Cattolicesimo da una lira o da un (euro)dollaro?_di Roberto Buffagni

Pensierino sulla manifestazione per la pace in Ucraina. Meglio che niente, ma: a) è veramente curioso, e gravemente sbagliato, che i manifestanti tutti ritengano che il loro compito principale consista in 1) dare giudizi individuando “chi ha la colpa” 2) auspicare generiche utopie, basate su concetti che sono calorie vuote (tipo “la guerra è orrenda, la pace è bella e necessaria”). Particolarmente curioso e sbagliato quando questo combo proviene da organizzazioni cattoliche, perché in teoria il cattolicesimo, almeno il cattolicesimo di una volta, diciamo il cattolicesimo da una lira, aveva ben chiari alcuni punti chiave: a) sino alla Parusia, male, disordine, ingiustizia sono realtà permanenti, il principe di questo mondo è Satana b) scopo dell’azione politica, dunque, NON è realizzare il Regno della Giustizia su questa terra, ma porre un freno al male (rinvio alle sei biblioteche dedicate al tema del “kathecon”). c) dunque emettere giudizi morali sugli avvenimenti storici è possibile, a volte anche necessario, ma non costituisce il criterio ordinatore dell’azione politica d) il criterio dell’azione politica è invece, per dirlo con le parole di un grande studioso di scuola realistica – non credente – del Politico, Julien Freund, “antivedere il peggio e sventarlo”. Ora in questo caso “il peggio” – il peggio per l’Ucraina, per i paesi europei, per l’Italia, per l’umanità in generale, è – caso raro – chiaro come il sole. Il peggio è l’escalation della guerra sino a uno scontro diretto fra due grandi potenze nucleari. Per “sventarlo” è indispensabile che qualcuno costruisca le condizioni minime necessarie per un’apertura di trattativa diplomatica tra Russia, Stati Uniti e Ucraina. Le condizioni minime necessarie sono che Kiev e Washington smettano di enunciare obiettivi strategici estremistici, es. “si tratta solo quando i russi se ne vanno dalla Crimea e Putin non è più Presidente”, perché tentare di realizzarli implica una guerra di grandi proporzioni tra Occidente e Federazione russa, che può deragliare in uno scambio nucleare strategico. Quindi, chi sostiene l’Ucraina, come la UE e i paesi che la compongono, deve SMETTERLA di sostenere questi obiettivi, e condizionare l’appoggio a una riduzione degli obiettivi strategici del proprio campo; il che per di più è atto di puro buon senso ed eticamente più che giustificato: non si può sostenere un alleato dandogli carta bianca e accettando qualunque cosa faccia come cosa buona e giusta in quanto la vittima è lui, perché la sua politica coinvolge anche te. Ma il cattolicesimo da una lira è fuori corso, oggi c’è il cattolicesimo da un euro o da un dollaro che a quanto pare ha cambiato idea.

NB_tratto da https://www.facebook.com/roberto.buffagni.35

Politica estera tedesca in vendita _ Di  Ryan Bridge

Attendere sulla riva del fiume. Chi? Il cadavere o la pecorella smarrita? O la carcassa della pecorella?. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Politica estera tedesca in vendita

Berlino sta cercando di assicurarsi le migliori offerte per se stessa in un mondo sempre più biforcato.

Il mondo si sta dividendo in due campi rivali, uno guidato dagli Stati Uniti e l’altro dalla Cina, ma sembra che nessuno lo abbia detto ai tedeschi. Questa settimana, il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha firmato l’acquisto da parte del colosso navale cinese COSCO di una partecipazione del 24,9% in un terminal portuale di Amburgo , annullando nel processo i suoi partner della coalizione e sei ministeri. Indignati, i ministeri controllati dai partner della coalizione di Scholz avrebbero apparentemente fatto trapelare i dettagli di una lettera formale in cui esponevano le loro obiezioni, affermando che l’investimento “espande in modo sproporzionato l’influenza strategica della Cina sulle infrastrutture di trasporto tedesche ed europee, nonché la dipendenza della Germania dalla Cina”.

Ma non è tutto. Dal 3 al 4 novembre Scholz guiderà una delegazione d’affari tedesca in Cina. Lo accompagneranno il presidente della Federazione delle industrie tedesche e gli amministratori delegati di Siemens e Volkswagen: Mercedes, Deutsche Bank e SAP hanno rifiutato di aderire. La visita solleva diversi interrogativi. Perché Berlino aveva fretta di approvare l’accordo sul porto di Amburgo prima del viaggio? Perché andare ora, quando l’unità occidentale contro la Russia e i suoi sostenitori (inclusa la Cina) è così critica, e quando Scholz vedrà comunque il presidente cinese Xi Jinping al vertice del G-20 a Bali alla fine di novembre? Perché andare da soli, e non come parte di un fronte comune, almeno con il presidente francese Emmanuel Macron? (Ricordate che quando ha invitato Xi a visitare Parigi nel 2019, Macron ha invitato l’allora cancelliera Angela Merkel e il presidente della commissione a partecipare, cosa che hanno fatto.) E perché portare dirigenti aziendali, quando la Germania è già fortemente dipendente dalla Cina,

Le esportazioni sono la linfa vitale dell’economia tedesca e le sue grandi aziende manifatturiere e chimiche hanno una forte influenza sulla politica tedesca. Inoltre non sono timidi nell’usarlo. Ad esempio, BASF ha affermato questa settimana che ridurrà “permanentemente” le sue operazioni europee a causa della debole crescita del mercato chimico europeo, dei picchi nei prezzi regionali del gas naturale e dell’elettricità e, in modo indiscutibile, dell’incertezza normativa indotta dall’UE. L’industria tedesca si è lamentata tutto l’anno che la perdita di gas russo a buon mercato rappresenta una minaccia esistenziale per le sue operazioni e, a sentire i capi dell’industria, per la nazione tedesca. Nonostante ciò, l’accordo sul porto di Amburgo e il viaggio d’affari a Pechino sono in definitiva decisioni politiche, che Scholz non ha dovuto prendere. Non c’è fretta: COSCO ha detto agli investitori che stava riconsiderando l’accordo dopo che Berlino ha ridotto la sua quota nel terminal portuale dal 35%, il che gli avrebbe dato una minoranza di blocco, per tranquillizzare i critici all’interno del gabinetto. E pubblicamente, almeno, non ci sono affari urgenti tra Berlino e Pechino che non possano aspettare che Scholz e Xi siano entrambi a Bali 12 giorni dopo. L’urgenza e il campanilismo si autoimpongono.

La dipendenza della Germania dalle esportazioni |  1970-2021
(clicca per ingrandire)

È anche inconcepibile che Scholz non sia a conoscenza degli attriti che questi sviluppi causeranno con gli alleati della Germania negli Stati Uniti, in Europa e in Asia. Ciò lascia due possibilità: in primo luogo, che Berlino stia tracciando una rotta non allineata nella nuova guerra fredda tra Stati Uniti e Cina. O in secondo luogo, che sta tentando di assicurarsi il miglior rapporto possibile con la Cina ora, mentre c’è ancora tempo, al fine di bloccare opportunità economiche e rafforzare la sua posizione futura rispetto ai suoi partner.

Berlino ha un po’ di spazio di manovra. Un interessante effetto collaterale del pantano russo in Ucraina è che nel tempo diminuisce un elemento chiave dell’influenza degli Stati Uniti sulla Germania. La sicurezza tedesca ed europea è garantita dalla NATO, vale a dire dall’esercito americano. Ma l’alleanza è stata alla ricerca di una giustificazione per se stessa per gran parte del 21° secolo. L’invasione su vasta scala dell’Ucraina da parte della Russia ha scioccato la NATO per la sua obsolescenza, ma la Russia sembra ogni giorno meno minacciosa. Le forze russe stanno cercando disperatamente di mantenere il misero territorio ucraino che hanno conquistato in otto mesi di combattimenti fino all’arrivo di rinforzi scarsamente addestrati. Lungi dal minacciare in modo credibile la NATO con la terza guerra mondiale, La strategia di Mosca sembra essere quella di sopravvivere fino a quando le società occidentali non perderanno interesse per l’Ucraina o non saranno sufficientemente allarmate per le minacce nucleari russe per fare marcia indietro. Tra cinque o 10 anni, è dubbio che la Russia rappresenterà una minaccia maggiore per la Germania di quanto non rappresenti oggi o di quanto si credeva all’inizio dell’anno. La pressione interna negli Stati Uniti per ridurre i propri impegni in Europa non farà che aumentare, ed è concepibile un cambiamento improvviso sotto un’amministrazione repubblicana. Ma questa minaccia non avrà la stessa risonanza immediata a Berlino come quando l’allora presidente Donald Trump ce l’ha fatta nel 2020. È sempre meno chiaro da cosa le decine di migliaia di truppe statunitensi di stanza in Germania stiano proteggendo i tedeschi. è dubbio che la Russia rappresenterà per la Germania una minaccia maggiore di quella che rappresenta oggi o di quella che si credeva all’inizio dell’anno. La pressione interna negli Stati Uniti per ridurre i propri impegni in Europa non farà che aumentare, ed è concepibile un cambiamento improvviso sotto un’amministrazione repubblicana. Ma questa minaccia non avrà la stessa risonanza immediata a Berlino come quando l’allora presidente Donald Trump ce l’ha fatta nel 2020. È sempre meno chiaro da cosa le decine di migliaia di truppe statunitensi di stanza in Germania stiano proteggendo i tedeschi. è dubbio che la Russia rappresenterà per la Germania una minaccia maggiore di quella che rappresenta oggi o di quella che si credeva all’inizio dell’anno. La pressione interna negli Stati Uniti per ridurre i propri impegni in Europa non farà che aumentare, ed è concepibile un cambiamento improvviso sotto un’amministrazione repubblicana. Ma questa minaccia non avrà la stessa risonanza immediata a Berlino come quando l’allora presidente Donald Trump ce l’ha fatta nel 2020. È sempre meno chiaro da cosa le decine di migliaia di truppe statunitensi di stanza in Germania stiano proteggendo i tedeschi.

Allo stesso tempo, mentre Washington cerca di superare in astuzia Pechino, sta diventando più protezionista. I tedeschi sono furiosi per le disposizioni “Compra americani” nella legge sulla riduzione dell’inflazione del presidente Joe Biden, che favoriscono i veicoli elettrici di produzione nazionale. Può avere senso per la Casa Bianca difendere la propria base industriale per competere con la Cina, ma le case automobilistiche tedesche non capiscono perché dovrebbero essere escluse anche loro. Ciò è tanto più allarmante per la Germania perché, lungi dall’abbandonare il suo modello di crescita trainata dalle esportazioni, Berlino vuole raddoppiare, come dimostrano le sue considerazioni sulla riapertura dei colloqui di libero scambio con Washington .

Il problema della Germania è che il suo modello economico è così dipendente dal commercio che la sua politica estera è effettivamente in vendita, ma può solo prendere seriamente in considerazione un’offerta: quella americana. La NATO potrebbe non essere necessaria per la sicurezza immediata della Germania, ma fornisce comunque l’ordine su cui la Germania ha costruito la sua intera grande strategia. Il fulcro della forza economica della Germania è il suo dominio sul mercato europeo, che viene a costo di dare il veto ad altri 26 governi su aspetti della sua definizione delle politiche. La Russia potrebbe non spaventare la Germania ora o nei prossimi anni, ma i paesi tra di loro non si sentiranno allo stesso modo. Costretti a scegliere tra, diciamo, un controverso accordo di investimento UE-Cina o garanzie di sicurezza americane contro Mosca, gli europei dell’est sceglieranno gli americani. Il governo di Scholz non ha dato all’est alcuna ragione per ritenere che Berlino sia in grado o sia disposta a sostituire le garanzie statunitensi. Berlino sta cercando di indebolire il veto dei suoi partner con aproposta di procedura accelerata di approvazione del commercio , che metterebbe da parte i parlamenti nazionali e interromperebbe gli accordi commerciali in modo che le parti che contano di più per la Germania possano essere votate separatamente (e solo dai leader nazionali). Tuttavia, ciò non eliminerebbe la leva statunitense. Forse ancora più importante, nel frattempo, la leva energetica degli Stati Uniti sull’Europa è destinata a salire, poiché il Continente aspira il gas naturale liquefatto degli Stati Uniti al posto del gas russo.

L’economia tedesca farà fatica a far fronte a un mondo diviso in blocchi rivali. Potrebbe ancora negare il disaccoppiamento tra Stati Uniti e Cina. Più probabilmente, sta cercando di sfruttare al meglio il tempo e di sfruttare al meglio le sue possibilità per ottenere il miglior affare possibile per se stesso. Con un po’ di fortuna, la Cina gli farà concessioni nel disperato tentativo di rompere il fronte USA-UE. I flirt di Scholz con Xi potrebbero spingere gli Stati Uniti a prendere in considerazione le preoccupazioni dei suoi alleati quando faranno mosse future per danneggiare la Cina o aiutare se stessa. Ma alla fine, la Germania non ha nessun altro posto dove andare e non ha la volontà di provare a creare una terza via.

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UNA TANGENTOPOLI PER UNA NUOVA ARCHITETTURA ISTITUZIONALE E TERRITORIALE DELL’UNIONE EUROPEA (UE). di Luigi Longo

UNA TANGENTOPOLI PER UNA NUOVA ARCHITETTURA ISTITUZIONALE E TERRITORIALE DELL’UNIONE EUROPEA (UE).

di Luigi Longo

 

 

E’ noto anche se non conosciuto che i vaccini non proteggono dal virus Sars Cov-2 né tantomeno impediscono il diffondersi della malattia da Covid-19 soprattutto quando vengono iniettati in piena pandemia! (1)

Tutti ricordiamo le parole terroristiche di Mario Draghi, che non si discostano da quelle usate dagli altri sub-decisori europei, << Due cose. L’appello a non vaccinarsi è un appello a morire sostanzialmente – non ti vaccini, ti ammali, muori – oppure fai morire – non ti vaccini, ti ammali, contagi lui lei muore -, questo è. Secondo. Senza vaccinazione si deve chiudere tutto, di nuovo. Noi sappiamo ora che il vaccino si sta diffondendo. Sappiamo anche che grazie alla vaccinazione le conseguenze sui ricoverati in terapia intensiva e sui morti sono molto, molto meno serie di quelle che abbiamo visto, fino a 4 mesi fa. Mi fermo qua.>> (2).

