Intervista a Thomas Gomart – Russia, Cina, Stati Uniti: chi è di troppo?

Intervista a Thomas Gomart – Russia, Cina, Stati Uniti: chi è di troppo?

Direttore IFRI, il principale centro studi francese per le relazioni internazionali fondato da Thierry de Montbrial, Thomas Gomart riceve Hadrien Desuin di Conflits nel suo ufficio per discutere della Russia e delle sue relazioni con gli Stati Uniti e la Cina. Thomas Gomart ha appena pubblicato The Return of Geopolitical Risk, The Strategic Triangle Russia, China, United States , Paris, Institut de l’Entreprise, 2016, 56 p., Prefazione di Patrick Pouyanné.

Conflitti: vedete che la globalizzazione del commercio si scontra con il ritorno della geopolitica.

Il “commercio gentile” di Montesquieu è ormai vissuto. Il commercio ha iniziato a ristagnare nel 2009-2010 mentre lo scambio di informazioni continua a crescere in modo esponenziale. La globalizzazione sta accelerando in termini tecnologici ma si sta restringendo in termini politici e istituzionali. È un ritorno alla logica del potere. La comunità imprenditoriale ha visto mercati emergenti, non potenze emergenti, una sfortunata assenza.

 

Conflitti: il triangolo tra Russia, Cina e Stati Uniti ha continuato a strutturare il mondo dal 1971, ma oggi non è di troppo la Russia in questo trio? 

Il 1971 vede il viaggio di Nixon in Cina. Il segmento debole del triangolo è quindi la Cina. E Nixon ci va proprio per indebolire l’URSS. 45 anni dopo, il segmento debole è la Russia, che sta lottando per rimanere nel trio. Tuttavia, la Cina continuerà a crescere, gli Stati Uniti sono in un declino molto relativo e la Russia continua a ripiegare. Cina e Stati Uniti: 35% della ricchezza mondiale, Russia meno del 3%. Nel 1991, le economie cinese e sovietica erano comparabili. Oggi l’economia russa rappresenta il 20% dell’economia cinese. La Russia sta cercando di tenere il passo con Washington e Pechino con risorse paragonabili a quelle di Francia e Regno Unito. “Povero potere”, è in una fortissima distorsione tra le sue ambizioni e i suoi mezzi.

 

Da leggere anche:  Cina, Stati Uniti, UE: chi vincerà la guerra?

Conflitti: la Russia aveva annunciato un perno per l’Asia che le sanzioni europee potrebbero accelerare.

Gli occidentali non sono riusciti ad ancorare la Russia nella loro struttura euro-atlantica alla fine della guerra fredda. Grazie a legami storici, culturali e umani di ogni tipo, l’Unione Europea è il principale partner commerciale della Russia con il 50% del suo commercio estero. Fondamentalmente è la porta della Russia verso la globalizzazione. Le sanzioni chiudono questa porta, ma le élite russe ragionano molto di più delle nostre in termini geopolitici. Per loro, la Russia è anche una potenza del Pacifico che deve partecipare al perno mondiale verso l’Asia.

 

Dopo l’annessione della Crimea, la Russia vuole dimostrare di essere una grande nazione che sta costruendo una partnership con la Cina, in particolare nel campo energetico. Ma l’asimmetria tra i due paesi è enorme! Inoltre, l’ultimo conflitto militare russo-cinese risale al 1969, è ancora nella memoria. Il perno della Russia verso il Pacifico deve quindi essere qualificato e inteso anche come una narrazione o “discorso” geopolitico.

Conflitti: c’è lo stesso una complementarità energetica russo-asiatica che pesa molto …

Certamente con la Cina ma anche con il Giappone e la Corea. Putin ritiene che il principale successo della sua politica estera sia il trattato sul confine sino-russo del 2005. Presso l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, russi e cinesi cooperano per la stabilizzazione dell’Asia centrale, fino al Iran. Ma l’80% della popolazione russa vive in territorio europeo e continua a guardare ad ovest anche se cerca alternative. Ci riuscirà? Non ne sono sicuro.

 

Conflitti: ”  Ho preso la Russia come il generale de Gaulle ha preso la Francia  ” ha dichiarato una volta Vladimir Poutine. In che misura la sovranità di Putin è una versione russa del gollismo? 

Non siamo riusciti ad andare oltre la visione di un Putin gollista o cechista. Per i circoli diplomatici e intellettuali, Putin è un cechista che non riuscirà a uscire dalla sua matrice. Per gli ambienti economici e militari, è un gollista che ha restaurato la grandezza del suo paese. Non puoi confrontare. Fondamentalmente, la Russia non ha alleanze, cosa che la Francia gollista non aveva.

Leggi anche:  Nient’altro che la Terra: la geopolitica gaulliana prima di de Gaulle

 

In effetti, abbiamo un problema geopolitico con la Russia e la Russia ha un problema geoeconomico con noi. La gestione della crisi ucraina è stata delegata alla Commissione Europea, quando l’Unione Europea non è un attore geopolitico. Inoltre, Bruxelles ha incoraggiato l’integrazione regionale in tutto il mondo, ad eccezione dello spazio post-sovietico.

Queste sono due contraddizioni molto forti che hanno reso improbabile una partnership con la Russia. Inoltre, l’Europa è molto a disagio con potenze come Russia e Turchia.

Quanto a Putin, prova una grande condiscendenza nei confronti del progetto europeo in cui non crede. La Brexit non può che ancorarlo a questa convinzione.

Conflitti: anche i paesi dell’Europa centrale hanno spinto per il confronto …

Abbiamo un’Europa composita, tutti usano l’Unione europea per promuovere i propri interessi. Questi piccoli paesi hanno un peso che non avrebbero mai potuto avere al di fuori dell’Unione. Il partenariato orientale è influenzato, ad esempio, dall’influenza polacco-svedese. Questa questione del vicinato europeo ha forti risonanze storiche con due parole non dette: Turchia e Russia.

Conflitti: energia, militare e digitale sono tre grandi potenze che strutturano il mondo secondo te, perché hai scelto il digitale? Stiamo parlando di una “bomba digitale”, non stiamo fantasticando sulla guerra digitale?

Sul digitale, gli Stati Uniti dispongono dei principali attori. Per parafrasare John Connally e la sua formula del dollaro , potresti dire ”  Internet è il nostro sistema, ma è un tuo problema  “. Internet è il centro nevralgico del sistema mondiale. Chi domina Internet domina il centro nevralgico e quindi domina il mondo. Internet è anche il mezzo principale per mantenere il controllo sui suoi principali alleati giapponesi ed europei.

https://www.revueconflits.com/entretien-russie-chine-etats-unis-qui-est-de-trop-hadrien-desuin/

Memo quotidiano: poteri medi e persone prive di potere, di George Friedman

Qui sotto un breve resoconto delle inquietudini che attraversano il mondo. Una breve considerazione: checché ne pensino il Senatore Fiano e il Partito Democratico tutto l’Europa non è più un’isola felice esente da conflitti militari già dagli anni ’90; il fattore di pace interna piuttosto che l’Unione Europea è stata comunque la NATO, con tutti i vincoli di dipendenza e sottomissione connessi. Una pace interna che comunque non ha evitato sanguinosi conflitti interni agli stati, in particolare quelli più sensibili all’influenza russa. Nelle more, pare che in Bielorussia alcuni cecchini stiano sparando alla folla dagli edifici circostanti. Un canovaccio già sperimentato in Ucraina e in Siria, prodromo di un colpo di mano imminente. La Russia si farà cogliere questa volta di sorpresa? Quanto influirà la crisi di entrate da gas e petrolio sulle sue modalità di risposta? Intanto la Francia ha posizionato in Grecia, di fronte alla Turchia altri due Rafale e una fregata, a tutela della libertà di navigazione nel mar Egeo. Pare meno disposta dell’Italia a farsi mandar via da quelle acque. La fregata LIMNOS (classe ELLI) della Marina Nazionale greca ′′ è stata colpita ′′ da una nave della Marina turca. Il PD continua a chiamare tutto questo pace_Giuseppe Germinario

Memo quotidiano: poteri medi e persone prive di potere

Recensioni settimanali di ciò che è sui nostri archivi.

A cura di: Geopolitical Futures

Potenze medie nell’Indo-Pacifico . Martedì, il Giappone ha accettato di prestare al Vietnam circa 345 milioni di dollari per acquistare sei navi da pattugliamento marittimo giapponesi . Il Giappone ha distribuito navi della guardia costiera usate nel sud-est asiatico negli ultimi anni, ma quelle nuove sono considerate un sostanziale miglioramento per il Vietnam in un momento in cui le sue acque costiere sono soggette a una maggiore pressione cinese. Come abbiamo spiegato , la maggior parte della competizione per il controllo nel Mar Cinese Meridionale si svolge nella cosiddetta zona grigia. E questa è un’area in cui il Giappone è forse anche meglio attrezzato degli Stati Uniti per aiutare gli Stati richiedenti del Mar Cinese Meridionale. Nel frattempo, l’India ha incoraggiato la Russia a essere maggiormente coinvolta negli affari indo-pacifici, proponendo, ad esempio, un meccanismo di consultazione trilaterale che coinvolge il Giappone .

