devono essere onorati da parte nostra, altrimenti la politica di allargamento perderà il suo appeal e l’Unione perderà la sua influenza e il suo peso.

Siamo onesti: un’Unione allargata deve essere un’Unione riformata.

Va sottolineato che l’allargamento non deve essere l’unico motivo di riforma, ma l’obiettivo. Sono lieto che il Parlamento europeo stia lavorando su proposte di riforma istituzionale, comprese quelle che non si fermano al Parlamento stesso. Continuerò a lavorare in seno al Consiglio europeo per garantire che queste idee vengano accolte.

C’è molto da fare: più decisioni del Consiglio a maggioranza qualificata in politica estera e fiscale. Continuerò a impegnarmi per convincere i cittadini di questo e vi ringrazio per l’ampio sostegno dei vostri ranghi. Vorrei dire agli scettici: l’unanimità, l’accordo al 100% su tutte le questioni non crea la massima legittimità democratica. Al contrario! È la persuasione, la lotta per costruire maggioranze o alleanze che ci contraddistingue come democrazia, la ricerca di compromessi che rendano giustizia anche agli interessi delle minoranze. Questo è il nostro concetto di democrazia liberale!

Le riforme europee auspicate dal Cancelliere sono simili alle proposte francesi sotto diversi aspetti. A livello istituzionale, Olaf Scholz rimane favorevole all’estensione del voto a maggioranza qualificata. Il Cancelliere si definisce in più occasioni un alleato del Parlamento europeo in seno al Consiglio europeo e promette di difendere le loro proposte. Per quanto riguarda la riforma del diritto europeo in materia di asilo e migrazione, esorta le istituzioni europee e gli Stati membri a compiere rapidi progressi. Tuttavia, un punto ricorrente nei discorsi europei di Olaf Scholz rimane la richiesta di maggiore apertura commerciale, che lo differenzia da Emmanuel Macron, più critico nei confronti della globalizzazione. Nella tradizione della Repubblica Federale, il Cancelliere vede questi accordi di libero scambio “equi” come fattori di stabilità, di diffusione del progresso socio-economico e di creazione di nuove alleanze nel resto del mondo.

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Mi sembra inoltre essenziale per il futuro rimanere fermi sul rispetto dei principi democratici e dello Stato di diritto, e so che una grande maggioranza di voi è qui con me. Perché non sfruttare l’imminente discussione sulle riforme dell’UE per incoraggiare la Commissione europea ad avviare un processo di violazione dei trattati ogni volta che i nostri valori fondamentali di libertà, democrazia, uguaglianza, stato di diritto e protezione dei diritti umani vengono violati?

Questo discorso è caratterizzato da un forte sostegno all’allargamento, insistendo su un calendario e su rapidi progressi per onorare le promesse fatte dopo l’invasione dell’Ucraina. Per Olaf Scholz, l’urgenza è nei Balcani, dove chiede impegni seri per mantenere il ritmo del riavvicinamento. L’allargamento “non è altruistico”, ma al contrario un interesse ben compreso e un’opportunità “di buon senso economico”. Tuttavia, il Cancelliere non ha menzionato l’iniziativa francese per una comunità politica europea.

L’impressione di un confronto di vedute con il presidente francese è stata tuttavia accompagnata da un apparente riavvicinamento tra Berlino e Parigi, con un aumento degli eventi bilaterali: La presenza del ministro degli Esteri Annalena Baerbock a Parigi il 9 e 10 maggio, la visita di Emmanuel Macron al collegio elettorale di Olaf Scholz a Potsdam prevista per il 6 giugno – che ricorda il viaggio di François Hollande da Angela Merkel a Rügen nel maggio 2014, per discutere già allora della guerra in Ucraina) -, prima della prima visita di Stato di un presidente francese in Germania dal 2000, dal 2 al 4 luglio.

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Un’Unione aperta al futuro
Signore e signori, vorrei aggiungere un elemento che ho appena citato. Noi europei dobbiamo essere aperti al futuro senza esitazioni. Questo significa affrontare i problemi che ci hanno ostacolato per anni e che rendono così facile per altri Paesi dividerci e metterci l’uno contro l’altro.

Penso, ad esempio, al nostro rapporto con la migrazione dei rifugiati. Certo, dobbiamo trovare una soluzione all’altezza della domanda di solidarietà europea, ma non possiamo aspettare che questa solidarietà scenda su di noi come lo Spirito Santo. L’Europa, come disse Robert Schuman 73 anni fa, si concretizza in realtà concrete, in una “solidarietà di fatto”. Per questo motivo sostengo con forza che i progressi compiuti sulla riforma del diritto d’asilo europeo dopo lunghi e difficili negoziati devono essere resi permanenti prima delle elezioni europee. Il vostro accordo su una posizione negoziale per parti centrali della riforma il mese scorso è stato un passo molto importante in questa direzione. Ora dobbiamo completare questo lavoro con tutte le nostre forze.

Siamo uniti dall’obiettivo di gestire e organizzare meglio la migrazione irregolare, senza tradire i nostri valori. Tuttavia, possiamo trarre molti più vantaggi di prima: in molti luoghi d’Europa c’è bisogno di manodopera, anche da Paesi extraeuropei. Se colleghiamo saldamente queste opportunità di migrazione regolare con il requisito che gli Stati di origine e di transito riprendano anche coloro che non sono autorizzati a risiedere qui, tutte le parti possono trarne vantaggio. A ciò si aggiungono le misure per un’efficace difesa delle frontiere, come abbiamo deciso al Consiglio europeo di febbraio. In questo modo, aumenterà l’accettabilità di un’immigrazione intelligente, mirata e controllata nei nostri Paesi e saremo in grado di indebolire gli sforzi di chi fa politica con la paura e il risentimento.

Aprirsi al futuro significa anche affrontare quella che probabilmente è la sfida più importante del nostro tempo. Mi riferisco alla trasformazione dei nostri Paesi e delle nostre economie verso la neutralità climatica. La prima rivoluzione industriale è iniziata in Europa. Perché non avere l’ambizione che anche il prossimo grande cambiamento sia influenzato dall’Europa, per il bene di tutti?

L’apertura auspicata da Scholz si esprime anche nell’espressione “aperti al futuro”, che il Cancelliere utilizza tre volte. Egli individua due grandi progetti per l’Europa: a breve termine, la gestione equa e intelligente dei flussi migratori e, a lungo termine, la trasformazione ecologica delle nostre economie.

Anche se espone in termini abbastanza chiari la visione tedesca di un’Unione che sia soprattutto al servizio del benessere economico e svincolata da ambizioni di potere, il discorso non è strettamente polemico. Così il Cancelliere ha evitato alcuni temi caldi che sono comunque essenziali a livello europeo: i dibattiti sui criteri di bilancio, la politica industriale e l’atteggiamento commerciale da adottare nei confronti degli Stati Uniti.

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Non è necessario che vi spieghi le opportunità che questa trasformazione offre all’Europa. È importante che i cittadini dei nostri Paesi le percepiscano nella loro vita quotidiana. Per esempio, perché il prezzo dell’elettricità da fonti rinnovabili sta scendendo, perché ci sono abbastanza stazioni per auto e camion elettrici, perché si stanno creando nuovi posti di lavoro per il futuro nel settore dell’energia, nel settore dei microchip, perché stiamo sviluppando e commercializzando in Europa le tecnologie di cui il mondo intero ha bisogno per la transizione ecologica. Dare forma a questo cambiamento con ambizione e non lasciare indietro nessuno: questo è il grande progetto per il futuro dietro il quale noi europei dovremmo ora riunirci.

Conclusione
Come disse Oscar Wilde: “Il futuro appartiene a coloro che riconoscono le possibilità prima che diventino ovvie”, e non appartiene certo ai sogni nostalgici e revisionisti di gloria nazionale e di potere imperialista. Gli ucraini stanno pagando con la vita questa follia del loro potente vicino. 2200 chilometri a nord-est di qui, a Mosca, Putin sta ora facendo sfilare i suoi soldati, i suoi carri armati e i suoi missili. Non lasciamoci impressionare da una tale dimostrazione di forza. Restiamo fermi nel nostro sostegno all’Ucraina, finché sarà necessario! Nessuno di noi vuole tornare ai giorni in cui in Europa vigeva la legge del più forte, in cui i piccoli Paesi dovevano sottomettersi ai grandi, in cui la libertà era un privilegio di pochi e non un diritto fondamentale di tutti. La nostra Unione Europea, unita nella sua diversità, è la migliore garanzia che questo passato non tornerà, ed è per questo che il rumore di Mosca non è il messaggio di questo 9 maggio, ma il nostro messaggio: il passato non trionferà sul futuro. E il futuro – il nostro futuro – è l’Unione europea.

https://legrandcontinent.eu/fr/2023/05/10/la-geopolitique-europeenne-ouverte-dolaf-scholz/

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LA DOTTRINA MORAWIECKI: IL PIANO DELLA DESTRA RADICALE POLACCA PER RIORGANIZZARE L’EUROPA, di Valentin Behr

Un discorso fondamentale, quello sostenuto nella “lectio magistralis” del premier polacco Morawiecki all’università tedesca di Heidelberg, il 20 marzo scorso. Da leggere con grande attenzione. Un vero e proprio manifesto del particolare nazionalismo conservatore, riemerso e sempre più radicato purtroppo nel mondo slavo dell’Europa Orientale, ma che ha le punte di espressione più radicale in Polonia e totalitarie e sempre più apertamente nazisteggianti in Ucraina. Un testo che lascia una impronta chiara ed inquietante della direzione che stanno prendendo progressivamente le dinamiche geopolitiche europee, soprattutto grazie all’imprimatur statunitense dato alla costruzione dell’Unione Europea e della NATO a partire dagli anni ’80 ed in particolare dalla caduta del “muro di Berlino” e dall’implosione del blocco sovietico; ma che potrebbe proseguire, come un seme avvelenato, per inerzia, anche dopo un eventuale, se pur al momento improbabile, dissolvimento o rarefazione dell’egemonia statunitense sul suolo europeo. L’intero manifesto, intriso di forzature e manipolazione ottusa delle vicende europee del novecento, è pervaso da un intento polemico apparentemente inconciliabile nei confronti della tecnocrazia della UE in nome della democrazia, resa possibile e garantita dagli stati nazionali europei, e della resistenza all’imperialismo oppressivo ed aggressivo russo. In realtà un atteggiamento antitetico polare alla visione “tecnocratica”, imprescindibile uno dall’altro, in un rapporto simbiotico indispensabile a celare e rimuovere il fondamento comune che giustifica e consente l’esistenza e la crescita di entrambe: il viatico e l’influenza diretta statunitense nelle vicende europee degli ultimi decenni.

Nelle more, una ipoteca definitiva a quel movimento federalista europeo, già sconfitto negli anni ’50 dalla componente funzionalista, il quale, benché anch’esso lautamente foraggiato anche da sponde americane, propugna il sostegno e la trasformazione della Unione Europea in una entità politica autonoma e indipendente.

La giurisdizione europea, il vincolo atlantico, i fondi strutturali, la regolazione del mercato unico sono stati le costanti sommerse che hanno sostenuto la ragione di esistenza della Unione; la guerra in Ucraina, la gestione della pandemia, l’invenzione del catastrofismo ambientale su base antropica la cartina di tornasole rivelatrice. Il manifesto potrebbe essere la pietra tombale di una Unione sempre più ridotta ad un simulacro ornamentale dai disegni statunitensi e dalla litigiosità europea.

Il documento, infatti, fonda le sue posizioni partendo da due assunti: il vicinato, nel corso dei secoli spesso proficuo e solidale, con il mondo tedesco da una parte e dall’altra con la terribile oppressione russa, in realtà sovietica, subita dall’altro versante, nel dopoguerra e incombente, a partire dagli anni ‘90, grazie al ricorrente imperialismo espansionista russo. Le contraddizioni con il primo sarebbero risolvibili facilmente con la soddisfazione dell’ennesima richiesta di risarcimento danni per i crimini compiuti nella seconda guerra mondiale in nome di una amicizia cementata dalle strette relazioni economiche e dalla avversione contro il comune nemico r(o)usso.

Il buon Morawiecki, infatti, glissa elegantemente su quegli antefatti storici scomodi e poco edificanti di una classe dirigente nel 800 tanto prona verso il dominio prussiano e asburgico, quanto romanticamente e inconcludentemente ostile verso la ottusa dominazione zarista e, nel primo dopoguerra, ad indipendenza ottenuta, così impegnata ad aggredire le repubbliche sovietiche e ad emulare, sia pure in competizione, e con il sovrappiù della millanteria propria di quella dirigenza impersonata per un buon periodo dal maresciallo Pilsudski e ancor peggio dalla pletora di formazioni politiche, le nefandezze del regime nazista, fuori e soprattutto dentro il paese; come pure sorvola sul fatto che l’influenza e il dominio sovietico in Europa Orientale non fu solo il frutto della sconfitta militare del nazismo, ma anche di aspettative di emancipazione, interne a quei paesi e, per la verità, rapidamente naufragate dopo timidi tentativi riformatori. Tentativi che conobbero, in chiave “socialdemocratica”, un ultimo sussulto anche dopo la caduta del muro di Berlino, con il timido sostegno della Germania e della Deutschbank, sino a tramontare definitivamente per ragioni interne a quei paesi e, soprattutto, con la pesante e adulante normalizzazione imposta dalla dirigenza statunitense sia in Europa Occidentale che in quella Orientale. È ormai notoria la particolare attenzione, in termini di finanziamenti ed investimenti economici oltre che militari, riservata dalla leadership statunitense, ben corroborata dal sostegno complementare di Unione Europea e Germania, alla nascente classe dirigente polacca e dei paesi baltici. È ormai altrettanto notorio che nei piani militari statunitensi è previsto un pesante intervento diretto solo in caso di crisi destabilizzanti in Italia e Polonia. Da qui il repentino e contestuale allargamento ad est della Unione Europea e della NATO sino all’interno delle vecchie frontiere della Unione Sovietica, comprensivo di installazioni militari offensive a ridosso della frontiera russa e non ostante le pesanti riserve espresse in alcuni importanti dossier depositati negli archivi della UE. Non a caso Morawiecki rivendica, con l’avvento del suo partito, il PIS, nel 2015, la svolta più coerentemente filo-NATO e russofoba affermatasi in Polonia e con essa la coerente adozione di una politica economica ordoliberista, fatta di estrema apertura al mercato e alle aziende estere, di controllo della propria moneta e di scarso welfare.

Come già precisato, l’intero documento poggia su due assunti fondamentali, sostanzialmente corretti, ma giustificati in maniera del tutto fuorviante.

  • Il valore preminente e legittimante degli stati nazionali europei è il primo. In effetti, a dispetto delle teorie che vedevano nella globalizzazione una dinamica di svuotamento e addirittura di estinzione degli stati nazionali, questi ultimi hanno confermato e riaffermato il loro ruolo preminente nelle dinamiche politiche e geopolitiche a prescindere dai regimi particolari che li reggono. Quanto al loro carattere democratico, Morawiecki dovrebbe spiegare la differenza positiva sostanziale tra tanti regimi democratici europei, con le loro limitazioni e forme di controllo e manipolazione crescenti, se non addirittura di aperta discriminazione sociale e delle minoranze etniche rispetto a quello russo.

  • Il carattere tecnocratico del governo, per meglio dire della amministrazione della UE, non è una caratteristica meramente intrinseca di quella struttura, quanto, assieme a quella lobbistica curiosamente glissata dal polacco, derivata soprattutto dal potere effettivo detenuto dal Consiglio Europeo dei capi di governo e dalla influenza diretta e stringente sulla Commissione Europea e sui leader di governo degli stati europei delle leadership statunitensi sull’onda dei vari trattati sottoscritti a partire dagli anni ‘50.

Il carattere fondante di uno stato consiste in realtà nel grado di capacità di esercitare autonomamente la propria sovranità all’interno e all’esterno dei propri confini.

Proprio quella qualità che manca in misura considerevole nelle strutture della UE, negli Stati Europei e in particolare in quelli guidati da centri decisori accecati da un nazionalismo straccione e sciovinista, impossibilitato ad agire senza la longa manus della nazione egemone.

Morawiecki ambisce a diventare il leader; è il rappresentante di punta di questo schieramento e del paese che rappresenta; non per forza propria, ma perché meglio inserito geopoliticamente e politicamente nell’onda russofoba sollevata dalle leadership statunitensi degli ultimi trentacinque anni. Con questo cerca di rompere il possibile asse tra Germania e Russia, con gli occhi del passato potenzialmente deleterio per la Polonia e senza dubbio in linea con i propositi dell’attuale dirigenza statunitense.

L’enfasi attribuita alle radici elleno-romane-cristiane, glissando volutamente su quelle dell’illuminismo della fase emergente e su quelle del particolare romanticismo che tanto ha pesato sul suo paese; l’insistenza sugli impulsi imperiali pluridecennali di una Russia in realtà impegnata in una difesa strenua della propria esistenza, a partire dallo scempio compiuto negli anni ‘90; l’asserita concordia storica con il mondo occidentale, da sancire con l’espiazione del peccato di tradimento degli accordi di Yalta, sono tutti funzionali alla creazione e al mantenimento del blocco occidentale del quale Morawiecki vorrebbe assumere la codirezione nell’agone europeo.

Morawiecki su questo si è guadagnato un altro merito. Quello di aver esplicitato la tendenza, già da tempo in atto, alla formazione in Europa di quattro sfere di influenza, delle quali una, quella mediterranea, del tutto amorfa, l’altra, quella orientale con la funzione di trascinare il resto del continente nella crescente ostilità bellicista verso la Russia e, in tempi più lunghi e modalità differenti, verso la Cina. Il modo più semplice e suicida di lasciare alla attuale leadership statunitense il compito di definire strategie ed avversari e agli europei quello di sostenere sul terreno l’onere dello scontro ai confini della Russia e indirettamente con essa nell’area mediterranea e subsahariana.

Il programma di pesante riarmo dell’esercito polacco assume questa volontà, piuttosto che essere uno strumento di deterrenza per conquistare un ruolo di mediazione e di ponte tra Europa e Russia.

Con esso, il leader polacco ha reso evidente che la Unione Europea è solo una particolare intelaiatura, un campo di azione nel quale si esercitano le attività, le rivalità e gli interessi degli stati nazionali, compresi quelli fondamentali e preponderanti degli Stati Uniti. Non un consesso in grado di garantire l’emancipazione e l’autonomia di un continente uscito prostrato e sconfitto da una guerra di ottanta anni fa.

Vive del dualismo irrisolvibile tra un federatore economico, la Germania e un federatore politico, gli Stati Uniti, del tutto disinteressato ed impossibilitato a compiere l’unificazione politica del continente o il suo assorbimento nella propria unità politica, già, per altro, di per sé problematica. Le conseguenze di questa incompatibilità cominciano ad affiorare velocemente e drammaticamente: sarà il federatore economico a capitolare e ad essere dissanguato; sarà il continente a cadere in una situazione di vassallaggio sempre più remissivo e di caos e avventurismo crescente con il progressivo eventuale allentamento delle redini. Un simulacro amministrativo sempre più appendice dell’entità politica che conta, la NATO, nemmeno più utile ad annichilire i sussulti di autonomia che sorgono ancora qui e là.

Il suo proclama pone anche un’altra questione fondamentale. Il sovranismo è un concetto politico-sociologico necessario ad affermare e confermare l’esistenza delle prerogative degli stati nazionali rispetto alla globalizzazione, alle dinamiche geopolitiche e sociopolitiche.

È una assunzione necessaria, ma del tutto insufficiente.

A seguire e collegate ad esse sono fondamentali le politiche concrete di esercizio di tale sovranità sia all’interno che all’esterno dei confini.

Su questo le politiche straccione nazionaliste e scioviniste prospettate da Morawiecki rappresentano l’antitesi ai propositi di pace nelle relazioni esterne e di giusta coesione sociale all’interno. La Polonia, purtroppo, nella sua storia, è caduta spesso tragicamente vittima delle illusioni e delle millanterie della sua classe dirigente. Non le è evidentemente bastato. Adesso sta provando a trascinare un intero continente in questo precipizio nella connivenza e nella cecità generale.

Tra i conniventi, più o meno consapevoli, per affinità ideologica e per inerzia politica, si può inserire tranquillamente e giocosamente Giorgia Meloni.

La dirigenza polacca ritiene di strumentalizzare a questi fini la stessa potenza egemone; rimarrà ancora una volta vittima delle proprie trame. È il destino delle mosche cocchiere. Buona lettura, Giuseppe Germinario

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LA DOTTRINA MORAWIECKI: IL PIANO DELLA DESTRA RADICALE POLACCA PER RIORGANIZZARE L’EUROPA
A pochi mesi dalle elezioni e a più di un anno dall’invasione dell’Ucraina, il PiS polacco ha una nuova dottrina europea. Traduciamo e commentiamo per la prima volta in francese il “discorso della Sorbona” di Mateusz Morawiecki pronunciato martedì scorso a Heidelberg. Un programma politico da studiare molto attentamente.

AUTORE VALENTIN BEHR

Questa settimana, il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki ha tenuto un importante discorso all’Università di Heidelberg che non è stato letto abbastanza. Sulla scia dei discorsi sul futuro dell’Unione pronunciati dal presidente francese Emmanuel Macron (alla Sorbona nel settembre 2017) e dal cancelliere tedesco Olaf Scholz (all’Università di Praga nell’agosto 2022). Si tratta di un discorso importante perché, a pochi mesi dalle elezioni polacche, offre il punto di vista di un leader dell’Europa centrale, il cui Paese ha visto rafforzato il proprio ruolo politico all’interno dell’Unione dopo la guerra in Ucraina, qui descritta come una “svolta storica”. Morawiecki espone una visione delle sfide che l’Unione deve affrontare e dei modi per affrontarle, in netto e radicale contrasto con quelle proposte dai suoi omologhi francese e tedesco.

Sua Magnificenza, professor Eitel,

Primo Ministro Kretschmann,

Signore e Signori,

Cari studenti

Grazie per avermi invitato a Heidelberg. È un grande onore per me parlare qui in una delle più antiche università del continente. È un luogo che ha formato decine di generazioni di straordinari europei. Molti grandi tedeschi, naturalmente, ma anche molti polacchi. Uno di loro è stato addirittura rettore.

Heidelberg è una città bellissima, costruita e mantenuta per generazioni. Eppure questa meravigliosa città, che per molti versi è un microcosmo dell’Europa, è stata testimone di molto male, violenza, guerra e atrocità.

Oggi stanno tristemente tornando nel nostro continente.

L’Europa è a una svolta storica. Ancora più grave della caduta del comunismo. Per la maggior parte, questi cambiamenti sono stati pacifici. Oggi, quando il mondo intero è minacciato da una guerra di aggressione russa, ci ricordiamo del periodo di 70 o 80 anni fa.

Oggi voglio parlarvi di quattro questioni fondamentali per il futuro dell’Europa. Dividerò quindi il mio discorso in quattro parti.

In ognuna di queste parti affronterò quella che considero una questione fondamentale, ovvero il ruolo degli Stati nazionali.

Inizierò con un primo tema generale: 1. Cosa ci insegna oggi la storia dell’Europa.

Poi passerò a: 2. L’importanza della lotta dell’Ucraina contro la Russia e le conclusioni che possiamo trarre dalla guerra in Ucraina per l’Europa.

In seguito, affronterò una terza questione: 3. quali sono i valori europei e cosa li minaccia oggi; infine, 4. discuteremo di come l’Europa possa assumere il ruolo di leader mondiale.

Cosa ci insegna la storia dell’Europa.
Se ci chiediamo cosa può insegnarci la storia dell’Europa, vorrei iniziare parlando delle relazioni tra Polonia e Germania.

Siamo vicini da oltre undici secoli. Abbiamo vissuto, lavorato, affrontato e risolto i nostri problemi, non solo fianco a fianco, ma spesso insieme. Abbiamo fondato le nostre prime università nello stesso periodo: a Cracovia nel 1364, a Heidelberg nel 1386. Nel corso dei secoli, ci sono stati molti polacchi di origine tedesca o tedeschi di origine polacca e slava.

Origine slava.

Oggi, polacchi e tedeschi lavorano a stretto contatto dal punto di vista economico, il che crea interdipendenza.

Siamo il quinto partner commerciale della Germania, dopo Cina, Stati Uniti, Paesi Bassi e Francia. Presto saliremo al quarto posto, superando la Francia. Poi arriveremo addirittura al terzo posto.

Molti non lo sanno, ma la Russia è al 16° posto e la Polonia, insieme agli altri Paesi di Visegrad, è oggi un partner molto più importante della Cina e degli Stati Uniti. Vale la pena sottolineare l’importanza che Germania e Polonia rivestono l’una per l’altra. Sebbene abbiamo opinioni diverse su alcune questioni, condividiamo anche molti problemi comuni che devono essere superati insieme.

Morawiecki inizia ricordando l’importanza cruciale della Polonia, e più in generale dei Paesi dell’Europa centrale, come partner economico della Germania, in un contesto in cui è soprattutto la dipendenza di questo Paese (e di altri in Europa) dal gas russo ad essere stata molto commentata dall’inizio della guerra in Ucraina.

Si tratta di relativizzare il carattere presumibilmente periferico – e quindi trascurabile, nel gioco geopolitico e negli scambi economici – dell’Europa centrale rispetto all’Europa occidentale. Sull’importanza degli scambi economici (ineguali) tra i Paesi di Visegrad e i loro vicini europei, si può fare riferimento a Thomas Piketty, “2018, the year of Europe” (16 gennaio 2018).

La Polonia sta lottando ancora oggi con la crudele eredità della Seconda guerra mondiale. Dopo di essa, abbiamo perso la nostra indipendenza, la nostra libertà e più di 5 milioni di cittadini. Le città polacche erano in rovina e oltre mille villaggi furono brutalmente pacificati. Mentre la Germania occidentale ha potuto svilupparsi liberamente, la Polonia ha perso 50 anni del suo futuro a causa della Seconda guerra mondiale.

Non voglio soffermarmi troppo su questo punto nel mio discorso, ma non posso nemmeno evitarlo.

La Polonia non ha mai ricevuto dalla Germania un risarcimento per i crimini della Seconda guerra mondiale, per la distruzione e il furto dei tesori della cultura nazionale.

Dopo tutto, la piena riconciliazione tra l’autore di un crimine e la sua vittima è possibile solo quando c’è un risarcimento. In questo momento cruciale della storia europea, abbiamo bisogno di questa riconciliazione più che mai, perché le sfide che dobbiamo affrontare sono serie.

La storia dell’Europa, con la sua ferita più grande – la Seconda guerra mondiale – ha gettato il mio Paese, come molti altri, dietro la cortina di ferro per quasi mezzo secolo.

Io e i miei coetanei siamo cresciuti, siamo andati a scuola, abbiamo lavorato e studiato all’ombra dei crimini comunisti.

Milioni di giovani europei che vivevano dietro la cortina di ferro sapevano che da una parte c’era la libertà e dall’altra il colonialismo russo; la sovranità per alcuni, la dominazione imperiale per altri.

Da un lato, l’agognata Europa libera. Dall’altra, un totalitarismo barbaro; una vita sotto il tallone della Russia sovietica. Se qualcuno ci avesse detto che saremmo vissuti per vedere la fine del comunismo, non ci avremmo creduto, così come la maggior parte degli esperti occidentali sulla Russia sovietica.

Eppure è successo! Solidarność, la guerra in Afghanistan, Papa Giovanni Paolo II e la ferma posizione degli Stati Uniti nell’era Reagan hanno portato alla caduta del comunismo criminale.

Era arrivato il tempo della democrazia.

Oggi vorrei sottolineare il ruolo della sovranità dello Stato nazionale nel mantenere la libertà delle nazioni. La lotta delle nazioni schiavizzate dell’Europa centrale fu, in sostanza, una lotta per la sovranità nazionale.

Questo tema ha unito tutti i patrioti al di là dello spettro politico, perché eravamo convinti che i nostri diritti e le nostre libertà potessero essere salvaguardati solo nel contesto di Stati sovrani riconquistati.

Con questo richiamo storico, Morawiecki segue la “politica storica” sostenuta dal PiS, che consiste nel difendere la “visione polacca” della storia per rivendicare la grandezza morale in opposizione ai suoi vicini, soprattutto la Germania. Ciò si è recentemente riflesso nelle richieste del governo polacco alla controparte tedesca di riparazioni di guerra per le immense perdite umane e materiali causate dal Terzo Reich alla Polonia durante la Seconda guerra mondiale. Su questa spinosa questione, che il governo tedesco ha liquidato come giuridicamente chiusa, si veda Mateusz Piątkowski, “The legal questions behind Poland’s claim for war reparations from Germany” (Note dalla Polonia, 9 settembre 2022).

Morawiecki presenta inoltre, secondo le interpretazioni apprezzate dal suo schieramento politico, ossia la destra nazionalista e anticomunista, l’esperienza comunista in Polonia come una semplice occupazione sovietica, di fronte alla quale la società polacca si sarebbe sollevata nel suo complesso per poi liberarsi grazie alle mobilitazioni (Solidarność, Giovanni Paolo II) e al sostegno americano (Reagan). Questa visione semplicistica di una storia più complessa affonda le sue radici anche in una storia personale: il padre di Mateusz, Kornel Morawiecki (1941-2019), è stato una figura importante dell’opposizione anticomunista, fondando in particolare l’organizzazione clandestina “Solidarność Walcząca” (“Solidarietà Combattente”) a Breslavia nel 1982, durante lo stato di guerra, dopo che il sindacato Solidarność era stato messo al bando e i suoi leader arrestati.

È in virtù di questa eredità storica, quella di una nazione che ha lottato per tutta la sua storia per l’indipendenza, in particolare contro il totalitarismo nazista e sovietico nel XX secolo, che Morawiecki presenta lo Stato-nazione non solo come caro ai polacchi, ma anche come il principale garante della democrazia di fronte alle tentazioni imperialiste, un argomento che poi sviluppa in relazione all’Unione Europea.

Sulla politica storica in Polonia, rimandiamo a Valentin Behr, “Genèse et usages d’une politique publique de l’histoire. La ‘politique historique’ en Pologne”, Revue d’études comparatives Est-Ouest, vol. 46, n. 3, 2015, nonché al dossier coordinato da Frédéric Zalewski, “La ‘politique historique’ en Pologne. La mémoire au service de l’identité nationale”, Revue d’études comparatives Est-Ouest, vol. 1, n. 1, 2020.

E avevamo ragione. Questo è stato particolarmente evidente nei periodi di crisi sociale ed economica. Anche durante la recente crisi del COVID-19, abbiamo visto che Stati nazionali efficaci sono essenziali per proteggere la salute dei cittadini.

In precedenza, durante la crisi del debito, abbiamo assistito a un chiaro conflitto tra i Paesi dell’Europa meridionale, Grecia, Italia e Spagna, e le istituzioni sovranazionali che prendevano decisioni economiche per loro conto senza un mandato democratico.

In entrambi i casi, abbiamo riscontrato i limiti della governance sovranazionale in Europa.

In Europa, niente potrà garantire la libertà delle nazioni, la loro cultura, la loro sicurezza sociale, economica, politica e militare meglio degli Stati nazionali. Altri sistemi sono illusori o utopici.

Possono essere rafforzati da organizzazioni intergovernative e anche parzialmente sovranazionali, come l’Unione Europea, ma gli Stati nazionali europei non possono essere sostituiti.

Menzionando la crisi del debito sovrano e la crisi di Covid-19 nella sua professione di fede in un’Europa delle nazioni, Mateusz Morawiecki sembra dimenticare di sfuggita gli ingenti fondi di recupero istituiti a livello europeo per far fronte alle conseguenze economiche della pandemia. Il versamento di questi fondi alla Polonia è stato oggetto di un braccio di ferro con la Commissione europea, che ha cercato di usarli come leva per indurre il governo polacco a fare marcia indietro su alcune riforme del sistema giudiziario, accusate di minare lo Stato di diritto. Più fondamentalmente, la sua denuncia di “istituzioni sovranazionali” che operano “senza un mandato democratico” solleva l’annosa e ricorrente questione del rispetto da parte degli Stati membri dei trattati che hanno firmato e ratificato – in particolare con un referendum quando la Polonia ha aderito all’Unione Europea nel 2004. Questo tema è al centro del resto del discorso, quando si parla di valori europei e del futuro dell’Unione.

L’Europa è nata molto prima della Repubblica americana, la cui unità è stata forgiata anche attraverso la guerra civile. Ecco perché è fuorviante fare riferimento a questa analogia storica.

Qualsiasi sistema politico che non rispetti la sovranità altrui, la democrazia o la volontà fondamentale della nazione, prima o poi porta all’utopia o alla tirannia.

È stata l’Europa cristiana a dare vita a una civiltà più rispettosa della dignità umana di qualsiasi altra. Questa civiltà merita di essere protetta. Soprattutto di fronte a civiltà dal cuore duro e sempre più forti, per le quali i valori democratici e liberali non hanno alcuna importanza. Vogliamo costruire un’Europa forte per affrontare le sfide globali del XXI secolo.

Sono le dimensioni dell’Unione europea a renderla una forza significativa nel mondo, non il suo sistema decisionale sempre più incomprensibile. Abbiamo bisogno di un’Europa forte grazie ai suoi Stati nazionali, non di un’Europa costruita sulle loro rovine. Un’Europa del genere non sarà mai forte, perché il potere politico, economico e culturale dell’Europa deriva dall’energia vitale fornita dagli Stati nazionali.

Le alternative sono o un’utopia tecnocratica, che alcuni a Bruxelles sembrano prospettare, o un neo-imperialismo, già screditato dalla storia moderna.

La lotta delle nazioni europee per la libertà non si è conclusa nel 1989. Il nostro confine orientale ne è la migliore testimonianza.

2. Vorrei ora soffermarmi su una questione di vitale importanza per l’Europa: l’Ucraina.

Discuterò l’importanza della lotta dell’Ucraina dal punto di vista dei nostri comuni valori europei. Inoltre, esporrò le conclusioni che dovremmo trarre.

Per cosa combattono davvero gli ucraini oggi? Per cosa sono disposti a rischiare la vita? Perché non si sono arresi immediatamente al secondo esercito più potente del mondo?

La lotta ucraina per il diritto all’autodeterminazione nazionale è un’altra eroica manifestazione di difesa dello Stato nazionale e della libertà. Ma per avere la volontà di combattere, bisogna credere davvero in ciò per cui si combatte.

Oggi gli ucraini non combattono solo per la propria libertà. Dal 24 febbraio 2022, combattono quotidianamente anche per la libertà di tutta l’Europa. Ed è anche il nostro futuro che dipende dall’esito di questa guerra. La sconfitta dell’Ucraina sarebbe la sconfitta dell’Occidente. Anzi, dell’intero mondo libero. Una sconfitta più grande di quella del Vietnam. Dopo una tale sconfitta, la Russia tornerebbe a colpire impunemente e il mondo come lo conosciamo cambierebbe radicalmente. Seguirebbe una lunga serie di pericolose incursioni nell’ignoto. La sconfitta del mondo libero probabilmente incoraggerebbe Putin, proprio come l’acquiescenza degli anni Trenta incoraggiò Hitler.

Morawiecki descrive la lotta ucraina contro gli invasori russi come una lotta civile e politica, con implicazioni che vanno oltre questo conflitto: Gli ucraini stanno combattendo “per la nostra libertà e per la vostra”, per citare uno slogan polacco (“za wolność naszą i waszą”) formulato nel XIX secolo durante le insurrezioni antitsariste, poi ripreso dai combattenti polacchi durante la Seconda guerra mondiale, e che dal 24 febbraio 2022 è tornato di attualità, in particolare nei discorsi ufficiali polacchi e ucraini.

Al di là del simbolismo, si riferisce anche a un immaginario collettivo diffuso nelle società dell’Europa centrale e orientale che temono di essere sacrificate dagli alleati occidentali alla Russia: è il mito di Yalta come “tradimento degli alleati”, da cui le molteplici associazioni nel discorso di Mateusz Morawiecki tra Putin, Hitler e Stalin.

Anche Putin, come Hitler all’epoca, gode di un enorme sostegno pubblico. Non è esagerato dire che siamo di fronte alla minaccia di una terza guerra mondiale. Per evitare questo esito, dobbiamo smettere di alimentare la bestia.

La storia si sta svolgendo sotto i nostri occhi.

Quando i nostri figli leggeranno i libri di scuola, si chiederanno se abbiamo fatto abbastanza per garantire loro un futuro di pace. Abbiamo pensato a loro e al bene a lungo termine dei nostri Paesi o solo alla comodità a breve termine e a rimandare le decisioni difficili a dopo?

Abbiamo imparato dagli errori del passato o continueremo a ripeterli?

Ecco alcune osservazioni su questo punto:

2.1 Perché l’Ucraina è un punto di svolta nella storia europea?

Fino al 24 febbraio avevo sentito dire che Putin non avrebbe attaccato l’Ucraina.

Molti politici europei hanno preferito credergli, sperando che fosse possibile continuare il “Wandel durch Handel” con la Russia a spese dell’Europa centrale.

In questo contesto, torniamo alla domanda: perché gli ucraini combattono? Se fossero interessati solo ai beni materiali e non fossero uniti dal senso di comunità, si sarebbero arresi molto tempo fa.

È su questo che Putin contava. Pensava che gli ucraini avrebbero scelto la pace piuttosto che la libertà. Ma si sbagliava. Qual è stato l’errore del Cremlino? Putin non è un pazzo, come molti di coloro che hanno fatto affari con lui negli ultimi 20 anni vorrebbero far credere. Putin è stato accecato dalla sua visione del mondo. Non ha capito che gli ucraini erano una nazione.

E ora che finalmente hanno il loro Stato nazionale – anche se è tutt’altro che perfetto – sono disposti a sacrificare le loro vite per esso.

La propaganda russa sostiene che non esiste una nazione ucraina separata. Conosciamo tutti il detto: “se i fatti non corrispondono alla teoria, cambia i fatti”. Ecco perché la Russia sta cercando di spiegare agli ucraini, con la forza, che non hanno diritto a un’identità nazionale.

Eppure, sono i nipoti dei soldati che oggi rischiano la vita per un’Ucraina libera che un giorno diranno con orgoglio a scuola: “Mio nonno ha combattuto vicino a Kherson!”, “E i miei hanno respinto l’assalto a Kiev!”, o “Mio nonno è morto a Mariupol”.

E i soldati di oggi, questi futuri nonni, sanno che stanno combattendo anche perché i loro nipoti possano vivere in un Paese libero. Ricordiamo: Una nazione è una comunità di vivi, morti e non nati.

Oggi l’Europa è testimone di crimini commessi in nome di un’ideologia antinazionale. Questo è ciò che motiva Putin: la volontà di eliminare tutte le differenze, di distruggere tutte le identità nazionali e di fonderle nel grande impero russo.

La propaganda russa non ha mai smesso di accusare falsamente gli ucraini di fascismo.

Questo è esattamente ciò che disse Stalin: “Chiamate i vostri avversari fascisti o antisemiti”. È sufficiente ripetere questi epiteti abbastanza spesso.

Bisogna dirlo chiaramente: un fascista è qualcuno che vuole distruggere altre nazioni. È qualcuno che viola i diritti umani e calpesta la dignità umana. Il fascista oggi è Vladimir Putin e tutti i complici dell’aggressione russa. Come europei, abbiamo il dovere di opporci al fascismo russo. Questa è l’identità europea.

Ora…

2.2 Quali lezioni possiamo trarre dalla guerra in Ucraina?

Gli ucraini di oggi ci ricordano cosa dovrebbe essere l’Europa. Ogni europeo ha diritto alla libertà e alla sicurezza individuale. Ogni nazione ha il diritto di prendere decisioni fondamentali sul futuro del proprio territorio.

La democrazia può essere attuata a livello comunale, regionale o nazionale, ovunque vi siano legami basati su un’identità comune. Pertanto, una votazione in cui 140 milioni di russi votassero “a favore” dell’incorporazione dell’Ucraina alla Russia e 40 milioni di ucraini votassero “contro” non sarebbe democratica, no?

Quali altre lezioni si possono trarre da oltre un anno di guerra in Ucraina? Una cosa mi è chiara: la politica di “fare accordi” con la Russia è fallita.

Chi per decenni ha voluto un’alleanza strategica con la Russia e ha reso i Paesi europei dipendenti da essa per l’energia, ha commesso un terribile errore. Coloro che hanno messo in guardia dall’imperialismo russo e hanno ripetutamente affermato che non ci si poteva fidare della Russia avevano ragione.

Coloro che per molti anni hanno finanziato i preparativi bellici della Russia, disarmato l’Europa e imposto ai più deboli una partnership con la Russia, sono corresponsabili politicamente della guerra in Ucraina e degli attuali problemi economici ed energetici di centinaia di milioni di europei.

Putin si è comportato come uno spacciatore che dà la prima dose gratis, sapendo che il tossicodipendente tornerà più tardi e accetterà qualsiasi prezzo. Putin è astuto, ma non è brillante. Se l’Europa ha ceduto a lui così facilmente, è soprattutto a causa della sua debolezza.