Sono note, perché vissute sulla pelle della popolazione, le nefaste conseguenze delle scelte di politica sanitaria fatte ai diversi livelli nazionale, europeo e mondiale per arginare la cosiddetta pandemia. Scelte che nulla hanno avuto a che fare con la salute della popolazione ma molto hanno avuto a che fare con il conflitto tra le potenze mondiali nell’attuale fase multicentrica (3). A tal proposito riporto quanto ho scritto di recente << L’intervento di politica sanitaria per bloccare la pseudo pandemia tramite i soli vaccini prodotti in maniera superficiale, rozza e antiscientifica è la prova provata dell’utilizzo della malattia covid-19 per altri fini (politici, economici, sociali, istituzionali, geopolitici) e non certamente per tutelare la salute delle popolazioni. Parlo di sieri genici, non vaccini, avallati oltre che dalle interessate Big Pharma, soprattutto da tutte le istituzioni mondiali scientifiche e non: si pensi, per esempio, alla formazione dei protocolli secretati della produzione dei cosiddetti vaccini, al non controllo pubblico degli effetti sulla popolazione, all’assurdità antiscientifica di vaccinare una popolazione in piena pandemia, al divieto di curare con farmaci efficaci (comuni antivirali, antibiotici, anti-infiammatori e immunostimolanti/modulanti, eccetera) la malattia, salvando vite umane così come hanno dimostrato, nella pratica e scientificamente, i medici italiani che hanno rifiutato le indicazioni del Ministero della Sanità (quale decisore servile risponderà di questo genocidio?!), fino alla durata della produzione dei vaccini: occorrono mediamente 10 anni per produrre seriamente e scientificamente un vaccino! >>

Oggi la Covid-19 è diventata endemica e dovrebbe essere trattata come una normale influenza, salvo riutilizzarla come strumento per completare le strategie dei sub-decisori in tema di ristrutturazione economica, di rimodellamento della sanità, di riconsiderazione della mobilità sociale, di riscrittura delle leggi di stato di eccezione, di un riuso diverso della città e del territorio, eccetera. A tal riguardo sottolineo che << il virus Sars Cov-2 è lo strumento per ridisegnare, nella fase multicentrica, una nuova architettura economica (conflitto nelle sfere economica e finanziaria), sociale, politica, istituzionale (conflitto nelle sfere istituzionale, politica, lavoro, giuridica) e territoriale dei singoli Paesi (conflitto nelle sfere geopolitica, geoeconomica e geoideologica) e per rideterminare le aggregazioni di Paesi e di aree intorno ai centri-potenza (USA in relativo declino, Cina e Russia in ascesa) in conflitto per l’egemonia mondiale (dominio assoluto per gli USA, dominio condiviso per la Cina e per la Russia) >>.

In questi giorni circolano sui mass-media due notizie: la prima riguarda la dichiarazione dell’eurodeputato olandese Rob Roos che svela tramite la dichiarazione della Janine Small (presidente della sezione Pfizer dedicata allo sviluppo dei mercati internazionali) che il cosiddetto vaccino Pfizer non ferma la trasmissione del virus Sars-Cov-2 (4); la seconda concerne l’attacco alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen sulle trattative parallele per l’acquisto di dosi di vaccino Pfizer (l’Ufficio del Procuratore pubblico europeo (EPPO) (5) ha aperto un’inchiesta sulla fornitura di vaccini all’Unione europea) (6).

E’ utile sottolineare che l’attacco alla Presidente della Commissione europea è partito da una rivelazione del quotidiano statunitense The New York Times (7).

Perchè proprio ora viene lanciato un pesante attacco alla Presidente della Commissione europea, l’organo preposto alla gestione e alla esecuzione delle strategie statunitensi nel conflitto apertosi in questa fase mondiale multicentrica? Perché gli USA, proprio in questa fase della loro guerra contro la Russia, via Ucraina-Nato-UE, tentano di destabilizzare l’organo di esecuzione e di gestione delle loro strategie di dominio?

La mia ipotesi, tutta da approfondire, è che gli USA, terminato il progetto UE e sostituito con il progetto-trasformazione Nato (8), hanno bisogno di cambiare, di costruire una nuova architettura istituzionale e territoriale (di potere, non di dominio!) più adatta alla Nato e alle esigenze della fase multicentrica. Non occorre più l’unità economico-finanziaria della UE (coordinata dal vassallo tedesco e dal valvassore francese) con la sua architettura istituzionale e territoriale finalizzata ad un modello di sviluppo, subordinato e integrato a quello egemonico statunitense (americanizzazione del territorio europeo), proprio della fase monocentrica occidentale fino al 1990-1991 (implosione URSS) e mondiale fino al 2011 (chiara ascesa delle due potenze mondiali Cina e Russia). Parlo di unità economico-finanziaria dell’UE e non di unità politica perché l’UE non è mai stata, per ovvi motivi, un soggetto politico autonomo e autodeterminato in relazione ad altri territori mondiali (occidentali ed orientali); ne è una conferma ulteriore il ruolo che sta svolgendo nella guerra contro la Russia che, in maniera servile, si sta autodistruggendo socialmente, economicamente, territorialmente e culturalmente seguendo la crisi del declino irreversibile degli Usa (che è crisi dell’intera civiltà occidentale).

Può l’Europa, intesa come territorio geografico e spazio geopolitico, essere autonoma e libera quando è occupata dalle basi militari Usa-Nato? Ma davvero si può essere liberi con una occupazione militare di fatto? E’ difficile capire questa semplice e nello stesso tempo complessa situazione oggettiva che preclude qualsiasi idea di sviluppo altro e impedisce di avere un ruolo di interconnessione nelle relazioni tra Occidente e Oriente?

Il progetto Nato per il controllo e la presa sull’Europa è quello che più si addice nella fase multicentrica dove la sfera militare assume un ruolo particolare nelle strategie degli agenti strategici egemonici statunitensi (9). Per questa ragione la nuova strategia Usa, iniziata con Donald Trump, punta ad avere una relazione asimmetrica bilaterale con le singole nazioni europee (si veda l’esempio dell’attuale crisi della Germania (10)) sotto il coordinamento della Nato (11).

La gravità per le nazioni europee è data dal fatto che mentre nella suddetta fase monocentrica gli Usa avevano un modello economico, sociale, politico e culturale capace di egemonia mondiale; nell’attuale fase multicentrica gli Usa (in declino relativo ma irreversibile) non sono più in grado, per il conflitto non più componibile degli agenti strategici, di proporre un nuovo modello di sviluppo, capace di fare sintesi nazionale e proiettarsi come potenza mondiale, da contrapporre a quello avanzato dalla Cina, motore del costituendo polo asiatico in grado di sfidare gli Usa per un mondo multicentrico e non monocentrico ad immagine e somiglianza statunitense (12).

L’attacco alla Presidente della Commissione europea può essere considerato, fatte le dovute differenze storicamente date, come una tangentopoli europea (preciso, a mio modo di vedere, che la separazione dei poteri nella realtà non esiste, ma esiste lo scontro tra i poteri per il dominio) che dà la stura formale ad un processo di cambiamento per una nuova architettura di controllo e gestione del territorio europeo che passa attraverso il progetto Nato strumento fondamentale a livello mondiale delle strategie statunitensi per contrastare la configurazione e l’ascesa del polo asiatico.

All’interno di questo quadro (proprio in virtù del fatto che l’UE è un processo di integrazione per competizione e non per cooperazione di sistemi nazionali, nel quale ci sono precise gerarchie statunitensi che impediscono una Europa delle nazioni) leggo il ruolo che possono svolgere i sub-decisori europei cosiddetti sovranisti. Essi possono distruggere la vecchia struttura e costruirne una nuova finalizzata non ad un nuovo modello sociale europeo autodeterminato con uno sviluppo a tutto tondo ma a eseguire gli ordini per la costruzione di un nuovo spazio europeo utile alle strategie di dominio degli agenti strategici statunitensi; e, in specifico, i sub-decisori sovranisti italiani (supportati dal Presidente Sergio Mattarella e da Mario Draghi, l’attuale e futuro presidente della Repubblica, i veri garanti della servitù volontaria verso gli Usa) possono svolgere un ruolo non secondario per la realizzazione di una nuova Europa nella fase multicentrica.

 

 

 

NOTE

 

1.Per una storia delle pandemie si rinvia a Mark Honigsbaum, Pandemie. Dalla Spagnola al Covid-19, un secolo di terrore e ignoranza, Ponte alle Grazie, Milano, 2020. Si suggerisce una lettura critica soprattutto per quanto concerne sia la mancanza delle relazioni tra pandemie e rapporti sociali sia l’assenza delle pandemie come strumento di conflitto tra potenze mondiali; per un’ottima descrizione del conflitto nella scienza e nella sanità si rimanda al racconto fatto da Louis-Ferdinand Cèline sulla vita di uno degli eroi scientifici dell’Ottocento: Ignazio Filippo Semmelweis, il debellatore dell’infezione puerperale. Lo stesso conflitto è successo, fatte le dovute differenze storiche, con la Covid-19: della serie tutto torna, ma in maniera diversa. Il libro è Louis-Ferdinand Cèline, Il dottor Semmelweis, Adelphi edizioni, Milano, 2022.

2.Conferenza stampa del Presidente Draghi e dei ministri Cartabia e Speranza, www.governo.it/articolo/conferenza-stampa-draghi-cartabia-speranza/17515 , 22/7/2021.

3.Sono inquietanti le logiche del potere e del dominio quando negli USA (scienziati della Boston University) si continua a sviluppare la branca della scienza mefitica della Gain of Function, che producono virus chimerici, cioè manipolati geneticamente, per inventare una malattia nell’eventualità che un giorno esista davvero, si veda Redazione Adnkronos, Covid, più ceppo Omicron Wuhan: creato virus mortale all’80%, www.adnkronos.com/covid-omicron-piu-ceppo-wuhan-creato-virus-mortale-all80_5VZlE0SrurJ9z7EnOt2tZ0, 18/9/2022.

4.Si veda l’ottima ricostruzione della Enrica Parucchietti, Vaccini mai testati sulla trasmissione: l’ammissione di Pzifer sbugiarda media e autorità, https://www.lindipendente.online/2022/10/13/vaccini-mai-testati-sulla-trasmissione-lammissione-di-pfizer-sbugiarda-media-e-autorita/ , del 13/10/2022.

5.Per informazione ideologica sull’EPPO si rimanda al sito europeo https://www.consilium.europa.eu/it/policies/eppo/. Per svelare il ruolo dell’EPPO riporto quanto affermato su di esso da Cesare Sacchetti << Vedo che alcuni stanno esultando perché l’ufficio del procuratore pubblico europeo (EPPO) ha aperto una inchiesta sulla fornitura di vaccini all’Unione europea. Non vorrei essere troppo brutale, ma probabilmente alcuni non sanno che tale ufficio non è un corpo indipendente come dichiara.

Questo organo lavora per l’UE ed è pagato dall’UE. La sua regolamentazione è prevista nei trattati. L’UE voleva dimostrare ipocritamente di essere trasparente e ha creato questo ufficio il cui compito non è quello di scoprire i crimini commessi dai commissari europei, ma di certificare, su mandato della stessa UE, che nulla è accaduto.

A Bruxelles sono anni che i presidenti della Commissione e i commissari ricevono tangenti da case farmaceutiche e potentati industriali. Sapete quanti grossi affari illeciti comunitari ha fatto scoprire l’EPPO? Zero. I deputati europei che vendono l’inchiesta dell’EPPO come un grande “successo” non stanno aiutando a far venire fuori la verità sui vaccini. Stanno proteggendo la Pfizer >> in https://www.maurizioblondet.it/a-noi-che-abbiamo-sperato-nella-incriminazione-di-ursula/, 16/10/2022.

6.Sull’inchiesta dell’EPPO si veda Tommaso Lecca, La Procura europea apre un’indagine sull’acquisto dei vaccini contro il Covid da parte di Bruxelles, https://europa.today.it/attualita/procura-europea-indagine-vaccini-von-der-leyen.html.

7.https://www.nytimes.com/2021/04/28/world/europe/european-union-pfizer-von-der-leyen-coronavirus-vaccine.html.

8.Luigi Longo, Il progetto dell’Unione europea è finito, la Nato è lo strumento degli Usa nel conflitto strategico della fase multicentrica, www.italiaeilmondo.com, 26/11/2018.

9.Luigi Longo, La Nato è lo strumento degli Usa nel conflitto strategico della fase multicentrica, www.italiaeilmondo.com, 30/7/2022.

10.Thierry Meyssan, Che giochi fanno Stati Uniti e Germania?, www.voltairenet.org, 18/10/2022.

11.Luigi Longo, L’Europa tra le vie della Nato, le vie della seta e le vie dell’energia. Prima parte, www.italiaeilmondo.com, 19/11/2019.

12.Sul ruolo della Cina considerata dagli Usa “l’unico concorrente con l’intento e, sempre più, la capacità di rimodellare l’ordine internazionale.”, si veda Mike Whitney, La guerra tecnologica di Biden diventa nucleare, www.comedonchischiotte.org ,19/10/2022.

 

 

Fermare la guerra! A quali condizioni?_di Giuseppe Germinario

Siamo al nono mese di guerra in Ucraina. Al progressivo e sempre più evidente coinvolgimento degli Stati Uniti e al trascinamento dei paesi della Alleanza Atlantica in Europa, corrisponde un affievolimento dell’entusiasmo, che in Italia per la verità non ha raggiunto mai vette eccelse, nel sostegno al regime ucraino. Non è ancora una opposizione aperta, anche perché in Italia manca totalmente una leadership politica in grado di alimentarla, sostenerla e dirigerla con discernimento. Il senso di inquietudine e di malessere, però, è palpabile e crescente.