Questi tipi di giocatori di medio livello nella regione sono tutti limitati in quello che possono fare per bilanciare l’azione della Cina, e interessi fortemente contrastanti renderanno difficile formare qualsiasi tipo di fronte unito contro Pechino . Ma per paesi come il Vietnam e l’India che temono di essere coinvolti nel fuoco incrociato di un grande conflitto di potere a somma zero tra Cina e Stati Uniti, più siamo, meglio è.

Disordini bielorussi, continua . Continuano le proteste in Bielorussia contro i risultati delle elezioni presidenziali . Le forze di sicurezza hanno usato granate stordenti e hanno sparato proiettili di gomma per disperdere i manifestanti. Il ministero degli Interni ha confermato che le autorità hanno ucciso un uomo che avrebbe tentato di lanciare un ordigno esplosivo. Ha anche annunciato che più di 2.000 persone sono state detenute in varie città del paese.

L’opposizione si sta comportando come previsto. Gli ex candidati alla presidenza Andrei Dmitriyev e Sergei Cherechen intendono presentare un reclamo alla Commissione elettorale centrale contestando i risultati delle elezioni. Nel frattempo, Svetlana Tikhanovskaya, la candidata dell’opposizione più popolare, ha lasciato la Bielorussia per la Lituania, dove ha ringraziato i cittadini bielorussi per la partecipazione alle elezioni, sottolineando che “il popolo bielorusso ha fatto la sua scelta”, invitando i suoi sostenitori a rispettare la legge piuttosto che affrontare la polizia .

I governi occidentali, compreso Washington, hanno espresso preoccupazione per la situazione. Alcuni hanno condannato il presidente Alexander Lukashenko per aver utilizzato violenza politicamente motivata, mentre altri hanno chiesto il dialogo per risolvere la questione.

Intelligenza aggiuntiva

Dalla Germania al Mediterraneo, del Generale Marco Bertolini

“Oltre la politica interna, la mossa voluta da Trump evidenzia il ritorno alla Great power competition, cioè lo sforzo di contrastare la Russia tra Medio Oriente e Libia, e la Cina, attiva con la Via della Seta, che ingolosisce molti Paesi europei”. L’analisi del generale Marco Bertolini, già comandante del Coi e della Brigata paracadutisti Folgore

Il dispositivo strategico degli Stati Uniti è sempre stato caratterizzato da una generosa disseminazione di forze in buona parte dei Paesi europei, con una concentrazione marcata in Germania (36 mila uomini negli ultimi anni). C’erano ragioni storiche per quest’assetto, tenuto conto che la Germania era stata l’obiettivo primario della guerra di ottant’anni fa e che nel confronto col Patto di Varsavia doveva rappresentare il teatro dello sforzo principale della Nato. C’erano poi ragioni più politiche, come il controllo da vicino di un Paese che ha sempre preoccupato, per le sue potenzialità, “l’amico” americano. Ora, con una recente decisione del Pentagono, circa seimila militari americani “tedeschi” dovrebbero presto essere ripiegati negli Usa, mentre pochi di meno verrebbero ridislocati in altri Paesi europei, tra cui l’Italia, lasciando in Germania “solo” 24 mila uomini circa.

La mossa, fortemente voluta da Donald Trump, evidenzia un suo preciso disegno complessivo nella Great Power Competition, vale a dire nello sforzo statunitense per confermare la supremazia militare nel confronto con Russia a Cina, resa quanto mai urgente dall’attivismo di Mosca in Medio Oriente e in Libia, nonché da quello di Pechino con l’iniziativa della Via della Seta che ingolosisce molti Paesi europei, tra cui il nostro. Inoltre, potrebbe essere utile per conseguire una pluralità di obiettivi diversi.

Prima di tutto, con un occhio alla politica interna statunitense, Potus segna un punto a suo favore, con l’approssimarsi della scadenza elettorale che lo vede contrapposto a Joe Biden, nel confermare al suo elettorato un seppur parziale ridimensionamento del ruolo degli Usa quale poliziotto globale. Così facendo, impone il suo “passo” al partito democratico, che della globalizzazione è un fautore acclarato, e afferma la sua autorità nei confronti dell’establishment. Si impone, infatti, su quel Deep State che ha importanti ramificazioni anche negli alti vertici militari che lo hanno sfidato pure con inedite prese di posizione pubbliche da parte di alcuni famosi generali in quiescenza.

In secondo luogo, per quanto ci riguarda più da vicino, la decisione rappresenta un segnale forte lanciato ai Paesi europei – a partire dalla Germania stessa – da lui accusati di non impegnarsi sufficientemente con un programma di potenziamento militare nell’ambito della Nato. E Berlino evidenzia, al riguardo, l’abbandono delle frustrazioni di ex Paese “occupato” dimostrando di non gradire una mossa che altera uno status quo che ormai gli va bene. Anzi benissimo, se si considera il ruolo di primissimo piano nel quale si è affermato nel Vecchio continente, anche ai danni di altri Paesi come il nostro, come dimostrato dalle recenti questioni inerenti il Recovery Fund che lo confermano leader continentale indiscusso.

Da questo punto di vista, e qui arriviamo al terzo obiettivo, più che il ritiro di una parte dei militari negli Usa, è il ridislocamento di un’altra cospicua parte degli stessi (5.800 uomini) in altri Paesi europei a rappresentare il segnale più forte da un punto di vista strategico. Con questo provvedimento, infatti, si certifica una relativa perdita di importanza della Germania rispetto allo scacchiere meridionale, per il quale da anni l’Italia lamenta una scarsa attenzione da parte della Nato. Il nostro Paese, al contrario, dovrebbe vedere un aumento di forze Usa sul proprio territorio al quale non potrà non corrispondere un cambio del nostro ruolo nel “gioco” militare della super-potenza nel Mare Nostrum, fino ad ora abbandonato alle iniziative turche e francesi, per limitarci ai Paesi della nostra Alleanza. Non so quanto questo possa far piacere a una classe politica che considera le nostre Forze armate il succedaneo povero di quelle dell’Ordine, da impiegare nel controllo del distanziamento sociale nelle spiagge; ma chi riuscisse a fare due più due quattro potrebbe scoprire che il mondo sta cambiando, nonostante le nostre resistenze.

Infine, il provvedimento si presenta come manovra a bilancio zero nella strategia complessiva statunitense, disegnata in buona parte da quello che è stato definito lo stratega di Trump, quel generale Flynn riemerso dalla palude di accuse infamanti alle quali era stato sottoposto ancor prima dell’insediamento del suo presidente. Alla diminuzione delle forze, infatti, corrisponde un aumento in termini di aderenza alle aree più preoccupanti da parte di quelle unità che rimarranno nel vecchio continente. Ciò vale soprattutto per il sud Europa, dal quale il Comando statunitense per l’Africa (AfriCom) potrà esercitare una maggiore influenza sul “continente nero”, col bubbone dell’islamismo radicale che i francesi stentano a controllare nel Sahel. Ma un occhio sarà anche al Sud Europa stesso, esposto dagli egoismi dei sedicenti “frugali” europei alle tentazioni cinesi e russe. E che la frugalità dei contadini, dei minatori e dei pescatori virando a improbabile dote degli speculatori potesse esporre a queste conseguenze anche nel campo strategico è veramente la novità di questi strani tempi. Con la quale è il caso di fare i conti.

tratto da https://formiche.net/2020/07/germania-ritiro-truppe-usa-bertolini/?fbclid=IwAR3k2S1ocdN55ie5O3y60gSb8SzuwHtuAnqyTXxY9tIcxTBeS3T_aG7qsaQ

Barboncini, processi e buchi nell’acqua, di Roberto Buffagni

Barboncini, processi e buchi nell’acqua

 

Cari Amici vicini & lontani,

in queste belle giornate estive due fatti di cronaca campeggiano sui media: lo sbarco di immigrati tunisini a Lampedusa con barboncino (di nazionalità ignota) al seguito[1], e l’autorizzazione a procedere per il caso Open Arms[2] contro Matteo Salvini concessa dal Senato[3].

L’autorizzazione a procedere contro Matteo Salvini per il caso Open Arms è motivata, ovviamente, da ostilità politica nuda e cruda, manifestata in forma particolarmente indecente , perché a) si è trattato di un atto squisitamente politico compiuto da un ministro in carica b) la responsabilità politica di quell’atto è condivisa, come minimo, dal Presidente del Consiglio del governo giallo-verde Giuseppe Conte, che andrebbe dunque processato anch’egli: cosa un po’ complicata e ossimorica, visto che Conte continua ad essere il Presidente del Consiglio in carica anche del governo giallo-rosa, sostenuto dalla maggioranza che ha appena votato l’autorizzazione a procedere contro Salvini.

Probabilmente, a Matteo Salvini non dispiace la prospettiva di finire sotto processo per il caso Open Arms, perché gli serve su un vassoio d’argento l’opportunità di presentarsi come vittima di un’ingiustizia e unico difensore degli italiani dai pericoli dell’immigrazione incontrollata. Tant’è vero che ha già diffuso il trailer dello spettacolo mediatico-giudiziario di cui sarà protagonista, dichiarando a caldo «Contro di me festeggiano i Palamara, i vigliacchi, gli scafisti e chi ha preferito la poltrona alla dignità. Sono orgoglioso di aver difeso l’Italia: lo rifarei e lo rifarò. Vado avanti, a testa alta e con la coscienza pulita»

L’autorizzazione a procedere è sicuramente un’ingiustizia; resta da vedere se Salvini sia una vittima.

