Per la Moldavia, un vertice europeo attira più sostegno per scongiurare l’influenza russa_di Stratfor

Continua a stringersi la tenaglia intorno alla Russia. L’Occidente a guida statunitense, piuttosto che creare una zona franca, neutrale o di collegamento con la Russia, spinge i confini della NATO sempre più a ridosso del limite russo, vellicando ed istigando le contrapposizioni etniche e le ambizioni espansioniste dei paesi minori della Europa Orientale. I beoti europei si stanno scavando per la terza volta in poco più di un secolo la fosse dentro la quale languire. Tutta una serie di dirigenti, figure mediocri coltivate certosinamente nella scuola di Soros, da Sanin, a Sandu, a Trudeau a decine di esponenti italiani, tedeschi, ect, stanno seminando tempesta e raccogliendo frutti avvelenati. Giuseppe Germinario

Per la Moldavia, un vertice europeo attira più sostegno per scongiurare l’influenza russa

6 MIN LETTURA 1 giugno 2023 | 20:20 GMT

I leader europei posano per una foto prima del vertice della Comunità politica europea (CPE) a Bulboaca, in Moldavia, il 1° giugno 2023. 

I leader europei posano per una foto prima del vertice della Comunità politica europea (CPE) a Bulboaca, in Moldavia, il 1° giugno 2023.

(Carl Court/Getty Images)

Il sostegno dell’UE e una serie di iniziative interne daranno alla Moldova più strumenti per mantenere il suo corso filo-occidentale, ma non ridurranno del tutto le forze politiche filo-russe, che continueranno a fomentare disordini fino alle elezioni presidenziali del prossimo anno.Il 1° giugno la Moldavia ha ospitato il secondo vertice della Comunità politica europea (CPE), che l’UE ei paesi europei non membri hanno lanciato lo scorso anno come forum per discutere le questioni che interessano il continente a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina. Quasi 50 capi di stato e di governo europei, tra cui il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, hanno partecipato all’incontro, che si è tenuto a soli 20 chilometri (circa 12 miglia) dal confine ucraino in quello che i leader hanno definito un messaggio a Mosca. Il vertice ha segnato un ritorno sotto i riflettori globali per la Moldavia, che ha combattuto mesi di volatilità sociale, economica e politica legata al conflitto in corso tra la Russia e la vicina Ucraina. Nell’ultimo anno, il piccolo paese europeo ha affrontato un complotto russo trapelato per rovesciare il suo governo,minacce di interruzioni di energia , proteste in corso organizzate da moldavi filo-russi e sforzi di destabilizzazione relativi alla regione separatista della Transdniestria . In questo contesto, il vertice europeo ha visto diversi annunci di sostegno politico ed economico alla Moldavia e affermazioni delle sue aspirazioni ad entrare nell’Unione Europea, nel tentativo di sostenere la presidente filo- occidentale del Paese Maya Sandu . In combinazione con diversi sviluppi prima del vertice, questo aiuto ha lo scopo di evitare che le condizioni di vita in Moldavia peggiorino ulteriormente nei prossimi mesi, il che avrebbe potuto far deragliare il corso politico europeista del paese erodendo ulteriormente il sostegno all’amministrazione Sandu a favore del pro -Movimento di opposizione russo.

  • L’inflazione annuale in Moldavia è stata di circa il 28% nel 2022, trainata in gran parte dagli alti prezzi dell’energia. In risposta alla crisi del costo della vita, le forze politiche filo-russe nel paese hanno organizzato regolarmente dalla scorsa estate proteste contro il presidente Sandu e il suo Partito di Azione e Solidarietà al governo. Mentre l’inflazione è diminuita e le condizioni economiche generali sono migliorate negli ultimi mesi, i sondaggi mostrano che anche il sostegno al partito di Sandu è diminuito a favore dei partiti filo-russi.
  • In una conferenza stampa con Sandu il 31 maggio, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha giustificato un nuovo pacchetto di sostegno per la Moldavia sottolineando che Chisinau ha “incarnato [ied] i valori fondamentali dell’Europa” di unità, solidarietà e resilienza nell’ultimo anno “collegando il suo destino all’Unione Europea”, accogliendo oltre 700.000 rifugiati ucraini e mantenendo il sostegno agli sforzi bellici dell’Ucraina nonostante l’ energia russa e il “ricatto” politico.
  • Il 9 febbraio, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha detto ai leader dell’UE che il suo paese aveva intercettato e condiviso con il governo moldavo i piani russi per “distruggere” la Moldavia, cosa che i servizi di intelligence moldavi hanno successivamente confermato. Il giorno seguente, Sandu ha supervisionato una riorganizzazione del governo che l’ha vista nominare come primo ministro Dorin Recean, suo consigliere per le politiche di sicurezza e difesa, Dorin Recean, una mossa percepita dagli osservatori come un segno della determinazione delle forze filoeuropee a prendere una linea più dura contro influenza russa.

Nuove iniziative governative e un maggiore sostegno estero rafforzeranno la capacità della Moldavia di mantenere la stabilità interna e il suo corso europeista.Il 29 maggio, Sandu ha annunciato il lancio di nuove iniziative per combattere le minacce ibride russe, tra cui la creazione di un centro nazionale per la difesa informativa e la lotta alla propaganda, noto come PATRIOT, con la missione di coordinare la politica dello stato in materia di sicurezza informatica e lotta alla disinformazione a il livello nazionale. La nuova iniziativa, che secondo Sandu dovrebbe essere inviata al parlamento entro la fine di giugno, è particolarmente importante perché la Moldavia è considerata uno dei paesi europei più vulnerabili alla disinformazione russa e alle operazioni informatiche. L’iniziativa sosterrà anche una missione civile dell’UE svelata il 24 aprile volta a sviluppare capacità per gestire attacchi ibridi. L’Unione europea ha ulteriormente rafforzato il sostegno alla Moldavia il 30 maggio, annunciando che stava raddoppiando la sua assistenza macrofinanziaria precedentemente concordata al paese a 295 milioni di euro. Inoltre, il 31 maggio, von der Leyen ha annunciato un nuovo pacchetto di sostegno in cinque parti per la Moldavia per affrontare l’impatto della guerra in Ucraina alle sue porte e accelerare la sua integrazione nell’Unione Europea. Ciò porterà il sostegno totale dell’UE alla Moldova a 1,6 miliardi di euro, quasi triplicando l’obiettivo di sostegno del blocco rispetto all’obiettivo iniziale fissato nell’ottobre 2021.

  • La Moldova ha presentato domanda di adesione all’UE nel marzo 2022, subito dopo l’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022. L’Unione europea ha concesso alla Moldova lo status di candidato nel giugno 2022 per inviare a Chisinau (e Mosca) un messaggio di sostegno politico al paese. Mentre lo status della Moldavia come candidato all’UE significa che il paese si qualifica per il sostegno finanziario, politico e istituzionale del blocco, è improbabile che Chisinau diventi presto membro dell’UE a causa dello scetticismo di molti membri attuali sull’espansione del blocco.
  • Il nuovo piano di sostegno dell’Unione Europea abbasserà le tariffe di roaming tra il blocco e la Moldavia, rendendo più economico per le persone e le aziende in Moldavia e negli Stati membri dell’UE telefonare, inviare SMS e inviarsi dati a vicenda. Il piano fornirà anche più di 100 milioni di euro per coprire i bisogni immediati di Chisinau nella sfera energetica, insieme ad altri 40 milioni di euro per l’esercito moldavo a corto di liquidità.
  • Il 26 ottobre, il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha sanzionato 12 entità e nove individui (compresi gli oligarchi moldavi Vlad Plahotniuc e Ilan Shor) per aver sequestrato e corrotto le istituzioni politiche ed economiche della Moldavia e aver guidato gli sforzi per installare una leadership filo-russa nel paese. Il 30 maggio, l’Unione Europea ha imposto sanzioni simili a Plahotniuc e Shor, tra gli altri politici filo-russi in Moldavia. Ma a differenza delle sanzioni statunitensi, le nuove sanzioni dell’UE hanno preso di mira anche la leader del movimento di protesta contro il governo di Sandu, Marina Tauber, che è stata arrestata il 1° maggio all’aeroporto di Chisinau mentre cercava di fuggire in Israele per unirsi a Shor. Le sanzioni contro Tauber forniranno terreno per un’azione più dura contro altri leader del movimento filo-russo ancora in Moldavia.

Sebbene sia improbabile che depongano il governo moldavo, le forze filo-russe nel paese rimangono potenti e continueranno a organizzare regolarmente proteste prima delle elezioni presidenziali del 2024.Il 21 maggio, il presidente Sandu ha convocato una manifestazione pro-UE nel centro di Chisinau. Il suo obiettivo era dimostrare il continuo sostegno pubblico al percorso di integrazione europeista del governo, nonostante le difficoltà economiche causate dall’invasione russa della vicina Ucraina. La polizia ha stimato che almeno 75.000 persone hanno partecipato alla manifestazione, facendo impallidire le più comuni manifestazioni filo-russe, che raramente hanno attirato più di 20.000 sostenitori. Tuttavia, con l’inflazione destinata a rimanere elevata mentre infuria la guerra della porta accanto della Russia, le forze politiche filo-russe continueranno probabilmente a cercare di sfruttare le lamentele economiche dei moldavi e a organizzare proteste antigovernative. Tali sforzi si intensificheranno con l’avvicinarsi delle elezioni presidenziali del 2024, dove i rivali di Sandu cercheranno di estrometterla per iniziare a rallentare i progressi nell’integrazione della Moldavia nell’UE.

  • Il 15 maggio, Evghenia Gutul, 36 anni, del partito filo-russo Shor ha vinto le elezioni per guidare la regione semi-autonoma della Gagauzia della Moldavia. Le forze filo-russe hanno ampiamente dominato la scena politica della Gagauzia sin dall’indipendenza della Moldavia nel 1991.
  • Ma la vittoria di Gutul – e il fatto che abbia prevalso in un ballottaggio contro un altro candidato filo-russo – sottolinea comunque che i livelli di sentimento filo-russo rimangono alti in Moldavia, nonostante i cambiamenti generazionali e le nuove realtà geopolitiche dal 2022.

https://worldview.stratfor.com/article/moldova-european-summit-draws-more-support-ward-russian-influence

GITA AL LAGO Maggiore, di Claudio Martinotti Doria

Prima che i “complottisti” si scatenino sull’evento del naufragio dell’imbarcazione sul lago Maggiore, intervengo esponendovi informazioni riservate di cui sono venuto in possesso per pura coincidenza.

Una ventina di amici italo-israeliani, che si erano conosciuti tramite un social network per cuori solitari, hanno deciso di incontrarsi in un albergo nell’hinterland milanese e superati brillantemente i preliminare e primi approcci, hanno poi scelto di recarsi tutti quanti al Lago Maggiore per una gita nautica, noleggiando un’imbarcazione di 16 metri vecchia di 40 anni con navigatore umano incorporato. Annoiandosi, non essendo pescatori e neppure sportivi, a un certo punto a bordo si sono divisi in due gruppi. Uno ha iniziato a fare esperimenti magico-esoterici pronunciano formule per evocare gli spiriti elementali dell’acqua, e il secondo ha avviato un gioco di società a distanza con un gruppo d’imprenditori e oligarchi russi che erano presenti in una villa sulla costa presso cui stavano navigando, mettendosi in collegamento con loro tramite cellulari. Si conoscevano tra loro perché in molti erano iscritti a un gioco di società on line nel quale i partecipanti assumono ruoli da protagonisti in una complessa spy-story a più livelli di difficoltà, molto realistica, divisi per nazione e agenzia, competenze e gerarchie.

Mentre il primo gruppo stava evocando con successo le Ondine del Lago Maggiore, che vegliano sulle sue acque da tempo immemore, il secondo gruppo al contrario stava perdendo al gioco di società intrapreso coi russi sulla costa. Le Ondine del Lago Maggiore sentendo l’esito finale del gioco di società e prendendolo troppo sul serio come fosse reale, sono intervenute provocando una tromba d’aria limitatamente al luogo esatto dove era posizionata l’imbarcazione, questo spiegherebbe come mai il fenomeno meteo non ha colpito la costa e non è stato visto da nessuno. Dimenticavo di segnalarvi che il gioco di società era la “battaglia navale” e al momento del pronunciamento finale di “affondata”, le Ondine hanno preso sul serio l’affermazione udita ed hanno provveduto all’affondamento dell’imbarcazione. I russi dalla costa non si sono neppure accorti della tragedia, pur essendo inquieti per l’improvvisa interruzione delle comunicazioni.

Se tale versione dei fatti vi sembra inverosimile provate a leggere nei prossimi giorni sui media quello che verrà scritto o fatto intendere sulla tragedia.

claudio

 

Cav. Dottor Claudio Martinotti Doria, Via Roma 126, 15039 Ozzano Monferrato (AL), Unione delle Cinque Terre del Monferrato,  Italy,

Email: claudio@gc-colibri.com  – Blog: www.cavalieredimonferrato.it – http://www.casalenews.it/patri-259-montisferrati-storie-aleramiche-e-dintorni

Independent researcher, historiographer, critical analyst, blogger on the web since 1996

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Su PayPal è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (ho scoperto che pay pal prende una commissione di 0,38 centesimi)

L’ascesa della politica estrattiva Si tratta di avere piccole aspettative, di Aurelien

L’ascesa della politica estrattiva
Si tratta di avere piccole aspettative.

AURELIEN
31 MAG 2023
4
1
Azione
Nel mondo sono sempre esistiti due tipi fondamentali di sistemi economici: quelli di investimento e creazione e quelli di predazione ed estrazione. In questo saggio voglio suggerire che la modalità di comportamento predatorio ed estrattivo è uscita dalle sue origini puramente economiche e rappresenta oggi un modello di gestione della nostra società a tutti i livelli. E se il denaro è di solito tra le cose estratte, spesso non è l’unica.

La natura di qualsiasi economia dipende in larga misura dalla posizione delle fonti di reddito potenziale, poiché la competizione per queste risorse determina in larga misura il modo in cui l’economia sarà strutturata. Le prime economie, prima ancora delle comunità stanziali, erano necessariamente estrattive. Cacciatori, raccoglitori e pescatori non potevano fare nulla per aumentare l’offerta di ciò di cui si nutrivano, ma la loro interazione con il mondo era relativamente benevola, a patto di non stressare eccessivamente l’offerta di cibo.

Nelle prime società, le due fonti fondamentali di ricchezza potenziale erano la proprietà terriera e altre forme di rendita, tipicamente concesse dai governanti. La proprietà terriera forniva reddito sotto forma di colture per il consumo, di colture per la vendita, di affitti a carico dei contadini e di varie altre manovre finanziarie, a seconda del Paese interessato. La proprietà terriera forniva anche persone che potevano essere impiegate nelle proprietà e, in alcuni casi, arruolate per combattere nelle guerre. I sistemi feudali nella maggior parte dei Paesi concedevano quindi terre con reddito annesso in cambio di servizi (anche militari) al sovrano. Non sorprende quindi che le prime guerre fossero di conquista territoriale, poiché uno Stato più grande, con più persone e risorse, era in linea di principio più ricco e più forte di uno più piccolo. Anche quando le forze erano troppo limitate per occupare un territorio in modo permanente (come nell’Africa occidentale pre-coloniale), la correlazione locale delle forze poteva produrre vicini docili che pagavano tributi e vi avrebbero sostenuto in guerra.

In effetti, il denaro era spesso un movente nelle conquiste territoriali: il bottino delle città catturate era un modo per rimpinguare le proprie casse, pagando al contempo i mercenari che combattevano per voi. (Molte delle prime guerre assomigliano soprattutto a una serie di razzie per fare incetta di bottino. Ci si aspettava che le guerre si autofinanziassero e i soldati si arruolavano nella speranza di fare fortuna se fossero sopravvissuti. (La guerra come business è un modello che ha una storia lunghissima, dalla Guerra dei Cento Anni ad alcuni dei conflitti in Africa di oggi. E la guerra non era l’unica opzione per aumentare il territorio: anche i matrimoni dinastici potevano farlo, ed era per questo che ci si impegnava così tanto.

Il denaro ricavato dalla proprietà della terra era chiamato “affitto” nel senso originario del termine, e naturalmente esiste ancora, ma si parla anche di “affitto” in senso più ampio, come sfruttamento delle possibilità finanziarie di un bene che si controlla, perché lo si è comprato, rubato o concesso, o come modo per rendersi un fastidio e un ostacolo che deve essere comprato. Una delle prime forme di affitto era la riscossione dei dazi doganali per consentire ai commercianti di attraversare le città o i fiumi. Si trattava, in effetti, di un puro affitto, poiché la città non era obbligata a offrire alcun servizio in cambio. Si trattava di una tassa sul movimento. (È interessante notare che una mappa moderna delle reti di autostrade francesi mostra che i percorsi principali non sono cambiati molto dal Medioevo. Oggi l’affitto viene riscosso dalle società private che teoricamente “gestiscono” le autostrade, acquistate per pochi spiccioli dal governo. Come in passato, si tratta in realtà di una tassa sul movimento). L’ultimo esempio di tassa sulla circolazione è il “check-point” presidiato da milizie armate in alcune zone di conflitto, che richiedono il pagamento in denaro o una quota delle merci trasportate. L’esempio più straordinario che conosco è il trasporto di merci dal Pakistan all’Afghanistan per i soldati statunitensi durante la guerra. I camion, guidati da appaltatori pakistani, dovevano passare attraverso i check-point talebani, dove venivano richiesti i soliti contributi volontari. In pratica, gli Stati Uniti finanziavano direttamente i Talebani.

Infine, si può guadagnare un “affitto” inserendosi in un sistema come un fastidio che deve essere pagato per andarsene, o come un “esperto” che può dare consigli su questioni spinose. Tendiamo a pensare a questo come a un problema del Sud globale o degli Stati Uniti, dove è necessario un “faccendiere” che ti dica chi vedere, chi pagare e quanto ottenere qualcosa. Ma in realtà è altrettanto caratteristico delle moderne società liberali, con la loro mania di avere regole sempre più complesse, che solo specialisti sempre più specializzati possono spiegare, e per di più per ingenti somme di denaro. Alcuni accademici guadagnano fortune assolute come “testimoni esperti” in procedure come i brevetti e le cause antitrust, per esempio. Sebbene in una società moderna complessa spesso non si abbia la possibilità di scegliere se rivolgersi a qualche specialista, negli ultimi decenni si è assistito anche a una crescita esplosiva delle posizioni di ricerca di rendita stabilite dalla legge, o almeno dalla consuetudine. Ad esempio, oggi è praticamente impossibile gestire anche un’organizzazione di piccole dimensioni senza pagare dei “consulenti” che forniscano “formazione” su questo o quello, e “dichiarazioni” e “revisioni” su vari argomenti, spesso richieste dalla legge o come condizione per fare affari con i governi. Tutto questo è solo una forma moderna di ricerca di rendita.

Classicamente, e come dice il nome stesso, un’economia estrattiva cerca di estrarre la massima ricchezza da ciò che già esiste, piuttosto che crearne di nuova, e gli attori competono tra loro per accedere ai flussi di reddito. Cinquecento anni fa poteva esserci una gara per diventare esattori delle tasse, oggi forse per aggiudicarsi un contratto di “formazione” sulla sensibilità di genere. Un’economia e una società di questo tipo sono concepite come essenzialmente stagnanti e, sebbene possano esserci periodi di crescita e periodi di declino, non esiste un concetto di crescita economica continua come prodotto di investimenti sostenuti. Le società estrattive hanno tipicamente poca fiducia nel futuro e non vedono l’utilità di investire quando la predazione è molto più facile. Le economie di guerra e di conflitto funzionano in questo modo, poiché il futuro è per definizione incerto, e le società politicamente instabili tendono a essere orientate all’estrazione, perché gli attori non sanno se saranno al potere l’anno prossimo, o se saranno ancora vivi. E alla fine dei conti, l’attività economica estrattiva è molto più facile: chi non vorrebbe essere un lobbista costosamente pagato piuttosto che un imprenditore in difficoltà o un regolatore sottopagato?

Come sarà chiaro, forse, la ricerca di rendite e l’estrazione sono caratteristiche fondamentali di una società liberale, che consiste proprio nel ridurre (e rendere complessi) tutti gli aspetti della vita in una serie di norme e regolamenti che richiedono gruppi di specialisti istruiti per interpretarli e discuterli. In effetti, una società liberale può essere definita come una società che sostituisce regole semplici e ben comprese con procedure altamente complesse e difficili che richiedono specialisti istruiti per interpretarle. E sono questi interpreti, piuttosto che i semplici produttori, ad avere uno status sociale più elevato. È istruttivo, ad esempio, osservare il background sociale degli artefici della Rivoluzione industriale in Inghilterra: spesso erano artigiani di classe inferiore, con un notevole senso degli affari ma con una scarsa istruzione formale. Per tutto il periodo del dominio industriale britannico, quindi, la manifattura e le altre attività pratiche erano considerate “commercio” e i loro praticanti non erano ben accetti nella società civile. È naturale che il figlio di un industriale gestisse a sua volta l’azienda, ma il nipote diventasse avvocato o entrasse nella City di Londra e diventasse proprietario terriero per matrimonio.

Uno degli effetti inosservati della globalizzazione è stato il massiccio aumento della percentuale delle economie occidentali dedicate all’estrazione. A un livello relativamente semplice, questo può richiedere, ad esempio, che le banche che operano in tutto il mondo mantengano costosi esperti di diritto fiscale e commerciale in diversi Paesi. Ma a volte gli effetti sono più sottili. Ad esempio, una delle promesse fatte sull’esternalizzazione all’estero era che l’Occidente avrebbe mantenuto il lavoro difficile e complesso di alto valore, mentre avrebbe mandato altrove il lavoro spazzatura. In sostanza, si è verificato il contrario: intere tecnologie sono state spedite offshore e ora non possono essere recuperate, e quindi la percentuale di economie occidentali produttive diminuisce ogni anno, proprio mentre la domanda di competenze estrattive (la conoscenza del diritto contrattuale cinese, ad esempio) continua ad aumentare. A sua volta, ciò significa sia che il fabbisogno assoluto di scienziati, ingegneri e artigiani altamente qualificati diminuisce, per cui ne vengono formati di meno, sia che gli enormi stipendi ora richiesti dagli specialisti del settore estrattivo sono tali da attirare molti dei migliori talenti. Se foste un ingegnere aerospaziale, non vorreste creare una vostra società di consulenza tecnica in outsourcing piuttosto che andare a lavorare per un’azienda occidentale già impegnata a trasferire all’estero posti di lavoro qualificati? Allo stesso modo, anche se si è un musicista molto bravo, è sempre meglio essere un avvocato specializzato in diritti d’autore che fa causa ad altri musicisti.

Come ho suggerito in precedenza, la mentalità estrattiva nasce quando la società perde la fiducia nel futuro e nella nostra capacità di costruirlo. Perché non nutrirsi del presente, dopo tutto? È più facile e più sicuro. La grande era dell’innovazione tecnologica occidentale nel XIX e XX secolo ha coinciso con la grande era della speranza in un mondo migliore, e in misura considerevole quel mondo migliore è apparso. In quell’epoca, nella maggior parte dei Paesi, gli scienziati, i tecnologi e gli ingegneri, ma anche gli esploratori e gli alpinisti, così come i riformatori politici e sociali, godevano di un prestigio mai raggiunto prima o dopo. Alcuni anni fa ho vissuto in una zona di Parigi non lontana dalla Sorbona. I nomi delle strade in Francia sono sempre interessanti e di grande risonanza politica, e intorno a me le strade portavano il nome di scienziati, ingegneri, ricercatori medici, naturalisti, sociologi e riformatori sociali, oltre al classico elenco di politici. Tutte queste figure hanno contribuito a rendere il mondo migliore e più comprensibile, e praticamente tutte erano morte nella seconda metà del XX secolo. Non ho idea nemmeno in linea di principio di quali nomi potrebbero sostituirli ora.

Che ce ne rendiamo conto o meno, stiamo vivendo uno dei periodi estrattivi, in cui non c’è fiducia nel futuro e quindi non ha senso investire in esso. Ma questo vale ben oltre l’economia in sé, per quella che io chiamo Politica Estrattiva: la tendenza a vedere le nazioni e i loro sistemi e problemi politici, sociali ed economici come nient’altro che una fonte per estrarre rendite di vario tipo. Naturalmente “trarre profitto” dagli sviluppi della politica non è certo una novità: qualsiasi politico esperto, di fronte a una crisi, penserà automaticamente “come posso sfruttare questa situazione a mio vantaggio?”. Ma la mia tesi è che siamo entrati in un periodo in cui la politica in senso lato è diventata nient’altro che estrattiva, e consiste essenzialmente nella ricerca di opportunità per trarre vantaggi personali, professionali e finanziari dal conflitto, dalla stagnazione e dal declino delle società attuali. Viviamo infatti in una società in cui, per la prima volta da diversi secoli, sembra impossibile immaginare seriamente un mondo migliore per tutti, o anche solo per la maggior parte. (Non a caso, credo, ci stiamo sempre più rifugiando in mondi artificiali e virtuali, dove è ancora possibile programmare qualche speranza). La tecnologia è ormai una minaccia piuttosto che un potenziale salvatore, le nostre ideologie sono esaurite, i nostri politici sono delle nullità ridanciane, le nostre risorse si stanno esaurendo e il cambiamento climatico potrebbe ucciderci tutti. Anche il discorso ufficiale offerto è declinista e miserabile: basti pensare al recente tentativo di Macron di spiegare che, mentre il Paese era più ricco di quanto non fosse mai stato prima e c’erano un sacco di soldi per l’Ucraina, i francesi meno pagati avrebbero dovuto lavorare fino alla morte. Di fronte a un tale muro di problemi, l’umanità si è sempre più ritirata in un’arcigna passività, con l’iniziativa disponibile rivolta allo sfruttamento di tutti gli altri.

Alcune di queste forme di estrazione sono relativamente semplici. Così, se siete un ministro incaricato di un’importante funzione di governo, è sensato per voi affamare questa funzione di risorse, piuttosto che migliorarla. Perché? Perché peggiore è il rendimento del sistema, maggiore sarà la richiesta di alternative da parte di chi ha i soldi. Una volta che un servizio postale perde il monopolio su alcune consegne, ad esempio, si apre un intero campo di estrazione per avvocati, finanzieri, agenzie pubblicitarie, consulenti logistici e altri per promuovere lo sviluppo di alternative del settore privato. Allo stesso modo, più si riesce a inculcare nella popolazione la sensazione che le cose stiano peggiorando e che i servizi siano inevitabilmente destinati a diminuire, più la popolazione accetterà questo stato di cose e riterrà che non ci sia alternativa al pagare di più per un servizio peggiore. E naturalmente quando vi ritirerete dalla politica, tra un paio d’anni, ci sarà un bel lavoro ad aspettarvi. Ma vale la pena sottolineare che, come al solito con le iniziative estrattive, tutto ciò che è successo è che un servizio che non è migliore (e probabilmente peggiore) è ora più costoso e complicato da fornire. E anche se non siete un politico, potete trarre qualche guadagno dal sistema in declino scrivendo rapporti che propongono ulteriori privatizzazioni, trovando lavoro in una società di consulenza per l’outsourcing o altro.

Alcuni lo sono un po’ meno: il cambiamento climatico, per esempio. Tendiamo a pensare ai miliardari che costruiscono bunker nucleari in Nuova Zelanda, ma in realtà c’è un sacco di denaro e di pubblicità da guadagnare in modo difensivo, piuttosto che promozionale, parlando di disastri imminenti su YouTube, scrivendo libri sul collasso e sul survivalismo e vendendo prodotti che presumibilmente ci aiuteranno a sopravvivere a qualsiasi cosa stia per accadere. Ma il capitale politico può essere ricavato anche facendo cose che possono essere riassunte sotto l’etichetta “cambiamento climatico”, anche se il loro effetto reale non è misurabile o (nel caso dei Verdi tedeschi e della loro sostituzione delle centrali nucleari con centrali a carbone) peggiora effettivamente la situazione. A Parigi, ad esempio, la coalizione al governo (che dipende dai Verdi) ha obbligato ristoranti e caffè a non riscaldare più le terrazze quando fa freddo, togliendo così uno dei piaceri della vita di strada parigina. Non c’è alcuna pretesa che il mondo si salvi in questo modo, o che il clima se ne accorga: il punto è attuare una parte dell’agenda acida e punitiva che i Verdi perseguono da anni. Allo stesso modo, la città ha incoraggiato il noleggio di scooter elettrici, che si trovano ovunque accatastati agli angoli delle strade. Questi hanno causato così tanti disagi e incidenti che il Comune è stato costretto a ritirare le licenze, anche se la proprietà privata è ancora consentita. Il risultato è che le strade sono più pericolose, che la quantità di strada destinata ai veicoli a motore è notevolmente diminuita mentre la domanda non è cambiata, e che gli utenti di queste mostruosità (che in genere non hanno comunque un’auto) non si spostano più con i mezzi pubblici, riducendo così le entrate. Ma a chi importa? Il problema è troppo grande per essere risolto, quindi cerchiamo di ricavarne un po’ di capitale politico finché siamo in tempo.

Questa è la logica fondamentale della politica estrattiva. Trovare un problema insolubile ma che suona male, spesso mal definito e non ben compreso. Ponetevi obiettivi vaghi, impossibili da misurare e che in ogni caso dipendono da persone diverse da voi che svolgono il lavoro effettivo. Organizzate qualche evento per farsi pubblicità, coltivate i media e guardate i soldi che arrivano e i posti di lavoro che si creano. Rilasciate dichiarazioni sui fallimenti degli altri e richieste di azione da una posizione di superiorità morale che rivendicate, ma che non avete fatto nulla per guadagnare. Dopo tutto, c’è qualcuno che crede che incollarsi a quadri famosi possa aiutare ad affrontare il cambiamento climatico? Qualcuno crede, se è per questo, che incollarsi a quadri famosi possa avere conseguenze, che potrebbero avere conseguenze, che potrebbero avere conseguenze, che potrebbero influire sul cambiamento climatico? Chiaramente no. Ma nel frattempo c’è pubblicità, interviste, soldi, forse un libro o due.

A volte l’obiettivo, almeno apparentemente, è positivo: la “pace”, per esempio. Ma in questi casi è crudamente ovvio che l’obiettivo, così come formulato, è irraggiungibile, anche perché non può essere definito correttamente. Questo però non deve essere un ostacolo a una buona carriera. Ricordo che quando Dora Russell, vedova del filosofo Bertrand Russell e attivista per molte cause, morì nel 1986, fu elogiata a gran voce come una “coraggiosa combattente” per la pace, grazie al suo coinvolgimento, tra le tante, nella Campagna per il disarmo nucleare. Tuttavia, nonostante tutte le conferenze a cui ha partecipato, le marce che ha guidato, i premi che ha ricevuto e gli elogi che le sono stati tributati, non si può plausibilmente sostenere che abbia dato un contributo significativo alla pace nel mondo. Forse era abbastanza ingenua da credere di poterlo fare – dopotutto veniva da una generazione precedente e più seria moralmente – o forse era solo un senso esagerato della propria importanza, come certamente sarebbe oggi per uno dei suoi successori. Ma almeno suppongo che fosse un’intellettuale genuina.

Più in generale, però, la politica estrattiva funziona mobilitando denaro e sforzi in battaglie deliberatamente chisciottesche contro draghi che non possono essere definiti correttamente, né tanto meno combattuti efficacemente. Anzi, è meglio che il problema sia definito nel modo più vago possibile, perché così si ottiene il massimo margine di manovra. Dopotutto, se si cerca di ottenere fondi per il lavoro contro i matrimoni forzati nelle comunità di immigrati musulmani (e organizzazioni di questo tipo esistono e dovrebbero essere sostenute) si ha un’idea delle dimensioni e della natura del problema, e nei rapporti annuali si può almeno fare riferimento a prove aneddotiche di successo. Allo stesso modo, ci sono associazioni di beneficenza che insegnano a leggere ai bambini delle comunità svantaggiate (un’altra causa meritevole), e il successo in questo senso può essere misurato. E se foste davvero preoccupati per il destino della Terra, sareste là fuori a fare agricoltura biologica o a lavorare a progetti di riciclaggio. Ma niente di tutto questo è una buona politica estrattiva, perché richiede di uscire dall’ufficio e di incontrare persone comuni che potrebbero non piacervi, di accettare obiettivi e traguardi pratici e di spiegarvi quando non li raggiungete.

Piuttosto, si pretende di combattere draghi come il “razzismo” o il “sessismo”, che hanno il vantaggio di essere fenomeni del tutto soggettivi (essenzialmente come le persone si sentono sulle cose) senza alcun contenuto oggettivo. Poiché il nemico non può mai essere definito, la battaglia non può mai essere vinta, e poiché la battaglia non può mai essere vinta, sono sempre necessari ulteriori finanziamenti, devono essere organizzate giornate di azione, e un intero vocabolario è incidentalmente disponibile per distruggere i vostri avversari politici con accuse che non possono essere confutate perché non sono tenute a contenere alcun fatto oggettivo. Dal punto di vista dei governi e dei finanziatori istituzionali, questo è anche un modo per fare bella figura, senza associarsi a un’iniziativa che potrebbe andare male. Inoltre, distoglie utilmente l’attenzione da problemi molto più banali, ma molto più gravi, che non si ha né la capacità né la volontà di risolvere.

Infine, non dovremmo trascurare il grado di infiltrazione della politica estrattiva nella politica estera e di sviluppo da qualche tempo a questa parte. Anche in questo caso, è una questione di perdita di speranza. Negli anni Sessanta, la teoria dello sviluppo spingeva i Paesi del Sud globale a passare dalla sussistenza alle coltivazioni di denaro per pagare gli investimenti che li avrebbero portati rapidamente ai livelli di sviluppo occidentali. Sappiamo come è andata a finire. Negli anni Ottanta, la macchina si è invertita e il Sud globale è stato spinto ad aprire le proprie economie, a cercare investimenti diretti esteri e a far fronte, in qualche modo, a oscillazioni selvagge dei prezzi delle materie prime e del valore delle valute e all’incapacità di nutrire la propria popolazione. Sappiamo anche come è andata a finire.

Sebbene le Istituzioni Finanziarie Internazionali sembrino continuare a fare le stesse cose di una generazione fa, è chiaro che non hanno più il cuore in pace e che non sono disposte a trarre lezioni concrete da Paesi come la Cina e Singapore, che si sono modernizzati con grande successo e il cui esempio il Sud del mondo trova sempre più attraente. Quindi, cosa fare? Beh, si adotta il buon vecchio adagio politico secondo cui se il problema è troppo difficile da affrontare, si attaccano invece i sintomi. Si pagano quindi gli ambiziosi abitanti del luogo perché studino economia negli Stati Uniti o in Europa, oppure si offre loro un lavoro presso le istituzioni internazionali. Si finanzia un’ambiziosa campagna anticorruzione con codici di condotta per gli appalti pubblici e si finanziano le ONG locali, composte da figli e figlie di politici locali, per promuovere la trasparenza e la responsabilità nella spesa pubblica. Promuovete i vantaggi della Blockchain e delle criptovalute. Il vantaggio di questo genere di cose è che si possono indicare i famosi “risultati” a cui i finanziatori sono tanto interessati. Sono state assegnate X borse di studio, i Codici di condotta sono stati lanciati con successo, le ONG stanno festeggiando il loro primo anno di campagne. Il vostro governo ha acquisito una notevole influenza sui processi decisionali di un altro Paese, e la maggior parte del denaro che avete speso è tornato in pratica nel vostro Paese, sotto forma di spese di consulenza e simili. È vero che la corruzione non è mai stata così grave e che questo tipo di iniziative la peggioreranno anziché migliorarla, ma non si può vincere sempre. Se non si riesce a risolvere il problema, si può almeno trarne profitto.

Per avere un’idea di come funziona in pratica, si consideri il seguente esempio immaginario (ma non così immaginario). In un paese africano povero, la situazione della sicurezza nella capitale è pessima. La polizia viene pagata raramente, se non addirittura per niente, e ci si aspetta che sopravviva grazie alla piccola corruzione. Non hanno veicoli, né radio, né capacità scientifiche o tecniche. La criminalità è molto alta e le comunità locali stanno formando gruppi di vigilantes per affrontarla. Sottoposta a enormi pressioni per ridurre il crimine, la polizia ricorre all’arresto dei criminali abituali e alla loro confessione. Purtroppo, anche quando vengono condannati, vengono rilasciati rapidamente perché le carceri sono piene. I sondaggi dell’opinione pubblica mostrano che la popolazione locale vuole più polizia, meglio finanziata, più attrezzature, pene più severe e più prigioni. Ovviamente nessun donatore può finanziare queste cose, quindi si cercano altre iniziative.