Questa debolezza è il perseguimento di interessi particolari a spese di altri Paesi.

Se le singole nazioni dell’Unione Europea cercano di dominare le altre, l’Europa rischia di ricadere negli stessi errori del passato. E tutte le decisioni prese per fermare l’aggressore russo possono essere nuovamente ribaltate. Questo accadrà se alcuni dei Paesi più grandi decideranno che per le loro élite è più redditizio fare affari con il Cremlino, anche a costo del sangue. Oggi è il sangue ucraino. Domani potrebbe essere sangue lituano, finlandese, ceco, polacco, ma anche tedesco o francese… Dobbiamo evitare che questo accada”.

Morawiecki sviluppa qui il nucleo della sua argomentazione sul conflitto in Ucraina, presentando il punto di vista di un leader dell’Europa centrale per il quale la guerra riflette e deriva dalla cecità dei principali leader europei nei confronti della Russia di Putin.

La politica precedentemente denunciata del Wandel durch Handel (o “commercio morbido”), che si basa sullo scambio economico per provocare un cambiamento politico nei regimi autoritari, ha i suoi limiti in questo caso. Se la dipendenza di diverse economie europee dal gas russo riguarda anche la Polonia e i Paesi dell’Europa centrale, i gasdotti del Mar Baltico che collegano la Germania direttamente alla Russia (NordStream) hanno dato l’impressione che gli Stati dell’Europa centrale e orientale siano stati sacrificati agli interessi economici tedeschi. Ciò convalida tragicamente gli avvertimenti di lunga data di diversi leader politici della regione, compresi quelli del PiS.

Oggi, 3. Queste lezioni dovrebbero indurci a porre la domanda fondamentale: quali sono i valori europei e cosa li minaccia? Mi concentrerò ora su questa terza “grande domanda”.

In termini di prosperità materiale, viviamo nei tempi migliori. Ma questa prosperità ha ucciso il nostro spirito? Ci interessa ancora ciò per cui viviamo? Saremmo pronti a difendere le nostre case, i nostri cari, la nostra nazione, se venissero attaccati?

Questa tensione tra il regno dello spirito e quello della materia non è nuova. Dopotutto, ci troviamo nell’università in cui Hegel era professore. In letteratura, pochi hanno affrontato questo problema come il grande Thomas Mann, “la coscienza della Germania” all’epoca dei crimini nazisti tedeschi. Gli eroi di Mann aspirano a un significato più alto della vita, non solo all’accumulo di beni e al loro consumo.

Negli ultimi decenni, molti europei sono arrivati a credere che il consumo, cosparso di affermazioni superficiali sui “valori europei”, sia la fase finale della storia. Noi ci opponiamo a questo approccio. Colpire gli altri con la frusta dei “valori europei” senza concordare sulla loro definizione o capire quali cambiamenti devono essere apportati dagli Stati europei è autodistruttivo, nel senso di Thomas Mann.

In passato, il simbolo dell’Europa era l’antica agorà. Un luogo in cui ogni cittadino poteva esprimersi su un piano di parità. Oggi l’agorà europea è troppo spesso sostituita dagli uffici delle istituzioni di Bruxelles, dove le decisioni vengono prese a porte chiuse.

Come disse una volta un politico europeo a proposito del meccanismo delle istituzioni europee: “Decretiamo qualcosa… Se non ci sono proteste perché la maggior parte delle persone non capisce cosa è stato attuato, continuiamo passo dopo passo – fino al punto di non ritorno”.

La strada per trasformare l’UE in un’autocrazia burocratica è breve.

Oltre alle nuove circostanze geopolitiche, si sta decidendo anche il destino dell’Unione europea. Sarà una comunità democratica o una macchina burocratica e una struttura centralizzata?

La politica è sempre una questione di scelte. Ma questa scelta deve essere fatta alle urne, non nell’intimità degli uffici dei burocrati. Vogliamo davvero un’élite cosmopolita paneuropea con un potere immenso ma senza mandato elettorale?

Il discorso si orienta verso il dibattito sui “valori europei”, che è valso alle cosiddette democrazie “illiberali” di Polonia e Ungheria una procedura di infrazione contro lo Stato di diritto, avviata ai sensi dell’articolo 7 del Trattato sull’Unione europea (TUE). Mateusz Morawiecki denuncia questa procedura, criticando al contempo un’élite “cosmopolita” e burocratica, in un filone simile a quello di altri discorsi euroscettici. La sua argomentazione riecheggia quella del filosofo Ryszard Legutko, europarlamentare del PiS, il cui libro The Demon in Democracy. Totalitarian Temptations in Free Societies (Encounter Books, 2016; tradotto in francese come Le diable dans la démocratie. Totalitarian Temptations in the Heart of Free Societies, Éditions de l’Artilleur, 2021) è stato ampiamente diffuso nelle reti conservatrici internazionali, in Europa e negli Stati Uniti.

Metto in guardia tutti coloro che vogliono creare un superstato governato da una ristretta élite. Se ignoriamo le differenze culturali, il risultato sarà l’indebolimento dell’Europa e una serie di rivolte, forse anche una nuova Primavera delle Nazioni come quella del 1848.

All’epoca, i tedeschi fecero un notevole sforzo per costruire uno Stato unito e moderno. Dovettero aspettare vent’anni per ottenere risultati politici, ma furono vittoriosi. Oggi ci troviamo di fronte a un dilemma simile. Se i leader europei, come gli aristocratici di Metternich dell’epoca, preferiscono il potere elitario e l’imposizione dei loro valori dall’alto, alla fine incontreranno resistenza. Può arrivare prima o poi, ma è inevitabile.

Vale la pena tornare alla domanda di fondo: quali sono i valori europei?

E soprattutto: cos’è l’Europa? La sua storia non è iniziata qualche decennio fa. L’Europa ha più di due millenni. L’Europa si nutre dell’eredità degli antichi greci, dei romani e del cristianesimo. Queste sono le nostre radici, da cui cresciamo e da cui non possiamo staccarci.

Morawiecki promuove una visione dell’Europa come civiltà, una base culturale comune con una storia secolare. Ciò fa eco a una critica della storia ufficiale europea diffusa in Europa centrale, che viene criticata per aver presentato una storia che sopravvaluta l’eredità dell’Illuminismo e stigmatizza le nazioni, a scapito dell’eredità dell’antichità greco-romana e del cristianesimo. Cfr. Piattaforma della Memoria e della Coscienza Europea, “La Casa della Storia Europea. Relazione sull’esposizione permanente”, 30 ottobre 2017.

Una visione simile dell’Europa come identità e patrimonio culturale si ritrova nella destra conservatrice. Pur non essendo una novità, si tratta di una concezione dell’Europa su cui il governo polacco cerca di basare la sua visione di un’Europa delle nazioni, in contrapposizione a un’Europa federale. Si possono citare le riflessioni dello storico belga David Engels, professore all’Instytut Zachodni di Poznan, tra cui il suo “Preambolo di una Costituzione per una Confederazione di Nazioni Europee”, nonché il libro da lui diretto: Renovatio Europae. Plaidoyer pour un renouveau hespérialiste de l’Europe, Éditions du Cerf, 2019.

Non c’è Europa senza cattedrali gotiche o edifici universitari. L’Europa ha sempre volato sulle ali della fede e della ragione. E il modello di istruzione universitaria creato in Europa si è diffuso in tutto il mondo.

Questo è accaduto perché l’università europea era uno spazio di discussione e di confronto tra idee opposte, l’ambiente più favorevole alla scoperta della verità.

In Europa non dovrebbe esserci spazio per la censura o l’indottrinamento ideologico. Lo abbiamo già sperimentato in passato, quando le autorità comuniste ci dicevano cosa pensare. Lo hanno sperimentato anche i tedeschi ai tempi di Hitler, quando i libri degli autori liberi di pensare venivano bruciati.

L’Europa dovrebbe essere una cattedrale del bene e un’università della verità.

Anche in questo caso, va sottolineato che i vari divieti, le decisioni arbitrarie su ciò che può o non può essere presentato all’interno delle mura universitarie e la correttezza politica minano l’eterna missione dell’accademia, ossia la ricerca della verità.

Anche in questo caso ritroviamo una retorica comune alla destra e all’estrema destra, intorno alla denuncia della “correttezza politica” e, più recentemente, del “wokismo”, che costituirebbero minacce alla libertà di espressione, messe qui sullo stesso piano degli autodafé nazisti. A parte la grossolana esagerazione, va notato che, ironia della sorte, sono proprio i governi polacco e ungherese ad aver messo in atto politiche che hanno portato alla riduzione delle opportunità di espressione per i gruppi minoritari (in particolare LGBT) e ad aver condotto campagne contro l'”ideologia di genere”, in particolare nell’istruzione superiore. Si veda David Paternotte e Mieke Verloo, “De-democratization and the Politics of Knowledge: Unpacking the Cultural Marxism Narrative”, Social Politics: International Studies in Gender, State & Society, vol. 29, n. 3, 2021.

Inoltre, questi discorsi hanno alcune convergenze con quelli di Vladimir Putin, che viene eretto a eroe “anti-sveglio” celebrato da una parte della destra trumpista americana. L’argomentazione di Morawiecki a favore dei valori europei “democratici” e “liberali” trova qui i suoi limiti pratici, poiché l’ideologia nazional-conservatrice del suo schieramento politico è l’antitesi dei valori europei, come definiti nell’articolo 2 del TUE: “L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini”.

Così come proteggiamo il nostro patrimonio materiale, dovremmo proteggere anche il nostro patrimonio spirituale, che consiste in decine di tradizioni culturali e linguistiche diverse. La forza dell’Europa nel corso dei secoli è stata la sua diversità. Condividiamo valori comuni, ma ogni nazione ha la propria identità.

Gleichschalten, uravnilovka, è una strada che non porta da nessuna parte.

Germania e Francia sono due attori centrali in Europa.

Nei 75 anni tra il 1870 e il 1945 hanno combattuto tre guerre e solo dopo l’ultima si sono riconciliate.

Questa riconciliazione sta ora dando i suoi frutti nella speciale relazione politica tra Berlino e Parigi. Questa particolare sensibilità reciproca alle logiche e alle sensibilità delle due capitali è nata da un passato tragico.

Nell’interesse dell’equilibrio europeo, ma anche a causa di un passato molto più tragico, è necessario lo stesso modello di sensibilità reciproca alle logiche e agli interessi di Varsavia. Oggi, a Varsavia non avvertiamo questa sensibilità.

Le basi per questa riconciliazione sono state gettate da due grandi europei, Charles de Gaulle e Konrad Adenauer. Entrambi volevano costruire una pace duratura in Europa.

Essi compresero che il rispetto reciproco e la conoscenza delle radici dell’altro erano i presupposti per la cooperazione. Il Cancelliere Adenauer disse: “Se ora ci allontaniamo dalle fonti della nostra civiltà europea, nata dal cristianesimo, è impossibile per noi non fallire nei nostri sforzi di ricostruire l’unità della vita europea. Questo è l’unico modo efficace per mantenere la pace”.

Anche il generale de Gaulle era profondamente consapevole del grande patrimonio culturale dell’Europa e degli orrori della “guerra interna”. De Gaulle disse: “Dante, Goethe, Chateaubriand appartengono all’Europa in quanto erano rispettivamente ed eminentemente italiani, tedeschi e francesi. Non sarebbero stati molto utili all’Europa se fossero stati apolidi e se avessero pensato e scritto in una sorta di Esperanto o Volapük.

La nostra identità di base è l’identità nazionale. Io sono europeo perché sono polacco, francese o tedesco, non perché rinnego la mia poligonalità o germanizzazione.

L’odierno tentativo europeo di eliminare questa diversità, di creare un uomo nuovo, sradicato dalla sua identità nazionale, equivale a tagliare le radici e a segare il ramo su cui siamo seduti.

Attenzione: possiamo cadere facilmente – culture forti e dure dittature in altre parti del mondo non aspettano altro. Sarebbero certamente felici di vedere l’Europa cadere nell’insignificanza.

Vorremmo che tutti gli europei dimenticassero le loro lingue e parlassero solo il Volapük? Io non lo vorrei.

Alcuni cercano di negare il contributo dell’Europa allo sviluppo del mondo perché vedono solo il lato oscuro della storia. In effetti, i Paesi responsabili dello sfruttamento, del colonialismo, dell’imperialismo e di crimini terribili – come il nazismo tedesco e il comunismo russo, come i crimini commessi nelle colonie – devono fare ammenda per il proprio passato.

Questo fa parte del nostro DNA europeo: la ricerca della verità e della giustizia. Ma l’Europa storica non è solo fonte di vergogna per noi. Lo sviluppo scientifico e la straordinaria prosperità di oggi sono, si potrebbe dire, il frutto dell’Europa.

La via da seguire per l’Europa non è nemmeno la “mondializzazione politica”. Essa deve basarsi sulla propria diversità. Il tentativo di unificare artificialmente l’Europa in nome dell’abolizione delle differenze nazionali e politiche porterà in pratica al caos e al conflitto tra gli europei.

È la cooperazione combinata con la competizione il modo migliore per l’Europa di avere successo nel mondo globale.

Milioni di persone provenienti da tutto il mondo visitano ogni anno Parigi, Roma, Colonia, Madrid, Cracovia, Londra o Praga. La ricchezza di queste belle città e il loro potere di attrazione risiedono nel fatto che ognuna di esse ha una propria identità.

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Non vogliamo un’Europa che dia un ultimatum: rinunciate volontariamente alla vostra nazionalità o eserciteremo su di voi ogni tipo di pressione politica ed economica.

La Polonia ha accolto milioni di rifugiati negli ultimi mesi. Gli ucraini hanno trovato rifugio da noi. La nostra concezione dei valori europei comprende certamente il sostegno al vicino in difficoltà. Tuttavia, abbiamo ricevuto solo un aiuto minimo. In questo contesto, vediamo differenze di trattamento tra Paesi che si trovano nella stessa situazione, il che è la definizione stessa di discriminazione.

Mentre la Polonia è stata in prima linea nel fornire armi all’Ucraina e nell’accogliere i rifugiati ucraini, il che ha contribuito ad appianare le sue divergenze con la Commissione europea, l’Ungheria di Viktor Orban sta lottando per prendere le distanze da Putin. L’enfasi posta da Mateusz Morawiecki sull’accoglienza dei rifugiati ucraini in Polonia non deve far dimenticare che, pochi mesi prima dello scoppio della guerra in Ucraina, il governo polacco si era fatto un nome per la sua intransigenza poco ospitale (e poco cristiana, si sarebbe tentati di aggiungere) quando i rifugiati provenienti dal Medio Oriente e dall’Africa centrale si ammassavano al confine tra Polonia e Bielorussia.

Vietando l’accesso ai media e alle ONG nella zona di confine – le stesse ONG che ora svolgono un ruolo centrale nell’accoglienza dei rifugiati ucraini – e praticando il metodo del “respingimento”, il governo polacco si è posto ancora una volta in contrasto con i trattati europei. Alla luce di questa politica dei rifugiati a due livelli, che distingue tra europei e non europei, cristiani e musulmani, il seguente passaggio sulla “discriminazione” di cui la Polonia sarebbe vittima è indecente.

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La Polonia subisce questa discriminazione anche a causa di una totale mancanza di comprensione delle riforme che un Paese emergente dal post-comunismo doveva intraprendere; a causa del coinvolgimento delle istituzioni europee nei conflitti interni di uno Stato membro con lo slogan di “difendere lo Stato di diritto”.

Vorrei sottolineare che in Polonia abbiamo la stessa concezione del termine “Stato di diritto” che abbiamo in Germania. E ci sono poche cose di cui sono sicuro come il fatto che il mio schieramento politico difende il vero Stato di diritto in misura molto maggiore rispetto ai primi 25 anni dopo il 1989.

Combatte contro l’oligarchia, contro il dominio delle corporazioni professionali chiuse, contro la povertà e contro la corruzione. Protegge la Polonia da questi mali. Ma poiché questo non è l’argomento principale della mia discussione, mi fermo qui.

Morawiecki giustifica qui le famose riforme del sistema giudiziario e della magistratura che sono valse alla Polonia una procedura di infrazione dello Stato di diritto.

Possiamo ricordare brevemente le principali misure adottate dal governo polacco dal 2015, che sono tutt’altro che aneddotiche poiché minano la separazione dei poteri: nomine di fedelissimi del PiS alla Corte costituzionale; nomina di membri del Consiglio giudiziario nazionale (competente per la nomina dei giudici) sotto il controllo del Parlamento; pensionamento forzato dei giudici della Corte suprema; licenziamento di oltre 150 presidenti e vicepresidenti di tribunale da parte del ministro della Giustizia; istituzione di una nuova camera disciplinare per i giudici della Corte suprema, i cui membri sono selezionati dal Consiglio nazionale della magistratura; avvio di procedimenti disciplinari contro i giudici che applicano alcune disposizioni del diritto europeo o che sottopongono questioni preliminari alla Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE).

La CGUE ha ripetutamente condannato queste riforme, che continuano a essere utilizzate per trasferire o licenziare i giudici. Cfr. Johannes Vöhler, “I ‘casi polacchi’ e la giurisprudenza sullo Stato di diritto della Corte di giustizia dell’Unione europea”, Europa dei diritti e delle libertà, marzo 2022/1, n. 5.

Inoltre, recenti sentenze della Corte costituzionale hanno stabilito che la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e il Trattato sull’Unione europea sono solo parzialmente compatibili con la Costituzione polacca. Questa sfida al principio del primato del diritto dell’UE mina la struttura giuridica su cui si fonda l’integrazione europea.

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In un senso più profondo, il conflitto odierno è tra sovranità statale e sovranità istituzionale; tra il potere democratico del popolo alla base e l’imposizione del potere dall’alto da parte di una ristretta élite.

Nei duemila anni di esistenza dell’Europa, nessuno è mai riuscito a subordinare politicamente l’intero continente. Non funzionerà nemmeno oggi.

La visione di un’Europa centralizzata finirà esattamente come il concetto di fine della storia annunciato 30 anni fa. Prima ci allontaniamo da questa visione e accettiamo la democrazia come fonte legittima di potere in Europa, migliore sarà il nostro futuro.

A proposito, non c’è nessuna fine della storia. La storia accelera e porta sfide di proporzioni illimitate.

L’opposizione tra la sovranità degli Stati e quella delle istituzioni europee, tra il voto democratico del popolo e l’élite cosmopolita, riflette una concezione minimalista della democrazia, come quella difesa da Viktor Orban. Una democrazia puramente formale in cui conta solo la volontà della maggioranza espressa attraverso le elezioni, senza pesi e contrappesi, senza gerarchie di norme e senza libertà fondamentali che possano essere opposte alla volontà dei governanti che, in questa concezione della democrazia, non hanno nulla che impedisca loro di trasformarsi in tiranni.

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Purtroppo, gran parte dell’attuale élite europea opera in una realtà alternativa.

Se le élite dell’UE si ostinano a difendere la visione di un superstato centralizzato, saranno contrastate da un numero maggiore di nazioni europee. Quanto più si ostinano, tanto più feroce sarà la ribellione. Non voglio polarizzazione, divisione e caos; voglio un’Europa forte e competitiva.

4. Passiamo ora all’ultima grande questione: come può l’Europa diventare un polo importante nella corsa alla leadership globale?

Innanzitutto, le politiche dell’Unione devono cambiare. Non nella direzione di una maggiore centralizzazione e di un trasferimento di potere a poche istituzioni chiave e ai Paesi più forti, ma verso il rafforzamento dell’equilibrio di potere tra i popoli del Nord, dell’Ovest, del Centro, dell’Est e del Sud dell’Europa, e per completare l’integrazione dell’UE con i Balcani occidentali, l’Ucraina e la Moldavia, in linea con i confini geografici dell’Europa.

È necessario chiedersi: quanto seriamente prendiamo la questione della costruzione di un’Unione europea forte e influente?

Oggi l’europeismo si esprime nella visione dell’allargamento, non nell’attenzione a noi stessi e alla centralizzazione dell’UE.

Curiosamente, i Paesi che amano presentarsi come europeisti e proporre un’integrazione ad alta velocità sono allo stesso tempo i più scettici nei confronti della politica di allargamento e giocano a poker politico.

Non dovremmo parlare dei valori che uniscono l’UE dividendo l’Europa in coloro che meritano di farne parte e coloro a cui è negato l’accesso.

Un mercato comune più ampio e la diversità delle sue risorse economiche ci renderebbero un forte attore globale.

Spesso sento dire che l’UE ha bisogno di riforme per allargarsi. Molto spesso si tratta di una proposta mascherata di federalizzazione e, di fatto, di centralizzazione.

Infatti, lo slogan della “federalizzazione” è una concentrazione del processo decisionale imposta dall’alto.

Secondo gli autori di questa centralizzazione chiamata “federalizzazione”, il processo decisionale deve passare dall’unanimità alla maggioranza qualificata in una serie di nuovi settori. L’argomento a favore di questa soluzione è che sarà difficile ottenere l’unanimità di più di 30 Paesi.

È vero che è più difficile ottenere un parere unificato all’interno di un gruppo più ampio di Stati. Tuttavia, la domanda è: dobbiamo pensare che le decisioni debbano essere prese dalla maggioranza, contro gli interessi della minoranza?

Mateusz Morawiecki sostiene un riequilibrio geopolitico dell’Unione a favore degli Stati dell’Europa centrale e orientale, giustificato dalla guerra in Ucraina e dalla prospettiva (ancora molto ipotetica) di un’adesione di questi ultimi all’Unione. Questa posizione si accompagna a una messa in discussione dei progetti di federalizzazione (“centralizzazione”), come quelli avanzati da Scholz e Macron con l’idea di abbandonare il voto all’unanimità in alcuni settori – a favore di una concezione opposta, quella di un’Unione più intergovernativa, ancora una volta in nome della sovranità degli Stati nazionali, presumibilmente democratica.

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Ho un’altra proposta da fare: asteniamoci dall’invadere questioni in cui l’interesse nazionale rimane diviso. Facciamo un passo indietro per farne due avanti. Concentriamoci sui settori in cui il Trattato di Roma ha attribuito all’Unione la competenza e lasciamo che il resto sia guidato dal principio di sussidiarietà.

Da diversi decenni osserviamo il processo di “spill-over” delle competenze dell’UE in nuovi settori. In molti Stati membri viene valutato criticamente. Tuttavia, di recente ha subito un’accelerazione.

La questione della misura in cui gli Stati rimangono “padroni del trattato”, come ha detto una volta la Corte costituzionale di Karlsruhe, è ancora più rilevante oggi.

Pertanto, se l’UE vuole apportare modifiche al suo processo decisionale che abbiano legittimità democratica e permettano la fiducia reciproca, gli Stati membri devono riacquistare la loro piena autorità sui trattati.

Non possono abbandonare il potere decisionale al “quartier generale di Bruxelles” e alle “coalizioni di potere”.

In altre parole, rivediamo i settori di competenza di Bruxelles e, guidati dal principio di sussidiarietà, ripristiniamo un maggiore equilibrio. Più democrazia, più consenso, più equilibrio tra gli Stati e le istituzioni europee. Riduciamo il numero di aree di competenza dell’UE; allora l’Unione, anche con 35 Paesi, sarà più facile da navigare e più democratica.

Più centralizzazione significa più errori. È stato un errore non ascoltare le voci dei Paesi che avevano ragione su Putin. Questo dà potere a persone come Gerhard Schroeder, che ha reso l’Europa dipendente dalla Russia e ha messo l’intero continente a rischio esistenziale”.

Morawiecki si riferisce al ruolo svolto dall’ex cancelliere tedesco Gerhard Schröder che, dopo la fine della sua carriera politica, ha assunto la direzione del consorzio incaricato della costruzione del gasdotto NordStream ed è entrato nel consiglio di amministrazione della società russa Gazprom.

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Un esempio: solo pochi mesi fa, nel giugno 2021, si parlava di celebrare la riunione del Consiglio europeo con Vladimir Putin. Come se per allora non ci fosse stata alcuna azione aggressiva da parte della Russia. Dove saremmo senza l’opposizione di Polonia, Finlandia e Stati baltici? Se l’unanimità fosse stata rifiutata?

La politica estera polacca – in questo contesto – è decisa in elezioni democratiche dai cittadini polacchi – persone per le quali un vicino aggressivo è un problema reale. Non si tratta di persone che vivono a migliaia di chilometri di distanza e che vedono la Russia solo attraverso il prisma delle opere di Pushkin, Tolstoj o Tchaikovsky.

Oggi non basta parlare di ricostruzione dell’Europa. Dobbiamo parlare di una nuova visione dell’Europa. In modo che la pace e la sicurezza diventino le basi sostenibili dello sviluppo nei decenni a venire.

Se gli ultimi mesi possono essere considerati un successo, è certamente grazie alla cooperazione nel campo della sicurezza.

La cooperazione transatlantica e la NATO in particolare hanno dimostrato di essere la più efficace alleanza di difesa disponibile. Senza il coinvolgimento degli Stati Uniti e – forse – della Polonia, l’Ucraina oggi non esisterebbe.

La NATO, che presto sarà rafforzata dall’adesione di Finlandia e Svezia, è essenziale per la sicurezza dell’Europa. Deve essere rafforzata e sviluppata. Allo stesso tempo, dobbiamo sviluppare le nostre capacità di difesa. Questo è ciò che sta facendo la Polonia. Stiamo costruendo un esercito moderno, non solo per difenderci, ma anche per aiutare i nostri alleati. Stiamo spendendo fino al 4% del PIL per la difesa, il che è possibile solo grazie alle riparazioni delle finanze pubbliche dopo i buchi lasciati dai nostri predecessori. E proponiamo che la spesa per la difesa non sia inclusa nel criterio del Trattato di Maastricht che prevede un limite del 3%.

L’Europa si è disarmata; oggi non ha le munizioni e le armi di base per rispondere all’invasione russa. Per non parlare di altre minacce che potrebbero sorgere altrove.

Il mio augurio per i Paesi europei è di essere così forti militarmente da non aver bisogno di aiuti esterni in caso di attacco, ma di poter fornire supporto militare ad altri.

Oggi non è così. Senza il coinvolgimento americano, l’Ucraina non esisterebbe più. E il Cremlino sarebbe passato alla sua prossima vittima.

Durante la “distensione” degli anni Settanta sono stati commessi molti errori. Quell’epoca finì con l’invasione sovietica dell’Afghanistan. L’Occidente reagì correttamente. Questa volta, l’aggressione russa degli ultimi 20 anni non ha destato altrettanta preoccupazione. La sobrietà è arrivata tardi, il 24 febbraio 2022.

Ora, 4.1 cosa serve ancora per rafforzare la posizione dell’Europa?

Tutti ricordiamo lo slogan della campagna elettorale di Clinton: “È l’economia, stupido!”.

All’epoca, quasi tutti credevano che il denaro fosse un rimedio universale.

Anche in Paesi come la Russia e la Cina, il denaro avrebbe aiutato a sviluppare la classe media e a democratizzare la vita pubblica.

Le cose sono andate diversamente. Oggi sappiamo che l’economia deve andare di pari passo con i desideri sociali e le esigenze di sicurezza.

Molti dei problemi dell’Europa moderna derivano dalla frustrazione dei giovani, le cui prospettive future spesso non sono all’altezza di quelle dei loro genitori. La classe media si sta erodendo in tutta Europa. Un mondo in cui l’1% più ricco accumula più ricchezza del restante 99% è scandaloso. Ed è quello che sta accadendo oggi.

I paradisi fiscali, che sarebbe più corretto chiamare “inferni fiscali”, stanno derubando la classe media e i bilanci pubblici di Germania, Francia, Spagna e Polonia.

La forza dell’Europa deriva principalmente dalla sua base più solida, la sua robusta classe media. La convinzione che la prosperità e la crescita possano essere condivise non solo da un gruppo di ricchi, ma dall’intera società, è stata la forza trainante dello sviluppo occidentale fin dagli anni Cinquanta.

Purtroppo, questa convinzione sta scomparendo e le disuguaglianze stanno aumentando. Questa situazione è molto pericolosa perché, da un lato, rafforza i movimenti radicali che chiedono la distruzione dell’attuale struttura economica e politica. Dall’altro, scoraggia il lavoro e lo sviluppo.

Dobbiamo invertire questo processo. Perché rischiamo di perdere la corsa a favore dei nostri concorrenti, civiltà incallite e intransigenti che organizzano le relazioni sociali ed economiche in modo diverso.

Il nostro compito di politici è quello di garantire a tutti una vita onesta. Il mercato del lavoro europeo deve offrire salari dignitosi, facilitare l’ingresso dei giovani nella vita lavorativa e dare loro un senso di stabilità.

Dobbiamo anche creare le migliori condizioni possibili per la creazione di famiglie. Allora l’Europa avrà un futuro luminoso. Le famiglie ben funzionanti sono la base per una vita sana, felice e stabile.

Dobbiamo anche evitare che l’Europa diventi dipendente da altri. La cooperazione con la Cina è una grande sfida. È un Paese enorme con grandi ambizioni. L’Europa deve, come minimo, essere su un piano di parità con la Cina, il suo partner. La dipendenza dalla Cina è una strada che non porta da nessuna parte. È un obiettivo che l’Europa deve cercare di raggiungere con urgenza. Oltre alla vittoria dell’Ucraina, questa è un’altra grande sfida per gli anni a venire.

Non esistono errori che non possano essere corretti, almeno in parte. Quando sento che il nostro governo ha avuto ragione su Russia e Ucraina, sono soddisfatto. Ma scambierei volentieri anche il più grande senso di soddisfazione con la volontà europea di combattere.

Per una volontà politica ancora più forte – di continuare a sostenere l’Ucraina. E per la volontà di confiscare 400 miliardi di euro di beni russi. Congelarli non è sufficiente. La Russia deve rispondere dei suoi crimini e della distruzione materiale che ha causato. I brutali aggressori devono sapere che prima o poi il loro Paese pagherà per le perdite causate dalla violenza.

Oggi rivolgo un nuovo appello a tutti i leader europei: è tempo di confiscare i beni russi in modo totale e permanente. Ricostruire l’Ucraina e ridurre i costi energetici per i cittadini europei.

L’Europa è molto più forte della Russia. Ma oltre al nostro potenziale, dobbiamo avere la volontà di usarlo. Se lasciamo che la Russia vinca questa guerra, rischiamo di non perdere solo l’Ucraina. Rischiamo di emarginare l’intero continente.

La conclusione di fondo è semplice. Nel mondo contano solo i Paesi forti, efficienti e sicuri di sé. Putin ha attaccato l’Ucraina perché vedeva gli europei esausti, deboli e inattivi. Un anno dopo, vediamo che si sbagliava. Almeno in parte.

L’Europa non è ancora morta, finché vivremo. Ma non è ancora vittoriosa.

Il riferimento è all’inno nazionale polacco: “Jeszcze Polska nie zginęła, kiedy my żyjemy” (“La Polonia non è ancora morta, finché viviamo”).

↓INOLTRE
Signore e signori, all’inizio ho ricordato che anche molti polacchi si sono laureati all’Università di Heidelberg: medici, avvocati, filosofi. Uno di loro era il nostro grande poeta, Adam Asnyk. Nella primavera del 1871, proprio nel momento in cui stava nascendo la Germania unificata, anche Asnyk sognava di far rinascere una Polonia indipendente. Capì che i grandi compiti potevano essere portati a termine solo attraverso un lavoro paziente e sistematico, grazie allo sforzo collettivo di tutta la comunità. Scrisse:

“Disprezzate sempre la vana gloria trionfale,

non applaudire l’oppressore violento

Non venerate l’abbondanza delle vostre sconfitte,

né vantatevi di essere sempre piccoli”.

L’Europa deve dimostrare la sua forza e il suo valore. Questo è il nostro momento di “essere o non essere”. Ma, a differenza dell’Amleto di Shakespeare, non possiamo esitare. Nel 1844, quando la Germania assomigliava ancora alle rovine del castello di Heidelberg – imponente ma incompleto – il poeta tedesco Ferdinand Freiligrath ammoniva: “Deutschland ist Hamlet! I tedeschi esitano troppo invece di prendere una posizione chiara dalla parte del bene”.

Giovanni Paolo II è stato uno dei principali sostenitori dell’unificazione europea. Ha svolto un ruolo chiave nella liberazione delle nazioni europee. E insieme al suo grande successore tedesco, Benedetto XVI, questo singolare duo tedesco-polacco è stato una voce importante per il futuro dell’Europa – la sua direzione, la sua cultura e la sua civiltà.

Infine, permettetemi di riassumere le quattro questioni principali che sono state oggetto del mio discorso.

1. In primo luogo, non possiamo costruire il nostro futuro senza imparare dal nostro passato. La storia dimostra che una politica che non rispetta la sovranità e la volontà del popolo prima o poi si dissolve in utopia o dittatura. L’Europa ha un futuro luminoso se rispetta la diversità delle sue nazioni.

2. In secondo luogo, il futuro dell’Europa è determinato dalla lotta dell’Ucraina per la libertà e dal nostro sostegno. È nostro dovere sostenere l’Ucraina. Lo spirito combattivo degli ucraini deve essere una fonte di ispirazione e una guida per le nostre azioni.

3. In terzo luogo, una comunità democratica di nazioni, basata sull’eredità greca, romana e cristiana, che promuove la pace, la libertà e la solidarietà, è il fondamento dei valori europei. Questi valori hanno costituito la base dell’integrazione europea e possono continuare a essere la forza trainante del continente.

Ciò che minaccia di minare queste forze è la centralizzazione. Il dominio del più forte e l’affidamento arbitrario del futuro dell’Europa a una burocrazia senza cuore, che sta cercando di “resettare i valori”. Questo “reset”, cioè l’accentramento burocratico sotto l’apparenza della “federalizzazione”, è il seme dei grandi conflitti e delle ribellioni sociali che verranno.

4. In quarto luogo, se l’Europa vuole vincere la corsa alla leadership globale, deve trasformarsi. Deve essere pronta ad accettare nuovi Paesi ma anche, di fronte a una comunità più ampia, a limitare alcune delle sue competenze.

Di fronte alle minacce esterne, deve rafforzare le proprie capacità difensive. Di fronte alle sfide economiche e sociali, deve costruire una prosperità egualitaria e ordoliberale e lottare contro gli inferni fiscali mascherati da paradisi fiscali.

L’Europa deve mantenere alleanze solide, ma deve anche promuovere la propria indipendenza e non diventare vittima di ricatti energetici o economici.

Un tempo l’Europa era il centro del mondo, rispettata in tutti i continenti. Ci interessa ancora la sopravvivenza dell’Europa e della nostra civiltà? E non solo se sopravviveranno, ma in quale forma? Abbiamo la volontà di essere leader? O forse abbiamo già accettato di fare da secondo piano? Abbiamo il coraggio di far tornare grande l’Europa? Di rendere l’Europa vittoriosa?

Io credo di sì.

L’Europa ha un grande potenziale. Esso deriva dalla sua storia e dal suo patrimonio, ma oggi si estende alle sue innumerevoli qualità e vantaggi. L’Europa ha bisogno di determinazione e coraggio.

E sono profondamente convinto che se lavoreremo duramente – a nome delle nostre rispettive patrie e del continente nel suo complesso – l’Europa vincerà.

In conclusione, questo è il discorso di un capo di governo polacco la cui posizione nel gioco politico europeo sembra essere stata temporaneamente rafforzata dalla nuova situazione aperta dalla guerra in Ucraina.

Lo scoppio della guerra ha convalidato il punto di vista tradizionalmente diffidente del PiS nei confronti della Russia. La richiesta di un riequilibrio dei rapporti di forza tra gli Stati europei a favore dell’Europa centrale, e in particolare della Polonia, non nasconde il timore di un “accordo” tra i leader europei (guidati da Macron) e Putin, che ricorderebbe ai polacchi il “tradimento di Yalta”. Questo timore di vedere i Paesi dell’Europa centrale e orientale relegati ai margini e sacrificati a vantaggio delle potenze occidentali e russe dovrebbe farci interrogare sulla natura della costruzione europea e sul modo in cui essa integra questa periferia centro-orientale, che vi ha aderito quasi vent’anni fa. Per liberarci da una visione geopolitica ereditata dalla Guerra Fredda, dovremmo prendere sul serio le aspirazioni sovrane delle nazioni poste tra la Germania e la Russia. Questo è l’aspetto più rilevante, ma anche il più inquietante, del discorso di Morawiecki. Ciò non significa, tuttavia, che si debba aderire all’ideologia nazionalista, conservatrice, familista e nativista dell’autore, che è evidente in questo testo. È dubbio che il governo polacco sarà in grado di unire un’ampia coalizione di Stati europei attorno a un’agenda politica di questo tipo. Resta il fatto che l’attuale governo polacco si oppone fermamente a qualsiasi progresso verso un’Europa più federale e potrebbe coalizzare l’opposizione a tale processo, che riflette ancora una volta una certa paura di essere relegati in un’Europa a più velocità.

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L’Europa sarà vittoriosa!

Grazie per l’attenzione.

https://legrandcontinent.eu/fr/2023/03/26/le-projet-europeen-de-la-pologne/

Il New York Times ha appena ammesso che le sanzioni anti-russe dell’Occidente sono un fallimento, di Andrew Korybko

Né il New York Times, né gli esperti occidentali citati dalla scrittrice Ana Swanson, né il FMI possono essere credibilmente accusati di essere “russo-amichevoli”, per non parlare dei cosiddetti “propagandisti russi” o addirittura di “agenti russi”, il che conferma così la osservazione che questa dimensione della campagna di guerra dell’informazione anti-russa del Golden Billion è decisamente cambiata.

La “narrativa ufficiale” che circonda il conflitto ucraino è passata nelle ultime settimane dal celebrare prematuramente la presunta “inevitabile” vittoria di Kiev all’odierno serio avvertimento della sua probabile sconfitta. Ci si aspettava quindi, col senno di poi, che sarebbero cambiate anche altre dimensioni della campagna di guerra dell’informazione condotta dal Golden Billion dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti contro la Russia. Proprio a riprova di ciò, il New York Times (NYT) ha appena ammesso che le sanzioni anti-russe dell’Occidente sono un fallimento.

“Nell’articolo di Ana Swanson su come ” La Russia elude le punizioni occidentali, con l’aiuto degli amici ”,  cita esperti occidentali che hanno concluso che “le importazioni della Russia potrebbero essere già tornate ai livelli prebellici, o lo faranno presto, a seconda dei loro modelli”. Ancora più convincente, fa riferimento all’ultima valutazione del FMI di lunedì, che “ora prevedeva che l’economia russa crescesse dello 0,3% quest’anno, un netto miglioramento rispetto alla precedente stima di una contrazione del 2,3%.

Né il NYT, né gli esperti occidentali citati da Swanson, né il FMI possono essere credibilmente accusati di essere “russo-amichevoli”, per non parlare dei cosiddetti “propagandisti russi” o addirittura di “agenti russi”, il che conferma così l’osservazione che questa dimensione Anche la guerra informatica del Golden Billion è decisamente cambiata. Il nocciolo della questione è che le sanzioni anti-russe dell’Occidente non sono riuscite a catalizzare il crollo dell’economia di quella grande potenza multipolare mirata, che continua a rimanere straordinariamente resistente.

La tempistica in cui questa narrazione è cambiata è importante anche perché dà credito alla nuova narrativa più ampiamente conosciuta che oggi mette seriamente in guardia sulla probabile perdita di Kiev nella NATO’s proxy war on Russiaguerra per procura della NATO contro la Russia .  Dopotutto, se le sanzioni raggiungessero l’obiettivo che avrebbero dovuto raggiungere e che i Mainstream Media (MSM) occidentali guidati dagli Stati Uniti fino ad allora avevano mentito, allora ne consegue naturalmente che Kiev avrebbe “inevitabilmente” vinto esattamente come sostenevano che sarebbe successo fino a metà gennaio.

Con questo in mente, il modo più efficace per “riprogrammare” l’occidentale medio dopo avergli fatto il lavaggio del cervello negli ultimi 11 mesi per aspettarsi la presunta “inevitabile” vittoria di Kiev è anche cambiare in modo decisivo le narrazioni supplementari che hanno prodotto artificialmente quella suddetta falsa conclusione. A tal fine, è stato dato l’ordine di iniziare a sensibilizzare l’opinione pubblica sul fallimento delle sanzioni anti-russe del Golden Billion, ergo l’ultimo pezzo del NYT e la tempistica specifica.

Ciò che non viene detto in quell’articolo è l’osservazione “politicamente scorretta”, ma comunque fortemente implicita, secondo cui il Sud del mondo guidato congiuntamente da BRICSBRICS – & e SCOSCO , di cui la Russia fa parte, ha sfidato le richieste del Golden Billion di “isolare” quella Grande Potenza multipolare. Nessun media MSM lo ammetterà mai, almeno non ancora, ma il loro blocco de facto della Nuova Guerra Fredda ha un’influenza limitata al di fuori della “sfera di influenza” recentemente restaurata degli Stati Uniti in Europa, i cui paesi sono gli unici a subire queste sanzioni.