Secondo me, sì: Salvini è una vittima, ma è una vittima anzitutto di se stesso e della povertà desolante della sua cultura e azione politica. Motivo? Ecco il motivo, anzi i motivi.

  1. La maggioranza parlamentare che l’ha indecentemente mandato a processo l’ha costituita lui, con la sua decisione dell’agosto scorso di far cadere il governo, nella speranza di provocare nuove elezioni e di incassare un diluvio di consensi[4]. All’epoca, la decisione di Salvini fu attribuita a valutazioni strategiche così raffinate da risultare accessibili solo a un Olimpo di pochi eletti strateghi. Ai molti perplessi si ingiunsero umiltà, silenzio, fiducia, come ai militi dell’Arma (mele marce escluse). Salvo prossimi, miracolosi rovesciamenti della situazione, forse implicanti intervento dei Piani Superiori (dagli USA di Trump a Padre Pio) mi pare si possa pacificamente riscontrare che le valutazioni strategiche di cui sopra erano, tutto sommato, sbagliate.
  2. L’azione politica per cui Salvini viene oggi indecentemente processato, e le altre analoghe da lui compiute come Ministro degli Interni, ovvero la chiusura dei porti agli immigrati clandestini, aveva già allora due caratteristiche principali: a) faceva acquisire una valanga di consensi a Salvini b) era ovviamente insufficiente per affrontare sul serio il problema (enorme) dell’immigrazione[5], perché da un canto è impossibile chiudere efficacemente i porti nell’attuale quadro politico e legislativo, e dall’altro, il problema dell’immigrazione si può affrontare solo se si ha una visione adeguata della politica internazionale, in particolare dei rapporti tra l’Italia e i paesi che si affacciano sul Mediterraneo.

Evidentemente, per Salvini era rilevante soltanto l’aspetto sub a) della sua azione politica, cioè il fatto che gli faceva acquisire tanti consensi. Consensi che in un regime di democrazia parlamentare a suffragio universale hanno certo importanza decisiva, per un politico, ma che non sono tutto; anche perché come si acquisiscono, così si perdono: e se si acquisiscono con azioni dimostrative attente anzitutto all’immagine, ma che non producono alcun risultato concreto, si perdono quando l’immagine di autorevolezza e di sbrigativa efficacia proiettata con l’ausilio di Photoshop si appanna, o addirittura viene smentita dai fatti.

Qualcosina di meglio e di più anche Salvini avrebbe potuto fare, quando era ministro, anche sotto il profilo dell’immagine. Qui vi racconto un minimo esempio di quel qualcosina di più e di meglio.  Ce ne sono certamente altri, ma vi racconto questo perché lo conosco bene, visto che alla Lega l’ho proposto io.

Come sanno i lettori di italiaeilmondo.com e non solo loro (se n’è parlato in più occasioni sulla stampa nazionale, è stato presentato in un importante convegno internazionale in Tunisia, lo conoscono molto bene il governo tunisino e l’ambasciatore italiano a Tunisi) il nostro collaboratore Antonio de Martini è il referente italiano di un importante e suggestivo progetto, appoggiato da tre Università italiane, “Mare nel Saharahttps://www.medinsahara.org/

In pillola, è la ripresa aggiornata di un antico progetto francese, mai realizzato per contrasti politici, che fu appoggiato da Ferdinand de Lesseps[6], promotore ed esecutore del Canale di Suez e del Canale di Panama. Nel deserto tunisino vi sono vaste depressioni naturali, gli chott, site in prossimità del Mediterraneo. Escavandole per aumentarne la profondità, e sterrando un canale, vi si potrebbe far irrompere il Mar Mediterraneo, creando un mare artificiale. Con l’evaporazione, esso cambierebbe il microclima, rendendo fertili i terreni circostanti. Risultano subito chiare le ricadute positive economiche e sociali per la Tunisia e per l’Italia. Per la Tunisia, creazione immediata di 60.000 posti di lavoro, estensione della superficie coltivabile e creazione di una nuova leva di agricoltori; sviluppo di pesca e turismo marittimo (il 20% del PIL tunisino si deve al turismo). Per l’Italia, 4-5 miliardi di euro di lavori per imprese italiane, alle quali sarebbero commessi i lavori che esigono superiori capacità e tecnologie; cessazione dell’immigrazione clandestina dalla Tunisia; accrescimento del prestigio e dell’influenza politica italiana nella regione che è la cintura di sicurezza geopolitica naturale per l’Italia, la costiera mediterranea dell’Africa; replicabilità dell’iniziativa anche altrove, per esempio in Algeria, dove esistono condizioni geografiche analoghe. Ma invito i lettori a consultare il sito https://www.medinsahara.org/, dove troveranno le informazioni essenziali su questo bel progetto.

Per quanto riguarda la Lega, e in generale il defunto governo giallo-verde, l’opportunità e il vantaggio politico, anche di immagine, di promuovere un progetto simile mi parevano abbaglianti come il sole del deserto. Anzitutto, sul piano dell’immagine e del consenso, appoggiare questo progetto significava  fare per primi quel che gli avversari politici immigrazionisti dicono sempre di voler fare e non fanno mai: “aiutarli a casa loro”: e quindi tappare la bocca all’avversario. Per forze politiche prive di esperienza internazionale e di governo nazionale come Lega e Cinque Stelle, inoltre, sponsorizzare un progetto del genere implicava presentarsi come forze responsabili e lungimiranti, capaci di strategia internazionale. Per Matteo Salvini personalmente, poteva essere una buona occasione per smentire le accuse d’essere un capopopolo incolto e chiacchierone di cui lo bersagliano gli avversari,  proponendosi invece come statista affidabile, che sa coinvolgere persino gli avversari politici in progetti di vasto respiro: se avesse voluto respingere a priori e disprezzare un progetto di cui tutto si può dire tranne che sia razzista, il PD si sarebbe trovato in grave imbarazzo.

A ciò si aggiunga che per acquisire gli elementi di valutazione indispensabili a decidere se passare alla fase operativa vera e propria, bastava finanziare con 3-400.000 euro uno studio di fattibilità, del quale sono già individuate le fasi essenziali. Se per una delle mille ragioni possibili si fosse poi deciso di non dare il via al progetto, nessuno avrebbe potuto accusare i promotori politici di aver sprecato ingenti risorse; e intanto, essi avrebbero incassato l’effetto promozionale di un nobile, encomiabile tentativo di affrontare il problema, sul serio enorme, dell’immigrazione.

Così, all’insediamento del governo giallo-verde interessai al progetto il sen. Alberto Bagnai, e lo misi in contatto con Antonio de Martini. Il sen. Bagnai, però, non ritenne opportuno incontrare de Martini (che peraltro abita anch’egli a Roma) e lasciò cadere la proposta.

Grazie alla cortese disponibilità di un intermediario, incontrai poi l’On. Riccardo Molinari, capogruppo leghista alla Camera. L’ On. Molinari, che qui colgo l’occasione di ringraziare, mi ha ricevuto con prontezza e cortesia, e mi ha dedicato due ore del poco tempo di cui dispone un politico molto impegnato. Nel nostro colloquio gli illustrai il progetto, e da lui richiestone mi diffusi sull’importanza politica e geopolitica del Mediterraneo per il nostro paese. In lui trovai un interlocutore attentissimo, intelligente e molto disponibile, benché la materia in discussione non facesse parte della sua esperienza politica precedente. Ci congedammo con l’intesa che l’On. Molinari avrebbe portato il progetto, con le sue implicazioni, all’attenzione del segretario del suo partito, Matteo Salvini.

Risultato: un buco nell’acqua.

E’ vero: l’attuazione del progetto “Mare nel deserto” non avrebbe risolto definitivamente il problema dell’immigrazione, né soddisfatto l’ambizione di Matteo Salvini di guidare il governo italiano. Forse, però, se Matteo Salvini, invece di scavare un buco nell’acqua dopo l’altro, avesse fatto scavare qualche buco nella sabbia del deserto tunisino, oggi si troverebbe meglio. L’Italia e la Tunisia, di sicuro.

That’s all, folks.

 

 

 

[1] https://www.corriere.it/cronache/20_luglio_28/migranti-barboncino-travestiti-turisti-nuove-tecniche-sbarco-c3dcb4c0-d0a0-11ea-b3cf-26aaa2253468.shtml

[2] https://www.corriere.it/cronache/20_luglio_30/caso-open-arms-tar-scontro-ministri-ecco-cosa-accadde-f687df6e-d23d-11ea-9ae0-73704986785b.shtml

[3] https://www.corriere.it/politica/20_luglio_30/salvini-va-processo-il-caso-open-arms-senato-concede-l-autorizzazione-procedere-37b84b96-d27e-11ea-9ae0-73704986785b.shtml

[4] L’ho commentata nel settembre 2019, e purtroppo devo constatare che ci ho indovinato: http://italiaeilmondo.com/2019/09/11/lezioni-di-umilta-di-roberto-buffagni/

[5] Qui, in una serie di tre articoli, ne tratto sotto il profilo del conflitto politico su base etnico/religiosa che immigrazione e allargamento dello ius soli possono causare: http://italiaeilmondo.com/?s=ius+soli

[6] https://it.wikipedia.org/wiki/Ferdinand_de_Lesseps

Il bene riflesso, di Giuseppe Masala

Riflettevo un po’ sull’Euro. Dico, indipendentemente da come andrà a finire questa epopea destinata ad entrare nella Storia. Il mio è stato un ragionamento utilitaristico che è partito dalla constatazione empirica che nulla a questo mondo viene nella vita senza lasciare qualcosa. Qualunque cosa, prende un po’ di noi e lascia qualcos’altro. L’Euro dal punto di vista italiano è stato senza dubbio una catastrofe economica, politica e sociale (certo, non abbiamo la controprova di cosa sarebbe accaduto se non fossimo entrati). Ma cosa ci lascia questa esperienza che non esito a definire tragica?