La risposta è ovvia: un programma di formazione sui diritti umani, che coinvolga poliziotti ed esperti accademici del Paese donatore, con tanto di interpreti. I poliziotti senior selezionati saranno trasportati nel Paese donatore per un corso di formazione della durata di un mese, pagato con tutte le spese e con una generosa diaria. Una ONG locale finanziata dal Paese donatore redigerà una nuova legge e una serie di regolamenti sulla politica dei diritti umani della polizia per i poliziotti in grado di leggere, basandosi strettamente sulle pratiche del Paese donatore. Tutti saranno contenti, tranne la polizia, che continuerà a non avere stipendio e attrezzature, e la popolazione, che non avrà alcuna sicurezza, e non amerà e temerà la polizia. Ma nessuno potrà mettere in dubbio la quantità di rendita politica che è stata estratta.

Non è necessario che sia così, e in effetti non lo è sempre stato. C’è stato un tempo in cui gruppi di individui e di Stati costruivano cose, ristrutturavano cose, organizzavano cose, miglioravano la vita, eliminavano le malattie, ponevano fine alla povertà, riducevano massicciamente la mortalità infantile, ripulivano l’ambiente e creavano e mantenevano la piena occupazione, solo per citare le caratteristiche più evidenti del mondo in cui sono cresciuto: forse anche voi. E tutto questo era considerato normale. Ma a quei tempi, sia il governo che i governati avevano grandi aspettative. Le aziende competevano per essere le prime, le migliori o le dominanti, non per essere le più redditizie. L’innovazione non riguardava solo i trucchi finanziari.

Mentre scrivevo, stavo cercando di pensare all’ultima volta che i governi europei hanno fatto qualcosa di cui si potesse essere tradizionalmente orgogliosi. L’unica cosa che mi è venuta in mente è stato il tunnel sotto la Manica e l’Eurostar trent’anni fa: un trionfo dell’ingegneria e un evento politico di prim’ordine, certo, ma il tipo di cosa che non avrebbe entusiasmato i cinesi, i giapponesi o i russi. Dopo di che, beh, che cosa esattamente? Se si hanno piccole aspettative, si ottengono piccoli risultati.

Sarebbe bello pensare di poter avere di nuovo grandi aspettative, ma per questo servono anche cose come l’istruzione, la formazione, la pianificazione, la visione, la competenza tecnica e altre cose che sono in gran parte scomparse dall’Occidente. Sono sempre più convinto che il secolo e mezzo che va dal 1820 al 1970 circa sia stato un’anomalia storica, in cui per un certo periodo sono sorte nei Paesi occidentali nuove forze economiche produttive che hanno messo in crisi le tradizionali forze estrattive. Ma non durò, e forse non avrebbe mai potuto durare. Almeno, qualche centinaio di anni fa si aveva la scusa che non si capiva bene cosa fosse la crescita economica. Il mercantilismo, dopo tutto, sosteneva che il volume della ricchezza nel mondo fosse costante e che gli Stati dovessero competere per accaparrarsene il più possibile. Oggi non abbiamo più questa scusa. Se siete tra coloro che si oppongono al concetto di “crescita economica” per motivi ecologici, pensatela come un miglioramento della vita. L’alfabetizzazione universale, case decenti in cui vivere e un migliore standard di salute non avevano un impatto ecologico negativo all’epoca, e non dovrebbero averlo oggi. Potremmo fare queste cose se chi ci governa lo volesse, o anche se lo volessero gruppi sufficientemente ampi di persone, ma la struttura dell’economia e della società lo rende difficile. È difficile raccogliere fondi per un metodo veramente economico e semplice di immagazzinamento dell’energia solare, per esempio. È molto più facile lavorare come consulente, consigliando alle persone se investire o meno in un fondo che finanzia tali progetti. È più facile prendere in prestito denaro per speculare sul successo e sul fallimento di tali fondi e vendere tranche di fondi ad altre persone. Finché non risolviamo questo problema, continueremo ad avere piccole aspettative.

https://aurelien2022.substack.com/p/the-rise-of-extractive-politics?utm_source=post-email-title&publication_id=841976&post_id=124640269&isFreemail=true&utm_medium=email

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Su PayPal è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (ho scoperto che pay pal prende una commissione di 0,38 centesimi)

LA CAOSIFICAZIONE DEGLI AMERICANI, di Pierluigi Fagan

In un doppio post recente sulla crisi della civiltà occidentale, ponevo come un sottosistema a sé le società anglosassoni, gli Stati Uniti d’America, la Gran Bretagna ed altre tre minori. Riguardo gli USA, c’è da segnare come, finita la presidenza Trump, le notizie date qui su quel mondo sono semplicemente sparite. Sulla Gran Bretagna, talvolta, qualche europeista prova piacere a raccontare i significativi malesseri britannici addebitandoli alla Brexit, ma niente di più. Infine, col nuovo governo, siamo diventati “amici preferiti” tanto dell’uno che dell’altro. Nel caso americano ne va anche della coerenza di allineamento geopolitico con attualità nel conflitto ucraino, posizione super-partes nello schieramento politico italiano che per altro, secondo scarni sondaggi, non rifletterebbe per niente il sentimento maggioritario del Paese. Quindi sugli USA, dal punto di vista interno, non c’è niente da dire?

Nel 2022, una storica americana specializzata in conflitto civile (fondazione storica degli States), ha fatto clamore, sostenendo che in base alla letteratura di analisi storica generale, si potevano sintetizzare alcuni punti di crisi che potevano far prevedere l’imminente rischio di scoppio di una “stasis”. Secondo B.F. Walter, gli Stati Uniti sono oggi dei perfetti candidati a piombare nella guerra civile. È stata seguita da altri autori e molta eco mediatica, sia americana che britannica, hanno amplificato il tema ponendolo al centro del dibattito pubblico.

In un recente articolo di L. Caracciolo sulla Stampa, lo studioso usa questa espressione “Oggi l’America non si piace più. Come può affascinare gli altri?”. Buon annusatore dello spirito del tempo, Caracciolo si è convertito già dall’editoriale sull’ultimo numero di Limes ora in edicola, alla verità dell’epocale transizione dei poteri nel mondo, segnalando come gli Stati Uniti abbiano perso l’aurea e con essa il soft power.

Ribadisce George Friedman sulla stessa rivista, nel titolo della sua analisi “Gli Stati Uniti sono prossimi a un collasso interno”, sorbole! L’elenco di Friedman cita “rivendicazioni sociali al picco di intensità, questioni morali, religiose, culturali”, poi ci sono i fallimenti bancari, le revisioni strategiche verso la globalizzazione, il grande punto interrogativo cinese, ombre scure sui Big Five dell’on-line (che per altro licenziano a manetta) e le oscure sorti progressive dell’A.I., la Nasa che pare non sappia più come fare una tuta da astronauta, figuriamoci mandarlo sulla Luna; permangono attriti sui flussi migratori e sempre forti sulla convivenza razziale. C’è anche una profonda crisi interstatale/federale che arriva fino al ruolo del Congresso e della Corte Suprema. “Mai nella storia, vi è stato un tale livello di rabbia e disprezzo reciproco tra gli americani”, è la nota inquietante di Friedman. Se ne danno davvero di santa ragione su questo e su quello a livelli veramente pre-isterici, quando non si sparano e fanno e parlano di cose in modi davvero bizzarri (Dio, aborto, transessuali che risulterebbero solo lo 0,5% della popolazione, tradizionalismo e progressismo, pedofilia, complotti surreali et varia).

Questa agitazione, che più d’uno ha interesse a radicalizzare, trova il suo inferno su Internet ed i social. Quanto ai social, è il formato stesso dell’interazione anonima, con scritto privo di corredo facciale e comportamentale, costretto in spazi più da battuta che da discorso argomentato (woke! cristofascista!), la clausura nelle piccole comunità dei comuni pensanti che si eccitano a vicenda, a dar benzina a braci già ardenti. Radicalizzazione ci mette del tempo a costruirsi e non si smonta in tempi brevi, deposita rancori, astio, odio viscerale. Alla fine, non è più una questione di argomenti ma di irrigidimenti.

Sebbene sia una nazione di 330 milioni di persone (con, si stima, 400 mio di armi private, molte di livello militare) e pure con una composizione assai varia, tende a spaccarsi semplicemente in due ed il formato “noi contro loro”, alimenta il suo stesso radicalizzarsi semplificando. La semplificazione, del resto, è un tratto caratteristico della mentalità americana empirico-pragmatica ovvero sovrastimante il fare al posto -o priva- del pensare.

L’aspettativa di vita in America è in caduta libera da circa un decennio: è arrivata a 76,1 anni (da noi è da cinque a dieci anni di più). Grandi balzi in avanti tanto della mortalità infantile che di quella generale: diffusione armi ormai fuori controllo (in America oltre 200 persone al giorno vengono ferite da armi da fuoco, 120 vengono uccise. Di queste 120, 11 sono bambini e adolescenti), tasso di omicidi tra adolescenti +40% in due anni, overdosi ed abuso farmaci, incidenti auto. Nelle scuole, a molti bambini è imposto un corso di comportamento nel caso qualcuno entrasse in classe sparando con un mitra. E meno male che sono pro-life!

Al 10° posto per teorica ricchezza pro-capite in realtà gli USA sono 120° per uguaglianza di reddito (WB 2020), dopo l’Iran ma prima del Congo (RD). L’ascensore sociale è rotto da almeno trenta anni, ammesso prima funzionasse davvero. Americani poveri, in contee povere, in stati del Sud, muoiono fino a venti anni prima degli altri. Gli afroamericani cinque anni -in media- prima dei bianchi. Col solo 4,5% della popolazione mondiale hanno il 25% della popolazione carceraria, spaventoso il grafico di incremento negli ultimi trenta anni. La media europea è di 106 incarcerati su 100.000 abitanti, in US è 626, sei volte tanto che è primato mondiale. Fatte le debite proporzioni tra morti per overdose e popolazione totale, per ogni morto in Italia ce ne sono 50 in USA. Sebbene abbiano meno del 5% di popolazione mondiale spendono il 40% del totale mondo in spesa militare (a cui aggiungere le armi interne). Se ci si annoia coi libri di storia, basta guardare nell’immaginario la produzione cinematografico-televisiva per capire quanto attragga culturalmente la violenza, da quelle parti. La violenza è la cura dei contrasti sociali, atteggiamento pre-civile.

Avendo a norma sociale il libero perseguimento della felicità versione successo economico-sociale su base competitiva delle qualità individuali nel far soldi, non avendo idea di come il gioco sia truccato, mancando tradizione di pensiero e di analisi di tipo europeo (ad esempio per classi), questa massa di reietti, che spesso vivono in condizioni subumane, ovviamente arrabbiati quando non rintontiti da tv-alcol-farmaci-droghe, vengono reclutati dalle varie élite per sostenere o combattere ora questo, ora quel diritto civile. Il che alimenta questa tempesta di odio reciproco a livello di “valori”, che siano della ragione o della tradizione, ma mai economico-sociali.

I “bianchi” sono oggi il 58% ma nel 1940 erano l’83% ed ancora nel 1990 il 75%, il trend è chiaro. Già si sa che perderanno la maggioranza assoluta nel 2044, tra due decenni. Peggio per la quota WASP dentro il cluster “bianchi”, con età media più alta, in piena sindrome Fort Apache.

Un sondaggio 2022 dava a 40% tra i dem e 52% tra i rep, favorevoli a separare stati rossi e blu in una sorta di secessione ideologica e atti politico-giudici locali, nonché la pratica tradizionale del -gerrymandering-, una sorta di sartoria dei collegi elettorali per predeterminare la vittoria di certi candidati nelle forme della rappresentanza che non è mai proporzionale, sembra esser andata in questa direzione negli ultimi anni. Alcuni rep, da un po’, propagandano l’idea di alzare l’età del voto per evitare che i più giovani portino voti ai dem. Questa idea di divorzio territorial-ideologico è inedita e dà il senso della profondità della frattura sociale. Lo screditamento reciproco dei rappresentanti locali e federali dei due partiti è all’apice.

Del resto, il crollo di fiducia è molto ampio: chiesa, polizia, giornalisti, intellettuali, accademia e scuola stessa ed ovviamente i politici che spesso in realtà sono cercatori di posizione sociale disposti a tutto. La guerriglia condotta sulla legittimità dei voti, potrebbe adombrare una ipotesi ventilata sul “voto contingente” dove in mancanza di un chiaro pronunciamento (ovvero contestato), ad ogni stato viene attribuito un voto, essendo la maggioranza degli stati (che hanno però minor popolazione) repubblicani, ecco qui realizzata l’intenzione che sempre più spesso esce da certe bocche “Noi siamo una Repubblica, non una democrazia”, il che -per altro- è una limpida verità.

È del resto certificato da studi di Princeton e Northwest sui contenuti delle leggi deliberate dal Congresso, già di dieci anni fa, che gli Stati Uniti sono una oligarchia e non una democrazia. È questa oligarchia che ha interesse ad incendiare il sottostante, lì dove il popolo si scanna per questioni di diritti civili, razza, prevalenza sessuale e non per diritti sociali, qualità della vita, ridistribuzione dei redditi e potere connesso.

Ci sono presupposti per verificare questa profezia di una ipotetica guerra civile, profezia che dato il grande rilievo media dato in America rischia di diventare del tipo “… che si auto-avvera”? Ci sono parecchie ragioni per dubitarne, sempre che s’immagini barricate e vasti disordini per strada accompagnati da terrorismo interno. Tuttavia, per quanto l’analisi dovrebbe esser più profonda di quanto permetta un post, questa analisi specifica sulla crisi interna la società americana certifica che è il cuore della civiltà occidentale ad esser in crisi profonda.

Per questo agli europei si consiglierebbe di allentare i legami trans-atlantici, gli americani sono destinati ad una continuata contrazione di potenza mondiale mentre all’interno danno sempre più di matto su tutto tranne che sul continuo aumento delle diseguaglianze, malattia mortale per ogni società.

Parecchia della fenomenologia perversa qui brevemente descritta, ha già contagiato le nostre società. Dal globalismo-neoliberale alla lagna unidimensionale sui diritti civili e non sociali che eccita l risposta tradizionalista, l’intero immaginario che percola dalle serie tv e dal cinema, l’intero Internet e la logica dei social, ora dell’A.I. che discende da un preciso milieu psico-culturale comportamentista (cioè finalizzato al controllo del comportamento e della cognizione, altro che “intelligenza”), la ripresa europea ed italiana nelle produzione e commercio di armi, la distruzione democratica già programmata dai primi anni ’70, la demagogia, l’ignoranza aggressiva, il drastico scadimento qualitativo delle élite, la scomparsa della funzione intellettuale, il semplicismo, l’infantile entusiasmo tecnologico, una irrazionale fede sul ruolo della tecnica, le epidemie di solitudine sociale e depressione, la farmaco-dipendenza, la plastificazione corporea e la manipolazione neurale. La crisi del centro anglosassone del sistema occidentale irradia da tempo tutta l’area di civiltà, anche dove l’antropologia culturale, sociale e storica, sarebbe ben diversa.

Si consiglierebbe di cominciare a programmare un divorzio, una biforcazione dei destini, una rifondazione dell’essere occidentali che chiuda la parentesi anglosassone. Viaggiare i tempi complessi con questa gente alla guida potrebbe esser molto pericoloso.

https://pierluigifagan.wordpress.com/2023/05/28/la-caosificazione-degli-americani/

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Su PayPal è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (ho scoperto che pay pal prende una commissione di 0,38 centesimi)

Il corteggiamento tra Marocco e Regno Unito, di BAUDOUIN DE PETIVILLE

Fratellanza europea. Giuseppe Germinario

Il corteggiamento tra Marocco e Regno Unito
par BAUDOUIN DE PETIVILLE

Negli ultimi mesi, Londra e Rabat hanno confermato la loro vicinanza diplomatica. Questo è il risultato del riavvicinamento tra i due Paesi avvenuto negli ultimi anni. Sebbene la relazione con il regno di Cherifa non sia nuova, sembra essersi rafforzata in proporzione al raffreddamento delle relazioni franco-marocchine.
Lo scorso gennaio, in occasione della quarta sessione del dialogo strategico Marocco-Regno Unito a Rabat, il Regno Unito ha espresso il proprio sostegno alle importanti riforme in atto in Marocco. In un comunicato stampa del 9 maggio, Rabat ha confermato le sue buone relazioni con Londra. Il Regno di Cherifa è lieto di essere considerato dai britannici come “un partner regionale e internazionale credibile e ascoltato, che svolge un ruolo essenziale ed è un relè chiave per la stabilità “1 .

Le prime relazioni ufficiali risalgono al XIII secolo, quando Giovanni d’Inghilterra inviò un’ambasciata al sultano al-Maha Muhammad al-Nassir. Scomunicato e minacciato di invasione da parte della Francia, il re Giovanni chiese al sultano un sostegno militare, e il sultano si spinse fino a offrire la conversione all’Islam2. Qualche secolo dopo, nel 1600, il Marocco chiese un’alleanza contro la Spagna. La regina Elisabetta rifiutò, ma stabilì le prime relazioni commerciali tra i due regni. Le relazioni subirono una nuova svolta quando Caterina di Braganza sposò il re Carlo II nel 1661, ponendo temporaneamente Tangeri sotto la sovranità britannica. Successivamente, il 23 gennaio 1721, fu firmato a Fez il primo trattato commerciale tra i due Paesi.

Londra l’africana
Dal 2019, i legami tra il regno di Mohammed VI e Carlo III sono stati rafforzati attraverso la firma di un accordo di associazione3. Firmato cinque giorni prima dell’effettiva attuazione della Brexit ed entrato in vigore nel gennaio 2021, questo nuovo accordo è di importanza strategica per il Regno Unito. Come spiega Hamza Mjahed, ricercatore in relazioni internazionali presso il Policy Center for the New South (PCNS), in Jeune Afrique, l’espansione dei partenariati commerciali è diventata un imperativo strategico e il Marocco ne è al centro4. Il regno di Cherifa è la porta d’accesso all’ovest del continente africano: ha importanti legami commerciali con tutti i Paesi della regione. Un’alleanza con il Marocco facilita quindi la presenza nel corridoio interregionale. Un sostegno importante per il Regno Unito, che ha anche membri del Commonwealth nella regione come il Ghana e la Nigeria. Londra non si limita però a questi Paesi e sta cercando di stringere legami più stretti con la Costa d’Avorio e il Senegal, due partner di lunga data della Francia nella regione.

Leggi anche

Forum MD Sahara: il Marocco rinnova il suo impegno verso l’Africa

Interessi convergenti
Il Marocco, da parte sua, vede nei nuovi scambi commerciali con i Paesi extra UE un’opportunità. L’accordo del 2019 si concentra sull’ottimizzazione della dimensione economica. A due anni di distanza, i risultati sono convincenti: gli scambi bilaterali sono aumentati del 50% e ora ammontano a 3,1 miliardi di euro5. Inoltre, gli scambi commerciali sono passati da 1,4 miliardi di euro nel 2019 a 2 miliardi di euro nel 2022 e le esportazioni marocchine sono quasi triplicate dall’entrata in vigore dell’accordo. La dimensione economica di questo partenariato è rafforzata dalla convinzione che le due economie siano complementari. Il Marocco si considera inoltre “una base industriale britannica competitiva per gli investimenti, la produzione e l’esportazione verso i mercati potenziali, dati i suoi punti di forza socio-economici e la sua rete di accordi di libero scambio”. Le autorità marocchine hanno anche l’ambizione di fare del Regno Unito uno dei loro 5 principali partner, un obiettivo già ben avviato.

La cooperazione tra i due Paesi nel campo delle energie rinnovabili è un buon esempio di questa complementarietà. L’accordo del 2019 prevede lo sviluppo di progetti in questo settore, tra cui la realizzazione di un progetto di interconnessione marittima. Il progetto Xlinks, recentemente citato nella tabella di marcia del governo britannico “Powering Up Britain: Energy Security Plan”, prevede un investimento di 22 miliardi di dollari per la posa del cavo marittimo più lungo del mondo che collegherà il Marocco al Regno Unito6. Nell’ambito di questo progetto, nella regione di Guelmim-Oued Noun verranno installati un parco solare e un parco eolico con una capacità totale di 10 GW. L’elettricità generata sarà poi trasmessa attraverso quattro cavi sottomarini al largo delle coste di Portogallo, Spagna e Francia.

Il disincanto francese
Come ha spiegato Mohamed El Mansour, professore di storia all’Università Mohammed-V di Rabat, in un’intervista a Jeune Afrique: “Il Marocco ha sempre cercato di trarre vantaggio dalle rivalità tra il Regno Unito e le potenze europee continentali. Da quando gli inglesi si sono stabiliti a Gibilterra nel 1704, il regno ha regolarmente giocato la carta britannica contro la Spagna”. 7″. Questa tradizione diplomatica è in linea con quella della Gran Bretagna che, come abbiamo visto, si è storicamente rivolta al Marocco per cercare di avere la meglio sulla Francia.

Il comunicato marocchino, che assomiglia a una dichiarazione congiunta, è stato pubblicato lo scorso maggio in un contesto di raffreddamento delle relazioni franco-marocchine.

Articoli correlati

Marocco: tra mare e deserto

Dall’inizio di marzo, le relazioni tra Francia e Marocco sono state definite da Rabat “né buone né amichevoli”. Poche settimane prima, a febbraio, il re Mohammed VI ha richiamato il suo ambasciatore8 . Ad oggi, non è stato nominato alcun successore. Le fonti di tensione sono molteplici, la principale delle quali è lo spostamento strategico della Francia a favore dell’Algeria, a scapito del Marocco9. Le relazioni tra Rabat e Algeri, infatti, sono state storicamente segnate dalla rivalità, per non dire dall’aperto conflitto, su questioni territoriali: in particolare sulla questione dell’indipendenza delle province sahariane di Seguia El-Hamra e Oued Ed-Dahab.

I numerosi gesti di Emmanuel Macron verso Algeri negli ultimi mesi sono andati oltre le aspettative di Rabat. Allo stesso tempo, una serie di questioni ha contribuito a peggiorare la situazione. Il Marocco non ha apprezzato gli attacchi mediatici di cui è stato oggetto nel contesto della vicenda del “Qatarargate”: un caso di corruzione al Parlamento europeo venuto alla luce nel dicembre 2022. Inoltre, il regno è stato citato nella vicenda Pegasus10 , con l’accusa di aver effettuato intercettazioni telefoniche sul cellulare di Emmanuel Macron, che le autorità marocchine negano. Infine, a gennaio, il partito europeo Renew – di cui fanno parte i membri di Renaissance, il partito di maggioranza presidenziale francese – ha approvato una risoluzione al Parlamento europeo in cui si chiede alle autorità marocchine di “rispettare la libertà di espressione e la libertà dei media” e di porre fine alle “molestie contro tutti i giornalisti”. Gli stessi eurodeputati francesi hanno agito pochi mesi dopo per ritirare la stessa risoluzione rivolta all’Algeria. Una presa di posizione che non è passata inosservata a Rabat.

Mentre la Francia critica il Marocco per la sua mancanza di cooperazione nella gestione delle questioni migratorie e nella lotta al traffico di droga, la sua attuale politica sembra spingere Rabat al limite. Sebbene il Marocco sia il principale investitore africano in Francia – e viceversa – e un solido partner in Africa occidentale, il governo di Emmanuel Macron rischia di mettere a repentaglio questa relazione per molti anni a venire. È un’opportunità che il Regno Unito, un concorrente strategico della Francia molto attivo sul fronte diplomatico, non ha intenzione di lasciarsi sfuggire.

1 Agence Marocaine de Presse, Le Royaume-Uni marque son soutien aux grandes réformes menées sous la conduite de SM le Roi Mohammed VI, 09 mai 2023

2 “An Embassy from King John to the Emperor of Morocco” E. Denison Ross

3 https://www.jeuneafrique.com/mag/854186/politique/maroc-londres-et-rabat-signent-un-accord-post-brexit-incluant-le-sahara/ 

4https://www.jeuneafrique.com/1257398/politique/maroc-les-promesses-de-londres/

5 https://leseco.ma/maroc/maroc-royaume-uni-les-echanges-commerciaux-en-hausse-de-50.html

6 https://xlinks.co/powering-up-britain-policy/ 

7 https://www.jeuneafrique.com/1257398/politique/maroc-les-promesses-de-londres/ 

8 https://www.arabnews.fr/node/354966/zaid-m-belbagi 

9 https://www.valeursactuelles.com/monde/tribune-a-trop-vouloir-courtiser-alger-la-france-agace-rabat 

10 https://www.nouvelobs.com/politique/20210720.OBS46756/cible-par-le-logiciel-espion-pegasus-de-rugy-demande-des-explications-au-maroc.html 

https://www.revueconflits.com/parade-nuptiale-entre-le-maroc-et-le-royaume-uni/

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Su PayPal è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (ho scoperto che pay pal prende una commissione di 0,38 centesimi)

Ultime notizie – Il tono dell’Occidente cambia drasticamente

Ultime notizie – Il tono dell’Occidente cambia drasticamente

Di recente c’è stata un’enorme quantità di articoli che fanno riflettere e che non sono riuscito a inserire in altri post e che si sono accumulati nella barra delle mie schede. Ho quindi pensato di raccogliere tutti questi articoli in un unico post dedicato a raccogliere gli ultimi segnali delle élite occidentali sul loro pensiero in merito all’evoluzione del conflitto.

E certamente, a giudicare da questi ultimi numeri, il tono e il sentimento stanno cambiando drasticamente. È difficile trovare un solo pezzo ancora ottimista per la parte ucraina, a parte i disonesti che continuano a iper-focalizzarsi su minuzie minuscole, come un irrilevante attacco di un drone ucraino a un edificio russo a Krasnodar, che potrebbe aver danneggiato l’angolo della grondaia del tetto.

Cominciamo quindi a vedere cosa hanno da dire i cognoscitori e i letterati occidentali, della NATO, filo-imperiali, sulla deriva della guerra:

Il primo titolo del menu è il titolo del 1945, che fa saltare le budella e svuota l’ego:

Tradotto con www.DeepL.com/Translator (versione gratuita)

 

Questo articolo è stato scritto da Daniel L. Davis, “Senior Fellow per Defense Priorities ed ex tenente colonnello dell’esercito americano che ha partecipato a quattro missioni di combattimento”.

Include perle come la seguente:

W

In cui si lamenta che l’Ucraina ha perso molte più vittime a causa della superiorità dell’artiglieria russa (10:1).

L’articolo sottolinea con sagacia che gran parte del tifo occidentale continua a basarsi su percezioni obsolete di quello che oggi è un conflitto molto cambiato:

Fin quasi dai primi giorni della guerra russo-ucraina, un tema ricorrente tra gli analisti occidentali è stato che le forze armate russe hanno avuto prestazioni nettamente inferiori alle aspettative, mentre le forze armate ucraine hanno costantemente superato le aspettative.

Pochi sembrano aver notato, tuttavia, che il pendolo sul campo di battaglia si è spostato.

L’autore esorta Washington ad aggiornare la propria analisi per non essere colta di sorpresa (troppo tardi?):

I responsabili politici di Washington devono aggiornare la loro comprensione dell’attuale traiettoria della guerra per garantire che gli Stati Uniti non vengano colti di sorpresa dagli eventi sul campo di battaglia – e che i nostri interessi non ne risentano.

Per una delle prime volte in Occidente, l’articolo attribuisce alla Russia la decisione tatticamente valida e strategicamente razionale di dislocare le sue forze l’anno scorso, un’azione all’epoca molto criticata e ridicolizzata. Ora si lamenta che questo saggio accorciamento delle linee ha di fatto portato a una posizione russa molto più forte.

L’articolo continua la tendenza della scarsa analisi occidentale sostenendo che la Russia è stata “presa con i pantaloni abbassati” nell’offensiva di Kharkov. Non è così: quelle forze erano da tempo sovraccariche e non erano altro che un residuo di una strategia già scontata che non prevedeva di occupare quella parte del Paese con una forza relativamente piccola. L’unica ragione per cui la Russia non le aveva ritirate prima era perché, se il tuo avversario non ti dà alcuna ragione per farlo, allora perché ritirarsi? Anche se si è sovraccarichi, è logico arroccarsi sul territorio fino a quando il nemico lo permette, e a patto che ci si preoccupi di evitare che i fianchi vengano invasi da bruschi assalti di accerchiamento.

E mentre ci sono stati molti errori a livello tattico durante la ritirata, dal punto di vista operativo non c’è stata una grande sconfitta o una distruzione di massa delle forze russe. Sembra quindi che la Russia sia riuscita ad attenersi alle prescrizioni di cui sopra.

Un’altra delle tante ammissioni dell’articolo:

Molti opinionisti occidentali hanno concluso che le truppe e i leader russi erano profondamente imperfetti e incapaci di migliorare, ritenendo che la Russia sarebbe rimasta incapace tatticamente per tutta la durata della guerra.

Ciò che molti di questi analisti non hanno riconosciuto, tuttavia, è che la Russia ha una capacità di fare la guerra di gran lunga superiore, sia in termini di materiale che di personale, e quindi ha la capacità di assorbire enormi perdite e rimanere comunque vitale. Inoltre, la storia russa è ricca di esempi di guerre iniziate male, che hanno subito ingenti perdite e che poi si sono riprese per ribaltare la situazione. L’Ucraina, d’altra parte, dispone di un numero significativamente inferiore di risorse o truppe e quindi ha meno margine di errore.

E un’altra cosa:

In questi 15 mesi di guerra, l’Ucraina ha combattuto e perso quattro grandi battaglie urbane contro la Russia, subendo in ciascuna di esse un livello di perdite progressivamente peggiore: Severodonetsk, Lysychansk, Soledar e più recentemente Bakhmut.

Quando la Russia ha dovuto affrontare battaglie cittadine – Kyiv, Kharkiv City e Kherson City – ha scelto di abbandonare ognuna di esse, stabilendo altrove posizioni difensive più difendibili. L’Ucraina, invece, ha scelto di combattere per le sue città principali. I risultati sono eloquenti.

Sì, i risultati sono davvero eloquenti. L’Ucraina ha un numero di vittime diverse volte superiore a quello della Russia, con probabilmente più di 100.000 morti.

Ammettono persino che la decisione muliebre di gettare un’infinità di carne da cannone nella difesa delle città potrebbe avere gravi conseguenze per il resto della guerra:

L’Ucraina, invece, ha scelto di contestare le città principali e ha perso un numero impressionante di truppe – ma alla fine ha perso anche la città stessa. La decisione dello Stato Maggiore ucraino di difendere Bakhmut fino alla fine potrebbe avere gravi implicazioni per il resto della guerra.

Si tratta di ammissioni sorprendentemente franche da parte di un Occidente che in passato ha sempre boccheggiato. Ma tenetevi forte, perché la linea del Bakhmut cannonfodder tornerà in auge poco dopo.

L’articolo termina con una serie di fosche previsioni. La prima è che la Russia si sta solo rafforzando, mentre l’Ucraina si indebolisce:

In parole povere, l’Ucraina non ha il personale o la capacità industriale per rimpiazzare gli uomini e le attrezzature perse rispetto ai russi. Inoltre, la Russia ha imparato dai suoi numerosi errori tattici e le prove suggeriscono che sta migliorando dal punto di vista tattico, espandendo contemporaneamente la sua capacità industriale. Ancora più importante della scarsità di munizioni ed equipaggiamento per l’Ucraina, tuttavia, è il numero di personale addestrato ed esperto che ha perso. Molte di queste truppe e leader qualificati non possono essere sostituiti nel giro di pochi mesi.

E il colpo di grazia finale:

Ritengo che al momento non vi sia alcuna possibilità per l’Ucraina di ottenere una vittoria militare. Continuare a combattere con questa speranza potrebbe perversamente far perdere loro ancora più territorio.

La tendenza della guerra si sta spostando verso Mosca, indipendentemente da quanto ciò possa far arrabbiare molti in Occidente. È la realtà osservabile. Ciò che Washington deve fare è evitare la tentazione di “raddoppiare” il sostegno a una proposta perdente e fare tutto il necessario per portare questo conflitto a una rapida conclusione, preservando al massimo la nostra sicurezza futura. Ignorare queste realtà potrebbe esporre l’Ucraina a perdite ancora maggiori e mettere la nostra stessa sicurezza a un rischio futuro inaccettabile.

Ebbene, Egad! Non solo ritiene che non ci sia alcuna speranza di vittoria, ma che continuare a combattere non farà altro che far perdere all’Ucraina ancora più territorio! Dica che non è così, Capo! Finalmente un osservatore militare americano ragionevole. Dopo aver attraversato un campo minato di sempliciotti come Kofman e Lee, pensavo che non ce ne fossero più.

Il colonnello Davis ci lascia una fredda doccia di realtà. I funamboli del circo della tangenziale ne terranno conto?

Passiamo al prossimo:

L’articolo che ha rubato la scena e di cui molti hanno parlato è il nuovo pezzo del New Yorker:

Lo scrittore ha trascorso due settimane in prima linea con l’AFU e racconta alcuni orrori. Per prima cosa, si libera della premessa obbligatoria secondo cui i soldati Wagner erano “zombie” che non avrebbero smesso di arrivare indipendentemente dal numero di uccisioni: queste bugie sono solo una scusa per attutire il dolore dell’imminente battuta finale della storia. Ed è un pugno di ferro:

Nel giro di poche settimane, il battaglione [ucraino] si trovò di fronte all’annientamento: interi plotoni erano stati spazzati via in scontri a fuoco ravvicinati, e circa settanta uomini erano stati accerchiati e massacrati. I sopravvissuti, in diminuzione, mi disse un ufficiale, “erano diventati inutili perché erano così stanchi”. A gennaio, ciò che restava del battaglione si ritirò dal villaggio e stabilì posizioni difensive tra gli alberi e i terreni agricoli aperti un miglio a ovest. “Wagner ci ha preso a calci nel sedere”, ha detto l’ufficiale.

Qualche zombie, eh?

Beh, in qualche modo devono farcela.

Quando lo scrittore si unì al battaglione, il comandante stimò che l’80% degli uomini erano nuovi arruolati, a causa delle massicce perdite subite:

Pavlo stimò che, a causa delle perdite subite dalla sua unità, l’ottanta per cento dei suoi uomini erano nuovi arruolati. “Sono civili senza esperienza”, ha detto. “Se me ne danno dieci, sono fortunato se tre di loro sanno combattere”.

Un soldato ucraino ha detto che quasi tutti i suoi conoscenti sono già stati uccisi:

Ha perso quasi tutti i suoi amici più cari a Kherson. Tirando fuori il telefono, ha sfogliato una serie di fotografie: “Uccisi … uccisi … uccisi … uccisi … uccisi … feriti. . . . Ora devo abituarmi a persone diverse. È come ricominciare da capo”.

L’autore continua confermando un adagio che tutti conosciamo, ovvero che la maggior parte delle truppe ucraine meglio addestrate e più coraggiose sono già state uccise:

Poiché l’alto tasso di logoramento aveva colpito in modo sproporzionato i soldati più coraggiosi e aggressivi – un fenomeno che un ufficiale ha definito “selezione naturale inversa” – i fanti stagionati come Odesa e Bison erano estremamente preziosi ed estremamente affaticati.

Un’altra ammissione è avvenuta quando il reporter è rimasto scioccato nel vedere le truppe con cui era incorporato usare una mitragliatrice Maxim inventata nel 1884. Si chiede dove siano finiti tutti i soldi e conferma che la maggior parte dell’equipaggiamento ucraino è già stato distrutto in battaglia:

Nel corso dell’ultimo anno, gli Stati Uniti hanno fornito all’Ucraina più di trentacinque miliardi di dollari in assistenza alla sicurezza. Perché, vista la generosità americana, la 28a Brigata ha fatto ricorso a un simile pezzo da museo? Molte attrezzature sono state danneggiate o distrutte sul campo di battaglia.

Un altro fatto che ha aperto gli occhi è stato che il suo battaglione aveva sparato 300 proiettili al giorno ai tempi di Kherson, e ora era ridotto a soli 5, mentre si diceva che i russi nelle loro vicinanze avessero una media “dieci volte superiore”.