Sarà il rischio sempre più evidente di uno scontro militare aperto che vedrebbe per la terza volta l’Europa come il campo di battaglia di un confronto che vede questa volta, a differenza delle altre due, negli Stati Uniti, un paese separato da un oceano e nella Russia, un paese immerso in due continenti con un piede ben saldo nel 40% del territorio europeo; sarà per le drammatiche conseguenze delle sanzioni, nominalmente volte a punire la Russia, di fatto a stroncare l’Europa, in primis Germania, Francia e Italia. Persino il nostro ceto politico, così entusiasticamente ed acriticamente schierato nel sostenere l’avventurismo statunitense, comincia a intravedere l’arrivo di fosche nubi all’orizzonte e a percepire la difficoltà nel dover gestire una situazione potenzialmente esplosiva.

Flebili voci iniziano ad alzarsi per “fermare la guerra” e “raggiungere la pace”. Un coro al quale partecipano anche i partigiani più oltranzisti nel sostegno al regime ucraino, alimentando con questo la confusione e gli equivoci nei quali rischierà di affogare ogni iniziativa seria e realistica. Una situazione non nuova nel panorama politico italiano così magmatico e paludoso.

Su questo tocca dare ragione a Calenda e alla sua chiarezza inequivocabile di schieramento. Ci è toccato vedere addirittura il PD manifestare per la pace di fronte alla ambasciata russa, dimenticandosi degli altri attori geopolitici coinvolti a pieno titolo. L’unico segno di cautela, dubito di ritegno, la fine di ogni velleità di assunzione di un ruolo di mediatore, resa provocatoria dall’atteggiamento del Governo Draghi.

Ogni presa di posizione credibile ed ogni iniziativa realistica non può prescindere dalle risposte da dare a tutta una serie di interrogativi rimossi dai facitori di opinione pubblica e dai costruttori di consenso:

  • Come mai gli Stati Uniti non hanno sottoscritto gli accordi di Minsk?

  • Come mai gli Stati Uniti hanno pesantemente armato, organizzato ed integrato, nella fase di latenza degli accordi, l’esercito ucraino con caratteristiche sempre più offensive e si sono spinti sino a sottoscrivere con il regime ucraino, nell’ottobre 2021, un accordo di mutuo soccorso che prevedeva addirittura l’insediamento di un consolato in Crimea?

  • Con quali finalità gli Stati Uniti hanno finanziato ed insediato, con la partecipazione del Pentagono e dei Servizi, decine di laboratori bio-chimici a ridosso dei confini con la Russia?

  • Come mai Francia e Germania hanno dimenticato di esercitare il proprio ruolo di garanti, previsto dagli accordi di Minsk?

  • Quale il motivo della rimozione riguardo alla natura del regime ucraino, nato dal peccato originale di un colpo di stato nel 2014, mosso da una strage ad opera di provocatori ormai in gran parte noti a piazza Maidan, proseguita con altre stragi ed esecuzioni ad Odessa, Melitopol e in tutta l’area russofona e russofila del paese, andata avanti con la progressiva messa al bando di partiti dell’opposizione, siano essi russofili, neutralisti o solo critici del crescente interventismo del regime ucraino?

  • Quale il motivo del silenzio sulle aperte discriminazioni nei confronti della componente russa e russofona, pari a ben oltre il 40% della popolazione originaria dell’Ucraina al 2014, culminata col la legge di tutela delle sole minoranze prive di statualità o con statualità interne alla Unione Europea?

  • Perché il sistema mediatico e politico, nella quasi totalità, continua ad omettere la esistenza e la dimensione reale delle stragi di propri civili, perpetrate coscientemente dall’esercito ucraino a fronte della continua segnalazione di stragi da parte russa, per altro in gran parte smentite dalla documentazione disponibile?

Tutti interrogativi posti non solo in nome di una esigenza astratta di verità o nel caso peggiore da una inconscia e acritica partigianeria e tifoseria a favore di uno dei contendenti, quanto dalla risposta dalla quale dipende una corretta e realistica azione tesa ad una tregua e ad un accordo possibile tra le parti.

Una tregua e un accordo che dipendono sostanzialmente da una premessa e da quattro determinanti necessarie a definire l’ambiente ecologico del teatro ucraino.

La premessa è che nel diritto e nelle convenzioni internazionali viene riconosciuta la facoltà di intervento bellico preventivo in caso di minaccia diretta, così come argutamente stigmatizzato dal professor Sinagra. Una situazione che andrebbe quantomeno approfondita, ma che i politici e l’informazione occidentale si sono ben guardati dall’analizzare sul campo. A questa segue il fatto che il principio di integrità territoriale di uno stato è contemperato dal diritto di autodeterminazione dei popoli, meglio se regolato secondo dinamiche concordate e vigilate nella loro osservanza dagli organismi internazionali. Nel contesto post-sovietico vi è comunque una fase di transizione che dovrebbe essere regolata secondo accordi politici che considerino i contenziosi inevitabili e le implicazioni per le nuove minoranze venutesi a determinare. Quello della discriminazione delle minoranze russe nei paesi seceduti dalla Unione Sovietica, poi denominata CSI, in particolare. L’azione statunitense, della NATO e della Unione Europea ha alimentato queste contrapposizioni piuttosto che risolverle o contenerle in funzione delle sue politiche espansive e russofobiche.

Quanto alle determinanti da tenere conto quanto segue:

  • non si può prescindere dal carattere di guerra civile, col tempo sempre più virulento, assunto dal conflitto militare in Ucraina;

  • né si deve sottovalutare la capacità operativa e di supporto delle forze militari e del complesso militare-industriale russo; sopravvalutare, sino a ritenerlo illimitato, quelli degli Stati Uniti e dell’Alleanza Atlantica;

  • riuscire ad individuare i limiti e la soglia sulla quale è disposta a fermarsi la leadership statunitense. Limiti e soglia non predeterminati dalla amministrazione americana, ma dipendenti dall’andamento del feroce scontro politico in corso all’interno della stessa e tra questa e l’opposizione sempre più strutturata del movimento trumpiano;

  • dalla volontà di una qualche parte delle élites politiche europee di inserirsi in quello scontro per far uscire il continente o almeno parte di esso dalla morsa mortale e suicida in cui si è progressivamente cacciato in un contesto paradossale nel quale la Russia sembra subire i maggiori problemi nel proprio vicinato prossimo, ma, assieme a Cina e India, sembra acquisire crescenti consensi nel resto del mondo a discapito del mondo occidentale.

Tutti fattori che rendono improponibile un mero ritorno agli accordi di Minsk, ma la cui azione protratta nel tempo renderà sempre più costoso il prezzo da pagare in caso di cedimento e più rischiosa l’eventualità di un azzardo.

Una cornice realistica che potrebbe definire un “manifesto alla nazione”, una piattaforma in grado di fermare la corsa alla guerra e al disastro socioeconomico cui stiamo andando incontro e che superi le due tare che inibiscono lo sviluppo di un movimento politico maturo ed efficace: la partigianeria e la tifoseria che, ad armi impari, comunque pervade gli schieramenti in campo; il massimalismo di una opposizione strisciante ma irrilevante che, sull’onda di slogan facili quali l’uscita dalla NATO, senza comprendere le pesanti, probabilmente drammatiche, implicazioni nel tempo e nel merito che una tale decisione comporterebbe, è destinata a rinchiudersi nel ruolo di testimonianza, di contestazione di comodo o di azioni avventate; la strumentalizzazione a fini di gestione partitica interna di iniziative per altri versi significative.

La leadership turca, ungherese, probabilmente quella futura bulgara e moldava, il passato gaullista della Francia mostrano la possibilità di azione entro i comunque angusti spazi offerti dal sistema di Alleanza Atlantica: offrono spazi, per di più, anche a quei settori sempre più presenti, che pur intendendo rimanere fedeli all’alleanza, intendono garantire un ruolo più autonomo al proprio paese. E qualche pallidissima traccia di questo atteggiamento lo si può rilevare persino nei programmi elettorali di alcuni partiti, quali la Lega. Che poi nel tempo, questa sia una posizione realistica, sarà tutta da dimostrare.

L’importante è sapere che più va avanti il processo di integrazione della alleanza, più sarà difficile e doloroso districarsi dai suoi tentacoli; in tutti gli ambiti, non solo quello militare. Ne parleremo quando approfondiremo il contenuto del NSS, appena prodotto dalla amministrazione statunitense

La guerra in Ucraina è una strana nebbia: sappiamo tutto sui dettagli, niente sull’essenza_di Vincze Hajnalka

Il termine “nebbia di guerra” si riferisce originariamente alla difficoltà di un accurato allineamento nel fervore della battaglia, quando si può solo brancolare alla cieca nel mezzo dell’incertezza generale. A prima vista, ciò che sta accadendo in Ucraina è l’esatto opposto. Non solo gli operatori di telefoni cellulari e i blogger locali condividono ogni minimo dettaglio, ma anche alcune agenzie di intelligence occidentali stanno gentilmente rendendo pubbliche le loro ultime valutazioni. Tuttavia, l’oscurità non si è dissipata, ma solo trasferita dalle briciole di cronaca del presente alle forze trainanti del passato e agli scenari del futuro. Di certo non spontaneamente. L’occultamento del quadro analitico a fini politici, tuttavia, non è privo di pericoli. I decisori – ora anche in Occidente – possono essere sempre più prigionieri della nebbia che hanno creato loro stessi. Nel frattempo, la posta in gioco continua a salire.

Una delle novità della guerra in corso è che le agenzie di intelligence occidentali (soprattutto americane e britanniche) sono diventate attori attivi nella comunicazione strategica, con un’apertura e una regolarità mai viste prima. Il ministero della Difesa britannico condivide quotidianamente “rapporti aggiornati dell’intelligence militare” sull’Ucraina su Twitter, Facebook e LinkedIn. Con il suo logo imponente e tutti i segni esterni di professionalità, crea contemporaneamente l’illusione di un’informazione imparziale e di un’iniziazione ai segreti più intimi. Naturalmente, gli agenti dell’intelligence non sono diventati improvvisamente tali stronzi per pura gentilezza, svolgendo una sorta di compito di servizio pubblico globale. Anche se non assumiamo una disinformazione intenzionale, possiamo supporre che le loro informazioni siano pesantemente filtrate in base alle priorità del loro governo prima di essere condivise.

Mentre il linguaggio delle organizzazioni di intelligence occidentali si è notevolmente irrigidito, tra gli esperti è successo il contrario: o si allineano o sono stigmatizzati. Ci si sta pian piano abituando alle obbligatorie cautele che vanno aggiunte a dichiarazioni analitiche che vogliono essere un po’ più indipendenti: “La Russia è l’aggressore”, “nessuno ha provocato” l’attacco , “la responsabilità dell’intero corso della il conflitto è esclusivamente con Mosca”.. Mentre la prima affermazione è un’evidenza ovvia, le altre due sono affermazioni che – in circostanze normali – sarebbero oggetto di infiniti dibattiti tra esperti. Prima dello scoppio della guerra, un buon numero dei più famosi ricercatori americani e dell’Europa occidentale, ad esempio, ammetteva: dal crollo dell’Unione Sovietica, le politiche dell’Occidente – soprattutto, la deliberata mancata chiusura dell’espansione della NATO – ha fortemente contribuito a far arrabbiare Mosca.

Quanto all’andamento del conflitto: l’inizio dell’attacco armato è sfociato davvero in una nuova – drammatica – situazione. Tuttavia, in risposta a ciò, non c’era ovviamente un unico percorso, ma una moltitudine di opzioni. Come sempre, i decisori hanno scelto tra questi quello che consideravano il più adatto dal proprio punto di vista. E da allora è stato così ogni giorno. Tuttavia, anche la qualità e l’entità delle sanzioni, delle spedizioni di armi e del linguaggio utilizzato come reazione occidentale alle azioni della Russia hanno delle conseguenze. E proprio come può plasmare la dinamica della crisi nella direzione della risoluzione, può anche portare a un’escalation. Tuttavia, menzionare tutto questo è attualmente un grave peccato, adducendo la stessa mentalità di natura diversa degli ultimi due anni e mezzo: la negazione del dogma russo.Come se non fosse evidente che la sfumatura non è parzialità, la spiegazione non è addolcimento.

Da ciò, è chiaro che ci sono parecchi casi in cui lo scopo è distorcere deliberatamente i fatti: per quanto ne sappiamo, il regime di Putin non risparmia soldi ai politici e agli opinionisti occidentali per sostenerlo e fargli luce. D’altra parte, è un male in passato – e usando il noto colpo di scena: vincerebbe il nemico – se dovessimo usarlo come riferimento al principio del pluralismo di opinione, e il dibattito legittimo diventerebbe impossibile . La “cultura della cancellazione” può imperversare contro coloro che sono fuori dal mainstream, e può emergere il metodo utilizzato più di recente in caso di epidemia: screditare e mettere a tacere. Michele BrenneroProfessore, noto specialista in relazioni transatlantiche e politica estera americana, ha anche annunciato: non continuerà. Anche negli ambienti professionali, le sue posizioni pubblicate, tipicamente dubbiose, sulla guerra in Ucraina sono state accolte con un conformismo così intenso e unanime, e sono state accolte con un’accoglienza incline agli attacchi personali, in cui non c’era possibilità di una discussione significativa. Come ha detto: ci sono stati segni di “nichilismo intellettuale” negli ultimi tempi, ma durante la sua lunga carriera non ha vissuto niente del genere.

Il presidente Zelensky è arrivato al punto di pubblicare una lista nera di esperti e politici americani che non gli piacevano.E chi l’ha preso e perché? Il senatore Rand Paul, per esempio, perché, secondo lui, l’America ha provocato la Russia con l’espansione della NATO. Da allora, ha anche affermato: se i soldi dei contribuenti americani vengono spesi per sostenere l’Ucraina, allora dovrebbe almeno essere discusso quali siano esattamente gli interessi e gli obiettivi degli Stati Uniti nel conflitto. Edward Luttwak, un esperto militare, una volta disse che varrebbe la pena indire un referendum nelle repubbliche separatiste, e ha anche osato parlare dei rischi della guerra nucleare, diventando così anche un “propagandista russo”. E non importa che fin dal primo giorno sostenga personalmente e faccia pressioni per un aumento delle spedizioni di armi in Ucraina. John Mearsheimer, figura di spicco della scuola realista delle relazioni internazionali, è stato messo nella lista della vergogna per aver menzionato il senso di minaccia russo.