L’ultimo pezzo del NYT potrebbe inavvertitamente rendere consapevoli molti membri del loro pubblico di ciò, tuttavia, e potrebbero quindi obiettare sempre più ai loro governi che aumentano il loro impegno nella guerra per procura della NATO contro la Russia sotto la pressione americana. Il presidente croato Zoran Milanovic si è recentemente unito al primo ministro ungherese Viktor Orban nel condannare questa campagna e aumentare la consapevolezza di quanto sia stata controproducente per gli interessi oggettivi dell’Europa.

Quando gli europei si renderanno conto di essere gli unici a soffrire delle sanzioni anti-russe che il loro signore americano li ha costretti a imporre e che i loro sacrifici non hanno influito negativamente sull’operazione speciale mirata della Grande Potenza multipolare ,  potrebbero seguire massicci disordini. È improbabile che induca i loro leader controllati dagli Stati Uniti a invertire la rotta, ricordando che il ministro degli Esteri tedesco ha promesso alla fine dell’anno scorso di non farlo mai, ma potrebbe invece catalizzare una violenta repressione della polizia.

La ragione dietro questa previsione pessimistica è che un’inversione o per lo meno una diminuzione dell’attuale rigido regime di sanzioni anti-russe rappresenterebbe una mossa indipendente senza precedenti da parte di qualunque stato europeo lo faccia/lo faccia. Visto che ciò non è nemmeno accaduto negli otto anni prima della riuscita riaffermazione da parte degli Stati Uniti della loro egemonia unipolare per tutto il 2022, la probabilità che ciò accada oggigiorno in quelle condizioni molto più difficili è praticamente nulla.

“Il subordinato degli Stati Uniti ” per la “gestione” degli affari europei come parte della sua nuova cosiddetta strategia di “condivisione degli oneri”, la Germania ,  ha più che sufficienti leve di influenza economica, istituzionale e politica per punire chiunque di quei vassalli americani di livello inferiore che escono fuori posto. È quindi irrealistico aspettarsi che ogni singolo membro dell’UE sfidi unilateralmente le sanzioni anti-russe del blocco che il proprio governo ha precedentemente accettato.

Considerando questa realtà, quei leader che vogliono rimanere al potere o almeno non rischiare l’ ira della guerra ibrida guidata dai tedeschi degli Stati Uniti contro le loro economie sono restii a ripristinare una parvenza della loro sovranità in gran parte perduta in un modo così drammatico. Invece, la loro linea d’azione più pragmatica è quella di non partecipare all’aspetto militare di questa guerra per procura rifiutandosi di inviare armi a Kiev esattamente come hanno fatto il blocco pragmatico emergente dell’Europa centrale di Austria , Croazia e Ungheria. È quindi improbabile che la popolazione di quei paesi protesti contro le sanzioni anche dopo essere stata messa a conoscenza dei fatti contenuti nell’ultimo pezzo del NYT e giungendo naturalmente alla conclusione che le sanzioni anti-russe hanno danneggiato solo le proprie economie e non quella mirata alla Grande Di potere. Le persone in Francia, Germania e Italia, tuttavia, potrebbero benissimo reagire in modo diverso, soprattutto considerando la loro tradizione di organizzare massicce proteste.

In uno scenario del genere, i loro governi dovrebbero ordinare un violento giro di vite della polizia con qualsiasi pretesto escogitino, accusando falsamente i manifestanti di usare prima la violenza o accusandoli tutti di essere i cosiddetti “agenti russi”. Indipendentemente da come accadrà, il risultato sarà lo stesso per cui i paesi dell’Europa occidentale scivoleranno sempre più in una dittatura liberal-totalitaria, che a sua volta contribuirà a radicalizzare ulteriormente la loro popolazione verso fini incerti.

Tornando al pezzo del NYT, esso rappresenta un notevole capovolgimento della “narrativa ufficiale” ammettendo francamente che le sanzioni anti-russe dell’Occidente sono un fallimento. Ciò coincide con il cambiamento decisivo della narrazione più ampia guidata dai leader americani e polacchi nell’ultimo mese, per cui oggi stanno seriamente mettendo in guardia sulla probabile perdita di Kiev nella guerra per procura della NATO contro la Russia. Resta da vedere quali altre narrazioni cambieranno, ma si prevede che altre di queste lo faranno inevitabilmente.

https://korybko.substack.com/p/the-new-york-times-just-admitted

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Unione Europea e Germania! Controfigure e protagonisti_con Antonio de Martini

Da quaranta anni la costruzione e la designazione del nemico seguono lo stesso canovaccio. Dalle stelle alle stalle, personaggi come Saddam Husseyn, Milosevic, Gheddafi, per un pelo anche Assad, forse in un prossimo futuro Zelenski, hanno conosciuto una fine tragica, illudendosi per un attimo della benevolenza e delle grazie concesse dalla potenza aggrappata alle sue ambizioni egemoniche. Non sono altro che singoli punti di un cerchio che sta stringendo in una morsa ferrea ancora una volta l’Europa ed in particolare la Germania. Piuttosto che reagire, le vittime designate hanno scelto di divincolarsi il meno possibile. Così facendo pensano di guadagnare tempo; i più illusi ritengono di potersi ritagliare i resti di qualche pietanza. Saranno essi stessi la pietanza; il tacchino farcito da spolpare, senza nemmeno il ringraziamento. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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LA DECOSTRUZIONE DELLA POTENZA GERMANICA PRESENTATA COME CRISI DELLA UNIONE EUROPEA ENTRA NELLA FASE ACUTA ed altro_di Antonio de Martini

DALL’ULTIMO DECENNIO DEL 900 E PER TUTTO QUESTO QUARTO DEL NUOVO SECOLO OGNI SILURO ALL’UNIONE EUROPEA E’ STATO UN ATTACCO ALLA GERMANIA PER SCOMPAGINARNE LE ALLEANZE, LA CONSISTENZA POLITICA, ECONOMICA E FINANZIARIA E SMANTELLARNE O SVIARNE OGNI TENDENZA UNITARIA E IMPULSI DI SVILUPPO DEL NOSTRO CONTINENTE VERSO L’ASIA.

La costruzione dell’”American Century” e del ” Nuovo Ordine Mondiale“, fin dal 1991 – quando George Bush gettò la maschera della democrazia per annunziare al mondo che si apriva una nuova era – Il governo degli Stati Uniti si é premurato di trasformare ogni organizzazione internazionale in coalizione militare indicando come nemico N1 del mondo civile, progressivamente personaggi e paesi satelliti, resi prima sospetti poi impopolari agli occhi della opinione mondiale fino a renderli odiati, prima di annunziare punizioni esemplari, per ordine della ” Comunità internazionale“da loro rappresentata, ed eseguita dai più zelanti tra gli alleati ” volenterosi”nel caso di dissensi in sede ONU.

La prima coalizione militare seria (l’Irak) raccolse trentun paesi, l’ultima, quest’anno, cinquantuno.

Ognuna di queste coalizioni ha indicato – in un crescendo rossiniano- un “nemico pubblico” diverso, ma il risultato dell’azione é stato sempre a favore del governo degli Stati Uniti e il costo sopportato da altri, in particolare dall’Unione Europea o alcuni dei suoi componenti.

La sequenza delle “ punizioni” esemplari iniziata – a mò di manovra a fioco realistica- con l’isoletta caraibica di Granada, é giunta al confronto col primo avversario veramente pericoloso dato l’armamento nucleare di cui dispone e il fatalismo patriottico dei suoi abitanti. La Russia.

Per raggiungere questo obbiettivo mirante all’affermazione egemonica, il governo USA non ha esitato, dopo 75 anni di pace, a portare il conflitto nel cuore dell’Europa, dopo aver promosso la “secessione” dell’Inghilterra dalla UE, incoraggiato atteggiamenti di insofferenza verso la confederazione da parte di paesi europei tradizionalmente filo britannici come la Polonia e sta correndo un rischio calcolato di una overreaction russa, ma il suo vero obbiettivo sembra essere la destrutturazione dell’impalcatura della Unione Europea a guida germanica, con l’intento di sostituirla con un’espressione geografica in grado di ospitare amichevolmente basi militari e centri di influenza economica statunitense.

A ben vedere, in effetti la Russia con un PIL di poco superiore a quello italiano, con una demografia deficitaria e permeata di una mentalità mai veramente aperta al mondo – tipica di paesi non marinari – pur disponendo di un pericoloso arsenale nucleare, rappresenta più un “ brillante secondo” degli USA ( come l’Austria-Ungheria Asburgica con la Germania guglielmina) che un competitore capace di offrire al pianeta un modello di sviluppo civile. Il primo a notare la complementarietà tra USA e URSS fu Alberto Ronchey nel 1960 in un pamphlet “ L’Orso e la Balena”.

Il continente europeo, invece é culturalmente cattolico, dispone ( con l’Euro) di una potenza finanziaria, industriale ( con brevetti e colossi tedeschi) e demografica ( 500 milioni contro 300 scarsi e disomogenei) meglio strutturata di quella statunitense ( protestante con crescente minoranza cattolica e ortodossa, col dollaro fragilizzato da crisi in successione e politicamente semi isolata con due soli partner a fedeltà inossidabile: Israele e UK).

Il vecchio continente mantiene una influenza importante sull’Africa occidentale ( tramite i residui coloniali della Francia), sta acquisendo influenza in paesi chiave come l’Egitto, la Russia o la Cina ( prevalentemente tramite l’attivismo economico tedesco) mentre l’influenza culturale e linguistica dello spagnolo, supera già nel mondo – di oltre cinquanta milioni- la diffusione della lingua inglese, tallonata dalla francofonia (300 milioni).

La rinascita economica e industriale cinese pur realizzata con capitali anglosassoni e per altri fini non si é limitata a fungere da “fabbrica dell’occidente”, ma si é lanciata in autonomia sui mercati mondiali ridando centralità globale al Mediterraneo a scapito delle rotte atlantiche e dei porti protestanti come Anversa, Rotterdam, Londra, Amburgo (insomma la vecchia lega anseatica).

Il travaso migratorio dal Messico verso gli USA – altro indotto della strategia americana di utilizzo di mano d’opera a basso costo per massimizzare il profitto- minaccia di trasformare stati decisivi dell’Unione come la California e il Texas in stati di lingua spagnola (già oggi é la seconda lingua e la segnaletica stradale si é adeguata).

Nessuna meraviglia se gli Stati Uniti minacciati di perdere l’egemonia mondiale per mano del principale alleato, invidiati e imitati dall’Asia in crescita e sfruttati dagli alleati minori, abbiano sentito la necessità di articolare una strategia di blocco per gli europei, di sottomissione dei russi e di intimidazione dei cinesi: accerchiando la Cina e minacciando ( con basi, alleanze e pirateria) le sue rotte commerciali autonome, disarticolando la UE e avviando la sottomissione dei russi mediante la vecchia “ Strategia Schulenburg”( 1941-44) di muovere guerra alla Russia utilizzando altri russi.

Nei tre documenti qui illustrati, tutti ordinati alla Rand Corporation dallo Stato Maggiore USA nel 2019, si esaminano rispettivamente i punti suscettibili di provocare “la Russia di Putin” ( in 27 pagine), la strategia russa ( chiamata Russian subversion9 , in 31 pagine ed infine il documento strategico ” Extending Russia” di 325 pagine che illustra la strategia per far dilatare le spese del governo russo costretto ad aumentare a dismisura il budget della Difesa ed ogni altra uscita per far fronte alla competizione con l’Occidente. Chi volesse leggerli per intero può accedere coi link che seguono.

https://www.rand.org/pubs/perspectives/PE338.html

https://www.rand.org/pubs/perspectives/PE331.html

https://www.rand.org/pubs/research_reports/RR3063.html

La unica differenza, in una politica estera sostanzialmente impersonale e costante, tra Biden e Trump consiste nell’approccio soft verso la Russia e hard verso la Cina di quest’ultimo, mentre Biden ha scelto l’inverso.

LA POSIZIONE ITALIANA

L’Italia si trova a dover scegliere tra questi due corni del dilemma assistendo impotente alla disarticolazione della costruzione europea di Schuman, Adenauer e De Gasperi, sovente tradita da tutti i successori e in particolare quelli che si sono succeduti in questo ultimo decennio che, per salvare il predominio dei paesi del nord nelle sedi brussellesi, hanno recentemente allargato i cordoni della borsa ai paesi latini e Mediterranei – in primis Italia e Spagna- rovesciando ogni loro dogma economico e finanziario, visto che l’esperimento greco di soffocamento non fu conclusivo. La soluzione per i paesi latini ( Francia, Italia e Spagna) e non solo per l’Italia, é a mio avviso solo la ricostruzione paziente dell’edificio europeo con baricentro mediterraneo, riducendo l’influenza dei paesi del nord – segnatamente quella germanica nel suo stesso interesse- alcuni dei quali succubi dell’influenza statunitense per via della paura della Russia contro la quale vengono sistematicamente aizzati.

I fondi utilizzati per acquisire il consenso dei paesi mediterranei e la lunga lotta per ottenerli non devono ingannarci: la dimensione moderna dell’azione politica globale é una dimensione continentale e la conduzione dell’Europa da parte dei paesi del nord – anche se si é trattato di uno stile di guida gradito agli anglosassoni – si é rivelato fallimentare sul piano della coesione, velleitario sul piano delle ambizioni e servile sul piano del rapporto con USA e Gran Bretagna.

Un deciso aumento della influenza dei paesi latini mediterranei sarebbe nell’interesse di tutti i paesi appartenenti alla odierna UE a condizione che l’Unione futura integri i suoi rapporti storici, politici ed economici con l’Egitto e il Maghreb (indispensabile piedistallo della futura Unione che aggiungerebbe alla comunità 250 milioni di abitanti come promesso a Barcellona 2000, anno in cui ci impegnammo ad abbattere le barriere doganali col nord Africa e non ne facemmo nulla.

LA POSIZIONE FRANCESE

Appesantita da un passato coloniale che avvelena i suoi rapporti in particolare con l’Algeria che ebbe a combattere una guerra di indipendenza di otto anni col solo aiuto di Enrico Mattei, la Francia solo ieri é stata invitata dal Burkina Faso a ritirare la sue truppe ( impegnate nella operazione ” sabre“) dal paese entro trenta giorni ed a cambiare l’ambasciatore dichiarato persona non grata.

Lo scorso anno la Francia é stata ricusata anche dal Mali e posto fine alla operazione ” Barkane” e “Serval” per gestire la quale aveva chiesto anche l’aiuto italiano e tedesco. Anche i rapporti con la Costa d’Avorio hanno conosciuto momenti migliori. Anche per la Francia, l’avvenire é rappresentato dall’Europa mediterranea , ma incontra dalla fine del mandato di Jacques Chirac un terzetto di presidenti devoti alla causa atlantica ( Sarkozy, Hollande, Macron) che hanno sabotato, l’uno il processo di integrazione appoggiando l’impresa cinica USA contro il parere italiano e tedesco ( e turco), l’altro ha smembrato la costituzione della brigata franco tedesca intesa come embrione delle nuove forze armate d’Europa e quest’ultimo la stessa coesione nazionale, anche se intuisce la necessità di una intesa con Italia e Spagna ogni volta che nota segni di disinteresse americano verso la politica e le iniziative francesi.

LA POSIZIONE TEDESCA

Sconfitta a due riprese da coalizioni euro russe e frustrata nelle sue ambizioni, la Germania ha seguito, in questo dopoguerra, la via della crescita economica sfruttando come vantaggio di non aver avuto spese militari significative fino a ieri. Gli Stati Uniti, resisi conto della peculiarità hanno cercato di ridurre la loro presenza militare schierata a protezione del territorio tedesco. Ma, Non potendo rifiutare la riunificazione e la competizione o il processo di unificazione del Continente, hanno accentuato la sorveglianza giungendo fino a intercettare la cancelliera Merkel che flirtava con la Russia e con la Cina, contrastare l’egemonia francese ( e la penetrazione dei missionari cattolici) in Africa e assestare una stangata anche all’Italia con la svalutazione nel 1992 della lira al 27% stimolata da un finanziere USA, agente americano per poi proseguire, senza riguardi per l’alleato, la distruzione dei mercati libico, siriano e iraniano di cui il nostro paese era il primo fornitore.

La Germania é stata dissuasa dall’investire in Algeria 500 miliardi per creare un hub energetico europeo di energia solare poco dopo l’accordo con gli algerini; dall’accentuare i rapporti economici e gli investimenti in Russia ( seguendo l’insegnamento di Bismarck) e il fatto che in un cellulare made in China il numero di brevetti utilizzati sia al 40% paritariamente tedesco e americano, non ha migliorato i rapporti, così come il suo rifiuto ufficiale a partecipare all’avventura libica (che ha impedito una partecipazione ufficiale NATO) non hanno migliorato la situazione che é definitivamente peggiorata alla notizia della plusvalenza di 500 miliardi ottenuta in un solo anno nell’interscambio coi cinesi.

La prospettiva di una intesa russo tedesca che relegherebbe gli Stati Uniti in una posizione di subordinazione insopportabile, ha deciso gli USA a iniziare una proxy war in Europa contro la Russia, per costringere gli alleati a decidere da che parte stare. Mai avevano gli USA avuto tanti alleati, ma mai tanto svogliati. Irrilevante il fatto che sia stata la Russia a prendere l’iniziativa (e il doc N1 pubblicato sopra “what provokes Putin’s Russia” del gennaio 2020 lo dimostra). Il conflitto ucraino ottiene di innescare la crisi russa, obbliga all’inimicizia euro russa, spinge i cinesi alla cautela per non perdere gli ingentissimi investimenti americani, rilancia le forniture militari a paesi fino ad oggi virtualmente armati ( Italia, Germania e Giappone) e crea una ennesima frattura tra i fautori europei di un riarmo offensivo degli ucraini e gli scettici.

La Germania non ha detto che non voleva fornire i carri armati LEOPARD2 agli ucraini: ha detto che lo vuol fare ” un giorno dopo che gli USA avranno fornito i ben più adatti ABRAMS ( questo i media non lo hanno riferito) statunitensi: sono cioè maturi per una associazione con gli altri europei su base paritaria piuttosto che continuare a subire l’hubris yankee.

Non approfittarne sarebbe un peccato.

LA SERBIA E IL KOSOVO SI PIEGANO ALLA UNIONE EUROPEA ” PER NECESSITA’ FAMILIARI”.

IL PRESIDENTE SERBO VUCIC CAPISCE E SPIEGA LA ESIGENZA DI AVERE DIMENSIONI CONTINENTALI O PERIRE DI INEDIA

Il presidente serbo Alecsander Vucic, dopo aver vinto le elezioni sull’onda di un elettorato in stragrande maggioranza filo russo, ha operato una svolta improvvisa, spiegando ai suoi concittadini le ragioni per cui il paese deve piegarsi alle richieste della UE incluse le sanzioni alla Russia e ha chiesto alla Wagner di non accettare volontari serbi per l’Ucraina.

Durante il ventennio fascista, quanti in Italia aderirono tardivamente – in difesa del posto di lavoro- al regime prendendo la tessera del PNF ( partito nazionale fascista), videro scherzosamente ribattezzato l’acronimo in ” Per Necessità Familiari”.

L’aneddoto mi é tornato in mente quando ho letto la notizia Bloomberg che il Presidente serbo Aleksander Vucic ha annunziato un grande dibattito pubblico sul tema della proposta franco-tedesca di sistemazione del contenzioso tra Serbia e Kosovo.

L’antefatto é noto e assomiglia come una goccia d’acqua alla secessione del Donbass dall’Ucraina: il Kosovo, culla della nazionalità serba e teatro della grande battaglia di Kosovo contro i turchi – cantata da D’Annunzio – protetto dai bombardamenti USA proclamò la sua indipendenza e decise di ospitare una grande base logistica militare americana. Da allora non corre buon sangue e truppe UE, anche italiane, presidiano il nord del Kosovo – prevalentemente abitato da serbi di religione ortodossa contro le soperchierie dei kossovari, mussulmani che insidiano i santuari cristiani che furono la culla dell’identità serba.

Il pubblico dibattito annunziato lo scorso 24 gennaio, é stato spiegato dal presidente – fino al giorno prima filo russo e decorato personalmente da Putin dell’ordine cavalleresco di Aleksander Newsky– con parole piene di realismo che spiegavano, in caso di rifiuto, il paese avrebbe “ subìto una interruzione del processo di integrazione europea, uno stop e il ritiro degli investimenti e misure politiche ed economiche tali da causare grandi danni alla repubblica serba.”

Stesso discorso per la dirigenza Kosovara che osteggia ogni intesa temendo che il nord del paese diventi, per poco che si renda autonoma, una enclave serba data la maggioranza della popolazione e la sua resilienza, al punto che a venticinque e passa anni dalla creazione del nuovo stato, il governo di Pristina non é ancora riuscito a far adottare agli automobilisti le targhe nuove e tutti girano con le targhe d’anteguerra.

Poiché sia gli uni che gli altri sanno che l‘Unione Europea é il principale sovventore e investitore di entrambi i paesi ed entrambi mirano ad essere accolti nella UE, francesi e tedeschi congiunti ( cui si é aggiunta l’italiana Giorgia Meloni) auspicano di riuscire a comporre la vertenza almeno in parte o – come minimo- fermare l’escalation.

Il piano della Unione Europea prevede che Belgrado cessi di fare pressioni per impedire il riconoscimento del Kosovo in sede internazionale ( attualmente é riconosciuto solo dagli USA e un paio di intimi) e il Kosovo dovrebbe concedere una qualche forma di autonomia – già promessa e mai concessa – alla regione settentrionale abitata da una schiacciante maggioranza di serbi pronti allo scontro. In pratica la situazione é identica a quella dell’Ucraina del 2014 mutatis mutandis con l’UE al posto degli USA e i fieri serbi nel ruolo degli ucraini che lottano per l’indipendenza.

CRISI IN BULGARIA: PER LA QUINTA VOLTA IN DUE ANNI ELEZIONI POLITICHE GENERALI

Rumen Radev annunzia che il 3 febbraio scioglierà il Parlamento

Tempi duri per il partito socialista bulgaro ostile a rifornire l’Ucraina di munizioni d’epoca sovietica e carburanti diesel per i mezzi corazzati. Si piazza primo alle elezioni, ma non riesce a formare un governo. Le elezioni hanno avuto luogo a aprile, luglio e settembre 2021 e a ottobre 2022. la prossima tornata é prevista per il 2 aprile 2023.

Nella foto: Rumen Radev, Presidente della Repubblica di Bulgaria, ha annunziato che scioglierà il Parlamento il prossimo 3 febbraio, per la quinta volta in due anni.

In questo lasso di tempo, il paese é stato gestito da governi interinali che hanno rifornito l’Ucraina del 40% delle munizioni ( di epoca sovietica quindi introvabili per UE e USA) impiegate in questo primo anno di guerra. Ora che l’allargamento del conflitto é una delle opzioni in ballo, si cerca di ottenere un viatico democratico per una formula di governo in grado di vantare un pedigree democratico.

La Bulgaria é – oltre all’Ucraina– anche uno dei collegamenti politici americani con la guerra di Siria, alla quale ha fornito tutto l’armamento necessario, dato che il paese dispone di una fabbrica licenziataria dei mitragliatori Khalashnikov, l’arma più diffusa del pianeta – in particolare nei paesi arabi e del terzo mondo, per la sua semplicità di impiego e manutenzione.

La manovra va letta nel quadro dell’unrest dei Balcani che si cerca di placare con operazioni “democratiche” ( anche in Romania dove sono stati licenziati i tre importanti dirigenti dei servizi segreti senza spiegazioni) e nel Balcani occidentali con le recenti dichiarazioni della premier italiana Giorgia Meloni invocante l’integrazione di Sloveni, Bosniaci, Serbi, Croati e Montenegrini nella Unione Europea.

In realtà la Serbia, considerata la pecora russa dell’area, non la vuole nessuno, anche per via della Unione doganale con la Russia che aprirebbe una via all’interscambio senza controlli tra UE e Russia.

https://corrieredellacollera.com/

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L’Europa nell’interregno: il nostro risveglio geopolitico dopo l’Ucraina, di Josep Borrell

Una piatta perorazione di una “Bussola strategica” europea tanto sciatta nella esposizione quanto ambigua e approssimata nelle sue linee. Josep Borrell ha ragione su un punto: il tramonto della certezza che ” l’idea di interdipendenza genera di per sé prosperità e pace”, ragion per cui bisogna ““imparare a parlare la lingua della potenza”. E’ il colpo mortale, anche qui in Europa, all’idea liberal/liberista che la progressione dell’interdipendenza e dei commerci globalizzati siano il viatico naturale alla pace. Per il resto il suo intervento è pura mistificazione tesa a coprire la sciatteria di un documento raffazzonato anche nell’eloquio e dalle finalità opposte a quelle dichiarate. Mistificazione nell’attribuire alla Russia la responsabilità di aver sconvolto i principi regolatori dell’equilibrio europeo rimuovendo le reali dinamiche del primo vero importante episodio di rottura, la spinta alla dissoluzione della Jugoslavia, la guerra successiva contro la Serbia e il riconoscimento del Kosovo. Il tutto per additare il reprobo e celare e giustificare la politica aggressiva e fomentatrice di caos della NATO. L’anarchia in Libia, il terrorismo, la fomentazione della guerra civile in Siria diventano una sorta di catastrofe naturale da fronteggiare. Il resto va semplicemente rimosso, a partire dalla natura dei regimi dei paesi baltici e dell’Ucraina. Nessun accenno alle conseguenze di una politica ottusa di imposizione della “democrazia” in società tribali che con il voto legittimano il predominio di una etnia sulle altre. In poche parole Borrell rivela la reale indole dell’interventismo europeo e precisamente quando dice che “dovremmo riconoscere che, accanto a coalizioni di partner che la pensano allo stesso modo, abbiamo anche paesi che lavorano con noi su alcune questioni mentre si oppongono su altre. E se il governo centrale non è d’aiuto, dovremmo lavorare di più con le forze locali o i gruppi della società civile”. Questo vale, come abbiamo già visto, sia all’interno della UE, che all’esterno. Quell’esterno, probabilmente, significherà soprattutto l’Africa, laddove sono state particolarmente cocenti le batoste subite. Borrell parla di potenza dell’Europa, ma la “bussola strategica” non fa che confermare che la vera potenza sono gli Stati Uniti, che l’Unione Europea funge da semplice supporto e ausiliare, che l’Europa è destinata a terra di drenaggio di risorse amiche e a campo di battaglia dei contendenti. Come i lettori potranno riscontrare nei due testi riportati qui sotto, sono la stessa impostazione del documento della “bussola” e il relativo vocabolario adottato a rivelare tutto questo.

  • Lo scacchiere mondiale è definito senza alcuna priorità legata agli interessi europei seguendo alla lettera i quadranti operativi disegnati dal comando strategico statunitense.
  • L’arco temporale di azione di dieci anni serve a costituire una forza di pronto intervento coordinata ed integrata di appena cinquemila uomini. Per inciso cinquemila sono i militari europei attualmente impegnati all’estero. I trascorsi ci dicono del naufragio di proposte o semplici intenzioni del genere; tra tutte il recente naufragio del progetto di costruzione di un corpo militare unico franco-tedesco. Su questo, però, Borrell ha ragione: i tempi sono cambiati, le dinamiche geopolitiche corrono, la realtà, con essa il mentore americano, impone delle scelte. Si tratta di migliorare drasticamente la loro rapida fungibilità. In realtà, si tratta di una forza di pronto intervento a supporto di raid, incursioni e processi di stabilizzazione nei vari angoli del mondo e, inquietante novità, propedeutica all’intervento massiccio di eserciti nazionali, presumibilmente di paesi appartenenti alla NATO.

Il documento non addita esplicitamente la Russia come il nemico politico da affrontare; lo marchia come emblema del male. Paradossalmente, ammesso e non concesso che la Russia sia il nemico, il documento dovrebbe servire quindi ad approntare i mezzi necessari e autonomi di difesa sul proprio territorio europeo. Niente di tutto questo. Si presume che rimanga la delega in bianco riservata alla NATO vista la natura e l’esiguità del corpo militare in gestazione.

La “bussola”, opportunamente non si ferma qui. Perora la causa della creazione di un complesso industriale-militare a supporto dell’eventuale sforzo bellico e ne individua le procedure: un sistema di incentivi agli stati e alle loro industrie vincolate alla costruzione di sistemi d’arma il più possibile compatibili; l’utilizzo delle tecnologie civili (in particolare il sistema di comunicazione “Galileo”, sin qui osteggiato dagli americani e quello di trasporto aereo “AIRBUS”) a fini militari, seguendo un percorso curiosamente inverso a quello statunitense e in parte cinese. Già le grandi difficoltà di progettazione del carro armato franco-tedesco compatibile con i diversi teatri, la profonda diffidenza nella progettazione dell’aereo di sesta generazione ispanico-franco-tedesco, specie se confrontata con la maggiore fluidità dell’analogo progetto anglo-italiano dovrebbero servire da monito. Il documento, in realtà, non chiarisce colpevolmente quali saranno i legami di questo complesso industriale in divenire con il complesso industriale ben strutturato e dominante statunitense; ci ha pensato per altro il fu-governo di Angela Merkel ad inibire ogni proposito francese di inibire l’accesso del complesso statunitense all’arsenale europeo. Nemmeno può rassicurare sul fatto che una semplice pratica di incentivi riesca a conciliare le esigenze militari di stati europei dalle proiezioni geopolitiche divergenti. Lo stesso utilizzo duale delle infrastrutture civili, così enfatizzato nel documento, non è altro che la scopiazzatura dei grandi progetti di collegamento veloce ed integrato propugnati dalla NATO, ma spacciati per altre finalità in realtà complementari. Grazie a Luigi Longo, ne abbiamo lungamente trattato su questo sito.

Ciò che Borrell chiama “collaborazione” è in realtà puro supporto della UE alle politiche della NATO e della sua componente più oltranzista. Non saranno certo quattro scribacchini incaricati di metter giù qualche pastrocchio ad impensierire la leadership statunitense. Il collante che tiene uniti i paesi europei è la subordinazione agli Stati Uniti; la Unione Europea, senza nemmeno la flessibilità che iniziano a mostrare gli statunitensi nel NSS, è lo specchietto delle allodole che impedisce ai paesi europei di trovare una propria strada di accordo autonoma ed indipendente. Da qui il fumo dello scorrazzare per conto terzi nei vari quadranti del globo terrestre presentato come piano strategico curiosamente privo di priorità e di iniziative proprie non necessariamente conflittuali con i propri vicini di casa. Per il resto cercheremo in futuro di approfondire ulteriormente i temi indicati e sottesi. Buona lettura, Giuseppe Germinario

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La guerra contro l’Ucraina dimostra che l’Europa è ancora più in pericolo di quanto si pensasse solo pochi mesi fa. La brutale invasione russa dell’Ucraina non è solo un attacco non provocato contro un paese sovrano che si batte per i suoi diritti e la sua democrazia; è anche la più grande sfida all’ordine di sicurezza europeo dalla fine della seconda guerra mondiale. Sono in gioco i principi stessi su cui sono costruite le relazioni internazionali, non ultimi quelli della Carta delle Nazioni Unite e l’Atto finale di Helsinki.

Le crisi tendono a cristallizzare gli sviluppi, e questo ha reso ancora più chiaro che viviamo in un mondo plasmato da una pura politica di potenza, dove tutto è armato e dove ci troviamo di fronte a un feroce scontro di narrazioni. Tutte queste tendenze erano già evidenti prima della guerra in Ucraina; ora stanno accelerando.

Questo significa che anche la nostra risposta deve accelerare – e lo ha fatto. Abbiamo intrapreso un’azione rapida in tutto lo spettro politico e cosí facendo abbiamo infranto diversi tabù: sanzioni senza precedenti e sostegno massiccio all’Ucraina, ivi compreso, per la prima volta in assoluto, il finanziamento della consegna di attrezzature militari a un paese sotto attacco. Abbiamo anche costruito un’ampia coalizione internazionale per sostenere l’Ucraina, isolare la Russia e ripristinare la legalità internazionale. Da qualunque punto di vista la si guardi, la risposta dell’UE è stata impressionante – anche se non è abbastanza, con la guerra ancora in corso.

Non sappiamo come e quando questa guerra finirà. Come scrive Le Grand Continent nel suo recente numero cartaceo, stiamo ancora navigando in un interregno1. Ma possiamo già dire che la guerra in Ucraina del 2022 ha visto la nascita – per quanto tardiva – di una UE geopolitica. Per anni, gli europei hanno discusso su come rendere l’UE più consapevole della propria sicurezza, con un’unità di intenti e capacità di perseguire i suoi obiettivi politici sulla scena mondiale. Nelle ultime settimane siamo probabilmente andati più avanti su questa strada di quanto abbiamo fatto nel decennio precedente. Questo è benvenuto, ma dobbiamo assicurarci che il risveglio geopolitico dell’UE si trasformi in una posizione strategica più permanente. Perché c’è ancora molto da fare, in Ucraina e altrove.

Stiamo ancora navigando in un interregno.

JOSEP BORRELL

Fare dell’Europa un hard power

Sono convinto che l’UE debba essere più di un soft power: abbiamo bisogno anche di un hard power. Tuttavia, dobbiamo renderci conto che il concetto di hard power non può essere ridotto a mezzi militari: si tratta di usare l’intera gamma dei nostri strumenti per raggiungere i nostri obiettivi. Si tratta di pensare e agire in termini di potere. E, a poco a poco, si stanno realizzando le condizioni perché questo accada.

In primo luogo, c’è una crescente consapevolezza tra gli europei delle minacce che si trovano ad affrontare insieme e del grado in cui i loro destini sono legati. Oggi nessuno in Europa può credere o pensare che quello che sta succedendo in Ucraina non li riguardi, non importa quanto siano lontani dal dramma. Di conseguenza, il nostro sostegno all’Ucraina non è solo un atto di solidarietà, ma anche un modo di difendere i nostri interessi comuni e di agire per autodifesa contro un aggressore pesantemente armato e spietato.

In secondo luogo, i popoli europei hanno raggiunto un livello di prosperità e benessere sociale senza precedenti, che l’adesione all’UE ha ulteriormente aumentato. Questo rende l’Europa un’area fondamentalmente pacifica costruita intorno all’idea di interdipendenza che genera prosperità e pace. Tuttavia, una delle lezioni della guerra in Ucraina è che l’interdipendenza economica da sola non può garantire la nostra sicurezza. Al contrario, può essere strumentalizzata contro di noi. Quindi dobbiamo essere pronti ad agire contro coloro che vogliono usare i benefici dell’interdipendenza per danneggiarci o fare la guerra.

Questo è ciò che sta accadendo oggi. Introducendo sanzioni senza precedenti contro l’invasione della Russia in Ucraina, stiamo rendendo il costo dell’aggressione sempre più proibitivo. Allo stesso tempo, dobbiamo migliorare ulteriormente la nostra resilienza e ridurre le vulnerabilità strategiche, che si tratti di infrastrutture critiche, materie prime, prodotti sanitari o altri domini.

Una delle lezioni della guerra in Ucraina è che l’interdipendenza economica da sola non può garantire la nostra sicurezza. Al contrario, può essere strumentalizzata contro di noi.

JOSEP BORRELL

In tutta l’UE, c’è un chiaro impegno a trarre le giuste lezioni da questa crisi. Questo implica che finalmente prendiamo sul serio le minacce ai nostri interessi strategici di cui siamo stati consapevoli ma non sempre abbiamo agito. Prendiamo l’energia. Sappiamo da anni che l’energia gioca un ruolo sproporzionato nelle relazioni UE-Russia e che la Russia ha usato l’energia come arma politica. Ora ci siamo mobilitati pienamente per tagliare la nostra eccessiva dipendenza dalle importazioni di energia dalla Russia (di petrolio, gas e carbone).

In modo simile, la guerra in Ucraina sta rendendo più urgente un salto di qualità nella sicurezza e nella difesa dell’UE. Qui il punto principale è sottolineare che gli investimenti extra che gli stati membri dell’UE stanno facendo ora – che sono molto benvenuti – dovrebbero comportare un maggiore coordinamento nell’UE e nella NATO. Non è solo che ognuno di noi dovrebbe spendere di più; è che dobbiamo spendere di più tutti insieme.

Un nuovo mondo di minacce

La guerra in Ucraina è la più grave crisi di sicurezza in Europa da decenni, ma le minacce alla sicurezza europea provengono chiaramente da una varietà di fonti, sia in Europa che fuori. I nostri interessi di sicurezza sono in gioco nei Balcani occidentali, nel Sahel, nel Medio Oriente, nell’Indo-Pacifico, ecc.

Mentre la guerra in Ucraina infuria ed esige i suoi tremendi tributi, non dobbiamo dimenticare che il mondo è pieno di situazioni in cui ci troviamo di fronte a tattiche ibride e dinamiche intermedie di competizione, intimidazione e coercizione. Infatti, in Ucraina come altrove, gli strumenti del potere non sono solo soldati, carri armati e aerei, ma anche sanzioni finanziarie o divieti di importazione ed esportazione, così come i flussi di energia, e operazioni di disinformazione e interferenza straniera.

Inoltre, abbiamo visto negli ultimi anni la strumentalizzazione dei migranti, la privatizzazione degli eserciti e la politicizzazione del controllo delle tecnologie sensibili. Si aggiunga a questo la dinamica degli stati falliti, la ritirata delle libertà democratiche, con in più gli attacchi ai “beni comuni globali” del cyber spazio, dell’alto mare e dello spazio esterno, e la conclusione è chiara: la difesa dell’Europa richiede un concetto globale di sicurezza.

Fortunatamente, c’è ora una maggiore consapevolezza e accordo in Europa sulla natura delle minacce che affrontiamo – così come un processo di convergenza strategica su cosa fare al riguardo.

In Ucraina come altrove, gli strumenti del potere non sono solo soldati, carri armati e aerei, ma anche sanzioni finanziarie o divieti di importazione ed esportazione, così come i flussi di energia, e operazioni di disinformazione e interferenza straniera.

JOSEP BORRELL

La Bussola Strategica: un salto in avanti per la sicurezza e difesa europeee

Se vogliamo evitare di essere uno spettatore in un mondo modellato da e per gli altri, dobbiamo agire – insieme. Questa è la filosofia della Bussola Strategica che ho presentato lo scorso novembre e che è stata finalizzata dai ministri degli esteri e della difesa dell’UE il 21 marzo2. Ci sono molti dettagli nella Bussola, che si sviluppa su 47 pagine, raggruppate in quattro filoni di lavoro (Agire, Assicurare, Investire e Sviluppare partnership). Permettetemi di evidenziare solo alcune delle idee principali:

Per rafforzare la nostra capacità di azione, lavoreremo per rafforzare le nostre missioni e operazioni di gestione delle crisi e svilupperemo una capacità di dispiegamento rapido dell’UE per permetterci di schierare rapidamente fino a 5.000 truppe per diversi tipi di crisi. Aumenteremo la prontezza delle nostre forze attraverso regolari esercitazioni dal vivo (mai fatto prima a livello UE), rafforzeremo i nostri accordi di comando e controllo e promuoveremo un processo decisionale più rapido e flessibile. Espanderemo la nostra capacità di affrontare le minacce informatiche, la disinformazione e le interferenze straniere. E approfondiremo gli investimenti nei necessari abilitatori strategici e nelle capacità di prossima generazione. Questo renderà l’UE un fornitore di sicurezza più capace per i suoi cittadini, ma anche un partner globale più forte che lavora per la pace e la sicurezza internazionale.

Più che i documenti che produciamo di solito a Bruxelles, la Bussola Strategica stabilisce azioni concrete – con scadenze chiare per misurare i progressi. La Bussola è un documento di proprietà degli Stati membri, ora adottato dal Consiglio. Durante tutto il processo, gli Stati membri sono stati al posto di guida. Apponendo la loro firma, si impegnano ad attuarla. Ci sarà un robusto processo di follow-up per garantire l’attuazione. Queste sono le principali differenze con la strategia di sicurezza dell’UE del 2003 e la strategia globale del 2016.

Un’Unione più forte significa anche un rapporto transatlantico più forte

A questo punto della conversazione, si tende a dire: “Tutto questo è molto bello, ma che ne sarà della NATO?” Vorrei sottolineare che la NATO rimane al centro della difesa territoriale dell’Europa. Nessuno lo mette in discussione. Tuttavia, questo non dovrebbe impedire ai paesi europei di sviluppare le loro capacità e condurre operazioni nel nostro vicinato e oltre. Dovremmo essere in grado di agire come UE in scenari come quello che abbiamo visto l’anno scorso in Afghanistan (in cui abbiamo dovuto assicurare un aeroporto per l’evacuazione di emergenza) o intervenire rapidamente in una crisi in cui la violenza minaccia la vita dei civili.

Sono convinto che una maggiore responsabilità strategica europea sia il modo migliore per rafforzare la solidarietà transatlantica. Non è UE o NATO: è sia UE che NATO. Permettetemi di aggiungere che le esitazioni ad andare avanti su questo progetto “a causa della NATO” provengono dall’interno dell’UE, non dagli Stati Uniti. Qui posso citare dalla dichiarazione congiunta che il segretario Blinken e io abbiamo rilasciato lo scorso dicembre, vale a dire che gli Stati Uniti vogliono: “una difesa europea più forte e capace che contribuisca alla sicurezza globale e transatlantica”. Gli Stati Uniti essenzialmente dicono: “Non parlate, agite. Per favore, procedete e aiutateci a condividere l’onere della sicurezza”.