Il giornalista fa poi un’ammissione piuttosto sorprendente:

In altre parti dell’Ucraina, la gente quasi sempre salutava o batteva i pugni contro i veicoli diretti al fronte. Qui, la maggior parte dei civili distoglieva lo sguardo. Secondo Volynyaka, “quasi tutti” coloro che non erano già fuggiti dalla città [Konstantinovka] erano filorussi. Un commesso del negozio di alimentari locale gli aveva detto: “Non vi vogliamo qui”. Gli ho chiesto se l’ostilità avesse intaccato la sua motivazione a continuare a combattere. Ha scosso la testa. “So che è la mia terra, perché dovrei preoccuparmi di quello che pensano?”.

E un altro:

A differenza dei soldati statunitensi in ogni conflitto americano dalla Seconda guerra mondiale in poi, i soldati ucraini non vengono generalmente ingaggiati per periodi di servizio fissi o dispiegati in tournée con limiti definiti. Vengono assunti per tutto il tempo in cui c’è bisogno di loro. Un ufficiale mi ha detto: “Si torna a casa con la vittoria, senza un arto o morti”. Una quarta opzione era la diserzione. “A volte tornano, a volte no”, ha detto l’ufficiale.

Al giornalista viene anche detto dai comandanti quanto poco addestramento ricevono i soldati di leva. Uno dei ragazzi del battaglione accanto a lui è stato “tolto dalla strada” dai commissari a Odessa, come abbiamo visto in innumerevoli video, e solo due giorni dopo, con un addestramento quasi nullo, era già con il battaglione in prima linea. Descrive inoltre la situazione come piuttosto fluida – a quanto pare, molti soldati si assentano per lunghi periodi di tempo, alcuni dei quali ritornano, sostenendo di aver “bisogno di una pausa”. È uno stile di condotta militare che probabilmente risulta del tutto estraneo a molti di noi.

Nel complesso, l’articolo dipinge un quadro macabro della vita di trincea ucraina; un sergente ha raccontato che “tutti si ammalano” e che, a quanto pare, è comune ammalarsi di tubercolosi. Altri contraggono “batteri famelici”, tra cui un soldato che ha avuto piaghe aperte per mesi ed è stato “mangiato vivo” dalle pulci. E sebbene l’autore si dilunghi in questo accorato resoconto alla ricerca di un pensiero che possa sublimare l’orrore di cui è stato testimone in un messaggio di speranza o di eroismo o di… significato, di qualsiasi tipo, per i poveri ucraini che egli cerca disperatamente di sollevare, egli termina invece con una nota nichilista, tracciando il parallelo di un cimitero disseminato di innumerevoli bandiere ucraine; anche sotto costrizione, non è riuscito a trovare nulla di ottimistico per risollevare gli spiriti dell’AFU.

E se pensavate che questo fosse squallido e deprimente, aspettate di sentire il prossimo:

https://archive.is/zPFVT

Il Wallstreet Journal ha pubblicato un’altra notizia:

Il documento riporta il resoconto di un gruppo di reclute che non hanno ricevuto alcun tipo di addestramento e che sono state semplicemente infilate come carne nel tritacarne di Bakhmut:

Le truppe russe stavano assaltando uno dei condomini che il suo gruppo di 16 reclute, molte delle quali erano state arruolate giorni prima e non avevano ricevuto alcun addestramento, era stato incaricato di difendere.

Nelle 36 ore trascorse in un brutale combattimento casa per casa nella città dell’Ucraina orientale, 11 dei 16 uomini del gruppo di leva di Malkovskiy sono stati uccisi o catturati, secondo i soldati sopravvissuti e i parenti dei dispersi.

L’articolo conferma che l’Ucraina ha imbottito le linee con reclute non addestrate per tenere Bakhmut il più a lungo possibile e per preservare le riserve fresche, addestrate dall’Occidente, che erano state messe da parte per la “grande” offensiva futura:

Nel tentativo di preservare le brigate addestrate ed equipaggiate dall’Occidente per un’offensiva ampiamente prevista, e con molti dei suoi soldati professionisti morti, Kiev inviò soldati mobilitati e unità di difesa territoriale, a volte con addestramento ed equipaggiamento frammentari.

Il documento descrive una serie di eventi sorprendenti: gli uomini vengono “arruolati” a Kharkov e inviati a Konstantinovka, alla periferia di Bakhmut, appena due giorni dopo. Quasi subito dopo il loro arrivo, a febbraio, un altro comandante chiese che venissero mandati in avanti per bloccare le linee fatiscenti al centro di Bakhmut, proprio mentre le forze Wagner stavano sfondando il fiume che divide la città.

Alcuni uomini minacciarono di scrivere un rifiuto ufficiale di eseguire l’ordine, adducendo la mancanza di addestramento. Vladyslav Yudin, un ex detenuto della città orientale di Luhansk, ha raccontato di aver detto al sergente maggiore di non aver mai impugnato un’arma, tanto meno di aver sparato, e di essere spaventato. “Bakhmut ti insegnerà”, gli ha risposto l’uomo.

Appena arrivati nelle nuove posizioni, uno dei soldati descrive di essere stato immediatamente colpito da RPG e granate, mentre il suo comandante e un altro compagno di squadra venivano uccisi davanti ai suoi occhi. Il soldato finì per essere catturato e i russi furono clementi, consegnandolo per lo scambio, perché videro sulla sua scheda militare che aveva prestato servizio per un totale di sole ventiquattro ore.

L’articolo successivo, o meglio la serie di articoli che riportano la stessa notizia, evidenzia come la Russia EW stia eliminando ben 10.000 droni ucraini al mese:

Business Insider conferma:

https://www.businessinsider.com/ukraine-losing-10000-drones-month-russia-electronic-warfare-rusi-report-2023-5

Alla luce di ciò, naturalmente, non bisogna dimenticare i rapporti precedenti che ci avevano già dato un’idea di quanto sia brutale l’EW russo per l’AFU:

Business Insider riporta che si tratta di 300 droni persi al giorno, una cifra sbalorditiva e difficile da comprendere. Ci danno un’idea approssimativa di quanto siano raggruppati i sistemi russi sul fronte:

Il rapporto RUSI afferma che lungo le circa 750 miglia della linea del fronte del conflitto, la Russia ha mantenuto un importante sistema di guerra elettronica circa ogni 6 miglia. Questi sono arretrati di circa 4 miglia dal fronte e si concentrano principalmente sulla neutralizzazione dei droni, secondo il rapporto.

I sofisticati sistemi russi, come la stazione di disturbo Shipovnik-Aero, sono difficili da individuare e possono imitare altri segnali.

E affermano che, alla luce di ciò, i piccoli droni DJI stanno “perdendo rapidamente la loro efficacia”.

Con l’immancabile frecciatina all’esercito russo per “preparare” la demoralizzante ammissione di prima, la fonte continua a ribadire che la Russia sta diventando sempre più forte con il passare del tempo:

“Il risultato è una struttura che diventa migliore nel tempo nel gestire i problemi che deve affrontare immediatamente, ma che fatica anche ad anticipare le nuove minacce”, si legge nel rapporto.

La prossima serie di articoli mostra come l’Occidente stia iniziando ad ammettere silenziosamente che le tattiche russe non solo stanno migliorando, ma stanno iniziando a cambiare il gioco in Ucraina. Il primo è di Bloomberg:

ACome di consueto, cercano di mascherare le loro ammissioni con menzogne a lungo smentite sulle tattiche dell'”onda umana” e sui vecchi carri armati. L’articolo inizia così:

Russia’s military has changed the way it fights 15 months into its disastrous invasion of Ukraine and poses a significant threat as Kyiv prepares a major counteroffensive, a study released Friday said.

Widespread perceptions of Russian army weakness are in some cases either out of date or misconceived according to the 30-page report by the UK’s Royal United Services Institute.

L’esercito russo ha cambiato il modo di combattere a 15 mesi dalla sua disastrosa invasione dell’Ucraina e rappresenta una minaccia significativa mentre Kiev prepara un’importante controffensiva, secondo uno studio pubblicato venerdì.

Secondo il rapporto di 30 pagine del Royal United Services Institute del Regno Unito, le percezioni diffuse sulla debolezza dell’esercito russo sono in alcuni casi obsolete o mal concepite.

Beh, non è una confessione?

I ricercatori affermano che il loro studio è stato condotto intervistando dieci diverse brigate ucraine che hanno combattuto contro la Russia negli ultimi mesi. Concludono che la Russia è ben lontana dalla “forza spesa” che viene dipinta come tale:

Secondo Nick Reynolds, uno dei due autori del rapporto, le forze armate russe sono ben lungi dall’essere una forza esaurita come spesso viene descritta.

“Sui social media si fanno molte illazioni sulla mancanza di capacità della Russia, ma i social media sono pieni di propaganda da entrambe le parti e a questo punto abbiamo pensato che fosse necessaria una valutazione più sobria”, ha detto Reynolds, aggiungendo che le aspettative per l’Ucraina sono state fissate “molto, molto in alto”.

Inoltre, conferma qualcosa che di recente è stato comunicato al pubblico con sempre maggiore regolarità: la Russia ha completamente annullato molti dei precedenti sistemi “wunderwaffe” dell’Ucraina:

Secondo il rapporto, la Russia ha ampiamente rimediato ai primi fallimenti nella difesa aerea sul campo di battaglia, collegando correttamente i sistemi missilistici e i loro sensori lungo il fronte dell’invasione di 1.200 chilometri (750 miglia).

Di conseguenza, le forze russe sono state in grado di spegnere in gran parte la minaccia dei missili HARM a ricerca radar dell’Ucraina, di intercettare i razzi e di abbattere un jet da combattimento ucraino a bassa quota da 150 chilometri.

L’articolo conferma ancora una volta che le forze elettroniche russe sono in grado di “decifrare i sistemi di comunicazione Motorola criptati dell’Ucraina in tempo reale e di abbattere 10.000 droni al mese”.

L’articolo menziona come la Russia abbia persino reso i propri carri armati meno vulnerabili ai sistemi anticarro ucraini. Questo è un fatto che è stato confermato di recente, in quanto la Russia ha introdotto una serie di sistemi che attenuano le emissioni di calore/IR dei carri armati, rendendoli difficili da agganciare per i Javelin e altri sistemi simili che si basano su forti firme IR.

Il rapporto conferma inoltre che i T-55 e i T-64 russi “derisi in Occidente” rappresentano in realtà una seria minaccia per il campo di battaglia, perché – sorpresa – non sono utilizzati nei ruoli tradizionali di carri armati, ma in quelli di supporto al fuoco e all’artiglieria, proprio come abbiamo detto letteralmente fin dall’inizio mentre l’Occidente derideva e rideva:

La Russia è stata ampiamente ridicolizzata in Occidente per l’impiego dei vecchi carri armati T-55 e T-62, eppure essi rappresentano “una seria minaccia sul campo di battaglia”, si legge nel rapporto. Questo perché non vengono utilizzati come carri armati, ma in un ruolo di supporto al fuoco come veicoli da combattimento per la fanteria, dotati di una corazza più pesante e di armi più grandi.

Questo dato è in linea con un rapporto separato pubblicato di recente che approfondisce ulteriormente la questione rispetto all’articolo sopra citato e che conferma ulteriormente questi risultati:

Il pezzo di Bloomberg riprende per lo più questo rapporto del Rusi Institute, che approfondisce gli aspetti militari e tattici dei cosiddetti “cambiamenti” ed evoluzioni che la Russia sta subendo: https://rusi.org/explore-our-research/publications/special-resources/meatgrinder-russian-tactics-second-year-its-invasion-ukraine

Uno degli aspetti più interessanti del rapporto è la specifica ammissione che anche il famoso “Complesso d’attacco di ricognizione” della Russia ha subito importanti miglioramenti. Si afferma che c’è stato uno snellimento dei cicli OODA e dei tempi di “chiamata per premere il grilletto”, creando una più stretta integrazione tra gli UAV di osservazione russi e i comandanti direttamente supportati che sono “autorizzati ad applicare il fuoco”.

Continuano dicendo che l’artiglieria russa è migliorata notevolmente anche nelle sue tattiche, comprese tattiche più efficaci di “scoot-and-shoot”, indicando specificamente il sistema Strelets, di cui ho scritto qui, come una componente importante di questo miglioramento.

Inoltre, confermano qualcosa che avevo già previsto e di cui avevo scritto tempo fa nello stesso articolo:

All Seeing Eye: Can Russia Break Through The West’s ISR Overmatch?

All Seeing Eye: Can Russia Break Through The West's ISR Overmatch?

All Seeing Eye: La Russia può superare l’overmatch dell’Occidente nel campo dell’ISR?
“Ogni guerra al punto di svolta delle epoche tecnologiche (e siamo proprio in uno stato di transizione di questo tipo) è gravata dalla mancanza di comprensione dei principi di funzionamento delle nuove armi e delle tattiche del loro uso, nonché della strategia complessiva dell’intero complesso di azioni militari e politiche”.

Leggi l’articolo completo
Scorrete fino alla sezione sulle “Economie di scala” e notate le mie affermazioni su come tutte le precedenti carenze attribuite alla Russia fossero in realtà il prodotto di un numero troppo basso di uomini in teatro, che era meno della metà di quello stimato dalla maggior parte delle persone. E man mano che i russi mobilitati si riempivano nei ranghi, avevo previsto che questo avrebbe avuto un effetto di massa su segmenti delle forze armate che la maggior parte non aveva previsto, dal momento che si pensava tipicamente alla forza della baionetta delle sole forze di terra, e non si considerava che tipo di effetto composto avrebbe avuto l’aumento delle divisioni AD sulla difesa aerea integrata per tutte le linee russe.

E ora, se leggete il nuovo rapporto dell’Istituto Rusi, vedrete che sta confermando esattamente quello che ho detto:

Anche le difese aeree russe hanno visto un significativo aumento della loro efficacia ora che sono state allestite intorno a posizioni note e piuttosto statiche e sono adeguatamente collegate. Sebbene la Russia abbia sempre faticato a rispondere alle minacce emergenti, col tempo si è adattata. Secondo le forze armate ucraine, le difese aeree russe intercettano ora una parte degli attacchi GMLRS, poiché le difese puntuali russe sono direttamente collegate a radar superiori.

Naturalmente, quando si hanno solo 80.000 uomini nel Paese, invece dei 250.000 che tutti pensano, ci saranno enormi lacune nella vostra AD e non sarà comunque completamente “in rete”, ma piuttosto un insieme ad hoc di sistemi mobili che proteggono solo le aree più critiche. Ora che la Russia ha riempito le linee con un numero reale di truppe, ha creato un vero sistema integrato e in rete che ha in gran parte annullato gli HIMAR.

Concludono:

Una panoramica dell’adattamento russo rivela una forza in grado di migliorare ed evolvere il proprio impiego di sistemi chiave. Vi sono prove di un processo centralizzato per l’identificazione delle carenze nell’impiego e lo sviluppo di mitigazioni….

Il risultato è una struttura che diventa migliore nel tempo per gestire i problemi che deve affrontare immediatamente, ma che fatica anche ad anticipare le nuove minacce. La conclusione è quindi che le Forze armate russe rappresentano una sfida significativa per l’esercito ucraino in materia di difesa.

Anche il recente articolo di Yahoo News conferma alcune delle precedenti affermazioni sui cosiddetti carri armati “obsoleti” della Russia:

Approfondisce ulteriormente le tattiche termiche della Russia:

La Russia ha anche utilizzato i suoi carri armati – principalmente il T80BV – per incursioni notturne durante le rotazioni delle truppe ucraine, con l’obiettivo di “avvicinarsi rapidamente al settore bersaglio, sparare il maggior numero possibile di colpi in un breve lasso di tempo e ritirarsi”.

Inoltre, alcune modifiche e tattiche russe hanno reso più difficile individuare e colpire i blindati russi con i missili guidati anticarro, scrivono gli autori. Vengono ora utilizzati materiali anti-termici e attacchi al crepuscolo e all’alba – un momento noto come “crossover termico” – quando il carro armato si trova a una temperatura più vicina a quella ambientale, ha spiegato il rapporto.

Nel frattempo, la Gran Bretagna si lamenta di essere a corto di armi:

Questo conferma altri rapporti che ho recentemente messo in evidenza, in particolare sul fatto che gli Stati Uniti hanno “esaurito” le loro scorte di armi da combattimento come gli M777.

Attualmente si parla molto degli Storm Shadows, con rapporti che affermano che la Gran Bretagna ne ha forniti fino a 300-400 all’Ucraina. Tuttavia, la Gran Bretagna stessa ne aveva solo 900-1.000 e la sua capacità di produrli si aggira probabilmente intorno ai 100-200 all’anno al massimo. Probabilmente è per questo che l’Ucraina ha già iniziato a implorare la Germania di fornire i suoi missili da crociera Taurus:

Il WSJ è tornato con un’altra notizia, che non richiede tanto un commento quanto una semplice occhiata di sfuggita come curiosità umoristica:

Ma alimenta le teorie già avanzate in precedenza, secondo cui l’obiettivo finale dell’Occidente è trasformare l’Ucraina nella “Israele” della regione. Con la sua premessa centrale di “garanzie di sicurezza” di lunga durata (leggi: permanenti) per l’Ucraina, ciò che l’articolo sta realmente spingendo è l’accettazione dell’idea che all’Ucraina dovrebbe essere assegnato un fondo militare perenne, simile a quello di cui gode Israele.

Un altro articolo simile – questa volta dei guerrafondai del New York Times – spinge sul concetto che l’Ucraina dovrebbe poter entrare nella NATO anche durante la guerra:

L’articolo sottolinea ulteriormente la linea aziendale ormai standard secondo cui l’offensiva dell’Ucraina è solo uno stratagemma per ottenere diritti di contrattazione favorevoli al successivo cessate il fuoco:

Per l’Ucraina, molto dipenderà dalla forma del campo di battaglia dopo la sua controffensiva, e se il risultato porterà a un qualche tipo di cessate il fuoco prolungato, a confini relativamente stabili, o addirittura a colloqui di pace.

La premessa è che Zelensky parteciperà al grande vertice della NATO a luglio, e gli apparati si stanno affannando per garantire che ci sia qualcosa di tangibile e sostanziale da offrire all’Ucraina durante il vertice.

L’articolo delinea inoltre l’idea che gli Stati Uniti dovrebbero spingere per la pace se “le linee di battaglia si induriscono”, usando il periodo intermedio per riempire l’Ucraina di denaro e potenzialmente farla entrare nella NATO, sia come membro diretto che in una versione de facto, “solo di nome”.

Ci sono state varie proposte per rendere l’Ucraina un riccio indigesto per la Russia, così imbottito di sofisticati armamenti occidentali che, anche se non membro della NATO, potrebbe scoraggiare Mosca. Questo è il nucleo di un’idea proposta per la prima volta da un ex segretario generale della NATO, Anders Fogh Rasmussen, e da un collaboratore di Zelensky, Andriy Yermak.

L’idea di Rasmussen, che molti nella NATO per ora sostengono, suggerisce Israele come modello, dove l’impegno di Washington per la sua sicurezza continua è chiaro anche senza uno specifico trattato di mutua difesa. Ma i problemi sono evidenti: Israele ha armi nucleari, mentre l’Ucraina no. E anche gli impegni bilaterali di difesa dei membri della NATO per l’Ucraina potrebbero finire per trascinare l’intera alleanza in una futura guerra Russia-Ucraina.

Ma ciò che è interessante, alla luce di tutto questo, è che sia l’Ucraina che la Russia continuano nella loro posizione irremovibile di rifiuto assoluto di qualsiasi forma di cessate il fuoco. Diverse figure chiave ucraine hanno ribadito questa posizione di recente, tra cui il ministro Dmitriy Kuleba.

Una recente propaganda ucraina, d’altra parte, sostiene che la parte russa sta cercando di passare a una posizione di cessate il fuoco. Questa affermazione si basa soprattutto sulle recenti dichiarazioni di Dmitry Medvedev, il quale ha sottolineato che se mai verrà firmato un cessate il fuoco, il conflitto infurierà per molti anni e persino per decenni. Al contrario, egli ha usato retoricamente questo esempio per sostenere l’esatto contrario: dimostrare le ragioni per cui la Russia non può firmare un cessate il fuoco. Hanno convenientemente omesso questo aspetto per caratterizzare la Russia come un ammorbidimento verso una posizione di cessate il fuoco.

A sostegno, hanno citato anche altri funzionari russi che hanno dichiarato che la Russia verrà al tavolo dei negoziati se l’Ucraina rinuncerà a tutte le rivendicazioni sui territori attualmente liberati dalla Russia e “prometterà di non entrare nella NATO”. Per non parlare delle “fonti di intelligence” occidentali che hanno sostenuto queste affermazioni:

Mosca ha anche deciso di concentrarsi sul suo obiettivo di impedire all’Ucraina di entrare nell’Organizzazione del Trattato Nord Atlantico (NATO), ha dichiarato giovedì ai legislatori Avril Haines, direttore dell’intelligence nazionale (DNI).

“Valutiamo che Putin abbia probabilmente ridimensionato le sue ambizioni immediate di consolidare il controllo del territorio occupato nell’Ucraina orientale e meridionale e di garantire che l’Ucraina non diventi mai un alleato della NATO”, ha detto Haines.

Ma ancora una volta, omettono subdolamente il fatto che i funzionari russi hanno ribadito che, oltre ai punti di cui sopra, l’Ucraina dovrebbe ancora essere de-nazificata e smilitarizzata – quindi, in breve, la posizione russa non è cambiata affatto. Figure importanti come il capo del Consiglio di sicurezza russo Patrushev hanno dichiarato che la Russia “andrà fino in fondo” e non accetterà alcun compromesso. Naturalmente, tali dichiarazioni passano inosservate in Occidente e vengono convenientemente ignorate.

Ma tutto questo serve a contestualizzare il punto finale dell’articolo:

Tuttavia, se la guerra non dovesse alla fine produrre un ritiro e una sconfitta russa su larga scala, ciò che potrebbe risultare convincente per il signor Zelensky e gli ucraini – dando a qualsiasi trattativa di pace la massima leva – sarebbe l’adesione alla NATO, dietro linee di cessate il fuoco solidificate, magari pattugliate, suggerisce Heisbourg, da una coalizione di forze di pace della NATO e di altri Paesi, come l’India o persino la Cina.

A ciò si aggiungerebbe la promessa, come in Germania, che la completa riunificazione dell’Ucraina rimarrà una questione aperta per il futuro. L’adesione alla NATO consoliderebbe la pace e permetterebbe la ricostruzione, gli investimenti privati e il ritorno di molti rifugiati.

Ne ho scritto a lungo di recente, in risposta alle domande su “come” l’Occidente cercherà di portare la Russia e l’Ucraina al tavolo dei negoziati. Per quanto riguarda in particolare l’Ucraina, che continua a mantenere la sua stoica facciata di “non arretrare di un centimetro”, ho spiegato come verrà usata la carota della NATO per mitigare la sua posizione. In particolare, l’Occidente avrebbe promesso non solo la piena integrazione nella NATO, ma anche la ripresa delle ostilità in un secondo momento, in modo che l’Ucraina avesse un meccanismo per salvare la faccia e poter dire al suo popolo che i territori attualmente persi sono solo “temporaneamente occupati” e che saranno riconquistati nel prossimo futuro.

Avevo ipotizzato che una delle ragioni principali fosse l’imminente ciclo elettorale e che l’establishment statunitense avesse bisogno di una pausa temporanea per poter proclamare una modesta “vittoria” nel periodo del 2024, dopodiché sarebbe stato libero di riprendere le ostilità da qualche parte lungo la strada. Quindi la citazione di cui sopra sembra sostenere le mie teorie e potrebbe essere un modo per convincere Zelensky a venire al tavolo.

Ma come ho appena detto, perché questo piano funzioni, l’offensiva ucraina dovrebbe ritagliarsi almeno una parvenza di posizione che possa essere interpretata come moderatamente redditizia. Sappiamo che, grazie al potere della propaganda mediatica occidentale, quasi tutto può essere venduto come una vittoria alle ottuse masse occidentali. Dopo tutto, sono persino riusciti a vendere il disastro di Bakhmut come una sorta di vittoria per gran parte del pubblico.

Quindi non mi aspetto che l’Ucraina abbia bisogno di grandi guadagni per far funzionare questo piano, ma ha bisogno almeno di qualcosa di simbolico su cui l’Occidente possa appendere il cappello. Per esempio, sappiamo che gli ultimi mesi di combattimenti saranno (e sono già stati) venduti come una vittoria ucraina sul piano della resistenza, mentre i dati falsi sulle “perdite” russe vengono utilizzati per imbottire la narrazione secondo cui, nonostante i guadagni, la Russia ha perso centinaia di migliaia di uomini, ecc.

Allo stesso modo, nell’imminente offensiva ucraina, finché riusciranno a guadagnare anche solo un piccolo punto d’appoggio, il resto sarà supportato da una propaganda istericamente gonfiata sulle perdite russe di massa, ecc. Tutto ciò di cui hanno bisogno è un paio di colpi psicologici decenti e la Russia sarà venduta come un “impero caduto”, mentre l’Ucraina potrà ricevere una pacca sulla testa con il premio di consolazione delle garanzie della NATO.

A parte questo, Biden ha nominato il generale Charles Q. Brown per sostituire il generale Milley a capo dello Stato Maggiore congiunto.

L’aspetto interessante è che Brown è un “equo” DEI a tutti gli effetti e sembra intenzionato a trasformare le forze armate statunitensi in un nuovo tipo di forza.

L’anno scorso Brown, insieme al sottosegretario all’Aeronautica Gina Ortiz Jones, la prima donna gay e filippina a ricoprire il suo ruolo, e ad altri leader, ha firmato uno dei documenti razzisti più scioccanti e distruttivi mai prodotti dall’esercito moderno. L’argomento del memorandum dell’Air Force erano le quote di ufficiali stabilite in base alla razza e al genere. -Fonte

 

Suppongo che questi cambiamenti continueranno a mettere in evidenza le differenze tra le forze armate russe e statunitensi, dove i militari russi tornano a casa per salutare i loro figli in questo modo:

Mentre i militari americani tornano a casa con questo:

Alla luce dei preparativi per la millantata “controffensiva” ucraina, i giochi psicologici dell’Occidente stanno raggiungendo il livello di guardia, per cui siamo costretti a pubblicare in modo coordinato titoli come il seguente:

From: https://www.pravda.com.ua/eng/news/2023/05/24/7403711/

and

https://www.theguardian.com/commentisfree/2023/may/23/arrest-warrants-petitions-tribunals-pressure-mounting-vladimir-putin

A questi si aggiungono articoli ridicoli come il seguente:

Che sostiene che il “pubblico” russo sembra essere inacidito sulla guerra. Come lo sanno? Perché glielo ha detto un’IA che ‘monitora’ Telegram. Si può dire “faccia a faccia”?

Lascio il meglio per ultimo: questo pezzo del Kiev Independent che sostiene che gli ucraini che indossano svastiche e altre immagini naziste non sono veri nazisti – sentite questa – ma semplicemente ammirano il coraggio, l’abilità marziale e lo spirito combattivo della Wehrmacht.

https://kyivindependent.com/illia-ponomarenko-why-some-ukrainian-soldiers-use-nazi-related-insignia/

Almeno riescono ad ammettere quanto segue:

Questi gruppi erano aggressivi e altamente motivati. È ovviamente vero che, ad esempio, il Battaglione Azov è stato originariamente fondato da gruppi neonazisti e di estrema destra (oltre che da molti tifosi di calcio), che hanno portato con sé l’estetica tipica – non solo le insegne neonaziste, ma anche cose come rituali pagani o nomi come “Il Corpo Nero”, il giornale ufficiale della principale organizzazione paramilitare Schutzstaffel (SS) della Germania nazista.

Ma come in ogni Paese, i veri neonazisti in Ucraina erano e sono ancora una minuscola minoranza.

Ma poi continua dicendo che questi gruppi sono stati “isolati con successo”, ma solo grazie alle pressioni dell’Occidente. Quindi, ammettono che se non fosse per la percezione da parte dell’Occidente dell’enorme problema di immagine creato da questi gruppi nazisti, l’Ucraina non avrebbe alcun incentivo o interesse a eliminare questi gruppi dai riflettori?

La tesi principale è raggiunta a metà dell’articolo (io ho letto questa robaccia apologetica, quindi non dovete farlo voi):

Ciononostante, i noti simboli nazisti e quasi-nazisti sono talvolta utilizzati da soldati che non si avvicinano ad alcuna visione estremista o odiosa.

Perché questo accade? Nella memoria troppo semplicistica di alcuni in tutto il mondo, in particolare all’interno di varie sottoculture militariste, i simboli che rappresentano la Wehrmacht, le forze armate della Germania nazista, e le SS sono visti come il riflesso di una macchina da guerra super-efficace, non come gli autori di uno dei più grandi crimini contro l’umanità nella storia dell’umanità.

Oh, giusto. Il saluto nazista e l’elogio aperto di Hitler in video non ha nulla a che vedere con le opinioni “estremiste”, ma è semplice e innocente ammirazione della “efficace macchina da guerra” della Germania, la stessa che ha perso contro la Russia.

Ma il povero Ponomorenko, che sia benedetto, sta davvero cercando di eseguire gli ordini dei suoi padroni della CIA per sbiancare il singolare e radicato problema nazista dell’Ucraina. Cerca di distribuire la colpa sostenendo che tutti i militari mondiali hanno adottato questi simboli, non solo l’Ucraina:

Sebbene questo, ovviamente, non assolva questi soldati dall’indossare insegne estremamente offensive, offre una spiegazione parziale del perché, a mio parere, questi simboli sono diventati parte integrante delle sottoculture militariste globali che abbracciano diversi simboli storici di guerra, in particolare quelli nazisti.

Man mano che queste insegne sono state assorbite nelle sottoculture militariste di tutto il mondo, molti di coloro che indossano le toppe naziste sulle loro uniformi sono arrivati a dissociare questi emblemi dai crimini commessi dai loro utilizzatori originari 80 anni fa.

Le immagini naziste sono diventate “parte integrante delle sottoculture militariste globali”? Davvero? E come mai non le vedo? Come mai non le vedo da nessuna parte, a parte nell’esercito ucraino? Queste persone devono pensare che siamo davvero stupidi. Ma poi, dimentico, questi pezzi non sono rivolti a noi, ma al loro pubblico di creduloni e ochette.

L’ultimo articolo, che ci porta completamente all’offensiva ucraina, rappresenta una serie di titoli guidati dalle recenti dichiarazioni della perfida strega di Maidan Victoria Nuland, secondo cui “gli Stati Uniti stanno lavorando con l’Ucraina sulla controffensiva da mesi”.

https://www.rt.com/news/576926-us-ukraine-counteroffensive-nuland/

Non solo ha fatto la suddetta affermazione:

“Anche se state pianificando la controffensiva, su cui stiamo lavorando con voi da circa 4-5 mesi, stiamo già iniziando a discutere con il governo ucraino e con gli amici di Kiev – sia dal punto di vista civile che militare – sul futuro a lungo termine dell’Ucraina”, ha dichiarato la Nuland al Forum sulla sicurezza di Kiev in collegamento video dal Dipartimento di Stato.

Ma si è lasciata sfuggire la seguente piccola chicca:

Ha aggiunto che l’attacco “probabilmente inizierà e si muoverà in concomitanza” con eventi come il vertice NATO in Lituania, previsto per l’11 luglio.

Il che conferma le nostre precedenti teorie sulla possibilità che la grande offensiva ucraina coincida con i grandi giochi dell’aviazione della NATO, definiti “i più grandi della storia”, che inizieranno a giugno e che si intrecceranno con il vertice della NATO di luglio.

Bene, questi sono i titoli per ora. Spero che vi sia piaciuto non doverli leggere e che mi sia permesso di fare questo servizio per voi, perché è davvero un esercizio che esaurisce le cellule cerebrali per gran parte della spazzatura pubblicata in Occidente. Ma almeno fornisce un resoconto che apre gli occhi sui cambiamenti tettonici che i cognoscitori e i commentatori occidentali stanno attualmente subendo nel loro approccio alla teorizzazione della guerra in Ucraina.

Si può quasi fare una tabella dei dodici passi per illustrare il loro lento ma prevedibile “avvicinamento” alla verità e alla luce. Prima viene sempre l’accettazione, che finalmente è riuscita. Ma sono ancora nella fase in cui credono che, sebbene l’Ucraina non stia vincendo, nemmeno la Russia sta vincendo, e quindi il “cessate il fuoco” è ora diventato l’usuale via d’uscita degli autoproclamati “eruditi”. Semplicemente non riescono a immaginare che le cose vadano in un altro modo.

E suppongo che possa essere comprensibile, dopo tutto la Russia non ha ancora mostrato all’Occidente o all’Ucraina un’azione veramente “decisiva”. Questo è il più grande asso nella manica che è stato lasciato fuori dal tavolo, un asso nella manica su cui anche i nostri interlocutori non sono del tutto convinti. La domanda che ci si pone è se la Russia “si scatenerà” in modo eclatante o se ha “perso” la capacità di condurre una guerra di manovra ed è ora impantanata in un’interminabile guerra di logoramento simile alla prima guerra mondiale, che difficilmente produrrà colpi grandiosi e decisivi.

Ma credo che quello che la Russia sta facendo sia la cosa più intelligente, indebolire l’avversario per il tempo necessario con uno stile di guerra che favorisce molto la Russia. Perché precipitarsi in azioni offensive solo perché i blogger su Telegram stanno diventando nervosi, e subire perdite, quando si può facilmente distruggere l’avversario da lungo raggio all’infinito, e poi piombare per finirlo quando è a malapena in grado di resistere.

L’argomento principale contro questo è “beh, l’Ucraina è stata armata dalla NATO per tutto questo tempo e si sta rafforzando”. Lo sono davvero? Nell’ultimo mese la Russia ha sferrato attacchi massicci all’Ucraina, al punto che la Germania ha annunciato una nuova tranche di oltre 100 Leopard 1A5. Perché mai, dov’è finito l’altro primo lotto di Leopard 2A4? Il punto è che è semplicemente una supposizione che l’Ucraina sia “armata” all’infinito, quando in realtà la Russia sembra distruggere grandi quantità di armi che arrivano nei magazzini.

A causa dell’effetto moltiplicativo degli attacchi, è molto più facile per la Russia annullare il cosiddetto programma di armamento Lend Lease dell’Ucraina, perché decine di milioni di dollari di equipaggiamento possono essere distrutti da un singolo missile preciso o da un drone economico in un batter d’occhio. Basta un solo missile per aggirare le difese e mesi di pianificazione cruciale e di coordinamento logistico vanno in fumo. Non si potrà mai superare l’effetto negativo degli attacchi russi in questo modo.

Ma presto vedremo chi ha ragione. La “grande offensiva” si profila davanti a noi e, man mano che le mani vengono forzate, le carte potrebbero presto essere tutte sul tavolo.

https://simplicius76.substack.com/p/latest-headlines-digest-the-wests?utm_source=post-email-title&publication_id=1351274&post_id=124039204&isFreemail=false&utm_medium=email

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Su PayPal è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (ho scoperto che pay pal prende una commissione di 0,38 centesimi)

Conferenza di Lennart Meri 2023, di Fiona Hill

Ai lettori più attenti il nome di Fiona Hill dovrebbe ricordare qualcosa. E’ stata consigliere G.W. Bush e Obama. Ha collaborato, tra gli altri, con Christopher Steele. Proprio lui, l’artefice dell’omonimo dossier, sponsorizzato da H. Clinton e certificato definitivamente come falso dalla Commissione Dhuram, che ha avviato il Russiagate ai danni di Donald Trump. Assistente di Bolton, quindi appartenente a pieno titolo allo staff presidenziale di Trump, si è distinta particolarmente per la vivacità delle sue testimonianze ai danni del Presidente.  Ne ha tratto, di conseguenza, gli ovvi benefici in termini di carriera e visibilità. Proprio per il suo curriculum il suo saggio merita una attenta considerazione e lascia intravedere le possibili nuove strade che i centri decisori attualmente maggioritari potranno intraprendere per uscire dalla trappola in cui si sono chiusi. Una riconsiderazione che dovrà passare per la defenestrazione di una buona parte dell’attuale compagine al governo. La sorte di una figura opaca come Biden, molto più incerta di quanto possa apparire, dipenderà dalla lunghezza e dalla complessità di questa fase di transizione dall’esito niente affatto scontato. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Conferenza di Lennart Meri 2023 di Fiona Hill

Fiona Hill
Borsista Richard von Weizsäcker presso la Fondazione Robert Bosch e Senior Fellow presso il Brookings Institution

L’Ucraina nel nuovo disordine mondiale
La ribellione del resto del mondo contro gli Stati Uniti
A più di un anno dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, la brutale guerra scatenata da Vladimir Putin si è trasformata, come spesso accade nei grandi conflitti regionali, in una guerra con ramificazioni globali. Non si tratta, come sostengono Vladimir Putin e altri, di una guerra per procura tra gli Stati Uniti o l'”Occidente collettivo” (gli Stati Uniti e i loro alleati europei e non) contro la Russia. Nell’attuale scenario geopolitico, la guerra è ora effettivamente l’inverso: un proxy per una ribellione della Russia e del “Resto” contro gli Stati Uniti. La guerra in Ucraina è forse l’evento che rende evidente a tutti il passaggio della pax americana.