OBIETTIVI, RISCHI, QUADRO INTERPRETATIVO COMPLESSO? CI SONO MOLTE COSE CHE POSSONO ATTIRARE L’ETICHETTA DI “TRADITORE” O “MERCENARIO PUTIN” AL MOMENTO.

Scenari cattivi e peggiori
La contestualizzazione sarebbe essenziale per una valutazione fattuale delle varie opzioni. Conoscendo gli antecedenti e le forze trainanti, si può solo dire per chi e dove vengono tracciate le linee rosse veramente invalicabili, e quali concessioni possono essere ancora accettabili . Ciò è particolarmente importante in un momento in cui la guerra è chiaramente entrata in una nuova fase con il contrattacco ucraino, l’aumento del supporto militare occidentale, i “referendum” di adesione e la mobilitazione russa. Quella in cui Mosca dice sempre più apertamente: a quanto pare, non è contro Kiev, ma contro Washington (e dietro la Nato) in Ucraina. E dove i protagonisti non si sottraggono più alle offerte nucleari. E dove anche il presidente Putin – e l’Occidente – devono fare i conti con la politica interna russa improvvisamente esplosiva.

In questa situazione, la prima domanda logica è cos’altro ha Mosca in termini di capacità militari. Per quanto strano, nulla è certo: gli analisti militari – anche sulle colonne dell’eccellente rivista britannica Survival – ammettono di oscillare tra gli estremi della sopravvalutazione e della sottovalutazione. Ma supponiamo che dopo questa esibizione, il presidente Putin sorprenderà tutti. Tira fuori le armi iper-super mai menzionate, le schiera in modo massiccio ed efficiente e tutto questo con un esercito coeso ed entusiasta. La NATO/America potrebbe fare due cose al riguardo. O si fa avanti e aumenta la sua partecipazione ai combattimenti (ma l’Alleanza, che è stata tenuta insieme fino ad ora, probabilmente va in pezzi al solo pensiero, cioè un conflitto nucleare si concluderebbe tangibilmente per sua stessa decisione), oppure lasciare in pace i difensori della loro patria, finora “costa quel che costa, dura finché dura”. In fondo incoraggiava e appoggiava gli ucraini (questo, però, non richiederebbe solo una spiegazione imbarazzante davanti al proprio pubblico parere, ma l’avversario principale è la Cina.

Tuttavia, se il presidente Putin non può tirare fuori nulla dal cilindro che possa chiaramente ribaltare la situazione a suo favore militarmente, allora teoricamente ci si possono aspettare due sviluppi estremi.

Uno di questi è l’opzione nucleare, di cui si è molto parlato di recente. Le riflessioni su questo portano tutte allo stesso punto: la sua probabilità può essere solo indovinata, nessuno può vedere nella mente del presidente. Nel caso di una centrale nucleare, è in definitiva una questione soggettiva quando considera che il Paese è in pericolo terminale, e quando decide – contro quale obiettivo e in quale forma – che il vantaggio di ribaltare il tabù nucleare è superiore a quello rischi. L’altra possibilità che si presenta sempre più spesso è la caduta di Putin.Mentre molte persone in Occidente sperano nella salvezza da questo, i baltici, che conoscono più da vicino la situazione russa, si raffreddano. Il segretario di Stato del ministero della Difesa lettone ha recentemente avvertito i suoi visitatori americani che “il periodo post-Putin sarà anche peggiore di quello attuale”. Ha delineato tre possibilità: o una leadership ancora più “stalinista” di quella odierna arriverà a Mosca, o le lotte di potere interne si trascineranno, o una completa disintegrazione con piccoli signori della guerra e milizie qua e là. Né è una prospettiva molto rassicurante in un paese con quasi seimila testate nucleari.

La soluzione è la stessa dall’inizio
Alla luce di ciò, uno degli aspetti più sorprendenti del conflitto in Ucraina è particolarmente bizzarro: finora non c’è stata alcuna seria iniziativa esterna per avviare negoziati di pace. Il momento più vicino alle parti per raggiungere un accordo basato su concessioni reciproche è stato ai colloqui di cessate il fuoco a Istanbul alla fine di marzo: le potenze occidentali hanno agito dappertutto come attive contropressioni. Come allora, come da allora , e anche prima della guerra, si conoscevano le linee fondamentali di un accordo equilibrato e sostenibile a lungo termine.

TUTTAVIA, MAN MANO CHE IL CONFLITTO SI TRASCINA, QUESTO DIVENTA SEMPRE PIÙ DIFFICILE: AUMENTANO IL NUMERO DELLE RIMOSTRANZE E IL DESIDERIO DI VENDETTA DA PARTE UCRAINA, MENTRE LA PARTE RUSSA È SEMPRE PIÙ CHIUSA IN UNA SPIRALE DI VIOLENZA.

Mosca – in preda al panico palpabile – si mobilita, chiede un referendum sull’annessione dei territori e grida “non sto bluffando” dispiegando “tutti i mezzi a sua disposizione”. Nel frattempo, il presidente Zelensky rifiuta l’idea di qualsiasi tipo di negoziazione sulla Cnn, e ovunque, anche all’Onu, grida che la Russia sia “punita”. E Washington – senza la quale l’Ucraina non sarebbe in piedi economicamente e militarmente, nonostante tutta la sua perseveranza e coraggio – lascia le cose così. Non si ferma nemmeno quando il governo ucraino propone sulle colonne del quotidiano britannico Guardian un attacco nucleare preventivo contro Mosca. Il che, nella logica del dare e avere delle strategie nucleari, equivarrebbe al suicidio per gli Stati Uniti.

Non c’è da stupirsi che, di fronte al tono sempre più aspro e alle prospettive sempre più cupe, la politica estera francese, che con discrezione ed entusiasmo ha preso strade separate e ha mantenuto il dialogo con il presidente Putin, sia ora ripresa. All’inizio di settembre, alla conferenza annuale degli ambasciatori, Emmanuel Macron ha dichiarato:

“Diplomazia significa parlare con tutti, compresi quelli e soprattutto quelli con cui non siamo d’accordo. Non possiamo lasciarci impantanare dal falso moralismo”.

Come in risposta a ciò, l’ex primo ministro danese e segretario generale della NATO Rasmussen (che è stato definito dal defunto presidente francese Jacques Chirac solo come “l’uomo degli americani”) ha recentemente affermato: Il presidente Macron ha “danneggiato l’Ucraina, indebolito Kiev “durante la sua ricerca di una soluzione diplomatica. Al ritorno dall’annuale Assemblea generale dell’Onu, però, il presidente francese ha ripetuto ancora: “il conflitto non può che finire al tavolo delle trattative”. La domanda è quanto dovremmo sbrigarci.

https://www.portfolio.hu/global/20220929/az-ukran-haboru-furcsa-kode-a-reszletekrol-mindent-tudhatunk-a-lenyegrol-semmit-sem-569741

 

 

 

 

Più realisti del re, di Giuseppe Germinario

Il 6 ottobre il Parlamento Europeo ha adottato una risoluzione sulla “Escalation della aggressione russa all’Ucraina” della quale si riporta il testo in calce.

Lascia allibiti per la forma e per il contenuto.

Di una protervia ed una sfrontatezza tipica delle mosche cocchiere; di una assise, parte di una istituzione ormai nella sua fase crepuscolare, comunque da sempre, ora più di prima, illuminata di luce riflessa.

Non ha valore risolutivo, vista la funzione poco più che decorativa di questa istituzione. A maggior ragione, però, i rappresentanti avrebbero potuto adottare maggiore accortezza nella forma e una postura più equilibrata nel merito.

Al contrario la solerzia più realista del re tipica di chi sa di non avere responsabilità dirette e di poter profluire buone intenzioni a buon mercato.

Nella forma il tono è di un bollettino di guerra propagandistico persino più rozzo e abborracciato dei comunicati e dei resoconti di regime ucraini.

Nel contenuto riporta in maniera stupidamente partigiana come atti di accusa verso la Russia le versioni offerte dai propagandisti ucraini con tutte le omissioni, i travisamenti e le contraffazioni alle quali ci hanno abituato nove mesi di propaganda bellica. Non un cenno ai documentati crimini dei quali amano bearsi pubblicamente gli stessi autori ucraini; nessuna considerazione del carattere civile di una guerra alimentata per anni dai disegni geopolitici anglosassoni e ai quali si prestano ottusamente in particolare le dirigenze dei paesi dell’Europa Orientale, almeno sino a quando si ritroveranno esse stesse vittime di questo gioco. Nessuna richiesta, conseguentemente,  di accertamento imparziale dei fatti. Un déjà vu non per questo sufficiente ad essere esorcizzato. Nessuna minima riflessione sulle conseguenze in casa propria di una estensione draconiana di sanzioni e di una possibile, sempre più probabile, estensione del conflitto. Una pedissequa riproposizione, senza per altro averne potere e competenza, del continuo tentativo statunitense di imporre gli strumenti della propria giurisdizione nella regolazione delle relazioni tra paesi terzi. Una faciloneria ed una radicalità propria di figure che sembrano non rendersi conto delle implicazioni potenziali di tali suggerimenti, né del calderone sul quale sembrano serenamente adagiati e imbolsiti.

La risoluzione, per la sua unilateralità, rappresenta la rinuncia ad ogni ambizione di svolgere un qualsiasi ruolo autonomo; sarebbe troppo parlare di mediazione. È una delega in bianco alla attuale leadership statunitense e agli assatanati che siedono al governo in Ucraina. È l’evidenza di un ceto politico che ha ragione e possibilità di esistere solo all’ombra, sempre più ridotta, propria di un mezzogiorno di fuoco, americana. Con l’aggravante di rivelarsi dei “rappresentanti per caso” poco consapevoli di quello che stanno facendo e occupati per lo più nel loro sostanzioso “particulare”; uno strumento di una fazione ben precisa della leadership statunitense; una cordata, quest’ultima, che partendo dalla segreteria di stato arriva ai centri di comando della NATO.

Già visti all’opera ai danni della Presidenza Trump, ora vedono balenare come un incubo un suo possibile ritorno, ma ben più accorto e avveduto. La loro speranza è alzare sempre più il tiro, specie se a pagarne il prezzo principale saranno i propri più solerti alleati in terra europea.

È probabile che il Consiglio Europeo, reale sede decisionale del consesso europeo, sarà più cauto nella forma e nella sostanza della propria condotta. Il bersaglio però è lo stesso.

La stampa ci ha rappresentato a gran cassa nel tetto al prezzo del petrolio e del gas l’argomento focale dell’ultimo Consiglio Europeo.

Niente di più falso. La decisione cogente ha riguardato l’estensione delle sanzioni alla Russia e soprattutto a se stessi e la facoltà di agire arbitrariamente verso gli eventuali trasgressori.

Sempre più, quindi, parte in causa, ma con modalità e finalità decise da altri.

Dio ci scampi più che dai cattivi, dagli stolti. Sempre che qualche manina non sapesse già del precipitare della crisi di oggi ed avesse precorso i tempi.

Buona lettura.

Il Parlamento europeo,

– viste le sue precedenti risoluzioni sulla Russia e l’Ucraina, in particolare quelle del 16 dicembre 2021 sulla situazione al confine ucraino e nei territori dell’Ucraina occupati dalla Russia[1] e del 1º marzo 2022 sull’aggressione russa contro l’Ucraina[2],

– viste le dichiarazioni sull’Ucraina rilasciate dai leader del Parlamento europeo il 16 e il 24 febbraio 2022,

– vista la dichiarazione resa il 24 febbraio 2022 dall’alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza a nome dell’UE sull’invasione dell’Ucraina da parte delle forze armate della Federazione russa,

– vista la dichiarazione resa il 24 febbraio 2022 dal Presidente del Consiglio europeo e dalla Presidente della Commissione sull’aggressione militare senza precedenti e non provocata della Russia contro l’Ucraina,

– vista la dichiarazione di Versailles dell’11 marzo 2022,

– viste le conclusioni del Consiglio europeo del 25 marzo 2022,

– vista la dichiarazione resa il 4 aprile 2022 dall’alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza a nome dell’UE sulle atrocità russe commesse a Bucha e in altre città ucraine,

– viste le decisioni adottate dal Consiglio in merito alle sanzioni e alle misure restrittive nei confronti della Russia, che comprendono misure diplomatiche, misure restrittive individuali, quali il congelamento dei beni e le restrizioni di viaggio, restrizioni alle relazioni economiche con la Crimea, Sebastopoli e le zone non controllate dal governo di Donetsk e Luhansk, sanzioni economiche, restrizioni ai media e restrizioni alla cooperazione economica,

– visti i principi di Norimberga elaborati dalla Commissione di diritto internazionale delle Nazioni Unite, che determinano ciò che costituisce un crimine di guerra,

– visto lo Statuto di Roma della Corte penale internazionale (CPI),

– vista la Carta delle Nazioni Unite,

– visti le convenzioni di Ginevra e i relativi protocolli aggiuntivi,

– visti l’Atto finale di Helsinki e i successivi documenti,

– viste le risoluzioni dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 2 marzo 2022 sull’aggressione contro l’Ucraina e del 24 marzo 2022 sulle conseguenze umanitarie dell’aggressione contro l’Ucraina,

– vista la Convenzione delle Nazioni Unite per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio,

– vista la sentenza della Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite del 16 marzo 2022,

– visti la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, il memorandum di Budapest sulle garanzie di sicurezza e il Documento di Vienna e i relativi protocolli aggiuntivi,