L’Euro ci lascia due cose fondamentali. Ci lascia innanzitutto un enorme patrimonio culturale. Quanto abbiamo studiato – ciascuno a modo suo – per comprendere i meccanismi economici, politici, sociali, culturali, storici che ci hanno portato come popoli europei a questa scelta. Pagine e pagine sulla storia tedesca; dalla loro unificazione, alle guerre, alle dispute politiche, giuridiche e filosofiche. Non parliamo poi del loro carattere nazionale, magari appreso nelle pagine di Mann, di Dostoevskij (che li descrive benissimo pur non essendo tedesco), di Junger e qualche temerario anche attraverso le letture di Oswald Spengler. Il loro spirito di Ribellione, la tensione perenne tra Kultur e Zivilisation; nel mio caso personale anche l’intima convinzione che questa tensione si risolve sempre con la vittoria della Kultur; anche quando apparentemente scelgono la Zivilisation. Abbiamo imparato che la Grandeur francese porta gli ottimi governanti di quel popolo ad essere stupidi. Avete notato? Nella trattativa del Recovery Fund si sono comportati come non li riguardasse. Loro son signori, mica s’abbassano. Poi la perfidia britannica, ma anche la loro tenacia ferrea. E poi il cinismo, l’arrivismo, la stupidità delle nostre classi dirigenti. Ci hanno mandato a combattere con le scarpe di cartone. Come i fanti dell’Armir spediti in Unione Sovietica.

Abbiamo in definitiva imparato – e questa è la seconda grande lezione – che la Storia non è lo studio del passato. La Storia è lo studio del Presente e del Futuro. Tutto si ripete in una incredibile coazione.

Ecco, l’Euro ci lascia un enorme patrimonio di esperienza e di cultura. Probabilmente inutile. Se tra venti anni provassimo a spiegare alle nuove generazioni, fatalmente saremmo presi per vecchi rincoglioniti. Già, la Storia insegna ma non ha scolari. O meglio, la si impara solo sulla propria pelle.

L’ALTRO POLO

Arriva dalla Gran Bretagna, attraverso il Financial Times, la notizia che fa capire quanto sia vitale la battaglia sull’Euro. Secondo il quotidiano londinese la Bank of England starebbe pensando di istituire una Banca d’Investimenti di sua proprietà. Si, avete capito bene, la banca centrale inglese sta pensando di istituire una banca d’investimento per intervenire direttamente nell’economia reale. Facile capire come andrebbe a funzionare: la banca d’investimento emanazione della BoE emetterebbe obbligazioni per finanziare opere pubbliche che verrebbero acquistate integralmente dalla banca centrale tramite emissione di nuova moneta. In realtà si tratterebbe di una mera partita di giro considerando poi che il 100% dell’azionariato sarebbe di proprietà della banca centrale stessa. In sostanza sarebbe un altro step nel Quantitative Easing con l’intervento diretto della banca centrale negli investimenti sull’economia reale.

Tenete anche conto che la Banca d’Inghilterra ha posto in essere un quantitative easing infinitamente più forte di quello della Bce, pari a ben 750 mld di sterline per una nazione di 65 milioni di abitanti mentre a Francoforte ci si è fermati a 1350 mld di euro ma per 350 milioni di persone (tanti sono gli abitanti della Eurozone). E ora questo nuovo strumento della banca d’investimento che qualsiasi neokeynesiano o postkeynesiano europeo non oserebbe neanche immaginare.

Ecco, mentre in Uk, ma anche in Usa e in Giappone, ci si lancia in operazioni temerarie ma adatte alla situazione drammatica che stiamo vivendo, in Europa si insiste sul Teorema di Haavelmo e sulla sbagliatissima teoria della neutralità della moneta. Rifletteteci un po’ e valutate da soli quanto sia importante o cambiare totalmente la mentalità della Bce oppure separarsi dai tedeschi e dalla Lega Anseatica.

spirali INFERNALI, di Giuseppe Masala

DECLIVIO

Fa davvero impressione leggere il rapporto demografico dell’Istat uscito oggi. Le nascite nel solo 2019 sono diminuite del 4,5% rispetto al 2018 e in cinque anni i residenti sono diminuiti di 550mila a livello nazionale, che significa aver perso, azzerato, in cinque anni una città come Bologna. Interessante anche ciò che emerge dai flussi migratori: i cittadini stranieri che arrivano in Italia sono diminuiti dell’8,5% circa mentre gli italiani andati all’estero sono aumentati dell’8,1%. Se ne deduce che la popolazione oltre a diminuire sempre più invecchia. Difficile ipotizzare una crescita economica in un paese che invecchia, uguale discorso per l’aumento della produttività che non può esserci senza giovani e tantomeno senza giovani istruiti. Questi sono i risultati delle politiche suicidiarie che stiamo portando avanti da decenni nel nome del “Sogno Europeo”, sisi, il sogno. Poca istruzione, poco lavoro, paghe da fame, servizi scadenti. Ma troppa gente ancora non lo capisce. E ancora è nulla rispetto a quello che vedremo dopo la pandemia e la crisi economica che ne sta conseguendo. Questi dati peggioreranno e di molto se non succede qualcosa che risolva la situazione.

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PATETICO
Ormai Conte fa pure pena in questo suo giro da questuante nelle capitali del nord. Prima gli schiaffi da Rutte, ora le sberle dalla Merkel. Vi prego, non fatelo andare in Svezia, Finlandia e Danimarca. Non ce la meritiamo questa cosa, siamo una nazione che ha fatto la Storia.
ATTESA PREAGONICA
Ma la notizia più importante è che gli incontri di oggi dello spagnolo Sanchez con l’olandese Rutte e di Conte con la Merkel attestano inoppugnabilmente che da parte dei paesi del Nord non vi è alcun interesse a salvare l’Euro. Continuano a pretendere riforme in cambio di pochi spicci, per altro nel caso dell’Italia si tratta (se si sommano ai RF anche i fondi ordinari del bilancio 2021-2028) di danaro in perdita; nel senso che è più quello che daremo di quello che riceveremo. In sostanza dobbiamo pagarli per farci saccheggiare. Ci trattano da paese sconfitto in una guerra. Oppure se non ci sta bene spetterebbe a noi prenderci la responsabilità politica di un uscita dall’Euro (che la nostra classe politica totalmente compromessa non prende manco in considerazione). Questo ci dicono. Ma vi rendete conto che nella migliore delle ipotesi i primi soldi inizieranno ad arrivare nell’autunno 2021? Ovvero a danno economico e sociale abbondantemente realizzato irreversibilmente. Ma di che parliamo?
GUERRA GUERREGGIATA

Dimenticavo, oggi la Frankfurter Allgemeine Zeitung dice che questa settimana il Prestigioso Zentrum für Europäische Wirtschaftsforschung (Zew) di Mannheim pubblicherà uno studio dal titolo “Sliding down the slippery slope”, scivolare giù per il pendio scosceso. Dove si spiega che a scivolare nel pendio è la politica monetaria della Bce che si trasforma a furia di operazioni di quantitative easing in politica fiscale di sostegno agli stati. Bene, a Karlsruhe sono certo che prenderanno buona nota nel caso in cui i vincitori della causa saranno costretti a chiedere “giudizio di ottemperanza” della sentenza del 5 Maggio. Molti non lo sanno ma la partita è aperta.

Noto che l’interesse verso la sentenza di Karlsruhe del 5 Maggio è, qui in Italia, velocemente scemato. Mi permetto di dire che è un grave errore. Tutto, secondo molti, sarebbe finito a tarallucci e vino dopo il voto di del Bundestag che avrebbe approvato le politiche della Bce. Gli economisti a riprova del fatto che non succederà nulla sventolano dei grafichetti che descrivono l’andamento del cambio tra Euro e Dollaro che dimostrerebbe essendo stabile che non succederà nulla. Mi spiace, non è così. Innanzitutto bisogna che gli economisti imparino che i mercati finanziari non si muovono più da anni sulla scorta di valutazioni di natura economica; i movimenti sono fatti con degli algoritmi di Trading ad Alta Frequenza che operano sulla base di istruzioni preordinate (se il prezzo supera X compra, se scende ad Y vendi e cose di questo genere, pura analisi tecnica). I mercati finanziari sono mere fabbriche di danaro sintetico, nulla di più. Quando avviene qualche fatto nel mondo umano non ignorabile, semplicemente le macchinette vengono spente e “a mano” gli operatori vendono e comprano. Un esempio ne abbiamo avuto con la Brexit. Fino al giorno prima i mercati finanziari agivano sulla scorta degli algoritmi ignorando il reale (tanto tutti erano convinti che avrebbe vinto il remain); un minuto dopo la notizia della vittoria del fronte Brexit è cascato giù il mondo. Ecco, sarebbe bene che anche gli economisti – buoni ultimi, come al solito – imparassero queste cose e la smettessero di trarre responso dall’andamento dei mercati che tanto questa pratica vale ne più e ne meno di quella romana di sbudellare i tori e da essi far divinar responso agli Aruspici.