Nel perseguire la guerra, la Russia ha abilmente sfruttato una radicata resistenza internazionale, e in alcuni casi un’aperta contestazione, al mantenimento della leadership americana nelle istituzioni globali. Non è solo la Russia che cerca di spingere gli Stati Uniti ai margini in Europa e la Cina che vuole minimizzare e contenere la presenza militare ed economica degli Stati Uniti in Asia, in modo che entrambi possano assicurarsi le rispettive sfere di influenza. Altri Paesi, tradizionalmente considerati “medie potenze” o “swing states” – il cosiddetto “Resto” del mondo – cercano di ridurre gli Stati Uniti a dimensioni diverse nelle loro vicinanze e di esercitare una maggiore influenza negli affari globali. Vogliono decidere, non sentirsi dire cosa è nel loro interesse. In breve, nel 2023 sentiremo un sonoro no al dominio degli Stati Uniti e vedremo un marcato appetito per un mondo senza egemoni.

In questo contesto, la prossima iterazione del sistema globale di sicurezza, politico ed economico non sarà delineata solo dagli Stati Uniti. La realtà è già un’altra. Non è un “ordine”, che indica intrinsecamente una gerarchia, e forse nemmeno un “disordine”. Una serie di Paesi sta spingendo e tirando in linea con le proprie priorità per produrre nuovi accordi. Noi, nella comunità transatlantica, potremmo dover sviluppare una nuova terminologia e adattare i nostri approcci di politica estera per affrontare reti orizzontali di strutture che si sovrappongono e talvolta competono. Siamo entrati in quella che Samir Saran, presidente della Observer Research Foundation indiana, ha definito l’era delle “partnership a responsabilità limitata”. La regionalizzazione delle alleanze di sicurezza, commerciali e politiche complica le nostre strategie di sicurezza nazionale e la pianificazione politica, ma può anche intersecarsi con le nostre priorità in modi utili se riusciamo ad essere flessibili e creativi, invece di limitarci a resistere e rispondere quando le cose vanno in direzioni che non ci piacciono. Come ha suggerito l’esperto di sicurezza britannico Neil Melvin, dovremmo abbracciare l’idea del “mini-lateralismo”.

Lennart Meri, che celebriamo e commemoriamo con questa conferenza, ha dimostrato flessibilità e creatività in un frangente altrettanto dirompente alla fine della Guerra Fredda, proprio come ci si potrebbe aspettare da un poliglotta, scrittore e regista di talento, che come politico è stato sia ministro degli Esteri che presidente. In effetti, si potrebbe persino suggerire che Lennart Meri abbia prefigurato il nostro momento attuale. Negli anni Novanta, il presidente Meri ha promosso l’idea che diventare europei o transatlantici non significava rinunciare alla propria identità estone o ignorare il proprio contesto regionale. Come storico di formazione, egli comprendeva tale contesto nel suo nucleo più profondo. Il Presidente Meri ha cercato di sviluppare molteplici prospettive regionali e globali per l’Estonia. Ha dato priorità alle relazioni con i vicini immediati e con l’Europa, con gli Stati Uniti e con le Nazioni Unite. Le relazioni con gli Stati Uniti sono state fondamentali per Meri, perché Washington non ha mai riconosciuto l’occupazione sovietica degli Stati baltici dopo la Seconda Guerra Mondiale e ha facilitato la libertà dell’Estonia dopo il 1991. Ma Meri adottò anche un approccio fortemente baltico nell’elaborazione della politica estone. Non subordinò mai l’Estonia a una potenza più grande. Il Presidente Meri aveva un’acuta consapevolezza di ciò che un piccolo Paese poteva ottenere e perché. Come ha osservato in un famoso commento che rifletteva sull’ovvia vicinanza e sulla storia dell’Estonia con la Russia: “Rispetto alla Russia, l’Estonia è come un kayak degli Inuit. Una superpetroliera impiega 16 miglia nautiche per tornare indietro, ma gli Inuit possono fare una virata di 180 gradi in un attimo”.

Se fosse qui oggi, sospetto che il Presidente Meri riconoscerebbe che la guerra in Ucraina è una guerra che cambia il mondo o il sistema. Ha eliminato i dettagli superficiali ed esposto le falle e le linee di faglia dell’ordine internazionale. Non è un conflitto del XXI secolo. È una guerra retrograda – quella che speriamo sia lo spasmo terminale delle convulsioni europee che hanno scosso il resto del mondo nel XX secolo a causa del precedente dominio mercantilista e delle conquiste imperiali dell’Europa. Putin e Mosca stanno combattendo in Ucraina per riprendere il controllo di un territorio ex coloniale ceduto alla fine del XX secolo.

Putin ritiene che la Russia non sia solo lo Stato successore, ma lo “Stato in continuità” dell’Impero russo e dell’Unione Sovietica. Ed è proprio così che tutti noi abbiamo riconosciuto la Russia dopo la dissoluzione dell’URSS nel dicembre 1991. Questo fatto spiega molto del presente. La Russia è l’ultimo impero continentale in Europa. Nel corso del XX secolo, la Prima guerra mondiale ha fatto crollare gli imperi ottomano e austro-ungarico, il Kaiser tedesco e lo zar russo. I bolscevichi ricostituirono la Russia come Unione Sovietica e mantennero con la forza molti dei possedimenti territoriali contigui a Mosca. La Seconda guerra mondiale segnò la fine del colonialismo europeo e favorì la disintegrazione dell’Impero britannico d’oltremare, ma l’Unione Sovietica si espanse nuovamente. Infatti, l’URSS riconquistò l’Estonia e gli altri Stati baltici e tentò di riprendere la Finlandia. I sovietici esercitarono anche un nuovo dominio sull’Europa orientale dopo la Seconda guerra mondiale. Lo zelo espansionistico dell’URSS la portò poi a confrontarsi per quasi mezzo secolo con gli Stati Uniti, ex colonia britannica. L’Unione Sovietica, l’impero russo, è infine crollato alla fine di questo periodo, la Guerra Fredda, ma non nelle menti di Vladimir Putin e della sua coorte.

Dal 1991, gli Stati Uniti sono rimasti apparentemente soli come superpotenza globale. Ma oggi, dopo un periodo di due decenni di scontri, caratterizzato da interventi militari a guida americana e dall’impegno diretto in guerre regionali, la guerra in Ucraina evidenzia il declino degli Stati Uniti stessi. Un declino relativo dal punto di vista economico e militare, ma grave in termini di autorità morale degli Stati Uniti. Purtroppo, proprio come voleva Osama bin Laden, le reazioni e le azioni degli Stati Uniti hanno eroso la loro posizione dopo i devastanti attacchi terroristici dell’11 settembre. La “stanchezza dell’America” e la disillusione per il suo ruolo di egemone globale sono diffuse. Questo vale anche per gli stessi Stati Uniti – un fatto che si manifesta spesso al Congresso, nei notiziari e nei dibattiti dei think tank. Per alcuni, gli Stati Uniti sono un attore internazionale imperfetto con i propri problemi interni da affrontare. Per altri, gli Stati Uniti sono una nuova forma di Stato imperiale che ignora le preoccupazioni degli altri e getta il suo peso militare.

Nel breve termine, ciò è particolarmente dannoso per l’Ucraina. A livello globale, la guerra in Ucraina è vista come uno dei tanti eventi drammatici che si sono susseguiti dal 2001 in poi sotto la spinta degli Stati Uniti. La pesante conduzione della “guerra al terrorismo” da parte dell’America ha alienato un’ampia fetta del mondo musulmano. L’invasione statunitense dell’Iraq nel 2003, sulla scia dell’Afghanistan, ha fatto rivivere gli orrori degli interventi statunitensi della Guerra Fredda in Corea e Vietnam. L’inazione degli Stati Uniti in conflitti come lo Yemen e gli interventi selettivi in Libia e Siria hanno sottolineato l’incoerenza della politica estera americana. La crisi finanziaria del 2008-2010 e la Grande Recessione, seguite dagli sconvolgimenti interni dell’America e dall’elezione di Donald Trump nel 2016, hanno offuscato il potere dell’esempio democratico americano. Il disprezzo di Trump per gli accordi internazionali e la sua flagrante cattiva gestione della pandemia globale, così come, più recentemente, il pasticciato ritiro dell’amministrazione Biden dall’Afghanistan, mettono ulteriormente in dubbio la capacità degli Stati Uniti di essere leader a livello globale.

Tutto ciò non significa che l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia sia considerata positivamente. I principi fondamentali del diritto internazionale sono ancora un ordine o un principio ordinatore universale, soprattutto per gli Stati più piccoli. I Paesi di tutto il mondo hanno ampiamente riconosciuto e condannato i fatti dell’aggressione russa, anche con diverse votazioni all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. La Corte Internazionale di Giustizia, la Corte Penale Internazionale e altre sentenze internazionali hanno sottolineato che l’Ucraina ha un ruolo legale e non solo morale nella guerra. La condotta brutale e le atrocità di Mosca, insieme ai suoi errori e fallimenti militari, hanno sminuito la posizione della Russia. Ma l’opinione che la maggior parte degli Stati e dei commentatori ha degli Stati Uniti è il loro prisma per valutare le azioni della Russia.

L’Ucraina viene essenzialmente punita con il senso di colpa per associazione per aver ricevuto il sostegno diretto degli Stati Uniti nel suo sforzo di difendersi e liberare il proprio territorio. In effetti, in alcuni forum internazionali e nazionali americani, le discussioni sull’Ucraina degenerano rapidamente in discussioni sul comportamento passato degli Stati Uniti. Le azioni della Russia vengono affrontate in modo superficiale. “La Russia fa solo quello che fanno gli Stati Uniti”, è la replica… Sì, la Russia ha rovesciato il principio fondamentale post-1945 del divieto di guerra e di uso della forza sancito dall’articolo 2 della Carta delle Nazioni Unite… Ma gli Stati Uniti avevano già danneggiato questo principio quando hanno invaso l’Iraq 20 anni fa.

Il “qualunquismo” non è solo una caratteristica della retorica russa. L’invasione statunitense dell’Iraq ha compromesso universalmente la credibilità degli Stati Uniti e continua a farlo. Per molti critici degli Stati Uniti, l’Iraq è stato il più recente di una serie di peccati americani che risalgono al Vietnam e il precursore degli eventi attuali. Anche se una piccola manciata di Stati si è schierata con la Russia nelle successive risoluzioni dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, significative astensioni, anche da parte di Cina e India, segnalano il malcontento verso gli Stati Uniti. Di conseguenza, il duplice compito vitale di ripristinare il divieto di guerra e di uso della forza come pietra angolare delle Nazioni Unite e del sistema internazionale e di difendere la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina si perde in una palude di scetticismo e sospetti sugli Stati Uniti.

Nel cosiddetto “Sud globale” e in quello che io definisco vagamente “Resto del mondo”, gli Stati Uniti non sono percepiti come uno Stato virtuoso. La percezione dell’arroganza e dell’ipocrisia americana è molto diffusa. La fiducia nel sistema internazionale che gli Stati Uniti hanno contribuito a inventare e che hanno presieduto dalla Seconda guerra mondiale è scomparsa da tempo. Le élite e le popolazioni di molti di questi Paesi ritengono che il sistema sia stato imposto loro in un momento di debolezza, quando stavano appena conquistando la propria indipendenza. Anche se le élite e le popolazioni hanno generalmente beneficiato della pax americana, ritengono che gli Stati Uniti e il loro blocco di Paesi dell’Occidente collettivo ne abbiano beneficiato molto di più. Per loro, questa guerra riguarda la protezione dei benefici e dell’egemonia dell’Occidente, non la difesa dell’Ucraina.

Le false narrazioni russe sull’invasione dell’Ucraina e sugli Stati Uniti risuonano e attecchiscono a livello globale perché cadono su questo terreno fertile. La disinformazione russa sembra più un’informazione: è conforme ai “fatti” come li vedono gli altri. Le élite non occidentali condividono la stessa convinzione di alcuni analisti occidentali che la Russia sia stata provocata o spinta alla guerra dagli Stati Uniti e dall’espansione della NATO. Non sopportano il potere del dollaro americano e il frequente uso punitivo delle sanzioni finanziarie da parte di Washington. Non sono stati consultati dagli Stati Uniti su questa serie di sanzioni contro la Russia. Vedono che le sanzioni occidentali limitano le loro forniture energetiche e alimentari e fanno salire i prezzi. Attribuiscono la colpa del blocco del Mar Nero e dell’interruzione deliberata delle esportazioni globali di grano agli Stati Uniti, e non al vero responsabile, Vladimir Putin. Fanno notare che nessuno ha spinto per sanzionare gli Stati Uniti quando hanno invaso l’Afghanistan e poi l’Iraq, anche se erano contrari all’intervento americano, quindi perché dovrebbero farlo ora?

La resistenza dei Paesi del Sud globale agli appelli di solidarietà degli Stati Uniti e dell’Europa sull’Ucraina è una ribellione aperta. Si tratta di un ammutinamento contro quello che considerano l’Occidente collettivo che domina il discorso internazionale e scarica i suoi problemi su tutti gli altri, ignorando le loro priorità in materia di compensazione del cambiamento climatico, sviluppo economico e riduzione del debito. Il Resto si sente costantemente emarginato negli affari mondiali. Perché infatti vengono etichettati (come sto riflettendo in questo discorso) come “Sud globale”, dopo essere stati precedentemente chiamati Terzo Mondo o Mondo in via di sviluppo? Perché sono addirittura il “Resto” del mondo? Sono il mondo, rappresentano 6,5 miliardi di persone. La nostra terminologia puzza di colonialismo.

Il movimento dei non allineati dell’epoca della Guerra Fredda è riemerso, se mai fosse scomparso. Attualmente, non si tratta tanto di un movimento coeso quanto di un desiderio di distanza, di essere lasciati fuori dal pasticcio europeo dell’Ucraina. Ma è anche una chiara reazione negativa alla propensione americana a definire l’ordine globale e a costringere i Paesi a schierarsi. Come ha esclamato recentemente un interlocutore indiano a proposito dell’Ucraina: “Questo è il vostro conflitto! … Abbiamo altre questioni urgenti, i nostri problemi … Siamo nelle nostre terre, dalle nostre parti … Dove siete quando le cose vanno male per noi?”.

La maggior parte dei Paesi, compresi molti in Europa, rifiuta l’attuale inquadramento statunitense di una nuova “competizione tra grandi potenze”, un braccio di ferro geopolitico tra Stati Uniti e Cina. Gli Stati e le élite si oppongono all’idea statunitense secondo cui “o si è con noi o contro di noi”, o si è “dalla parte giusta o sbagliata della storia” in un’epica lotta tra democrazie e autocrazie. Pochi al di fuori dell’Europa accettano questa definizione della guerra in Ucraina o della posta in gioco geopolitica. Non vogliono essere assegnati a nuovi blocchi imposti artificialmente e nessuno vuole essere coinvolto in uno scontro titanico tra Stati Uniti e Cina. A differenza degli Stati Uniti e di altri Paesi come il Giappone, la Corea del Sud e l’India, la maggior parte di essi non vede la Cina come una minaccia militare o di sicurezza diretta. Possono avere serie remore sul comportamento economico e politico approssimativo della Cina e sul suo palese abuso dei diritti umani, ma continuano a considerare la Cina un partner commerciale e di investimento per il loro sviluppo futuro. Gli Stati Uniti e l’Unione Europea non offrono alternative sufficienti perché i Paesi si allontanino dalla Cina, anche nel campo della sicurezza, e anche all’interno dell’Europa la percezione di quanto sia in gioco per i singoli Paesi nel più ampio sistema internazionale e nelle relazioni con la Cina varia.

Al di fuori dell’Europa, l’interesse per nuovi ordini regionali è più pronunciato. In questo contesto, il BRICS – che per i suoi membri offre un’alternativa al G7 e al G20 – è ora attraente per altri. Diciannove Paesi, tra cui l’Arabia Saudita e l’Iran, si sono mostrati interessati ad aderire all’organizzazione in vista del recente vertice dell’aprile 2023. I Paesi vedono nei BRICS (e in altre entità simili come l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai o SCO) un’offerta di accordi diplomatici flessibili e di possibili nuove alleanze strategiche, nonché di diverse opportunità commerciali al di là degli Stati Uniti e dell’Europa. I membri e gli aspiranti BRICS, tuttavia, hanno interessi molto diversi. Dobbiamo tenere conto di questi interessi nel momento in cui ci accingiamo a trovare una soluzione alla guerra in Ucraina e nel momento in cui consideriamo il tipo di strutture e reti con cui dovremo confrontarci in futuro.

Passerò in rassegna alcuni dei fattori più rilevanti per pensare all’Ucraina nel contesto dei BRICS.

Putin e la Russia sperano certamente che la guerra abbia minato la precedente equazione globale post-1945. Mosca intende uscire dalla guerra concentrandosi sull’espansione del suo ruolo e della sua influenza in organizzazioni multilaterali come i BRICS, da cui gli Stati Uniti e l’Occidente collettivo sono esclusi. Ma vale la pena notare che all’interno del gruppo dei BRICS, proprio a causa della guerra, la Russia è vista come sempre più dipendente dalla Cina e meno come un attore globale indipendente.

La Cina domina chiaramente i BRICS e vuole usare l’organizzazione per consolidare le sue posizioni regionali e globali. Pechino vede gli Stati Uniti come nemici delle proprie ambizioni e Mosca come un importante contrappeso a Washington. La Cina non appoggia l’aggressione russa all’Ucraina, ma il framing statunitense in materia di sicurezza – comprese le frequenti invocazioni di Taiwan e “la Cina sta osservando l’Ucraina” al Congresso degli Stati Uniti – suscita a Pechino il timore che Washington veda la guerra in Ucraina come un banco di prova per uno scontro con la Cina.

Il Brasile apprezza la Cina come contrappeso agli Stati Uniti. Come ha detto di recente un interlocutore brasiliano a un gruppo di noi durante uno scambio di opinioni: “Il Brasile è condannato a esistere in un continente dominato dagli Stati Uniti”. Come in Cina, l’accesa retorica americana sulla guerra in Ucraina ha influenzato la percezione del conflitto in Brasile. Alcune élite e funzionari brasiliani considerano la guerra in Ucraina come “la prima guerra per procura del XXI secolo tra Stati Uniti e Cina”. Per loro la Russia è già subordinata alla Cina e indebolita come attore al di là del suo vicinato.

L’India vuole giocare un ruolo più ampio nell’Oceano Indiano ma, a differenza del Brasile, vede la Cina come una vera e propria minaccia per la sicurezza, soprattutto nell’Himalaya, dove i due Paesi si sono scontrati per il territorio. Per Nuova Delhi, Washington è una fonte di sostegno incostante, mentre Mosca è un importante fornitore di armi e munizioni. L’India teme la dipendenza della Russia dalla Cina. Di tutti gli Stati membri dei BRICS, l’India si trova nella situazione politica più difficile. Vuole tenere sotto controllo la Cina e la Russia all’interno dei BRICS e mantenere le relazioni con gli Stati Uniti.

Il Sudafrica, invece, vuole sviluppare le sue relazioni sia con la Cina che con la Russia all’interno dei BRICS. Per il Sudafrica, la Cina è una fonte di investimenti e di assistenza allo sviluppo, mentre la Russia è la continuazione dell’URSS, che è stata decisiva per aiutare l’African National Congress a combattere l’Apartheid durante la Guerra Fredda. In questo contesto, l’ANC considera gli Stati Uniti come la nuova potenza imperiale e rifiuta quella che considera la demonizzazione della Russia da parte dell’America nella guerra in Ucraina.

L’Arabia Saudita, tra gli aspiranti BRICS, vede il potere degli Stati Uniti affievolirsi in Medio Oriente dopo il ritiro militare da Iraq, Siria e Afghanistan. Cercando di entrare a far parte dei BRICS, l’Arabia Saudita vuole trarre vantaggio dagli spostamenti di potere e di commercio a livello globale. La Cina è il principale importatore di petrolio del Medio Oriente, un importante investitore regionale e il recente mediatore nelle relazioni dell’Arabia Saudita con l’Iran e lo Yemen. Per i sauditi, la Russia è un fattore nei calcoli energetici del Medio Oriente e della Siria e offre nuove opportunità economiche, poiché le imprese russe spostano denaro e attività nella regione del Golfo per evitare le sanzioni occidentali.

L’Iran, invece, è alla disperata ricerca di un sollievo economico. Vede nei BRICS l’opportunità di cambiare il suo status di paria regionale e di sfruttare il recente riavvicinamento con l’Arabia Saudita mediato dalla Cina. Teheran ritiene che la guerra in Ucraina abbia minato l’Europa come fonte di potere indipendente e l’abbia ri-subordinata a Washington. L’Iran percepisce la debolezza degli Stati Uniti in vista delle elezioni presidenziali americane del 2024 e la possibilità di giocare una partita internazionale diversa. L’Iran sta già fornendo a Mosca armi da usare contro l’Ucraina.

Con così tante agende e aspirazioni incentrate su uno solo degli ordini globali alternativi, la gestione della guerra in Ucraina – così come di altre questioni ad alta posta in gioco come il cambiamento climatico, le future pandemie e la non proliferazione nucleare – diventa estremamente difficile. Le prospettive a lungo termine dell’Ucraina dipendono da dinamiche globali più ampie e dalla buona volontà di altri Paesi, compresi i membri dei BRICS, non solo dal sostegno militare, politico ed economico degli Stati Uniti e dell’Europa.

Per le sue dimensioni e la sua posizione, l’Ucraina è uno Stato multiregionale. La sua sicurezza sarà definita dall’idea di Neil Melvin di “mini-lateralismo”. L’Ucraina dovrà consolidare le relazioni esistenti con gli Stati Uniti, l’Unione Europea e la NATO, nonché con i suoi vicini dell’Europa centrale e orientale, i partner stretti degli Stati baltici, della Scandinavia, del Regno Unito e della regione del Mar Nero. Anche i gruppi di Paesi del G7 e del G20 saranno fondamentali. È qui che la visione globale persistentemente negativa degli Stati Uniti complica la politica estera dell’Ucraina. Cosa accadrà, ad esempio, se la Cina, insieme all’Iran (e si sospetta alla Corea del Nord), fornirà armi alla Russia sulla base dell’inimicizia con gli Stati Uniti? Poi c’è la NATO. Come diretta conseguenza della guerra e dell’adesione di Finlandia e Svezia, l’Alleanza è diventata il principale motore della sicurezza ucraina ed europea. Almeno per la durata del conflitto, i dibattiti in corso sull’autonomia strategica europea sono passati in secondo piano. L’Europa è tornata a fare affidamento sulla potenza militare degli Stati Uniti nel periodo 1945-1989. Questa è un’altra sfida. Al di fuori dell’Europa e dell’arena transatlantica, la NATO ha un problema di immagine che Putin sfrutta.

Negli affari internazionali le percezioni sono spesso più importanti della realtà; e dalla fine della Guerra Fredda, Putin ha continuato a dipingere la NATO come un’estensione militare degli Stati Uniti e un’istituzione intrinsecamente anti-russa. A differenza di Gorbaciov e Eltsin, Putin non ha mai cercato seriamente un accordo con la NATO. Per Putin, gli Stati Uniti sono ancora l’avversario della Guerra Fredda e la NATO è una provocazione per la sua presenza. Putin ha alimentato attivamente le preoccupazioni della Cina che gli Stati Uniti stiano espandendo strutture simili alla NATO in Asia e ha alimentato l’idea che l’espansione della NATO sia la causa prossima della guerra in Ucraina. Sia fuori che dentro l’Europa, Putin vuole che gli Stati Uniti e la NATO spariscano per sempre.

Tutto ciò significa che abbiamo bisogno di uno slancio diplomatico – uno sforzo abile e paziente che si affianchi al vitale percorso militare – per porre fine alla guerra brutale e insensata della Russia. L’Ucraina ha bisogno di un ampio sostegno globale. Dobbiamo respingere la disinformazione di Putin e le narrazioni contro gli Stati Uniti e la NATO. Gli Stati Uniti e l’Europa dovranno coinvolgere il resto del mondo in una conversazione onesta sulla posta in gioco di questa guerra e ascoltare attivamente il loro feedback e le loro preoccupazioni su questioni specifiche. Data la disparità dei punti di vista e delle agende, dovremo adottare un approccio frammentario e più transazionale per identificare le aree in cui possiamo fare causa comune con altri Stati e con gli attori internazionali e del settore privato.

Il cosiddetto Sud globale vede ancora le Nazioni Unite come un attore credibile e importante; ma la maggior parte dei Paesi vuole ridimensionare il potere esclusivo del Consiglio di Sicurezza e potenziare le attività dell’Assemblea Generale per sviluppare nuovi meccanismi per affrontare realmente il cambiamento climatico e lo sviluppo economico. Poiché l’ONU ha ancora una rilevanza e un’accettazione universale come attore, dovremmo considerare come affrontare questi problemi. Dove possiamo lavorare con le Nazioni Unite per fornire assistenza tecnica, mediazione e coordinamento all’Ucraina? Ad esempio, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite può bilanciare il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e limitare in qualche modo i veti di Russia e Cina? Quale ruolo più ampio potrebbero svolgere la Corte internazionale di giustizia e la Corte penale internazionale, soprattutto alla luce della recente decisione del Sudafrica di rimanere nella Corte penale internazionale e di suggerire a Putin di non partecipare al vertice BRICS di Johannesburg per non doverlo detenere in base al mandato di arresto della Corte penale internazionale di marzo? Come possiamo basarci sugli interventi di crisi guidati dalle Nazioni Unite, come gli sforzi dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica per mettere in sicurezza l’impianto nucleare ucraino di Zaporizhzhia e l’iniziativa sui cereali del Mar Nero, per trasformarli in soluzioni durature a lungo termine in collaborazione con altri Paesi.

Infine, se gli Stati Uniti sono il prisma di tutti per l’Ucraina e questa è diventata una ribellione per procura contro gli Stati Uniti, come ho sostenuto, quali attori alternativi potrebbero ottenere trazione per ripristinare la pace attraverso un’azione collettiva? Tutti gli occhi sono attualmente puntati sulla Cina, ma l’India ha una buona volontà storica in diversi contesti regionali che potrebbe aiutare a creare un terreno comune con altri. Lo stesso vale per Paesi come il Kenya in Africa e Singapore in Asia. In Europa, ci sono i Paesi scandinavi che non hanno mai fondato colonie in Africa o in Asia. E, naturalmente, abbiamo l’Estonia e gli Stati baltici, che individualmente e collettivamente hanno svolto ruoli importanti sia nell’UE che nella NATO, stimolando l’azione dei Paesi più grandi e mantenendoli poi onesti. Questo è un momento da Lennart Meri. Abbiamo bisogno della manovrabilità di un kayak Inuit, non delle laboriose virate di una superpetroliera… o di una superpotenza ingombrante.

https://lmc.icds.ee/lennart-meri-lecture-by-fiona-hill/

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Su PayPal è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (ho scoperto che pay pal prende una commissione di 0,38 centesimi)

Stati Uniti, elezioni col botto_Con Gianfranco Campa

Il canale YouTube di Italia e il mondo si è visto rimuovere la 35a puntata della serie sul conflitto in Ucraina per istigazione all’odio e mancanza di rispetto verso singoli o gruppi e inibire le pubblicazioni per una settimana. Ecco copia della comunicazione e del ricorso, prontamente respinto. Giudicate voi: ricorso avverso del 21 maggio 2023 YouTube ha rimosso i tuoi contenuti .

Un probabile prodromo a provvedimenti più drastici. Il video è comunque accessibile sul canale rumble.

Da ormai oltre sei anni i centri dominanti statunitensi sono assillati da un incubo in grado di disturbare i loro sonni ed intralciare i loro piani: neutralizzare o annichilire Donald Trump. Hanno ostacolato con tutti i mezzi leciti ed illeciti la sua azione da presidente; hanno impedito la sua riconferma nel 2020. Temono che la fenice possa risorgere alla Casa Bianca nel 2024; in parte per la crescente ostilità alle politiche demo-neoconservatrici; in parte per l’assenza di alternative credibili ed autorevoli a meno di clamorosi ripensamenti. Questa volta, però, le sorprese saranno improbabili. Loro conoscono Donald Trump, ma anche Trump ha imparato a conoscerli. Il problema sarà, quindi, quello di impedire il suo accesso alla campagna presidenziale o farlo giungere, nel malaugurato caso di vittoria alle primarie, spossato e privo delle risorse necessarie a sostenere il confronto. Trump prosegue con un pesante retaggio e con numerosi errori compiuti, primo fra tutti non aver prodotto alcuna alternativa ed eredità alla propria figura; gli fa merito l’ostinazione e la ormai consolidata conoscenza dei meccanismi di potere anche se i compromessi cui dovrà soggiacere, molto probabilmente, addomesticheranno in qualche maniera le sue intenzioni. Rimarrà, comunque, un incubo dal quale gli attuali avventurieri cercheranno di liberarsi in qualche maniera e in tempo utile. La fioritura di candidature più che contrapporsi a Trump confida in una sua neutralizzazione per poter trionfare. A giochi fatti saranno comunque delle meteore destinate ad evaporare a favore di personaggi di ben altro spessore e solidità di appartenenza. Saranno mesi scoppiettanti. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/v2qdsfa-stati-uniti-elezioni-col-botto-con-gianfranco-campa.html

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Su PayPal è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (ho scoperto che pay pal prende una commissione di 0,38 centesimi)

Siamo tutti Stati civili Solo che alcuni non se ne rendono conto, di Aurelien

Siamo tutti Stati civili
Solo che alcuni non se ne rendono conto.

AURELIEN
24 MAG 2023

Il termine “Stato civile” è stato molto utilizzato negli ultimi anni e ora ha anche l’onore di avere una propria pagina su Wikipedia, non che sia molto utile. Come al solito, il termine non ha un significato condiviso e viene usato dai suoi difensori e detrattori in sensi piuttosto diversi. In sostanza, si tratta di un tentativo di descrivere i Paesi, soprattutto quelli con una lunga storia, utilizzando un quadro concettuale diverso da quello dello Stato-nazione liberale standard post-westfaliano del 1789. I difensori del concetto sostengono che è sbagliato cercare di applicare concetti presumibilmente “universali”, ma in realtà occidentali moderni, a Paesi come la Cina, con la sua lunga e ricca storia, mentre gli oppositori sostengono che questa è solo una scusa per questi Stati che non rispettano gli stessi standard universali dei diritti umani e altri shibboleth moderni.

Non sono qui per arbitrare questo dibattito, e comunque non sono in grado di farlo, ma piuttosto per cercare di spiegare cosa penso stia succedendo e perché è importante nell’evoluzione della politica internazionale. È legato, ovviamente, alla lenta decadenza dell’egemonia intellettuale ed economica dell’Occidente e alle sue sfide che sono locali e differenziate, come ci si aspetterebbe se fossero culturalmente specifiche. Partiamo quindi dall’inizio. Possiamo procedere attraverso tre domande. Notate che la maggior parte dei miei esempi sono tratti dall’Europa e dall’UE, perché è lì che vivo, e non mi sento competente a discutere degli Stati Uniti, per esempio. Ma gli statunitensi sono invitati a considerare le questioni parallele.

In primo luogo, o ci sono sistemi e forme di governo ideali, a cui tutti gli Stati finiranno per arrivare, o non ci sono. Finora si è sostenuto che le forme tecniche di governo adottate nel XX secolo in Occidente, e perfezionate nel corso dell’ultima generazione o giù di lì, sono le uniche corrette e inevitabili, e che tutte le nazioni troveranno la loro strada verso tali forme prima o poi. Tradizione, cultura, religione e storia non sono contributi a un sistema politico, ma irritazioni e ostacoli che devono essere eliminati prima di raggiungere la forma di governo corretta. Questa forma è una democrazia indiretta di tipo elitario, in cui gruppi di politici professionisti competono per il potere facendo varie promesse economiche e sociali, e in cui il ruolo del pubblico si limita a votare occasionalmente alle elezioni. Sebbene vi siano notevoli variazioni nei dettagli (presidenti eletti o non eletti, ad esempio), il concetto fondamentale di una classe politica professionale, il cui accesso è limitato e su cui le forze esterne dovrebbero teoricamente avere poca influenza, si ritrova ovunque. Altri attori, tra cui la magistratura e il parlamento in alcuni tipi di sistemi, hanno una parte di potere e i loro protagonisti provengono generalmente dalle stesse classi sociali ed economiche e possono persino essere legati da rapporti di parentela o di educazione. Tali sistemi politici sono in pratica governati da élite oligarchiche, anche se la configurazione formale può apparire leggermente diversa in ciascun caso. È dunque questo il sistema politico ideale e uno Stato o un partito politico che dubiti della sua validità universale è automaticamente sbagliato?

Allo stesso modo, o ci sono visioni universali delle relazioni individuali e sociali, a cui tutti gli Stati finiranno per arrivare, o non ci sono. Finora si è sostenuto che la base di tutte queste visioni è il moderno concetto occidentale di “diritti umani”. Ho già analizzato la storia piuttosto discutibile di questa idea: qui voglio solo osservare che l’egemonia di questa particolare idea, vaga e contestata, è tale che in realtà è molto difficile parlarne razionalmente. È difficile trovare una risposta all’accusa “Suppongo che tu pensi che sia giusto rinchiudere le persone senza processo?” nei termini in cui viene posta. (Anche se è legittimo dire che molti sedicenti “difensori dei diritti umani” credono essi stessi nell’opportunità di rinchiudere le persone senza processo se hanno opinioni sbagliate). Come Socrate che si difende dalle accuse di empietà verso gli dei, o Giovanni Bruno che si difende dalle accuse di eresia, è impossibile difendersi se si è costretti a rimanere nei limiti intellettuali della domanda. Il problema, infatti, è la concezione liberale radicale della società, che si è affermata a partire dal XVIII secolo e che vede la società non come un’entità, ma come un insieme di individui che massimizzano l’utilità, in lotta tra loro per ottenere il massimo vantaggio finanziario e personale, e regolati solo dalle leggi assolutamente necessarie. In una “società” di questo tipo non c’è società: le questioni sociali riguardano o la garanzia di un equilibrio matematico tra i vari desideri degli individui (come in Bentham) o un semplice gioco libero in cui chi ha più soldi e potere confisca il maggior numero di diritti. Il concetto di interesse collettivo è una contraddizione in termini. Infatti, i membri di una società possono passare ad essere membri di un’altra società con poche formalità, poiché non esistono vere e proprie “società”, ma solo collezioni temporanee e contingenti di persone che commerciano tra loro e che potrebbero benissimo trovarsi altrove. Inoltre, non esistono “diritti” collettivi, ma solo la somma dei diritti di tutti gli individui nella stessa situazione. Quando i diritti di alcuni individui si scontrano con i diritti di altri (come è normale che sia), si ricorre ai giudici per decidere chi ha più diritti. L’esistenza stessa di interessi più ampi della sola massimizzazione dell’utilità individuale non viene semplicemente riconosciuta. È dunque questo il sistema sociale ed economico universalmente valido, e uno Stato o un partito politico che dubiti di questa validità universale è automaticamente sbagliato?