Non è UE o NATO: è sia UE che NATO.

JOSEP BORRELL

Se non ora, quando?

Mi rendo conto che chi, come me, vuole un cambio di passo in materia di sicurezza e difesa dovrebbe spiegare perché pensiamo che ‘questa volta sarà diverso’. Dovremmo riconoscere che nella storia della difesa europea ci sono stati numerosi piani e iniziative, pieni di acronimi, che vanno dal Piano Pleven e dalla Comunità Europea di Difesa; al lancio della Politica Estera e di Sicurezza Comune dopo Maastricht; alle guerre nell’ex Jugoslavia e all’”ora dell’Europa”, a Saint Malo, all’inizio della PESD, poi della PSDC, dell’obiettivo primario di Helsinki, della PESCO, del Fondo Europeo di Difesa e del Fondo Europeo di Pace, ecc.

Eppure il fatto fondamentale rimane che la sicurezza e la difesa sono probabilmente l’area dell’integrazione europea con il più grande divario tra aspettative e risultati. Tra ciò che potremmo essere e ciò che i cittadini chiedono – e ciò che effettivamente realizziamo.

Quindi è il momento di fare un altro tentativo. E la ragione per cui sento che la Bussola Strategica potrebbe avere più impatto dei piani precedenti sta nella velocità con cui le tendenze globali e il contesto geopolitico stanno cambiando e peggiorando. Questo rende le ragioni per l’azione urgenti e davvero irresistibili. È vero per la guerra in Ucraina e per le più ampie implicazioni di una Russia revisionista per la sicurezza europea.

Ma va oltre: tutte le minacce che affrontiamo si stanno intensificando e la capacità dei singoli stati membri di farvi fronte è insufficiente e in declino. Il divario sta crescendo e non si può andare avanti cosí.

Il mio compito è stato quello di abbozzare una via d’uscita. Ma so fin troppo bene che i risultati non dipendono dai documenti strategici, ma dalle azioni. Queste appartengono agli Stati membri: sono loro a detenere le prerogative e le risorse.

La buona notizia è che ogni giorno vediamo sempre più Stati membri pronti a investire di più nella sicurezza e nella difesa. Dobbiamo garantire che questi graditi investimenti aggiuntivi siano fatti in modo collaborativo e non in modo frammentato e nazionale. Dobbiamo usare questo nuovo slancio per assicurarci che, finalmente, ci dotiamo della mentalità, dei mezzi e dei meccanismi per difendere la nostra Unione, i nostri cittadini e i nostri partner.

Politicamente vedo la scelta che affrontiamo come simile a quando abbiamo lanciato l’euro o il Recovery Plan. Quando i costi della “non Europa” sono diventati così alti che la gente era pronta a ripensare le proprie linee rosse e a investire in soluzioni veramente europee. Abbiamo saltato insieme, per così dire, e, in entrambi i casi, i risultati sono chiari e positivi. Facciamo un simile salto in avanti sulla sicurezza e la difesa europea, come si aspettano i nostri cittadini. Se non ora, quando?

Ripensare la lingua della potenza

Nel bene o nel male, sospetto che il mio mandato di Alto Rappresentante dell’UE sarà associato a una frase che ho usato durante la mia audizione nell’ottobre 2019 al Parlamento europeo, cioè che gli europei dovevano “imparare a parlare la lingua della potenza”.

Ho sostenuto che l’origine dell’integrazione europea è scaturita da un rifiuto della politica di potenza tra gli stati partecipanti. Il progetto europeo era riuscito a trasformare i problemi politici in problemi tecnocratici e a sostituire i calcoli di potere con procedure legali. Nella storia delle relazioni internazionali e nel nostro continente devastato dalla guerra, questa è stata una rivoluzione copernicana. Fu anche un successo spettacolare, cementando la pace e la cooperazione tra paesi che prima erano in guerra, creando istituzioni, mappe mentali e un vocabolario unici.

Ma questo capitolo storico si è concluso, mentre l’UE ha affrontato diverse crisi e shock: la crisi finanziaria e dell’euro, la crisi migratoria e la Brexit. Tutte queste crisi hanno innescato dibattiti intensamente politici sulla natura dell’UE e sulle fonti di solidarietà e legittimità. Tali dibattiti non potevano essere risolti con la solita tattica dell’UE di depoliticizzarli e di proporre soluzioni tecniche e di mercato.

Da molti anni stiamo vivendo una nuova fase della storia europea che non riguarda tanto gli spazi (uno dei temi preferiti a Bruxelles, quello delle frontiere aperte e della libera circolazione) ma i luoghi (da dove vengono e a cui appartengono le persone, la loro identità). Sembriamo meno concentrati sulle tendenze (globalizzazione, progresso tecnologico) e più sugli eventi storici (e su come rispondiamo ad essi): come la pandemia e l’attacco della Russia all’Ucraina.

Il successo dell’integrazione dell’UE e il metodo scelto di depoliticizzazione hanno avuto anche un prezzo: la riluttanza e l’incapacità di venire a patti con il fatto che, fuori dal nostro giardino post-moderno, “la giungla stava ricrescendo”.

JOSEP BORRELL

A questo bisogna aggiungere un importante fattore esterno. Il successo dell’integrazione dell’UE e il metodo scelto di depoliticizzazione hanno avuto anche un prezzo: la riluttanza e l’incapacità di venire a patti con il fatto che, fuori dal nostro giardino post-moderno, “la giungla stava ricrescendo”3. Trent’anni fa, molte discussioni e libri parlavano di come il mondo fosse piatto, di come la storia fosse finita e di come l’Europa e il suo modello avrebbero gestito il XXI secolo. Oggi si parla dell’armamento dell’interdipendenza e di come un’Europa presunta ingenua non sia adatta all’era della politica di potenza4.

In tutto questo, sono stato convinto di due punti fondamentali:

In primo luogo, dobbiamo essere realistici e riconoscere che l’attuale fase della storia e della politica globale ci impone di pensare e agire in termini di potenza (da qui, la frase “la lingua della potenza”). La guerra contro l’Ucraina è l’ultima e più drammatica illustrazione di questo.

In secondo luogo, il modo migliore per esercitare un’influenza, plasmare gli eventi e non essere guidati da essi, è a livello dell’UE: investendo nella nostra capacità collettiva di agire.5

Tutto il resto è abbellimento e dettaglio.

Di conseguenza, dobbiamo dotarci della mentalità e dei mezzi per gestire l’era della politica di potere e dobbiamo farlo in scala. Questo non accadrà da un giorno all’altro – dato chi siamo e da dove veniamo. Tuttavia, credo che stiamo mettendo in atto gli elementi costitutivi e che la crisi ucraina abbia accelerato questa tendenza.

Già nel 2021 mostravamo di essere pronti ad adottare una postura forte per contrastare le aperte manifestazioni di politica di potere ai nostri confini orientali. Oltre al nostro sostegno all’Ucraina, si può indicare quello che abbiamo fatto sulla Bielorussia, dove abbiamo tenuto duro anche sulla strumentalizzazione dei migranti, o sulla Moldavia, a cui abbiamo esteso il nostro sostegno.

Inoltre, abbiamo rafforzato il nostro approccio alla Cina e definito come l’UE può rafforzare il suo impegno nella e con la regione dell’Indo-Pacifico. Sulla Cina, siamo diventati meno ingenui e abbiamo fatto il nostro dovere per contrastare la sfida dell’apertura asimmetrica con le nostre politiche di screening degli investimenti, 5G, appalti e lo strumento anti-coercizione, come anche esposto da Sabine Weyand su queste pagine.

Inoltre, con la nostra strategia indo-pacifica, siamo impegnati in un processo di diversificazione politica, investendo nei nostri legami con l’Asia democratica. Centrale in questo sforzo è il nostro lavoro sul Global Gateway, per spiegare la nostra offerta e come si differenzia da quella di altri attori. Il punto del Global Gateway è quello di costruire legami, non dipendenze. Infatti, molti partner africani e asiatici accolgono con favore l’approccio europeo alla connettività con la sua enfasi su regole concordate, sostenibilità e proprietà locale. Ma questo è un campo competitivo e c’è una battaglia in corso sugli standard. Pertanto, dobbiamo essere concreti e non limitare la nostra posizione a dichiarazioni generali di principi e di intenti. Ecco perché prevediamo di mobilitare fino a 300 miliardi di euro nell’ambito del Global Gateway, con 150 miliardi di euro specialmente per l’Africa, più diverse iniziative faro, per rendere la cooperazione il più concreta e tangibile possibile.6

Potrei continuare, ma il punto principale è sottolineare che, a poco a poco, la nozione di un’UE geopoliticamente consapevole stava già prendendo forma prima della guerra contro l’Ucraina. Il compito che ci attende è quello di rendere il risveglio geopolitico dell’Europa più permanente e consequenziale. Questo ci richiede non solo di imparare la lingua della potenza, ma di parlarla.

La nozione di un’UE geopoliticamente consapevole stava già prendendo forma prima della guerra contro l’Ucraina. Il compito

JOSEP BORRELL

A metà mandato: cosa possiamo fare in modo diverso e meglio?

Questa Commissione europea ha iniziato il suo mandato nel dicembre 2019. Dopo più di due anni e dopo aver analizzato come portiamo avanti la politica estera dell’UE, la mia principale preoccupazione è che non stiamo tenendo il passo. Come dice il mio amico e primo Alto Rappresentante dell’UE Javier Solana, il tempo in politica, come in fisica, è relativo: se la velocità con cui stai cambiando è inferiore alla velocità del cambiamento intorno a te, stai andando all’indietro. E questo non possiamo permettercelo. La nostra risposta alla crisi ucraina mostra cosa si può fare se la pressione è estrema. Tuttavia, è troppo presto per concludere che questo sia diventato il modo generale di operare nella politica estera dell’UE.

Quindi vorrei condividere alcune idee su quelli che potrebbero essere i quattro ingredienti chiave per il successo e un maggiore impatto dell’UE in un mondo turbolento:

1. Pensare e agire in termini di potenza

Gli europei, con buone ragioni, continuano a preferire il dialogo al confronto; la diplomazia alla forza; il multilateralismo all’unilateralismo. Ma se si vuole che il dialogo, la diplomazia e il multilateralismo abbiano successo, bisogna metterci forza e risorse. Ogni volta che lo abbiamo fatto – in Ucraina, Bielorussia o con la nostra diplomazia del clima – abbiamo avuto un impatto. Ogni volta che abbiamo optato per affermare posizioni di principio senza specificare i mezzi per renderle efficaci, i risultati sono stati meno efficaci.

La mia sensazione è che le idee intorno alla lingua della potenza o all’armamento dell’interdipendenza siano ora ampiamente accettate. Tuttavia, l’implementazione, le risorse e gli impegni necessari continuano a essere una sfida.

La mia sensazione è che le idee intorno alla lingua della potenza o all’armamento dell’interdipendenza siano ora ampiamente accettate. Tuttavia, l’implementazione, le risorse e gli impegni necessari continuano a essere una sfida.

JOSEP BORRELL

2. Prendere l’iniziativa ed essere pronti a sperimentare

In generale, siamo troppo spesso in una modalità reattiva, rispondendo ai piani e alle decisioni di altre persone. Credo anche che dobbiamo evitare la routine burocratica (“cosa abbiamo fatto l’ultima volta?”) e recuperare un senso di iniziativa.

Inoltre, dobbiamo essere pronti a sperimentare di più. Spesso è l’opzione più sicura attenersi a ciò che conosciamo e che abbiamo sempre fatto. Ma questo non è sempre il modo migliore per ottenere risultati.

3. Costruire coalizioni variegate e agire più velocemente

Dobbiamo essere più orientati agli obiettivi e pensare a come mobilitare i partner intorno alle nostre priorità, questione per questione. Dovremmo riconoscere che, accanto a coalizioni di partner che la pensano allo stesso modo, abbiamo anche paesi che lavorano con noi su alcune questioni mentre si oppongono su altre. E se il governo centrale non è d’aiuto, dovremmo lavorare di più con le forze locali o i gruppi della società civile.

Nell’UE, siamo molto occupati con noi stessi e ci vuole molto tempo per stabilire posizioni comuni. Quando gli Stati membri sono divisi, la regola dell’unanimità in politica estera di sicurezza è una ricetta per la paralisi e il ritardo. Ecco perché sono a favore dell’uso dell’astensione costruttiva e di altre opzioni previste dal trattato, come l’uso del voto a maggioranza qualificata (VMQ) in aree selezionate, per facilitare un processo decisionale più rapido.7

C’è il rischio che diamo la priorità alla ricerca dell’unità interna rispetto alla massimizzazione della nostra efficacia esterna. Cosí va a finire che, quando abbiamo finalmente raggiunto una posizione comune – spesso aggiungendo molta acqua al vino – il resto del mondo è andato avanti.

Ho sottolineato l’importanza di investire in una cultura strategica comune, che ha bisogno di un dibattito europeo, uno spazio per discutere su ciò che possiamo e non possiamo fare in politica estera dell’UE e perché. Di conseguenza, contribuisco regolarmente a questa rivista, che considero un esempio tangibile della nascita di un dibattito strategico, politico e intellettuale su scala continentale.

JOSEP BORRELL

4. Modellare la narrazione

Dopo aver trascorso decenni in politica, sono convinto che probabilmente l’ingrediente più importante per il successo è dare forma alla narrazione. Questa è la vera moneta del potere globale.8

Per questo motivo, all’inizio della pandemia ho parlato dell’esistenza di una “battaglia di narrazioni”9 e ho sottolineato l’importanza di investire in una cultura strategica comune, che ha bisogno di un dibattito europeo, uno spazio per discutere su ciò che possiamo e non possiamo fare in politica estera dell’UE e perché. Di conseguenza, contribuisco regolarmente a questa rivista e ai seminari del Groupe d’études géopolitiques, che considero un esempio tangibile della nascita di un dibattito strategico, politico e intellettuale su scala continentale.10

Ai cittadini dell’UE non interessa molto chi fa cosa a Bruxelles, né le discussioni astratte. Non si preoccupano del numero di dichiarazioni che facciamo, o delle sanzioni che adottiamo. Ci giudicano sui risultati, non sugli input. In altre parole sui risultati: sono più sicuri o più prosperi grazie all’azione dell’UE? L’UE è più o meno influente, anche in termini di difesa dei nostri valori, rispetto a un anno fa? Abbiamo più o meno fiducia negli altri? Abbiamo ottenuto di più o di meno sostenendo i nostri partner? Queste sono le metriche che contano.

La guerra contro l’Ucraina ha reso chiaro che in un mondo di politica di potere abbiamo bisogno di costruire una maggiore capacità di difenderci. Sì, questo include i mezzi militari, e dobbiamo svilupparli di più. Ma l’essenza di ciò che l’UE ha fatto in questa crisi è stata quella di utilizzare tutte le politiche e le leve – che rimangono principalmente di natura economica e normativa – come strumenti di potere.

Dovremmo costruire su questo approccio, in Ucraina ma anche altrove. Il compito principale dell’”Europa geopolitica” è semplice: usare il nostro ritrovato senso di scopo e renderlo il “nuovo normale” nella politica estera dell’UE. Proteggere i nostri cittadini, sostenere i nostri partner e affrontare le nostre responsabilità di sicurezza globale.

NOTE
  1. Le Grand Continent, «  Politiques de l’interrègne », Gallimard, 2022
  2. Potete leggere di più sulla logica e gli elementi principali nella mia prefazione personale: https://eeas.europa.eu/sites/default/files/en_updated_foreword_-_a_strategic_compass_to_make_europe_a_security_provider_v12_final.pdf
  3. Si veda il libro di Robert Kagan del 2018: https://www.brookings.edu/books/the-jungle-grows-back-america-and-our-imperiled-world/
  4. https://legrandcontinent.eu/fr/2022/02/18/lere-de-la-paix/
  5. Luiza Bialasiewicz, “Le moment géopolitique européen : penser la souveraineté stratégique” in le Grand Continent, “Politiques de l’interrègne”, March 2022, Gallimard
  6. https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/ip_21_6433
  7. https://eeas.europa.eu/headquarters/headquarters-homepage/86276/when-member-states-are-divided-how-do-we-ensure-europe-able-act_en
  8. Lorenzo Castellani, “Le nouveau visage du pouvoir” in le Grand Continent, “Politiques de l’interrègne”, Gallimard, March 2022.
  9. https://eeas.europa.eu/headquarters/headquarters-homepage/76379/coronavirus-pandemic-and-new-world-it-creating_en
  10. https://geopolitique.eu/en/2021/05/05/european-foreign-policy-in-times-of-covid-19/

https://legrandcontinent.eu/it/2022/03/24/leuropa-nellinterregno-il-nostro-risveglio-geopolitico-dopo-lucraina/