– visto l’articolo 132, paragrafi 2 e 4, del suo regolamento,

  1. considerando che, in conformità della Carta delle Nazioni Unite e dei principi del diritto internazionale, tutti gli Stati godono di pari sovranità e devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato; che la Federazione russa conduce dal 24 febbraio 2022 una guerra di aggressione illegale, non provocata e ingiustificata nei confronti dell’Ucraina e che il 16 marzo 2022 la Corte internazionale di giustizia ha ordinato alla Federazione russa di “sospendere immediatamente le sue operazioni militari nel territorio dell’Ucraina”;
  2. considerando che dal 24 febbraio 2022 migliaia di civili ucraini hanno perso la vita o sono rimasti feriti durante l’aggressione e l’invasione russe, mentre quasi 6,5 milioni di cittadini ucraini sono stati sfollati all’interno del paese e oltre 4 milioni sono fuggiti nei paesi vicini, a cui si aggiungono le oltre 14 000 persone, sia militari che civili, che hanno perso la vita negli ultimi otto anni a causa dell’occupazione della Crimea da parte della Federazione russa e del conflitto da essa generato nell’Ucraina orientale;
  3. considerando che, a un mese dall’inizio dell’aggressione russa, la guerra in Ucraina continua a mietere vittime innocenti; che le atrocità commesse dalle truppe russe hanno raggiunto un nuovo livello di efferatezza, come dimostra la scoperta, avvenuta domenica 3 aprile 2022, dei corpi di donne e uomini civili abbandonati nelle strade di Bucha, una città rimasta inaccessibile all’esercito ucraino per almeno un mese; che tali fatti giustificano chiaramente l’istituzione di una commissione internazionale incaricata di indagare su tutti i crimini commessi dall’esercito russo dall’inizio della guerra;
  4. considerando che l’esercito russo prosegue i bombardamenti indiscriminati e gli attacchi aerei contro zone residenziali e infrastrutture civili, come ospedali, scuole e asili, il che ha causato la distruzione totale o quasi totale di Mariupol, Volnovakha e di altre città e paesi;
  5. considerando che l’Ucraina ha finora mostrato livelli senza precedenti di resistenza e resilienza, impedendo alla Russia di raggiungere il suo obiettivo bellico iniziale, ossia l’occupazione dell’intero paese;
  6. considerando che il 5 aprile 2022 la Commissione ha proposto e annunciato nuove sanzioni e sta lavorando a ulteriori pacchetti di sanzioni; che le prime sanzioni dell’UE nei confronti della Federazione russa sono state applicate nel marzo 2014 a seguito dell’annessione illegale della Crimea, avvenuta nel 2014, e che il più recente pacchetto è stato adottato il 15 marzo 2022 a seguito dell’invasione non provocata e ingiustificata dell’Ucraina da parte della Russia, iniziata il 24 febbraio 2022; che l’UE ha altresì adottato sanzioni nei confronti della Bielorussia in risposta al suo coinvolgimento nell’aggressione e nell’invasione russe;
  7. considerando che le sanzioni stanno avendo effetto, ma che gli acquisti da parte dell’UE di combustibili fossili dalla Russia continuano a fornire al regime mezzi che contribuiscono a finanziare la guerra;
  8. considerando che l’UE versa fino a 800 milioni di EUR al giorno alla Russia per la fornitura di combustibili fossili, il che ammonta a quasi 300 miliardi di EUR all’anno;
  9. considerando che studi accademici[3]dimostrano che il divieto delle importazioni di combustibili fossili dalla Russia avrebbe un impatto sulla crescita economica dell’UE che corrisponderebbe a perdite stimate a meno del 3 % del PIL, mentre le potenziali perdite per l’economia russa nello stesso periodo ammonterebbero al 30 % del PIL e sarebbero determinanti per fermare l’aggressione russa;
  10. considerando che la Presidente Metsola si è rivolta alla Verkhovna Rada il 1º aprile 2022 e ha incontrato il presidente e il primo ministro dell’Ucraina e i leader delle fazioni politiche a nome del Parlamento europeo;
  11. condanna con la massima fermezza la guerra di aggressione della Federazione russa contro l’Ucraina, nonché il coinvolgimento della Bielorussia in tale guerra, e chiede che la Russia cessi immediatamente tutte le attività militari in Ucraina e ritiri incondizionatamente tutte le forze e attrezzature militari dall’intero territorio dell’Ucraina riconosciuto a livello internazionale; si unisce al dolore del popolo ucraino per le perdite e le sofferenze strazianti subite;
  12. sottolinea che l’aggressione militare e l’invasione costituiscono una grave violazione del diritto internazionale, in particolare della Convenzione di Ginevra e dei relativi protocolli aggiuntivi e della Carta delle Nazioni Unite, e invita la Federazione russa a tornare ad adempiere alle sue responsabilità, in quanto membro permanente del Consiglio di sicurezza dell’ONU, di mantenimento della pace e della sicurezza nonché a rispettare gli impegni assunti nel quadro dell’Atto finale di Helsinki, della Carta di Parigi per una nuova Europa e del memorandum di Budapest sulle garanzie di sicurezza; ritiene che l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia costituisca un attacco non solo contro un paese sovrano ma anche contro i principi e il meccanismo di cooperazione e di sicurezza in Europa e contro l’ordine internazionale fondato su regole, quale definito dalla Carta delle Nazioni Unite;
  13. esprime la più grande rabbia e indignazione e indignazione per le atrocità segnalate, tra cui lo stupro e l’esecuzione di civili, gli sfollamenti forzati, i saccheggi e gli attacchi contro infrastrutture civili, come ospedali, strutture mediche, scuole, rifugi e ambulanze, e le sparatorie contro i civili in fuga dalle zone di conflitto attraverso corridoi umanitari prestabiliti, secondo l’impegno assunto dalle forze armate russe in una serie di città ucraine occupate, come Bucha; insiste sul fatto che gli autori dei crimini di guerra e di altre gravi violazioni dei diritti, nonché i funzionari governativi e i leader militari responsabili, devono essere chiamati a risponderne; sostiene pienamente l’indagine avviata dal procuratore della Corte penale internazionale sui crimini di guerra e i crimini contro l’umanità, nonché il lavoro della commissione d’inchiesta dell’Ufficio dell’Alto Commissario per i diritti umani; invita le istituzioni dell’UE ad adottare tutte le misure necessarie presso le istituzioni e le istanze internazionali, così come presso la Corte penale internazionale o altri tribunali ovvero organi giurisdizionali internazionali appropriati, per perseguire le azioni di Vladimir Putin e Aliaksandr Lukashenko quali crimini di guerra e crimini contro l’umanità, e a partecipare attivamente alle relative indagini; chiede l’istituzione di un tribunale speciale delle Nazioni Unite per i crimini in Ucraina; ritiene che sarebbe opportuno avvalersi del meccanismo internazionale, imparziale e indipendente per fornire assistenza in tutte le indagini internazionali sui crimini di guerra commessi in Ucraina; invita gli Stati membri e l’UE a rafforzare la loro capacità di combattere efficacemente l’impunità di coloro che hanno commesso o partecipato a crimini di guerra;
  14. ribadisce la necessità di mantenere e rafforzare la fornitura di armi per consentire all’Ucraina di difendersi efficacemente; ribadisce il proprio sostegno a tutti gli aiuti di tipo difensivo alle forze armate ucraine offerti individualmente dagli Stati membri e collettivamente attraverso lo strumento europeo per la pace; accoglie con favore la decisione di aumentare di altri 500 milioni di EURl’assistenza all’Ucraina attraverso lo strumento europeo per la pace e chiede di aumentare ulteriormente i contributi concreti per rafforzare urgentemente le capacità di difesa dell’Ucraina, sia a livello bilaterale che nell’ambito dello strumento europeo per la pace;
  15. sollecita la creazione di corridoi umanitari sicuri per evacuare i civili in fuga dai bombardamenti e il potenziamento delle reti di aiuti umanitari dell’UE in Ucraina (compresi carburante, cibo, medicinali, fornitura di acqua potabile, generatori di energia e campus mobili); suggerisce alla Commissione di introdurre regimi di aiuti inter pares per l’Ucraina al fine di aumentare l’efficacia dell’assistenza;
  16. sottolinea che la risposta e l’impegno politico dell’UE devono essere in grado di far fronte all’ostilità ed essere commisurati allo sforzo compiuto dai nostri partner ucraini, che condividono gli stessi principi e che lottano e si sacrificano per i valori e i principi europei, la cui portata si estende oltre l’UE nella sua attuale composizione;
  17. esprime la propria unanime solidarietà al popolo ucraino e alle sue forti aspirazioni a trasformare il proprio paese in uno Stato europeo democratico e prospero; riconosce la volontà dell’Ucraina di partecipare al progetto europeo, come espresso nella sua domanda di adesione all’UE presentata il 28 febbraio 2022; reitera la sua richiesta alle istituzioni dell’Unione di adoperarsi per concedere all’Ucraina lo status di paese candidato all’adesione all’UE, come chiaro segnale politico del loro impegno, a norma dell’articolo 49 del trattato sull’Unione europea e sulla base del merito e, nel frattempo, a continuare ad adoperarsi per la sua integrazione nel mercato unico dell’Unione conformemente all’accordo di associazione; accoglie con favore la dichiarazione di Versailles del Consiglio europeo, in cui si afferma che l’Ucraina è un membro della nostra famiglia europea;
  18. condanna fermamente la retorica russa che evoca un possibile ricorso all’uso di armi di distruzione di massa da parte della Federazione russa e sottolinea che tale spiegamento sarebbe inaccettabile e darà luogo a gravissime conseguenze; condanna inoltre la presa di possesso da parte delle forze russe di impianti e siti nucleari attivi o disattivati nel territorio dell’Ucraina, sottolineando che la corretta gestione di tali impianti è una questione sanitaria di importanza cruciale per l’intera regione; sottolinea il ruolo essenziale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) nel garantire la sicurezza degli impianti nucleari in Ucraina; sostiene la richiesta delle autorità ucraine al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di adottare immediatamente misure per smilitarizzare la zona di esclusione della centrale nucleare di Chernobyl e di consentire all’AIEA di assumere immediatamente il pieno controllo del sito della centrale nucleare;
  19. valuta positivamente la rapida adozione di sanzioni da parte del Consiglio e plaude all’unità delle istituzioni dell’UE e degli Stati membri in risposta all’aggressione della Russia contro l’Ucraina, nonché all’elevato livello di coordinamento tra i paesi del G7; invita tutti i partner, in particolare i paesi candidati all’adesione all’UE e i potenziali paesi candidati, ad allinearsi ai pacchetti di sanzioni; accoglie con favore la recente istituzione della task force “Russian Elites, Proxies, and Oligarchs” (élite, mandatari e oligarchi russi), volta a coordinare i lavori dell’UE, del G7 e dell’Australia in merito alle sanzioni nei confronti degli oligarchi russi e bielorussi; invita il Servizio europeo per l’azione esterna e la Commissione a intensificare le loro attività di sensibilizzazione nei confronti dei paesi che non hanno ancora aderito all’UE affinché adottino sanzioni contro la Federazione russa, utilizzando a tal fine l’influenza dell’UE e l’intera gamma di strumenti disponibili a tal fine, nonché fornendo assistenza se necessario; deplora che taluni paesi candidati all’adesione all’Unione europea non si siano allineati alle sanzioni dell’UE; chiede l’elaborazione di un chiaro piano d’azione nei confronti dei paesi terzi che agevolano l’evasione delle sanzioni da parte della Federazione russa; esorta il Consiglio ad adottare ulteriori severe sanzioni che riflettano la continua escalation dell’aggressione russa e le sconcertanti atrocità commesse dalle forze militari russe che innegabilmente si configurano come crimini di guerra;