Infine, o esistono modi ideali post-culturali, post-storici, post-religiosi e post-nazionalisti di guardare alla politica e alla società, a cui tutti gli Stati finiranno per approdare, oppure non esistono. Il liberalismo ha sempre teso verso una sorta di efficienza vuota e manageriale, priva di tutte le caratteristiche che ci rendono umani. Considera le credenze, le lealtà, l’amicizia e i legami sociali di qualsiasi tipo nel migliore dei casi inefficienti, in quanto impediscono il buon funzionamento dell’economia di mercato, e nel peggiore dei casi come simboli di oscurità e superstizione, da scacciare con la pura luce della ragione. La sua epitome è forse la visione da incubo di Comte di una società perfettamente razionale in cui i dittatori scientifici si assicurerebbero che ogni persona viva una vita interamente razionale che massimizza l’utilità, senza la scomoda influenza di sentimenti o emozioni. Una società di questo tipo è in realtà già presente, a grandi linee, nei presupposti dell’Unione Europea. La religione, la storia, la cultura, la lingua e le credenze dividono le persone l’una dall’altra, causando così (si sostiene) conflitti e persino guerre. Di conseguenza, si deve fare ogni sforzo per estinguere le differenze nazionali scoraggiando l’insegnamento e l’invocazione di storie e culture distinte, se non per mettere in guardia dai loro aspetti negativi, promuovendo invece una zuppa di Bruxelles grigia e insapore, che si distingue in gran parte per gli ingredienti che mancano. La storia, nella misura in cui se ne riconosce l’esistenza, è passata dall’essere una storia nazionale a un campo di dibattiti e lotte feroci in cui i gruppi cercano di imporre le loro interpretazioni della storia gli uni sugli altri, come i membri di una famiglia che si combattono davanti a un giudice per i diritti di eredità.

Bruxelles oggi è, di fatto, il nulla: nessuna storia, nessuna cultura, nessun patrimonio comune e un’ideologia costruita interamente su luoghi comuni, dove gli argomenti difficili non vengono discussi. (La religione è considerata un artefatto puramente culturale e qualsiasi critica ai praticanti di religioni non europee, per qualsiasi motivo, è considerata razzismo). La storia, sotto forma di edifici e monumenti, è accettabile solo nella misura in cui favorisce l’industria del turismo o rappresenta un’opportunità commerciale. Anche la lingua ufficiale è artificiale: una sorta di inglese semplificato, con una forte influenza del vocabolario giuridico francese, spesso chiamato Globisch. Di certo, se si entra in un ristorante di rue Archimède, dove la Commissione si reca spesso a pranzo, non si sentirà parlare fiammingo e probabilmente non si sentirà nemmeno parlare francese. Persino i menu sono in Globisch e la gente paga con banconote in euro dal design volutamente anonimo, come se avesse paura di dire da quale continente provengono. Se si va a Strasburgo, sede (o almeno albergo) del Parlamento europeo, si vede la stessa cosa nell’area europea: edifici moderni, senza volto e senza carattere che sembrano essere stati progettati proprio per essere brutti e non memorabili. Geograficamente, sono posizionati esattamente sul confine franco-tedesco, come se avessero paura di essere visti in uno dei due Paesi. Questo sistema di credenze è dunque universale (o almeno idealmente tale) e uno Stato o un partito politico che dubiti della sua validità universale ha automaticamente torto?

Non vi sorprenderà sapere che io penso che la risposta a tutte queste domande sia “no”. Ma ciò che penso non ha molta importanza. Ciò che è molto più importante è che il tipo di opinioni che ho delineato sopra rappresentano in realtà un’opinione minoritaria nell’Occidente stesso, a volte una minoranza piuttosto piccola. In questo senso, l’argomento della divisione tra Stati “moderni” e “civilizzati”, e ancor meno le sciocchezze sulla presunta distinzione tra Stati “democratici” e “autoritari”, sono una falsa antitesi. Esiste una classe dirigente globale (e no, non si tratta di una cospirazione) che condivide ampiamente questi punti di vista e che ha avuto più successo nell’imporli ad alcuni Paesi che ad altri. Nella maggior parte dell’Occidente ha avuto successo, in altre parti del mondo ha fatto progressi, ma in altre parti del mondo ancora ha avuto meno successo, o addirittura ha fallito. Questi Paesi (Russia, Cina, India) tendono a essere grandi Stati con una lunga storia e una forte cultura. Ma ci sono anche altri Stati che contestano attivamente l’egemonia ideologica occidentale, eppure non vengono criticati allo stesso modo: gli Stati produttori di petrolio del Golfo, per esempio. Sto ancora aspettando che qualcuno me lo spieghi.

Se guardiamo ai termini con cui gli Stati civilizzati vengono spesso criticati: “autoritari”, “populisti”, “dittatoriali”, “nazionalisti” e così via, possiamo anche confonderci, perché alcuni di questi termini sembrano essere il contrario di altri. Non è possibile avere un dittatore populista, vero? Ebbene, se si aderisce a questa ideologia diffusa, contraddittoria e mal concepita che ho descritto, si può, o almeno si possono amalgamare tutte queste critiche in un’unica cosa negativa. Per capirlo dobbiamo dare un’occhiata alla storia del liberalismo stesso.

Per sua natura il liberalismo è una dottrina elitaria: non può essere altrimenti. Ideologia di avvocati e uomini d’affari della classe media e dei loro apologeti intellettuali, promuove il successo individuale, i diritti e i privilegi personali e l’organizzazione razionale della società da parte delle élite stesse. Depreca la tradizione, la comunità, la religione, la solidarietà e qualsiasi senso di impegno verso qualcosa al di fuori del proprio ego. Adora i libri di regole e le sue chiese sono tribunali che, a differenza dei luoghi di culto tradizionali, sono aperti solo a chi ha i soldi.

Il liberalismo è sorto in un luogo e in un’epoca particolari, quando la democrazia di massa, così come la intendiamo noi, non aveva ancora attecchito, ed era l’ideologia politica della nascente classe media nel suo tentativo di sottrarre il potere alle forze tradizionali dell’aristocrazia, della Chiesa e dell’esercito. Naturalmente non c’è nulla di sbagliato nel fatto che una classe politica sviluppi un’ideologia che sostenga i suoi interessi: anzi, è del tutto normale. La difficoltà è sorta con l’avvento della democrazia di massa, a cui il liberalismo è sempre stato fondamentalmente antipatico, e con la conseguente necessità di convincere un numero molto elevato di persone comuni a votare contro i propri interessi e a votare invece nell’interesse delle classi medie e dei datori di lavoro.

In una certa misura, fattori esterni hanno offuscato queste distinzioni e hanno permesso al liberalismo di fingere di essere qualcosa che non era. Mentre i liberali irriducibili erano tenuti in strutture di contenimento sicure nei think tank, soprattutto negli Stati Uniti, i pensatori liberali influenti in pubblico erano spesso persone piuttosto piacevoli e inoffensive (John Rawls, per esempio, dà l’impressione di una persona che non fa male a una mosca). La sfida elettorale dei partiti socialisti e comunisti fino all’ultima generazione ha costretto il liberalismo ad adottare almeno una certa retorica populista e a sostenere iniziative che andassero a beneficio della gente comune. La paura della rivoluzione (che è stata una nevrosi liberale per gran parte del XX secolo) ha obbligato i liberali ad accettare ogni tipo di politica e di accordo che altrimenti avrebbero disapprovato. Poi c’è stata la Guerra Fredda: che si accetti o meno la tesi che il comunismo sovietico sia nato essenzialmente dalla stessa mentalità del liberalismo, è vero che marcare la differenza tra l’Occidente e l’autoritario Stato comunista senza Dio ha richiesto ai liberali di prestare almeno un po’ di attenzione alle idee di costume, tradizione, religione ecc. che la loro stessa ideologia li avrebbe portati a rifiutare. Alcuni dei nodi in cui si sono annodati sono stati davvero impressionanti.

L’ironia della sorte è che la gente comune, che per definizione costituiva la massa degli elettori, tendeva ad aggrapparsi molto strettamente alle tradizioni e alle consuetudini. Non è difficile da capire: si trattava, in fondo, di una sorta di protezione collettiva. L’operaio o il bracciante agricolo erano ben consapevoli che sarebbero stati le prime vittime di una società liberale più debole e che la loro unica speranza risiedeva nelle strutture collettive e nella conservazione dei legami sociali e delle norme culturali. Anche le chiese (soprattutto quelle di tendenza anticonformista) potevano essere meccanismi di protezione per credenti e non credenti. I partiti della sinistra tradizionale spesso lo riconoscevano: l’internazionalismo della sinistra era una solidarietà collettiva contro i nemici di classe, non la negazione nichilista dell’esistenza stessa delle nazioni e delle differenze etniche e culturali che troviamo oggi. Il Manifesto comunista può aver detto che “gli operai non hanno patria”, ma questa era solo un’asserzione sulla situazione del 1848: la borghesia possedeva la patria e, dopo una rivoluzione socialista, le nazioni sarebbero rimaste ma l’antipatia tra di esse sarebbe cessata. La mescolanza di idee politiche ed economiche radicali con il patriottismo inglese, che risale almeno a William Blake ed è forse meglio espressa ne Il leone e l’unicorno di George Orwell, si colloca interamente in questa tradizione.

Lo stesso vale per gran parte dell’Europa: I partiti comunisti erano molto attivi nella Resistenza, ma le loro motivazioni erano spesso almeno altrettanto patriottiche che strettamente politiche. (Il grande poeta e romanziere francese Louis Aragon, comunista convinto, contribuì a fondare la Resistenza intellettuale all’occupazione e scrisse poesie ampiamente diffuse in cui invitava tutti i francesi a trarre forza dalla storia e dalla cultura del Paese). Allo stesso modo, il programma del Partito Comunista Francese del 1944 chiedeva, tra le altre cose, il ripristino della “gloria nazionale” della Francia e la conservazione del suo Impero. Questi sentimenti erano ineccepibili un paio di generazioni fa, e molto in sintonia con ciò che la gente comune sentiva istintivamente.

Ne Il leone e l’unicorno Orwell suggerisce che un governo veramente socialista, che sperava di vedere in Inghilterra, avrebbe abolito la Camera dei Lord ma mantenuto la monarchia. Era consapevole dell’enorme importanza simbolica e della risonanza storica della carica e sperava che potesse essere svincolata dal sistema di classi che tanto disprezzava. Il che ci porta al riferimento obbligato, suppongo, all’incoronazione di Carlo III e all’atteggiamento di sputo, derisione e scherno di gran parte dei media e dell’intellighenzia liberale nei suoi confronti, nonché al loro stupore per il fatto che così tante persone fossero uscite sotto la pioggia per assistere. Ma per certi versi questo disprezzo politico era solo un modo misconosciuto di ridere della gente comune e di chiamarla stupida, come i liberali fanno dai tempi di John Locke. Il liberalismo è fondamentalmente solipsistico: tutto riguarda me, i miei diritti, i miei privilegi e tutta la realtà è essenzialmente una proiezione del mio ego. Il desiderio di identificarsi con altre persone in una comunità più ampia e di identificarsi collettivamente con qualcosa che vada oltre il proprio ego è impossibile da capire per i liberali, perché richiede che il fantasma affamato che è all’origine del liberalismo taccia per un po’.

L’incoronazione (e parlo da repubblicano da sempre) è stata un gigantesco atto di resistenza collettiva all’ideologia liberale, e credo che sia stata in gran parte percepita come tale, motivo per cui l’élite liberale è diventata così isterica. Per ore e giorni interi, nessuno ha cercato di vendervi qualcosa. Non c’erano sponsor, non c’era pubblicità, non si poteva comprare un posto accanto al Re, non importa quanto denaro si avesse. La gente comune poteva assistere senza pagare e avvicinarsi al Re più di quanto la stragrande maggioranza di loro potesse sperare di fare con qualche personaggio dei media o persino con molti Presidenti eletti. (La visita di Carlo in Francia è stata annullata, non per timore della sua sicurezza, ma di quella di Macron). Per una volta, persone di tutte le classi, razze e nazioni si sono mescolate insieme. Si è tentati di immaginare un banchiere stanco del jet lag che arriva a Londra, accende la TV e si chiede: “Dove sono le tende VIP per i dirigenti della Silicon Valley? Perché a tutti questi comuni idioti è permesso di entrare senza pagare?

In effetti, è difficile capire come si possa costruire un’identità collettiva sulla base dei tre punti che ho esposto sopra: il che va bene, perché il liberalismo non crede comunque nelle identità collettive. Quindi, l'”Europa” in questo senso non è una costruzione culturale, storica o sociale, ma puramente giuridica. Non vive nell’architettura, nelle chiese, nella letteratura, nella pittura, nella musica e nella memoria, ma nei libri sugli scaffali e nei bit nei computer. È infatti impossibile descrivere cosa sia l'”Europa” come concetto e non come luogo. Per molti versi, è una costruzione virtuale o, se preferite, una quarta dimensione ad angolo retto rispetto al continente che conosciamo.

Mi è stato chiesto più volte in Africa e in Medio Oriente se penso che queste regioni possano o debbano evolvere nella stessa direzione istituzionale dell’Europa. La mia risposta è sempre: “Siete disposti ad avere anche la nostra storia? La vera storia dell’Europa, ed è una grande storia, è quella del superamento delle divisioni religiose e politiche, delle lotte dinastiche, delle guerre e delle atrocità, e infine della creazione di una zona di relativa pace, oltre che di un incredibile patrimonio culturale e intellettuale. I successi, gli errori e le false partenze dell’Europa sono una ricca fonte di lezioni per il resto del mondo.

Ma queste lezioni non vengono mai invocate. L’unico senso in cui il passato compare nel pensiero collettivo europeo è negativo. Cultura, storia, lingua e tradizione sono potenziali fonti di divisione da superare, in parte semplicemente ignorandole. A sua volta, l’interazione dell’Europa con il resto del mondo oggi non avviene mai in termini di storia, successi e fallimenti, ma in termini di principi astratti, dedotti a priori. In effetti, come i liberali radicali che introdussero brevemente la settimana di dieci giorni e la giornata di dieci ore dopo la Rivoluzione francese, il punto era voltare le spalle al passato e ricominciare da capo. La storia non aveva nulla da insegnare, solo cose da evitare. In questo, ovviamente, l’Europa è del tutto tipica delle istituzioni liberali internazionali che sono influenti in gran parte del pianeta. Non ha senso chiedersi su quale esperienza e riflessione si basino i programmi della Banca Mondiale, del FMI, dell’OCSE o del PNUD: la risposta è nessuna. Anzi, queste istituzioni non amano l’apprendimento dall’esperienza, perché può portare a conclusioni sgradite.

Questo spiega forse l’approccio querulo, aggressivo, intollerante ed esortativo di tante istituzioni e donatori di oggi: fai questo, perché. I loro programmi cercano essenzialmente di infliggere agli altri le conseguenze di assunti liberali a priori. Poiché tali presupposti sono universalmente validi, sono per definizione superiori e devono sostituire tutte le tradizioni e le pratiche culturalmente specifiche. L’interazione dell’Occidente con le altre parti del mondo ha quasi sempre un tono negativo, perché l’Occidente oggi non ha alcun contributo positivo da dare. Ci sono programmi per la lotta alla corruzione, ma non per rafforzare la società, programmi per il controllo della polizia, ma non per rendere le persone più sicure, e soprattutto programmi per sostituire la fiducia, le usanze e i controlli sociali con codici legali tradotti dalle lingue occidentali. E naturalmente per alcuni questo va benissimo. In molti Paesi ci sono strati della società occidentalizzati che vedono nelle idee liberali molte attrattive per se stessi, che studiano all’estero, parlano lingue straniere e sono ricompensati con lavori e profili lusinghieri nei media occidentali. Tuttavia, mentre questi individui sono talvolta in grado di prendere il potere in certi Paesi in determinati momenti, la base di questo potere è spesso fragile e facile da perdere. Quando ciò accade, o è minacciato, il risultato in Occidente è il panico e il vocabolario di “populismo”, “autoritarismo” e così via, viene ripreso e sventolato come una bandiera insanguinata.

L’ironia di tutto ciò è che l’Occidente ha in realtà molto da contribuire se solo mettesse da parte il proprio ego e smettesse di dire “perché lo dico io” o “perché noi facciamo così”. Questo è spesso difficile, a causa delle strette restrizioni ideologiche in cui operano i donatori e le organizzazioni internazionali, e della spesso palese ignoranza e mancanza di interesse per le circostanze sul campo. Ma si può fare: come sono solito dire regolarmente a certe platee, forse non abbiamo tutte le risposte, ma abbiamo fatto centinaia di anni di errori. Questi sentimenti sono spesso apprezzati.

In definitiva, il liberalismo è molto insicuro perché anche i suoi più ferventi sostenitori sono consapevoli della misura in cui si basa sulle nozioni a priori che ho descritto. È per questo che il liberalismo gestisce male i conflitti e ricorre ad abusi e lamentele, incapace di immaginare che potrebbe non essere chiaramente nel giusto. Nessuno, alla fine, ha mai combattuto per i principi liberali, nei quali, come mostrerò tra poco, i liberali non credono comunque. Hanno combattuto per i propri interessi. Nessuno è mai andato a morire per l’introduzione del diritto contrattuale, di tasse sulla proprietà più basse o di accordi matrimoniali non convenzionali, e nessuno lo farà mai. Tutto ciò che il liberalismo ha è l’opposizione alla tradizione, alla cultura, alla religione e alla società. Il che ci porta naturalmente all’Ucraina e alla violenta isteria che caratterizza la posizione occidentale, di cui ho già parlato in precedenza. Se avete letto fin qui, la negatività non dovrebbe sorprendere: L’ideologia liberale non può tollerare di vivere nello stesso mondo di un Paese in cui religione, patriottismo, tradizione, lingua e cultura sono ancora importanti: un Paese del genere è un abominio che deve essere distrutto. Inoltre, qualsiasi leadership nazionale che sposa tali idee è, per definizione, non rappresentativa del suo popolo e dovrebbe essere rovesciata.

Eppure, eppure. Se i liberali vivessero davvero la loro vita secondo questi precetti (sarebbero ovviamente molto infelici) sarebbe una cosa. Ma non lo fanno. I liberali, a mio avviso, hanno famiglie, amici, circoli sociali, aderiscono a organizzazioni e hanno legami emotivi, e sono capaci di comportamenti irrazionali e illogici come chiunque altro. In effetti, uno dei maggiori problemi politici delle società occidentali è la quantità di emozioni primitive e violente nascoste sotto una facciata di razionalità liberale, ma questo dovrà aspettare la prossima settimana.

Consideriamo ad esempio la “libertà di parola” (le virgolette sono ormai d’obbligo), che un tempo era un principio liberale e in teoria lo è ancora. Tuttavia, le sue origini risalgono alla lotta dei liberali per esprimersi liberamente sotto regimi assolutistici o autoritari a partire dal XVIII secolo. Una volta ottenute queste libertà, i liberali hanno inevitabilmente iniziato a notare gli inconvenienti associati alla libertà di parola che non condividevano. E poiché la loro era un’ideologia basata essenzialmente su una serie di asserzioni non supportate sul mondo, la libera indagine e la messa in discussione razionale, ironia della sorte, le erano inibite. Non sorprende quindi che negli ultimi tempi il sostegno alla libertà di espressione sia in netto calo tra le persone che si identificano come liberali e “di sinistra”, che di questi tempi equivalgono più o meno alla stessa cosa. Oppure si potrebbe sottolineare lo spettacolo sgradevole di sedicenti liberali che chiedono l’incarcerazione senza processo o addirittura l’assassinio di politici che non amano. Ma qui non si tratta di accusare i liberali di ipocrisia, di cui sono certamente colpevoli come tutti noi, ma piuttosto di notare che un insieme di principi basati su asserzioni a priori, avulsi dalla storia, dalla cultura, dalla lingua, dalla religione e dalla tradizione, non può funzionare efficacemente come base sicura per esprimere giudizi difficili. Questo, senza dubbio, è il motivo per cui in questo momento nei circoli liberali si sta agitando in modo così sgradevole.

Alla fine, tutti gli Stati devono essere “civili” (cioè basarsi su qualcosa di condiviso dalla popolazione) o non sopravviveranno. È stato notato che la credibilità e il sostegno politico di molti leader occidentali oggi sono spesso inferiori a quelli dei leader dei cosiddetti Stati “civilizzati”. Questo non dovrebbe sorprendere nessuno, ed è probabile che la situazione peggiori, soprattutto quando le conseguenze della guerra in Ucraina continueranno a svilupparsi. L’ironia finale, che difficilmente sarebbe sembrata possibile anche solo dieci anni fa, è che i liberali, molti dei quali identificati con la sinistra nozionistica e molti di quelli che si considerano “moderati”, sono diventati strillanti propagandisti di un regime nazionalista estremo con elementi neonazisti, e ora si sbizzarriscono con video di uomini virili con tatuaggi Waffen-SS e amazzoni bionde che imbracciano kalashnikov. In effetti, l’Ucraina non è solo una guerra per procura dal punto di vista politico, è una guerra per procura dal punto di vista ideologico. Per una volta, tutto il bagaglio nazionalista, culturale, militarista e storico che è stato soppresso con tanto successo in Europa può esplodere altrove, e noi possiamo applaudire deliranti da bordo campo, perché non siamo noi a farlo.

Il che è un altro modo per dire che non si può creare qualcosa dal nulla, non si può creare una struttura politica efficace dal nulla. L’Europa non ha nulla da contribuire alla crisi attuale se non l’odio delle élite e, quando sarà finita, ho il sospetto che anche in Occidente assisteremo a un nuovo modo di fare politica, più “civile”.

https://aurelien2022.substack.com/p/we-are-all-civilisational-states?utm_source=post-email-title&publication_id=841976&post_id=123560446&isFreemail=true&utm_medium=email

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Su PayPal è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (ho scoperto che pay pal prende una commissione di 0,38 centesimi)

Il realismo negletto_con Gennaro Scala

L’Italia, a dispetto della sua condizione politica in epoca moderna e in gran parte di quella contemporanea, si è comunque distinta nei vari ambiti della cultura, compresa la teoria politica. Uno spazio particolare è stato occupato dal realismo politico seguendo però quest’ultimo un percorso, pur a fasi alterne, di una progressiva dissociazione dall’azione concreta degli esponenti politici. Con Gennaro Scala ci avventuriamo in una breve carrellata che parte da Dante, la figura di maggior interesse coltivato dall’autore, per passare con brevi accenni a Machiavelli e al gruppo di teorici realisti, a cavallo tra ‘800 e ‘900, Mosca, Pareto, Ferrero, Michels. Questi ultimi, ben conosciuti all’estero, quasi del tutto rimossi dal dibattito politico-culturale italiano sviluppatosi dal secondo dopoguerra per ovvie, ma sconsolanti ragioni. Una delle rare figure riuscite a emergere in questa fase decadente è stata Gramsci, ma al prezzo del progressivo disconoscimento del ruolo della coercizione nella funzione egemonica riconosciuta agli apparati e alle leadership. Una rimozione che ha aperto praterie a movimenti ed organizzazioni, tra queste Podemos e M5S, considerate innovatrici, in realtà tasselli terminali di un ciclo decadente. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

NB _ In calce alla conversazione un saggio di Gennaro Scala su Dante e la figura di Ulisse nella Commedia

https://rumble.com/v2psxkm-il-realismo-negletto-con-gennaro-scala.html

Il folle volo in Occidente. La tragicommedia di Ulisse (I parte)

“O frati”, dissi “che per cento milia
perigli siete giunti a l’occidente…”

Per quale motivo Dante colloca l’invettiva contro Firenze all’inizio del Canto XXVI dell’Inferno, qual è il suo rapporto con la parte dedicata ad Ulisse? Considerata l’attenzione di Dante per questi particolari, pensiamo solo alla teoria politica dei due soli posta esattamente al centro della Commedia (Pur. XVI), non può essere casuale che la più dura invettiva contro Firenze sia collocata all’inizio del «canto di Ulisse». Partiremo con questo interrogativo, che mi è servito da orientamento nella labirintica creazione dantesca in cui, tra le figure memorabili della Commedia, si staglia quella di Ulisse, cercando di capire meglio il significato dell’invettiva:

Godi, Fiorenza, poi che se’ sì grande,
che per mare e per terra batti l’ali,
e per lo ’nferno tuo nome si spande!

Com’è noto, i versi richiamano la targa del Palazzo del Capitano del Popolo (Bargello), fatto costruire nel 1255 dal «Governo del primo popolo», in seguito alla sconfitta dei cavalieri ghibelllini. Un passo dell’iscrizione ricalcava quasi alla lettera i versi della Pharsalia di Lucano riguardanti la potenza romana: «que mare, que terras, que totum possidet orbem».

Dante, appartenente all’Arte dei medici e degli speziali (fra le Arti maggiori) fu uno dei sei priori, la massima carica nel governo detto del Secondo popolo di Giano della Bella, che istituì gli Ordinamenti di giustizia che escludevano dal governo della città i “magnati” appartenenti alle grandi famiglie. Gli anni che vanno dal Governo del primo popolo fino alla fine del secolo furono di grandi trasformazioni, videro il rapido ingrandimento della città e il sorgere di una proto-borghesia composta soprattutto da grandi mercanti e imprenditori appartenenti alle Arti maggiori, e artigiani appartenenti alle Arti minori, la «gente nova» dai «subiti guadagni».

Firenze era diventata una delle più potenti città europee, se non la più popolosa (seconda solo a Parigi), sicuramente la più «dinamica» sul piano economico, come si direbbe oggi. Il «maladetto fiore» stava per diventare in quegli anni la moneta dominante nell’Europa del tempo. Scriveva Francesco Buti, commentatore della Commedia del 1300: «erano allora i Fiorentini sparti molto fuor di Fiorenza per diverse parti del mondo, ed erano in mare e in terra, di che forse li fiorentini se ne gloriavano». Forse ispirata da Brunetto Latini, il maestro di Dante (che ritroverà nell’Inferno), la targa esternava la volontà di potenza dei fiorentini.

Secondo Elisa Brilli, Dante in prima persona, quale voce narrante e non personaggio della Commedia «parodiando la retorica romaneggiante dell’iscrizione ufficiale, attacca non la Firenze contemporanea o del recente passato, bensì quella del Primo Popolo e le sue velleità imperialiste, qui capovolte nell’impero ernale» 1. Il lavoro della Brilli su Dante e Firenze è di grande interesse, però a me pare un’eccessiva sottigliezza circoscrivere il sarcasmo dell’invettiva alla Firenze del Primo Popolo, esso è diretto alla nuova Firenze nel suo complesso sorta nella seconda metà del XIII secolo. Lo spirito dell’iscrizione del Bargello è risibile poiché Firenze si atteggiava a nuova Roma, perché aveva affari dappertutto, ma nella corruzione che manifestava, nella brama di ricchezza, nella cupidigia che la muoveva per il mondo, non era possibile riscontrare nessuna manifestazione della virtù romana.

Dante verrà poi esiliato da Firenze dopo la sconfitta dei guelfi bianchi, a cui apparteneva, da parte dei guelfi neri, in seguito alle trame di Bonifacio VIII che portarono all’ingresso in Firenze delle truppe di Carlo di Valois. Probabilmente in gioventù avrà guardato con altri occhi alla targa del Bargello, nel Convivio scriveva: «Poi che fu piacere de li cittadini de la bellissima e famosissima figlia di Roma, Fiorenza, di gittarmi fuori del suo dolce seno» (Convivio, I, 3). La nota amaramente ironica di queste parole nell’invettiva si trasformava in sarcasmo già di per sé esaustivo riguardo al paragonarsi di Firenze a Roma, che diventerà piuttosto un’anti-Roma. Dante rovescerà il giudizio di Agostino su Roma, la cui «sementa santa», (Inferno XV, 76) sembrava del tutto scomparsa a Firenze che infine diventerà l’agostiniana civitas diaboli, la mala pianta di Lucifero (Paradiso, IX, 129).

Nella contrapposizione tra Roma e Firenze vi è una premonizione della differenza tra l’imperialismo che poi sarà proprio di tutte le nazioni europee e la civiltà romana, che, come tutte le civiltà che nella storia hanno acquisito una forma stabile, non si muove disordinatamente, non sbatte di qua e di là le ali per il mondo al fine di accrescere la propria ricchezza, identificandola illusoriamente con la potenza, ma si muove, come l’Aquila imperiale, in modo rettilineo, acquisendo contiguamente e sussumendo nel proprio sistema i territori conquistati. L’espansionismo fiorentino è spinto invece dalla cupidigia di ricchezze (capitalismo), una definizione che precorre quella marxista di imperialismo.

L’invettiva profetizza la fine di Firenze:

Ma se presso al mattin del ver si sogna,
tu sentirai, di qua da picciol tempo,
di quel che Prato, non ch’altri, t’agogna.
E se già fosse, non saria per tempo.
Così foss’ ei, da che pur esser dee!
ché più mi graverà, com’ più m’attempo.

Pur non avendo trovato nessun commento che lo rilevi, a me pare proprio che Dante nel profetizzare la distruzione di Firenze da parte delle città vicine, se non dalla stessa Prato, abbia in mente quel passo di Tito Livio secondo cui Roma crebbe sulla distruzione di Alba2. È da Livio che è tratta (Purgatorio, VI) la descrizione del passaggio dell’Aquila da Alba, dove aveva dimorato per trecento anni, a Roma. Corsi e ricorsi storici. Come avvenne tra le due antiche città, Firenze sarà distrutta da una delle città vicine, che alla prima occasione metterà fine al suo «volo», già dimostratosi privo del favore della Provvidenza. Con la venuta di Arrigo VII e il ritorno dell’ordine imperiale, Prato, che aveva già dimostrato la sua insofferenza verso Firenze con la cacciata dei neri nell’Aprile del 1309, potrebbe prendersi la sua rivincita. Avendo ciò presente, tale profezia, ancor oggi considerata in parte oscura3, acquisirebbe un significato più preciso, comunque nel senso intelligibile della stessa se ne deduce che Firenze sarà portata alla rovina dalle città vicine, se non dalla piccola Prato, da qualche altra città più grande. Firenze non è Roma. In analogia, con quanto era avvenuto tra Alba e Roma, Firenze, patria di ladroni, ormai con-dannata, andrà incontro alla sua fine. Se la Provvidenza vuole che ciò accada che accada presto. Così la storia potrà indirizzarsi su un cammino più virtuoso, come avvenne con Roma. Arrigo VII morì invece nel 1313 durante la sua discesa in Italia prima di attaccare Firenze e senza riportare «l’ordine imperiale».

L’Aquila, che per lungo tempo si posò su Roma, si muove secondo un disegno provvidenziale, magari non intellegibile a tutti ma presente (Paradiso, VI), il volatile fiorentino spinto dalla cupidigia di ricchezze svolazza disordinatamente per il mondo, per mare e per terra, assomiglia al «folle volo» di Ulisse.

Com’è noto, l’Ulisse dantesco con l’Ulisse omerico non ha un rapporto diretto. Dante non conosceva l’Odissea, le sue fonti sono quelle classiche romane e latine, in primo luogo Virgilio, nonché Cicerone, Orazio, Ovidio, Agostino, Orosio. Ulisse si trova condannato nell’Inferno nel girone dei consiglieri fraudolenti in qualità di «scelerum inventor» e «fandi fictor» , inventore di scelleratezze e dai falsi discorsi, per il celebre inganno del cavallo di Troia, e per il furto della statua di Pallade protrettrice di Troia (Virgilio, Eneide), per l’inganno ai danni di Deidamia (in questo caso la fonte è l’Achilleide di Stazio) che ancora si duole nel Limbo per Achille.

Si ispirò invece alla letteratura medievale su Alessandro Magno nella parte in cui Ulisse narra di se stesso e delle vicende dopo la sconfitta di Troia e la dipartita da Circe che lo portarono a peregrinare per il mediterraneo, fino alla vicenda conclusiva. Nessuno crea nulla dal nulla, queste vesti classiche hanno un loro significato, come vedremo, ma Ulisse è una creazione dantesca ed è una figura che sentiamo come la più moderna dell’intero poema, anzi taluni ci vedono un archetipo dell’uomo moderno.

L’Ulisse di Dante è stato interpretato nel corso dei secoli in molteplici e opposti modi. Nel dopoguerra la «letteratura dantesca», con la crescita delle università, ha raggiunto dimensioni vertiginose. Impossibile tener conto dell’insieme di essa, mi sono limitato quindi ai testi con cui ho ritenuto aver raggiunto un’immagine coerente del personaggio dantesco, seguendo delle mie tracce di lettura. Credo scherzi fino ad un certo punto il «filologo complottista» Francesco Benozzo quando fissa4 un limite al 5 per mille degli interi scritti su Dante che un singolo individuo può arrivare a consultare. Preciso che quanto segue non è un lavoro di carattere filologico, ma estetico-filosofico. Non voglio proclamare l’inutilità della filologia, che mi è stata di molto aiuto nel tentativo di avvicinarmi al personaggio dantesco, né credo che ciò intenda Benozzi da filologo, tuttavia non si può non rilevare, che tutta questa «letteratura» pur essendo sovente utile per questioni specifiche, lascia nel complesso insoddisfatti, essendo davvero pochi coloro, almeno nel «campione» da me consultato, che non si occupino solo di «pezzi di Dante», che non trattino solo della questione specifica, ed è difficile quindi non pensare che la «critica dantesca» sia una sorta di vivisezione, per dirla con Benozzo, oppure la dissezione di un cadavere. Pare che Dante abbia oggi poco da dirci, e che, ora, il suo cadavere intellettuale sia pertinenza esclusiva degli «specialisti», oppure possa essere oggetto solo di vuote e stanche celebrazioni.

Cominciamo da Ulisse quale navigatore. Francesco De Sanctis intravvedeva in Ulisse il moderno navigatore, una premonizione dei viaggi che di lì a qualche secolo avrebbero cambiato radicalmente la conoscenza e il rapporto che abbiamo con la Terra. A tale intuizione Bruno Nardi aggiunse la notizia dei fratelli Vivaldi, salpati da Genova nel maggio del 1291 con l’intenzione di raggiungere le Indie via mare, poi scomparsi in luogo ignoto delle coste africane. Recentemente la tesi è stata ripresa e sviluppata da Sergio Cristaldi: «Se ha convocato l’eroe greco è anche per affrontare, in maniera trasposta, un enigma recente e fosco; a costo di manipolare il mito, di avvicinarlo il più possibile alla propria moderna condizione, alle ambizioni e alle sconfitte che la segnavano»5 . L’enigma è quello della morte dei fratelli Vivaldi. Come scrive Cristaldi, è molto probabile che Dante conoscesse la vicenda dei due fratelli che aveva suscitato clamore tanto a Genova, e che doveva aver fatto notizia anche a Firenze, che allora mirava ad un’alleanza con Genova, in opposizione a Pisa, concorrendo a creare nella mente dantesca la figura, in modo più o meno consapevole, non lo possiamo sapere, è probabile, visto l’interrogativo sulla morte di Ulisse, che potrebbe rispecchiare un analogo interrogativo diffuso allora tra Genova e Firenze.

Ulisse quale simbolico precursore delle grandi navigazioni, già iniziate in quegli anni è lettura suggestiva, ma diventa riduttiva se volesse esaurire la poliedrica figura. Infatti, «perché Ulisse e non direttamente i fratelli Vivaldi? Le risposte a disposizione indicano la convenienza dell’aggancio a un personaggio fittizio semanticamente denso, già implicato in una serie di opposizioni esemplari – Ulisse-Enea, greco-troiano, folle-savio, callidus-pius –, e rilevano ancora la disponibilità di un simile profilo a ricevere significati ulteriori, legati all’attualità di Dante»6. Queste «significazioni ulteriori» non possono essere tralasciate, se vogliamo avvicinarci al personaggio dantesco.

Di grande interesse la ricerca di D’Arco Silvio Avalle, il quale rimanda alla letteratura medievale intorno alla figura di Alessandro Magno, per quanto riguarda l’oltrepassamento delle Colonne d’Ercole e morte di Ulisse (ciò che differenzia il personaggio dantesco dall’Ulisse omerico), adducendo numerosi riscontri tra il testo dantesco e i testi letterari medievali7, in particolare con l’Alessandreide di Gualtiero di Châtillon e El libro de Alexandre, quest’ultimo, secondo Avalle, quasi sicuramente non conosciuto da Dante, ma rispetto al quale vi sono sorprendenti coincidenze verbali. Oltre alla ripresa l’antico topos narrativo del superamento delle Colonne D’Ercole, vi sono altre rilevanti analogie nella descrizione della dismisura di Alessandro, che come vedremo, è intrinseca al personaggio dantesco. Al di là degli aspetti filologico-letterari, indubbiamente interessanti, il lato alessandrino di Ulisse, per così dire, ha significato ulteriore se collocato nella teologia della storia dantesca, se riferito a quel passo della Monarchia in cui si afferma la non provvidenzialità del tentativo alessandrino di conquistare il mondo che aveva dovuto cedere il passo ai romani. Non solo i viaggi marittimi, e in generale la rinascita e l’espansione dei commerci nel Mediterraneo, stavano avendo un profondo impatto sulla cultura cristiana medievale. Non è da sottovalutare l’impatto sul piano culturale della riscoperta della cultura greca. Per questo, la grecità di Ulisse ha un suo significato.