Ecco, detto questo, aggiungo che in questi giorni non è che di cose non ne siano avvenute.

C’è stato certamente il voto del Bundestag che in una mattinata ha votato una mozione sulla proporzionalità della politica monetaria della Bce. Peccato che Karlsruhe chiedesse al Bundestag di valutare se la politica monetaria Bce fosse Ultra Vires che è un’altra cosa. Un modo pilatesco per lavarsene le mani. Peraltro nella mozione si sottolinea come la Bundesbank sia indipendente, che è un modo come un altro per dire “la responsabilità se la prenda Weidmann”.

C’è stata inoltre una potentissima offensiva del Ministero degli Esteri tedesco con è riuscita a rompere il fronte dei paesi che nella Bce sostenevano la Lagarde. Così io leggo l’elezione dell’irlandese alla guida dell’Eurogruppo e avvenuta con i voti dei paesi frugali (e di qualcuno che con sprezzo dell’aritmetica continua a negare il suo voto, vedi Germania). Se questo basti per soddisfare Weidmann e la Corte di Karlsruhe non lo sappiamo.

Prossimi passi sono la riunione del Board della Bce del 16 Luglio, vedremo se Weidmann parla e cosa dice. Idem vale per la Lagarde. Dopo ci sarà il fatidico 5 Agosto giorno della deadline posto dalla Corte per l’uscita della Bundesbank. Se Weidmann non uscirà finirà la storia? Assolutamente no. A quel punto i vincitori della causa potranno chiedere alla Corte di Karlsruhe “giudizio di ottemperanza”. Ma ci sarà modo di parlarne. Il destino dell’Euro è e rimane appeso a un filo.

IL PARTITO DELLA NAZIONE

Mi spiace per chi in privato mi accusa “di avercela con il Nord”. Non è assolutamente vero, ma bisogna ripartire da una presa di coscienza: il progetto europoide, in Italia è stato un progetto essenzialmente a trazione Nord, così come è proveniente dal Nord tutta la classe dirigente che follemente lo ha realizzato. Ora questo progetto è naufragato, tragicamente naufragato e il Nord stesso ha davanti a sé anni terribili. Cari amici, ma davvero pensate di ripartire e superare una catastrofe epocale con due spicci sottratti al Sud? Davvero credete di riprendervi con il Mes, il Recovery Fund e insistendo su un Europa che non esiste ne mai è esistita? Davvero pensate che le vetuste gabbie salariali siano una soluzione come credono Quartapelle e Sala? Suvvia dai. Qui è necessario rifondare l’Italia. Trovare una soluzione strategica complessiva e riprenderci quello che è nostro. Non c’è altra strada, altrimenti sarà miseria e schiavitù per tutti.

Ormai il PD si propone apertis verbis come “Sindacato del Nord” ovvero tenta di fare quello che per trenta anni ha fatto la Lega di Bossi: sottrarre risorse al Sud per riversarle al Nord e sostenerne così la crescita. Alla proposta di Quartapelle e del sindaco di Milano Sala andrebbe aggiunta – per completare il quadro – anche quella del Presidente dell’Emilia-Romagna Bonaccini che è molto semplice nella sua brutalità: le risorse per la ripartenza siano dirottate in buona parte se non integralmente “al Nord produttivo” e “il Sud aspetti” (ha detto proprio così, aspetti). A questi luminari rispondo che forse non è la risposta corretta quella di demolire (la peraltro già esangue) domanda eggregata del Sud per sostenere quella del Nord. Anche perchè in un contesto produttivo vergognosamente sbilanciato a favore delle regioni del Nord deprimere un mercato di sbocco della produzione del Nord significa semplicemente che ciò che guadagnerebbe il settore pubblico del Nord sarebbe pagato dal settore privato del Nord che “fatturerebbe” di meno. Quindi alla meglio questa operazione dal punto di vista economico si tradurrebbe in un gioco a somma zero per le regioni del Nord stesso. Non parliamo poi dell’aspetto politico ed etico di una simile proposta, non vale la pena. Non vale la pena alimentare una guerra tra regioni povere e regioni in via di impoverimento (sì, questa crisi colpirà in maniera molto più forte il Nord per chi non l’ha capita, trasformando quelle regioni in una Romania post comunista nel giro di qualche anno). Servirebbe altro, e io credo servirebbe soprattutto una presa di coscienza da parte delle popolazioni del Nord. Il progetto strategico della Seconda Repubblica che si è sostanziato nel saccheggio e nella colossale deindustrializzazione del Sud Italia per tenere agganciato il Nord Italia al motore produttivo europeo è tragicamente fallito. Al Sud non ci sono le risorse per sostenere niente e nessuno: le banche del Sud sono già state acquistate dalle banche del Nord, quindi il risparmio dei frugali meridionali (gli olandesi ci fanno una pippa a quattro mani) viene già usato per sostenere il sistema produttivo del Nord, lavori pubblici qui non si fanno da trenta anni (al Sud non c’è corruzione perchè manca la materia del contendere, la Svizzera a noi ci fa un baffo) quindi non c’è nulla da dirottare, le Università e la Sanità sono già state svuotate (noi facciamo il turismo sanitario ). Ora volete i due spicci dei dipendenti pubblici? Prendeteveli, buon pro’ vi faccia, se volete credere che bastino per recuperare, auguri.

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MODELLO ISPIRATORE

Due importanti traduzioni dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung. La prima è un articolo del parlamentare europeo tedesco Simon Sven (che peraltro è anche un giurista) sull’altro tema rilevante della sentenza del 5 Maggio di Karlsruhe, ovvero il conflitto tra Corte di Giustizia Europea e Corte di Karlsruhe. La seconda è invece relativa alla pretesa dell’Olanda e dei paesi frugali di avere il veto sui Recovery Fund (e infatti la Merkel vuole togliere la competenza alla Commissione per darla al Consiglio). Ecco, per chi vuole informarsi veramente, chi non vuole capire invece può continuare a leggere gli imperdibili pezzi de La Repubblica e del Corriere. Poracci.

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-prof_simon_sve…/…/…

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-faz__i_paesi_b…/…/…

GLI STATI GENERALI, LO STATO DELLA POCHETTE, di Giuseppe Germinario

Capita raramente di assistere ad un assoluto “non sense” delle dimensioni degli Stati Generali convocati a giugno scorso da Giuseppe Conte. Il nostro Presidente del Consiglio è riuscito in questa impresa del nulla costruendo la parodia grottesca di un consesso che ha assunto ubiquamente la veste di un convegno declamato da interventi dal contenuto letteralmente inaccessibile e di un seminario dagli interventi dovuti e scontati. Ha finito ovviamente per non essere né l’uno, né l’altro, non avendo lanciato nessuna incisiva indicazione necessaria a motivare, né avendo tracciato almeno le linee base che consentissero di canalizzare analisi e proposte; ha finito quindi per spegnersi quindi nelle sue conclusioni senza avere brillato di una qualche fiammella. Più che un buco nero inquietante per la sua potenza attrattiva, una nebulosa impercettibile. L’unico ad apparire con certosina costanza è solo Lui, Giuseppe Conte, ma nelle esclusive vesti di dimesso cerimoniere di una seduta spiritica tutta particolare. La riuscita anodina dell’iniziativa sarà stata pure la conseguenza delle pressioni del PD tese a smorzare gli ardori del premier per una iniziativa propagandistica raffazzonata che rischiava di rivelare il vuoto pneumatico più che “le magnifiche sorti e progressive”. Un barlume di superstite buon senso piddino, frutto di antiche reminiscenze non del tutto sopite. Il vuoto in politica però non esiste; la sua apparenza assume comunque il significato e il peso di movimenti carsici per quanto inconsapevole possa essere. Non sarà certo un caso che gli unici ad essere evocati e ad apparire legittimamente, sia pure nella forma di ologrammi, in quella seduta per proferire il verbo siano stati Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione Europea, David Sassoli, Presidente del Parlamento Europeo, Paolo Gentiloni, commissario europeo, Charles Michel, Presidente del Consiglio Europeo. Il messaggio è chiaro: gli indirizzi e i vincoli proverranno da quella sede e in quella sede si dovrà trattare, in realtà attendere a regime di cottura lenta. http://www.governo.it/it/progettiamoilrilancio

Qualcun altro si è visto riconoscere tutt’al più un posto in seconda fila: il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, il Segretario Generale dell’OCSE, Ángel Gurría, la Direttrice Operativa del Fondo Monetario Internazionale, Kristalina Georgieva ma solo per il tramite, in gentile concessione, della pubblicazione della rispettiva trascrizione degli interventi. Un chiaro indice delle graduatorie di credito ed autorevolezza riconosciute dal nostro Giuseppi. Per il resto un asfittico elenco degli invitati, privo di ogni merito dei vari contenuti. Lo stesso Colao, pur a capo della nutrita e roboante squadra di esperti di quistioni socio-economiche messa in piedi dallo stesso Conte, ha paradossalmente vissuto l’onta censoria dell’anonimato senza alcun apparente motivo; una sorta di silenzioso ripudio. Alcuni visibilmente non hanno gradito il trattamento e hanno reagito sgomitando, sfruttando però i propri spazi in mancanza di quelli pubblici del Governo. Lo hanno fatto i leader di alcuni sindacati autonomi e di base; lo ha fatto soprattutto e con veemenza il Presidente di Confindustria, Carlo Bonomi , di fresca nomina.

https://www.confindustria.it/notizie/dettaglio-notizie/confindustria-agli-stati-generali-economia-intervento-presidente-bonomi . Tutti gli altri, a cominciare dai Segretari dei tre Sindacati Confederali per passare alle varie associazioni professionali e umanitarie, hanno accettato senza colpo ferire e senza il minimo amor proprio il bavaglio imposto.