  20. invita i leader dell’UE e i leader di altri Stati a escludere la Russia dal G20 e da altre organizzazioni multilaterali di cooperazione, quali il Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani, Interpol, l’Organizzazione mondiale del commercio, l’UNESCO e altri, il che costituirebbe un segnale importante del fatto che la comunità internazionale non tornerà a lavorare come di consueto con lo Stato aggressore;
  21. sottolinea che la piena ed efficace attuazione delle sanzioni esistenti in tutta l’UE e da parte degli alleati internazionali dell’UE deve costituire adesso una priorità; chiede che gli Stati membri individuino e, ove necessario, creino rapidamente una base giuridica per garantire senza indugio il pieno ed effettivo rispetto delle sanzioni all’interno delle giurisdizioni nazionali; invita la Commissione e le autorità di vigilanza dell’UE a monitorare attentamente l’attuazione efficace e completa di tutte le sanzioni dell’UE da parte degli Stati membri e a far fronte alle eventuali pratiche di elusione;
  22. esorta gli Stati membri a garantire che le penali nazionali in caso di violazione delle sanzioni dell’UE siano efficaci, proporzionate e dissuasive; accoglie con favore l’annuncio di un archivio di informazioni sulle sanzioni e di una tabella di marcia (compresi criteri e un calendario) per passare dall’individuazione di un’inosservanza sistematica delle sanzioni dell’UE alle procedure di infrazione dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea;
  23. invita il Consiglio a imporre ulteriori sanzioni nei confronti di personalità pubbliche che stanno diffondendo propaganda aggressiva in Russia a sostegno dell’aggressione russa contro l’Ucraina;
  24. chiede di aumentare l’efficacia delle sanzioni esistenti, tra l’altro escludendo, in coordinamento con i partner internazionali dell’UE che condividono gli stessi principi, tutte le banche della Federazione russa dal sistema SWIFT e vietando l’ingresso nelle acque territoriali dell’UE e l’attracco nei porti dell’UE di qualsiasi nave battente bandiera russa, registrata, posseduta, noleggiata, gestita dalla Russia, di qualsiasi nave proveniente da, o diretta verso, un porto russo, o di qualsiasi nave altrimenti collegata alla Russia, compresa la Sovcomflot; chiede il divieto di trasporto merci su strada da e verso il territorio della Russia e della Bielorussia e suggerisce di estendere il divieto di esportazione alle consegne oggetto di contratti stipulati prima dell’entrata in vigore delle sanzioni, ma che non sono ancora state completamente eseguite; chiede l’introduzione di sanzioni secondarie nei confronti di tutte le entità registrate nell’UE e nei paesi terzi che stanno aiutando i regimi russo e bielorusso ad aggirare le sanzioni;
  25. chiede un embargo totale e immediato sulle importazioni russe di petrolio, carbone e combustibile nucleare e uno per il gas il prima possibile, e sollecita ad abbandonare completamente i progetti Nordstream 1 e 2 e a presentare un piano volto a continuare ad assicurare la sicurezza dell’approvvigionamento energetico dell’UE nel breve termine; invita la Commissione, il Servizio europeo per l’azione esterna e gli Stati membri a definire un piano d’azione globale per l’UE riguardo a ulteriori sanzioni e a comunicare con chiarezza i punti fermi e le tappe dettagliate da seguire per revocare le sanzioni nel caso in cui la Russia adotti provvedimenti intesi a ripristinare l’indipendenza, la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina entro i suoi confini riconosciuti a livello internazionale e ritiri completamente le proprie truppe dal territorio ucraino;
  26. sottolinea ancora una volta l’importanza della diversificazione delle risorse, delle tecnologie e delle vie di approvvigionamento in campo energetico, in aggiunta a maggiori investimenti nell’efficienza energetica, nelle energie rinnovabili, nelle soluzioni di stoccaggio del gas e dell’elettricità e agli investimenti sostenibili a lungo termine in linea con il Green Deal europeo; pone l’accento sull’importanza di garantire l’approvvigionamento energetico dai partner commerciali dell’UE attraverso gli accordi di libero scambio esistenti e futuri, al fine di ridurre ulteriormente la dipendenza dell’UE dalla Russia, in particolare per quanto riguarda le materie prime; chiede inoltre la creazione di riserve energetiche strategiche comuni e di meccanismi di acquisto di energia a livello dell’UE nell’ottica di rafforzare la sicurezza energetica, riducendo nel contempo la dipendenza energetica esterna e la volatilità dei prezzi; chiede che si inizi a lavorare alla creazione di un’unione del gas, basata sull’acquisto congiunto di gas da parte degli Stati membri;
  27. esorta gli Stati membri a porre fine alla collaborazione con le imprese russe sui progetti nucleari nuovi ed esistenti, anche in Finlandia, Ungheria e Bulgaria, in cui gli esperti russi possono essere sostituiti da quelli occidentali, e ad abbandonare gradualmente il ricorso ai servizi della Rosatom; chiede di porre fine alla cooperazione scientifica con le imprese energetiche russe, come la Rosatom, e con altre pertinenti entità scientifiche russe; chiede che le sanzioni nei confronti della Bielorussia rispecchino quelle imposte alla Russia al fine di colmare eventuali lacune che consentano a Putin di utilizzare gli aiuti di Lukashenko per eludere le sanzioni;
  28. incoraggia le organizzazioni internazionali dell’energia a riconsiderare il ruolo della Russia nelle loro attività, compresa la potenziale sospensione dei progetti di cooperazione tra la Russia e l’AIEA, nonché la sospensione della partecipazione russa a progetti multilaterali;
  29. sottolinea che occorre sequestrare tutti i beni appartenenti ai funzionari russi o agli oligarchi associati al regime di Putin, ai loro rappresentanti e prestanome, nonché alle figure legate al regime di Lukashenko in Bielorussia, e che occorre revocare i visti dell’UE nell’ambito di un divieto totale e immediato dei programmi che offrono passaporti, visti e permessi di soggiorno agli investitori; sottolinea che le sanzioni dovrebbero colpire un più ampio gruppo di funzionari, governatori, sindaci e membri russi dell’élite economica che osservano l’attuale politica del regime di Putin e ne traggono vantaggi;
  30. chiede di avviare i lavori su un fondo simile al piano Marshall (il fondo fiduciario di solidarietà per l’Ucraina) per ricostruire l’Ucraina dopo la guerra, avviare un massiccio programma di investimenti e sprigionare il potenziale di crescita del paese; ritiene che il fondo dovrebbe essere generoso e finanziato, tra l’altro, dall’UE, dai suoi Stati membri, dai contributi dei donatori e dal risarcimento dei danni di guerra da parte della Russia, anche attraverso i beni russi che sono stati precedentemente congelati in conseguenza delle sanzioni e che dovrebbero essere legalmente confiscati conformemente al diritto internazionale;
  31. chiede un meccanismo di solidarietà dell’UE per far fronte alle conseguenze economiche e sociali della guerra della Russia contro l’Ucraina e delle sanzioni imposte;
  32. sottolinea l’importanza di garantire quanto prima la ripresa del corretto funzionamento del settore agricolo ucraino, compiendo tutti gli sforzi possibili per salvaguardare la prossima stagione di semina e produzione e assicurando corridoi sicuri per trasporti, carburante e alimenti da e verso il paese; chiede l’apertura di corridoi verdi onde portare in Ucraina tutto il necessario per mantenere la produzione agricola (ad esempio pesticidi e fertilizzanti) e per far uscire dall’Ucraina tutti i prodotti agricoli che possono ancora essere esportati;
  33. esprime il suo massimo sostegno alla decisione del procuratore della CPI di avviare un’indagine sui presunti crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi in Ucraina, e sottolinea l’importanza di agire e progredire con rapidità al fine di ottenere le prove necessarie; chiede pertanto un sostegno finanziario e pratico per l’importante lavoro della CPI, ad esempio consentendo alla Missione consultiva dell’UE in Ucraina di coadiuvare la documentazione delle prove;
  34. chiede che l’UE e i suoi Stati membri istituiscano un meccanismo globale di sanzioni anticorruzione e adottino rapidamente sanzioni mirate nei confronti dei responsabili della corruzione ad alto livello in Russia e Bielorussia;
  35. ribadisce che la disinformazione russa fa parte dello sforzo bellico della Russia in Ucraina e che le sanzioni dell’UE nei confronti di emittenti di Stato russe possono essere facilmente eluse tramite reti private virtuali, televisione satellitare e funzioni Smart TV; invita la Commissione e gli Stati membri ad applicare pienamente il divieto imposto ai canali di propaganda di proprietà dello Stato russo;
  36. chiede di estendere gli obblighi di informativa delle istituzioni finanziarie europee al fine di informare le autorità competenti in merito a tutti i beni detenuti da determinati cittadini russi e bielorussi, e non solo ai loro depositi; ricorda che i cittadini dell’UE possono utilizzare lo strumento di informazione della Commissione per denunciare in modo anonimo le violazioni di sanzioni passate, attuali e previste nei confronti di persone ed entità russe e bielorusse; ritiene che l’ambito di applicazione degli elenchi di sanzioni individuali debba essere esteso a chi ha tratto o trae vantaggio da stretti legami con i governi russo e bielorusso; invita la Commissione a sfruttare appieno il quadro antiriciclaggio e a includere la Russia e la Bielorussia nell’elenco delle giurisdizioni ad alto rischio di cui all’articolo 9 della quarta direttiva antiriciclaggio[4]; invita la Commissione a proporre la creazione di un organismo dedicato per monitorare l’applicazione delle sanzioni finanziarie e di altre misure restrittive dell’UE; invita la Commissione a mappare e pubblicare i beni congelati e sequestrati da ciascuno Stato membro; accoglie con favore gli sforzi della società civile e dei giornalisti investigativi volti a rendere noti i beni di proprietà degli oligarchi russi;
  37. accoglie con favore le decisioni di alcune organizzazioni internazionali, in particolare nel settore della cultura e dello sport, di sospendere la partecipazione della Russia; invita gli Stati membri a ridurre il livello di rappresentanza della Federazione russa e a diminuire il numero di membri del corpo diplomatico e consolare russo nell’UE, in particolare laddove le loro azioni riguardino questioni di spionaggio, di disinformazione o militari; chiede un coordinamento continuo con gli alleati transatlantici e i partner che condividono gli stessi principi, come quelli della NATO, del G7 e dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici, nonché con i membri dell’Associazione europea di libero scambio, gli Stati associati e i paesi candidati; sottolinea che l’UE dovrebbe reagire con decisione laddove presunti partner non sostengano le sue posizioni;
  38. incarica la sua Presidente di trasmettere la presente risoluzione al vicepresidente della Commissione/alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, al Consiglio, alla Commissione, ai governi e ai parlamenti degli Stati membri, alle Nazioni Unite, alla NATO, al G7, al Consiglio d’Europa, all’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, al Presidente, al governo e al parlamento dell’Ucraina, al Presidente, al governo e al parlamento della Federazione russa, nonché al Presidente, al governo e al parlamento della Bielorussia.
  • [1]  Testi approvati, P9_TA(2021)0515.
  • [2]  GU C 125 del 18.3.2022, pag. 2.
  • [3] Tra questi Bachmann et al., Banca centrale europea, Deutsche Bank Research, Oxford Economics, Goldman Sachs, ecc. come riassunto dal Sachverständigenrat zur Begutachtung der gesamtwirtschaftlichen Entwicklung (Consiglio tedesco degli esperti economici) nella sua relazione del marzo 2022 dal titolo “Auswirkungen eines möglichen Wegfalls russischer Rohstofflieferungen auf Energiesicherheit und Wirtschaftsleistung: Auszug aus der aktualisierten Konjunkturprognose 2022 und 2023” (Impatto di una possibile perdita di forniture di materie prime russe sulla sicurezza energetica e sulla performance economica: estratto delle prospettive economiche aggiornate 2022 e 2023).