Ulisse modernissimo precursore dei viaggi marittimi oppure Ulisse sosia di Alessandro Magno? Già l’eroe omerico è politropo, e in diversi e contrastanti modi l’avevano interpretato Virgilio, Orazio, Cicerone, Stazio. Dai classici Dante avrà tratto l’abilità ingannatrice di Ulisse nell’assumere diversi volti, intanto è da sottolineare la compresenza in esso di nuovo e antico.

Se per Orazio Ulisse è «simbolo di ciò che possono virtù e saggezza»8, più articolato è il giudizio di Cicerone9: dell’ardore di conoscenza, dote naturale dell’essere umano, fu espressione Ulisse, ma in lui tale passione fu superiore all’amore per la patria, per cui il desiderio di conoscere ogni cosa, e non ciò che davvero conta, diventava mera curiositas. Giorgio Padoan nel suo saggio Il saggio Enea e l’empio Ulisse osserva che per la contrapposizione fra Enea e Ulisse nel complesso la cultura romana considerava negativamente l’eroe greco, e parimenti Dante riprende nel Canto tale contrapposizione: il viaggio del primo si conclude nella fondazione di una patria, il secondo nel naufragio. Padoan, ritrova nell’Achilleide di Stazio maggiormente che nell’Eneide, la descrizione delle capacità retoriche, l’abilità ingannatrice attraverso il discorso di Ulisse: «Anche questa volta, come sempre, Ulisse ha detto le verità più sacrosante e solenni per indurre ad un’azione non giusta»10. Però in questo caso Ulisse, oltre a ingannare i compagni, avrebbe ingannato se stesso, quindi in qualche modo sarebbe un inganno non consapevole, quindi non un vero e proprio inganno. Ma non v’è dubbio sulla condanna di Dante, nonostante che la «lettura prometeica» abbia voluto rovesciare il giudizio dantesco. Il prometeismo  di De Sanctis e Croce, in Bruno Nardi, il più grande studioso di Dante, diventava decadentismo luciferino, a detta del suo avversario teorico Mario Fubini, con allusione alle convinzioni filosofiche-politiche di Nardi. Fubini era pur tra coloro che intendevano assolvere Ulisse, ma più pacatamente, «senza porlo in contrasto con l’orizzonte etico-religioso della Commedia»11. Costanzo Preve con le parole di Bobby Solo sunteggiava un certo heideggerismo quale ideologia della depressione europea, oggi che «non c’è più niente da fare, è stato bello sognare», non c’è più spazio per gli slanci prometeici dopo la fine della centralità europea, dopo guerre mondiali, bombe atomiche, crollo della «fede nel progresso», fallimento delle principali ideologie. Del prometeismo otto-noventesco è rimasta solo l’immagine generica e senza precisi contorni di un «Ulisse eroe della scienza», diventata quasi luogo comune, che è esattamente il contrario di quanto voleva dirci Dante con il suo Ulisse.

Certo, la lettura prometeica faceva violenza al personaggio dantesco, ma Dante gli aveva pur messo in bocca le sue più profonde convinzioni. Essa ha avuto se non altro il merito di promuovere una lettura più complessa rispetto all’attestazione della pura e semplice condanna da parte di Dante (come per altri personaggi, ad es. De Sanctis si interessò maggiormente a Francesca). Lo stesso Padoan riconosce che si tratta di uno dei personaggi «particolari» dell’Inferno, ovvero quei personaggi come Francesca o Farinata verso i quali Dante mostra un’affezione particolare, nonostante la condanna.

Per quanto riguarda Ulisse quale incarnazione della curiositas, che da Cicerone passava per la squalifica cristiana della conoscenza meramente terrena, essa è pur presente nel Canto come indicato dalla forte curiosità espressa da Dante personaggio della Commedia nel voler sapere di Ulisse. Tuttavia è piuttosto riduttivo liquidare Ulisse quale incarnazione della sola curiositasexemplum negativo rispetto a chi come Enea aveva in mente solo Dio, Patria, Famiglia. Dante condanna la curiositas quando è fine a sé stessa, ma di per sé la curiosità fa parte del desiderio naturale di conoscenza, che non condanna affatto, che anzi in quanto dotazione naturale ha una sua ragion d’essere («la natura non fa nulla invano», ripete nel Convivio, con Aristotele). La curiosità, o il desiderio naturale di conoscere fa parte dell’essere umano, ma può avere effetti diversi e opposti, secondo come viene indirizzata.

Il desiderio naturale di sapere ci conduce al tema centrale del Canto: la conoscenza. Ulisse ha il doppio volto della vita attiva e della vita contemplativa. La prima, in quanto incarna il navigatore, scopritore e conquistatore, la seconda in quanto incarna il desiderio naturale che può trasformarsi in cupidigia di conoscenza. Due volti di un’unica prassi umana, in quanto si contempla in vista dell’agire (Monarchia I, 3, 4). Il principio vale anche per Ulisse, nonostante trapasserà il segno, sia nell’azione che nella conoscenza.

Dicevamo, Ulisse è allo stesso tempo moderno e antico, e in quanto tale è espressione di quella cultura greca, la cui riscoperta a partire dalla prime traduzioni dei testi di Aristotele stava avendo un impatto profondo sulla cultura a lui contemporanea e a Dante stesso, ma vista, allo stesso tempo, con gli occhi di Virgilio, il quale nel noto passo del’Eneide (VI, 847-850), pur lodando le capacità artistiche e l’arte oratoria dei Greci, ricorda che il talento dei romani dovrà essere quello del governo dei popoli. Ciò rispecchia il giudizio ambivalente dei romani nei confronti dei greci, della cui civiltà furono allo stesso tempo vincitori e realizzatori (Graecia capta ferum victorem cepit), dato il disfacimento prematuro della civiltà greca, seguito all’imperial overstretch di Alessandro Magno. Solo con le arti dello spergiuro e ingannatore Sinone i Greci riuscirono a vincere Troia (Eneide, II). A sua volta condannato da Dante tra i falsari di parola (erno, XXX) «Secondo il τόπος letterario diffusissimo sin dalla latinità: i Greci sono gente superba, crudele e nefanda (cfr. Inferno, XXVIII, 84)»12.

Ricordiamo, ci deve essere rapporto tra l’invettiva contro Firenze e il resto del canto. Firenze che «per mare e per terra batte l’ali» ci rimanda al folle vole di Ulisse, contrapposti al volo dell’Aquila descritto nel paradiso. Per Dante la storia è stata segnata dal peccato di Adamo, risanato dalla morte di Cristo, e per questo fu provvidenziale l’Impero romano, la cui affermazione, nella ordalia dei popoli per il dominio mondiale, fu espressione del volere divino, in quanto lì doveva nascere Gesù e lì essere ucciso per rimediare al peccato originale. O, diremmo, metterci una pezza (se il termine non suonasse irrispettoso), poiché il sacrificio di Cristo, a causa della natura umana che restava corrotta, fu presto infirmato involontariamente da Costantino che con la sua donazione riportò il disordine nel mondo, dando il potere temporale alla Chiesa, provocando una confusione tra potere temporale e potere religioso che fu l’origine dei mali successivi.

Dante cerca di comprendere il suo tempo attraverso categorie teologiche e mitologiche (anch’esse sono una forma di sapere), ad es. la lettura dell’Eneide come storia vera, comune ai suoi tempi. Nonostante l’allora limitata conoscenza dell’antichità, Dante aveva un robusto senso della storia. Avvertiva (e a ragione, con il senno di poi) di vivere un’epoca nuova e cercava di decifrarla all’interno di una idea complessiva della storia, con le categorie che aveva a disposizione. È significativa l’associazione tra Firenze e Ulisse (quale simbolo della cultura greca, la grecità di Ulisse è rimarcata da Virgilio). Essa implicava che Firenze, e l’Italia comunale, fosse segnata dal disfavore della Provvidenza come la Grecia di Alessandro, il qual era stato ad un passo dalla conquista della monarchia universale ma aveva dovuto cedere il passo a Roma (Monarchia, II, 8). La non provvidenzialità di Firenze e dei comuni italiani era attestata dal prevalere della cupida avidità di ricchezze che avevano distrutto l’armonia sociale della Firenze dell’avo Cacciaguida. Il giudizio si estendeva all’intera civiltà comunale italiana. e ai suoi ferocissimi e incomponibili odi tra città e fazioni all’interno delle città, di cui il Conte Ugolino è indimenticabile rappresentazione, fino alle lotte di potere tra papato e impero, dovute alla cupidigia dei papi . Dante riserva a Firenze le migliori invettive, ma non scherzano neanche quelle rivolte alle altre città. Firenze era con-dannata e con lei l’intera civiltà comunale.

Vi deve essere un rapporto tra la condanna di Ulisse e la condanna di Firenze. L’orazion picciola di Ulisse è solo un utilizzo fraudolentemente retorico di un ideale sacrosanto, come sostiene Padoan? «Alle parole di un greco non è da prestar fiducia (“timeo Danaos et dona ferentis… ”): presteremo fiducia a quelle di Ulisse, quando sappiamo che dietro il suo discorso può celarsi il sorriso dolcissimo di Gerione?»13. Greco era anche Aristotele, e l’orazion picciola, chiama in causa lo stesso Aristotele, come vedremo tra un po’, ma basti per ora ricordare l’inizio del Convivio che richiama l’inizio della Metafisica: «Sì come dice lo Filosofo nel principio de la Prima Filosofia, tutti li uomini naturalmente desiderano di sapere».

Come sappiamo la ragione senza la fede non è un viatico sufficiente per il cammino verso la salvezza, per questo Aristotele è nel sommo del Limbo e per questo Virgilio deve cedere il passo a Beatrice. L’insufficienza della ragione aristotelica però non implica una condanna (una negazione, in termini filosofici) come vorrebbe la sua associazione con Ulisse.

In che misura il discorso di Ulisse riguarda lo stesso Aristotele?
Poiché tale questione nella critica dantesca è pochissimo affrontata, per quanto io ne so, ho dovuto tentare personalmente una risposta. Solo Maria Corti affronta incidentalmente il problema, e Massimo Cacciari vi accenna in una conferenza, sostenendo che Ulisse incarna l’Aristotele physicus, senza l’Etica e la Politica, cioè l’averroismo.

Con Ulisse Dante prende le distanze dalla filosofia del Convivio. Secondo Cicerone le sirene attraevano i viaggiatori con la promessa di conoscenza14. Una «serena» di queste aveva già svelato in sogno a Dante in tutta la sua laidezza (Purgatorio, XIX). Beatrice al loro (re)incontro (Purgatorio, XXX e XXXI) muove a Dante, con dure parole, il rimprovero di non aver resistito in gioventù al canto delle sirene. Nella reprimenda iniziata nel canto precedente, non rivolgendosi di persona a Dante, Beatrice gli riconosce la grazia divina dell’ingegno che ha avuto in dono da Dio, ma è sprecato se virtù nol guida, si finisce per seguire false immagini di bene (Pur. XXX). Ben a ragione Dante doveva quindi «raffrenar l’ingegno» prima di incontrare Ulisse. Infine, Beatrice fa molto cristianamente sentire in colpa Dante, ricordando che lei si è recata fino all’inferno per poterlo salvare (ma si direbbe quasi che sia morta proprio per poi effettuare questo salvataggio), ma lui invece non appena morta, si diede altrui, ovvero alla donna gentile della Vita nuova, la Filosofia.

Se teniamo presente, in base a quanto sopra, che consapevolmente Dante rappresenta in Ulisse una parte di se stesso, possiamo apprezzare la sublime ironia con cui Dante insiste sulla sua stessa curiosità nei confronti di Ulisse. È la stessa ironia a cui tutti siamo inclini verso i comportamenti giovanili da scavezzacollo (per la curiosità Dante si protende verso le figure fiammeggianti giù nella valle e rischia di cascare giù dal costone di roccia dove è giunto con Virgilio), rafforzata dall’insistenza fanciullesca nel voler parlare ad Ulisse, ed espressa fanciullescamente nei confronti di Virgilio (Maestro, assai ten priego/. E ripriego, che il priego vaglia mille»). E curiosi sono soprattutto i fanciulli per Cicerone15. Pericolo filosofico quello in cui incorre(va) Dante, ma con rischi non meno gravi del rompersi l’osso del collo, poiché, quando si intraprende un viaggio di conoscenza, il rischio è di smarrirsi (nella selva), finire nella follia, e incorrere nella rovina individuale. O, per dirlo con metafora nautica, perdere la rotta e affondare, come Ulisse. È un’ironia che possiamo permetterci solo quando siamo certi di esser usciti fuor dal pelago a la riva.

Di preciso cosa Dante del Convivio riteneva fosse frutto degli «errori di gioventù»?

Maria Corti, con l’espressione «felicità mentale» indicava la riscoperta dell’ideale dell’eudemonismo intellettuale aristotelico, la conoscenza quale ideale di vita che nella contemplazione raggiungeva il suo compimento e felicità ultima. In seguito alla diffusione della filosofia araba, alla riscoperta e traduzione dei testi aristotelici nel XIII secolo, e alla nascita delle prime università a Parigi, Bologna e Oxford, nasceva una cultura «laica» (cioè esterna all’ambito delle istituzioni religiose) centrata sulla ripresa dell’eudemonismo intellettuale aristotelico. Questa filosofia fu frequentata in gioventù da Dante, insieme al suo «primo amico». Un’indicazione di questi rapporti veniva dalla scoperta della dedica a Cavalcanti in una delle copie della Quaestio de Felicitate di Giacomo da Pistoia.

L’ideale della «vita contemplativa» è condiviso da Dante nel Convivio (esordio):

«la scienza è ultima perfezione de la nostra anima, ne la quale sta la nostra ultima felicitade, tutti naturalmente al suo desiderio semo subietti».

Cavalcanti, o la sua ombra, turba la coscienza di Dante, ritorna in tutta la Commedia, come scrisse Gianfranco Contini e come ha scritto più recentemente Enrico Malato. Come Ulisse, aggiungerei. Se è vero che Donna me prega è una raffinata «polemica non dichiarata»16 nei confronti di Dante, quando Guido si dichiara «fuor d’ogni fraude», possiamo immaginare a chi alludesse. Solo nel discorso di Ulisse nella Commedia troviamo il termine «canoscenza»17, utilizzato, a sua volta, da Cavalcanti nella canzone suddetta. Se questo solo termine può sembrare indizio insufficiente per scorgere ora in Ulisse il volto di Cavalcanti, si tenga presente che un analogo calco dei versi cavalcantiani è in Purgatorio XXV riguardo il «possibile intelletto», concetto strettamente connesso al contenuto dell’orazion picciola. La condanna per frode di Ulisse vuol dire ritorcere all’accusante l’accusa di frode18. Dunque l’orazion picciola sarebbe frode? La questione è complessa.

L’interpretazione di Nardi ascriveva la canzone Donna me prega a quell’averroismo radicale non dissimile all’epicureismo di coloro che «l’anima col corpo morta fanno». Boccaccio narrava nel Decamerone che Guido «alquanto tenea dell’oppinione degli epicuri, si diceva tra la gente volgare che queste sue speculazioni erano solo in cercare se trovar si potesse che Iddio non fosse »,. Per epicureismo, di cui è condannato Cavalcante padre, era da intendersi più che altro la negazione del dogma dell’immortalità dell’anima, in quanto « la dottrina averroistica coincideva in pratica coll’opinione d’Epicuro esso è per logica conseguenza una sostanza separata e unica per tutti gli uomini, non è più possibile parlare di sopravvivenza dell’anima individuale; individuale è certamente l’anima sensitiva, che sola è forma e perfezione del corpo; ma essa muore col corpo»19. La canzone è volutamente enigmatica, alcuni versi non sono chiarissimi tuttora neanche agli specialisti, tuttavia ciò che conta per noi è ciò che ne pensava Dante, non per la comprensione della poesia cavalcantiana, ma per la comprensione di Cavalcanti quale personaggio ombra nella Commedia, che non deve necessariamente coincidere con il personaggio reale. Cavalcanti padre è condannato nel girone degli epicurei e degli eretici, ed è abbastanza ovvio che ci sia in vece del figlio, in ogni caso, alla sua domanda perché suo figlio Guido, pari a lui per ingegno, non fosse con lui, Dante risponde «qui mi mena/forse cui Guido vostro ebbe a disdegno», cioè Beatrice20, ovvero la patrocinatrice del viaggio salvifico e simbolo della fede.

L’analisi del canto di Ulisse è uno snodo centrale nell’indagine della Corti, poiché proprio Ulisse veniva ad incarnare nei famosi versi l’ideale della «felicità mentale», in tal modo Ulisse veniva associato con l’averroismo di Cavalcanti, soprattutto per la canzone Donna me prega, ma insieme ad esso i magistri artium bolognesi, con la scoperta della dedica a Cavalcanti della Quaestio de felicitate di Giacomo da Pistoia, e con Boezio di Dacia, esponente di primo piagno dell’averroismo e aristotelismo parigino. «Cosí Dante, nel condannare una certa posizione di pensiero, ne immortala l’esistenza e il messaggio, trasformando gli intellettuali stessi in auctoritates parlanti per bocca di Ulisse»21. Ma in che misura la condanna riguardava lo stesso Aristotele?

Sorprendente è il modo in cui la Corti espone la sua interpretazione dei famosi versi:

Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza

«Ma questo è Aristotele bell’e buono nell’Etica Nicomachea: il paragone con l’animal brutum, il suggerimento della operatio boni e della cognitio veri.» Nella pagina successiva, tuttavia, ci chiarisce che abbiamo capito male, no, non è Aristotele, bensì è «con gli enunciati dell’aristotelismo radicale che Ulisse arringa i suoi, non con il puro Aristotele»22. In merito rimanda alla Questio 5 dei Modi significandi di Boezio da Dacia, esponente di rilievo dell’aristotelismo radicale. Ma lo stesso concetto enunciato con le stesse parole ritorna nel De summo bono, che ugualmente Dante conosceva secondo la Corti. Secondo Tullio Gregory «la delineazione della vita philosophi nel De summo bono di Boezio di Dacia rappresenta in modo esemplare la ripresa dell’antico ideale del βίος θεωρητικός»23. E allora, forse, ci dobbiamo ricredere di nuovo, l’orazion picciola potrebbe riguardare lo stesso Aristotele, cosa oltremodo sorprendente, e difficile da credere, poiché, come scrive la Corti, Aristotele è l’autore più lodato da Dante.

L’analisi della Corti ruota intorno al raffronto tra Dante e Cavalcanti, che partiva dall’analisi di Nardi relativa all’averroismo del primo amico, estendendosi poi all’aristotelismo radicale, che veniva a confondersi con l’averroismo dei magistri parigini e bolognesi. Indagini più recenti, quali quelle raccolte nel volume Le felicità nel medioevo, hanno distinto tra l’averroismo e la filosofia dei magistri più prossima all’aristotelismo.

Gianfranco Fioravanti nel volume Le felicità nel medioevo riconosce la fecondità del concetto di «felicità mentale», «un’intuizione geniale (per paradosso tanto più geniale in quanto non sempre sostenuta da analisi e raffronti testuali pienamente convincenti)»24, che aveva poi suscitato tutto un filone di studi successivi. Fioravanti apporta però alcune distinzioni tra la filosofia dei magistri artium e l’averroismo, soprattutto per quanto riguarda la «congiunzione con le sostanze separate, ossia come piena attuazione dell’intelletto possibile da parte dell’intelletto agente, secondo la tesi attribuita ad Averroè dai suoi lettori latini del XIII secolo»25. Fioravanti osserva, «è proprio vero che il progetto dei philosophi parigini è indissolubilmente legato alla dottrina, o alla favola, della copulatio con le intelligenze separate? Il De summo bono, ad esempio non vi fa il minimo accenno; l’unica conoscenza delle cause più alte di cui si parla è una conoscenza che procede dagli enti naturali, cioè, come afferma chiaramente il testo, dagli effetti». Quanto a Sigieri, «il filosofo brabantino riconosce i limiti della conoscenza umana quando essa, a partire dalla esperienza degli enti finiti, vuole estendere le sue affermazioni alla natura ed al modo di agire del Principio Primo»26. Luca Bianchi, in un saggio contenuto nel suddetto volume, mentre ritiene vi sia una maggiore vicinanza di Sigieri ad Averroè, ritiene invece assente l’averroismo di Boezio di Dacia, dato finora per scontato. Sempre nello stesso volume, per Irene Zavattero la Quaestio de Felicitate di Giacomo da Pistoia «per la formulazione della teoria della “suprema felicità umana”, attinge soprattutto al pensiero etico aristotelico» 27. In breve, ai tempi di Dante esistevano varie forme di «felicità mentali» e vi era una differenza significativa tra l’averroismo e la filosofia dei philosophi più prossima all’aristotelismo.

Questioni a cui fa riferimento Paolo Falzone nel suo lavoro dedicato principalmente al Convivio28, e in particolare al «forte dubitare» di Dante riguardo la «scienza che qui avere si può». Può essa rendere felici visto che non può attingere ad una conoscenza diretta di Dio? Per quale motivo la natura ci avrebbe dotati di questo desiderio di conoscere se ine non possiamo conoscere Dio attraverso le nostre capacità naturali?

Secondo Falzone la soluzione di Dante, non è un’uscita «inattesa» dal problema (come ebbe a dire Étienne Gilson in Dante e la filosofia), piuttosto frutto di un ragionamento svolto con rigorosa conseguenza logica e che essa non fosse solo di Dante, ma diffusa tra i philosophi, a riprova di ciò apporta la descrizione che ne faceva Enrico di Gand che in un passo «tratteggia e riassume la tesi dei philosophi»:

«Philosophi vero ponentes finem humanae cognitionis ex puns naturalibus haberi et in vita ista ex cognitione scientiarum speculativarum et primorum principiorum quantum homini possibile est, et quod in modica cognitione divinorum consistit eius summa perfectio et delectatio, licet non possit attingere ad quidditates substantiarum separatarum et eorum quae apud illas sunt, dicerent quod homo nullum appetitum haberet sciendi illa, ex quo ex suis naturalibus ad ea pervenire non posset, ne ille appetitus esset frustra»29.

L’assenza di brama verso la conoscenza quidditativa della sostanze separate può indurre in errore nella somiglianza con l’argomentazione di Dante, ma c’è un punto decisivo che distingue Dante dai philosophi (secondo la descrizione di quest’ultimi di Enrico de Gand), la soluzione di Dante esclude anche una modica cognitione divinorum in ambito filosofico:

Onde, con ciò sia cosa che conoscere di Dio, e di certe altre cose, quello esso è, non sia possibile alla nostra natura, quello da noi naturalmente non è desiderato di sapere. E per questo è la dubitazione soluta.

Le tesi dei philosophi (con «philosophi, ossia, dobbiamo supporre, ai magistri della Facultas artium»30) sono solo in parte simili a quelle di Dante, il quale si differenzia anche dai filosofi più strettamente aristotelici, escludendo dalla filosofia anche una limitata conoscenza di Dio, luogo di un sapere esclusivamente terreno. È quanto rende effettivamente «radicale» la «soluzione» dantesca. Concordo con la definizione di Falzone, solo che è una posizione propria di Dante, diversa da quella dei philosophi.

Sostenendo che l’essere umano non può accontentarsi di «un po’ di Dio» in questa vita, Tommaso fonda la subordinazione della filosofia alla fede, in quanto esisterebbe un desiderio naturale, insito all’essere umano, di andare sempre oltre nella conoscenza che ci spinge verso l’infinito a conoscere Dio, ma tale desiderio può compiersi solo nell’altra vita e per mezzo della fede. Per Dante invece esso non fa parte della sfera naturale dell’essere umano, ma di quella soprannaturale, porlo nella sfera della conoscenza naturale vuol dire assimilare la conoscenza a quella dell’avaro che mira al «numero impossibile a giugnere». Sebbene non citato da Dante nel passo in questione, come osserva Nardi di fatto la concezione di Tommaso viene ad essere simile a quella dell’avaro descritta nel Convivio31. Ritorneremo sulla questione, importante per la definizione del concetto dantesco di cupidigia, ci basti questo per ora intendere perché in ambito filosofico è esclusa anche una conoscenza limitata di Dio, posizione che poi porterà alla netta separazione tra filosofia e fede della Monarchia.

La suddetta «soluzione» dantesca, secondo Falzone, è un «radicale naturalismo», una filosofia «assai più temibile per la fede cristiana di quanto non lo sia quella di Averroè»32. In effetti, il modo in cui Dante esce dall’impasse relativo all’inconoscibilità razionale di Dio poteva esitare in qualcosa di simile all’ateismo, ma era una strada che Dante non intendeva certo percorrere, anzi, oserei dire, a lui mentalmente preclusa. Non è da escludere che l’aver collocato Cavalcante padre, ed è ovvio che il giudizio si estendeva al figlio, poteva anche essere una netta presa di distanza, per evitare che si estendessero a Dante stesso le dicerie su Cavalcanti, riportate da Boccaccio, il quale si presume non se le fosse inventate di sana pianta, ma che fossero ancora diffuse ai tempi del Decamerone. Dante intendeva restare all’interno del cristianesimo (ma profondamente rinnovato dal suo viaggio profetico). Inoltre, l’ideale della vita contemplativa filosofica sfociava spesso un impolitico elitarismo, al limite del classismo, nel senso di una differenza ontologica tra filosofi autenticamente uomini in mezzo ai «bruti»33. Invece, nel cristianesimo tale frattura ontologica era assente. Un riflesso della preoccupazione di evitare le derive elitarie dell’eudemonismo intellettuale potrebbe essere il preciso elenco all’inizio del Convivio dei diversi ostacoli materiali alla formazione intellettuale.

Sebbene per il Dante del Convivio la «donna gentile» sia un’unione di fede e filosofia, e per quanto non metta ancora in discussione la preminenza della vita contemplativa, già si fa viva l’imprescindibile esigenza politica di Dante della fine del potere temporale dei papi, e della separazione tra potere temporale e potere spirituale, che porterà alla separazione tra fede e filosofia.

Anche Ulisse deve la sua ri-nascita ai dubbi in cui si dibatteva Dante, non meno radicale è il suo significato, come vedremo, ma in un senso più complesso di un diretto ateismo che lo conduceva fuori dal cristianesimo e dalla cultura del suo tempo.

Il trapassar del segno di Ulisse è oltrepassamento dei limiti della conoscenza umana, che invece doveva limitarsi in filosofia ad un ambito terreno (almeno nel tentativo di uscire dalle difficoltà in cui era incorso, per il resto nel Convivio vige l’unione di filosofia e fede). Il naturalismo del Convivio lo ritroviamo nella narrazione della vicenda di Ulisse. Come ben scrive Gennaro Sasso: «”Volta” la “poppa nel mattino”, dato ai remi l’impulso necessario al “folle volo”, protagonista assoluta fu, nella sua nuova e indecifrabile oggettività, la natura. Fu la forza che spinse la nave verso sinistra, nella direzione di sud-ovest. Furono le stelle rivelate dall’emergere dell’altro polo, mentre il nostro si inabissava tanto “che non sorgea fuor del marin suolo” (v. 129). Fu la luna che, accesasi cinque volte nel cielo, e altrettante spentasi, scandì, con i suoi tempi, le fasi della fatale navigazione. Fu la montagna “bruna” che, con il “turbo” che all’improvviso ne nacque, provocò, come “altrui piacque”, il tragico naufragio»34.

Una stretta identificazione di Ulisse con Boezio di Dacia, o con Cavalcanti, è restrittiva per una figura di portata universale come Ulisse. Infine è sempre  Bruno Nardi che ci restituisce l’ampiezza della visione dantesca, nel suo magnifico saggio Dante e la filosofia35. La conoscenza umana secondo Aristotele è partecipazione alla Divina Sapienza, attraverso di essa l’essere umano si avvicina a Dio, nei limiti delle sue possibilità. Un concetto che risale a Platone36 ma comune anche alla cultura biblica, compresa quella araba e cristiana, fino ad Agostino e Tommaso. In merito, cultura pagana e cultura cristiana non erano in contrapposizione. Grazie a questo «misticismo» (Nardi) che accomuna Platone e Aristotele ad Agostino e Tommaso era sempre possibile subordinare la filosofia alla fede.

E Ulisse è l’uomo che dimentico dei propri limiti umani «trapassa il segno» e vuole assimilarsi a Dio, qualificandosi come continuatore del «primo parente».

Il canto di Ulisse è il momento della negazione, è il momento del rifiuto di un’intera cultura nella quale Dante si era formato in gioventù. Come osserva Enrico Fenzi37, nell’incontro con Brunetto Latini Dante sancisce il fallimento del maestro nella formazione intellettuale di una nuova classe dirigente a Firenze. Nel Canto di Ulisse, che inizia con l’invettiva ultima e lapidaria contro Firenze, abbiamo la rottura finale con una cultura condivisa da Dante stesso, pur già con molte differenziazioni, ai tempi del Convivio.

La radicalità con cui Dante condannava la civiltà del suo tempo, ricordiamo che è un canto in cui si preconizza la distruzione di Firenze, trapassa nella radicalità della critica della cultura del suo tempo. Ulisse è figura della perdita del senso del limite umano, e dell’illusione di un completo padroneggiamento dell’uomo sul mondo attraverso il suo indiarsi.

Tuttavia Ulisse è una figura di passaggio, appartiene al momento della negazione. La condanna di Ulisse-Aristotele è un passaggio verso la separazione tra la filosofia e fede. La prima è fondamento del potere temporale, mentre la secondo riguarda l’ambito della salvezza individuale. Tale separazione assumerà forma definitiva nella Monarchia, ma il punto di partenza è nel Convivio. Alla conoscenza di Dio non si arrivava attraverso la ragione, ma attraverso la fede, mentre la ragione ha un ambito suo proprio e serve da fondamento alla felicità terrena, al cui ordinamento è preposto l’imperatore, per questo l’ideale della vita contemplativa viene condannato (negato) da Dante, in quanto commistione di fede e ragione che devono andare separate.

Sulla datazione della Monarchia, di stretta pertinenza della filologia, non posso che esprimere un’opinione, attenendomi alle questioni relative alla figura di Ulisse, è più coerente una datazione della Monarchia contemporanea o successiva alla composizione del Paradiso38. La Commedia è sembrata a tanti commentatori un ritorno ad un cristianesimo più ortodosso rispetto al Convivio perché , soprattutto l’Inferno, e in particolare il «canto di Ulisse», sono il momento della negazione. Più coerente pare l’evoluzione del pensiero dantesco se la guardiamo attraverso il modello tesi-antitesi-sintesi. Abbiamo una tesi: priorità della vita contemplativa in cui si compendiava la rinascente cultura filosofica del suo tempo. Essa viene negata attraverso la figura di Ulisse. Dopo la negazione abbiamo un movimento verso la sintesi nel Paradiso, con l’«enigmatica» presenza di Sigieri tra i Sapienti del Cielo del Sole, in vece di Averroè (sarebbe stato un po’ troppo collocarci direttamente il filosofo arabo) La lode di Sigieri fatta pronunciare da Tommaso che fu suo avversario in vita significa la conciliazione immaginaria tra contrari, ovvero intelletto possibile congiunto all’anima individuale, senza quindi negazione dell’immortalità dell’anima. Alla negazione seguirà la sintesi compiuta nella Monarchia, dove la teoria averroistica è il fondamento dell’autonomia del potere imperiale che deve realizzare la felicità terrena, creando le condizioni per il massimo dispiegamento dell’intelletto possibile, la realizzazione dell’umanità dell’essere umano. La filosofia (i philosophica documenta) è il fondamento della felicità su questa terra pertinenza del potere temporale autonomo dal potere religioso. Non a caso la Monarchia è stata opera messa all’indice dalla Chiesa Cattolica fino alla fine dell’Ottocento.

Nella Monarchia la teoria aristotelica viene recuperata, attraverso la decisiva chiarificazione del «gran commento» di Averroè, quale fondamento del potere temporale che nell’unità del genere umano deve realizzare la massima potenzialità dell’intelletto possibile. La realizzazione dell’umanità dell’uomo è un compito collettivo. Ciò riguarda la stessa teoria aristotelica, in quanto se ciò che è specifico dell’uomo è l’intelletto possibile, categoria irriducibilmente collettiva, l’essere umano può realizzare la sua umanità soltanto collettivamente, mentre l’ideale della vita contemplativa è un ideale individuale.

La Monarchia, frutto di un intero percorso, segna la storia del pensiero politico. Come scrive Giorgio Agamben, «Per questo la filosofia politica moderna non comincia col pensiero classico, che aveva fatto della contemplazione, del bios theoreticos, un’attività separata e solitaria (“esilio di un solo presso un solo”), ma solo con l’averroismo, cioè col pensiero dell’unico intelletto possibile comune a tutti gli uomini, e, segnatamente, nel punto in cui Dante, nel De monarchia, afferma l’inerire di una multitudo alla stessa potenza del pensiero»39.

La Monarchia presenta un’interessante e ancora attuale dialettica tra contemplazione e azione. Si contempla in vista dell’agire40. Teoria e azione sono solo momenti di un’unica prassi umana. Qualsiasi azione deve avere una cognizione dell’oggetto su cui vuole applicarsi. La contraddizione irrisolta in Aristotele tra vita contemplativa e vita attiva, riguarda, inoltre la contraddizione tra individuo e società, propria della condizione umana, che quando si trasforma in polarizzazione denota sempre un grave problema. Ulisse è espressione della polarizzazione individuale in cui può esitare l’esigenza insopprimibile di un’esistenza pienamente umana. Quando diventa impresa esclusivamente individuale, proprio in virtù della sua forza porta l’individuo in contrapposizione con i suoi doveri di essere umano appartenente alla società e quindi alla perdizione e alla dannazione.

Fatti non foste a vivere come bruti, d’accordo, ma come, nella sua vita, possiamo realizzare la nostra umanità, e non piuttosto ricadere in una forma di vita più simile quella delle bestie? La frode non è nell’esortazione a vivere da esseri umani, ma piuttosto nell’incapacità della filosofia di Ulisse di conseguire questo obiettivo, principalmente per il fatto che lo intende come un obiettivo personale. Considerato in termini non religiosi, il tema della salvezza investe l’essenza stessa dell’essere uomini, come può l’essere umano non smarrirsi nella vita? Realizzando la sua umanità, realizzando ciò che specificamente lo rende uomo, distinguendosi dall’animal brutum. Ma la conoscenza, capacità specifica dell’essere umano, è un’impresa collettiva, grande o piccolo che sia il contributo individuale, esso è sempre subordinato alla conoscenza collettiva che sopravvive all’individuo, basti pensare alla lingua attraverso cui accediamo al sapere collettivo che sopravvive all’individuo («intelletto possibile»). Ulisse ha smarrito la finalità terrena e umana del conoscere, che è un’impresa collettiva dell’essere umano in quanto essere sociale. A differenza di Enea egli non è alla ricerca di una terra in cui insediarsi e farne la sua patria, egli persegue un fine puramente personale («misi me per l’alto mare aperto e i suoi compagni sono strumento per questo suo fine, diventano tutt’uno con i remi fatti ali al folle volo41.

Molto interessante, dal punto di vista della storia del pensiero politico, è la tesi di Nardi42, secondo cui nella Monarchia attraverso il concetto averroistico di intelletto possibile abbiamo il recuperò della concezione comunitaria aristotelica (l’uomo come zoon politikon) in una società segnata dal peccato originale. Mi permetto di intrepretare in termini di sociologia storica. La comunità della polis, non ancora attraversata, almeno tra coloro che erano cittadini, da uno strutturale conflitto interno, poteva ancora postulare l’unità naturale tra i suoi componenti (l’uomo come zoon politikon, ma si dimentica sempre che tale uomo era il cittadino della polis). È rotta, invece, tale unità naturale, in una società più complessa, più articolata, differenziata e attraversata dai conflitti interni come era quella romana, anche nella fase conclusiva in cui visse Agostino. Il peccato originale agostiniano, e connessa necessità dello Stato, corrisponde maggiormente a questo secondo tipo di società, supper in termini mitico-religiosi. In fondo, cosa indica il mito del peccato originale, l’inevitabilità del male, cioè del conflitto tra gli uomini. La necessità della Monarchia, con a capo il monarca in cui si spengono tutti i conflitti interni, per Dante deriva dalla presenza della cupidigia, che, come vedremo, è una sorta di riedizione del peccato originale. La realizzazione della massima potenzialità dell’«intelletto possibile» è il recupero di un fine unitario nella «società di classe», se volessimo dirlo in termini moderni.