Consiglio
dell’Unione europea
Bruxelles, 21 marzo 2022
(OR. en)
7371/22
COPS 130 PROCIV 36
POLMIL 72 ESPACE 27
EUMC 95 POLMAR 26
CSDP/PSDC 155 MARE 24
CFSP/PESC 394 COMAR 23
CIVCOM 50 COMPET 165
RELEX 373 IND 77
JAI 371 RECH 144
HYBRID 27 COTER 79
DISINFO 24 POLGEN 41
CYBER 87 CSC 111
RISULTATI DEI LAVORI
Origine: Segretariato generale del Consiglio
Destinatario: Delegazioni
Oggetto: Una bussola strategica per la sicurezza e la difesa – Per un’Unione
europea che protegge i suoi cittadini, i suoi valori e i suoi interessi e
contribuisce alla pace e alla sicurezza internazionali.
Si allega per le delegazioni la bussola strategica per la sicurezza e la difesa – Per un’Unione europea
che protegge i suoi cittadini, i suoi valori e i suoi interessi e contribuisce alla pace e alla sicurezza
internazionali, approvata dal Consiglio nella sessione del 21 marzo 2022.
7371/22 via/md/S 2
ALLEGATO RELEX.5 IT
ALLEGATO
Una bussola strategica per la sicurezza e la difesa
Per un’Unione europea che protegge i suoi cittadini, i suoi valori e i suoi interessi
e contribuisce alla pace e alla sicurezza internazionali
SINTESI
Con il ritorno della guerra in Europa determinato dall’aggressione ingiustificata e non
provocata della Russia nei confronti dell’Ucraina, nonché a causa dei significativi mutamenti geopolitici in atto, la nostra capacità di promuovere la nostra visione e di difendere i nostri interessi è messa alla prova. Viviamo in un’epoca di competizione strategica e di complesse minacce alla sicurezza. Nel nostro vicinato e oltre assistiamo a un aumento dei conflitti, degli atti di aggressione e delle fonti di instabilità, oltre che a un incremento delle forze militari, che causano gravi sofferenze umanitarie e sfollamenti. Aumentano anche le minacce ibride, sia in termini di frequenza che di impatto. L’interdipendenza è sempre più improntata alla conflittualità e il soft power è trasformato in un’arma: i vaccini, i dati e gli standard tecnologici sono tutti strumenti di competizione politica. L’accesso all’alto mare, allo spazio extra-atmosferico e alla dimensione digitale è sempre più conteso. Ci troviamo ad affrontare crescenti tentativi di coercizione economica
ed energetica. Inoltre i conflitti e l’instabilità sono spesso aggravati dai cambiamenti climatici che agiscono da “moltiplicatore della minaccia”.
L’Unione europea è più unita che mai. Siamo determinati a difendere l’ordine di sicurezza
europeo. La sovranità, l’integrità territoriale e l’indipendenza all’interno delle frontiere riconosciute a livello internazionale dovrebbero essere pienamente rispettate. Nel sostenere l’Ucraina di fronte all’aggressione militare russa, stiamo dando prova di una determinazione senza precedenti a ripristinare la pace in Europa, insieme ai nostri partner. Un’UE più forte e capace nel settore della sicurezza e della difesa contribuirà positivamente alla sicurezza globale e transatlantica ed è complementare alla NATO, che resta il fondamento della difesa collettiva per i suoi membri. Le relazioni transatlantiche e la cooperazione UE-NATO, nel pieno rispetto dei principi stabiliti nei trattati e di quelli concordati dal Consiglio europeo, compresi i principi di inclusività, reciprocità e
autonomia decisionale dell’UE, sono elementi essenziali per la nostra sicurezza generale. L’UE ribadisce la propria intenzione di intensificare il sostegno all’ordine globale basato su regole, imperniato sulle Nazioni Unite. Rafforzerà altresì il suo partenariato strategico con la NATO e intensificherà la cooperazione con i partner regionali, tra cui l’OSCE, l’UA e l’ASEAN.
A fronte dell’accresciuta ostilità del contesto di sicurezza, dobbiamo compiere un deciso salto di qualità e aumentare la nostra capacità e la nostra volontà di agire, rafforzare la nostra resilienza e garantire solidarietà e assistenza reciproca. La solidarietà tra gli Stati membri è espressa all’articolo 42, paragrafo 7, TUE. L’UE deve accrescere la propria presenza, efficacia e visibilità nel suo vicinato e sulla scena mondiale attraverso sforzi e investimenti congiunti. Insieme possiamo contribuire a plasmare il futuro globale perseguendo una linea d’azione strategica.
Dobbiamo agire come un attore politico forte e coerente per difendere i valori e i principi alla base delle nostre democrazie, assumerci maggiori responsabilità per la sicurezza dell’Europa e dei suoi cittadini e sostenere la pace e la sicurezza internazionali, nonché la sicurezza umana, insieme ai nostri partner, pur riconoscendo il carattere specifico della politica di sicurezza e di difesa di taluni Stati membri.
7371/22 via/md/S 3
ALLEGATO RELEX.5 IT
La bussola strategica rappresenta un elevato livello di ambizione per la nostra agenda in materia di sicurezza e difesa in quanto:
1. offre una valutazione condivisa del nostro contesto strategico, delle minacce e delle sfide che dobbiamo affrontare e delle relative conseguenze per l’UE;
2. garantisce maggiore coerenza e un senso di finalità comune con riguardo alle azioni già in corso nel settore della sicurezza e della difesa;
3. definisce nuovi modi e mezzi per migliorare la nostra capacità collettiva di difendere la sicurezza dei nostri cittadini e della nostra Unione;
4. fissa obiettivi e traguardi chiari per misurare i progressi compiuti.
A tal fine, ci impegniamo a realizzare le seguenti azioni prioritarie concrete nell’ambito di quattro filoni di lavoro:
AZIONE
Dobbiamo essere in grado di agire in modo rapido ed energico quando scoppia una crisi, con i partner se possibile e da soli se necessario. A tal fine, provvederemo a:
1. rafforzare le nostre missioni e operazioni PSDC in ambito civile e militare conferendo loro mandati più solidi e duttili, promuovendo un processo decisionale rapido e più flessibile e garantendo una maggiore solidarietà finanziaria, favorendo nel contempo una stretta cooperazione con le missioni e operazioni ad hoc a guida europea. Rafforzeremo inoltre la dimensione civile della PSDC attraverso un nuovo patto che consenta un dispiegamento più rapido, anche in ambienti complessi;
2. sviluppare una capacità di dispiegamento rapido dell’UE che ci consentirà di dispiegare
rapidamente fino a 5 000 militari in ambienti non permissivi, per diversi tipi di crisi;
3. rafforzare le nostre strutture di comando e controllo, in particolare la capacità militare di
pianificazione e condotta, e aumentare la nostra prontezza e cooperazione attraverso il
miglioramento della mobilità militare ed esercitazioni reali periodiche, in particolare per la
capacità di dispiegamento rapido.
SICUREZZA
Dobbiamo potenziare la nostra capacità di anticipare le minacce, garantire un accesso sicuro ai settori strategici e proteggere i nostri cittadini. A tal fine, provvederemo a:
4. rafforzare le nostre capacità di intelligence, ad esempio il quadro della capacità unica di
analisi dell’intelligence (SIAC) dell’UE, per migliorare la nostra conoscenza situazionale e la
nostra previsione strategica;
5. creare un pacchetto di strumenti dell’UE contro le minacce ibride, che preveda vari
strumenti per individuare e rispondere a un’ampia gamma di minacce di questo tipo. In tale contesto, metteremo a punto un pacchetto di strumenti dedicato per affrontare la
manipolazione delle informazioni e le ingerenze da parte di attori stranieri;
6. sviluppare ulteriormente la politica dell’UE in materia di ciberdifesa per essere meglio
preparati e rispondere agli attacchi informatici; rafforzare le nostre azioni nei settori marittimo, aereo e spaziale, in particolare estendendo le presenze marittime coordinate ad altre zone, a cominciare dalla regione indo-pacifica, e sviluppando una strategia spaziale dell’UE per la sicurezza e la difesa.
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INVESTIMENTI
Dobbiamo investire di più e meglio nelle capacità e nelle tecnologie innovative, colmare le lacune strategiche e ridurre le dipendenze tecnologiche e industriali. A tal fine, provvederemo a:
7. aumentare e migliorare la spesa nel settore della difesa e migliorare lo sviluppo e la
pianificazione delle capacità allo scopo di affrontare più efficacemente realtà operative e
nuove minacce e sfide;
8. cercare soluzioni comuni per sviluppare i necessari abilitanti strategici per le nostre missioni e operazioni nonché capacità di prossima generazione in tutti i settori operativi, tra cui piattaforme navali di alta gamma, sistemi di combattimento aereo del futuro, capacità basate sulla tecnologia spaziale e carri armati da combattimento;
9. sfruttare appieno la cooperazione strutturata permanente e il Fondo europeo per la difesa per sviluppare congiuntamente capacità militari all’avanguardia e investire nell’innovazione tecnologica per la difesa nonché creare un nuovo polo di innovazione nel settore della difesa in seno all’Agenzia europea per la difesa.
PARTNER
Dobbiamo rafforzare la nostra cooperazione con i partner per affrontare minacce e sfide comuni.
A tal fine, provvederemo a:
10. rafforzare i partenariati strategici con la NATO e le Nazioni Unite attraverso dialoghi
politici più strutturati e una cooperazione operativa e tematica. Intensificheremo inoltre la
cooperazione con i partner regionali, tra cui l’OSCE, l’UA e l’ASEAN;
11. rafforzare la cooperazione con i partner bilaterali che condividono gli stessi valori e interessi, quali gli Stati Uniti, la Norvegia, il Canada, il Regno Unito e il Giappone. Sviluppare partenariati su misura nei Balcani occidentali, nel nostro vicinato orientale e meridionale, in Africa, in Asia e in America latina;
12. creare un forum di partenariato dell’UE in materia di sicurezza e difesa per collaborare più strettamente ed efficacemente con i partner allo scopo di fronteggiare sfide comuni.
Per tutti questi motivi, la bussola strategica fissa un piano ambizioso ma realizzabile per rafforzare la nostra politica di sicurezza e di difesa entro il 2030. La sicurezza e la difesa dell’UE necessitano di un nuovo impulso: un contesto più ostile e tendenze geopolitiche più ampie impongono infatti all’UE di farsi carico di una parte maggiore di responsabilità per la propria sicurezza.
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INTRODUZIONE
L’adozione della presente bussola strategica avviene in un momento in cui assistiamo al ritorno della guerra in Europa. Negli ultimi settant’anni l’UE ha svolto un ruolo importante per garantire la stabilità del nostro continente, proiettare gli interessi e i valori europei e contribuire alla pace e alla sicurezza in tutto il mondo. Con i suoi 27 Stati membri e 450 milioni di cittadini, la nostra Unione rimane il più grande mercato unico al mondo, il principale partner commerciale e di investimento per molti paesi – in particolare nel nostro vicinato – e la maggiore fonte di aiuti allo sviluppo. L’UE è un normatore e un leader coerente che investe in soluzioni multilaterali efficaci.
Con le nostre missioni e operazioni di gestione delle crisi attive in tre continenti, abbiamo
dimostrato di essere pronti ad assumerci rischi per la pace e a farci carico della nostra parte di responsabilità per la sicurezza globale.
La guerra di aggressione della Russia segna un cambiamento epocale nella storia europea. Di fronte all’aggressione militare non provocata e ingiustificata della Russia nei confronti dell’Ucraina, che viola palesemente il diritto internazionale e i principi della Carta delle Nazioni Unite e compromette la sicurezza e la stabilità mondiali ed europee, l’UE è più unita che mai. Stiamo dimostrando una determinazione senza precedenti a difendere i principi della Carta delle Nazioni Unite e ripristinare la pace in Europa insieme ai nostri partner. Un’UE più forte e capace nel settore della sicurezza e della difesa contribuirà positivamente alla sicurezza globale e transatlantica ed è complementare alla NATO, che resta il fondamento della difesa collettiva per i suoi membri. Le relazioni transatlantiche e la cooperazione UE-NATO, nel pieno rispetto dei principi stabiliti nei trattati e di quelli concordati dal Consiglio europeo, compresi i principi di inclusività, reciprocità e
autonomia decisionale dell’UE, sono elementi essenziali per la nostra sicurezza generale. La solidarietà tra gli Stati membri è espressa all’articolo 42, paragrafo 7, del trattato sull’Unione europea. Più in generale, l’UE ribadisce la propria intenzione di intensificare il sostegno all’ordine globale basato su regole, imperniato sulle Nazioni Unite.
In quest’epoca di crescente competizione strategica, complesse minacce alla sicurezza e attacco diretto all’ordine di sicurezza europeo, è in gioco la sicurezza dei nostri cittadini e della nostra Unione. Con la crisi del multilateralismo si osservano sempre più spesso relazioni transazionali tra Stati. Lo spettro delle minacce è oggi più diversificato e imprevedibile. I cambiamenti climatici agiscono da “moltiplicatore della minaccia” e ci riguardano tutti. Dopo trent’anni di forte interdipendenza economica, che avrebbe dovuto ridurre le tensioni, il ritorno alla politica di potenza e persino all’aggressione armata rappresenta il cambiamento più significativo intervenuto nelle relazioni internazionali. Il terrorismo minaccia la stabilità di molti paesi e continua a mettere a dura prova i sistemi di sicurezza nazionali in tutto il mondo. L’interdipendenza rimane importante, ma è sempre più improntata alla conflittualità e il soft power è trasformato in un’arma: i vaccini, i dati e gli standard tecnologici sono tutti strumenti di competizione politica.
La sicurezza europea è indivisibile e qualsiasi sfida all’ordine di sicurezza europeo incide sulla sicurezza dell’UE e dei suoi Stati membri. Il ritorno alla politica di potenza induce alcuni paesi ad agire secondo una logica fondata su diritti storici e zone di influenza, anziché aderire alle norme e ai principi concordati a livello internazionale e unirsi per promuovere la pace e la sicurezza internazionali. L’alto mare, lo spazio aereo e quello extra-atmosferico come pure la dimensione informatica sono settori sempre più contesi. Infine, viviamo in un mondo sempre meno libero, in cui i diritti umani, la sicurezza umana e i valori democratici – sia all’interno che all’esterno dell’UE – sono sotto attacco. Assistiamo a una competizione tra sistemi di governance, accompagnata da una vera e propria battaglia di narrazioni.
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In questo sistema caratterizzato da forte antagonismo, l’UE e i suoi Stati membri devono
aumentare gli investimenti in materia di sicurezza e difesa per essere un attore politico e di sicurezza più forte. Malgrado i progressi compiuti negli ultimi anni, rischiamo seriamente di perdere terreno rispetto ai nostri concorrenti: l’UE ha ancora molta strada da fare per rafforzare la sua posizione geopolitica. Per questo motivo abbiamo bisogno di compiere un deciso salto di qualità per sviluppare un’Unione europea più forte e più capace che agisca quale garante della sicurezza, sulla base dei valori fondamentali dell’Unione sanciti dall’articolo 2 del trattato sull’Unione europea. Possiamo farlo solo sulla scorta di una valutazione condivisa della minaccia e di un impegno comune ad agire.
Con la presente bussola strategica definiamo una visione strategica comune della politica di sicurezza e di difesa dell’UE per i prossimi 5-10 anni, di cui avvieremo immediatamente
l’attuazione, che a sua volta ci aiuterà a sviluppare una cultura strategica comune, a rafforzare la nostra unità e solidarietà e, soprattutto, ad accrescere la nostra capacità e la nostra volontà di agire insieme, proteggere i nostri interessi e difendere i nostri valori.
In un mondo incerto, dove abbondano minacce e dinamiche geopolitiche in rapida evoluzione, la presente bussola strategica guida e rafforza la nostra azione in modo da rendere l’UE un garante della sicurezza più forte e capace. A tal fine, individua obiettivi chiari nel settore della sicurezza e della difesa dell’UE, i mezzi per conseguirli nonché scadenze specifiche per misurare i progressi compiuti.
Nel concreto, la bussola strategica:
1. offre una valutazione condivisa del nostro contesto strategico, delle minacce e delle sfide che dobbiamo affrontare e delle relative conseguenze per l’UE;
2. garantisce maggiore coerenza e un senso di finalità comune con riguardo alle azioni già in corso nel settore della sicurezza e della difesa;
3. definisce nuove azioni e nuovi mezzi per:
a. consentirci di agire in modo più rapido e deciso davanti alle crisi;
b. preservare i nostri interessi e proteggere i nostri cittadini rafforzando la capacità dell’UE di anticipare e attenuare le minacce;
c. stimolare gli investimenti e l’innovazione per sviluppare congiuntamente le capacità e le
tecnologie necessarie;
d. approfondire la nostra cooperazione con i partner, in particolare con le Nazioni Unite e la NATO, per conseguire obiettivi comuni;
4. fissa obiettivi e traguardi chiari per misurare i progressi compiuti.
La bussola strategica impegna l’Unione europea e i suoi Stati membri a realizzare uno sforzo comune per conseguire risultati concreti. I suoi obiettivi e le azioni proposte fanno parte di un approccio integrato dell’UE e sono pienamente in linea e complementari rispetto alle politiche attuali tese a rispondere alle minacce esterne che incidono sulla nostra sicurezza interna, in particolare quelle stabilite nella strategia per l’Unione della sicurezza presentata dalla Commissione europea nel 2020. Le politiche dell’UE offrono un notevole effetto leva che deve essere pienamente mobilitato per rafforzare la sicurezza e la difesa dell’UE. La presente bussola strategica si basa anche sui pacchetti Difesa e Spazio presentati dalla Commissione europea nel febbraio 2022. Essa contribuisce direttamente all’attuazione dell’agenda di Versailles.
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1. IL MONDO CHE ABBIAMO DAVANTI
Per preparare la presente bussola strategica, nel 2020 abbiamo condotto la primissima analisi esauriente della minaccia a livello dell’UE, il che ha contribuito alla definizione di una comune comprensione delle minacce e delle sfide che l’UE si troverà ad affrontare nel prossimo futuro. Per sviluppare una cultura strategica comune, a partire dal 2022 riesamineremo periodicamente – almeno ogni tre anni o prima, se l’evoluzione del contesto strategico e di sicurezza lo richiederà – l’analisi della minaccia.
Il panorama generale della sicurezza è oggi più volatile, complesso e frammentato che mai a causa di minacce a più livelli. Le dinamiche di instabilità locale e regionale, alimentate da una governance disfunzionale e da contese nel nostro più ampio vicinato e oltre e talvolta aggravate da disuguaglianze e da tensioni religiose ed etniche, sono sempre più interconnesse con minacce non convenzionali e transnazionali e rivalità tra potenze geopolitiche. Ne consegue una ridotta capacità del sistema multilaterale di prevenire e attenuare i rischi e le crisi.
Il ritorno della politica di potenza in un mondo multipolare conteso
Convinta sostenitrice del multilateralismo efficace, l’UE ha cercato di sviluppare un ordine
internazionale aperto basato su regole, fondato sui diritti umani e sulle libertà fondamentali, sui valori universali e sul diritto internazionale. Tale visione del multilateralismo, che è prevalsa a livello internazionale dopo la fine della guerra fredda, è oggi messa fortemente in discussione dallo sgretolamento dei valori universali e dall’uso squilibrato delle sfide globali da parte di coloro che promuovono un approccio rigorosamente sovranista che costituisce in realtà un ritorno alla politica
di potenza. L’attuale realtà internazionale è basata sulla combinazione di dinamiche caratterizzate da un numero crescente di attori che cercano di ampliare il proprio spazio politico e di sfidare l’ordine di sicurezza. Il ricorso alla forza e alla coercizione per cambiare i confini non è ammissibile nel XXI secolo.
Con l’aggressione militare non provocata e ingiustificata nei confronti dell’Ucraina, la Russia viola palesemente il diritto internazionale e i principi della Carta delle Nazioni Unite e compromette la sicurezza e la stabilità mondiali ed europee. Tale violazione fa seguito all’aggressione militare perpetrata in Georgia nel 2008, nonché all’annessione illegale della Crimea e all’intervento militare nell’Ucraina orientale nel 2014. Attraverso questa ingerenza armata in Georgia e in Ucraina, il controllo di fatto sulla Bielorussia e la costante presenza di truppe russe nell’ambito di conflitti di lunga durata, tra cui nella Repubblica di Moldova, il governo russo sta attivamente mirando alla costituzione di quelle che vengono definite sfere di influenza. L’aggressione armata contro l’Ucraina dimostra che è pronto a utilizzare il massimo livello di forza militare, senza riguardo per considerazioni giuridiche o umanitarie, unitamente a tattiche ibride, attacchi informatici, manipolazione delle informazioni e ingerenze esterne, coercizione economica ed energetica e una
retorica nucleare aggressiva. Tali atti aggressivi e revisionisti di cui il governo russo, insieme alla Bielorussia, sua complice, porta l’intera responsabilità, minacciano gravemente e direttamente l’ordine di sicurezza europeo e la sicurezza dei cittadini europei. I responsabili di tali crimini, compresi gli attacchi contro civili e beni di carattere civile, saranno chiamati a rispondere delle loro azioni. La Russia si proietta anche in altri teatri quali la Libia, la Siria, la Repubblica centrafricana e il Mali, sfruttando le crisi in modo opportunistico, anche attraverso il ricorso alla disinformazione e a mercenari, tra cui il Wagner Group. Tutti questi sviluppi costituiscono una minaccia diretta e a lungo termine per la sicurezza europea, minaccia che continueremo ad affrontare con determinazione.
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La Cina è un partner per la cooperazione, un concorrente economico e un rivale sistemico con cui possiamo affrontare questioni di portata planetaria come i cambiamenti climatici. La Cina è sempre più coinvolta e implicata in tensioni a livello regionale. L’asimmetria nell’apertura dei nostri mercati e delle nostre società ha suscitato crescenti preoccupazioni per quanto riguarda la reciprocità, la concorrenza economica e la resilienza. La Cina tende a limitare l’accesso al suo mercato e cerca di promuovere i suoi standard a livello mondiale. Persegue le sue politiche anche attraverso una crescente presenza in mare e nello spazio nonché avvalendosi di strumenti informatici e impiegando tattiche ibride. Oltre a ciò, la Cina ha sviluppato in modo considerevole i suoi mezzi militari e mira
a portare a compimento la modernizzazione complessiva delle sue forze armate entro il 2035, impattando in tal modo sulla sicurezza regionale e globale. Lo sviluppo e l’integrazione della Cina nella sua regione, e nel mondo in generale, caratterizzeranno il resto di questo secolo. Dobbiamo garantire che ciò avvenga in un modo che contribuisca a difendere la sicurezza globale e non sia in contrasto con l’ordine internazionale basato su regole e con i nostri interessi e valori. Questo richiede una forte unità tra di noi e una stretta collaborazione con altri partner regionali e globali.
In questo mondo multipolare conteso, l’UE deve assumere una posizione più attiva per proteggere i suoi cittadini, difendere i propri interessi, proiettare i suoi valori e collaborare con i partner al fine di garantire la sicurezza per un mondo più sicuro e più giusto. Insieme ai suoi partner, l’UE difende i principi fondamentali su cui si fonda la sicurezza europea, sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite e dai documenti costitutivi dell’OSCE, tra cui l’Atto finale di Helsinki e la Carta di Parigi. Tra essi figurano segnatamente la sovrana uguaglianza e l’integrità territoriale degli Stati, l’inviolabilità delle frontiere, il non ricorso alla minaccia o all’uso della forza e la libertà degli Stati di scegliere o modificare le rispettive disposizioni in materia di sicurezza. Tali principi non sono né negoziabili né
soggetti a revisione o reinterpretazione.
Per difendere l’ordine internazionale basato su regole, continueremo a rafforzare le nostre relazioni con i partner e i paesi che condividono gli stessi principi in seno alle Nazioni Unite, alla NATO e al G7. In tale contesto, gli Stati Uniti rimangono il più leale e il più importante partner strategico dell’UE, oltre ad essere una potenza globale che contribuisce alla pace, alla sicurezza, alla stabilità e alla democrazia nel nostro continente.
Il nostro contesto strategico
Oggi l’UE è circondata da instabilità e conflitti e si trova ad affrontare una guerra ai suoi confini.
Ci troviamo di fronte a un mix pericoloso fatto di aggressioni armate, annessioni illegali, Stati fragili, potenze revisioniste e regimi autoritari. In questo contesto trovano terreno fertile molteplici minacce alla sicurezza europea: dal terrorismo, l’estremismo violento e la criminalità organizzata fino ai conflitti ibridi e gli attacchi informatici, la strumentalizzazione della migrazione irregolare, la proliferazione delle armi e il progressivo indebolimento dell’architettura in materia di controllo degli armamenti. L’instabilità finanziaria e le divergenze sociali ed economiche estreme possono aggravare ulteriormente tali dinamiche e avere un impatto sempre maggiore sulla nostra sicurezza.
Tutte queste minacce compromettono la sicurezza dell’UE lungo le nostre frontiere meridionali e orientali e oltre. Laddove non è attiva ed efficace nel promuovere i propri interessi, l’UE lascia il campo libero ad altri attori.
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Non possiamo ancora dare per scontate la sicurezza e la stabilità nell’intera regione dei Balcani occidentali, anche a causa delle crescenti ingerenze da parte di attori stranieri, che comprendono campagne di manipolazione delle informazioni, nonché delle potenziali ripercussioni dovute all’attuale deterioramento della situazione della sicurezza europea. A tale riguardo è di particolare interesse sostenere la sovranità, l’unità e l’integrità territoriale della Bosnia-Erzegovina, sulla base dei principi di uguaglianza e non discriminazione di tutti i cittadini e popoli costituenti sanciti dalla costituzione della Bosnia-Erzegovina, nonché il processo di riforma lungo il suo percorso europeo, e portare avanti il dialogo Pristina-Belgrado a guida UE. Servono ulteriori progressi tangibili per quanto riguarda lo Stato di diritto e le riforme basate sui valori, le regole e le norme europei; la
prospettiva europea è una scelta strategica, essenziale per tutti i partner che aspirano a diventare membri dell’UE. Nel nostro vicinato orientale, mentre l’Ucraina subisce l’attacco diretto delle forze armate russe, anche la Repubblica di Moldova, la Georgia e altri paesi nel Caucaso meridionale subiscono costantemente intimidazioni strategiche, minacce dirette alla loro sovranità e integrità territoriale e sono intrappolati in conflitti di lunga durata. L’autoritarismo in Bielorussia si traduce in una repressione violenta in patria, nel sostegno militare attivo all’aggressione russa nei confronti dell’Ucraina, in un cambiamento del suo status di paese denuclearizzato e in tattiche ibride contro l’UE. La stabilità e la sicurezza della regione del Mar Nero nel suo complesso risentono pesantemente dell’aggressione della Russia nei confronti dell’Ucraina, con implicazioni di vasta
portata in termini di sicurezza, resilienza, libertà di navigazione e sviluppo economico. La regione artica sta cambiando rapidamente, in particolare a causa delle ripercussioni del riscaldamento globale, delle rivalità geopolitiche e dell’accresciuto interesse commerciale, anche per quanto riguarda le risorse naturali. Nel vicinato meridionale le crisi in Libia e in Siria rimangono irrisolte, con conseguenze durature e pervasive a livello regionale. La regione, in particolare, è minacciata dai movimenti terroristici, dalla tratta di esseri umani e dalla criminalità organizzata, che affliggono entrambe le sponde del Mar Mediterraneo. Trattandosi di una regione e di una zona marittima di importanza strategica per la nostra sicurezza e stabilità, siamo determinati a intensificare i nostri sforzi per affrontare tali minacce e sfide. Continueremo ad adoperarci per la pace e la sicurezza nella regione euromediterranea, anche attraverso la mediazione, la risoluzione dei conflitti, la
ricostruzione delle istituzioni e la reintegrazione di tutti i membri della società. A tal fine,
rafforzeremo la nostra cooperazione con i partner regionali. Permangono infine tensioni nel
Mediterraneo orientale, dovute a provocazioni e azioni unilaterali nei confronti di Stati membri dell’UE e a violazioni di diritti sovrani contrarie al diritto internazionale, nonché alla
strumentalizzazione della migrazione irregolare, e c’è il rischio che tali tensioni si aggravino rapidamente; garantire un ambiente stabile e sicuro come anche relazioni di cooperazione reciprocamente vantaggiose, in linea con il principio delle relazioni di buon vicinato, è nell’interesse sia dell’UE che della Turchia.
Insieme, queste minacce e sfide incidono sulla sicurezza dei nostri cittadini, sulla nostra
infrastruttura critica e sull’integrità delle nostre frontiere. L’impatto di un forte deterioramento delle relazioni con il governo russo è particolarmente grave in molti di questi teatri. Il governo russo interferisce attivamente tramite tattiche ibride, compromettendo la stabilità dei paesi e i loro processi democratici, con implicazioni dirette anche per la nostra propria sicurezza.
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Il futuro dell’Africa riveste un’importanza strategica per l’UE. Data la sua crescita economica e demografica, il continente africano ha un notevole potenziale. Tuttavia i conflitti in corso, la governance inadeguata e il terrorismo in tutto il continente incidono sulla nostra sicurezza. Questo è in particolare il caso del Mali, della più vasta regione del Sahel e dell’Africa centrale, in cui instabilità, gruppi terroristici, strutture statali deboli, mercenari e povertà diffusa costituiscono una pericolosa combinazione e richiedono un impegno rafforzato da parte dell’UE. La stabilità nel Golfo di Guinea, nel Corno d’Africa e nel Canale del Mozambico rimane un importante imperativo di sicurezza per l’UE, anche perché si tratta di rotte commerciali chiave. Al tempo stesso in Africa osserviamo una crescente competizione geopolitica, con una maggiore presenza di attori sia globali che regionali. Alcuni di essi non esitano a ricorrere a forze irregolari in zone di instabilità, minando così gli sforzi internazionali a favore della pace e della stabilità, destabilizzando paesi e le relative economie e rendendosi complici di violazioni dei diritti umani.
Nel complesso della regione del Medio Oriente e del Golfo, i conflitti attivi e l’instabilità
persistente mettono a rischio la nostra sicurezza e i nostri interessi economici. Affrontare le sfide della non proliferazione nucleare nella regione rimane di fondamentale importanza. L’Iran è fondamentale per la sicurezza nella regione, anche se il sostegno diretto e indiretto che fornisce a mandatari politici e militari nonché la proliferazione balistica e il trasferimento di missili e di armi ad attori statali e non statali rimangono un’importante fonte di instabilità a livello regionale. Sono estremamente importanti gli sforzi tesi a ripristinare la piena attuazione del piano d’azione congiunto globale (PACG). Gli sforzi della regione tesi a contrastare l’estremismo violento rivestiranno inoltre un’importanza cruciale per la lotta globale contro i gruppi terroristici come Al Qaeda e Da’esh.
Un nuovo centro di competizione globale è emerso nella regione indo-pacifica, dove le tensioni geopolitiche mettono in pericolo l’ordine basato su regole ed esercitano pressioni sulle catene di approvvigionamento globali. L’UE ha un interesse geopolitico ed economico cruciale nella stabilità e sicurezza della regione. Tuteleremo pertanto i nostri interessi nella regione, anche facendo in modo che nel settore marittimo e in altri settori prevalga il diritto internazionale. La Cina è il secondo partner commerciale dell’UE e un partner necessario per affrontare le sfide globali. Ma si registra anche una crescente reazione di fronte al suo comportamento sempre più assertivo a livello regionale.
Altrove in Asia, l’Afghanistan continua a porre gravi problemi in materia di sicurezza per la regione e per l’Unione europea in termini di terrorismo, traffico di stupefacenti e crescenti sfide in materia di migrazione irregolare. Alcuni attori, come la Repubblica popolare democratica di Corea (RPDC), continuano a mettere in pericolo la pace e la sicurezza a livello regionale e internazionale, con armi di distruzione di massa e i relativi programmi nucleari e di missili balistici, ma anche e sempre più tramite operazioni di intelligence, attacchi informatici e campagne di disinformazione. Anche il persistere di vecchi conflitti continua a ostacolare lo sviluppo di accordi globali panregionali in materia di sicurezza.
Infine, con l’America latina condividiamo profondi legami storici e culturali, nonché un impegno a favore del multilateralismo fondato su principi e valori fondamentali comuni. Nondimeno la pandemia di COVID-19 ha messo in evidenza gli squilibri socioeconomici in diversi paesi dell’America latina, minacciandone in taluni casi la stabilità politica. La fragilità dell’America centrale e la crisi prolungata in Venezuela alimentano le divisioni regionali e contribuiscono a determinare forti pressioni migratorie, aggravando ulteriormente le sfide poste dalla criminalità organizzata legata alla droga e mettendo a repentaglio gli sforzi di pace in Colombia.
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Minacce e sfide emergenti e transnazionali
Oltre ai conflitti e alle tensioni regionali cui si è accennato sopra, a livello globale ci troviamo anche di fronte a minacce transnazionali e a complesse dinamiche di sicurezza che hanno un impatto diretto sulla sicurezza dell’Unione.
Il terrorismo e l’estremismo violento, in tutte le loro forme e a prescindere dalla loro origine, continuano a evolvere costantemente e rappresentano una grave minaccia per la pace e la sicurezza, all’interno e all’esterno dell’UE. Nel novero figura una combinazione di terroristi endogeni, combattenti stranieri di ritorno nel paese d’origine, attentati diretti, incoraggiati o ispirati dall’estero, nonché la propagazione di ideologie e convinzioni che portano alla radicalizzazione e all’estremismo violento. In particolare, la minaccia rappresentata da Da’esh, da Al Qaeda e dai loro affiliati resta elevata e continua a minare la stabilità di varie regioni e la sicurezza dell’UE.
La proliferazione delle armi di distruzione di massa e dei relativi vettori rappresenta una
minaccia persistente, come dimostrano in particolare i programmi nucleari dell’RPDC e dell’Iran, il reiterato ricorso alle armi chimiche e lo sviluppo e lo schieramento di nuovi missili balistici, da crociera e ipersonici avanzati. Sia la Russia che la Cina stanno ampliando il loro arsenale nucleare e sviluppando nuovi sistemi d’arma. La leadership russa ha fatto ricorso a minacce nucleari nel contesto della sua invasione in Ucraina. Le potenze regionali possono inoltre accedere ad armi convenzionali sofisticate che vanno dai sistemi anti-accesso/negazione d’area ai missili balistici e da crociera. Dette tendenze sono aggravate dall’erosione dell’architettura di controllo degli armamenti in Europa, che va dal trattato sulle forze armate convenzionali in Europa al trattato sulle forze nucleari a medio raggio e al trattato sui cieli aperti. Questo vuoto normativo incide direttamente sulla stabilità e sulla sicurezza dell’UE. Non può esistere tolleranza di fronte al marcato aumento dell’uso di armi chimiche. La salvaguardia della proibizione globale delle armi chimiche è una responsabilità condivisa a livello mondiale. Continueremo pertanto a sostenere in
particolare l’Agenzia internazionale per l’energia atomica e l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche.
Attori statali e non statali utilizzano strategie ibride, attacchi informatici, campagne di
disinformazione, ingerenze dirette nei nostri processi elettorali e politici, la coercizione economica e la strumentalizzazione dei flussi migratori irregolari. Tra i motivi di crescente preoccupazione vi è poi l’aumento di forme di uso improprio del diritto per conseguire obiettivi politici, economici e militari. I nostri concorrenti non esitano a utilizzare tecnologie emergenti e di rottura per ottenere vantaggi strategici e aumentare l’efficacia delle loro campagne ibride. Alcuni hanno approfittato delle incertezze create dalla pandemia di COVID-19 per diffondere narrazioni dannose e false.
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Al tempo stesso l’accesso libero e sicuro ai settori strategici globali è sempre più messo in
discussione. Il ciberspazio è diventato un campo di competizione strategica, in un momento di crescente dipendenza dalle tecnologie digitali. Ci troviamo sempre più spesso ad affrontare attacchi informatici più sofisticati. È essenziale mantenere un ciberspazio aperto, libero, stabile e sicuro.
Nonostante il principio dell’uso pacifico dello spazio extra-atmosferico, la competizione in questo settore ha forti implicazioni in materia di sicurezza e di difesa. Sebbene sia fondamentale per le capacità di osservazione, monitoraggio, navigazione e comunicazione, il settore dello spazio extraatmosferico è congestionato e conteso, come dimostrano i comportamenti irresponsabili dei concorrenti strategici. La sicurezza marittima nel Mar Baltico, nel Mar Nero, nel Mediterraneo e nel Mare del Nord, oltre che nelle acque dell’Artico, nell’Oceano Atlantico e nelle regioni ultraperiferiche, è importante per la sicurezza dell’UE, per il nostro sviluppo economico, per il libero scambio, i trasporti e la sicurezza energetica. Le zone marittime, i corridoi marittimi di comunicazione critici e varie strozzature marittime come anche i fondali marittimi sono sempre più contesi, dal Golfo di Aden allo stretto di Hormuz e oltre lo stretto di Malacca. È infine minacciata anche la nostra sicurezza aerea a causa di atteggiamenti sempre più aggressivi nello spazio aereo,
con un crescente ricorso a tattiche anti-accesso/negazione d’area.
Anche i cambiamenti climatici, il degrado ambientale e le catastrofi naturali avranno un impatto sul nostro panorama della sicurezza nei prossimi decenni, oltre ad essere fattori comprovati di instabilità e conflitto in tutto il mondo – dal Sahel all’Amazzonia, fino alla regione artica. La corsa alle risorse naturali come i terreni agricoli e l’acqua e lo sfruttamento delle risorse energetiche a fini politici sono esempi concreti a tale riguardo. La decarbonizzazione e la transizione verso economie più circolari e più efficienti sotto il profilo delle risorse comportano sfide specifiche in materia di sicurezza, tra cui
l’accesso alle materie prime critiche, la gestione e la sostenibilità della catena del valore, come pure i cambiamenti economici e politici causati dall’abbandono dei combustibili fossili. Anche le crisi sanitarie globali possono mettere a dura prova le società e le economie, con implicazioni geopolitiche di vasta portata. La pandemia di COVID-19 ha alimentato le rivalità internazionali e dimostrato che le perturbazioni delle principali rotte commerciali possono mettere sotto pressione le catene di approvvigionamento critiche e incidere sulla sicurezza economica.
Implicazioni strategiche per l’Unione
Tutte le sfide summenzionate sono multiformi e spesso interconnesse. È in gioco la nostra sicurezza, a livello interno come all’estero. Dobbiamo essere in grado di proteggere i nostri cittadini, difendere i nostri interessi comuni, diffondere i nostri valori e contribuire a plasmare il futuro globale, e dobbiamo essere pronti a farlo. Dobbiamo raddoppiare gli sforzi per attuare il nostro approccio integrato alla sicurezza, ai conflitti e alle crisi. Dobbiamo essere più coraggiosi nel modo in cui abbiniamo i nostri strumenti diplomatici ed economici, ivi compresi i nostri regimi di sanzioni, alle risorse civili e militari per prevenire i conflitti, rispondere alle crisi, contribuire al consolidamento della pace e sostenere i partner.
Rafforzeremo inoltre la nostra cooperazione con le iniziative europee a livello bilaterale, regionale e multilaterale in materia di sicurezza e difesa che contribuiscono alla sicurezza dell’Europa.
La solidarietà, l’unità e la nostra ambizione derivanti dalla strategia globale dell’UE del 2016 sono più che mai essenziali. Rafforzeremo la nostra capacità di contribuire alla pace e alla sicurezza del nostro continente, rispondere alle crisi e ai conflitti esterni, sviluppare le capacità dei partner e proteggere l’UE e i suoi cittadini. Sebbene dal 2016 abbiamo intensificato il nostro lavoro per rafforzare il ruolo dell’UE in materia di sicurezza e difesa, riconosciamo l’emergere di un nuovo panorama strategico che ci impone di agire con un senso di urgenza e una determinazione di gran lunga maggiori e di far prova di
solidarietà e assistenza reciproca in caso di aggressione nei confronti di uno di noi. È giunto il momento di compiere passi decisivi per garantire la nostra libertà di azione.
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I recenti cambiamenti geopolitici ci ricordano che l’UE deve assumersi con urgenza maggiori responsabilità per la propria sicurezza agendo nel suo vicinato e oltre, con i partner ogniqualvolta possibile e da sola se necessario. La forza della nostra Unione risiede nell’unità, nella solidarietà e nella determinazione. La presente bussola strategica potenzierà l’autonomia strategica dell’UE e la sua capacità di lavorare con i partner per salvaguardare i suoi valori e interessi. Un’UE più forte e più capace in materia di sicurezza e difesa apporterà un contributo positivo alla sicurezza globale e transatlantica ed è complementare alla NATO, che resta il fondamento della difesa collettiva per i suoi membri. Si tratta di due elementi interdipendenti tra loro.
Nei capitoli che seguono, la presente bussola strategica definisce il modo in cui agiremo e saremo pronti a rispondere a varie crisi e sfide. Specifica in che modo dovremmo anticipare le minacce, difendere i nostri interessi e proteggere i nostri cittadini. A tal fine dobbiamo innovare e investire in capacità di difesa tecnologicamente superiori e interoperabili e ridurre le dipendenze per quanto concerne la tecnologia e le risorse. In tutti questi sforzi dobbiamo approfondire i partenariati quando sono al servizio dei valori e degli interessi dell’UE.
2. AZIONE
Per affrontare il mondo che abbiamo davanti, dobbiamo intensificare gli sforzi per prepararci alle crisi e alle minacce e per proiettare stabilità nel nostro vicinato e oltre. La forza dell’UE nel prevenire e nell’affrontare le crisi e i conflitti esterni risiede nella sua capacità di utilizzare mezzi sia militari che civili. Dobbiamo essere in grado di agire prontamente in tutti i settori operativi: a terra, in mare e in aria, nonché nel ciberspazio e nello spazio extra-atmosferico. Per attuare efficacemente l’approccio integrato dell’UE utilizzeremo appieno e coerentemente tutte le politiche e tutti gli strumenti dell’UE disponibili, oltre a ottimizzare le sinergie e la complementarità tra sicurezza interna ed esterna, sicurezza e sviluppo nonché le dimensioni civile e militare della nostra politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC). Potenzieremo la nostra capacità di svolgere l’intera gamma di compiti civili e militari di gestione delle crisi che l’articolo 43 del trattato sull’Unione europea pone al centro della nostra PSDC.
Agire insieme
L’UE deve diventare più rapida, più abile e più efficace nella sua capacità di decidere e agire.
Questo richiede volontà politica. Posto che l’unanimità costituisce la norma del processo decisionale allorché vi sono implicazioni nel settore militare o della difesa, abbiamo bisogno di maggiore rapidità, solidità e flessibilità per svolgere l’intera gamma di compiti di gestione delle crisi.
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Dobbiamo essere in grado di rispondere a minacce imminenti o di reagire rapidamente a una situazione di crisi al di fuori dell’Unione in tutte le fasi del ciclo di un conflitto. A tal fine svilupperemo una capacità di dispiegamento rapido dell’UE che ci consentirà di dispiegare rapidamente una forza modulare di un massimo di 5 000 militari, comprese componenti terrestri, aeree e marittime, oltre che i necessari abilitanti strategici. Una tale capacità modulare può essere impiegata in diverse fasi di un’operazione in un ambiente non permissivo, quale prima forza di intervento, rinforzo o forza di riserva per mettere in sicurezza l’uscita. Lo sviluppo di tale capacità sarà basato su scenari operativi che inizialmente si incentreranno sulle operazioni di soccorso ed evacuazione, oltre che sulla fase iniziale delle operazioni di stabilizzazione. La capacità consisterà di gruppi tattici dell’UE sostanzialmente modificati e di forze e capacità militari degli Stati membri
individuate in precedenza, conformemente al principio della “riserva unica di forze”. A tale
proposito ci impegniamo ad accrescere la prontezza e la disponibilità delle nostre forze armate. Una modifica sostanziale dei gruppi tattici dell’UE dovrebbe portare a uno strumento più robusto e flessibile, ad esempio mediante pacchetti di forze su misura comprendenti componenti terrestri, aeree e marittime, diversi livelli di prontezza operativa e periodi di allerta più lunghi. Una panoramica completa e dettagliata di tutti gli elementi disponibili ci fornirà la necessaria flessibilità per adattare la nostra forza alla natura della crisi e alle esigenze e agli obiettivi dell’operazione decisi dal Consiglio, ricorrendo ai gruppi tattici dell’UE sostanzialmente modificati, alle forze militari degli Stati membri o a una combinazione dei due elementi.
Ai fini di un dispiegamento efficace, ci impegniamo a fornire le risorse associate e i necessari abilitanti strategici, in particolare trasporto strategico, protezione delle forze, materiale medico, ciberdifesa, comunicazione satellitare e capacità di intelligence, sorveglianza e ricognizione.
Svilupperemo queste capacità ove necessario. Per il comando e il controllo utilizzeremo il nostro quartier generale del comando del livello operativo nazionale predefinito o la capacità militare di pianificazione e condotta dell’UE una volta raggiunta la piena capacità operativa. Faremo in modo che il ricorso a modalità decisionali più flessibili e un ampliamento della portata dei costi comuni (compresi i costi delle esercitazioni) contribuiscano alla rapida ed efficiente schierabilità di tale capacità. Organizzeremo formazioni ed esercitazioni nel quadro dell’UE per aumentare la prontezza e l’interoperabilità di tutti gli elementi di tale capacità (anche in linea con gli standard NATO). Ciò è fondamentale se vogliamo superare gli ostacoli che abbiamo incontrato in passato.
Più in generale dobbiamo anche puntare a una maggiore flessibilità nell’ambito del nostro processo decisionale, senza compromettere la solidarietà politica e finanziaria. Utilizzeremo pertanto il potenziale offerto dai trattati dell’UE, compresa l’astensione costruttiva. Decideremo in particolare modalità pratiche per l’attuazione dell’articolo 44 del trattato sull’Unione europea, conformemente al processo decisionale della PSDC, al fine di consentire a un gruppo di Stati membri, disposti e capaci, di pianificare e condurre una missione o un’operazione nel quadro dell’UE e sotto la supervisione politica del Consiglio.
Missioni e operazioni PSDC in ambito civile e militare più solide, flessibili e modulari dovrebbero consentirci sia di aumentarne l’efficacia sia di adattarci rapidamente alle nuove minacce e sfide, anche alla luce del nuovo contesto di sicurezza e della crescente presenza dei nostri concorrenti strategici nei teatri operativi. Tali missioni e operazioni dovrebbero ad esempio poter accompagnare e sostenere meglio le forze di sicurezza e di difesa dei partner nonché offrire formazione e consulenza in materia di riforme strutturali. A tal fine adatteremo ulteriormente il nostro attuale modello di missioni e operazioni militari per accrescerne l’efficacia sul campo. Valuteremo inoltre ulteriori possibilità di fornire consulenza più mirata alle organizzazioni di sicurezza e difesa dei paesi partner. Gli strumenti di comunicazione strategica dovrebbero essere ulteriormente rafforzati
al fine di sostenere meglio le nostre missioni e operazioni.
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Attraverso un maggiore ricorso allo strumento europeo per la pace, l’UE può garantire
rapidamente un’importante assistenza ai partner, ad esempio con la fornitura di materiale militare che spesso integra la formazione da parte delle missioni PSDC. Tale obiettivo può essere conseguito anche sostenendo le capacità di difesa dei partner in tempi di crisi, come nel caso del pacchetto di assistenza per sostenere le forze armate ucraine nella difesa dell’integrità territoriale e della sovranità dell’Ucraina e nella protezione della popolazione civile da un’aggressione non provocata e ingiustificata.
Gli Stati membri dell’UE forniscono inoltre, attraverso varie forme di cooperazione, importanti contributi alla difesa degli interessi dell’UE, come anche della pace e della stabilità nel mondo. Una migliore cooperazione tra queste iniziative e le azioni dell’UE dovrebbe portare a un sostegno reciproco e a una maggiore efficacia. A tale proposito, le nostre missioni e operazioni PSDC e le missioni e operazioni ad hoc a guida europea che operano nello stesso teatro o in quelli adiacenti dovrebbero rafforzarsi reciprocamente, in linea con i rispettivi mandati, attraverso il coordinamento operativo, il supporto logistico, la condivisione di intelligence e le capacità congiunte di evacuazione medica. Ciò significa sviluppare una più stretta cooperazione in teatro in questi settori, ad esempio nel Sahel, nel Corno d’Africa e nello stretto di Hormuz. L’UE potrebbe sostenere ulteriormente missioni e operazioni ad hoc a guida europea che siano al servizio degli interessi dell’UE. Tali operazioni potrebbero beneficiare del sostegno politico dell’UE e basarsi su risultati
concreti delle misure di assistenza finanziate attraverso lo strumento europeo per la pace.
Considerando che il settore marittimo si fa sempre più conteso, ci impegniamo a affermare
ulteriormente i nostri interessi in mare e a rafforzare la sicurezza marittima dell’UE e degli Stati membri, anche migliorando l’interoperabilità delle nostre forze navali attraverso esercitazioni reali e organizzando scali portuali per le navi europee. Sulla base dell’esperienza in corso nel Golfo di Guinea e nel nord-ovest dell’Oceano Indiano, estenderemo le nostre presenze marittime coordinate ad altre zone di interesse marittimo che incidono sulla sicurezza dell’UE e cercheremo di coinvolgere i partner pertinenti, ove opportuno. Inoltre consolideremo e, se del caso, svilupperemo ulteriormente le nostre due operazioni navali schierate nel Mediterraneo e al largo della Somalia – zone marittime di fondamentale interesse strategico per l’UE.
Rafforzeremo la cooperazione e il coordinamento nel settore aereo sviluppando ulteriormente la nostra capacità di intraprendere, per la prima volta, operazioni di sicurezza aerea dell’UE, compresi compiti di supporto aereo, soccorso ed evacuazione, sorveglianza e soccorso in caso di calamità.
Per agevolare l’uso coordinato dei mezzi aerei militari a sostegno delle missioni e operazioni PSDC, rafforzeremo altresì la nostra collaborazione e il nostro partenariato con le strutture e le iniziative multilaterali e dell’UE nel settore aereo, come il comando europeo di trasporto aereo.
Attraverso le nostre missioni PSDC in ambito civile offriamo un contributo essenziale allo Stato di diritto, all’amministrazione civile, al settore della polizia e alla riforma del settore della sicurezza in zone di crisi. Tali missioni sono inoltre fondamentali nella più ampia risposta dell’UE alle sfide in materia di sicurezza attraverso mezzi non militari, compresi quelli legati alla migrazione irregolare, alle minacce ibride, al terrorismo, alla criminalità organizzata, alla radicalizzazione e all’estremismo violento.
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Il patto sulla dimensione civile della PSDC ci aiuta a sviluppare e rafforzare ulteriormente le nostre missioni civili affinché possano rispondere in modo rapido ed efficace alle minacce e alle sfide esistenti e in evoluzione – che compromettono il sistema esecutivo, giudiziario o legislativo nelle zone di crisi – e pone rimedio alle carenze critiche. Garantiremo una più rapida schierabilità delle missioni civili in linea con il patto sulla dimensione civile della PSDC. Più specificamente, saremo in grado e pronti a schierare una missione con 200 esperti civili entro 30 giorni, utilizzando appieno le attrezzature fondamentali e i servizi logistici offerti dal deposito strategico e dalla piattaforma di sostegno alla missione. Aumenteremo l’efficacia, la flessibilità e la capacità di reazione delle missioni civili, anche accelerando il nostro processo decisionale, rafforzando la pianificazione operativa, migliorando il processo di selezione e reclutamento del personale e gli strumenti inerenti alla capacità di reazione, squadre specializzate comprese. A tal fine ci baseremo
anche sulla ricerca, lo sviluppo e l’innovazione. Rafforzeremo ulteriormente la dimensione civile della PSDC attraverso un nuovo patto che fisserà gli obiettivi relativi al tipo, al numero e alle dimensioni delle missioni civili, gli elementi per un processo strutturato di sviluppo delle capacità civili nonché le sinergie con altri strumenti dell’UE.
Per affrontare congiuntamente le pertinenti sfide in materia di sicurezza è necessaria una maggiore cooperazione reciprocamente vantaggiosa tra la PSDC e gli attori della giustizia e degli affari interni dell’UE, comprese le agenzie quali Europol, Eurojust, CEPOL e l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (Frontex). Possiamo sfruttare le esperienze positive, ad esempio quelle acquisite in Libia, in Ucraina, nel Sahel e nel Corno d’Africa o grazie alla cellula sulle informazioni sui reati istituita nel quadro dell’operazione navale dell’UE nel Mediterraneo. A tal fine miriamo ad aumentare le sinergie tra gli attori della giustizia e degli affari interni e la PSDC, in linea con le priorità dell’UE. Ciò comprende la conoscenza situazionale comune, consultazioni e scambi periodici, nonché dispiegamenti sequenziali o di rinforzo (“plug-in”) su misura. Per garantire un’adeguata adesione, intensificheremo inoltre la cooperazione con gli attori nazionali nel settore della giustizia e degli affari interni, anche a livello politico.
Dobbiamo rafforzare ulteriormente in modo graduale le nostre strutture di comando e controllo civili e militari. Garantiremo che la capacità militare di pianificazione e condotta sia pienamente in grado di pianificare, controllare e comandare compiti e operazioni esecutivi e non esecutivi, nonché esercitazioni reali. In tale contesto intensificheremo i contributi in termini di personale e garantiremo di disporre dei necessari sistemi di comunicazione e informazione, come pure delle strutture necessarie. Una volta raggiunta la piena capacità operativa, la capacità militare di pianificazione e condotta dovrebbe essere considerata la struttura di comando e controllo di preferenza. Ciò non inciderà sulla nostra capacità di continuare a utilizzare i comandi operativi nazionali individuati in precedenza. Sarà inoltre rafforzata la capacità civile di pianificazione e condotta al fine di migliorare la sua capacità di pianificare, controllare e comandare missioni civili
attuali e future. La cooperazione e il coordinamento tra le strutture civili e militari saranno rafforzati attraverso la cellula comune di coordinamento del sostegno.
Manteniamo il nostro fermo impegno a promuovere e far progredire la sicurezza umana, il rispetto del diritto internazionale umanitario e del diritto internazionale dei diritti umani e la conformità ad essi, come pure la protezione dei civili, compresi gli operatori umanitari, in tutte le situazioni di conflitto, nonché a sviluppare ulteriormente la politica di dovuta diligenza dell’UE al riguardo. Dobbiamo mantenerci risoluti e prevenire qualsiasi tentativo di smantellare e minare il diritto internazionale. Continueremo inoltre a contribuire alla protezione del patrimonio culturale, anche attraverso le nostre missioni e operazioni PSDC.
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Manteniamo il nostro fermo impegno a realizzare gli obiettivi dell’UE in materia di donne, pace e sicurezza. Affrontare le disuguaglianze di genere e la violenza di genere è un aspetto cruciale della prevenzione e risoluzione dei conflitti nonché del rafforzamento della resilienza alle minacce alla sicurezza a livello di comunità. L’azione esterna dell’UE, comprese le missioni e le operazioni civili e militari, dovrebbe contribuire attivamente all’emancipazione delle donne, nonché a prevenire e affrontare la violenza sessuale e di genere in situazioni di conflitto e post-conflitto, sulla base dei diritti e delle diverse esigenze delle donne, degli uomini e delle ragazze e dei ragazzi.
Promuoveremo ulteriormente la parità di genere e integreremo sistematicamente una prospettiva di genere, basata sull’analisi di genere, in tutte le azioni civili e militari in ambito PSDC, anche a livello di pianificazione, ponendo l’accento anche sulla partecipazione paritaria e significativa di donne in tutte le funzioni, comprese le posizioni dirigenziali. Ci impegniamo inoltre a realizzare gli obiettivi dell’UE in materia di bambini e conflitti armati. L’azione esterna dell’UE svolge un ruolo essenziale nel contribuire a porre fine alle gravi violazioni nei confronti dei bambini coinvolti nei conflitti e a prevenire tali violazioni, così da spezzare i cicli di violenza, anche attraverso azioni civili e militari in ambito PSDC.
Prepararsi insieme
Qualora uno Stato membro subisca un’aggressione armata nel suo territorio, gli altri Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso, in conformità dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite. Ciò non pregiudica il carattere specifico della politica di sicurezza e di difesa di taluni Stati membri. Gli impegni e la cooperazione in questo settore rimangono conformi agli impegni assunti nell’ambito dell’Organizzazione del trattato del Nord-Atlantico che resta, per gli Stati che ne sono membri, il fondamento della loro difesa collettiva e l’istanza di attuazione della stessa. Continueremo a investire nella nostra assistenza reciproca, conformemente all’articolo 42, paragrafo 7, del trattato sull’Unione europea, nonché nella solidarietà, conformemente all’articolo 222 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in particolare attraverso esercitazioni frequenti.
Per aumentare la nostra preparazione, procederemo in modo più sistematico a una pianificazione preventiva basata su scenari, potenzieremo l’allarme rapido e adatteremo gli scenari operativi che corrispondono alle minacce e alle sfide mutevoli che ci troviamo ad affrontare. Combinando l’intelligence geospaziale e tutti gli altri tipi di intelligence, la pianificazione preventiva si tradurrà in piani civili e militari di massima che saranno adattati e aggiornati in funzione dell’evolversi degli scenari. A tale riguardo, rafforzeremo la cooperazione tra i responsabili della pianificazione operativa dell’UE e nazionali.
L’Unione può essere efficace solo se dispone di personale civile e militare sufficiente e
adeguatamente formato. Dobbiamo rafforzare le nostre capacità, gli abilitanti critici e le nostre attrezzature al fine di colmare il divario tra il nostro livello di ambizione e le risorse disponibili. Al fine di realizzare le nostre ambizioni e agevolare un’equa ripartizione dei contributi alle missioni e operazioni militari, è necessario tracciare, attraverso consultazioni politiche preliminari, un quadro più trasparente e strutturato del personale civile e militare disponibile per le missioni e operazioni PSDC. Ci impegniamo a incentivare la costituzione della forza per le missioni e operazioni militari, ad esempio migliorando la trasparenza e la prevedibilità nella rotazione delle truppe e ampliando la portata dei costi comuni a titolo dello strumento europeo per la pace. Per potenziare l’efficacia delle nostre missioni senza compiti esecutivi, riconosciamo la necessità di prolungare il periodo di impiego degli alti funzionari delle missioni. Tali sforzi contribuiranno al rispetto dei pertinenti impegni assunti dagli Stati membri partecipanti nell’ambito della cooperazione strutturata permanente.
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La prontezza e l’interoperabilità sono elementi fondamentali della nostra risposta alle minacce e alla competizione strategica. Frequenti esercitazioni reali civili e militari in tutti i settori, nonché un rafforzamento della pianificazione preventiva, ci aiuteranno a migliorare sostanzialmente la nostra prontezza, a promuovere l’interoperabilità e a sostenere una cultura strategica comune. Esercitazioni reali in un quadro UE, con il progressivo coinvolgimento della capacità militare di pianificazione e condotta, definiranno in particolare la capacità di dispiegamento rapido dell’UE e, più in generale, rinsalderanno la nostra posizione, potenzieranno la nostra comunicazione strategica e rafforzeranno l’interoperabilità, anche con i partner.
L’aggressione militare russa nei confronti dell’Ucraina ha confermato l’urgente necessità di
migliorare in modo sostanziale la mobilità militare delle nostre forze armate all’interno e
all’esterno dell’Unione. Rafforzeremo le infrastrutture di trasporto a duplice uso in tutta la rete transeuropea dei trasporti al fine di promuovere la circolazione rapida e fluida del personale militare, del materiale e delle attrezzature per dispiegamenti operativi ed esercitazioni, operando in stretta cooperazione con la NATO e altri partner. Concorderemo nuovi impegni per accelerare e armonizzare le procedure transfrontaliere, individuare modalità per sostenere movimenti su larga scala con breve preavviso, investire nella digitalizzazione delle nostre forze armate e sviluppare capacità all’avanguardia ed efficienti sotto il profilo energetico che ci rendano in grado di reagire rapidamente e di operare in ambienti non permissivi, tenendo conto dei requisiti costituzionali di alcuni Stati membri. Collegheremo inoltre i lavori in materia di mobilità militare a esercitazioni di simulazione e reali delle forze armate degli Stati membri.
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Obiettivi
Puntiamo a diventare un attore più assertivo nel settore della sicurezza e della difesa consentendo azioni più solide, rapide e decisive, anche per la resilienza dell’Unione e la nostra reciproca assistenza e solidarietà. La pianificazione preventiva sarà la norma e le attuali strutture di comando e controllo saranno migliorate. Saremo meglio preparati attraverso esercitazioni reali e un approccio più integrato alle crisi.
Azione
• Entro il 2025 sarà pienamente operativa una capacità di dispiegamento rapido dell’UE
in grado di permettere il rapido dispiegamento di una forza modulare di un massimo di
5 000 militari in ambiente non permissivo. A tal fine concorderemo scenari operativi nel
2022. A partire dal 2023 esercitazioni reali periodiche contribuiranno alla prontezza e
all’interoperabilità.
• Entro il 2023 decideremo modalità pratiche per l’attuazione dell’articolo 44 del trattato
sull’Unione europea, al fine di consentire a un gruppo di Stati membri, disposti e capaci,
di pianificare e condurre una missione o un’operazione nel quadro dell’UE e sotto la
supervisione politica del Consiglio.
• Entro il 2025 la capacità militare di pianificazione e condotta sarà in grado di
pianificare e condurre tutte le missioni militari senza compiti esecutivi e due operazioni
esecutive su piccola scala o una operazione esecutiva su media scala, come pure
esercitazioni reali. Come tappa successiva, una volta raggiunto tale obiettivo, lavoreremo
inoltre per estendere la nostra capacità di pianificazione e condotta di ulteriori missioni
senza compiti esecutivi e operazioni esecutive.
• Rafforzeremo ulteriormente le nostre missioni e operazioni PSDC in ambito civile e
militare. Come primo passo, entro il primo semestre del 2022 adatteremo ulteriormente
l’attuale modello di missioni militari per accrescerne l’efficacia sul campo. Esamineremo
inoltre le modalità per rafforzare le nostre due operazioni navali. Nel contempo,
vaglieremo ulteriori possibilità di fornire consulenza mirata alle organizzazioni di
sicurezza e difesa dei paesi partner.
• Rafforzeremo il sostegno reciproco tra le missioni e operazioni PSDC e le missioni e
operazioni ad hoc a guida europea, in linea con i rispettivi mandati. Entro la fine
del 2022, come primo passo, stabiliremo collegamenti in teatro, ad esempio tra
l’EUNAVFOR Atalanta e la missione europea di conoscenza della situazione marittima
nello stretto di Hormuz, nonché nel Sahel.
• Facendo tesoro dell’esperienza del concetto delle presenze marittime coordinate nel
Golfo di Guinea e la sua estensione al nord-ovest dell’Oceano Indiano, a partire dalla
seconda metà del 2022 prenderemo in considerazione altre zone marittime di interesse.
• Entro il 2023 concorderemo un concetto militare per le operazioni di sicurezza aerea,
compresi compiti di supporto aereo, soccorso ed evacuazione, sorveglianza e soccorso in
caso di calamità.
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ALLEGATO RELEX.5 IT
• Entro il primo semestre del 2023 adotteremo un nuovo patto sulla dimensione civile
della PSDC che accrescerà ulteriormente l’efficacia delle nostre missioni e contribuirà a
sviluppare le necessarie capacità civili. Inoltre, potenzieremo ancora la cooperazione tra i
pertinenti attori dell’UE e degli Stati membri nel settore della giustizia e degli affari interni
e la PSDC. Saremo in grado di schierare una missione civile PSDC composta da 200
esperti pienamente equipaggiati entro 30 giorni, anche in ambienti complessi.
• Integreremo sistematicamente una prospettiva di diritti umani e di genere in tutte le
azioni civili e militari in ambito PSDC e aumenteremo il numero di donne in tutte le
funzioni, comprese le posizioni dirigenziali. Entro il 2023 rafforzeremo la nostra rete di
consulenti in materia di diritti umani e di genere nelle nostre missioni e operazioni PSDC.
Preparazione
• Continueremo a condurre esercitazioni periodiche per rafforzare ulteriormente la nostra
assistenza reciproca in caso di aggressione armata, conformemente all’articolo 42,
paragrafo 7, del trattato sull’Unione europea. Saranno incluse esercitazioni periodiche di
cibersicurezza a partire dal 2022.
• A partire dal 2023 organizzeremo esercitazioni reali periodiche in tutti i settori, con il
progressivo coinvolgimento della capacità militare di pianificazione e condotta. Tali
esercitazioni combineranno anche elementi civili e militari della PSDC.
• Entro il 2022 concorderemo un registro del ciclo di rotazione delle truppe per le
missioni e operazioni PSDC in ambito militare e rafforzeremo l’individuazione politica
tempestiva delle forze per le missioni e operazioni PSDC in ambito sia civile che militare.
• Entro il 2023, anche alla luce delle proposte relative alla capacità di dispiegamento rapido
dell’UE, rivaluteremo la portata e la definizione dei costi comuni per rafforzare la
solidarietà e stimolare la partecipazione alle missioni e operazioni militari, come pure i
costi connessi alle esercitazioni.
• Entro la fine del 2022 assumeremo nuovi impegni con l’obiettivo di rafforzare in modo
sostanziale la mobilità militare, anche in termini di investimenti nella stessa, e
concorderemo un piano d’azione ambizioso e riveduto, che comprenderà nuove azioni in
settori quali la digitalizzazione, il rafforzamento della ciberresilienza delle infrastrutture di
trasporto e dei relativi sistemi di supporto, nonché l’uso dell’intelligenza artificiale e del
trasporto aereo e marittimo per migliorare la mobilità militare all’interno e all’esterno
dell’UE. Per il futuro aumenteremo e sfrutteremo ulteriormente gli investimenti a favore
della mobilità militare1
.
o Accelereremo immediatamente l’attuazione dei progetti di infrastrutture di trasporto a
duplice uso, anche anticipando il bilancio per la mobilità militare nel quadro del piano
d’azione sulla mobilità militare e del meccanismo per collegare l’Europa.
o Entro la fine del 2022 avvieremo un’analisi della capacità delle infrastrutture di
trasporto dell’UE di sostenere movimenti su larga scala con breve preavviso.
o Entro il 2025 completeremo il miglioramento e l’armonizzazione delle procedure
transfrontaliere.