Si direbbe una pesante e inopinata caduta di stile dell’apprezzato maestro di buone maniere insediato a Palazzo Chigi.

L’affettata e curiale furbizia del nostro lascia sospettare che non si tratti di una semplice distrazione da parvenu.

Sarà per il suo irrefrenabile narcisismo, sarà per la sua propensione a rifulgere spegnendo la luce di possibili pericolosi comprimari, sarà che la sua caratura non gli consente un ruolo più significativo di quello del cerimoniere, sta di fatto che il nostro è riuscito pienamente nell’impresa.

Quello che sorprende è la pressoché generale accondiscendenza di gran parte dei convitati al proprio ruolo di muti etcoplasmi. Un po’ perché i più avveduti hanno compreso la vacuità dell’evento e l’opportunità di non contrariare il possibile elargitore delle future prebende e di non compromettere la partecipazione ad un futuro banchetto pur privo al momento del necessario menu; un po’ per la cautela di dover dissimulare, come nel caso dei tre segretari confederali, il proprio vergognoso e imbarazzante sostegno politico ad un Governo in gran parte responsabile del pesante fardello autunnale e del tutto incapace di offrire una qualche prospettiva realistica e politicamente autonoma, sta di fatto che la quasi totalità dei convitati ha accettato l’invito dalla porta di servizio in cambio di qualche convenevole. Come già sottolineato solo gli esponenti di alcuni sindacati di base hanno ardito contestare, ma solo da un punto di vista rivendicativo e senza alcuna prospettiva di difesa dell’interesse nazionale. Qualche sorpresa l’ha destata invece la veemenza delle critiche del Presidente di Confindustria. Le ragioni contingenti di tanta animosità ci sono tutte: dalle anticipazioni di cassa integrazione ancora lungi dall’essere compensate da INPS e Governo alla esiguità di agevolazioni e contributi rispetto alla miriade di bonus e biscottini che Presidente e Ministri, colti da indomito furore, stanno elargendo a piene mani, quasi fosse il presagio dell’Ultima Cena. Qualche perplessità e sorpresa suscita il fervore della critica alle strategie di politica economica del povero Conte. Non dovrebbe rientrare alcun caso di risentimento personale. L’imprenditore Carlo Bonomi appare già molto ben inserito in cariche ed incarichi pubblici di gestione. A ben vedere le sue critiche hanno il sapore e la bonomia dei realisti più realisti del re. La sua massima preoccupazione è che la pubblica amministrazione acquisisca gli standard di qualità operativa e di progettazione richiesti dall’utilizzo dei fondi strutturali europei. Dal punto di vista funzionale una sacrosanta rivendicazione viste la di gran lunga migliore efficienza e trasparenza di quei criteri rispetto alla farraginosa amministrazione italica. Il nostro ovviamente non si pone, o finge di non conoscere il motivo di tanta degenerazione della macchina amministrativa, non a caso proceduta paradossalmente a passi più spediti a partire dagli anni ‘90. Quel che gli preme, a nome della categoria, è di poter attingere all’integralità dei futuri fondi europei, sia quelli a fondo perduto (perduto a beneficio dei fruitori privati, non delle casse statali e della collettività) che quelli a credito. Bonomi, a nome di Confindustria, confessa con la compulsione di questo atteggiamento due orientamenti chiarissimi: la bontà e l’utilità dei prossimi finanziamenti europei nonché la loro scontata deliberazione nella loro modalità a fondo perduto; l’adesione acritica e fideistica, oltranzista al disegno corrente di integrazione europea. Sulla loro bontà e utilità tutto dipende dal punto di vista e di partenza da cui si parte (tra i tanti testi http://italiaeilmondo.com/2020/06/02/attenti-a-quei-due-di-giuseppe-germinario/ ); sull’esito scontato della trattativa in corso, Carlo Bonomi, pur in buona compagnia, sembra dotato di capacità predittive sconosciute a gran parte degli osservatori ma tali da consentirgli di vendere la pelle dell’orso prima dell’abbattimento. Quanto alla adesione fideistica, sino alla declamazione della propria totale assonanza con le associazioni europee sorelle, al disegno europeista non c’è da meravigliarsi più di tanto. Confindustria costitutivamente non può assolvere, proprio per i suoi assetti di potere e per la composizione prevalente degli associati, ad un ruolo di difesa dell’interesse nazionale, ad una funzione di trasformazione dell’economia industriale verso la produzione di prodotti finiti piuttosto che di componentistica e verso attività più strategiche. Costitutivamente deve trattare di criteri, di condizioni e di regole generali di conduzione delle aziende. Non è in grado quindi di partecipare fattivamente alle trattative, ai maneggi e alle azioni lobbistiche tese alla fusione in grandi gruppi e all’avvio di attività strategiche. Tutt’al più può servire da trampolino surrettizio e per vie traverse di singoli gruppi e personaggi. La storia stessa di Confindustria è tutta lì a recitare della sua ostilità al processo di costruzione dell’industria pesante di base nel dopoguerra, a personaggi della statura di Mattei e Olivetti e della sua connivenza ai processi di trasformazione di buona parte degli imprenditori e dei manager italiani in appendici e portavoce di gruppi esteri e in percettori di rendite da concessioni anche a costo di sacrificare e cedere le proprie attività originarie ben avviate. Del resto è lo stesso Colao a confermare indirettamente questa prevalente tendenza conservatrice e a volte liquidatoria. Tra il centinaio di schede elaborate buone a tanti usi ve ne sono alcune particolarmente significative. In una propone di superare le difficoltà di accesso a finanziamenti e crediti delle aziende italiane mediamente troppo piccole assegnando alle aziende leader della catena di valore il ruolo di garanti ed eventualmente di redistributori del credito. Con una struttura produttiva sempre più vocata alla componentistica piuttosto che al prodotto finito e con aziende leader sempre più situate all’estero non si farebbe che accentuare ulteriormente la dipendenza della nostra economia dalle scelte di prodotto e dagli indirizzi politico-economici di altri paesi. Lo stesso dicasi riguardo allo snellimento delle procedure di fallimento e liquidazione delle aziende proposto dall’ex manager di Vodafone. Tutto sembra congiurare quindi perché la terribile mistura di attendismo fideistico di un intervento europeo risolutivo, di fiducia cieca nelle virtù e nella prospettiva europeista, nel mantenimento conservativo di un apparato industriale magari appena ammodernato, di galleggiamento ed immobilismo governativo aggrappato alle momentanee prebende assistenzialistiche trascini ormai irreversibilmente il paese verso il declino e la polverizzazione, sempre più alla mercè non solo della grande potenza ma anche delle insolenze di forze minori. Giusto per completare la disposizione dei tasselli che hanno composto la kermesse giuseppina non si riesce a comprendere il motivo della fredda e sorda ostilità intercorsa tra Colao e Conte. Nelle schede prodotte dal manager c’è un perfetto equilibrio, in sintonia con il sentimento europeista e politicamente corretto prevalente nel Governo. L’emancipazione femminile, il peso della Cultura e del turismo, la svolta ecologica e la digitalizzazione; un pot pourri informe buono per tutti i palati e adatto alle varie circostanze. A ciascuno degli spettatori è riservato un coniglio; l’impegno di spesa corrisponde, guarda caso, al contributo europeo evidentemente dato per certo. Gli stessi imprenditori vengono lasciati nel loro cortile allettati al massimo da incentivi fiscali. Per il resto devono essere loro a districarsi e decidere la collocazione geoeconomica del paese. A dire il vero ci sarebbero un paio di cosette che potrebbero aver turbato gli animi nella compagine governativa: la proposta di accentrare e riorganizzare le centrali di acquisto dei beni necessari alle amministrazioni e il cambiamento dei criteri di selezione dei quadri dirigenziali intermedi. Due ambiti nevralgici che hanno contribuito alla ripartizione dei centri di potere, alla creazione di sistemi di consenso e di drenaggio di risorse, alla definizione del rapporto delicato e cruciale tra ceto politico-amministrativo e macchina operativa dello Stato centrale e periferico. Due nervi scoperti, sufficienti a mettere in discussione le dinamiche profonde di potere e la potenziale armonia tra i due.