La Monarchia testimonia che Dante non abbandonerà l’ideale di una felicità terrena, di una vita pienamente umana espresso dai famosi versi, né dirà con Tommaso che è possibile realizzarlo solo nell’al di là. Certo, nell’ottica di tutto uno sviluppo del pensiero politico successivo potremmo dire che la Monarchia è segnata da un universalismo utopico, che è un’uscita utopica dalla strada senza uscita in cui si era cacciata la civiltà comunale italiana, e volendo possiamo considerare il passaggio dall’individualismo del bios therotikos all’universalismo della monarchia universale come segnato dalla furia del dileguare hegeliano nel suo capovolgimento dell’individualismo in universalismo. Tuttavia è epocale il contributo di Dante all’adeguamento e allo sviluppo del pensiero politico classico aristotelico ad una società complessa. Il fine di una vita pienamente umana viene recuperato come fine collettivo, e a ragione, poiché in quanto fine esclusivamente individuale esso non può che condurre allo scacco individuale, simboleggiato dal destino di Ulisse.

È sempre e solo questo il fine: realizzare una vita degna dell’essere umano, tanto sul piano individuale che collettivo. Bisogna ricordarlo, proprio oggi che pare smarrita ogni finalità autenticamente politica, ognuno perso nella sua «bolla individuale» scientemente gonfiata da chi manovra i «social», quando sembra una lontana illusione ogni idea di una vita autenticamente umana, ogni idea di riacquisire un controllo sull’immenso Apparato creato pur sempre dall’attività umana, quando lo smarrimento collettivo è sinistro preludio a qualche nuova tragedia che ci riserva l’Inferno del Capitale,

Già quanto detto può dare un’idea della radicalità del simbolo dantesco, che riguarda le radici della nostra cultura, ma ne potremo mostrare tutta l’ampiezza estendendo, nella prossima parte, il discorso al rapporto dell’Ulisse dantesco con la cupidigia, che la fa da padrone nell’inferno del capitale (Non a caso Marx fu un grande estimatore della Commedia).

La figura di Ulisse era stata ri-evocata da tutta una serie di questioni che ruotavano intorno all’esigenza di una filosofia terrena, fondamento della felicità terrena, fondamento dell’autonomia del potere temporale dal potere religioso, principale soluzione dei gravi disordini della società comunale. Ma Ulisse, ritornato per inabissarsi nell’oceano, continuerà ad avere vita propria quale memento al lungo e non ancora concluso oblio dell’essere umano (occidentale) dei propri limiti umani, ovvero l’auto-equiparazione dell’essere umano a Dio, ovvero l’illusione di un completo controllo sulla natura, e in quanto tale riguarda Aristotele, quanto l’aristotelismo medievale, riguarda il cristianesimo, riguarda lo stesso Dante, riguarda la scienza moderna, che si crede in opposizione alla religione ma si basa sugli stessi presupposti. Riguarda l’intera cultura europea-occidentale.
La figura da lui stesso creata turba la coscienza e i sogni di Dante. L’ombra di Ulisse lo accompagna dal primo Canto in cui viene evocata la figura del naufrago, fino all’inizio del Purgatorio dove Dante scrittore rassicura il Dante personaggio della Commedia della grazia del dono poetico-profetico, per cui «com’altrui piacque» (Purgatorio, I) ha potuto raggiungere la spiaggia del Purgatorio, a differenza di Ulisse che «com’altrui piacque» (Inferno, XXVI) giace in fondo al mare. Nel Paradiso (XXVII) Dante, prima di ascendere all’empireo con Beatrice, vede dall’alto il «varco folle Ulisse», dopo che nel canto precedente Adamo gli ha detto di essere stato cacciato dall’Eden per il «trapassar del segno» (notare: canti XXVI e XXVII), cioè voler essere come Dio. Ormai il timore che il suo stesso viaggio fosse destinato a naufragare, perché non sotto il segno della grazia, è un lontano ricordo. Ma il suo Ulisse figuralmente immortalato nell’Inferno resta lì a ricordarci che non si può trasumanar senza trapassar del segno. «Così Ulisse muore, ancora e ancora, per i peccati di Dante».43
Ulisse «eroe della conoscenza» infine riguarda la scienza moderna nata dalla stessa volontà di potenza di cui sono espressione la filosofia e la religione44. La civiltà europea-occidentale è malata alla radice. Dante l’aveva intuito, prima della filosofia contemporanea.

Emanuele Severino appartiene ai grandi della filosofia per aver dedicato l’intero suo lavoro a farci acquisire la cognizione dei gravi problemi di fondo dalla nostra civiltà, che avrebbero origine in Platone che per primo cominciò a far «uscire ed entrare le cose dal nulla»45. Purtroppo, la hegeliana marcia trionfale verso la libertà che culminava con la Germania, si rovesciava in Severino in una lunga storia di follia ed errore. Karl Löwith, grande studioso ma non della stessa portata filosofica di Severino e Heidegger, egualmente reso edotto dalla Seconda guerra mondiale dei gravi problemi di fondo della cultura europea-occidentale, rispetto ai quali auspicava «ritorno alla physis», aveva un indirizzo più ragionevole rispetto alla condanna dell’intera cultura occidentale: massimamente riteneva il naturalismo di Spinoza in contro-tendenza, e quindi Goethe quale suo grande lettore. Diversi altri hanno pensato in contro-tendenza rispetto alla volontà di potenza dominante, o in contro-tendenza con diversi indirizzi del loro stesso pensiero. Cominciando da Aristotele che, nonostante il predominio del finalismo nell’intero suo sistema, ripristina ine la priorità della physis, concetto cardine della cultura greca, espresso da Eraclito: il mondo eterno e non creato dagli dèi46. Aggiungerei Machiavelli, Marx, ma credo che in diversi altri autori ci siano elementi per rifondare su basi diverse il pensiero occidentale, ripristinando la cognizione dell’inevitabile subordinazione dell’essere umano alla Natura che lo ha generato. Tuttavia, ha ragione Cacciari, è impossibile oggi, ripristinare il senso naturale degli antichi di dipendenza dalla Natura. Va ripristinato su basi nuove. Se il passato è solo errore, impossibile diventa un diverso futuro, a cui non possiamo giungere dal nulla, ma riprendendo i «sentieri interrotti» nel passato (credo che ciò intenda Agamben scorgendo un significato filosofico nella boutade di Flaiano: faccio solo progetti per il passato). Chi più eloquentemente dell’Ulisse di Dante ci avvisa dal passato che la nostra rotta va in collisione con la Natura?

________________

NOTE

1Elisa Brilli, Firenze e il profeta, Carocci, 2012, p. 107

2«Frattanto Roma si ingrandisce sulle rovine di Alba». Tito Livio, Storia di Roma. I,30 (UTET, 1974)

3Inferno, Introduzione, cronologia, bibliografia, commento a cura di Anna Maria Chiavacci Leonardi, Mondadori, 1991. Vedi commento in merito della Chiavacci.

4Appello all’Unesco per liberare Dante dai dantisti, Edizioni dell’Orso, 2003

5Sergio Cristaldi, Il richiamo del lontano, in Lecturae Dantis. Dante oggi e letture dell’ Inferno, a cura di Sergio Cristaldi, Rivista “Le forme e la storia” n.s. IX, Rubettino 2016, p. 269

6ivi, p. 293

7D’Arco Silvio Avalle, L’ultimo viaggio di Ulisse, in Modelli semiologici nella Commedia di Dante, Bompiani, 1975

Numerose e sistematiche analogie vi sono tra l’Ulisse di Dante e i romanzi medievali «come risulta dalla frequenza dei rinvii, con l’Alexandreis di Gautier de Chatillon. Significative non solo in rapporto alla struttura delle due narrazioni, ma anche per talune coincidenze verbali che sarebbe in ogni modo malagevole spiegare come un prodotto del caso.» (p. 47) Mentre Curzio Rufo, a cui si fa L’Alessandreide, contiene già un riferimento alla «sete di conoscenza (“esuries mentis”) di Alessandro, “rex cognosendi plura cupidine accensus [re acceso dal desiderio di conoscere tutte le cose]. Tuttavia nei versi di Gautier essi si trovano per la prima volta strettamente uniti e per di più ben rilevati in posizione esordiale,

– Tua, regum maxime, virtus
-inquit – et esuries mentis […]
alla pari insomma, nonostante la diversa collocazione sintattica, di quanto avviene nel verso dantesco:

ma per seguir virtute e canoscenza »

Nell’Alessandreide c’è il tema dell’oltrepassamento delle colonne d’Ercole, ripreso da Rufo, e Alessandro viene definito. Al che Gautier si chiede quale sara il termine della fame di conquista e della sete di conoscenza di Alessandro, definendolo poi folle, «demens» (p. 53).

«Anagologie davvero soprendenti» presenta El libro de Alexandre, uno dei mag‏giori derivati dell’Alessandreide, che «quasi sicuramente Dante non ha conosciuto», in particolare, per l’appello ai compagni che da dieci anni hanno lasciato le proprie famiglie per seguirlo e la «cupidigia luciferina», di quel «folle che non conosce misura» quale Alessandro. Ma la «coincidenza verbale più straordinaria» è il passo in cui Dio dice « yol tornaré el gozo todo en amargura [io gli tornerò la gioia tutta in amarezza]» che richiama «tosto tornò la gioia in pianto» (p. 62).

8Epistole, I,2

9De finibus bonorum et malorum, V, 18

10Giorgio Padoan, l pio Enea, l’empio Ulisse. Tradizione classica e intendimento medievale, Longo Angelo, 1973, p. 196

11Simone Invernizzi, Dante e il nuovo mito di Ulisse, Academia.edu (pagina personale dell’autore)

12Padoan, op. cit., p. 191

13Ivi, p. 195

14De finibus bonorum et malorum, V, 18

15Idem

16Enrico Malato, Introduzione alla Divina Commedia, Salerno editrice, 2020, p. 30

17Enciclopedia dantesca Treccani, voce Canoscenza, https://www.treccani.it/enciclopedia/conoscenza_%28Enciclopedia-Dantesca%29/

18«…un uomo “che sia vile” non può “servire” una donna che si trovi nella corte d’Amore: così Guido aveva ammonito Dante nel sonetto Se vedi amore (XXI). Questa concezione eroica dell’amore, comune alla poesia cortese del Duecento, è stata rinnegata da Dante nella Vita nuova con il passaggio alla poesia della lode, paga di se stessa, perché sottratta alla sanguinosa dialettica del rapporto con la donna: questa è, per Guido, più ancora che una vigliaccheria, una frode intellettuale.[…] E non ci può sfuggire che, come in un’acre rivalsa postuma, proprio nel girone dei consiglieri fraudolenti (Inferno, XXVI) Dante condanna, con Ulisse, tutti i cattivi maestri che ingannarono altri uomini con la folle superbia di una conoscenza non illuminata dalla fede, trascinandoli con sé nella dannazione eterna.» Noemi Ghetti, L’ombra di Cavalcanti e Dante, L’Asino d’oro, 2011, p. 146-147

19Dante e la cultura medievale, Laterza, 1983, p. 106

20«Il cui è riferito, ormai da tutti, a Beatrice – non a Virgilio, come molti intesero, interpretazione che

non dà senso convincente in questo contesto – che rappresenta la sapienza e la grazia divina.[…]Il significato complessivo della frase, su cui si è molto discusso, appare in ogni caso ormai certo: Guido ebbe a disdegno quella via di fede e di grazia – vale a dire, sul piano intellettuale, l’accettazione di una realtà trascendente e di una verità rivelata, e, sul piano spirituale, della propria insufficienza all’assoluto – che Dante invece, a un certo punto della sua vita, decisamente scelse. Qui passò la rottura fra i due amici, e di qui cambiò strada la poesia e lo stile del secondo». A. M. Chiavacci, nota integrativa al Canto X dell’Inferno, op. cit.

21Maria Corti, Scritti su Cavalcanti e Dante. La felicità mentale – Percorsi dell’invenzione e altri saggi, Einaudi, 2003, p. 364

22Ivi, p. 278

23Mundana sapientia: forme di conoscenza nella cultura medievale, Storia e Letteratura, 1992, p. 25

24Le felicità nel Mediovevo, a cura di Maria Bettetini e Francesco 0. Paparella, LOUVAIN-LA-NEUVE, 2005, p. 5

25Ivi, p. IX

26ivi, p. 10-11

27ivi. p. 369

28Desiderio della scienza e desiderio di Dio nel Convivio di Dante, Il Mulino, 2011.

29ivi, p. 234

30Ivi, p. 215

31Bruno Nardi, Dal convivio alla commedia (Sei saggi danteschi), Istituto storico italiano per il Medio Evo. 1992p. 74. Il passo di Tommaso in questione è nella Summa contra gentiles, III, 50

32Falzone, op. cit. pp. 217 e 219

33Su rischio che le differenza tra uomini comuni e filosofi sfociassero in differenze ontologiche nella dottrina averroista e nell’averrosismo vedi Luca Bianchi, Filosofi uomini e bruti, Rinascimento, s.s. 32, 1992

34Ulisse e il desiderio: Il canto XXVI dell’Inferno, Edizioni Viella, 2011 pp. 39-40

35Il saggio è contenuto nel volume Nel mondo di Dante, Edizioni “Storia e letteratura”, 1944

36Ecco perché anche ci conviene adoprarci di fuggire di qui al più [b] presto per andare lassù. E questo fuggire è un assomigliarsi a Dio per quel che uomo può; e assomigliarsi a Dio è acquistare giustizia e santità, e insieme sapienza.Teeteto, C. 25,176b (Opere complete, Laterza, 2013)

Questo bisogna pensare dell’uomo giusto, anche se vive in povertà o colpito da malattie o afflitto da qualche altro di quelli che sembrano mali: che tutto questo si risolverà per lui in un bene in vita o anche in morte. Mai gli dèi trascureranno chi si sforzi di diventare giusto e coltivare la virtù per farsi simile a un dio nei limiti delle possibilità umane. Repubblica., X. 613 a-b Opere complete, Laterza, 2013)

37Dante ghibellino, La Scuola di Pitagora, 2019, p. 38-39

38Enrico Fenzi, Ancora sulla datazione della Monarchia, Academia.edu (pagina personale dell’autore)

39L’uso dei corpi, Homo sacer, IV, 2 Neri Pozza Editore. 2014, p. 269

40«Si è pertanto dichiarato a sufficienza che il compito proprio del genere umano preso nella sua totalità è di attuare sempre e completamente la potenza dell’intelletto possibile, in primo luogo per speculare e secondariamente, per estensione, per operare di conseguenza. » Dante, Monarchia, I, 4 (Mondadori 2015)

41: «His men, his “brothers,” now show their real relationship to Ulysses: it is an instrumental one. They are his oars». R. Hollander (Ed.), Dante Alighieri, Inferno, New York, 2002, p. 493

42Il concetto dell’Impero nello svolgimento del pensiero dantesco, in Saggi di filosofia dantesca, La Nuova Italia, Firenze, 1967

43Teodolinda Barolini, The undivine Comedy. Detheologizing Dante, Princeton University Press, 1992, pp. 54 e 58.

44“La volontà di dominio che caratterizza la scienza moderna è resa possibile dall’apertura del senso greco del divenire. Solo se l’ente che si mostra nell’esperienza è inteso come un uscire dal nulla e un ritornarvi (e appunto questo è l’intendimento del pensiero greco), solo allora può sorgere quella forma radicale di volontà di potenza che decide di strappare gli enti dal nulla e di risospingerveli, conformemente al progetto che l’uomo vuol far diventare realtà.” E. Severino, La filosofia dai greci al nostro tempo, BUR 2004

45Ma cosa era questo “far uscire ed entrare le cose dal nulla” se non l’affermarsi del creazionismo? La discussione del problema ci porterebbe troppo fuori tema, per una discussione più ampia del pensiero di Severino vedi il mio lavoro Per un nuovo socialismo. Per l’orgine greca del creazionismo vedi David Sedley, Creazionismo. Il dibattito antico da Anassagora a Galeno.

46Questo ordinamento del mondo, il medesimo per tutti gli uomini, nessuno degli dèi o degli uomini lo ha fatto, ma è sempre stato, è, e sempre sarà: un fuoco sempre-vivo, che di misura si accende e di misura si spegne. 51 (30 DK; 20 B) (Bompiani, 2007)

Il folle volo in Occidente. La tragicommedia di Ulisse (II parte)

L’Ulisse dantesco è una figura della cupidigia, quindi è necessario un esame del significato della cupidigia nella Commedia.

L’intero cammino, dall’Inferno, dall’iniziale incontro con le Tre Fiere fino al Paradiso, fino alla confessione a Beatrice della propria cupidigia, è un percorso verso la liberazione di Dante, e, con lui, dell’intera umanità, dalla cupidigia.

All’uscita dalla selva, il primo incontro sono le Tre Fiere. Nel corso dei secoli si è scritto tantissimo sull’identificazione di queste tre allegorie, qui ci limiteremo a quanto è necessario. Esse sono una parodia della trinità come Lucifero e altre figure dell’Inferno1, sono una e trine, ma trine nel senso di molteplice, l’insieme dei vizi sono rappresentati dalle fiere. La principale è la lupa, la cui identificazione con la cupidigia è abbastanza fuori discussione.

Il mistero della Trinità, pur nella sua parodia infernale, si trasforma in una dialettica tra l’uno e i molti, in quanto se la radice del peccato è una, molteplici sono le sue manifestazioni. Le fiere rappresentano un diverso modo di intendere i vizi capitali (espressione anche questa della natura profetica della Commedia), ma per il solo Inferno, nel Purgatorio si torna ad una visione più canonica.

Giovanni Pascoli, tra i commentatori da me consultati, è uno dei pochi che aiuta a districarsi in questa complessa allegoria dantesca: «Se la lupa è l’avarizia divenuta malizia, quest’avarizia maliziosa è raffigurata anche nel leone; e dunque il leone è la lupa. Così può dire alcuno. E rispondo: sì: in vero assomigliano. Famelico il leone, famelica la lupa; terribile in vista il leone, terribile dalla vista la lupa. E rispondo: sì: in vero il leone è dentro la lupa»2. La lupa dovrà essere cacciata dal veltro, ovvero il programma della Monarchia secondo cui l’imperatore dovrà porre fine alla cupidigia di potere. Il leone è la lupa, se è vero che il leone rappresenta la superbia e quindi la brama di potere, ma essendo senza limiti, il leone viene a sovrapporsi alla lupa. Una sola fiera non rappresenta un vizio specifico, ma più di uno.

La lupa è la brama senza fine, è la cupidigia in quanto tale («di tutte brame parea carca») ma che può manifestarsi in diversi ambiti, nella brama delle ricchezze, del potere, della conoscenza e in generale di tutte le cose terrene.

Tuttavia la lupa ha una relazione speciale con l’avarizia (intesa come desiderio smisurato di accumulare ricchezze). Dopo aver incontrato la lupa, Dante ricorre ad una similitudine con l’avaro («E qual è quei che volentieri acquista»), poiché l’analisi aristotelica della crematistica rappresenta un elemento centrale nella delineazione della cupidigia (Teniamo presente che nell’italiano di Dante l’avaro non è solo il tirchio, ma principalmente colui che è bramoso di denaro)3. Giustamente Leonid Batkin vide nella cupidigia una rappresentazione della accumulazione capitalistica, proprio dall’osservazione del nascente capitalismo nasce la centralità della cupidigia, ma un’analisi strettamente «economica» non ci restituisce tutta la portata della visione dantesca.

La filosofia aristotelica serve a Dante per decifrare la nuova società che vedeva nascere sotto agli occhi, per la quale era necessaria una nuova dottrina politica che potesse arginare la cupidigia sul piano politico (esposta principalmente nella Monarchia). E, al tempo stesso, era necessario un rinnovamento profetico culturale e religioso del cristianesimo che avesse al centro il superamento della cupidigia (Divina Commedia).

Le Tre Fiere sono una creazione dantesca molto complessa e raffinata, tanto sul piano figurativo, una triade con al vertice la lupa, con le connotazioni di ogni fiera che si sovrappongono e si intersecano su ogni altra, fino a formare un insieme i cui significati sono molteplici e unitari allo stesso tempo, tanto sul piano psicologico, infatti Virgilio fa ben intendere che sono una proiezione della cattiva coscienza di Dante personaggio della Commedia4.

La lupa ha a sua volta qualcosa della lonza, della lussuria. È stata una sirena a distogliere Ulisse dal suo cammino, che nel sogno di Dante in Purg. XIX si presenta inizialmente con le sembianze della lussuria, per poi rivelarsi essere l’«antica lupa».

I vizi capitali riguardano l’anima, mentre le condanne sono dovute ad atti specifici, giudicati secondo l’Etica aristotelica, e secondo la concezione romana del diritto (la distinzione del dolo in base alla violenza o alla frode riprende il De officis di Cicerone).

I condannati sono giudicati per gradi, per il rinnegamento della natura dell’uomo quale essere razionale, e per l’infrazione del vincolo d’amore a cui siamo tenuti in quanto creature frutto dell’amore di Dio.

La cupidigia, la lupa, si associa agli altri vizi («molti son li animali a cui s’ammoglia») per dar luogo a una scala di gravità che va dagli incontinenti dei primi gironi, a Giuda che tradì Cristo per i trenta denari, a Cassio e Bruto che tradirono Cesare per cupidigia di potere. Tutti e tre sono maciullati nelle tre bocche di Lucifero, fonte originaria della cupidigia nel suo voler essere come Dio. Al massimo grado la cupidigia contiene in sé, si confonde con la superbia, da ciò l’apparente assenza della superbia dai cerchi infernali (vecchio problema dell’esegesi dantesca)5, che in realtà non è assente, non viene assegnata a dei peccatori terreni ma ai giganti del Canto XXXI, che precedono Lucifero, nel quale cupidigia e superbia coincidono6. In Inf. I la lupa viene indicata quale emanazione dell’invidia di Lucifero, risvolto inevitabile della sua superbia che non potendo paragonarsi a Dio si trasforma in invidia.

«La lupa, infatti, non è solo avarizia, accumulazione di beni puramente materiali, smania di possesso; tutto questo culmina nella smania di dominio, cioè nella volontà di potenza. È questo, forse, il peccato di Lucifero ed esso o essa, la volontà di potenza, si incorpora la superbia quale noi abitanti del terzo millennio la intendiamo oggi. »7 Illuminante commento di Maria Gabriella Riccobono, proprio della volontà di potenza si tratta, come vedremo, ma dobbiamo procedere per gradi.

Le Tre Fiere vengono quindi da Lucifero, e la maggiore è la cupidigia che ridefinisce tutti gli altri vizi, nel complesso si tratta una una nuova manifestazione, diciamo un peccato originale 2.0 (Dio mi perdoni!) dopo che il peccato dei «primi parenti» è stato sanato dalla morte di Gesù Cristo (perciò Adamo si trova in Paradiso). La causa di questo ritorno del peccato originale è stata la Donazione di Costantino che ha destato la cupidigia dei beni temporali nella Chiesa, e da essa il disordine si è diffuso all’intera società. La cupidigia ha un’origine religiosa, da cui il messaggio profetico della Commedia, tuttavia nella definizione della cupidigia è fondamentale l’analisi aristotelica della dismisura nella crematistica. Possiamo dire che la cupidigia ha un doppio piano, religioso ed economico, è una figura teologico-economica.

Nella teologia medievale l’avarizia aveva assunto un nuovo ruolo finendo per soppiantare la superbia quale vizio capitale8. La centralità e l’estensione del concetto di avarizia nella teologia morale cristiana venivano incontro all’indirizzo complessivo della filosofia dantesca di integrare il cristianesimo con la filosofia aristotelica, in particolare, in tal modo, crea una sua peculiare concezione dell’avarizia/cupidigia. Conformemente alla visione cristiana che estendeva il concetto di avarizia, la progressione all’infinito che si verifica nella cattiva crematistica viene estesa all’ambito politico e all’ambito della conoscenza e in quest’ultimo Ulisse ne è il simbolo.

Ha ragione Teodolinda Barolini a definire la cupidigia un «meta-vizio»9, tuttavia essa non riguarda solo all’ambito della incontinenza, poiché il malizioso Ulisse è una figura della cupidigia. Le tre categorie, incontinenza, malizia e matta bestialitade, secondo cui è strutturato l’Inferno non sono degli ulteriori vizi che si sommano a quelli capitali, ma servono a definire la gravità della colpa a cui possono portare i vizi capitali.

«Se si resta fermi al concetto aristotelico di bestialità (e alla sua continuazione medievale), si vede bene, in effetti, che per il filosofo la bestialità non è un vizio a sé, ma piuttosto una particolare (ed estremamente difficile) tonalità del vizio. Ciò significa che ogni vizio è in teoria suscettibile di assumere una connotazione bestiale»10.

Secondo Paolo Falzone, «incontinenza, malizia e matta bestialitade», i tre termini derivati dall’Etica aristotelica menzionati da Virgilio in Inf. XI, in cui vengono esposti i criteri secondo cui sono comminate le condanne, vanno intesi come una gradazione della bestialità. Tuttavia, se è certo a quali cerchi e quali peccatori vanno classificati secondo il criterio dell’incontinenza e della malizia, incerto è invece cosa intendere per matta bestialità. Per Aristotele e Tommaso, osserva Falzone, sarebbero comportamenti aberranti da ascrivere alla patologia (in quest’ultimo sarebbero per questo motivo suscettibili di una pena minore).

Il termine non definisce, appunto, un comportamento specifico, ma la massima degradazione umana. Se gli incontinenti hanno perseguito il male perché non vi è stato controllo della ragione sugli affetti, i maliziosi invece lo hanno fatto con cognizione di causa, hanno usato l’intelligenza per danneggiare il prossimo. Tuttavia, ciò che distingue la malizia dalla matta bestialitade è la presenza nella malizia di una parte d’incontinenza. Ad es., Ulisse ha perseguito il male spinto dal desiderio di conoscenza che di per sé è naturale per l’uomo, ma in lui traviato dalla cupidigia. Invece, nella matta bestialitade vi è quella completa perversione dell’uomo che è l’adesione al male per il male. La concezione dantesca non è del tutto congruente con quella aristotelica, ma in gran parte lo è, perché interviene il concetto cristiano di libero arbitrio .

I peccati infernali sono rappresentati nella forma di fiere perché causano l’imbestiamento dell’essere umano. E il cammino nell’Inferno segue un progressivo imbestiamento fino alla massima bestialità di Lucifero, che ne possiede i connotati più mostruosi e disgustosi.

Bestialità non è mera degradazione dell’umano. Tra i riferimenti di Dante bisogna avere presente non solo la «tua Etica» (Virgilio) ma quel passo centrale della Politica in cui Aristotele, contestualmente alla definizione dell’uomo come «animale politico», definisce l’essere umano tanto la migliore quanto la peggiore delle creature proprio in virtù della sua intelligenza. Per questo il tradimento è la peggiore delle colpe in quanto provoca la distruzione del vincolo comunitario, da cui derivano i più grandi mali.

Secondo il commento della Barolini ai versi di Paradiso XV, l’Inferno è il regno della cupidigia:

«”La volontà retta è un amore buono, la volontà perversa un amore cattivo” – “recta itaque voluntas est bonus amor et voluntas perversa malus amor” – scrive Agostino, fornendo un modello fondamentale per il trattamento dell’amore nella Commedia. Il bonus amor agostiniano, opposto al malus amor, è sotteso alla caratterizzazione data da Dante dell’entrata del purgatorio come «la porta / che ’l mal amor de l’anime disusa» (Purg. X). Il poeta poi si avvicina molto a una parafrasi diretta di Agostino all’inizio di Paradiso XV, quando egli associa la volontà retta (“benigna volontade”) all’amore ben diretto (“amor che drittamente spira”) e la volontà malvagia (“la iniqua [volontade]”) all’amore mal diretto, ovvero alla “cupidità”: “Benigna volontade in che si liqua / sempre l’amor che drittamente spira, / come cupidità fa ne la iniqua”» (Par. XV)»11.

Su questi principi sono stati edificati l’Inferno e il Paradiso (e il Purgatorio in cui il pentimento dimostra la non cattiva volontà delle anime traviate sulla strada terrena). La cupidigia anche sul piano terreno è pura volontà, può quindi essere soppressa dall’Imperatore.

In definitiva, è la buona o la cattiva volontà che conduce all’inferno o al paradiso. È un concetto di volontà che deriva dal creazionismo cristiano che determina una frattura tra essere (in senso ontologico) e agire, che ha determinato l’ineffettualità dell’etica cristiana, in quanto incapace di tenere conto delle necessità naturali dell’uomo, delle costrizioni sociali, della realtà del conflitto che pervade le relazioni umane. L’etica antica, non intendeva espungere il male dal mondo, a differenza dell’etica cristiana che invece paradossalmente ne sancisce il dominio, in quanto nel mondo terreno domina il maligno, mentre invece il bene è riservato al mondo ultraterreno. Machiavelli recupera lo spirito dell’etica antica ripristinando la cognizione della realtà del conflitto (polemos è padre di tutte le cose) e indica di «non partirsi dal bene potendo, a saper entrare nel male necessitati». Il Principe deve avere come fine il bene della Stato, ma deve essere capace di usare il male (la violenza), se necessario, per difenderlo. Il discorso di Machiavelli, tutt’altro che estraneo all’etica, si oppone alla morale cristiana che rende imbelli e così favorisce «i più scellerati». Il superamento della antinomia tra bene e male della morale cristiana trova il suo compimento Goethe:

FAUST
Insomma, tu chi sei?
MEFISTOFELE
Parte di quella forza
che vuole sempre il male e produce sempre il bene

Se il libero arbitrio è l’idea dell’essere umano artefice del proprio destino, tale idea della libertà umana si presenta nel cristianesimo con una frattura verso il mondo reale. Una filosofia della libertà come quella hegeliana superava tale frattura: «La libertà è coscienza della necessità».

Ritornando alla Commedia, insieme alla filosofia cristiana concorre alla creazione della concezione dantesca della cupidigia la filosofia aristotelica. Il concetto di dismisura, l’inversione di mezzo e scopo che causa la progressione all’infinito, della «cattiva» crematistica, viene estesa alla sfera del potere (temporale e religioso) e, sul piano individuale, alla sfera della conoscenza.

Carlos López Cortezo scrive che è la lonza, non la lupa, a rappresentare l’avarizia, ciò è plausibile, data l’intercambiabilità delle Fiere, non dobbiamo attenerci ad una stretta identificazione. La lupa è la brama insaziabile, non rappresenta solo l’avarizia, ma la cupidigia in quanto tale, tuttavia nella lonza, sempre sulla base del metodo interpretativo di Carducci, possiamo vederci sia la lussuria che il desiderio smodato di ricchezza. Ciò trova riscontro nella canzone Doglia mi reca, la cui cifra è il parallelo tra avarizia e rapporto sessuale basato sul solo desiderio carnale, secondo il commento della Barolini12. È in errore Cortezo, invece, quando ritiene che la lussuria non abbia niente a che fare con la cupidigia. Nella suddetta canzone il puro desiderio carnale viene indicato come fonte di dismisura, così il vento che sballotta senza sosta le anime di Paolo e Francesca è una rappresentazione della dismisura13.

La dismisura appare già nel primo canto nella brama senza fine della Lupa, il suo rapporto con l’analisi aristotelica della crematistica ce lo ricorda il paragone con l’avaro nell’incontro con la Lupa. Che fosse una reazione al proto-capitalismo della Firenze ai tempi di Dante appare nella prima invettiva contro Firenze14.

La gente nuova e i sùbiti guadagni
orgoglio e dismisura han generata

Nella Commedia la cupidigia assume la figura di un pervertimento complessivo del comportamento umano. La canzone Doglia mi reca testimonia che la cupidigia, oltre alle connotazioni religiose, ha origine dall’esperienza diretta di Dante nella Firenze del suo tempo. Veniamo quindi alle connotazioni economiche della cupidigia

L’acuta cognizione dantesca delle trasformazioni economiche intervenute nel suo tempo, e in particolare del processo di accumulazione capitalistica, è stata ben descritta da Enrico Fenzi nel commento a suddetta canzone. La figura dell’«avaro» (tesaurizzatore), già ben nota alla cultura filosofica e religiosa, antica e contemporanea a Dante, da eccezione sociale si trasformava in una normalità sociale a cui era difficile sfuggire. Alcuni versi della canzone sono un importante documento storico, il processo di accumulazione del nascente capitalismo viene identificato ed analizzato con notevole precisione.

Come con dismisura si rauna,
così con dismisura si ristrigne;
e questo è quel che pigne
molti in servaggio, e s’alcun si difende,
non è sanza gran briga.

Il denaro viene accumulato e tesaurizzato con dismisura. Ciò conduce molti alla servitù e se qualcuno riesce a sottrarsi a questo processo non è senza gran fatica .

Nella canzone abbiamo un’esposizione più dettagliata della realtà sociale che da origine alla cupidigia, soprattutto per quanto riguarda la dimensione della dismisura, che nella Commedia prende il rilievo di una categoria generale, nella suddetta invettiva contro Firenze vi è lo stesso contenuto, ma espresso in termini più incisivi e allo stesso tempo più generici.

Come osserva Fenzi15, l’avaro non è più eccezione sociale, e non basta più che a lui segua lo scialacquatore, consueto redistributore della ricchezza, in quanto tale fenomeno sociale ha raggiunto un livello tale che trasforma qualitativamente la società. Nel proto-capitalismo fiorentino il denaro principiava ad avere un ruolo quantitativamente e qualitativamente diverso rispetto alle società precedenti. Ciò che oggi chiamiamo capitalismo.

Ciò credo sufficiente per stabilire quanto conti l’osservazione del nascente capitalismo nella genesi della concezione dantesca della cupidigia.

Il concetto di dismisura proviene dall’analisi della cattiva crematistica di Aristotele, ed è l’inversione di mezzo e scopo che si verifica quando il denaro diventa scopo e non mezzo, per cui l’azione spostandosi sul mezzo che è potenzialmente illimitato sul piano quantitativo (denaro) si riproduce su stessa all’infinito. Uno degli aspetti più interessanti e più attuali, detto senza retorica, del pensiero di Dante, è l’applicazione di questo modello analitico al potere religioso e temporale, alla conoscenza.

Fenzi riconduce alla comune radice aristotelica la centralità in Dante e Marx della dismisura:

«La circolazione semplice delle merci -la vendita per la compera- serve di mezzo per un fine ultimo che sta fuori della sfera della circolazione, cioè per lʼappropriazione di valori dʼuso, per la soddisfazione di bisogni. Invece, la circolazione del denaro come capitale è fine a se stessa, poiché la valorizzazione del valore esiste soltanto entro tale movimento sempre rinnovato. Quindi il movimento del capitale è senza misura»16.

Il movimento senza fine del capitale, la brama senza fine della lupa.

Non è la sola significativa convergenza. In una genealogia del sapere, Dante è tra i progenitori di Marx, una parentela che si palesa ancora in Inf. XI, dove l’usura è condannata come contro natura, perché la natura è imitazione di Dio e il lavoro a sua volta è imitazione della natura, ed essendo che la ricchezza può venire solo dal lavoro, l’«usuriere che altra via tiene» commette un sopruso contro Dio e la natura. Se è dichiarata l’ispirazione aristotelica della condanna dell’usura , vi è allo tesso tempo una concezione del lavoro come unico creatore della ricchezza che non è aristotelica, ed è un’anticipazione della concezione marxiana.

Una volta definita, nei suoi tratti essenziali, la visione dantesca della cupidigia, possiamo tornare alla figura di Ulisse quale incarnazione della cupidigia intellettuale.

Ciò è opportunamente chiarito dallo stesso Dante. In Purg. XIX sogna una «dolce serena», che poi nel sogno si trasforma in un orrendo mostro. Lei che aveva distolto Ulisse dal suo cammino, secondo Virgilio è «quell’antica strega/che sola sovr’ a noi omai si piagne», ovvero la cupidigia/avarizia che viene punita nella IV cornice dove si trovano. Il Canto successivo chiarisce ulteriormente che era l’ «antica lupa».

In Purg. XIX vi è un’invettiva contro la lupa che ne fa un quadro più preciso rispetto ad Inf. I:

Maladetta sie tu, antica lupa,
che più che tutte l’altre bestie hai preda
per la tua fame sanza fine cupa!