1 Ciò lascia impregiudicato il prossimo quadro finanziario pluriennale dell’UE.
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3. SICUREZZA
Dobbiamo prepararci al meglio alle sfide che emergono repentinamente. I nostri concorrenti strategici ci stanno colpendo con un’ampia gamma di strumenti e stanno mettendo alla prova la nostra resilienza con l’obiettivo di ridurre la nostra sicurezza e compromettere attivamente il nostro accesso sicuro ai settori marittimo, aereo, informatico e spaziale. Sempre più spesso dobbiamo affrontare minacce di natura ibrida. Inoltre, le minacce transnazionali quali il terrorismo e la proliferazione delle armi continuano a rappresentare una sfida costante. Dobbiamo rafforzare in modo significativo la nostra resilienza anticipando, individuando e rispondendo meglio a tali minacce. La revisione regolare e strutturata della nostra analisi della minaccia sarà utile a tale riguardo, ma non è che un elemento.
Rafforzare l’allarme rapido, il quadro di intelligence e la sicurezza delle comunicazioni
Investiremo di più in analisi condivise per aumentare la nostra conoscenza situazionale e la nostra previsione strategica, basandoci sul nostro sistema di allarme rapido e sul meccanismo di analisi delle prospettive. Rafforzeremo la nostra conoscenza situazionale basata sull’intelligence e le pertinenti capacità dell’UE, in particolare nel quadro della capacità unica di analisi dell’intelligence dell’UE, nonché del Centro satellitare dell’UE. Questo ci avvicinerà inoltre a una cultura strategica comune e contribuirà alla credibilità dell’UE in quanto attore strategico.
Dobbiamo mantenere la nostra eccellenza nel garantire un processo decisionale autonomo dell’UE, anche sulla base dei dati geospaziali. Rafforzeremo il ruolo della capacità unica di analisi dell’intelligence dell’UE quale punto di accesso unico per i contributi in materia di intelligence strategica dei servizi civili e militari di intelligence e di sicurezza degli Stati membri. Ciò faciliterà lo scambio di intelligence strategica per rispondere meglio alle sfide che ci troviamo ad affrontare e fornirà servizi migliori ai decisori nell’insieme delle istituzioni dell’UE e degli Stati membri.
Poiché le sue istituzioni sono oggetto di un numero crescente di attacchi informatici o di tentativi di intrusione nei loro sistemi, l’UE deve rafforzare la protezione delle sue informazioni, delle sue risorse e dei suoi processi più critici e fare in modo di poter contare su informazioni solide e affidabili e su sistemi di comunicazione europei adeguati. Un quadro di intelligence rafforzato richiederà una maggiore sicurezza delle comunicazioni. A tal fine, razionalizzeremo le regole e le regolamentazioni in materia di sicurezza e rafforzeremo l’approccio comune degli Stati membri e delle istituzioni, degli organi e delle agenzie dell’UE, nonché delle missioni e operazioni PSDC, in materia di protezione delle informazioni, delle infrastrutture e dei sistemi di comunicazione. Ciò richiederà investimenti in infrastrutture, competenze e attrezzature tecniche europee all’avanguardia.
Sulla base della strategia dell’UE per la cibersicurezza, invitiamo le istituzioni, le agenzie e gli organi dell’UE ad adottare norme e regole supplementari in materia di sicurezza delle informazioni e cibersicurezza, nonché in merito alla protezione delle informazioni classificate dell’UE e delle informazioni sensibili non classificate, in modo da facilitare scambi sicuri con gli Stati membri.
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ALLEGATO RELEX.5 IT
Minacce ibride, diplomazia informatica e manipolazione delle informazioni e ingerenze da
parte di attori stranieri
Potenzieremo in modo sostanziale la nostra resilienza e la nostra capacità di contrastare le minacce ibride, gli attacchi informatici e la manipolazione delle informazioni e le ingerenze da parte di attori stranieri. Gli attori statali e non statali stranieri perfezionano costantemente e in tal modo rafforzano le loro tattiche, tecniche e procedure, come la strumentalizzazione della migrazione irregolare, la pratica del “lawfare” (uso del diritto
come arma strategica) e la coercizione a danno della nostra sicurezza economica ed energetica. Un’ampia gamma di strumenti dell’UE esistenti ed, eventualmente, nuovi saranno pertanto riuniti in un più ampio pacchetto di strumenti dell’UE contro le minacce ibride. Tale pacchetto di strumenti dovrebbe fornire un quadro per una risposta coordinata alle campagne ibride che interessano l’UE e i suoi Stati membri e dovrebbe comprendere, ad esempio, misure preventive, di cooperazione, di stabilizzazione, restrittive e di recupero, nonché rafforzare la solidarietà e l’assistenza reciproca. Gli Stati membri possono proporre l’attribuzione coordinata di attività ibride, riconoscendo che l’attribuzione è una prerogativa nazionale sovrana. La nostra risposta richiede la piena mobilitazione, se del caso, di tutti gli strumenti civili e militari pertinenti, basati su politiche esterne e interne. Deve inoltre basarsi su una comprensione e una valutazione comuni di tali minacce.
Rafforzeremo pertanto la nostra capacità di individuare, identificare e analizzare tali minacce e la loro fonte. A tale riguardo, la capacità unica di analisi dell’intelligence (SIAC), in particolare la cellula per l’analisi delle minacce ibride, fornirà previsione e conoscenza situazionale. Nell’ambito di questo più ampio pacchetto di strumenti dell’UE contro le minacce ibride, dobbiamo rafforzare la nostra resilienza sociale ed economica,
proteggere le infrastrutture critiche come pure le nostre democrazie e i processi elettorali dell’UE e nazionali.
Istituiremo anche gruppi di risposta rapida dell’UE alle minacce ibride, che siano adattabili alla minaccia e si avvalgano delle pertinenti competenze settoriali civili e militari a livello nazionale e dell’UE, per sostenere gli Stati membri, le missioni e le operazioni PSDC e i paesi partner nel contrastare le minacce ibride. Garantiremo sinergie ed esploreremo ulteriori possibilità di cooperazione in materia di lotta contro le minacce ibride con la
NATO.
Dobbiamo anche essere in grado di rispondere in modo rapido e deciso agli attacchi informatici, come le attività informatiche malevole sostenute da Stati che prendono di mira infrastrutture critiche e gli attacchi ransomware. A tal fine, rafforzeremo la nostra capacità di individuare e analizzare gli attacchi informatici in modo coordinato. Rafforzeremo il pacchetto di strumenti della diplomazia informatica dell’UE e ci avvarremo appieno di tutti i suoi strumenti, comprese misure preventive e sanzioni nei confronti di attori esterni
per attività informatiche malevole contro l’Unione e i suoi Stati membri. Contribuiremo all’unità congiunta per il ciberspazio dell’UE al fine di potenziare la conoscenza situazionale comune e la cooperazione fra le istituzioni dell’UE e gli Stati membri.
Risponderemo con fermezza alla manipolazione delle informazioni e alle ingerenze da parte di attori stranieri, come abbiamo fatto attraverso la nostra azione decisa e coordinata contro la campagna di disinformazione della Russia nel contesto della sua aggressione militare nei confronti dell’Ucraina. Continueremo ad agire in tal senso, in piena coerenza con le politiche interne dell’UE, creando una comune comprensione della minaccia e
sviluppando ulteriormente una serie di strumenti per individuarla, analizzarla e affrontarla efficacemente e imporre costi ai responsabili di tali attività. Per rafforzare la nostra resilienza sociale, rafforzeremo anche l’accesso a informazioni credibili e media liberi e indipendenti in tutta l’Unione. A tal fine, come richiesto nel piano d’azione per la democrazia europea, svilupperemo il pacchetto di strumenti dell’UE per affrontare e
contrastare la manipolazione delle informazioni e le ingerenze da parte di attori stranieri, anche nel quadro delle nostre missioni e operazioni PSDC. Ciò rafforzerà le nostre opzioni di risposta, le nostre capacità di resilienza e la nostra cooperazione, sia all’interno dell’UE che a sostegno dei paesi partner, e migliorerà la conoscenza situazionale attraverso il sistema di allerta rapida. Porteremo inoltre avanti il meccanismo operativo congiunto sui processi elettorali e l’eventuale designazione delle infrastrutture elettorali come infrastrutture critiche. Continueremo a collaborare con i partner che condividono gli stessi principi, come la NATO, il G7, nonché la società civile e il settore privato e intensificheremo gli sforzi nel quadro delle Nazioni Unite.
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ALLEGATO RELEX.5 IT
Assicurare il nostro accesso ai settori strategici
Definiremo ulteriormente la politica dell’UE in materia di ciberdifesa per individuare e scoraggiare gli attacchi informatici nonché proteggerci e difenderci da questi ultimi. Tale politica darà impulso alla ricerca e all’innovazione, stimolerà la base industriale dell’UE e promuoverà l’istruzione e la formazione per fare in modo che siamo pronti ad agire. Aumenterà la cooperazione tra gli attori della ciberdifesa dell’UE e degli Stati membri e svilupperà meccanismi di mobilitazione delle capacità a livello dell’UE, anche nel contesto delle missioni e operazioni PSDC. Rafforzerà inoltre la cooperazione con partner che
condividono gli stessi principi nel settore della ciberdifesa, in particolare con la NATO. Una nuova normativa europea sulla ciberresilienza rafforzerà il nostro approccio comune in materia di infrastrutture informatiche e di norme concernenti il settore informatico. Lavoreremo per la creazione di un’infrastruttura europea di centri operativi di sicurezza.
In linea con la strategia dell’UE per la cibersicurezza del 2020, svilupperemo la posizione in materia di deterrenza informatica dell’Unione migliorando la nostra capacità di prevenire gli attacchi informatici attraverso lo sviluppo e il potenziamento delle capacità, la formazione, le esercitazioni, un’accresciuta resilienza, e reagendo con fermezza agli attacchi informatici contro l’Unione, le sue istituzioni e i suoi Stati membri mediante l’utilizzo di tutti gli strumenti a disposizione dell’UE. Manifesteremo ulteriormente la
nostra determinazione a fornire risposte immediate e a lungo termine agli autori delle minacce che cercano di negare all’UE e ai suoi partner un accesso sicuro e aperto al ciberspazio. Sosterremo i nostri partner nel rafforzamento della loro ciberresilienza e, in caso di crisi informatiche, invieremo esperti dell’UE e degli Stati membri per offrire assistenza. Attraverso esercitazioni periodiche nel settore informatico contribuiremo ad aumentare ulteriormente la solidarietà e l’assistenza reciproca. Rafforzeremo le nostre
capacità di intelligence informatica per accrescere la nostra ciberresilienza, fornendo anche un sostegno efficace alle nostre missioni e operazioni PSDC in ambito civile e militare, come pure alle nostre forze armate. Aumenteremo l’interoperabilità e la condivisione di informazioni attraverso la cooperazione tra squadre di pronto intervento informatico militari (MilCERT), come anche nello svolgimento di operazioni informatiche difensive. Riconosciamo che il potenziamento della nostra cibersicurezza è un modo per
aumentare l’efficacia e la sicurezza dei nostri sforzi a terra, nell’aria, in mare e nello spazio extraatmosferico.
La nostra libertà d’azione dipende da un accesso sicuro, protetto e autonomo al settore spaziale.
Dobbiamo essere preparati a un ambiente spaziale più competitivo e conteso. A causa della nostra crescente dipendenza dai sistemi e dai servizi spaziali, siamo più vulnerabili di fronte a comportamenti irresponsabili e minacciosi dei concorrenti strategici. Anche la crescente quantità di oggetti in orbita e di detriti spaziali aumenta i rischi e le tensioni. Il programma spaziale dell’UE e altre infrastrutture spaziali dell’Unione e dei suoi Stati membri contribuiscono alla nostra resilienza e offrono servizi chiave che sostituiscono o integrano le infrastrutture terrestri per l’osservazione della Terra, la navigazione satellitare o le telecomunicazioni. I sistemi spaziali dell’UE dovrebbero offrire connettività globale agli attori della sicurezza e della difesa. A tal fine lavoreremo alla proposta relativa a un sistema di comunicazione sicuro globale dell’UE basato sulla tecnologia spaziale, anche attraverso il programma di connettività sicura dell’Unione per il periodo 2023-2027.
Riconoscendo che le risorse spaziali dell’UE sono sotto controllo civile e prendendo atto dell’importanza del programma spaziale dell’UE, urge integrare l’attuale strategia spaziale e rafforzare le dimensioni di sicurezza e difesa dell’Unione nello spazio. Una nuova strategia spaziale dell’UE per la sicurezza e la difesa ci aiuterà a definire una comprensione comune dei rischi e delle minacce inerenti allo spazio e a elaborare risposte e capacità adeguate per reagire meglio e più rapidamente alle crisi, a rafforzare la nostra resilienza e a sfruttare appieno i vantaggi e le opportunità attinenti al settore spaziale. Tale strategia dovrebbe includere, ad esempio, le dimensioni politica, operativa, diplomatica e di governance.
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ALLEGATO RELEX.5 IT
Continueremo a investire nella conoscenza dell’ambiente spaziale per comprendere meglio e ridurre i rischi, le minacce e le vulnerabilità spaziali. Rafforzeremo l’innovazione a duplice uso e investiremo nello sviluppo di capacità affinché l’Europa possa beneficiare di un accesso autonomo allo spazio. Proteggeremo le catene di approvvigionamento nel settore spaziale e investiremo nelle tecnologie spaziali critiche in coordinamento con l’Agenzia europea per la difesa e l’Agenzia spaziale europea. Rafforzeremo inoltre la resilienza delle catene di approvvigionamento europee correlate per garantire l’integrità, la sicurezza e il funzionamento delle infrastrutture spaziali.
Collaboreremo strettamente con i partner per ridurre le minacce, in linea con gli sforzi in corso in seno alle Nazioni Unite per lo sviluppo di norme, regole e principi di comportamento responsabile nello spazio extra-atmosferico. Lavoreremo a un approccio comune dell’UE per la gestione del traffico spaziale. sulla base della comunicazione congiunta della Commissione e dell’alto rappresentante. Condurremo esercitazioni per testare la resilienza delle nostre risorse spaziali e individueremo i mezzi necessari per affrontare le vulnerabilità, al fine di reagire con rapidità e fermezza alle minacce inerenti allo spazio in caso di emergenza o crisi. Una volta convalidato il meccanismo di risposta alle minacce nel quadro di Galileo, lo estenderemo ad altre componenti del programma spaziale dell’UE. Puntiamo inoltre a rafforzare ulteriormente la solidarietà, l’assistenza
reciproca e la risposta alle crisi in caso di attacchi provenienti dallo spazio o di minacce alle risorse spaziali, anche attraverso esercitazioni.
Il settore aereo è fondamentale per garantire la sicurezza dei nostri territori e delle nostre
popolazioni, nonché per il commercio e i viaggi internazionali. Attori statali e non statali pongono sfide alla nostra sicurezza, sul territorio dell’UE e all’esterno di esso, ad esempio dirottando aerei civili e attraverso l’uso crescente di droni e nuove tecnologie. Capacità militari avanzate come i velivoli senza equipaggio, i sistemi di difesa aerea a medio e lungo raggio e gli aeromobili moderni proliferano in tutto il mondo e mettono sempre più in discussione l’uso sicuro e senza restrizioni dello spazio aereo. L’accesso libero e sicuro allo spazio aereo è messo in discussione anche dalle strategie anti-accesso/negazione d’area dei nostri concorrenti, in particolare nel nostro vicinato. In stretta cooperazione con le pertinenti parti interessate dell’aviazione civile e con la NATO, porteremo avanti una riflessione strategica per preservare il nostro accesso incontestato allo spazio aereo.
Sulla base di un aggiornamento della strategia per la sicurezza marittima dell’UE e del relativo piano di azione, investiremo ulteriormente nella nostra sicurezza marittima e presenza globale, garantendo in tal modo il libero accesso all’alto mare e ai corridoi marittimi di comunicazione, nonché il rispetto del diritto internazionale del mare. Gli atti illeciti provocatori in mare, attività criminose come la pirateria, i traffici illegali, le controversie sulle zone marittime e le pretese eccessive, il diniego di accesso e le minacce ibride sono tutti elementi che minano la nostra sicurezza marittima. Al fine di proteggere i nostri interessi marittimi e le nostre infrastrutture marittime critiche, compresi i nostri fondali, potenzieremo la nostra capacità di raccogliere e fornire informazioni e intelligence accurate per rafforzare la conoscenza situazionale, anche attraverso la condivisione di informazioni tra attori civili e militari. A questo scopo continueremo a sviluppare soluzioni operative, tecnologiche e di capacità congiunte anche sfruttando al meglio il quadro della
cooperazione strutturata permanente. Svilupperemo ulteriormente il meccanismo delle presenze marittime coordinate e rafforzeremo le interazioni e il coordinamento tra le nostre operazioni navali in ambito PSDC e gli attori pertinenti. Per migliorare la prontezza e la resilienza nel settore marittimo, organizzeremo esercitazioni navali periodiche per le marine e le guardie costiere degli Stati membri. Sfrutteremo inoltre appieno la nostra politica di partenariato nel settore marittimo, ad esempio mediante scali portuali, formazioni ed esercitazioni nonché mediante lo sviluppo di capacità.
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ALLEGATO RELEX.5 IT
Lotta al terrorismo
Rafforzeremo la nostra risposta per prevenire e contrastare il terrorismo più efficacemente.
Utilizzando i nostri strumenti PSDC e altri strumenti, sosterremo i paesi partner, anche attraverso l’impegno diplomatico e il dialogo politico, gli sforzi di stabilizzazione, i programmi di prevenzione e contrasto dell’estremismo violento e la cooperazione nel settore dello Stato di diritto, promuovendo nel contempo il pieno rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale.
Intensificheremo il dialogo con i partner strategici, fra cui le Nazioni Unite e altri consessi
multilaterali, quali il Forum globale antiterrorismo e la coalizione internazionale per combattere il Da’esh. Affronteremo inoltre i nuovi sviluppi, come l’uso delle nuove tecnologie per il finanziamento del terrorismo e la diffusione di contenuti terroristici online. Rafforzeremo ulteriormente la nostra rete di esperti antiterrorismo nelle delegazioni dell’UE.
Promuovere il disarmo, la non proliferazione e il controllo degli armamenti
Appoggeremo, sosterremo e promuoveremo ulteriormente il quadro in materia di disarmo, non proliferazione e controllo degli armamenti. Continueremo a sostenere la centralità del trattato di non proliferazione delle armi nucleari e sottolineiamo la necessità di attuare tutti gli obblighi in esso previsti, nonché gli impegni assunti durante le precedenti conferenze di revisione, compresa la necessità di compiere progressi concreti verso la piena attuazione dell’articolo VI, al fine ultimo di conseguire la completa eliminazione delle armi nucleari. Puntiamo con determinazione a un mondo più sicuro per tutti, conformemente agli obiettivi del trattato, in modo da promuovere la stabilità, la pace e la sicurezza internazionali. Dobbiamo incrementare le nostre capacità di controllo dei trasferimenti intangibili, comprese, ove necessario, le conoscenze scientifiche, il che comporta anche la protezione e il rafforzamento dei regimi vigenti di controllo delle esportazioni. Di fronte
alle nuove sfide che emergono dalle nuove tecnologie, l’UE mantiene il suo impegno a preservare l’architettura in materia di disarmo, non proliferazione e controllo degli armamenti. A tale riguardo è essenziale anche un approccio coordinato con i partner.
Per quanto concerne il controllo degli armamenti, l’UE e i suoi Stati membri intensificheranno gli scambi e gli sforzi su possibili soluzioni al riguardo, tenendo conto dei propri interessi in materia di sicurezza e in stretto coordinamento con i partner, in particolare gli Stati Uniti e la NATO.
Proseguiremo i lavori su tale questione. Continueremo a chiedere la riduzione degli arsenali da parte degli Stati che detengono gli arsenali nucleari più consistenti, attraverso la conclusione di accordi che facciano seguito al nuovo START, comprese le armi nucleari dispiegate, strategiche e non strategiche, e ulteriori discussioni sulle misure di rafforzamento della fiducia, la verifica, la trasparenza delle dottrine nucleari e misure strategiche di riduzione dei rischi.
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ALLEGATO RELEX.5 IT
Rafforzare la resilienza ai cambiamenti climatici, alle catastrofi e alle emergenze
I cambiamenti climatici e il degrado ambientale non sono solo minacce di per sé, ma
costituiscono anche fattori di moltiplicazione dei rischi. Il riscaldamento globale provoca fenomeni meteorologici e catastrofi naturali più frequenti ed estremi, oltre al degrado degli ecosistemi in tutto il mondo, che aumentano la vulnerabilità e l’esposizione. Tutto ciò va ad aggiungersi al rischio di instabilità sociale, economica e politica e di conflitti nei paesi fragili. I cambiamenti climatici e il degrado ambientale incidono sulle principali infrastrutture energetiche, sulle attività agricole e sulla scarsità di risorse naturali, aggravando le disuguaglianze sociali esistenti ed esponendo le comunità vulnerabili a nuovi tipi di rischi. Ciò ha pertanto implicazioni dirette anche per la nostra sicurezza e
la nostra difesa. La transizione verso economie climaticamente neutre può avere ripercussioni sociali, economiche e politiche suscettibili di aggravare situazioni a rischio di conflitto. Stiamo valutando ulteriormente i vari effetti dei cambiamenti climatici e del degrado ambientale sulla sicurezza globale e regionale, nonché sulle nostre forze armate e le nostre missioni e operazioni PSDC. Adegueremo il settore della sicurezza e della difesa dell’Unione e i nostri impegni in ambito PSDC e incrementeremo l’efficienza sotto il profilo energetico e delle risorse, anche per quanto riguarda l’impronta ambientale delle nostre missioni e operazioni PSDC, in linea con l’obiettivo dell’Unione di conseguire la neutralità climatica entro il 2050 nell’ambito del Green Deal europeo, senza ridurre l’efficacia operativa. A tal fine, rafforzeremo il ruolo della tecnologia verde e della digitalizzazione sostenibile nell’ambito delle forze armate e, più in generale, nel settore della difesa.
Integreremo inoltre le considerazioni inerenti ai cambiamenti climatici e all’ambiente in tutte le nostre missioni e operazioni PSDC in ambito civile e militare. Rafforzeremo ulteriormente le nostre capacità di analisi e i nostri sistemi di allarme rapido con riguardo alle sfide specifiche in materia di sicurezza derivanti dai cambiamenti climatici e dalla transizione globale verso un’economia circolare, climaticamente neutra ed efficiente sotto il profilo delle risorse.
È essenziale adottare un approccio integrato per rispondere alle grandi crisi. La pandemia di COVID-19 così come la crisi in Afghanistan hanno messo in luce l’importanza di sviluppare una maggiore capacità di soccorso ed evacuazione dei nostri cittadini allorché questi ultimi si trovano in pericolo al di là delle nostre frontiere. Detti eventi hanno inoltre evidenziato il ruolo importante che le forze armate possono svolgere in situazioni di crisi complesse. Gli attori militari degli Stati membri possono mobilitare risorse significative a sostegno degli attori civili coinvolti nella risposta alle catastrofi in settori quali il supporto logistico, medico e di sicurezza e le infrastrutture. Partendo dalle strutture esistenti dello Stato maggiore dell’UE, come la cellula UE di pianificazione dei movimenti, e dai meccanismi della Commissione per l’assistenza umanitaria e il soccorso in caso di
calamità, miglioreremo le capacità di assistenza militare nonché l’efficacia del coordinamento tra autorità civili e militari a livello nazionale e dell’Unione. Ciò garantirà che, in ultima istanza, gli attori militari siano pronti ad assistere le autorità civili in caso di future emergenze e catastrofi. Lo Stato maggiore dell’UE può inoltre contribuire al coordinamento del sostegno e dell’assistenza logistici agli Stati membri e ai paesi terzi in situazioni di crisi, nonché all’attuazione di strumenti dell’UE quali lo strumento europeo per la pace o, su richiesta degli Stati membri, la clausola di assistenza reciproca, in linea con il trattato sull’Unione europea. I meccanismi di risposta alle crisi del SEAE, la nostra assistenza consolare e la sicurezza sul campo saranno inoltre riesaminati e rafforzati per meglio assistere gli Stati membri negli sforzi volti a proteggere e soccorrere i loro
cittadini all’estero, nonché per aiutare le delegazioni dell’UE in caso di necessità di evacuazione del personale. Lavorando con il meccanismo unionale di protezione civile, sosterremo gli sforzi di soccorso civile in caso di calamità; dobbiamo inoltre garantire di essere in grado di evacuare in sicurezza i nostri cittadini dai luoghi colpiti da catastrofi naturali e provocate dall’uomo. In tale contesto potenzieremo altresì il coordinamento con le Nazioni Unite e la NATO.
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ALLEGATO RELEX.5 IT
Obiettivi Dobbiamo prepararci al meglio alle sfide che emergono repentinamente. Rafforzeremo in modo sostanziale la nostra resilienza. Riuniremo i nostri strumenti per contrastare meglio le minacce ibride sviluppando un pacchetto di strumenti contro le minacce ibride. Ciò significa anche consolidare la nostra ciberdifesa e la nostra cibersicurezza, come pure potenziare la nostra capacità di dissuasione e contrasto della manipolazione delle informazioni e delle ingerenze da parte di attori stranieri. In aggiunta, dobbiamo essere in grado di garantire il nostro accesso e la nostra presenza nell’alto mare, nello spazio aereo e nello spazio extra-atmosferico. Puntiamo ad aumentare ulteriormente la nostra resilienza ai rischi legati al clima e alle catastrofi naturali e provocate dall’uomo, adoperandoci nel contempo per una presenza dell’UE sul campo che sia climaticamente neutra. Rafforzeremo inoltre la capacità di soccorso ed evacuazione dei nostri
cittadini allorché questi ultimi si trovano in pericolo al di là delle nostre frontiere. Tutti questi sforzi contribuiscono a rafforzare la nostra solidarietà e la nostra assistenza reciproca.
Intelligence e comunicazioni sicure
• Entro la fine del 2022 la capacità unica di analisi dell’intelligence dell’UE riesaminerà
l’analisi della minaccia a livello dell’UE in stretta collaborazione con i servizi di
intelligence degli Stati membri. Questi riesami periodici e strutturati saranno effettuati
almeno ogni tre anni o prima se l’evoluzione del contesto strategico e di sicurezza lo
richiede.
• Entro il 2025 rafforzeremo la nostra capacità unica di analisi dell’intelligence
potenziando le risorse e le capacità. Entro il 2025 rafforzeremo anche il Centro
satellitare dell’UE per potenziare la nostra capacità autonoma di intelligence geospaziale.
• Per facilitare lo scambio di informazioni, comprese le informazioni classificate, invitiamo
le istituzioni, le agenzie e gli organi dell’UE ad adottare nel 2022 norme e regole
supplementari per garantire la cibersicurezza e la sicurezza delle informazioni.
Minacce ibride, diplomazia informatica e manipolazione delle informazioni e ingerenze da
parte di attori stranieri
• Nel 2022 svilupperemo il nostro pacchetto di strumenti dell’UE contro le minacce
ibride, che dovrebbe fornire un quadro per una risposta coordinata alle campagne ibride
che interessano l’UE e i suoi Stati membri, comprese ad esempio misure preventive, di
cooperazione, di stabilizzazione, restrittive e di recupero, nonché sostenere la solidarietà e
l’assistenza reciproca. Riunirà gli strumenti esistenti ed eventuali nuovi strumenti,
compresa la creazione di gruppi di risposta rapida dell’UE alle minacce ibride per
sostenere gli Stati membri, le missioni e operazioni PSDC e i paesi partner nel contrastare
tali minacce. Sulla scorta delle basi di riferimento settoriali dell’UE in materia di
resilienza contro le minacce ibride come pure dell’attuale situazione della sicurezza,
individueremo le lacune, le esigenze e le misure per affrontarle. Sarà inoltre riesaminato il
manuale tattico dell’UE per contrastare le minacce ibride.
• Nel 2022 rafforzeremo ulteriormente il pacchetto di strumenti della diplomazia
informatica, in particolare valutando ulteriori misure di risposta.
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ALLEGATO RELEX.5 IT
• Nel 2022 svilupperemo un pacchetto di strumenti contro la manipolazione delle
informazioni e le ingerenze da parte di attori stranieri, rafforzando così la nostra
capacità di individuare, analizzare e rispondere alla minaccia, anche imponendo costi ai
responsabili di tali attività. Miglioreremo ulteriormente le capacità dell’UE in materia di
comunicazione strategica e contrasto della disinformazione. Entro il 2023 creeremo un
meccanismo appropriato per raccogliere sistematicamente i dati sugli incidenti occorsi,
facilitato da un apposito spazio di dati, al fine di definire una comune comprensione della
manipolazione delle informazioni e delle ingerenze da parte di attori stranieri. Entro il
2024 la totalità delle missioni e operazioni PSDC sarà dotata di tutte le capacità e risorse
necessarie per mobilitare gli strumenti pertinenti di questo pacchetto.
Settori strategici
• Nel 2022 definiremo ulteriormente la politica dell’UE in materia di ciberdifesa per
individuare e scoraggiare gli attacchi informatici nonché proteggerci e difenderci da questi
ultimi. Nel 2022 verrà proposta una nuova normativa europea sulla ciberresilienza e
proseguiranno i lavori sull’unità congiunta per il ciberspazio.
• Entro la fine del 2023 adotteremo una strategia spaziale dell’UE per la sicurezza e la
difesa. Cominceremo con la convalida, entro la fine del 2022, del meccanismo di risposta
alle minacce nel quadro di Galileo, che poi estenderemo ad altre componenti del
programma. Entro la fine del 2022 esploreremo la possibilità di ricorrere a meccanismi di
solidarietà, di assistenza reciproca e di risposta alle crisi in caso di attacchi provenienti
dallo spazio o di minacce per le risorse spaziali. A tal fine procederemo anche a
esercitazioni in cui saranno testate la solidarietà e la reazione a eventi e incidenti nel
settore spaziale, allo scopo di informare ulteriormente il nostro approccio strategico
comune allo spazio.
• Sulla base di una strategia aggiornata per la sicurezza marittima dell’Unione europea,
entro il 2025 svilupperemo e potenzieremo ulteriormente i meccanismi UE di conoscenza
situazionale della sicurezza marittima, quali l’ambiente comune per la condivisione delle
informazioni (CISE) e la sorveglianza marittima (MARSUR), al fine di promuovere
l’interoperabilità, facilitare il processo decisionale e sostenere una maggiore efficacia
operativa. Aumenteremo ulteriormente la visibilità della nostra presenza navale all’interno
e all’esterno dell’UE, anche mediante scali portuali, formazioni ed esercitazioni nonché
mediante sviluppo di capacità.
• Entro la fine del 2022, relativamente al settore aereo, porteremo avanti una riflessione
strategica per garantire un accesso europeo libero e sicuro allo spazio aereo.
Lotta al terrorismo
• Intensificheremo il dialogo con i partner strategici e nei consessi multilaterali e
rafforzeremo ulteriormente la rete di esperti antiterrorismo nelle delegazioni dell’UE.
Entro i primi mesi del 2023 riesamineremo gli strumenti e i programmi dell’UE che
contribuiscono a sviluppare le capacità dei partner contro il terrorismo per aumentarne
l’efficacia, inclusa la lotta al finanziamento del terrorismo.
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ALLEGATO RELEX.5 IT
Promuovere il disarmo, la non proliferazione e il controllo degli armamenti
• Entro il 2023 rafforzeremo concrete azioni dell’UE a sostegno degli obiettivi di
disarmo, non proliferazione e controllo degli armamenti. In particolare,
intensificheremo il sostegno ai partner e li aiuteremo ad attuare pienamente le sanzioni e
le procedure di controllo. Continueremo a chiedere la conclusione di accordi che facciano
seguito al nuovo START.
Cambiamenti climatici, catastrofi ed emergenze
• Entro la fine del 2023, in vista della piena attuazione della tabella di marcia sui
cambiamenti climatici e la difesa, gli Stati membri elaboreranno strategie nazionali per
preparare le forze armate ai cambiamenti climatici. Entro il 2025 tutte le missioni e
operazioni PSDC disporranno di un consulente ambientale e riferiranno in merito alla loro
impronta ambientale.
• Miglioreremo la capacità delle forze armate degli Stati membri di dare supporto alle
autorità civili in situazioni di emergenza sia nella fase di pianificazione che in quella di
condotta, anche potenziando il coordinamento tra le autorità civili e militari a tutti i livelli.
Tutto ciò comprenderà esercitazioni reali e congiunte che prevedano scenari riguardanti il
soccorso in caso di calamità, come pure l’assistenza umanitaria in linea con i principi
umanitari. Entro il 2023 potenzieremo le strutture di risposta alle crisi del SEAE,
compresa la sala situazionale, per rafforzare la nostra capacità di rispondere a emergenze
complesse, come operazioni di evacuazione e soccorso all’estero, in stretta cooperazione
con il Centro di coordinamento della risposta alle emergenze.
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ALLEGATO RELEX.5 IT
4. INVESTIMENTI
In linea con l’agenda di Versailles e alla luce delle sfide che dobbiamo affrontare, nonché al fine di
proteggere meglio i nostri cittadini, pur riconoscendo il carattere specifico della politica di sicurezza
e di difesa di taluni Stati membri, dobbiamo aumentare e migliorare drasticamente gli investimenti
nelle capacità di difesa e nelle tecnologie innovative, sia a livello dell’UE che a livello nazionale.
Dobbiamo rafforzare le nostre capacità di difesa e dotare le nostre forze militari dei mezzi per
affrontare le sfide del mondo contemporaneo. Dobbiamo essere più audaci e rapidi nel colmare le
carenze critiche in termini di capacità, superare la frammentazione, conseguire la piena
interoperabilità delle nostre forze e rafforzare una base industriale e tecnologica di difesa europea
resiliente, competitiva e innovativa in tutta l’Unione, che assicuri anche la partecipazione
transfrontaliera delle piccole e medie imprese. Riconosciamo che maggiori investimenti nello
sviluppo collaborativo di capacità garantiscono una maggiore efficienza, grazie a un aumento delle
economie di scala, e una maggiore efficacia nell’azione. Ciò consente inoltre di sostenere innovatori
e produttori europei. Raggiungere la sovranità tecnologica in alcuni settori tecnologici critici,
mitigare le dipendenze strategiche in altri e ridurre la vulnerabilità delle nostre catene del valore
sono aspetti fondamentali per fronteggiare le sfide di un mondo più pericoloso e conseguire una
maggiore resilienza. La cooperazione con partner che condividono gli stessi principi in tutto il
mondo, su una base di reciprocità, è fondamentale per rafforzare la resilienza e la sicurezza
dell’approvvigionamento dell’UE, riducendo nel contempo le dipendenze strategiche e aumentando i
vantaggi reciproci.
Orientamenti strategici
In linea con gli impegni già assunti nel quadro della PESCO e alla luce delle sfide strategiche che ci
troviamo ad affrontare, diventa urgente aumentare e migliorare la spesa. Aumenteremo pertanto
in modo sostanziale le spese per la difesa, con una quota significativa destinata agli investimenti,
dedicando particolare attenzione alle carenze strategiche individuate. Garantiremo un approccio
europeo coordinato e collaborativo per tale aumento di spesa a livello degli Stati membri e dell’UE,
al fine di massimizzare i risultati, migliorare l’interoperabilità e sfruttare appieno le economie di
scala. A tal fine, definiremo orientamenti strategici sulle risorse necessarie per rispondere alle
nostre esigenze in materia di sicurezza e sul pieno utilizzo degli strumenti dell’UE per incentivare
gli investimenti collaborativi nel settore della difesa.
Coerentemente con il livello di ambizione da noi concordato, lavoreremo insieme per adeguare
rapidamente le nostre forze militari e le nostre capacità civili affinché siano in grado di agire
celermente e contribuire a difendere i nostri interessi e valori, a rafforzare la nostra resilienza e a
proteggere l’Unione e i suoi cittadini. A tal fine, svilupperemo ulteriormente forze che coprono
tutto lo spettro che siano agili e mobili, interoperabili, tecnologicamente avanzate, efficienti
sotto il profilo energetico e resilienti. Conformemente al principio della “riserva unica di forze”,
dette forze restano in mano agli Stati membri e possono essere dispiegate anche in altri ambiti.
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ALLEGATO RELEX.5 IT
Adegueremo la pianificazione e lo sviluppo delle capacità di difesa dell’UE, in particolare rivedendo gli
scenari di pianificazione delle capacità del processo relativo all’obiettivo primario, al fine di rispecchiare
meglio le realtà operative e la previsione strategica e fornire le capacità necessarie per le missioni e
operazioni PSDC. Tali scenari comprendono il dispiegamento militare rapido effettuato in ambiente non
permissivo nonché le capacità di reagire alle minacce ibride, garantire l’accesso sicuro ai settori strategici
come l’alto mare, lo spazio aereo, i settori informatico e spaziale nonché fornire assistenza militare alle
autorità civili. Preciseremo ulteriormente gli elementi di pianificazione strategica, come il tempo di
risposta, la durata, il contesto, la distanza e la simultaneità delle operazioni che sono necessari per
adeguare gli scenari di pianificazione delle capacità. I risultati del processo relativo all’obiettivo primario
continueranno a costituire un contributo essenziale al piano di sviluppo delle capacità, che comprende le
future tendenze in termini di capacità di difesa e le prospettive tecnologiche.
Dobbiamo garantire che tutte le iniziative in materia di difesa e tutti gli strumenti di sviluppo e
pianificazione delle capacità dell’UE siano integrati nella pianificazione nazionale della difesa.
Continueremo a far sì che il risultato di tali processi rimanga coerente con quello dei rispettivi processi in
ambito NATO. In tal modo aumenteranno la prontezza, la solidità e l’interoperabilità della nostra riserva
unica di forze.
Per accrescere l’efficacia delle nostre missioni PSDC in ambito civile, svilupperemo un processo di
capacità e competenze civili per strutturare meglio e affrontare collettivamente le esigenze di tali missioni,
sulla base di scenari che rispondano anche alle nuove minacce. L’introduzione del deposito strategico e
della piattaforma di sostegno alle missioni ha contribuito alla nostra capacità di fornire attrezzature e
servizi per le missioni PSDC in ambito civile. Oltre ad assicurare personale di alta qualità e adeguatamente
formato, faremo in modo che sia possibile fornire ancora più rapidamente le attrezzature necessarie alle
missioni civili, comprese le attrezzature che consentono alle missioni di operare in ambienti meno
permissivi.
Capacità coerenti e ambiziose
In un quadro bilaterale o multilaterale, vari Stati membri hanno avviato lo sviluppo di progetti chiave
relativi alle capacità strategiche, ad esempio sistemi aerei di prossima generazione, un Eurodrone, una
nuova classe di navi militari europee e un Main Ground Combat System (carro armato MGCS), che in
futuro faranno la differenza in modo tangibile per la sicurezza e la difesa europee e condurranno col tempo
alla convergenza. L’attuazione delle raccomandazioni concordate nell’ambito della revisione coordinata
annuale sulla difesa sarà essenziale a tale riguardo.
Oltre a investire nelle capacità e nell’innovazione future, dobbiamo sfruttare meglio lo sviluppo
collaborativo di capacità e gli sforzi di messa in comune, anche esplorando la specializzazione dei compiti
tra gli Stati membri. Ci baseremo su esempi riusciti come la flotta europea multinazionale di aerei
multiruolo per il trasporto ed il rifornimento.
Nel quadro dell’UE, e in particolare attraverso la cooperazione strutturata permanente e il Fondo europeo
per la difesa, stiamo già sviluppando sistemi di comando e controllo, veicoli corazzati, artiglieria e sistemi
missilistici, corvette di pattuglia, sistemi aerei e marittimi senza equipaggio, capacità di guerra elettronica,
sorveglianza dello spazio, sistemi di risposta rapida agli incidenti informatici e sistemi di formazione ad
alta tecnologia. Investiremo ulteriormente negli abilitanti strategici e, più in generale, nelle capacità
necessarie per condurre l’intera gamma di missioni e operazioni, come indicato nel livello di ambizione da
noi concordato. Intensificheremo gli sforzi volti a ridurre le carenze di capacità critiche, come il trasporto
aereo strategico, le risorse di connettività e comunicazione basate sulla tecnologia spaziale, le capacità in
materia di mezzi anfibi, il materiale medico, le capacità nel settore della ciberdifesa e le capacità di
intelligence, sorveglianza e ricognizione nonché i sistemi aerei a pilotaggio remoto.
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ALLEGATO RELEX.5 IT
Dobbiamo ridurre la frammentazione e sviluppare le capacità di prossima generazione. A tal fine, ci
impegniamo a dar seguito alle raccomandazioni contenute nella primissima relazione concernente la
revisione coordinata annuale sulla difesa pubblicata nel 2020, che comprende i sei settori
prioritari concordati in materia di capacità che trarrebbero beneficio da una cooperazione rafforzata
tra gli Stati membri nel campo della difesa, ovvero: carro armato da combattimento; sistemi soldato;
natante europeo di superficie della classe delle motovedette; capacità anti-accesso/negazione d’area
e contrasto dei sistemi di aeromobili senza equipaggio; difesa nello spazio; mobilità militare
rafforzata.
Per agire rapidamente e proteggere i nostri cittadini, lavoreremo insieme per correggere le carenze
critiche. Sfrutteremo appieno la cooperazione strutturata permanente e il Fondo europeo per la
difesa per sviluppare tecnologie avanzate e sistemi di alta gamma interoperabili. Ci impegniamo a
sviluppare le seguenti capacità strategiche attraverso progetti collaborativi, in particolare:
• nel settore terrestre, sarà fondamentale la capacità dell’Unione di condurre operazioni di gestione delle
crisi e di assicurare il proprio vantaggio tecnologico sul campo, anche in un contesto di minaccia ad alta
intensità. Sarà avviato un cluster di capacità terrestre completo che conduca all’aggiornamento, alla
modernizzazione e alla graduale sostituzione delle principali piattaforme esistenti e dei sistemi logistici
connessi. I settori prioritari “sistemi soldato” e “carro armato da combattimento” rappresenteranno
contributi importanti a questi sforzi;
• nel settore marittimo, per garantire una presenza dell’Unione in mare più assertiva e la sua capacità di
proiezione di potenza, sono necessarie piattaforme navali di alta gamma, comprese piattaforme non
presidiate per il controllo di superficie e sottomarino. Il settore prioritario “natante europeo di superficie
della classe delle motovedette” costituirà un passo importante in questa direzione;
• nel settore aereo, per stabilire e mantenere il nostro vantaggio è necessario sviluppare capacità
pienamente operabili di prossima generazione, in particolare i sistemi di combattimento del futuro e i
sistemi di difesa aerea. Integreremo progressivamente, in modo interoperabile, i previsti sistemi di
combattimento del futuro, compresi i sistemi aerei a pilotaggio remoto, nelle flotte esistenti dei sistemi di
combattimento aereo. Occorre inoltre proseguire gli sforzi sugli abilitanti chiave, in particolare la
capacità in materia di trasporto aereo strategico. Il settore prioritario “capacità anti-accesso/negazione
d’area e contrasto dei sistemi di aeromobili senza equipaggio” contribuisce alla dimensione di difesa
aerea di tali sforzi;
• nel settore spaziale svilupperemo nuovi sensori e piattaforme a tecnologia all’avanguardia che
consentano all’Unione e ai suoi Stati membri di migliorare il proprio accesso allo spazio e di proteggere
le proprie risorse spaziali. Ciò comporta in particolare lo sviluppo dell’osservazione spaziale della Terra,
nonché di tecnologie per la conoscenza dell’ambiente spaziale e di servizi di navigazione e
comunicazione basati sulla tecnologia spaziale, fondamentali per un processo decisionale indipendente.
Il settore prioritario “difesa nello spazio” costituisce un primo passo in questa direzione;
• nel settore informatico, le nostre forze devono operare in modo coordinato, informato ed efficiente.
Pertanto, svilupperemo e utilizzeremo in modo intensivo le nuove tecnologie, in particolare la
computazione quantistica, l’intelligenza artificiale e i big data, per conseguire vantaggi comparativi,
anche in termini di operazioni di risposta agli attacchi informatici e di superiorità in materia di
informazioni. La ciberdifesa è fondamentale per garantire che il settore prioritario “mobilità militare
rafforzata” possa dispiegare appieno il suo potenziale in quanto abilitante essenziale.
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ALLEGATO RELEX.5 IT
Ci impegniamo a intensificare la cooperazione in materia di sviluppo di capacità, in particolare
attraverso la cooperazione strutturata permanente. Concretamente, ciò significa che gli Stati
membri che partecipano alla cooperazione strutturata permanente devono conformarsi entro il 2025
a tutti gli impegni più vincolanti assunti. Nel 2025 un terzo dei 60 progetti in corso nell’ambito della
cooperazione strutturata permanente raggiungerà la capacità prevista e raggiungerà i propri
obiettivi. Al di là di questi risultati concreti, il nostro obiettivo è andare oltre attuando le priorità
concordate in materia di capacità e sviluppando nuovi progetti ambiziosi. Seguiremo da vicino la
realizzazione di tali impegni al fine di poterne concordare di nuovi nel 2025, con l’obiettivo di
approfondire ulteriormente la cooperazione nel settore della difesa.
Rafforzare considerevolmente gli strumenti di finanziamento dell’UE, in particolare il Fondo
europeo per la difesa, e sfruttarne appieno il potenziale è fondamentale per consolidare le nostre
capacità di difesa nonché per dotare le forze degli Stati membri dei mezzi per far fronte ai futuri
campi di battaglia. Promuoveremo ulteriormente la cooperazione e le capacità in modo che la
cooperazione industriale nel settore della difesa nell’UE diventi la norma. Ciò consentirà di
massimizzare il potenziale dei più ampi strumenti finanziari dell’UE per sostenere la cooperazione
degli Stati membri in materia di difesa, dalla concezione all’acquisizione. Questo significa anche
che dovremmo essere pronti ad allineare la maggiore ambizione a livello dell’Unione con l’adeguato
peso finanziario a lungo termine del Fondo europeo per la difesa. Aumenteremo e sfrutteremo gli
investimenti collaborativi nel settore della difesa a livello dell’UE, comprese la ricerca e la
tecnologia. Sfrutteremo appieno il potenziale delle sinergie con altri strumenti finanziari dell’UE, ad
esempio Orizzonte Europa, il programma Europa digitale, il meccanismo per collegare l’Europa, il
programma spaziale dell’UE, il Consiglio europeo per l’innovazione e il programma InvestEU. Per
rafforzare la competitività dell’industria della difesa dell’UE, lavoreremo per stimolare ulteriormente
l’approvvigionamento congiunto di capacità di difesa che sono sviluppate in modo collaborativo
all’interno dell’UE. Ciò richiederà ulteriori lavori sulle proposte della Commissione, tra cui quelle
concernenti un’esenzione dall’IVA, nuove soluzioni di finanziamento e un potenziale rafforzamento
del regime dei bonus del FED.
Porteremo inoltre avanti i lavori in corso per la razionalizzazione e l’ulteriore graduale convergenza
delle nostre pratiche di controllo delle esportazioni di armi per quanto riguarda le capacità di difesa
sviluppate congiuntamente, in particolare in ambito UE, garantendo in tal modo che i prodotti
finanziati dal Fondo europeo per la difesa beneficino di un accesso adeguato e competitivo ai
mercati internazionali, in linea con la posizione comune del Consiglio del 2008 che definisce norme
comuni per il controllo delle esportazioni di tecnologia e attrezzature militari, e salvaguardando la
sovranità decisionale degli Stati membri.
Massimizzeremo la coerenza tra le iniziative dell’UE in materia di difesa, ossia la revisione
coordinata annuale sulla difesa, la cooperazione strutturata permanente e il Fondo europeo per la
difesa. A tale riguardo, l’alto rappresentante/vicepresidente/capo dell’Agenzia europea per la difesa
presiederà riunioni ministeriali annuali in materia di difesa relative alle iniziative dell’UE nel settore
della difesa che affrontino lo sviluppo di capacità, utilizzando appieno i formati esistenti.
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ALLEGATO RELEX.5 IT
Innovazione, tecnologie di rottura e riduzione delle dipendenze strategiche
Le tecnologie emergenti e di rottura, come l’intelligenza artificiale, la computazione quantistica, la
propulsione avanzata, la biotecnologia e la nanotecnologia, nonché nuovi materiali e capacità
industriali, stanno ridefinendo gli affari militari e i mercati della difesa. Stiamo già investendo
collettivamente nell’innovazione nel settore della difesa combinando la ricerca in campo civile,
spaziale e della difesa e sviluppando nuove norme. Tuttavia, intensificheremo i nostri sforzi sia a
livello nazionale che attraverso un uso più ambizioso degli strumenti dell’UE per essere meglio
preparati per i campi di battaglia del futuro e la tecnologia di prossima generazione. Garantiremo
un’attuazione ambiziosa del piano d’azione sulle sinergie tra l’industria civile, della difesa e dello
spazio. Istituiremo inoltre un polo di innovazione nel settore della difesa in seno all’Agenzia
europea per la difesa, che lavori in partenariato con la Commissione, per aumentare e coordinare la
cooperazione in materia di innovazione nel settore della difesa tra gli Stati membri. A tale riguardo,
garantiremo l’esistenza di sinergie con le azioni del Consiglio europeo per l’innovazione e del Fondo
europeo per la difesa nel settore delle tecnologie di rottura. La Commissione, in coordinamento con
l’Agenzia europea per la difesa, svilupperà un sistema di innovazione nel settore della difesa dell’UE
per accelerare l’innovazione in materia di sicurezza e difesa per l’UE e i suoi Stati membri.
Una base industriale e tecnologica di difesa europea innovativa, competitiva e resiliente, che
assicuri la sicurezza dell’approvvigionamento e tecnologie all’avanguardia, è più importante che mai
e fondamentale per l’occupazione, il commercio, gli investimenti, la sicurezza e la ricerca nell’UE.
Anche il settore europeo della difesa può contribuire alla crescita e a una ripresa economica
sostenibile dopo la pandemia. Dobbiamo far sì che possa beneficiare pienamente e rapidamente dei
cicli di innovazione civile ed eliminare gli ostacoli esistenti. Investiremo anche in tecnologie a
duplice uso. Si tratta di un aspetto essenziale in quanto i nostri concorrenti strategici stanno
investendo rapidamente nelle tecnologie critiche, stanno mettendo alla prova le nostre catene di
approvvigionamento e stanno ostacolando l’accesso alle risorse. Con la trasformazione del
panorama tecnologico, i nuovi quadri di cooperazione ci offrono l’opportunità di non ripetere la
frammentazione e le inefficienze del passato e di perseguire fin dall’inizio un approccio europeo.
Promuoveremo la ricerca, lo sviluppo tecnologico e l’innovazione e ridurremo le nostre dipendenze
strategiche per quanto riguarda le tecnologie e le catene del valore critiche. La tabella di marcia
della Commissione europea relativa alle tecnologie critiche per la sicurezza e la difesa propone una
metodologia per affrontare tali sfide attraverso una più stretta cooperazione tra l’UE e gli Stati
membri. Ciò potrebbe inoltre contribuire a rafforzare la resilienza dell’economia e delle catene di
approvvigionamento europee in linea con strategia “Global Gateway” dell’UE.
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ALLEGATO RELEX.5 IT
Investire nell’innovazione e utilizzare meglio la tecnologia civile nel settore della difesa è
fondamentale per rafforzare la nostra sovranità tecnologica, ridurre le dipendenze strategiche e
preservare la proprietà intellettuale nell’UE. Grazie all’osservatorio sulle tecnologie critiche
continueremo a monitorare e individuare tali dipendenze strategiche nel settore della sicurezza e
della difesa. Anche il piano d’azione dell’AED sulle tecnologie emergenti e di rottura contribuirà a
tali sforzi. Promuoveremo altresì le sinergie tra ricerca e innovazione nell’ambito civile, della difesa
e dello spazio, e investiremo nelle tecnologie critiche ed emergenti e nell’innovazione per la
sicurezza e la difesa. Rafforzare la resilienza delle catene di approvvigionamento e l’accesso delle
industrie ai finanziamenti privati sarà necessario per la nostra base industriale e tecnologica di
difesa europea. La Banca europea per gli investimenti dovrebbe inoltre utilizzare tutti i suoi
strumenti per contribuire a tale sforzo. Altrettanto importante è aver cura che le altre politiche
trasversali dell’UE, quali le iniziative nel campo della finanza sostenibile, si articolino sempre
coerentemente con gli sforzi profusi dall’Unione europea per favorire un adeguato accesso ai
finanziamenti e agli investimenti pubblici e privati per l’industria europea della difesa. Sfruttare
appieno il quadro dell’Unione e i meccanismi nazionali per il controllo degli investimenti esteri
diretti resta un aspetto fondamentale per individuare e attenuare i rischi per la sicurezza e l’ordine
pubblico, anche in relazione agli investimenti nel settore della difesa. Esamineremo ulteriori
proposte per attenuare i rischi per le imprese che producono tecnologie e prodotti critici e devono
far fronte ad acquisizioni extra UE. Meccanismi nazionali di controllo dovrebbero essere istituiti
quanto prima in tutti gli Stati membri. Inoltre, dovrebbero essere ulteriormente rafforzati gli
strumenti volti a contrastare le misure extraterritoriali straniere e i tentativi di coercizione
economica che incidono sugli interessi strategici e sull’industria dell’UE. Per quanto concerne il
settore della cibersicurezza, renderemo rapidamente operativo il Centro europeo di competenza per
la cibersicurezza al fine di sviluppare un ecosistema industriale e tecnologico europeo forte per il
ciberspazio, sostenere le imprese specializzate in cibersicurezza e aumentare ulteriormente le
risorse e le competenze in materia di cibersicurezza e ciberdifesa a livello dell’UE.
Lo sviluppo di tecnologie emergenti e di rottura è fondamentale per mantenere un vantaggio
militare, anche attraverso un bilancio dedicato a titolo del Fondo europeo per la difesa. I nostri
concorrenti utilizzano sempre di più tecnologie e dati strategici senza rispettare la
regolamentazione e le norme internazionali in vigore. Abbiamo pertanto bisogno di una migliore
prospettiva analitica sulle tendenze e le dipendenze che riguardano le tecnologie emergenti e di
rottura e sul modo in cui sono sempre più utilizzate dai concorrenti strategici. A tal fine,
utilizzeremo l’osservatorio sulle tecnologie critiche della Commissione per coordinare e ottenere la
piena comprensione delle dipendenze critiche, in relazione ad esempio ai semiconduttori, alle
tecnologie cloud ed edge, alla computazione quantistica e all’intelligenza artificiale. A tale riguardo,
ci baseremo anche sul lavoro dell’AED in materia di attività strategiche chiave. Attenueremo i rischi
per la sicurezza dell’approvvigionamento e intensificheremo i nostri sforzi collettivi investendo
congiuntamente nelle tecnologie cruciali per la sicurezza e la difesa e proteggendole.
Collaboreremo con tutti i partner per promuovere le pertinenti norme etiche e giuridiche. A tale
riguardo, la nostra cooperazione nell’ambito delle Nazioni Unite sarà essenziale, soprattutto per
quanto concerne la definizione e l’applicazione delle norme comuni previste dalla convenzione su
certe armi convenzionali.
Infine, dobbiamo sfruttare l’innovazione per migliorare l’efficienza energetica del settore della
difesa, comprese le missioni e operazioni PSDC, senza ridurne l’efficacia operativa. Svilupperemo
parametri e norme comuni per un maggiore utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili e per la
resilienza delle infrastrutture critiche connesse alla difesa. Un’attenzione particolare sarà rivolta
all’innovazione e alle norme che possono contribuire a ridurre l’impronta ambientale delle forze
armate e a creare possibilità di riutilizzo delle componenti di valore e dei materiali rari.
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ALLEGATO RELEX.5 IT
Obiettivi
Aumenteremo in modo sostanziale le spese per la difesa affinché siano all’altezza della nostra
ambizione collettiva di ridurre le carenze critiche in termini di capacità militari e civili.
Rafforzeremo inoltre la nostra base industriale e tecnologica di difesa europea in tutta l’Unione,
garantendo in tal modo anche la partecipazione transfrontaliera delle piccole e medie imprese. In
linea con gli impegni vincolanti nell’ambito della cooperazione strutturata permanente, la spesa
per la difesa sarà periodicamente aumentata in termini reali per essere all’altezza della nostra
ambizione collettiva in materia di difesa. Per il futuro, aumenteremo e sfrutteremo ulteriormente
gli investimenti collaborativi nel settore della difesa a livello dell’UE, comprese la ricerca e la
tecnologia, attraverso il Fondo europeo per la difesa2
. Investiremo nell’innovazione e nelle
tecnologie critiche ed emergenti, ridurremo le nostre dipendenze strategiche, assicureremo le
catene di approvvigionamento e rafforzeremo la protezione della nostra proprietà intellettuale.
Coopereremo inoltre, su una base di reciprocità, con i partner che condividono gli stessi principi
in tutto il mondo al fine di aumentare i vantaggi reciproci.
Spese per la difesa
• Entro la metà del 2022, nel pieno rispetto delle prerogative nazionali e in modo coerente con gli
impegni da noi assunti, anche nell’ambito di altre organizzazioni, procederemo a uno scambio in
merito ai nostri obiettivi nazionali in materia di aumento e miglioramento della spesa per la
difesa al fine di rispondere alle nostre esigenze in materia di sicurezza, massimizzare i risultati,
aumentare l’interoperabilità e sfruttare appieno le economie di scala, anche attraverso un approccio
europeo coordinato e collaborativo e il pieno utilizzo degli strumenti dell’UE.
• Invitiamo la Commissione, in coordinamento con l’Agenzia europea per la difesa, a presentare
un’analisi delle carenze di investimenti in materia di difesa entro metà maggio e a proporre
qualsiasi ulteriore iniziativa necessaria per rafforzare la base industriale e tecnologica di difesa
europea.
• La Commissione metterà a punto ulteriori incentivi per stimolare gli investimenti collaborativi
degli Stati membri nelle capacità strategiche di difesa, in particolare quelle che saranno sviluppate
e/o acquisite congiuntamente nell’ambito dei quadri di cooperazione dell’UE, e riferirà in merito
agli sviluppi, agli ostacoli e alle opportunità connessi ai progetti multinazionali in materia di
capacità di difesa nella relazione annuale sul mercato unico.
Sviluppo delle capacità
• Entro il 2023 rivedremo il nostro processo relativo all’obiettivo primario e avvicineremo lo
sviluppo delle capacità militari alle esigenze operative, apportando così un contributo essenziale al
piano di sviluppo delle capacità. Entro la metà del 2022 saranno messi a punto nel dettaglio gli
elementi di pianificazione strategica necessari ad adeguare gli scenari di pianificazione delle
capacità.
• A partire dal 2022 saranno organizzate, utilizzando appieno i formati esistenti, riunioni
ministeriali annuali in materia di difesa relative alle iniziative dell’UE nel settore
della difesa che affrontino lo sviluppo di capacità, presiedute dall’alto
rappresentante/vicepresidente della Commissione/capo dell’Agenzia europea per la difesa.