Tutta l’operazione in realtà affoga in questa sommatoria di pie intenzioni e di attese ingiustificate i nodi essenziali da sciogliere: la necessità in tempi rapidi di un piano B nel caso più che probabile di fallimento o di condizioni sfavorevoli di accordo in sede europea; le modalità con le quali l’imprenditoria nostrana, al di là della retorica del libero mercato, deve trovare una diversa collocazione e partecipare ai processi di concentrazione, di fusione e di sviluppo di nuovi settori, la capacità di leadership dell’imprenditoria privata nazionale, tenuto conto che nei momenti cruciali di svolta questa si è rivelata un fattore frenante piuttosto che propulsivo. Per non parlare degli appuntamenti mancati nelle dinamiche e nei conflitti geopolitici, così determinanti ormai nel favorire ed indirizzare le scelte economiche. Le velleità geopolitiche di autonomia della Germania, poste alla sua maniera, rientrano a pieno titolo nella gamma di interrogativi fondamentali a cui rispondere. Ma è veramente chiedere troppo a questo ceto politico.

Una cosa è certa. Una svolta positiva nel paese non può passare attraverso il rapporto istituzionale con le associazioni e i rituali stantii che ne conseguono. Un ceto politico ambizioso e capace deve riuscire ad individuare singole figure e precisi settori suscettibili di aggregarsi e di fungere da traino. Altre vie per formare una classe dirigente all’altezza della situazione non se ne vedono. Persino Conte deve averlo subodorato, se durante la kermesse aveva previsto una giornata di incontri con singole personalità rappresentative della loro attività. È riuscito malauguratamente a trasformare anche questa fugace occasione in una innocua e frivola passerella. Una leggerezza dell’essere ormai insostenibile per il paese. Intanto aspettiamo di conoscere il   frutto documentale degli stati generali. Che siano resi pubblici almeno questi.

L’OGGI GUARDA A IERI PER PENSARE IL DOMANI, di Pierluigi Fagan

L’intervista di Putin apparsa significativamente sulla rivista americana National Interest e da noi recentemente pubblicata http://italiaeilmondo.com/2020/06/19/vladimir-putin-le-vere-lezioni-del-75-anniversario-della-seconda-guerra-mondiale/ non ha suscitato particolare attenzione. Segno del provincialismo nel quale annaspano le nostre classi dirigenti e il nostro ceto intellettuale. Con qualche eccezione_Buona lettura_Giuseppe Germinario

L’OGGI GUARDA A IERI PER PENSARE IL DOMANI. Nell’articolo scritto da V. Putin sulla IIWW e pubblicato da una rivista americana oggetto di un precedente post, c’è un invito a costituire una convenzione di storici che riesaminino la storia anche in base a molti nuovi documenti desegretati dal Cremlino che invita le cancellerie occidentali a fare altrettanto, supponendo che forse nei cassetti ci siano ancora cose da tirar fuori. Ma al di là della revisione documentale, Putin sostiene che la causa della IIWW fu nella cattiva pace della IWW e questa è ormai idea ampiamente diffusa presso gli storici. Molti ormai, parlano di una Guerra dei trent’anni (format ben conosciuto nella storia europea) tra 1915 e 1945 con una lunga pausa interna. Del resto, la stessa Guerra dei Trent’anni e quella dei Cent’anni, ebbero lunghe pause interne. Queste “durate” si leggono quando si prende una certa distanza dagli eventi che a livello granulare mostrano significati di un certo tipo mentre quando li si osservano da più lontano, ne prendono un altro. E’ un po’ la differenza che c’è tra grana grossa e grana fine, quella che fa di una macedonia incoerente di pixel, una immagine, come da esempio allegato.

Dal punto di vista storico, stante che non si può pensare che la IIWW sia capitata per caso appena venti anni dopo la IWW, rimane però da spiegare da dove viene questa Prima guerra mondiale. E qui non c’è dialettica tra grana fine e grossa, qui c’è un punto cieco, nessuno sa dire con precisione perché scoppiò la IWW. Quindi l’intero conflitto trentennale, rimane lì appeso ad un punto interrogativo.

Nei miei studi, da tempo mi sono convinto che noi, quel conflitto trentennale, ancora non l’abbiamo ben capito, collocato, spiegato nella cause. Mi si aprì una posizione di distacco epistemico da cui osservare le cose con sguardo nuovo, quando lessi un libricino di un intellettuale asiatico, il quale, pur avendo forti interessi per la filosofia occidentale ed amando molto alcuni pensatori europei, tra cui il Machiavelli, anzi forse proprio per questo, mostrava sincero sconcerto per quello che era successo in quel del primo Novecento in Europa. Essendo asiatico, era immune dalla distorsione etnica ed in fondo anche ideologica, era un vero osservatore (quasi) disinteressato ed in più abbastanza simpatetico con la cultura occidentale nel suo complesso e mi colpì il suo sguardo che in sostanza diceva: come ha potuto la più complessa ed articolata forma di civiltà degli ultimi cinque secoli, suicidarsi ed inghiottirsi da sé in un tale primitivo massacro?

A grana fine, tra libri, documentari, film, noi l’argomento l’abbiamo “normalizzato” anche quando ne abbiamo evidenziato l’immane tragedia. Ma a grana grossa credo che noi l’argomento non lo abbiamo spiegato e capito davvero, proprio per niente. Il che sarebbe anche ovvio visto che solo oggi siamo a settanta anni di distanza dalla fine della Seconda ed ad un secolo dalla fine della Prima.

Volendo accennare oltre, credo che il problema europeo abbia ovviamente lunghi natali ed un clinamen, uno di quegli eventi che disturbano il solito fluire accendendo la scintilla di una carambola impazzita, nel 1870, con la unificazione dei germani. Ma questo ci porterebbe a dover parlare di molte altre cose che non sono nell’oggetto del post. L’oggetto del post era -l’insidioso- invito di Putin a ragionare assieme sulla memoria perché non si può costruire futuro assieme se non si ha una memoria assieme e se non ci si mette nella condizione di voler costruire assieme un futuro, si rischia di ripetere il passato.

Per via di una mia distrazione nella breve ricerca fatta per scrivere quel post sull’articolo di Putin, sono finito su molte riviste americane da American Interest a Foreign Affairs o Policy, in cui non si parlava di questo ultimo articolo del russo, ma della sua ambizione revisionista, basata poi su un presuntuoso atteggiamento da storico “amatoriale” con una davvero sprezzante sequenza di unanime vero “odio umano” nei suoi confronti. Colpiva tale sentimento e chiariva anche quanta nebbia di guerra ancora alberghi nei cervelli che pure vantano qualche cattedra di storia nella Ivy League. Alla faccia dell’avalutatività weberiana! Ora, Putin o Xi Jinping o Modi possono piacere o dispiacere, ma è abbastanza ininfluente il nostro sentimento, visto che sono “fatti”, fatti coi quali si dovrebbe trovare regime di convivenza planetaria, poiché tra le poche cose certe del futuro c’è il piccolo particolare che non possiamo più regolare i problemi di convivenza nello spazio comune con la guerra. Una bella discontinuità sul piano della dinamica storica degli ultimi cinquemila anni, regalataci per sbaglio dalla fisica tedesca del Novecento, che ci converrebbe tener tutti più a mente.

L’argomento del post ha oggi anche una ulteriore attualità nel fenomeno delle statue. Simboli di un certo tipo di memoria, sono oggi in molti casi oggetto di violento revisionismo e violento contro-revisionismo. Certo, fare revisione storica dell’immagine di mondo a colpi di statua sì e statua no è deprimente, ma rivedere la storia di per sé non è sbagliato ove il nostro presente si trovi ad un certo punto su traiettorie diverse da quelle generate ai tempi in cui si eresse una statua. Non è tanto l’aggiornamento del nostro presente il punto, è questo in funzione del futuro. Lì dove vogliamo portare il futuro, implica darci una passato a cui vogliamo dar compiti di fondazione.

In tutto ciò, una cosa pare certa: il nostro futuro occidentale implica fare i conti con i lunghi cinque secoli del moderno perché il futuro sarà qualcosa di molto verso dal moderno, sarà un’altra epoca storica. Ancora non sappiamo dire, ovviamente, che caratteristiche avrà. Ma l’invito di Putin e il movimento delle statue, sembrano almeno invocare l’inclusività.

Fare i conti col colonialismo e l’imperialismo, con le varie oppressioni di etnia, sesso, genere, anagrafe e perché no, di classe o ceto (sebbene il pallino del movimento culturale essendo in mani anglosassoni preferisce le categorie orizzontali diritto-civiliste del progressismo liberale a quelle verticali dell’analisi sociale), non è molto diverso dall’invito del russo a ricostruire un passato comune in Europa per darci un futuro competitivo ma non conflittuale. Non si tratta di far pace nel pensiero, si tratta di condividere i requisiti minimi di una immagine di mondo dentro cui poi ognuno riprenderà le sue posizioni seguendo la sua ideologia nel nuovo contesto. Si sa, il contesto cambia il testo. Ormai nessuno è più dentro la foga delle posizioni che dividevano i medioevali, siamo tutti transitati al moderno, pur poi all’interno di questo assumere nuove posizioni diverse. Si tratta forse di far la stessa cosa, chiudere il capitolo passato per passare a quello nuovo.