PUNTO CRITICO?_di Pierluigi Fagan

Siamo ad un punto critico della guerra in Ucraina? Proverò a sviluppare una tesi ipotetica, troppe cose non sappiamo per aver certezze e sebbene esplorerò una tesi, si potrebbe interpretare le stesse cose in altro modo. Il punto è: si inizia a pensare a come uscirne?
I fatti, almeno quelli pubblicamente noti. Biden, ad un fundraising a casa del figlio di Murdoch, ha detto: 1) siamo nella più grave crisi di rischio atomico dai tempi dei missili a Cuba; 2) conosco personalmente Putin, non scherza; 3) se in virtù di una sostanziale non vittoria sul campo sente minacciato il suo potere e si mette ad usare l’atomico tattico, da lì in poi è escalation senza via di uscita; 4) sto allora pensando quale potrebbe essere una via d’uscita.
Blinken ha rilanciato “noi siamo pronti a trovare una soluzione diplomatica, ma i russi vanno in direzione opposta”. I russi, nei giorni scorsi, hanno detto più o meno lo stesso, dal loro punto di vista. Alcuni sostengono che da tempo i due si parlano dietro le quinte e quindi quello che noi vediamo è schiuma quantistica sopra fatti ignoti. Se veramente di tratta, le dichiarazioni pubbliche vanno interpretate, sono spiragli, tentativo di delimitare il campo, trattativa su come fare una trattativa, porre linee rosse che poi diventano rosa e svaniscono quando effettivamente si finisce al tavolo? Cos’è irrinunciabile per l’uno e per l’altro?
Alcuni hanno voluto leggere una nuova volontà di abbassare i toni da parte americana nel far uscire dichiarazioni CIA su NYT a proposito dell’attentato alla figlia di Dugin per colpa di una parte dell’establishment ucraino (c’è una parte trattativista ed una oltranzista com’è ovvio ci sia in questi frangenti?).
Altri hanno evidenziato il crescente fastidio americano per le continue richieste ucraine sempre molto pretendenti, oltretutto con una situazione sul campo che mostra una certa autonomia operativa ucraina, pare, non sempre gradita a Washington.
C’è anche chi ha osservato che l’uscita di Elon Musk, che ha fatto imbestialire Kiev, potrebbe esser pilotata.
Ieri abbiamo scritto un post sul fatto che sta montando una forte insofferenza per l’annunciato Armageddon economico-finanziario planetario. Per ora si sono espressi a mezza voce cinesi, indiani, i 24 dell’Opec. Sempre ieri alla Commissione diritti umani delle UN è stata negata la proposta americana di istruire una indagine ufficiale per il maltrattamento degli uiguri da parte dei cinesi nel Xinjiang. Voti contrari su asse musulmano-africano ma con aggiunte asiatiche. La questione del missile di Kim ha portato i coreani del sud a spararsi un missile vero (armato) addosso, brutta performance.
Giorni fa, funzionari ucraini si sono lamentati con una certa disperazione per il fatto che l’Europa non fa arrivare i fondi promessi (notoriamente a Bruxelles non sono così disponibili quando si tratta di cacciare i soldi) e non promette bene anche per i mesi a venire. La macchina statale e bellica ucraina mangia miliardi al mese, poi c’è la ricostruzione e così sarà molto a lungo. Di contro, sappiamo l’Europa a cosa va incontro nei prossimi mesi e pensare di destinare congrui fondi alla guerra mentre qui imperversa freddo e disoccupazione, va oltre il realistico.
Sempre qualche giorno fa è uscito su Rep un interessante articolo di Franceschini, portavoce degli ambienti strategici americani. L’articolo riferiva delle preoccupazioni che circolerebbe nei pensatoi strategici americani, Atlantic Council e Carnegie Endowment, a proposito della possibile frammentazione della Russia sconfitta nella guerra con crollo del potere centrale e scomparsa di Putin. Nuovi stati e staterelli, alcuni “canaglia” (vedi Kadyrov, non a caso promosso da Putin l’altro giorno, della serie “se non vi piaccio io potreste sempre trovarvi un Kadyrov in futuro”), ma con l’atomica, un incubo.
In più, un enorme spazio di possibile allargamento dell’egemonia cinese ad est, nessun alleato nell’area su cui far perno per pilotare gli eventi. In verità, queste cose erano note da tempo ed erano solo metà della questione che invece prometteva anche molti vantaggi geostrategici per gli americani. Sintomatico però oggi si faccia uscire solo il lato preoccupante.
In più, va notata la montante paranoia nucleare qui in Europa ed in parte negli stessi US. Quanto è reale il rischio? Se è reale ma non così probabile, perché monta la paranoia? È un effetto amplificazione mediatica tipo paranoia da Covid su legge delle audience o c’è un interesse ad avanzare questa “causa di forza maggiore” per aprire ad un ripensamento del “credere, ubbidire e combattere” in auge fino ad oggi?
Che calcoli reali di sostenibilità economico, sociale e politica si stanno facendo a proposito dell’Europa ma a questo punto anche degli USA che vanno ad elezioni a novembre? Dopo la Svezia e l’Italia, si teme che ci saranno elezioni anticipate anche in Danimarca ed anche lì pare che la destra abbia significative ed inedite chance di vittoria. Ci sono state elezioni in Bulgaria domenica scorsa ed ha perso la parte europeista-liberale, si è affermato il centro-destra, ma si è formato anche un partito contro le sanzioni, stile Orban. Pare non riusciranno comunque a fare un governo, dovranno andare – credo la quarta volta- ad elezioni in breve tempo, ma la tenuta del fronte scricchiola in tutta evidenza. E quando Orban farà il tenuto referendum per chiedere “democraticamente” al popolo se supporta o meno le sanzioni e relativo peso, che succederà? E siamo solo ai primi di ottobre.
Ripeto, questa è una selezione di fatti, ce ne sono anche altri e di senso diverso. Questi stessi potrebbero esser diversamente interpretati. Però rimane il fatto delle dichiarazioni aperturiste di ieri di Biden e questo è una “prima volta”, di cui pender nota. Vedremo.
Putin si è arroccato con il suo piccolo bottino del suo 15-20% di territorio ucraino mettendoci sopra l’ombrello nucleare e dicendo “io mi accontento così, parliamo?”. Zelensky ha risposto portando a legge una sorta di impossibilità a trattare. Biden dice: attenzione perché quello mena se perde di brutto. Così i think tank paventano Balcani nucleari pieni di coatti islamici o siberiani assai pazzerelli. Pe ora è tutto, vediamo come si svolge.
L’America ha ottenuto molto, rilancio NATO in grande stile, Finlandia e Svezia, cattura egemonica dell’Europa totale ed irreversibile almeno per qualche anno, comunque una bella botta per i russi e con prospettive di sanzioni lunghe un bel tarlo che agirà nel tempo. In più sanno tutti che la vera partita strategica è in Asia. Quanto le costerebbe provare ad ottenere di più?
LA COMUNITA’ INTERNAZIONALE. I 24 Paesi OPEC+, hanno l’altro giorno deciso di dare un sostanzioso taglio alla produzione petrolifera, pare lo abbiano deciso in una riunione di mezzora; quindi, la decisione era comune e preparata in anticipo. La decisione è stata motivata come sostegno al prezzo dal momento che la recessione globale diminuisce la domanda. Ma si tratta di una preventiva poiché, all’altro giorno, il prezzo era sceso a livelli di gennaio stante che allora era in tendenza ascensionale dall’inverno del 2020. Cioè, campavano due anni fa senza tagli alla produzione col prezzo sotto i 25 dollari, sembra strano ora si fascino la testa perché è “solo” a 91 US$.
C’è l’interpretazione politica o meglio geopolitica. L’ha data Biden il quale ha strepitato dicendo che è una manovra ispirata dalla Russia. Colpiscono due cose di questa dichiarazione, la prima è che l’ha data quando avrebbe fatto meglio a tacere, la seconda è la ragione data che è stupida. L’ha data e con quella ragione, probabilmente per il pubblico interno, gli americani vanno ad elezioni a novembre ed il prezzo della benzina che notoriamente è il primo drive dell’inflazione è già un problema e viepiù lo sarà quando si voterà. Ma quando il presidente degli US parla, non ascolta solo il pubblico interno. I sauditi hanno risposto che è ora di dismettere questa “arroganza della ricchezza” (!).
Vediamo allora meglio cosa può esserci sotto. I paesi OPEC+ sono 24, centro e sudamericani, africani, asiatici ed ovviamente mediorientali, più la Russia. I “+” sono 13, aggiunti al nucleo storico degli 11 mediorientali originari che rimangono quelli che trainano l’associazione. Alcuni hanno cattivi rapporti con gli US (Iran, Venezuela, Russia), molti non hanno simpatia, molti altri hanno invece normali o anche cordiali rapporti. L’Arabia Saudita, nonostante il viaggio di Biden ad inizio guerra per cercare di strappare un aumento di produzione a compensazione del ban alla Russia, è in posizione piuttosto critica. Ma UAE, Qatar, Kuwait no. Assolutamente fantasioso pensare che la Russia possa decidere cosa gli OPEC+ fanno o non fanno. Tuttavia, rimane il fatto che la decisione è tecnicamente un po’ strana se guardiamo al prezzo a meno di non considerare la manovra preventiva e che la tempistica dice appunto che s’è voluto mandare un segnale.
Veniamo allora al titolo del post. Noi qui vediamo usare il concetto di “comunità internazionale” a sproposito per dar l’impressione alle nostre opinioni pubbliche che tutto il mondo o per lo meno il mondo che conta tranne Stati delinquenziali, approva quello che l’Occidente collettivo sta facendo nella guerra Ucraina. Non è affatto così, lo abbiamo sezionato a proposito del secondo voto alle UN a marzo e via via, analizzando le varie posizioni degli attori internazionali non occidentali. I giornali occidentali fanno sforzi di sottolineare come le astensioni ai voti di condanna al Consiglio di sicurezza da parte di India e Cina, dicano dell’isolamento della Russia. Ma questa è propaganda. Nelle dinamiche diplomatiche, stante che certo nessuno può credibilmente votare a favore di quello che i russi fanno se non schierandosi come alleati organici, tra l’altro in favore di palesi infrazioni che teoricamente nessuno può approvare davvero, astenersi significa “non posso votare contro, ma scordati il mio voto a favore”. Cosa pensa allora la vera “comunità internazionale” fuori di quel 16% di popolazione (o poco più: Europa + Anglosfera) terrestre embedded nel sistema a guida americana?
La reale comunità internazionale era bella felice e contenta dentro una tendenza mossa dalla globalizzazione. Giravano i soldi, si facevano progetti, le economie-Paese crescevano, così i popoli se non del tutto felici avrebbero potuto almeno coltivare speranze. Popoli se non felici speranzosi, governi stabili. Tutta la comunità internazionale, che è da considerare in macro “non allineata”, sa perfettamente che la guerra è scoppiata per colpa operativa di Putin ma in reazione a insostenibili pressioni americane via NATO-Ucraina. L’altro giorno l’economista americano J. Sachs diceva che tutta la comunità internazionale sa e dice apertamente che i due condotti Nord Stream sono stati sabotati dagli americani, ma qui non si può dire, si insulta la logica di base nel sostenere “non sappiamo chi è stato”. Ieri leggevo un articolo di Rampini che ormai è diventato un impazzito propagatore di assurdità lampanti e senza ritegno, sostenere tre valide ragioni per pensare siano stati in realtà i russi. Stiamo vivendo tempi surreali e ciò è allarmante anche più che non il vivere tempi conflittuali ad altissima tensione. La qualità delle narrazioni stese su i fatti è talmente assurda anche per chi sa che il conflitto interpretativo ovviamente manipola le idee ed i giudizi, che lancia un doppio allarme. È normale raccontarsela così e cosà, lo fanno i russi, lo fanno gli americani, lo fanno le nostre élite e va bene. Ma c’è modo e modo di confezionare le favole, quelle che girano sono scombinate in maniera troppo assurda, di una assurdità esasperata.
Ma torniamo alla comunità internazionale. La comunità internazionale, pur sapendo come stanno le cose in Ucraina, non sarebbe poi più di tanto interessata e tantomeno mossa a prender le parti di tizio o di caio. Vede però arrivare uno tsunami di ritorno che la inquieta e terrorizza. Niente più mercati globali, “tu si e tu no” nei circuiti SWIFT dove circolano i bonifici di pagamento, dollaro alle stelle che per Paesi quasi sempre indebitati è un gran bel problema, rottura delle catene logistiche, rottura del sistema detto “catena del valore” basato su delocalizzazioni di segmenti di produzione (non intere produzioni, pezzi di…), tempeste inflattive, esportazione del conflitto in Asia (US, Jap, CdS hanno fatto manovre navali davanti alla CdN una settimana prima che Kim gli lanciasse un missile vuoto sulla testa, forse la cosa è poco nota qui. Per non parlare di Taiwan etc.).
Su stampa asiatica, ho letto più di un analista segnalare la profonda preoccupazione per quello che qui da noi sembra non preoccupare sul serio nessuno ovvero l’entrata dell’Europa in un profondo buco nero recessivo. L’Europa è semplicemente la più grande economia aggregata del mondo, è il cuore che succhia e pompa sangue finanziario e commerciale a tutto il sistema-mondo. È ovvio che il sistema-mondo che è indifferente alle narrazioni americane e guarda ai fatti duri, si preoccupi come ognuno di noi si preoccuperebbe se il dottore gli dicesse “guardi che lei avrà sicuramente un infarto”. Il nostro infarto sarà il loro ictus.
La lettura solo geopolitica della decisione OPEC+ è sbagliata, è una questione che ha origine in geoeconomia. E tale questione, è dall’inizio, il vero tallone d’Achille della strategia americana, gli americani non hanno tenuto in debito conto lo scenario mondo. Lo si è capito e l’abbiamo scritto i primi giorni, con i voti alle UN e gli improvvisi e poco concludenti viaggia di Blinken in M.O. e poi di Biden in Arabia Saudita, nonché le profferte di “nuova amicizia” con Maduro, se non l’iniziale boutade di nuovi accordi per ul nucleare iraniano ed il fallimento imbarazzante del forum degli “americans” a cui non è andato quasi nessuno. Lo si è visto con la comparsa di articoli arrabbiati contro l’India che fa Ponzio Pilato, lo si è visto col disastro diplomatico dell’improvvisata della Pelosi a Taiwan, cose che non si fanno se devi fare diplomazia con asiatici a forte matrice confuciana.
Sospetto che il nucleo neocon promotore di questa strategia “o la va o la spacca” che è iniziata con la lunga penetrazione in Ucraina prima del 24 febbraio, sia caduto nella trappola del confondere “quello che voglio il mondo sia” con il più concreto “quello che il mondo può realisticamente essere”. S’è messo contro troppa gente, ha fatto male i calcoli, non ha dato il giusto peso ad alcune variabili. La cattura egemonica totale dell’Europa che pare ormai irreversibile, è un bel bottino, ma quanto varrà lo sapremo solo dopo aver dedotto il prezzo il cui conto si farà alla fine.
Intanto, prepariamoci al secondo shock petrolifero (gasifero, carbonifero, elettrico, energetico, produttivo etc.), cinquanta anni dopo il primo.
[Alcune info riportate sono tratte da articoli BBC e Reuters di ieri, più tardi vediamo gli aggiornamenti]

Ucraina, il conflitto 17a puntata. L’attesa_con Max Bonelli e Stefano Orsi

Una situazione di stallo apparente con l’esercito ucraino che riesce a rosicchiare parte dei territori perduti. L’iniziativa sul campo sembra essere passata in maniera più duratura al regime ucraino. Un paradosso a confronto della enorme perdita di materiale bellico e della sua capacità di produzione in loco e soprattutto della strage di uomini attinti da un serbatoio certamente limitato. Una diretta conseguenza invece del crescente coinvolgimento della NATO e degli Stati Uniti nel conflitto sino ad assumerne direttamente la gestione, la direzione e la supervisione sino a sopperire alle gravi carenze di militi con mercenari e militari stranieri appena dismessi. L’esercito russo sembra in posizione di attesa, pronto a conservare ed accumulare forze in vista di uno scontro ben più ampio e dalle conseguenze potenzialmente catastrofiche per tutti i condendenti dichiarati o dietro le quinte. Deve risolvere in breve tempo problemi cruciali di assetti politici interni e di riorganizzazione dopo di che non sarà più facile per i contendenti occulti operare dietro le quinte e con la carne di cannone dei terzi ucraini e di chi vorrà aggiungersi ad essi. Il rifiuto di una trattativa seria e il sostegno ad un regime guerrafondaio all’esterno ed aguzzino e razzista, spietato al proprio interno, quale quello ucraino, stanno rendendo sempre più doloroso e costoso il necessario passo indietro. In gioco c’è la tenuta dell’attuale leadership statunitense all’interno e all’esterno degli Stati Uniti. Al momento e in apparenza la sua partita prosegue con il punto perso in Afghanistan e due punti guadagnati a Taiwan e in Europa. E’, però, un continuo azzardo al rialzo al quale basta perdere l’ultimo punto per compromettere l’intero gioco.
Intanto il conto più salato, in termini di sottomissione, passività e stupidità, a diverso titolo, lo stanno pagando gli europei. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/v1mn7i8-ucraina-il-conflitto-17a-puntata-lattesa-con-m-bonelli-e-s-orsi.html

Fermiamo gli Stranamore di casa nostra, di Francesco Dall’Aglio

La costruzione di un clima adatto alle provocazioni sotto mentite spoglie. Forse, al meglio, una base eccessiva per trattare sulla posta in palio. Di manovalanza disponibile ce ne è sin troppa_Giuseppe Germinario
Quindi ora l’ultima, secondo i nostri media (tipo il Times), è che Putin ordinerà dei test nucleari al confine dell’Ucraina, probabilmente nel Mar Nero, per dimostrare che “fa sul serio”, dopo che già due giorni fa Repubblica (e chi se no) ci aveva deliziato con la storia della fuga del Belgorod e dei suoi Poseidon.
Lo dico adesso e non lo ripeterò, perché questa storia da surreale sta diventando chiaramente preoccupante, e non per i motivi che uno può immaginare:
1) la Russia NON sta perdendo la guerra né l’ha già persa. L’esercito russo NON è in rotta. Lo so, è strano da credere, ma fidatevi.
2) la Russia non ha ALCUNA volontà, e meno ancora necessità (finora, almeno), di utilizzare armi atomiche, chimiche o batteriologiche in Ucraina. Il motivo è al punto 1.
3) la dottrina nucleare della Russia NON prevede il primo impiego di armi nucleari perché si sono ritirati da Lyman. Prevede l’impiego di armi nucleari in risposta a un attacco sul suolo russo con armi nucleari, o in risposta a una minaccia che mette a rischio la SOPRAVVIVENZA della Federazione Russa. Di nuovo, la ritirata da Lyman (che ricordo a tutti si trova in Ucraina, non in Russia) non ricade in queste ipotesi. Un attacco missilistico sulla Crimea non ricade in queste ipotesi. Un bombardamento di artiglieria su suolo russo non ricade in queste ipotesi. Uno sconfinamento ucraino su suolo russo non ricade in queste ipotesi. E via di seguito.
4) c’è una potenza nucleare che non ha mai ben chiarito la sua posizione sul primo impiego delle armi nucleari. FUN FACT: questa potenza nucleare NON è la Russia, e nemmeno la Cina.
5) ci vuole molto poco a far detonare un’atomica tattica nel bel mezzo del Mar Nero e dire che sono stati i russi, e regolarsi di conseguenza. Abbiamo creduto, senza prove in entrambi i casi, che bombardino le loro centrali nucleari e facciano esplodere i loro gasdotti. Perché non dovremmo credere anche a questo, dopo che da settimane ci stanno dicendo che siccome la Russia ha perso la guerra e Putin è pazzo e cattivo non ha altra opzione che usare le atomiche?
6) no, non sono un complottaro. Ma se per settimane ti ripetono una cosa che è palesemente falsa, due domande te le devi fare (e se fai il mestiere mio, la paranoia è una qualità di base). E far detonare un’atomica tattica nel Mar Nero risolverebbe all’istante gli sbandamenti, chiamiamoli così, presenti e soprattutto futuri di un bel po’ di alleati europei. No, non significherebbe un attacco nucleare alla Russia, ovviamente, né l’ingresso della NATO nel conflitto, ma altrettanto ovviamente costringerebbe tutti a serrare le fila in un momento molto, molto complicato.
7) ovviamente non succederà nulla di tutto questo. Giusto?
PS – il Belgorod potrebbe davvero essere diretto nell’Artico, per testare i Poseidon in un’esercitazione. Farlo nel Mar Nero davanti a mezzo mondo sarebbe, diciamolo, una scemenza.