2 Ciò lascia impregiudicato il prossimo quadro finanziario pluriennale dell’UE.
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ALLEGATO RELEX.5 IT
• Entro il 2024 sarà istituito un processo di sviluppo delle capacità civili per valutare le
esigenze in termini di capacità, elaborare requisiti, svolgere un’analisi delle carenze ed
esaminare periodicamente i progressi compiuti in linea con il nuovo patto sulla
dimensione civile della PSDC.
Capacità strategiche
• Ci impegniamo a utilizzare le iniziative dell’UE nel settore della difesa per ridurre in modo
sostanziale, entro il 2025, le carenze critiche relativamente agli abilitanti strategici, in particolare quelle connesse alla capacità di dispiegamento rapido dell’UE, quali il trasporto aereo strategico, le risorse di comunicazione spaziale, le capacità in materia di mezzi anfibi, il materiale medico, le capacità nel settore della ciberdifesa e le capacità di intelligence, sorveglianza e ricognizione.
• Durante questo decennio e oltre concentreremo i nostri sforzi di sviluppo delle capacità sulle capacità di prossima generazione in tutti i settori, anche a livello di sistema e di sottosistema, nei settori prioritari individuati dalla CARD, in particolare:
o nel settore terrestre, ammoderneremo i “sistemi soldato” in quanto nucleo centrale della
protezione della forza individuale e dell’efficacia operativa in tutti i tipi di operazioni e
svilupperemo un sistema “carro armato da combattimento” come capacità di prossima
generazione per l’Unione nelle operazioni convenzionali ad alta intensità nonché in quelle
di gestione delle crisi;
o nel settore marittimo, al fine di migliorare la conoscenza della situazione marittima e la
protezione della forza, sostituiremo le motovedette costiere e d’altura sviluppando
piattaforme navali di alta gamma collegate in rete digitale, comprese piattaforme navali
non presidiate;
o nel settore aereo svilupperemo i sistemi di combattimento del futuro come capacità di
prossima generazione, pienamente interoperabile, per assicurare un vantaggio aereo. Ciò
sarà integrato dal “contrasto dei sistemi di aeromobili senza equipaggio” e contribuirà alla
definizione di una norma europea per le “capacità anti-accesso/negazione d’area”;
o nel settore spaziale svilupperemo nuovi sensori e piattaforme per l’osservazione spaziale
della Terra nonché tecnologie per la conoscenza dell’ambiente spaziale e servizi di
comunicazione basati sulla tecnologia spaziale;
o nel settore informatico intensificheremo gli sforzi per sviluppare e collegare le nostre
capacità al fine di fornire la resilienza e le capacità necessarie per agire in tutti i settori,
concentrandoci in particolare sulla “mobilità militare rafforzata”, che costituisce un
abilitante essenziale.
• Entro il 2023, allo scopo di preservare l’abilità di sviluppare capacità in Europa, adotteremo misure intese a promuovere e facilitare l’accesso dell’industria della difesa ai finanziamenti privati, anche facendo ricorso in modo ottimale alla Banca europea per gli investimenti.
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ALLEGATO RELEX.5 IT
• Metteremo a punto ulteriori incentivi per stimolare gli investimenti collaborativi degli Stati membri in progetti comuni e nell’approvvigionamento congiunto delle capacità di difesa che sono sviluppate in modo collaborativo all’interno dell’UE, concentrando i lavori, tra l’altro:
o entro l’inizio del 2023, su una proposta della Commissione che introdurrebbe
un’esenzione dall’IVA a sostegno dell’approvvigionamento congiunto e della titolarità
delle capacità di difesa sviluppate in modo collaborativo all’interno dell’UE;
o entro il primo semestre del 2023, su future proposte di nuove soluzioni di finanziamento
per facilitare l’approvvigionamento congiunto delle capacità di difesa dell’UE da parte
degli Stati membri; o sulla scorta della valutazione intermedia del FED, su eventuali modifiche del regolamento sul Fondo europeo per la difesa per adeguare e rafforzare il regime dei bonus del FED per gli Stati membri che si impegnano ad acquisire e/o detenere congiuntamente capacità di difesa in fase di sviluppo.
Tecnologie e dipendenze strategiche nel settore della sicurezza e della difesa
• Nel 2022 istituiremo un polo di innovazione nel settore della difesa in seno all’Agenzia europea per la difesa, lavorando in partenariato con la Commissione per sfruttare le sinergie con i relativi filoni di lavoro, incluso il sistema UE di innovazione nel settore della difesa. I parametri di tale polo saranno definiti nel quadro dell’Agenzia europea per la difesa.
• A partire dal 2022 individueremo inoltre le dipendenze strategiche nel settore della difesa grazie all’osservatorio sulle tecnologie critiche e ci adopereremo per ridurle mobilitando gli strumenti e le politiche dell’UE e degli Stati membri ed esplorando eventuali carenze in quelli disponibili.
Lavoreremo di concerto con la Commissione e l’AED per sviluppare fin dall’inizio un approccio strategico coordinato di portata UE per quanto riguarda le tecnologie critiche pertinenti per la sicurezza e la difesa. A tale riguardo, ci baseremo anche sul lavoro dell’AED in materia di attività strategiche chiave. Continueremo a utilizzare il quadro dell’UE per il controllo degli
investimenti esteri diretti nel caso in cui un investimento nel settore della difesa dell’UE
rappresenti una minaccia per la sicurezza o l’ordine pubblico. Esamineremo ulteriori proposte per attenuare tali rischi per il settore della difesa dell’UE.
• A partire dal 2022 promuoveremo ulteriormente la ricerca, lo sviluppo tecnologico e l’innovazione in tutta l’UE e ridurremo le nostre dipendenze strategiche per quanto riguarda le tecnologie e le catene del valore critiche per la sicurezza e le difesa, sulla base dell’agenda strategica di ricerca onnicomprensiva dell’AED e della tabella di marcia relativa alle tecnologie critiche per la sicurezza e la difesa proposta dalla Commissione europea.
• Nel 2023 valuteremo, insieme alla Commissione, il rischio per le nostre catene di
approvvigionamento delle infrastrutture critiche, in particolare nel settore digitale, al fine di proteggere meglio gli interessi di sicurezza e di difesa dell’UE.
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ALLEGATO RELEX.5 IT
5. PARTNER
I partenariati costituiscono uno strumento essenziale per sostenere l’ambizione dell’UE di essere un attore strategico globale. Anche i partner trarranno beneficio da un’UE più forte e più capace nel settore della sicurezza e della difesa. Possono aiutarci a difendere l’ordine internazionale basato su regole e un multilateralismo efficace con al centro le Nazioni Unite, fissare norme e standard a livello internazionale e contribuire alla pace e alla sicurezza in tutto il mondo. Rafforzeremo partenariati su misura qualora siano reciprocamente vantaggiosi e al servizio degli interessi dell’UE e difendano i nostri valori, in particolare laddove vi sia un impegno comune a favore di un approccio integrato ai conflitti e alle crisi, allo sviluppo di capacità e alla resilienza. A tale riguardo è fondamentale anche uno stretto allineamento sulle questioni relative alla PESC, in particolare laddove siano in gioco interessi comuni. Vantiamo una lunga tradizione di collaborazione con i partner e cerchiamo attivamente di farli partecipare alle missioni e operazioni PSDC in ambito civile e militare.
È di fondamentale importanza che i nostri partenariati strategici realizzino il loro potenziale e che affrontiamo i profondi cambiamenti in materia di sicurezza attualmente in corso. Continueremo a investire nella resilienza dei partner negli Stati vicini e oltre, in particolare attraverso gli strumenti più ampi dell’Unione in materia di pace, sicurezza, vicinato, sviluppo e cooperazione.
Partner multilaterali e regionali
Il partenariato strategico dell’UE con la NATO è essenziale per la nostra sicurezza euro-atlantica, come dimostrato ancora una volta nel contesto dell’aggressione militare perpetrata dalla Russia nei confronti dell’Ucraina nel 2022. L’UE mantiene il suo pieno impegno a rafforzare ulteriormente questo partenariato fondamentale anche per promuovere il legame transatlantico. Sulla base dei progressi senza precedenti compiuti in relazione al rafforzamento della cooperazione con la NATO a partire dal 2016, occorre adottare ulteriori misure ambiziose e concrete per elaborare risposte condivise alle minacce e alle sfide comuni nuove ed esistenti. Le dichiarazioni congiunte firmate nel 2016 e nel 2018 costituiscono i pilastri fondamentali di tale cooperazione. Nello spirito di tali dichiarazioni congiunte e sulla base dei principi di inclusività, reciprocità, apertura e trasparenza, nonché dell’autonomia decisionale di entrambe le organizzazioni, porteremo avanti la nostra cooperazione stretta e reciprocamente vantaggiosa. Consolideremo ulteriormente la cooperazione in corso in materia di dialogo politico, condivisione di informazioni, operazioni di gestione delle crisi, sviluppo delle capacità militari e mobilità militare.
Approfondiremo il lavoro comune per rafforzare la sicurezza marittima e contrastare le minacce ibride, compresa la manipolazione delle informazioni da parte di attori stranieri e la protezione del ciberspazio, nonché per l’attuazione dell’agenda su donne, pace e sicurezza. Amplieremo inoltre la cooperazione in materia di tecnologie emergenti e di rottura, cambiamenti climatici e difesa, resilienza e spazio extraatmosferico.
Per migliorare il dialogo politico, organizzeremo riunioni congiunte ad alto livello UE-NATO più frequenti e inclusive, incentrate su questioni di rilevanza strategica. Saranno intensificati gli scambi mirati attraverso riunioni congiunte periodiche del comitato politico e di sicurezza dell’UE e del Consiglio Nord Atlantico. Le interazioni con la NATO a livello di personale sono un elemento centrale del nostro partenariato che può tuttavia essere ulteriormente rafforzato intensificando le comunicazioni strategiche, coordinando e/o adottando dichiarazioni congiunte come pure attraverso visite congiunte di rappresentanti di alto livello dell’UE e della NATO. Il dialogo e la cooperazione dovrebbero essere rafforzati mediante l’aumento degli scambi con la NATO in merito alla valutazione del contesto di sicurezza in vari settori, dalla conoscenza situazionale comune alle esercitazioni di previsione. A tale riguardo, è di fondamentale importanza la nostra capacità di scambiare informazioni classificate e non classificate.
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ALLEGATO RELEX.5 IT
Le esercitazioni parallele e coordinate organizzate dall’UE e dalla NATO consentono lo scambio di informazioni e migliorano la nostra prontezza ad affrontare le reciproche preoccupazioni in materia di sicurezza, compresi gli attacchi ibridi complessi. Tuttavia, il nostro approccio alle esercitazioni dovrà evolversi per affrontare più efficacemente le mutevoli tendenze geopolitiche e tecnologiche in atto. Saranno di fondamentale importanza le discussioni mirate basate su possibili scenari e l’ulteriore inclusione della mobilità militare nelle esercitazioni future. Il passaggio a esercitazioni congiunte e inclusive sarebbe un vero incentivo per il rafforzamento della
cooperazione UE-NATO e un modo per creare un clima di fiducia, migliorare l’interoperabilità e approfondire il nostro partenariato. Ciò richiede un’adeguata condivisione delle informazioni.
Al fine di difendere il multilateralismo basato su regole e i principi della Carta delle Nazioni Unite, dobbiamo rafforzare il nostro partenariato strategico con le Nazioni Unite (ONU). Assicureremo la coerenza con le azioni delle Nazioni Unite nel settore della pace e della sicurezza e sosterremo l’attuazione delle raccomandazioni della relazione del segretario generale dell’ONU sull'”agenda comune”, inclusa la nuova” agenda per la pace”. Intensificheremo in modo sostanziale il dialogo politico con le Nazioni Unite attraverso una partecipazione politica ad alto livello e dichiarazioni congiunte.
Attraverso le nostre missioni e operazioni civili e militari stiamo lavorando insieme all’ONU in molti teatri, ma possiamo fare di più per contribuire a rafforzare, collegare, sostituire o integrare i compiti e le missioni delle Nazioni Unite. A tale riguardo rafforzeremo il partenariato strategico con le Nazioni Unite in materia di operazioni di pace e gestione delle crisi, anche con l’attuazione della nuova serie congiunta di priorità in materia di operazioni di pace e gestione delle crisi per il periodo 2022-2024. Ciò comprende, in particolare, un maggiore coordinamento operativo sul campo e una cooperazione in materia di pianificazione di contingenza e sostegno reciproco. Pertanto, sfrutteremo appieno l’accordo quadro di assistenza reciproca UE-ONU per le nostre rispettive missioni e operazioni sul campo. Continueremo inoltre a promuovere l’agenda su donne, pace e sicurezza e intensificheremo la nostra cooperazione sul tema dei bambini nei conflitti armati.
Affinché l’UE e le Nazioni Unite possano affrontare le sfide future, è necessario un approccio più dinamico all’allarme rapido, alla prevenzione dei conflitti e alla mediazione. Lo scambio strutturato di informazioni, le analisi congiunte delle prospettive, la previsione strategica e le analisi dei conflitti attente alle problematiche di genere possono aiutarci a utilizzare al meglio le nostre conoscenze e competenze. Questo è importante per rispondere a sfide nuove ed emergenti quali i cambiamenti climatici, le pandemie, il terrorismo, la criminalità organizzata, le tecnologie emergenti e di rottura e le minacce ibride, compresi gli attacchi informatici e la disinformazione.
Rafforzeremo la cooperazione con l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in
Europa (OSCE), in particolare nel settore della prevenzione dei conflitti e della gestione delle crisi.
Oltre a sviluppare collegamenti operativi più stretti con l’OSCE nei Balcani occidentali, nel vicinato orientale e in Asia centrale, esamineremo in che modo l’UE possa collaborare più strettamente con le missioni locali dell’OSCE e rafforzare le proprie relazioni con il Centro dell’OSCE per la prevenzione dei conflitti. Si porrà l’accento sulle misure di rafforzamento della fiducia e sulla condivisione di informazioni ai fini dell’allarme rapido, della prevenzione dei conflitti, della gestione delle crisi, della governance e delle riforme in materia di sicurezza nonché della stabilizzazione post-conflitto. Le attività congiunte UE-OSCE, come la formazione e lo scambio di migliori prassi e insegnamenti tratti, possono far progredire la nostra cooperazione.
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ALLEGATO RELEX.5 IT
Rafforzeremo ulteriormente la nostra cooperazione strategica con l’Unione africana (UA), sulla base del dialogo politico e dell’impegno operativo, dalla Somalia alla regione del Sahel. Tale obiettivo può essere raggiunto attraverso visite congiunte sul campo e un coordinamento più stretto a livello di pianificazione e condotta. Cercheremo di conseguire un partenariato in materia di sicurezza più solido ed equilibrato con i partner africani. A tal fine, l’UE creerà legami operativi più stretti con organizzazioni regionali e subregionali quali la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (ECOWAS) e il G5 Sahel, la Comunità per lo sviluppo dell’Africa australe (SADC) e l’Autorità intergovernativa per lo sviluppo (IGAD). In quanto affidabile garante della sicurezza, l’UE intensificherà gli sforzi per sostenere le iniziative a guida africana che contribuiscono alla pace e alla sicurezza nel continente africano, comprese le operazioni di pace a guida africana. In tale contesto promuoveremo l’attuazione del quadro di conformità in materia di diritti umani dell’UA. Svilupperemo contatti a livello militare e di forze di polizia con le controparti africane per migliorare la nostra conoscenza situazionale. Inoltre, rafforzeremo la cooperazione trilaterale tra l’UE, l’ONU e l’UA, migliorando nel contempo il coordinamento tra i tre membri africani (A3) e gli Stati membri dell’UE in seno al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
Vista la crescente importanza della regione indo-pacifica, collaboreremo con l’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico (ASEAN) per migliorare la conoscenza comune e lo scambio di informazioni per quanto riguarda l’estremismo violento, le minacce chimiche, biologiche, radiologiche e nucleari, la cibersicurezza, la sicurezza marittima, la criminalità transnazionale, l’assistenza umanitaria e il soccorso in caso di calamità nonché la gestione delle crisi. Al fine di diventare membro a pieno titolo della riunione dei ministri della difesa dell’ASEAN Plus, sfrutteremo ogni opportunità per partecipare ad attività di conoscenza comune con l’ASEAN e contribuire ai suoi sforzi di creazione di accordi panasiatici in materia di sicurezza. Operando in particolare attraverso il Forum regionale dell’ASEAN, accresceremo ulteriormente il nostro contributo in materia di sicurezza e la nostra presenza nella regione indo-pacifica.
Continuerà inoltre ad essere sviluppata la cooperazione con altre organizzazioni regionali, tra cui la Lega degli Stati arabi (LSA) e il Consiglio di cooperazione del Golfo (CCG).
Partenariati bilaterali su misura
Interagiremo in modo più coerente, costante e globale con i nostri partner bilaterali in tutto il mondo, anche sfruttando appieno e rafforzando la nostra rete di consulenti militari e di esperti antiterrorismo nelle delegazioni dell’UE. Svilupperemo ulteriormente partenariati su misura sulla base di valori e interessi condivisi, tenendo conto nel contempo dell’intensità e delle caratteristiche specifiche delle relazioni esistenti. A tal fine integreremo in modo più sistematico le questioni relative alla sicurezza e alla difesa nei nostri dialoghi politici con i partner. Inoltre, ogni due anni convocheremo un forum di partenariato dell’UE in materia di sicurezza e difesa per riunire i nostri partner. Il forum sarà un’opportunità per discutere ad alto livello politico questioni tematiche e di attualità relative alla sicurezza e alla difesa. Consentirà all’Unione europea di riunire i partner e di mettere in evidenza il loro sostegno al contributo dell’Unione alla pace e alla sicurezza internazionali e le sfide cui dobbiamo far fronte. L’obiettivo è rafforzare i partenariati creando un senso di finalità comune. Ciò contribuirà a migliorare l’efficacia degli sforzi internazionali coordinati, rafforzando nel contempo la credibilità e la legittimità dell’azione dell’UE.
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ALLEGATO RELEX.5 IT
Il nostro partenariato con gli Stati Uniti è di importanza strategica e dobbiamo approfondire la nostra cooperazione nel settore della sicurezza e della difesa in modo reciprocamente vantaggioso.
Stiamo già collaborando con gli Stati Uniti in un’ampia gamma di settori di intervento in materia di sicurezza e difesa, come pure sul campo. Dobbiamo tuttavia sfruttare lo slancio impresso dalla dichiarazione del vertice UE-USA del giugno 2021. Il dialogo strategico specifico in materia di sicurezza e difesa tra l’UE e gli USA rappresenta una tappa importante nel consolidamento del partenariato transatlantico. Promuoverà una cooperazione più stretta e reciprocamente vantaggiosa su temi quali le rispettive iniziative nel settore della sicurezza e della difesa, il disarmo e la non proliferazione, l’impatto delle tecnologie emergenti e di rottura, i cambiamenti climatici e la difesa, la ciberdifesa, la mobilità militare, la lotta contro le minacce ibride, comprese la manipolazione delle informazioni e le ingerenze da parte di attori stranieri, la gestione delle crisi e le relazioni con i concorrenti strategici.
Approfondiremo le nostre relazioni costruttive con la Norvegia, in quanto nostro partner più stretto nel quadro dell’accordo sullo Spazio economico europeo (SEE), come pure con il Canada, con il quale vantiamo una cooperazione di lunga data in materia di sicurezza e difesa, a dimostrazione del nostro impegno comune a favore della pace e della sicurezza. Valorizziamo i dialoghi specifici in materia di sicurezza e difesa con questi e altri partner che condividono gli stessi principi. Restiamo aperti a un dialogo ampio e ambizioso in materia di sicurezza e difesa con il Regno Unito.
Continueremo a cooperare in settori di interesse comune con la Turchia, che contribuisce alle missioni e operazioni PSDC. Manteniamo il nostro impegno a sviluppare un partenariato reciprocamente vantaggioso, ma ciò richiede un analogo impegno da parte della Turchia al fine di progredire su un percorso di cooperazione e allentamento costante delle tensioni e di rispondere alle preoccupazioni dell’UE, conformemente alla dichiarazione dei membri del Consiglio europeo del 25 marzo 2021.
Manteniamo il nostro impegno a migliorare la resilienza delle società e dei processi democratici, delle istituzioni politiche e delle infrastrutture critiche nei Balcani occidentali, come pure a rafforzare la cibersicurezza, a contrastare la disinformazione e a sostenere le iniziative di lotta al terrorismo nella regione. Per contribuire allo sviluppo di capacità civili e militari e di resilienza nella regione, è della massima importanza collaborare strettamente con l’ONU, con la NATO e con l’OSCE. Accogliamo con favore i contributi regolari che i nostri partner dei Balcani occidentali hanno apportato alle nostre missioni e operazioni PSDC.
In considerazione della minaccia alla sovranità, alla stabilità, all’integrità territoriale e alla
governance dei nostri partner orientali, intensificheremo la cooperazione nel settore della
sicurezza e della difesa al fine di rafforzare la loro resilienza. Continueremo a sostenere l’Ucraina e la sua popolazione insieme ai nostri partner internazionali, anche mediante un sostegno politico, finanziario, umanitario e logistico supplementare. Le sfide cui si trovano a far fronte la Georgia e la Repubblica di Moldova, tra cui le ingerenze ostili da parte della Russia e l’ampio ricorso a strumenti militari e tattiche ibride, compromettono la loro stabilità e i loro processi democratici, oltre ad avere implicazioni dirette per la nostra stessa sicurezza. Continueremo pertanto a cooperare strettamente con tali paesi e ribadiamo il nostro fermo sostegno e il nostro impegno a favore della loro sovranità e integrità territoriale. Saranno intensificati dialoghi specifici e la cooperazione con l’Ucraina, la Georgia e la Repubblica di Moldova – in quanto partner stretti dell’UE – in particolare in settori quali la lotta alle minacce ibride, la disinformazione e la cibersicurezza. Il contributo di questi paesi alle nostre missioni e operazioni PSDC è prezioso. Aiuteremo inoltre i nostri partner orientali a sviluppare la resilienza ricorrendo a diversi strumenti, tra cui misure di assistenza.
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L’aumentare delle sfide globali e regionali nel vicinato meridionale ha posto in evidenza la nostra interdipendenza reciproca e la necessità di istituire partenariati più stretti in materia di sicurezza e difesa. Sottolineiamo in particolare che il terrorismo, l’estremismo violento, la radicalizzazione, le minacce informatiche e ibride nonché la criminalità organizzata e le crescenti sfide in materia di migrazione irregolare costituiscono gravi minacce che colpiscono entrambe le sponde del Mediterraneo e sono spesso interconnesse. In tale contesto offriremo pacchetti di sicurezza più completi ai partner del vicinato meridionale disposti ad approfondire la cooperazione su una serie di questioni, compresa la cooperazione operativa. Sottolineiamo inoltre la necessità di accrescere gli investimenti dell’UE nella pace e nella stabilità del Medio Oriente e del Golfo.
Migliorare la sicurezza dei nostri partner africani rimane per noi una delle priorità principali. Ci impegniamo a utilizzare l’intera gamma di strumenti di sicurezza e di difesa dell’UE, in particolare le missioni e operazioni militari e civili, i programmi per la pace e la stabilizzazione, le misure di assistenza e il sostegno finanziario. Ciò è ancora più importante in quanto stiamo osservando la presenza sempre maggiore dei nostri concorrenti strategici dal Sahel al Corno d’Africa. Su tali questioni cercheremo di avviare dialoghi e cooperazione in materia di sicurezza e difesa con i partner africani. Miglioreremo il collegamento tra assistenza militare e riforme strutturali, compresa la gestione delle risorse umane, nonché con lo sviluppo di capacità civili e con la riforma del settore della sicurezza. Aiuteremo i nostri partner a rafforzare la loro resilienza alle minacce sia convenzionali che ibride, alla disinformazione e agli attacchi informatici nonché ai cambiamenti climatici. Cercheremo di coinvolgere partner capaci in Africa nelle missioni e operazioni PSDC, nonché di sostenere maggiormente i loro sforzi contro l’instabilità e il terrorismo.
Nel quadro della strategia dell’UE per la regione indo-pacifica, cercheremo di promuovere
un’architettura di sicurezza regionale aperta e basata su regole, che includa rotte marittime di comunicazione sicure, sviluppo di capacità e una presenza navale potenziate nella regione indopacifica. Sono già in atto consultazioni costruttive in materia di sicurezza e difesa e una cooperazione in materia di sicurezza con paesi della regione indo-pacifica come il Giappone, la Repubblica di Corea, l’India, l’Indonesia, il Pakistan e il Vietnam. Siamo impegnati a collaborare con partner che condividono gli stessi principi attraverso la cooperazione operativa sul campo, in particolare laddove tali sforzi sostengano le strutture e le iniziative regionali per la pace e la sicurezza. L’UE ha condotto una serie di esercitazioni navali congiunte e di scali portuali, da ultimo con Giappone, Repubblica di Corea, Gibuti e India. Tali esercitazioni reali diventeranno una prassi standard e ci aiuteranno a garantire che la regione indo-pacifica sia sicura e aperta.
Continueremo a portare avanti il dialogo e le consultazioni con la Cina laddove ciò sia nel nostro interesse, in particolare su questioni quali il rispetto del diritto internazionale del mare, la risoluzione pacifica delle controversie, un ordine internazionale basato su regole e i diritti umani.
Dobbiamo approfondire il nostro partenariato con l’America latina, sulla base del dialogo specifico in materia di sicurezza e difesa con la Colombia e il Cile. Riconoscendo che i partner dell’America latina hanno contribuito alle missioni e operazioni PSDC, possiamo fare di più a livello collettivo per aiutarli a contrastare le minacce ibride, gli attacchi informatici e la criminalità organizzata, nonché a partecipare al dialogo e all’azione in materia di clima, di sicurezza e di sicurezza marittima. Il nostro obiettivo è anche quello di promuovere ulteriormente la partecipazione dei paesi dell’America latina agli sforzi dell’UE in materia di sicurezza e difesa.
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Sarà perseguito un approccio più mirato e integrato allo sviluppo delle capacità dei partner, che potrebbe includere, in particolare nelle situazioni di gestione delle crisi, la formazione, la consulenza, il tutoraggio e l’equipaggiamento delle forze armate e di sicurezza dei partner. Se da un lato lo strumento di vicinato, cooperazione allo sviluppo e cooperazione internazionale rimane il principale strumento finanziario a sostegno della sicurezza e della stabilità all’estero e dovrebbe essere utilizzato il più possibile, dall’altro lo strumento europeo per la pace intensificherà i nostri sforzi per contribuire allo sviluppo delle capacità di difesa, integrando le iniziative di gestione delle crisi nell’ambito della PSDC. Dobbiamo inoltre collegare meglio l’assistenza militare allo sviluppo di capacità civili, alla riforma del settore della sicurezza, alla governance, al rispetto dello Stato di diritto, del diritto internazionale e dei diritti umani, al controllo democratico e alla capacità di rispondere a minacce ibride, alla disinformazione e agli attacchi informatici. Il coordinamento con i programmi e gli strumenti della Commissione sarà fondamentale per il buon esito delle nostre azioni.
Accogliamo con favore i contributi di tutti i nostri partner alle missioni e operazioni PSDC e li incoraggiamo a dedicare più personale e maggiori capacità alle nostre missioni e operazioni nel quadro di uno sforzo reciproco volto a promuovere la pace e la sicurezza internazionali. A tal fine aiuteremo i nostri partner a rafforzare la loro capacità di contribuire alle missioni e operazioni PSDC. Nel 2021 abbiamo già migliorato le modalità di partecipazione dei paesi terzi alle missioni e operazioni PSDC garantendo un maggiore livello di condivisione delle informazioni in tutte le fasi della pianificazione.
Obiettivi
Miriamo ad approfondire la nostra cooperazione con i partner e ad adattare ulteriormente i nostri pacchetti di partenariato. Manterremo e approfondiremo i nostri dialoghi in materia di sicurezza e difesa, la conoscenza situazionale comune e le formazioni ed esercitazioni congiunte. Collaboreremo con i partner per contrastare le minacce ibride, la disinformazione e gli attacchi informatici. Il nostro approccio risponderà anche alle esigenze dei partner in termini di sviluppo delle capacità e sostegno.
Livello multilaterale
• A partire dal 2022, sulla base delle dichiarazioni congiunte, rafforzeremo, approfondiremo e amplieremo ulteriormente il nostro partenariato strategico, il nostro dialogo politico e la nostra cooperazione con la NATO in tutti i settori di interazione concordati, compresi nuovi filoni di lavoro chiave quali la resilienza, le tecnologie emergenti di rottura, il clima e la difesa e lo spazio extra-atmosferico.
• A partire dal 2022 attueremo il nuovo insieme comune di priorità per la cooperazione UEONU (2022-2024): in particolare condurremo analisi delle prospettive e previsioni strategiche congiunte nonché analisi congiunte dei conflitti attente alle problematiche di genere, oltre a migliorare ulteriormente il nostro coordinamento e la nostra cooperazione a livello politico e operativo, come pure lo scambio di informazioni, anche fornendo immagini satellitari tramite il Centro satellitare dell’UE.
• Nel 2022 terremo a Bruxelles il primo forum biennale di partenariato in materia di
sicurezza e difesa, che riunirà partner multilaterali, regionali e bilaterali su invito dell’alto
rappresentante.
Livello regionale
• A partire dal 2022 approfondiremo il dialogo politico e rafforzeremo la cooperazione con
l’OSCE, l’Unione africana e l’ASEAN in settori quali la prevenzione dei conflitti, la
conoscenza situazionale comune e la resilienza. Inoltre:
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o cercheremo di elaborare con l’OSCE una tabella di marcia comune dedicata in
materia di prevenzione dei conflitti e gestione delle crisi che contenga azioni
regionali e tematiche concrete; o rinnoveremo e potenzieremo la nostra cooperazione con l’Unione africana, in linea con il vertice UE-UA del febbraio 2022. Approfondiremo in particolare il nostro sostegno a favore di formazioni, sviluppo di capacità e attrezzature adeguate, del rafforzamento e dell’ampliamento delle operazioni di pace autonome a guida
africana, anche attraverso missioni e misure di assistenza dell’UE, nonché dello
sviluppo di capacità in materia di contrasto. Punteremo a effettuare visite
congiunte sul campo con l’Unione africana e a realizzare un più stretto
coordinamento a livello di pianificazione e condotta operative; intensificheremo
anche la cooperazione trilaterale UE-UA-ONU.
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Livello bilaterale
• Perseguiremo una cooperazione più stretta e reciprocamente vantaggiosa con gli Stati
Uniti. Dal 2022 porteremo avanti un dialogo specifico in materia di sicurezza e difesa,
sulla base della dichiarazione del vertice del giugno 2021.
• Approfondiremo la nostra cooperazione con la Norvegia e il Canada sulla base dei
dialoghi esistenti. Restiamo aperti al dialogo in materia di sicurezza e difesa con il Regno
Unito.
• Intensificheremo i dialoghi in materia di sicurezza e difesa con i nostri partner dei Balcani
occidentali, del vicinato orientale e del vicinato meridionale, della regione indopacifica e dell’America latina. Inoltre, nello specifico:
o rafforzeremo la nostra cooperazione in materia di sicurezza e difesa con i partner
orientali, al fine di rafforzarne la resilienza, anche contro gli attacchi ibridi e le
minacce informatiche, e promuoveremo un sostegno su misura e lo sviluppo di
capacità nel settore della sicurezza e della difesa;
o sosterremo gli sforzi tesi a rafforzare la resilienza dei nostri partner dei Balcani
occidentali; o offriremo pacchetti di sicurezza più completi ai partner del vicinato meridionale; o cercheremo di coinvolgere ulteriormente i partner africani nei nostri sforzi in materia di sicurezza e difesa nel continente e di sostenere le iniziative a guida
africana che contribuiscono alla pace e alla sicurezza, in particolare le operazioni
di pace a guida africana, in linea con il vertice UE-UA del 2022;
o entro il 2023, procederemo a esercitazioni marittime reali con i partner nella
regione indo-pacifica, oltre ad aumentare la frequenza degli scali portuali e dei
pattugliamenti nei porti da parte dell’UE.
• A integrazione dei nostri sforzi di gestione delle crisi, sfrutteremo appieno lo strumento di vicinato, cooperazione allo sviluppo e cooperazione internazionale e altri programmi
pertinenti dell’UE e faremo maggiore ricorso allo strumento europeo per la pace al fine di
intensificare lo sviluppo di capacità, fornire formazione ed equipaggiamenti ai nostri
partner in Africa, nel vicinato orientale e nel vicinato meridionale come pure nei Balcani
occidentali, nonché per rafforzarne la resilienza contro le minacce ibride.
• Per dare impulso ai nostri sforzi diplomatici internazionali nel settore della sicurezza e
della difesa, rafforzeremo la rete dei consulenti militari e degli esperti antiterrorismo
nelle delegazioni dell’UE.
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6. CONCLUSIONE
Il mondo che abbiamo davanti sta subendo cambiamenti rapidi e drastici. In Europa è scoppiata una guerra di grave portata. Come Unione europea, stiamo adottando azioni immediate e senza precedenti. Insieme ai nostri partner, difendiamo l’ordine di sicurezza europeo e globale e rafforziamo la nostra posizione geopolitica.
La presente bussola strategica illustra le modalità con cui l’Unione europea e i suoi Stati membri rafforzeranno la nostra sicurezza e difesa. Nel corso del prossimo decennio compieremo un deciso salto di qualità per diventare un garante della sicurezza più assertivo e deciso, meglio preparato ad affrontare le minacce e le sfide presenti e future. La nostra capacità di dispiegamento, esercitazione e pianificazione comuni è fondamentale per realizzare la nostra ambizione. Dobbiamo inoltre essere più resilienti alle minacce ibride, agli attacchi informatici e ai rischi legati al clima, alle catastrofi naturali e alle pandemie. Dobbiamo assicurare il nostro accesso ai settori strategici.
Dobbiamo aumentare e migliorare gli investimenti. Investimenti più mirati e coordinati in capacità e meccanismi di difesa innovativi aumenteranno la nostra capacità di agire e ridurranno le dipendenze strategiche indesiderate. E i partenariati rafforzati contribuiranno ad aumentare la nostra sicurezza.
Nel portare avanti questo processo dobbiamo garantire sinergie con i lavori svolti nell’ambito dell’Unione della sicurezza, nonché con altre politiche e iniziative pertinenti della Commissione.
Le azioni descritte nella presente bussola strategica sono ambiziose, ma realizzabili con un impegno politico costante. La bussola fornisce la prospettiva strategica e illustra gli strumenti e le iniziative necessari per garantire un’azione dell’UE più rapida, decisa e incisiva. Nonostante i notevoli progressi compiuti negli ultimi anni, l’UE è collettivamente poco attrezzata per contrastare l’intera gamma di minacce e sfide che si trova ad affrontare. Alla luce delle attuali sfide in materia di sicurezza, dobbiamo cambiare questa situazione rapidamente e ridurre il divario tra le nostre aspirazioni e le nostre azioni.
L’alto rappresentante, in consultazione con la Commissione e l’Agenzia europea per la difesa, elaborerà annualmente una relazione sui progressi compiuti, che fungerà da base per gli orientamenti politici delle nostre iniziative forniti dalla riunione del Consiglio europeo. Sulla base della revisione dell’analisi della minaccia del 2025 e del conseguimento degli obiettivi chiave previsti, l’alto rappresentante presenterà proposte per un’eventuale revisione della presente bussola strategica. Insieme attueremo i nostri obiettivi comuni in materia di sicurezza e difesa per costruire un’Unione europea che protegge i suoi cittadini, i suoi valori e i suoi interessi e che contribuisce alla pace e alla sicurezza internazionali.