Se mentre qualcuno butta giù ed imbratta statue che altri vogliono pulire e restaurare e qualcun altro tira fuori carte d’archivio che raccontano storie meno nobili di quelle che ci siamo raccontati per la buonanotte, qualcun altro provasse ad aprire capitoli di riflessione, potremmo almeno tranquillizzarci sul fatto che questa volta ci sarà un pensiero ad accompagnare la transizione storica. Fossi un intellettuale ne vedrei della opportunità, il problema è semmai esserne all’altezza è in quel “il proprio tempo appreso con il pensiero” che oggi facciamo fatica a coltivare, pare …

PER UNA SEPARAZIONE DEGLI OCCIDENTI, di Pier Luigi Fagan

Penso che la domanda giusta sia: ma noi, gente europea, popoli europei con questa gente quanto ci abbiamo a che fare? Potremmo scoprire che gli OCCIDENTI sono più di due e che solo negli Stati Uniti hanno trovato modo di convivere, ma in quella maniera; almeno sino ad ora. Forse lì hanno trovato un primo denominatore comune_Giuseppe Germinario

PER UNA SEPARAZIONE DEGLI OCCIDENTI. (Dedicato a mia moglie, texana del confine quindi “quasi latina”, ma italiana da quasi quaranta anni). La potente dinamica storica nella quale siamo capitati, impone una riflessione sull’aggregato che chiamiamo “Occidente”. Il termine è un relativo, c’è sempre qualcuno alla tua destra o sinistra stando su un meridiano della Terra, tutto sta a stabilire dove poni il tuo punto. Dalla fine dell’ultima guerra, l’unica potenza superstite vincitrice e per altro l’unico grande stato rimasto intatto, anzi cresciuto e potenziato, furono gli Stati Uniti d’America. Gli USA decisero allora di formare un blocco occidentale organizzato, il cui centro era posto in un punto imprecisato dell’Atlantico.

Sebbene oggi ai più paia naturale ed oggettiva questa partizione, sarà bene ricordare che nella prima parte del ‘900 ed ovviamente prima ancor di più, Occidente era limitato all’Europa centro-occidentale. Il resto era ritenuta una appendice anglofona dei britannici (Stati Uniti, Canada, Australia, Nuova Zelanda) ed una appendice latina centro-sud americana, residuo del colonialismo iberico con una spruzzata di francese ed una goccia di olandese, più qualche migrante italiano.

L’Occidente recente, è stato un sistema a baricentro americano, ordinato dal principio economico, ordinato dal mercato ed ordinativo del politico espresso in un parlamento da un popolo di produttori-consumatori soggiacente una élite dotata di capitale. La vis bellica del sistema è stata delegata interamente a gli americani. Dalla fondazione nel 1776, gli USA hanno fatto guerre per il 93% del loro tempo storico, unica pausa: i cinque anni della Grande depressione. Ora, le guerre si fanno per procura, si proteggono gruppi armati salafiti, si vendono armi a gli amici, si impongono dazi, si combatte su tutte le trincee finanziarie, economiche, diplomatiche, energetiche, digitali, spaziali. Adattivamente, gli americani contemplano una variabile da lungo tempo espulsa dai principali sistemi di civiltà: la violenza.

La contemplano esternamente dove il militare traina il complesso produttivo secondo auspici e condizioni di possibilità creati dal politico. Il complesso militare-industriale individuato dal presidente uscente D. Einsenhower, un generale repubblicano e non certo un yippie pacifista, nel celebre discorso radio il giorno del suo commiato nel 1961, venne poi reso concetto dal sociologo C. Wright Mills e da allora usato in letteratura da molti. La velina originaria del discorso del presidente contiene la dicitura “complesso militare-industriale-congressuale” con l’ultimo termine barrato in correzione. Già ai tempi di Einsehower, il complesso volgeva le sue mire non più solo o tanto alla produzione materiale industriale. Da lì a poco infatti nasceva Arpanet, la rete militare da cui proviene Internet. Il mondo digitale-informatico nel quale alcuni di noi sono nati, non è nato spontaneamente, è stato il frutto voluto di intense ricerche e sviluppi governato dalla RAND Corporation (ARPA-DARPA) sin dai primi anni ‘60 e molte altre istituzioni pubblico-private americane irrorate da capitali pubblici nella fase di messa a punto e poi privati nella fese di sfruttamento commerciale. Quando ancora non c’era quasi niente di tutto ciò da quotare, gli americani -previdenti- lanciano il NASDAQ, era il 1971, l’anno del Nixon shock. Il computer è fisicamente figlio di questo impegno (con capitali della Marina Militare), tutti gli sforzi sull’Artificial Intelligence e Life, la bioingegneria, le nanotecnologie, che già nel 2002, convergono in un piano promosso dalla Natonal Science Foundation e Dipartimento al Commercio USA in quella che venne chiamata: “convergenza NANO – BIO – INFO – COGNO” ovvero quel misto di post-umanesimo tecno-distopico atto a sviluppare potenziamento post-umano per chi se lo può permettere con ampie ricadute commerciali e strutture per il ferreo controllo psico-comportamentale delle popolazioni.

Ma lo sviluppo del principio di violenza che fa degli americani di gran lunga maggiori investitori pubblici in armi al mondo al grido di “più Stato per il mercato!” (dati SIPRI ’19: USA hanno la stessa spesa militare della somma dei successivi 11 stati ovvero Cina. India, Russia, Saudi Arabia, Francia, Germania, UK, Japan, South Corea, Brasile ed Italia), tenuto conto che loro da soli sono il 4,5% della popolazione mondiale e gli altri 11 sono poco meno del 50%, ha ovviamente il suo lato interno, un primato indiscusso anch’esso.

Il II° emendamento alla loro Costituzione, sancisce il diritto inviolabile di libertà individuale di occuparsi della difesa personale, cioè portare armi, 40 milioni in più dei suoi abitanti, il 42% delle armi personali del mondo. La National Rifle Association è la potente lobby che finanziando con 30 milioni di dollari (il doppio di quanto NRA investiva di solito in finanziamenti al candidato repubblicano) la campagna 2016 di Trump e con altri 24 milioni US$ altri sei senatori repubblicani tutti eletti, promuove gli interessi del comparto. Di contro, poiché gli USA hanno col 4,4% della popolazione il 22% della popolazione carceraria del mondo, (in Europa c’è un settimo della popolazione carceraria americana per 100.000 abitanti), la domanda di difesa personale è alta.

Oltre alle armi, c’è un complesso sistema di supporto alla libera espressione della violenza, assistenti sociali che riempiono gli svantaggiati di pillole per la devastazione psichica, giudici ed avvocati, carceri pubbliche ma soprattutto carceri private, le quali sono “imprese” al cui interno si lavora con paghe da schiavi (ma “Arbeit”, si sa, “macht frei” e del resto quella tedesca è l’etnia maggioritaria in USA) e che secondo non pochi studiosi, fanno a loro volta “pressioni” su i giudici distrettuali per ottenere condannati senza i quali l’impresa deperisce. Infatti, sebbene i tassi di criminalità siano diminuiti di un po’ negli ultimi decenni, quelli di incarcerazione sono aumentati del 500%.

Col solo 13% di popolazione totale, i neri sono ben più del 50% della popolazione carceraria ed un terzo di ragazzi sotto i 20 anni neri, sono tra carcere o libertà vigilata. Molto è dovuto allo spaccio di droga pulita consumata dai giovani rampolli bianchi, mentre quella chimicamente sporca è di conforto ai giovani neri. La mano d’opera di riserva, nel caso, è ispanica. Il consumo di droga americano è anche il maggior contributo dell’economia alla sviluppo per il Sud America. I cartelli della droga poi tiranneggiano i politici locali così che l’élite politica locale sia debole e manipolabile dalle multinazionali americane che vanno a rapinare le risorse indigene. A massaggiare le opinioni pubbliche latine poi c’è l’esercito degli evangelici.

Gli americani sono anche di gran lunga i maggiori consumatori al mondo di antidepressivi, ansiolitici ed ipnotici con ricetta e non, hanno la più alta percentuale al mondo di malati mentali e rispetto a tutti paesi occidentali, sono di gran lunga quello che i più alti indici di diseguaglianza. Un terzo della popolazione nel paese in cui vivono il 41% dei più ricchi del pianeta, è povero, ma gli homeless non sono ammessi perché la sola loro vista produce un reato perseguibile penalmente: “reato contro la qualità della vita”.

Adesso dilettatevi a tifare contro o per Trump, Biden, Soros, Gates, Bezos, Zuckerberg, Bannon, questo o quel articolista che vi spiegherà cosa c’è sotto questo o quello, qualche economista che vi spiega come si rende felice la scienza triste, o quello che vi terrorizzerà col pericolo cinese, sputerà contro qualche istituzione internazionale e vi imbambolerà con qualche cazzata di giornata a cui abboccherete con la passione tipica dei colonizzati mentali, i pretoriani dell’Impero che non mancano mai nei paesi ridotti ormai a colonie di fatto, felici di esserlo. E non dimenticate di ribellarvi ad Immuni stando su facebook ed usando google, mi raccomando …

Ma noi europei, con questa gente, cosa abbiamo a che fare?

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