Perché la Polonia dovrebbe respingere la Germania?_di Ryan Bridge

“Dipendevamo dalla Russia, ma oggi stiamo tagliando questa dipendenza”, ha detto la scorsa settimana il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki durante l’inaugurazione di un nuovo canale verso il Mar Baltico. Il contributo del canale a questo obiettivo è dubbio, ma consentirà alle navi di raggiungere o partire dal porto polacco di Elblag senza dover attraversare le acque territoriali russe intorno a Kaliningrad. Più interessante è stata la successiva dichiarazione di Morawiecki: “Stiamo riducendo la nostra dipendenza sia dalla Russia che dalla Germania”. Questo accade solo poche settimane dopo che la Polonia ha chiesto alla Germania 1,3 trilioni di dollari di riparazioni della seconda guerra mondiale.

Le ragioni di Varsavia per prendere le distanze da Mosca – una potenza ostile con una comprovata storia di invasione dei suoi vicini – sono chiare, ma le offese di Berlino sono meno evidenti. La Germania è il paese più forte dell’Europa centrale, con una capacità latente di dominare la maggior parte del continente. La strategia delle potenze occidentali nei confronti della Germania dalla seconda guerra mondiale è stata quella di soffocarla con l’amicizia, integrando i suoi militari in un’alleanza dominata dagli Stati Uniti con i suoi vicini e, a cominciare dalla Comunità europea del carbone e dell’acciaio, dando alla sua economia le chiavi di un mercato di oltre 450 milioni di consumatori e delle risorse dei loro paesi. La docilità della Germania oggi di fronte all’attacco della Russia al cuscinetto NATO-russo mostra che la strategia occidentale ha avuto, semmai, troppo successo. Quando si tratta della minaccia immediata per la Polonia, Berlino è un amico di Varsavia. Allora perche, il capo del governo polacco strombazza piani criptici per ridurre i legami con la Germania? La risposta è politica interna e, in misura minore, europea.

La questione tedesca

Le radici dell’Unione Europea risiedono negli sforzi prevalentemente statunitensi per trovare un modo per liberare il potenziale economico tedesco calmando le ansie tedesche sul potenziale accerchiamento. Per ragioni che hanno a che fare con la geografia, il clima, la cultura, la storia e probabilmente innumerevoli fattori minori, i tedeschi sono esperti nella produzione di beni industriali complessi, molto più di quanto la popolazione tedesca potrebbe consumare. Ciò solleva due problemi: in primo luogo, le risorse necessarie per produrre tutti questi beni senza precedenti superano il pool di risorse proprie della Germania. L’economia tedesca deve prenderli da qualche altra parte, sia attraverso scambi economici e investimenti o conquiste. In secondo luogo, una popolazione di circa 80 milioni non potrebbe consumare tutti i veicoli, i macchinari, ecc. che l’industria tedesca può produrre. L’economia tedesca ha bisogno di un facile accesso ai consumatori stranieri – ancora una volta, attraverso accordi commerciali preferenziali o conquiste – per scaricare l’eccedenza. La strategia statunitense, che Washington ha portato avanti attraverso un’abile diplomazia, incentivi economici e garanzie di sicurezza nonostante la riluttanza di Francia e Gran Bretagna, ha risolto pacificamente entrambi i problemi tedeschi. Nasce il mercato comune europeo, incastonato in un quadro politico che deve crescere con l’integrazione economica.

L’unione risultante è ciò a cui la Polonia e altri satelliti e repubbliche sovietiche di recente indipendenza desideravano disperatamente unirsi quando l’Unione Sovietica iniziò a disintegrarsi. L’UE ha quasi garantito una crescita economica esplosiva e potrebbe aprire la porta all’adesione alla NATO, ovvero alla protezione militare americana. La Polonia ha presentato domanda di adesione all’UE nel 1994 e vi ha aderito nel 2004 insieme a nove dei suoi vicini. Come previsto, la NATO ha invitato Varsavia tra le sue fila nel 1997 e il matrimonio è stato suggellato meno di due anni dopo. L’economia polacca ha visto 28 anni di crescita economica, anche attraverso la recessione del 2008 e la successiva crisi dell’Europa, prima di ridursi brevemente nel 2020.

Ma mentre ciò accadeva, il mondo del dopo Guerra Fredda prendeva forma. Politicamente, economicamente e militarmente impareggiabili sulla scena mondiale, gli Stati Uniti si sono affrettati a capitalizzare il proprio vantaggio. Ha spinto per un mondo più globalizzato, con legami politici ed economici sempre più forti. Militarmente, ha allargato l’alleanza transatlantica e, dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre, ha intrapreso una sfortunata campagna per diffondere la democrazia con la forza nel mondo musulmano. Lo shock della Grande Recessione del 2008 ha gravemente ferito la coesione sociale, non solo negli Stati Uniti, e ha sollevato seri interrogativi sull’attrattiva e la fattibilità dell’ordine economico e della leadership guidati dagli Stati Uniti. Allo stesso tempo, le disastrose guerre americane in Iraq e Afghanistan ei suoi caotici interventi in Libia e altrove hanno minato il sostegno interno all’avventurismo militare. Entro il 2022, dopo circa tre decenni di preponderanza degli Stati Uniti, il mondo è pieno di crisi e la volontà degli americani di pagare il costo di essere i poliziotti del mondo è diminuita. (Quanto è una questione aperta. L’assistenza degli Stati Uniti all’Ucraina e le sanzioni alla Russia suggeriscono che è ancora più alta di quanto credessero alcuni osservatori.)

La questione della sovranità

Dove si inseriscono le relazioni polacco-tedesche in questa storia ben nota? Proprio come gli americani hanno avuto la loro fase di eccessiva esuberanza dopo la Guerra Fredda, così hanno fatto gli europei, compresi i polacchi e altri popoli di nuova indipendenza. L’allargamento dell’UE non è stata una vendita particolarmente difficile. Incorporare satelliti ex sovietici molto più poveri e stati vulnerabili sarebbe costoso, ma il potenziale guadagno era irresistibile. Gli investitori dell’Europa occidentale potrebbero accaparrarsi terreni, risorse e aziende a basso costo, ottenendo un profitto sano, mentre i lavoratori dell’Europa orientale potrebbero inondare l’UE con manodopera a basso costo. I burocrati di Bruxelles hanno riflettuto a lungo sul modo migliore per integrare politicamente gli ex stati comunisti. Non è bastato per far loro vedere l’integrazione europea nella stessa luce dei membri fondatori.

Dalle guerre mondiali, molti europei e la maggior parte dei tedeschi hanno imparato che il nazionalismo europeo deve essere contenuto in nome della pace. Durante la Guerra Fredda, i primi membri di quella che sarebbe diventata l’Unione Europea hanno praticato decenni di fiducia reciproca e di cooperazione per il reciproco vantaggio. Ma al di là della cortina di ferro, Mosca stava reprimendo il nazionalismo europeo a modo suo: usando una brutale repressione segreta e palese. Mentre gli europei occidentali discutevano di una più profonda integrazione politica, economica e monetaria alla fine degli anni ’80, la terribile situazione economica dei sovietici li privava della capacità di contenere il nazionalismo nell’Europa orientale. Nel 1990, il nazionalismo e la democrazia avevano vinto nell’Europa centrale e orientale.

Ma la democrazia da sola non basta. Mentre per decenni l’identità collettiva dell’Europa occidentale si era concentrata sul multilateralismo e sul compromesso, i suoi vicini liberati a est avevano imparato il valore della coesione, dell’orgoglio nazionale e della sovranità. Senza quelle cose, non avrebbero riacquistato la loro autonomia. Laddove un tedesco occidentale vedeva la perdita di una certa sovranità nazionale a favore di Bruxelles come il prezzo della prosperità e della pace – e quindi un netto positivo per la sovranità di Bonn in generale – un polacco era diffidente nei confronti di qualsiasi appello a condividere il potere decisionale.

Le identità nazionali si formano nel corso delle generazioni e cambiarle è difficile. L’attuale leadership polacca, il Law and Justice Party (PiS), è particolarmente impegnata nel nazionalismo polacco e nei valori conservatori. I suoi maggiori oppositori politici sono liberali e centristi filo-europei, più vicini alla politica prevalente nell’Europa occidentale, dove risiede il grosso del potere decisionale dell’UE. Attingendo alla loro memoria culturale e storica, i nazional-conservatori polacchi sono xenofobi, soprattutto islamofobi, e generalmente intolleranti alla diversità sociale. (L’esperienza dell’Europa occidentale, nonostante le sue imperfezioni, è semplicemente diversa.) L’ideologia prevalente in Polonia, pur riservando il suo più intenso disprezzo per il Cremlino, è molto diffidente nei confronti del relativo liberalismo sociale tedesco.

Ancora più importante, il PiS vuole apportare modifiche fondamentali al sistema giudiziario polacco, ma non è riuscito a convincere la maggior parte dell’UE che le sue intenzioni sono buone e le sue preoccupazioni legittime. Bruxelles e la maggior parte delle capitali dell’Europa occidentale sospettano che il PiS stia lavorando per indebolire o sradicare il liberalismo politico e sociale polacco, una sfida ai propri regimi ma anche all’UE, che si basa su idee liberali come il compromesso, la diversità, i diritti civili e lo stato di diritto .

La Germania è la roccia, la Russia è il posto difficile

Il principale campo di battaglia tra PiS e Bruxelles è l’inversione di alcune riforme giudiziarie polacche e la consegna di 35 miliardi di euro (34 miliardi di dollari) di denaro dell’UE per la ripresa economica della Polonia dal COVID-19. La Commissione europea ha fissato pietre miliari per l’inversione delle riforme giudiziarie del PiS che, secondo lei, Varsavia deve rispettare prima di trasferire i fondi. Ovviamente, il PiS vuole concedere il meno possibile, ma il rallentamento economico, l’aumento dei tassi di interesse e la guerra della porta accanto gli stanno facendo pressioni per ottenere presto i fondi. Inoltre, la Polonia dovrebbe tenere le elezioni parlamentari entro novembre 2023 e, se non riceverà l’assistenza prima di allora, il PiS scommetterà le sue fortune elettorali su una fine ordinata della guerra in Ucraina e una ripresa economica, idealmente dal estate.

L’assalto retorico del governo polacco alla Germania, quindi, fa parte della sua lotta per il potere con l’UE, così come una strategia di campagna di backup. La Germania è il membro più influente dell’Unione Europea, ma non può decidere da sola se la Polonia riceverà i suoi 35 miliardi di euro. Il primo ministro polacco lo sa. Ma Berlino è un popolare oggetto di antipatia per la base del suo partito, molto meglio che prendere di mira la stessa UE, che è immensamente popolare tra i polacchi. La retorica antitedesca segnala la determinazione del PiS pur lasciando spazio di manovra all’UE. E se l’UE chiama il bluff del PiS, come ultima risorsa potrebbe andare alle elezioni incolpando i tedeschi di aver permesso alla Russia di invadere l’Ucraina, non facendo abbastanza per fermare la guerra e negando l’assistenza finanziaria necessaria che appartiene di diritto ai polacchi.

Il funzionamento di questa strategia dipende dall’evoluzione della situazione economica in Polonia, nonché dalle tensioni politiche e sociali in Europa nel suo insieme. Al momento, non c’è motivo di aspettarsi una situazione economica drammaticamente migliorata nei prossimi mesi. E le istituzioni dell’UE, con il sostegno sufficiente degli Stati membri, non sembrano essere in uno stato d’animo compromettente. Gli Stati Uniti potrebbero tentare di intervenire, ma Washington di solito si tiene alla larga dalla politica interna dell’UE e l’amministrazione Biden probabilmente preferirebbe comunque un governo più liberale a Varsavia. Ancora più importante, gli Stati Uniti non vogliono rischiare di allargare le spaccature in Europa in un momento in cui i suoi giorni di significativo coinvolgimento nel Continente stanno finendo. Se gli Stati Uniti ridurranno i loro impegni transatlantici lasciando l’Europa intatta e in grado di difendersi,

È improbabile che la Polonia effettui un completo ridimensionamento delle sue riforme giudiziarie, ma Bruxelles ha la maggior parte della leva. È probabile un cessate il fuoco in cui l’UE ottiene la maggior parte di ciò che vuole e il PiS vive per combattere un altro giorno, dopo le elezioni del prossimo anno. Ancora più importante, è improbabile che anche una Polonia guidata dal PiS riduca effettivamente la sua dipendenza dalla Germania. Ciò equivarrebbe a ridurre i legami con la maggior parte dell’Europa, e con gli americani che hanno un piede fuori dalla porta dell’ovest della Polonia ei russi che bussano alla porta del suo est, questa non è un’opzione.

https://geopoliticalfutures.com/why-would-poland-spurn-germany/

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