https://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-7371-2022-INIT/it/pdf

L’EUROTARTUFO, di Teodoro Klitsche de la Grange

L’EUROTARTUFO

Colpisce la sorpresa per quanto accade all’Europarlamento, alcuni dei membri del quale sono accusati – e trovati dagli inquirenti letteralmente con le mani nel sacco – per aver caldeggiato, dietro compenso – il campionato di calcio nel Qatar. Sorprende non solo perché tanti dimenticano quanto scritto da Max Weber che, in genere i governanti non vivono solo per la politica, ma anche di politica (con quel che ne può conseguire sotto il profilo penale); ma anche perché a leggere Sallustio gli stessi mezzi erano adoperati da  Giugurta per influire sulla decisione del Senato e dei magistrati romani. Racconta Sallustio che più sulle capacità e potenza militare del pur valoroso re numida, i romani dovettero guardarsi dalla sua perizia di corruttore, attraverso la quale riusciva a conseguire ciò che voleva e a evitare le conseguenze delle proprie azioni, alterando i processi decisionali della repubblica egemone. Così un potentato medio-piccolo come quello di Giugurta resistette per oltre sei anni alla potenza di Roma. Per cui orientare le decisioni politiche della potenza superiore è, da almeno venti secoli, una risorsa da utilizzare proficuamente dai potentati minori.

Ma quel che maggiormente colpisce è che, nelle istituzioni europee usano i buoni propositi (diritti umani, migranti) per occultare le cattive azioni (le tangenti), come abitualmente e prevalentemente dalla sinistra italiana (e non solo).

Anche questo è un vecchio espediente. Ne diede una straordinaria rappresentazione Moliére nel Tartufo, quasi quattro secoli fa. Nella commedia c’è in primo luogo, ma poco notato, un aspetto politico evidenziato da Moliére stesso: il quale nella prefazione scrive “L’ipocrita, è per lo Stato, un pericolo più grave di tutti gli altri”: per lo Stato quindi, ancor più (o alla pari) che per la religione. Nel primo “placet” rivolto al Re perché revocasse la proibizione di rappresentare in pubblico la commedia, ribadiva che “l’ipocrisia è sicuramente uno dei vizi più diffusi, dei più scomodi e dei più pericolosi”. Onde è un servizio descrivere “gli ipocriti…che vogliono far cadere in trappola gli uomini con un falso zelo ed una sofisticata carità”. In effetti i connotati di Tartufo sono i più pericolosi per lo Stato. Gli ipocriti pubblici nascondono progetti ed intenzioni inutili al pubblico interesse, e talvolta delittuose, finalizzate ai propri interessi privati e personali, con il richiamo a opinioni ed interessi condivisi e generali. I diritti umani, la pace, l’assistenza ai migranti sono le buone intenzioni usate per nascondere interessi concreti.

Al riguardo nella commedia Dorine (cioè la cameriera) commenta i discorsi edificanti di Tartufo così: “come sa bene con modi traditori, farsi un bel mantello con tutto ciò che è venerato”.

Il bello è che Tartufo lo giustifica anche. Nel dialogo con Elmire, la moglie del di esso benefattore, che vuole sedurre ma la quale gli fa notare che quanto desidera è contrario alla legge divina, argomenta “Se non è che il cielo che viene opposto ai miei desideri…, con lui si possono trovare degli accomodamenti… col rettificare la malvagità dell’azione con la purezza della nostra intenzione”. Così l’intenzione buona “purifica” l’azione cattiva. È un’assoluzione preventiva.

La quale svuota la stessa azione politica, che è (soprattutto) una fase in virtù di risultati, e solo in seconda battuta un predicare del bene. Così il criterio principale per giudicare se un’azione è politicamente proficua o meno, non è verificare se corrisponde a buoni propositi, largamente condivisi, ma se ottiene risultati positivi.

D’altra parte è evidente che col richiamo continuo e prevalente alle buone intenzioni oltre che assolversi dalle cattive opere, i politici tendono ad assomigliare ai sacerdoti. Hobbes (tra i tanti) sosteneva che funzione dei quali è predicare il bene (la parola di Cristo, oggi, per lo più, quella più facilmente condivisa) e non di comandare (e costringere).

E fin qui nulla di male. Ma se il bene predicato si converte in cattive azioni, la santità che dovrebbe produrre si converte in una via comoda per l’arricchimento a spese di chi paga. Cioè dei contribuenti, i quali contribuiscono, a differenza di chi spontaneamente dona il proprio per le buone cause, per il comando di chi predica. Volontario nel primo caso, frutto di coazione nell’altro.

Teodoro Klitsche de la Grange

Trump, ora più che mai!_di Roger Stone

Qui sotto pubblichiamo l’appello lanciato da Roger Stone a sostegno della ricandidatura di Donald Trump a Presidente degli Stati Uniti. Roger Stone è stato, assieme al Generale Flynn, una figura chiave della prima elezione di Trump. Non tutti lo hanno compreso nel movimento MAGA; forse nemmeno appieno lo stesso Trump, almeno sino a quando lo ha graziato dalla persecuzione giudiziaria allo scadere del suo mandato presidenziale. Lo hanno capito benissimo al contrario i suoi avversari portandolo con ferocia e spietatezza alla rovina economica e ad una condizione di salute precaria. Non ostante, assieme a qualche altro fondatore, abbia scelto di mettersi saggiamente in disparte al momento dell’insediamento di Trump alla Casa Bianca, è rimasto comunque nel mirino spietato dei suoi avversari. Ricordiamo tutti la vergognosa spettacolarità della vera e propria operazione militare che lo ha condotto agli arresti in piena notte nella sua abitazione. Roger Stone è stato un alto funzionario dello stato federale con incarichi chiave sin dalla lontana amministrazione Nixon. Conosce benissimo i meccanismi di funzionamento delle dinamiche politiche americane ed ha intuito, tra i primi, la via del disastro verso la quale stavano conducendo il paese le varie amministrazioni, a partire da quella di Bush Senior e i centri decisori presenti negli apparati nevralgici. A settanta anni Stone getta sul terreno il peso della sua autorevolezza per sostenere ancora una volta Trump e diradare almeno in parte la cortina fumogena stesa sulle candidature alternative, o presunte tali che stanno emergendo. Non conoscendo bene, nei particolari, le dinamiche interne al movimento, nutriamo qualche dubbio, però, sulla giustezza di questa ricandidatura di un personaggio dai limiti, pari alla sua tenacia, evidenti e sulla maturità di eventuali candidature realmente alternative. Tanto più che, alla sua seconda riproposizione, non sembra disporre del sostegno e del supporto di un gruppo ben organizzato, strutturato ed esperto. La dinamica dello scontro politico negli Stati Uniti vive una fase di stallo, ma solo apparente. Di fatto la polarizzazione geografica del conflitto interno si è ulteriormente accentuata con l’ulteriore fattore dirompente di un movimento che continua ad estendersi nei ceti popolari produttivi delle varie etnie. L’alterazione dei risultati elettorali con brogli ormai su scala industriale sta facendo il resto, insinuando il dubbio sulla effettiva efficacia di un impegno politico fondato e dettato esclusivamente sulle scadenze elettorali in un movimento che ha compreso l’importanza di un radicamento nei centri amministrativi e di potere e di una connessione con quelle élites dissenzienti con l’attuale politica avventurista. Il movimento MAGA vive all’interno profonde contraddizioni tra chi punta ad una azione tendente semplicemente a dividere il fronte geopolitico avversario che si sta compattando, più per la costrizione esterna americana che per affinità dei componenti, attorno al polo russo-sino-indiano e chi, mosso probabilmente da una impostazione economicista e un po’ ingenua, tende a ridurre le dinamiche geopolitiche ad una serie di relazioni bilaterali mutevoli. Una interpretazione, quest’ultima, probabilmente accettabile e praticabile solo in una fase temporanea di transizione verso una ricomposizione multipolare degli schieramenti e non a caso sostenuta, paradossalmente, anche dalla attuale leadership cinese. Un aspetto che avrebbe dovuto far riflettere meglio la dirigenza cinese, riguardo al suo comportamento nei confronti di Trump. Un movimento il cui successo, però, potrebbe condurre ad una dinamica meno tragica le relazioni geopolitiche e spostare più all’interno degli Stati Uniti un conflitto che, altrimenti, coinvolgerà il mondo intero. Una classe dirigente e un ceto politico serio e legato agli interessi fondamentali dei paesi europei più importanti dovrebbe sostenere ed agevolare convintamente la strada di questo movimento proprio per gli spazi che un suo successo definitivo aprirebbe ad una condizione più autonoma ed indipendente dell’Europa. Il carattere miserabile, stupido, insipiente e compradore di questi, già visibile in quei quattro anni, sta emergendo, purtroppo, sempre più alla luce del sole condannando, con poche eccezioni, un intero continente al disastro inconsapevole ed autolesionistico a vantaggio di una élite sempre più arroccata. Buona lettura, Giuseppe Germinario

 

ROGER STONE: TRUMP, ORA PIÙ CHE MAI

Trump non è accettato o sostenuto dai membri titolari di tessera dell’establishment repubblicano di Washington. Questa è una virtù, non una pecca.

 

Nel suo discorso di annuncio alle sua corsa alle presidenziali 2024, un discorso ordinato e perfettamente disciplinato, Donald Trump si è riformulato come un outsider politico pronto a tornare alle guerre politiche di vecchia stagione e a sfidare gli interessi politici e mediatici radicali che hanno sistematicamente ribaltato e neutralizzato il progressi fatti durante la sua prima presidenza.

Quelli del movimento MAGA riescono a percepire, attraverso la narrativa accuratamente orchestrata, implacabile e completamente falsa, la tesi che cerca di incolpare l’ex presidente per la sottoperformance del partito repubblicano nelle elezioni di medio termine. Com’è conveniente che la vittoria relativamente facile del candidato appoggiato da Trump J.D. Vance in Ohio, così come la dura, ma riuscita rielezione del senatore Ron Johnson (forse il più grande difensore di Trump al Senato degli Stati Uniti) in Wisconsin sono così facilmente trascurate dai media.

Quelli della cabala corporativa/governativa/mediatica ora elevano lo spettro di una candidatura del governatore della Florida Ron DeSantis. La scelta di De Santis come principale nemico di Trump è un riconoscimento del fatto che il collegio elettorale dell’America Prima (MAGA) è ancora dominante alla base del Partito Repubblicano. DeSantis, nonostante il suo pedigree, ha governato in Florida seguendo il manuale del MAGA.

L’establishment, che ora cerca di distruggere Trump, ha già riconosciuto la non fattibilità di presentare come alternativa a Trump l’ex vicepresidente Mike Pence o l’ex direttore della CIA e segretario di Stato Mike Pompeo, tutte e due potenziali candidature assolutamente impopolari tra la base di MAGA. L’ascesa di una potenziale candidatura di De Santis, toglie prezioso ossigeno che una delle loro candidature richiederebbe.

L’unico altro potenziale candidato, dietro cui la cabala repubblicana/mediatica poteva schierarsi, il senatore della Florida Marco Rubio, è stato sostanzialmente neutralizzato da Trump quando l’ex presidente ha tenuto un comizio caloroso a favore di Rubio, in Florida, nel momento in cui  la rielezione del Senatore Rubio era in bilico. La sfida contro la candidata Democratica si presentava problematica poiché la deputata della sinistra radicale; Val Demings era ben finanziata e organizzata. L’intervento di Trump ha tolto dalla pentola bollente Rubio forzando poi Rubio ad essere in debito con Trump e quindi ora fedele all’ex presidente.

Prima del comizio di Trump a Miami, i sondaggi mostravano che Rubio era in vantaggio su Demings di soli tre punti, ma dopo il comizio di Trump, il senatore Rubio ha ottenuto una vittoria finale di 16 punti rispetto alla Demings.

Con Pence e Pompeo che mancano del necessario appeal nella base repubblicana e con Rubio dipendente ora da Trump,altro non rimane che DeSantis.

Ieri sera ho partecipato allo storico annuncio del presidente Trump a Mar-a-Lago della sua candidatura per le presidenziali del 2024. C’era elettricità nell’aria che non vedevo né sentivo dall’inizio del 2016. I media hanno rapidamente sottolineato che mentre io e Mike Liddell, descritti come “i sostenitori di Trump”, eravamo tra il pubblico, nessun membro del nuovo Congresso era presente . Ancora una volta, i media giudicano male l’umore degli elettori;  il fatto che Trump non sia appoggiato o sostenuto da membri tesserati dell’establishment repubblicano di Washington è un pregio, non un difetto.

L’assalto organizzato dall impero mediatico NewsCorp di Rupert Murdoch, tra cui Fox News, il Wall Street Journal e il New York Post, mette in mostra una chiara impressione errata del ruolo svolto da Fox e dalle altre testate giornalistiche di Murdoch nell’ascesa iniziale di Trump.

Fox News ha cercato sistematicamente di promuovere più sfidanti a Trump nelle primarie del 2016. Tuttavia, ha visto svanire quegli sforzi quando hanno scoperto che trasmettere dall’inizio alla fine i comizi di Trump faceva guadagnare gli indici più alti di ascolto mai registrati prima nella storia di Fox News, consentendo così a Murdoch di addebitare molto di più per la pubblicità sulla sue reti. Fox News ha  beneficiato della nomina e dell’elezione di Donald Trump più che Trump abbia beneficiato delle dirette fatte dalle emittenti di Murdoch.

Qualcuno crede che qualsiasi candidato diverso da Donald Trump potrebbe affrontare coloro che traggono grandi profitti dall’immigrazione illegale e frontiere aperte?

Qualcuno crede che qualsiasi candidato diverso da Donald Trump smaschererà e correggerà la corruzione nelle nostre agenzie di intelligence e negli uffici delle forze dell’ordine, come la CIA e l’FBI?

Qualcuno crede che qualsiasi candidato diverso da Donald Trump organizzerà una campagna nazionale per porre un limite temporale per  i membri eletti del Congresso?

Qualcuno crede che qualsiasi candidato diverso da Donald Trump imporrebbe il divieto agli ex membri del Congresso, o del ramo esecutivo, di esercitare pressioni dopo aver lasciato le alte cariche del governo?

Qualcuno crede che qualsiasi candidato diverso da Donald Trump sfiderà il duopolio bipartitico che sta cercando di cancellare la nostra eredità, cancellare la nostra Costituzione e distruggere le stesse libertà che garantiscono lo stile di vita americano?

Ecco perché sono con Trump, ora più che mai.

 

Roger Stone

Perché la Polonia dovrebbe respingere la Germania?_di Ryan Bridge

“Dipendevamo dalla Russia, ma oggi stiamo tagliando questa dipendenza”, ha detto la scorsa settimana il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki durante l’inaugurazione di un nuovo canale verso il Mar Baltico. Il contributo del canale a questo obiettivo è dubbio, ma consentirà alle navi di raggiungere o partire dal porto polacco di Elblag senza dover attraversare le acque territoriali russe intorno a Kaliningrad. Più interessante è stata la successiva dichiarazione di Morawiecki: “Stiamo riducendo la nostra dipendenza sia dalla Russia che dalla Germania”. Questo accade solo poche settimane dopo che la Polonia ha chiesto alla Germania 1,3 trilioni di dollari di riparazioni della seconda guerra mondiale.

Le ragioni di Varsavia per prendere le distanze da Mosca – una potenza ostile con una comprovata storia di invasione dei suoi vicini – sono chiare, ma le offese di Berlino sono meno evidenti. La Germania è il paese più forte dell’Europa centrale, con una capacità latente di dominare la maggior parte del continente. La strategia delle potenze occidentali nei confronti della Germania dalla seconda guerra mondiale è stata quella di soffocarla con l’amicizia, integrando i suoi militari in un’alleanza dominata dagli Stati Uniti con i suoi vicini e, a cominciare dalla Comunità europea del carbone e dell’acciaio, dando alla sua economia le chiavi di un mercato di oltre 450 milioni di consumatori e delle risorse dei loro paesi. La docilità della Germania oggi di fronte all’attacco della Russia al cuscinetto NATO-russo mostra che la strategia occidentale ha avuto, semmai, troppo successo. Quando si tratta della minaccia immediata per la Polonia, Berlino è un amico di Varsavia. Allora perche, il capo del governo polacco strombazza piani criptici per ridurre i legami con la Germania? La risposta è politica interna e, in misura minore, europea.

La questione tedesca

Le radici dell’Unione Europea risiedono negli sforzi prevalentemente statunitensi per trovare un modo per liberare il potenziale economico tedesco calmando le ansie tedesche sul potenziale accerchiamento. Per ragioni che hanno a che fare con la geografia, il clima, la cultura, la storia e probabilmente innumerevoli fattori minori, i tedeschi sono esperti nella produzione di beni industriali complessi, molto più di quanto la popolazione tedesca potrebbe consumare. Ciò solleva due problemi: in primo luogo, le risorse necessarie per produrre tutti questi beni senza precedenti superano il pool di risorse proprie della Germania. L’economia tedesca deve prenderli da qualche altra parte, sia attraverso scambi economici e investimenti o conquiste. In secondo luogo, una popolazione di circa 80 milioni non potrebbe consumare tutti i veicoli, i macchinari, ecc. che l’industria tedesca può produrre. L’economia tedesca ha bisogno di un facile accesso ai consumatori stranieri – ancora una volta, attraverso accordi commerciali preferenziali o conquiste – per scaricare l’eccedenza. La strategia statunitense, che Washington ha portato avanti attraverso un’abile diplomazia, incentivi economici e garanzie di sicurezza nonostante la riluttanza di Francia e Gran Bretagna, ha risolto pacificamente entrambi i problemi tedeschi. Nasce il mercato comune europeo, incastonato in un quadro politico che deve crescere con l’integrazione economica.

L’unione risultante è ciò a cui la Polonia e altri satelliti e repubbliche sovietiche di recente indipendenza desideravano disperatamente unirsi quando l’Unione Sovietica iniziò a disintegrarsi. L’UE ha quasi garantito una crescita economica esplosiva e potrebbe aprire la porta all’adesione alla NATO, ovvero alla protezione militare americana. La Polonia ha presentato domanda di adesione all’UE nel 1994 e vi ha aderito nel 2004 insieme a nove dei suoi vicini. Come previsto, la NATO ha invitato Varsavia tra le sue fila nel 1997 e il matrimonio è stato suggellato meno di due anni dopo. L’economia polacca ha visto 28 anni di crescita economica, anche attraverso la recessione del 2008 e la successiva crisi dell’Europa, prima di ridursi brevemente nel 2020.

Ma mentre ciò accadeva, il mondo del dopo Guerra Fredda prendeva forma. Politicamente, economicamente e militarmente impareggiabili sulla scena mondiale, gli Stati Uniti si sono affrettati a capitalizzare il proprio vantaggio. Ha spinto per un mondo più globalizzato, con legami politici ed economici sempre più forti. Militarmente, ha allargato l’alleanza transatlantica e, dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre, ha intrapreso una sfortunata campagna per diffondere la democrazia con la forza nel mondo musulmano. Lo shock della Grande Recessione del 2008 ha gravemente ferito la coesione sociale, non solo negli Stati Uniti, e ha sollevato seri interrogativi sull’attrattiva e la fattibilità dell’ordine economico e della leadership guidati dagli Stati Uniti. Allo stesso tempo, le disastrose guerre americane in Iraq e Afghanistan ei suoi caotici interventi in Libia e altrove hanno minato il sostegno interno all’avventurismo militare. Entro il 2022, dopo circa tre decenni di preponderanza degli Stati Uniti, il mondo è pieno di crisi e la volontà degli americani di pagare il costo di essere i poliziotti del mondo è diminuita. (Quanto è una questione aperta. L’assistenza degli Stati Uniti all’Ucraina e le sanzioni alla Russia suggeriscono che è ancora più alta di quanto credessero alcuni osservatori.)

La questione della sovranità

Dove si inseriscono le relazioni polacco-tedesche in questa storia ben nota? Proprio come gli americani hanno avuto la loro fase di eccessiva esuberanza dopo la Guerra Fredda, così hanno fatto gli europei, compresi i polacchi e altri popoli di nuova indipendenza. L’allargamento dell’UE non è stata una vendita particolarmente difficile. Incorporare satelliti ex sovietici molto più poveri e stati vulnerabili sarebbe costoso, ma il potenziale guadagno era irresistibile. Gli investitori dell’Europa occidentale potrebbero accaparrarsi terreni, risorse e aziende a basso costo, ottenendo un profitto sano, mentre i lavoratori dell’Europa orientale potrebbero inondare l’UE con manodopera a basso costo. I burocrati di Bruxelles hanno riflettuto a lungo sul modo migliore per integrare politicamente gli ex stati comunisti. Non è bastato per far loro vedere l’integrazione europea nella stessa luce dei membri fondatori.

Dalle guerre mondiali, molti europei e la maggior parte dei tedeschi hanno imparato che il nazionalismo europeo deve essere contenuto in nome della pace. Durante la Guerra Fredda, i primi membri di quella che sarebbe diventata l’Unione Europea hanno praticato decenni di fiducia reciproca e di cooperazione per il reciproco vantaggio. Ma al di là della cortina di ferro, Mosca stava reprimendo il nazionalismo europeo a modo suo: usando una brutale repressione segreta e palese. Mentre gli europei occidentali discutevano di una più profonda integrazione politica, economica e monetaria alla fine degli anni ’80, la terribile situazione economica dei sovietici li privava della capacità di contenere il nazionalismo nell’Europa orientale. Nel 1990, il nazionalismo e la democrazia avevano vinto nell’Europa centrale e orientale.

Ma la democrazia da sola non basta. Mentre per decenni l’identità collettiva dell’Europa occidentale si era concentrata sul multilateralismo e sul compromesso, i suoi vicini liberati a est avevano imparato il valore della coesione, dell’orgoglio nazionale e della sovranità. Senza quelle cose, non avrebbero riacquistato la loro autonomia. Laddove un tedesco occidentale vedeva la perdita di una certa sovranità nazionale a favore di Bruxelles come il prezzo della prosperità e della pace – e quindi un netto positivo per la sovranità di Bonn in generale – un polacco era diffidente nei confronti di qualsiasi appello a condividere il potere decisionale.

Le identità nazionali si formano nel corso delle generazioni e cambiarle è difficile. L’attuale leadership polacca, il Law and Justice Party (PiS), è particolarmente impegnata nel nazionalismo polacco e nei valori conservatori. I suoi maggiori oppositori politici sono liberali e centristi filo-europei, più vicini alla politica prevalente nell’Europa occidentale, dove risiede il grosso del potere decisionale dell’UE. Attingendo alla loro memoria culturale e storica, i nazional-conservatori polacchi sono xenofobi, soprattutto islamofobi, e generalmente intolleranti alla diversità sociale. (L’esperienza dell’Europa occidentale, nonostante le sue imperfezioni, è semplicemente diversa.) L’ideologia prevalente in Polonia, pur riservando il suo più intenso disprezzo per il Cremlino, è molto diffidente nei confronti del relativo liberalismo sociale tedesco.

Ancora più importante, il PiS vuole apportare modifiche fondamentali al sistema giudiziario polacco, ma non è riuscito a convincere la maggior parte dell’UE che le sue intenzioni sono buone e le sue preoccupazioni legittime. Bruxelles e la maggior parte delle capitali dell’Europa occidentale sospettano che il PiS stia lavorando per indebolire o sradicare il liberalismo politico e sociale polacco, una sfida ai propri regimi ma anche all’UE, che si basa su idee liberali come il compromesso, la diversità, i diritti civili e lo stato di diritto .

La Germania è la roccia, la Russia è il posto difficile

Il principale campo di battaglia tra PiS e Bruxelles è l’inversione di alcune riforme giudiziarie polacche e la consegna di 35 miliardi di euro (34 miliardi di dollari) di denaro dell’UE per la ripresa economica della Polonia dal COVID-19. La Commissione europea ha fissato pietre miliari per l’inversione delle riforme giudiziarie del PiS che, secondo lei, Varsavia deve rispettare prima di trasferire i fondi. Ovviamente, il PiS vuole concedere il meno possibile, ma il rallentamento economico, l’aumento dei tassi di interesse e la guerra della porta accanto gli stanno facendo pressioni per ottenere presto i fondi. Inoltre, la Polonia dovrebbe tenere le elezioni parlamentari entro novembre 2023 e, se non riceverà l’assistenza prima di allora, il PiS scommetterà le sue fortune elettorali su una fine ordinata della guerra in Ucraina e una ripresa economica, idealmente dal estate.

L’assalto retorico del governo polacco alla Germania, quindi, fa parte della sua lotta per il potere con l’UE, così come una strategia di campagna di backup. La Germania è il membro più influente dell’Unione Europea, ma non può decidere da sola se la Polonia riceverà i suoi 35 miliardi di euro. Il primo ministro polacco lo sa. Ma Berlino è un popolare oggetto di antipatia per la base del suo partito, molto meglio che prendere di mira la stessa UE, che è immensamente popolare tra i polacchi. La retorica antitedesca segnala la determinazione del PiS pur lasciando spazio di manovra all’UE. E se l’UE chiama il bluff del PiS, come ultima risorsa potrebbe andare alle elezioni incolpando i tedeschi di aver permesso alla Russia di invadere l’Ucraina, non facendo abbastanza per fermare la guerra e negando l’assistenza finanziaria necessaria che appartiene di diritto ai polacchi.

Il funzionamento di questa strategia dipende dall’evoluzione della situazione economica in Polonia, nonché dalle tensioni politiche e sociali in Europa nel suo insieme. Al momento, non c’è motivo di aspettarsi una situazione economica drammaticamente migliorata nei prossimi mesi. E le istituzioni dell’UE, con il sostegno sufficiente degli Stati membri, non sembrano essere in uno stato d’animo compromettente. Gli Stati Uniti potrebbero tentare di intervenire, ma Washington di solito si tiene alla larga dalla politica interna dell’UE e l’amministrazione Biden probabilmente preferirebbe comunque un governo più liberale a Varsavia. Ancora più importante, gli Stati Uniti non vogliono rischiare di allargare le spaccature in Europa in un momento in cui i suoi giorni di significativo coinvolgimento nel Continente stanno finendo. Se gli Stati Uniti ridurranno i loro impegni transatlantici lasciando l’Europa intatta e in grado di difendersi,

È improbabile che la Polonia effettui un completo ridimensionamento delle sue riforme giudiziarie, ma Bruxelles ha la maggior parte della leva. È probabile un cessate il fuoco in cui l’UE ottiene la maggior parte di ciò che vuole e il PiS vive per combattere un altro giorno, dopo le elezioni del prossimo anno. Ancora più importante, è improbabile che anche una Polonia guidata dal PiS riduca effettivamente la sua dipendenza dalla Germania. Ciò equivarrebbe a ridurre i legami con la maggior parte dell’Europa, e con gli americani che hanno un piede fuori dalla porta dell’ovest della Polonia ei russi che bussano alla porta del suo est, questa non è un’opzione.

https://geopoliticalfutures.com/why-would-poland-spurn-germany/

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