Secondo il commento di Anna Maria Chiavacci Leonardi, «questa lupa è infatti il primo nemico di Dante, e degli uomini, in tutta la Commedia. È quella che impedisce la salvezza nel I dell’Inferno, e che a più riprese è denunciata e condannata nelle sue manifestazioni più gravi – cioè nei potenti, e soprattutto nei papi – lungo il poema che infine per questo è stato scritto. Di qui la forza racchiusa in queste due terzine, la prima di condanna, la seconda di sospiro e invocazione verso lo sperato intervento divino. L’invettiva è posta non casualmente tra l’incontro con Adriano V – un pontefice – e quello con Ugo Capeto – un re – che impersonano i due poteri della terra, ambedue corrotti e viziati da questo terribile tra tutti i mali.»

Papa Adriano V narra di essersi volto alla vita eterna soltanto quando, diventato papa, « vidi che lì non s’acquetava il core,/né più salir potiesi in quella vita». La sua quindi è un’avarizia di tipo particolare. «Citando Gregorio Magno, ecco che cosa insegna nella Summa Tommaso d’Aquino […] : «avaritia – insegna – est non solum pecuniae (avarizia non è solo avidità di denaro), sed etiam scientiae et altitudinis, cum supra modo sublimitas ambitur (ma è anche avidità di sapere e di eccellere, qualora il primato sia perseguito smodatamente)»17.

L’estensione da parte di Tommaso del significato del termine avaritia era iniziata con Agostino che intendeva in questo modo conciliare l’antico e il nuovo testamento. Per il primo l’inizio di tutti i mali è la superbia, «A superbia initium sumpsit omnis perditio» (Dalla superbia prende inizio ogni perdizione, Tobia, 4, 13), per il secondo la radice di tutti i mali è la cupidigia, «Radix omnium malorum est cupiditas» (La cupidigia è la radice di ogni male, San Paolo) 18. Dante segue tale indirizzo, in Purg. XIX sono presenti tutte le «avarizie», quella in senso ordinario, l’avarizia di potere (papi e regnanti), e l’«avarizia» di conoscenza. In quest’ultimo caso, attraverso la sirena che richiama la figura di Ulisse.

Se quella di Adriano V è indubbiamente avaritia altitudinis, quella di Ulisse è avaritia scientiae (deduzione di Vittorio Sermonti). Dante ci vuole a caccia della verità, secondo la bella immagine della fera in lustra di Par. IV, la fiera che dopo la caccia si gode nella sua tana la sua preda-verità. Il Canto, che inizia con il sogno della «dolce serena» ci fornisce molti indizi per decifrare la figura di Ulisse e insieme della concezione dantesca della cupidigia, in merito alla quale Dante personaggio non ha ancora del tutto la coscienza a posto, visto che la nuova incarnazione del mostro viene a turbargli i sogni. La liberazione interiore finale avverrà con la confessione a Beatrice della propria cupidigia.

Il Convivio ha tra i suoi temi centrali l’avaritia scientiae, cioè il naturale desiderio di conoscenza pervertito dalla cupidigia. Ma è utile partire dai versi di Doglia mi reca che hanno una precisa corrispondenza lessicale e concettuale con il Convivio:

Corre l’avaro, ma più fugge pace:
oh mente cieca, che non può vedere
lo suo folle volere
che ‘l numero, ch’ognora a passar bada,
che ‘nfinito vaneggia.

Secondo il commento di Fenzi «un numero nel quale s’è consumata sino in fondo ogni idea di concreta ricchezza di cose, di valori d’uso, e dove per contro trionfa l’idea opposta di una forma di ricchezza astratta, puramente contabile e finanziaria, tendente all’infinito e proprio per questo inseguita dall’avaro sedotto precisamente dal miraggio di una tale infinita realizzazione di sé nell’infinita realizzazione del suo denaro come capitale»19.

Nel Convivio ritorna l’avaro che rincorre l’infinito, ma come paragone con chi attraverso la conoscenza razionale vuole raggiungere la conoscenza diretta di Dio.

Per Dante esiste un desiderio di conoscenza naturale che dirige la conoscenza verso l’oggetto, e di questo la coscienza è temporaneamente soddisfatta, mentre esiste un desiderio di conoscenza non naturale, in cui interviene quel pervertimento dell’ordine morale, tanto individuale che collettivo, costituito dalla cupidigia che devia da un’intenctio recta verso l’oggetto (trovo appropriate le categorie di Nicolai Hartmann) in direzione di un’intenctio obligua che devia la conoscenza dall’oggetto verso il soggetto del conoscere.

Smarrite le sue finalità concrete, la conoscenza diventa un fine per se stessa, e per se stessi, diventa il proprio fine ultimo. In questa deviazione il desiderio non può che crescere su stesso perennemente lasciando perennemente insoddisfatti.

La similitudine tra alimentazione e conoscenza è dei primi passi del Convivio. Il desiderio naturale di conoscenza trova un suo compimento nella relazione con l’oggetto, recando soddisfazione, a somiglianza dell’alimentazione, il più elementare rapporto umano con la natura. Invece la lupa, la cupidigia, «dopo ‘l pasto ha più fame che pria», non consegue quella soddisfazione temporanea accessibile all’essere umano, seppure il desiderio di conoscenza, come nel caso dell’alimentazione, essendo un rapporto processuale con la natura, naturalmente si rinnova.

Il naturale desiderio umano di conoscenza «è misurato in questa vita a quella scienza che qui avere si può, e quello punto non passa se non per errore, lo quale è fuori di naturale intenzione» e l’errore è quello dell’«avaro maladetto». Non è naturale, invece, la cupidigia di conoscenza simile al comportamento dell’avaro, essa è piuttosto il pervertimento del desiderio naturale.

Qual è il fine della conoscenza? Veniamo quindi al seguente passo (III xv 6-10), molto importante, del Convivio dove l’oggetto della critica dantesca è la conoscenza di Dio come concepita da Tommaso. È un confronto di grande interesse, siamo nel pieno di quella «teologia economica» dalla cui secolarizzazione sorge l’ideologia del capitalismo moderno.

Dov’è da sapere che in alcuno modo queste cose nostro intelletto abbagliano, in quanto certe cose [si] affermano essere che lo intelletto nostro guardare non può, cioè Dio e la etternitate e la prima materia; che certissimamente si veggiono, e con tutta fede si credono essere, e per quello che sono intendere noi non potemo; [e nullo] se non cose negando si può appressare a la sua conoscenza, e non altrimenti. Veramente può qui alcuno forte dubitare come ciò sia, che la sapienza possa fare l’uomo beato, non potendo a lui perfettamente certe cose mostrare; con ciò sia cosa che ‘l naturale desiderio sia a l’uomo di sapere, e sanza compiere lo desiderio beato essere non possa. A ciò si può chiaramente rispondere che lo desiderio naturale in ciascuna cosa è misurato secondo la possibilitade de la cosa desiderante: altrimenti andrebbe in contrario di se medesimo, che impossibile è; e la Natura l’avrebbe fatto indarno, che è anche impossibile. In contrario andrebbe: chè, desiderando la sua perfezione, desiderrebbe la sua imperfezione; imperò che desiderrebbe sè sempre desiderare e non compiere mai suo desiderio (e in questo errore cade l’avaro maladetto, e non s’accorge che desidera sè sempre desiderare, andando dietro al numero impossibile a giugnere). Avrebbelo anco la Natura fatto indarno, però che non sarebbe ad alcuno fine ordinato. E però l’umano desiderio è misurato in questa vita a quella scienza che qui avere si può, e quello punto non passa se non per errore, lo quale è di fuori di naturale intenzione […] Onde, con ciò sia cosa che conoscere di Dio e di certe altre cose quello esse sono non sia possibile a la nostra natura, quello da noi naturalmente non è desiderato di sapere. E per questo è la dubitazione soluta .

Soluzione temporanea, considerando che la Commedia si dirigerà verso una conoscenza diretta di Dio. Ma riceve un provvisorio punto fermo. Di Dio, dell’eternità, della prima materia arriviamo con la ragione ad averne cognizione, ma non desideriamo conoscerli direttamente. La natura, come dice il Filosofo (Aristotele) nihil facit frusta , nulla fa invano, ci ha fornito di organi naturali per la conoscenza limitata che in quanto esseri limitati possiamo raggiungere, e nell’esercizio di queste nostre capacità siamo soddisfatti. L’errore dei desideri non naturali non sta nel limite della conoscenza, ma piuttosto, al contrario, nella sua mancanza.

L’avaro che mira al numero impossibile da raggiungere rimanda a un preciso passo della Metafisica in cui Aristotele respinge l’operatività del concetto di infinito, poiché gli esseri umani nel processo conoscitivo operano sempre con il finito, altrimenti non sarebbe possibile la conoscenza. Da notare che ammette la divisibilità all’infinito di una retta, che tuttavia «non può essere pensata, se non si arresta la divisione». L’ammissione nel regno della conoscibilità dell’infinito avrebbe delle conseguenze sul piano etico, in quanto annullerebbe la causa finale, senza cui gli esseri umani perderebbero lo scopo dalla loro azione, poiché non avrebbe un termine, termine che è anche fine20.

L’osservazione che la cupidigia di conoscenza condivide con l’avaro il falso scopo di mirare al numero impossibile da raggiungere, cioè il cattivo infinito della dismisura, se volessimo dirlo con terminologia hegeliana, stabilisce un collegamento tra la dismisura analizzata nella Politica e il passo suddetto della Metafisica. È una lettura originale del testo aristotelico.

La conoscenza dantesca di Aristotele passa sicuramente attraverso Tommaso D’Aquino, ma tale questione segna tra loro una netta divergenza. Bruno Nardi osserva come Tommaso volesse introdurre in modo piuttosto surrettizio, con «dissimulata ingenuità», l’idea che per Aristotele il desiderio naturale di conoscenza conduce al desiderio di conoscere Dio, e in modo affatto contrario anche alla lettera del testo aristotelico, fa l’esempio della retta o della serie numerica a cui possiamo fare aggiunte all’infinito, finendo per ragionare proprio come l’«avaro maladetto»21.

È in questo passo l’osservazione aristotelica relativa alle infinite divisioni della linea. Tommaso22 e Dante menzionano la linea e i numeri, ma il senso è lo stesso. Mentre per Aristotele attraverso queste operazioni mentali non è possibile giungere all’infinito, al contrario per Tommaso tale operazione geometrica ci fornisce un esempio non solo della pensabilità dell’infinito, cioè di Dio, ma dimostra che gli esseri umani mirano in ultima istanza alla conoscenza diretta di Dio, che possono conseguire solo parzialmente in questa vita, e interamente nella vita dopo la morte.

Significativo quindi il parallelo dantesco tra l’avaro che persegue un’accumulazione virtualmente infinita, moneta per moneta, e la conoscenza di Dio a cui possiamo arrivare allo stesso modo in cui possiamo prolungare la retta, o la serie dei numeri, fino all’infinito. Ma è un numero «impossibile a giugnere», per quanto possiamo prolungare la retta avremo sempre una retta finita. Aggiungo un’interpretazione, che a me pare piuttosto evidente, ma implicita in Dante, altrimenti avrebbe dovuto accusare apertamente Tommaso. Per prolungare la retta all’infinito dovremmo immaginarci immortali, e quindi assimilarci a Dio, cadendo quindi nel peccato originale. Nella cupidigia di Ulisse Dante condanna il desiderio di essere simili a Dio tramite la conoscenza.

Come l’avaro, Ulisse è accumulatore di conoscenza, vuole «arricchirsi culturalmente», per dirlo con un’abusata espressione comune. Per quanto possa sembrare inappropriato il paragone tra il comportamento eroico di Ulisse e la superficialità dell’uomo-turista odierno (l’Europa trasformata in un grande parco per turisti è uno dei temi dell’ultimo Houellebecq), anche se nel 1300 la figura del turista non esisteva ancora, non è molto lontano dal vero dire che Ulisse per Dante è, per certi aspetti, come quei ricchi turisti che «ammazzano il tempo» nel vagabondare da una meta turistica all’altra.

Il vagabondare di Ulisse è dovuto alla mancanza uno scopo autentico. Nessuna terra può soddisfare la sua cupidigia di conoscenza, perché il suo fine non è l’oggetto della conoscenza, ma accrescere la sua potenza tramite la conoscenza. Ulisse ha smarrito la finalità concreta e sociale del conoscere, non è alla ricerca di una terra in cui insediarsi per farne la sua patria con i suoi compagni, egli persegue un fine puramente individuale ( «misi me per l’alto mare aperto») e i suoi compagni sono strumento sono suoi strumenti insieme ai remi fatti ali al «folle volo» 23. Anche la conoscenza può essere veicolo di alienazione nella misura in cui diventa «fine ultimo ed unico» (Marx).

Mirare al «numero impossibile da raggiungere» comporta un appiattimento della conoscenza sulla dimensione puramente quantitativa (anche questa analisi di notevole attualità). Mentre l’accumulazione di ricchezza cresce in modo puramente quantitativo, posso aumentare il patrimonio di 100 fiorini, ma questi 100 sono uguali ai 100 che avevo in precedenza, la conoscenza cresce in modo qualitativo, passando attraverso diversi livelli, ognuno compiuto e avente in sé la sua perfezione. Lasciamo la parola a Dante (Convivio, IV, 13):

« … quello che propriamente cresce sempe è uno; lo desiderio della scienza non è sempre uno ma è molti, e, finito l’uno, viene l’altro: sì che, propiamente parlando, non è crescere lo suo dilatare, ma successione di picciola cosa in grande cosa. Ché se io desidero di sapere li pricipii delle cose naturali, incontanente che io so questi, è compiuto e terminato questo desiderio. E se poi io desidero di sapere che cosa e com’è ciascuno di questi principii, questo è un altro desiderio nuovo, né per l’avenimento di questo non mi si toglie la perfezione alla quale mi condusse l’altro; e questo cotale dilatare non è cagione d’imperfezione, ma di perfezione maggiore. Quello veramente della ricchezza è propiamente crescere, che è sempre pur uno, sì che nulla successione quivi si vede, e per nullo termine e per nulla perfezione.»

La conoscenza di Ulisse pervertita dalla cupidigia è una conoscenza puramente quantitativa, appena conosciuta una terra passa alla successiva, perché intende solo accrescere il numero delle terre conosciute. Potremmo dire che Ulisse ha conosciuto tante terre, ma non ne ha conosciuta veramente nessuna.

La «forte dubitazione», termine che indica un affanno interiore, non era «soluta». Il forte dissidio interiore, da cui nasce Ulisse, su tali questione emerge nel passo successivo, collegato a quello appena citato, dove si parla dei diversi livelli di conoscenza secondo le fasi dell’età.

E perché la sua conoscenza prima è imperfetta per non essere esperta né dottrinata, piccioli beni le paiono grandi, e però da quelli comincia prima a desiderare. Onde vedemo li parvuli desiderare massimamente un pomo; e poi, più procedendo, desiderare uno augellino; e poi, più oltre, desiderare bel vestimento; e poi lo cavallo; e poi una donna; e poi ricchezza non grande, e poi grande, e poi più. E questo incontra perché in nulla di queste cose truova quella che va cercando, e credela trovare più oltre.

Questo passo segue maggiormente la filosofia tomasiana, anche se il desiderio naturale piuttosto che condurre alla conoscenza di Dio, porta sotto il dominio della lupa, ma per la filosofia di Agostino il desiderio può condurre al bonus o malus amor, secondo Tommaso che segue Agostino, ««la conversione, o adesione disordinata al bene transitorio» (“inordinata conversio ad commutabile bono”)»24, l’adesione affettiva ai beni terreni.

All’inizio vi è la crescita qualitativa della conoscenza. Il bambino gode del pomo, dell’augellino, che simboleggiano diversi livelli di conoscenza ma questi godimenti si esauriscono con il loro compiersi e spingono ad acquisire un diverso oggetto, un diverso livello di conoscenza. Ma tutto poi si conclude in una crescita puramente quantitativa, «ricchezza, e poi grande, e poi più», per cui lo stesso Dante ragiona come l’avaro e come Ulisse che deve andare sempre più oltre. Qui emerge pienamente il dissidio interno al pensiero di Dante. Nella Commedia vi sarà una maggiore vicinanza a Tommaso, già rilevato da altri, tra cui Nardi25 e Falzone26ma le premesse ci sono già nel Convivio. Per andare fino in fondo nella critica alla filosofia tomasiana, Dante avrebbe dovuto indirizzarsi verso un naturalismo a lui precluso, per vari motivi (come abbiamo già visto nella prima parte di questo lavoro).

Dal dissidio sulla questione della conoscenza nasce la figura di Ulisse, alter ego di Dante.

Il riavvicinamento alla visione cristiana più ortodossa, non attenua la potente critica alla volontà di potenza rappresentata dalla figura di Ulisse, che è autocritica di Dante stesso, come osservavo nella prima parte di questo lavoro. Vi è in gioco non solo la questione della subordinazione della ragione alla fede, anzi è proprio essa che consente la critica della volontà di potenza. È il desiderio di assimilarsi a Dio attraverso la conoscenza che comporta la perdita del senso del limite.

Ulisse ha le sembianze dell’eroe perché segue coerentemente il suo principio interiore, sempre più oltre, finché non incontra il suo destino. Tuttavia ciò che lo spinge è la cupidigia di conoscenza, non il desiderio di conoscenza come vuole Gennaro Sasso, che è tra quanti vogliono assolvere Ulisse27.

In mezzo alle contraddizioni, e al dissidio interiore, prende corpo un’analisi originale di Dante che vede un disordine esiziale, simile al comportamento dell’avaro, che si estende a tutti gli ambiti della società. Una perdita del fine delle azioni umane che non giungono al loro termine, si perdono in una progressione all’infinito che causa disordine, caos sociale, violenza, distruzione. La monarchia universale servirebbe proprio a fermare questa progressione della cupidigia di potere, poiché il monarca dantesco giunto al sommo, non potendo ambire a maggiore potere, ferma questa progressione. Un’osservazione incidentale di Marx spiega bene questa estensione del comportamento dell’ «avaro» (tesaurizzatore) all’ambito del potere. «Questa contraddizione tra il limite quantitativo e l’illimitatezza qualitativa del denaro risospinge sempre il tesaurizzatore al lavoro di Sisifo dell’accumulazione. Al tesaurizzatore succede come al conquistatore del mondo: la conquista di un nuovo paese è solo la conquista di un nuovo confine.»28 Il mito di Sisifo viene ripreso da Dante per il contrappasso degli avari in purgatorio.

Troppo bene si è rispecchiata in Ulisse la coscienza occidentale perché non facesse di lui un «eroe della conoscenza», ignorando la condanna dantesca. Ma perseguendo la conoscenza per se stessa, e per se stessi, Ulisse non incontra lo stesso scacco che incontra Faust alla conclusione-nuovo inizio della sua vita, quando ritiene di aver sprecato la sua vita e che «nulla si può conoscere?».

Ulisse per conoscere il mondo non ha paura di sfidare l’ignoto. Il destino vorrà la sua morte, ma altri dopo di lui avranno successo. Così è nato il mondo moderno. Ma, considerati gli esiti, era il viaggio di Ulisse necessario? Enormi problemi ed enormi rischi derivano dalla progressione all’infinito, il paradigma su cui viene a fondarsi la civiltà occidentale che rischia di devastare la Terra e di innescare uno scontro con le altre civiltà che oggi costituiscono il limite oggettivo di Ulisse, l’uomo occidentale. La Natura e l’Altro sono oggi il limite di Ulisse, il termine contro il quale si infrange la progressione all’infinito. Negare l’intero percorso della nostra civiltà, come dettato dalla sola follia, non ha utilità e non ha senso. Il percorso fallimentare di Ulisse ci indica la necessità di ritrovare i «sentieri interrotti» nel passato.

Ulisse è un prodigioso simbolo che intuisce uno sviluppo che allora era ancora in germe. La conoscenza tecnico-scientifica (incluse la tecnica di governo e la tecnica militare), insieme alla conoscenza della Terra seguita alle scoperte geografiche, permetterà alla civiltà europea un balzo in avanti rispetto alle altre civiltà. C’è da osservare, però, che è uno sviluppo dell’intera umanità, che verrà raccolto in modo casuale dalla civiltà europea, perché allora era in formazione. Basti ricordare che i numeri, la carta, la polvere da sparo non sono invenzione europea, ma strumenti di cui essa si appropria.

Massimo Cacciari in un’intervista si chiedeva retoricamente: la civiltà europea ha seguito la strada di Enea o quella di Ulisse? Dante veder in anticipo il fallimento di civiltà insito nel dominio della cupidigia, lo vede nell’esplosione degli odi inconciliabili tra fazioni e tra città, che aveva causato il fallimento della civiltà cumunale, con-dannata interamente all’Inferno. Dopo la società comunale, il testimone storico, nella civiltà europea in formazione, passava ai regni (già con-dannati da Dante per la medesima cupidigia), mentre lo «maladetto fiore» , ovvero l’accumulazione capitalistica fiorentina e delle altre città italiane, finanzierà la prima delle guerre secolari tra Francia e Inghilterra, che accompagneranno il lungo parto abortito dell’Europa moderna. I Bardi e i Peruzzi, principali bancheri fiorentini, nel 1340 perderanno il capitale prestato al re d’Inghilterra, causando il fallimento a catena delle attività a loro collegate, e una grave crisi economica a Firenze (la prima crisi economica in senso moderno). Il capitale originario delle città italiane, si trasferirà, accumulandosi da egemone ad egemone. All’egemonia del fiorino subentrerà quella di altre monete, ma il simbolo del dollaro conserva ancora oggi la volontà di superare le Colonne d’Ercole. La derivazione indicata come più probabile della $ (il simbolo originale aveva due stanghette) deriva dalle due colonne avvolte da un nastro con la scritta «Plus ultra» raffigurati nel cosiddetto dollaro spagnolo. Secoli di conflitti egemonici nell’ambito del mondo europeo-occidentale, che hanno causato continue rivoluzioni nell’ambito dell’organizzazione del lavoro, dello Stato, e della Tecnica, senza che nessuno Stato sia stato in grado da funzionare da principio ordinatore, fino all’esplosione finale della civiltà europea in due guerre mondiali. Il tutto all’interno di una progressiva accelerazione della storia che assomiglia alla caduta di un peso.

Ulisse è simbolo della progressione all’infinito, che comporta il continuo superamento dei limiti, ovvero il paradigma su cui viene a fondarsi la civiltà europea-occidentale. Devo rimandare alla I parte per il complesso rapporto tra grecità e romanità che si gioca intorno alla dismisura di Alessandro Magno, quale uno dei volti di Ulisse. Non è senza motivo che Dante scelga proprio un eroe greco per affermare, in negativo, quel principio della misura quale valore che maggiormente caratterizza il pensiero di Aristotele, e la cultura greca29.

Cos’è il senso del limite? Il ceppo posto dalla divinità davanti all’uomo per provocarne il superamento? Nel caso di Ulisse non è tanto il superamento delle Colonne d’Ercole, ma questo ulteriore viaggio, quando lui e i suoi compagni sono oramai vecchi e tardi, per vedere «il mondo sanza gente». Più che una sfida alla divinità, sembra il gesto folle, senza senso, di chi ha perso il senso della misura e della finitudine umana.

Ulisse non può che protrarre fino alle fine la stessa operazione, la scoperta di una nuova terra, da addizionare alla precedente. Avendo smarrito il fine terreno, che per Aristotele è anche un termine, non può che proseguire all’infinito, finché la sua finitudine di essere umano non metta la parola fine. Erano davvero per Dante, cristiano, le colonne un limite posto da Dio? Ai suoi tempi erano già state superate, come scriveva il suo maestro Brunetto Latini30. Le Colonne d’Ercole, mito pagano, non potevano avere per Dante un significato religioso, sono piuttosto un simbolo della necessità che le azioni umane abbiano uno scopo concreto, che costituisce anche un termine per l’azione stessa (Aristotele). L’agire di Ulisse non ha questo termine, il termine è il termine stesso, il continuo superamento, una terra, poi un’altra e un’altra ancora, finché incontra il limite, nella natura esterna, oppure nella nostra natura di esseri umani mortali, per questo Dante mette ben in chiaro che Ulisse è vecchio quasi decrepito. Andando sempre più oltre infine inevitabilmente ci si scontra con il limite. Il «trapassare del limite» (simbolico delle Colonne d’Ercole) ha il significato della perdita del senso della finitudine umana.

Smarrito il fine concreto in cui l’azione umana deve andare a concludersi, e spostandosi la finalità sul mezzo, l’azione effettua, in un loop infinito, la ripetizione della stessa azione.

Ulisse è come Don Giovanni del libretto di Lorenzo Da Ponte. A Don Giovanni non interessa che la nuova conquista sia alta o bassa, bruna o bionda, ricca o povera, basta che faccia numero, da annoverare nel catalogo tenuto da Leporello, a testimonianza della sua smisurata potenza sessuale. Come quella di Don Giovanni, quella di Ulisse è una tragicommedia. Don Giovanni non ha paura, non si tira indietro quando la statua del Commendatore lo invita a cena, contrappuntata dai commenti comici di Leporello. Provando a liberarci delle stratificazioni culturali createsi intorno alla figura di Ulisse, questo vegliardo ormai agli ultimi anni della vita che si mette in mare e incita i compagni ad andare a visitare la «terra senza gente», ci ricorda il vecchio che vorrebbe comportarsi come se avesse il vigore sessuale della gioventù. Come detto nel canto successivo, Ulisse era nell’età in cui bisogna «tirare i remi in barca». Se non proprio ilarità il comportamento di Ulisse suscita l’idea di un comportamento insensato, e tale è per Dante il suo «folle volo».

A causa della mitizzazione (l’«eroe della conoscenza»), non si è voluta vedere la comicità nel «canto di Ulisse». Necessariamente Virgilio opera un inganno ai suoi danni, se si fosse presentato nei suoi veri panni, l’eroe greco, che come tutti i dannati conoscono quanto è accaduto dopo di loro (l’aveva spiegato Farinata), si sarebbe rifiutato di parlare con chi aveva espresso pessimi giudizi su lui nell’Eneide. Quindi Virgilio, l’unico a conoscere il greco, parla ad Ulisse, fingendosi qualcun altro, un greco, forse Omero, come deduceva il Tasso qualche secolo fa. È legittimo ingannare l’ingannatore, è un altro contrappasso, e senza inganno sarebbe fallito l’obiettivo di farsi dire com’era morto, Dante personaggio ne è curiosissimo. Se non basta questa deduzione, pur necessaria, allora sentiamo come Virgilio liquida Ulisse (vien detto nel canto successivo), dismettendo il tono aulico e rivolgendosi a lui in mantovano: «Istra t’en va più non d’adizzo». Ora vai, non voglio più aizzarti. Ma forse per rendere il tono dovremmo usare un’espressione volgare (alle quali il Poeta non era estraneo): vai ora, e non rompere più il c… Secondo Francesco de Sanctis, il comico di Dante non fa ridere, ma in questo caso, se abbiamo presente l’inganno di cui è vittima Ulisse, dobbiamo ammettere che un certo grado di comicità non manca.

Come non manca il tragico, Ulisse è un eroe che persegue coerentemente il suo principio interiore, va fino in fondo al suo destino, fino al limite ultimo. Ma allo stesso tempo il suo è un comportamento insensato, il suo è un «folle volo». Per questo al tragico si deve aggiungere il comico. Ulisse è la prima figura di ereo tragicomico, nel senso della coesistenza di comico e tragico.

Il desiderio di conoscenza per l’uomo non si estingue mai, questa è una convinzione che fa parte non solo di Dante e della cultura alta. Tra i centinaia di detti ereditati da mia madre della cultura contadina vi è quello secondo cui «la vecchia a cent’anni diceva che aveva ancora da imparare». Vi è però anche un’età in cui mettere a frutto l’esperienza, in particolare Ulisse è nell’età senile in cui l’uomo «alluma non pur sé ma gli altri», o meglio, dovrebbe, secondo il comportamento consono alle diverse età descritto nel Convivio (IV, 27), invece prevale il personale desiderio di conoscenza, di cui continua a bruciare, quindi dovrà bruciare in eterno all’Inferno31.

Con l’estensione dell’analisi aristotelica della cattiva crematistica, l’analisi dantesca si avvicina, anticipandola, alla critica hedeideggeriana della volontà di potenza. Tralasciando la ricostruzione della nascita della metafisica, la volontà di potenza che culmina con Nietzsche è essenzialmente assenza di scopo, essa non ha altro scopo se non il proprio accrescimento. Scrive Heidegger: «Non è il nulla ciò di fronte a cui la volontà indietreggia spaventata, ma il non volere, l’annientamento della sua propria possibilità essenziale». Per gli stessi motivi Ulisse non può indietreggiare fronte al limite estremo, oltre il quale vi è «il mondo sanza gente». Rappresentazione molto efficace del nichilismo. Nietzsche: «Che cosa significa nichilismo? Manca il fine, manca la risposta al perché». Ulisse essenzialmente manca del fine.

La massima vicinanza è laddove Dante definisce, nel già citato passo, la cupidigia di conoscenza come desiderio di desiderio (chi mira al numero impossibile da raggiungere «desiderebbe sempre sé desiderare»). Per Nietzsche «la volontà di potenza vuole se stessa – e nient’altro», e di conseguenza il suo continuo accrescimento. Per questo, secondo Heidegger, la volontà di potenza è volontà di volontà32.

Il motivo per cui la critica della volontà di potenza di Heidegger così ben si adegua alla figura di Ulisse è più di una singolare coincidenza, considerato che il filosofo tedesco non risulta fosse un estimatore della Commedia, ma l’indicazione che entrambi hanno un trattato delle stesse questioni di fondo della cultura occidentale. La scienza, «la conoscenza in generale, sono una forma della volontà di potenza», ma «giunti ad avere nella storia dell’Occidente una potenza essenziale» 33 Nella Monarchia «la più alta facoltà dell’umanità è la facoltà o potenza intellettiva.» Per questo la perversione di questa facoltà ad opera della cupidigia è la forma più elevata di cupidigia.

La volontà di potenza nella Divina Commedia è incarnata da Dio («vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole»). La colpa di Ulisse è di voler essere come Dio. La divina volontà di potenza è ancora argine alla umana volontà di potenza. Con la «morte di Dio», inevitabilmente seguita alla sua umanizzazione, l’argine crolla.

Il cristianesimo fonda quell’identità tra volontà ed essere, e quindi l’identità tra volontà e potenza, cioè la potenza di portare ad essere quanto è nella mente del Creatore, come espresso dal celeberrimo passo appena citato.

«Quando Tommaso identifica in Dio essenza e volonta {“Est igitur voluntas Dei ipsa eius essentia”: Contra Gentiles, lib. 1, cap. 75, n. 2), egli non fa in realta che spingere all’estremo questo primato della volontà. Poiché ciò che la volonta di Dio vuole e la sua stessa essenza (“principale divinae voluntatis volitum est eius essentia”: ibid., lib. 1, cap. 74, n. 1), cio implica che la volonta di Dio vuole sempre se stessa, e sempre volontà di volontà. »

Secondo Giorgio Agamben, il concetto moderno di volontà è essenzialmente estraneo alla tradizione del pensiero greco e si forma attraverso un lento processo che coincide con quello che porta alla creazione dell’io.

Perché nasca l’oikonomia è necessario che il mondo sia frutto della Creazione e quindi determinato dalla volontà del Creatore. In generale il passaggio costituito dal cristianesimo e dalla filosofia medievale viene poco considerato da Heidegger, l’analisi di Agamben risulta quindi integrativa per il nostro discorso, soprattutto per quanto riguarda il rapporto tra la volontà di potenza e l’oikonomia che si afferma con il cristianesimo.

«Alla domanda “perché Dio ha fatto il cielo e la terra?”, Agostino risponde: “quia voluit”, “perché così ha voluto” (A u g ., Gen. Man., 1, 2,4). E secoli dopo, al vertice della scolastica, l’infondabilità della creazione nell’essere è chiaramente ribadita contra Gentiles da Tommaso: “Dio non agisce per necessitatem naturae, ma per arbitrium voluntatis” {Contra Gentiles, lib. 2, cap. 23, n. 1). La volontà è, cioè, il dispositivo che deve articolare insieme essere e azione, che si sono divisi in Dio. Il primato della volontà, che, secondo Heidegger, domina la storia della metafisica occidentale e giunge con Schelling e Nietzsche al suo compimento, ha la sua radice nella frattura fra essere e agire in Dio ed è, pertanto, fin dall’inizio solidale con l’oikonomia teologica»34.

Il peccato di Ulisse è voler acquisire una volontà di potenza che è propria di Dio. Ulisse di Dante, eroe cristiano nel suo essere individuo, è espressione della natura contraddittoria del cristianesimo che è stato tanto generatore della volontà di potenza, quanto suo freno. D’altronde, questa contraddizione non è nella stessa Bibbia? Per quale motivo furono condannati Adamo ed Eva per aver mangiato dall’albero della conoscenza se essi erano stati fatti ad immagine e somiglianza di Dio?

Come scrisse Marx nelle Tesi su Feuerbach finora per quanto riguarda la conoscenza il «lato attivo è stato sviluppato, in modo astratto e in contrasto col materialismo, dall’idealismo, che naturalmente ignora l’attività reale, sensibile come tale». L’uomo non si limita a conoscere la realtà, l’uomo è creatore, crea il suo mondo con la sua attività. Il platonismo, il cristianesimo, l’idealismo sono stati espressione della facoltà creativa dell’essere umano, destinato naturalmente ad un diverso rapporto con la natura, che non gli ha fornito artigli per difendersi, arti adeguati alla corsa, una pelliccia per difendersi dal freddo e dal caldo. Che questo rapporto abbia portato l’essere umano, in primis occidentale, in rotta di collisione con la natura, non significa che debba essere rinnegato in toto.

La Commedia è una delle massime espressioni poetiche della divinizzazione dell’essere umano (pensiamo a come si conclude) insita nel creazionismo, che inevitabilmente comporta la scomparsa della trascendenza. Ciò che solo trascende l’essere umano è la natura infinita ed eterna che lo ha generato, e che non è stata creata da nessun Dio (Eraclito). Ma ne è stato allo stesso tempo l’autocritica, di cui l’Ulisse è la creazione più significativa. .

Nel cristianesimo dantesco la trascendenza della natura si presenta accoppiata con la sua antropomorfizzazione («Dio, l’eternitate e la prima materia»). Questo consente a Dante di con-dannare il viaggio di Ulisse che vuole essere simile a Dio, salvo poi realizzarlo con successo egli stesso grazie alla grazia (se mi passate il gioco di parole).

In conclusione del suo viaggio Dante incontra Dio, che non è altri che noi stessi. Il cristianesimo, la religione cede il passo alla divinizzazione dell’uomo, all’umanesimo scientifico. All’uomo religioso medioevale subentra l’uomo vitruviano di Leonardo, l’effige del Dio-Uomo inscritta nel cerchio e nel quadrato, commisurazione di infinito e finito, vista in conclusione del suo viaggio da Dante. Una storia che ha condotto, nei nostri giorni all’illusione, attraverso la Tecnica, di una completa padronanza del mondo. Ma Ulisse resta nell’Inferno ad ammonirci con il ricordo dell’inevitabile naufragio a cui conduce questa rotta.

Come ha scritto Emanuele Severino, l’inversione di mezzo e scopo prima di verificarsi nel denaro si verifica in ambito teologico, Gesù invece di essere tramite a Dio, diventa esso stesso scopo, così come il denaro invece che mezzo di scambio diventa scopo stesso dello scambio35.

Gli Dei nell’antica Grecia erano un tramite alla natura non generata e infinita, ma ad un certo livello di sviluppo della conoscenza umana sorge nell’essere umano (occidentale) l’illusione di potersi ergere al di sopra della natura, di diventarne il creatore, così come si era fatto creatore del proprio mondo umano. Questo ergersi dell’essere umano al di sopra della natura crea l’inversione di mezzo e scopo. Perso il senso del limite posto dalla Natura lo si perde anche nella società, così sorge l’illusione dell’oikonomia, l’illusione di poter amministrare l’intera società come se fosse la propria casa, che non fosse necessario gestire politicamente la natura umana (come ritiene Aristotele), ma che questa fosse determinabile e plasmabile a piacere.

Oggi indichiamo con il termine «economia» ciò che per Aristotele era la crematistica, ovvero l’arte di acquisire i beni e la ricchezza. Sebbene nella Politica la distinzione non è chiara, vi è una crematistica buona (i beni sono pur sempre necessari alla polis) fondata sul valore d’uso (più vicina scrive Aristotele all’amministrazione della casa, all’economia, in quanto questa fondata sul valore d’uso, ma non a questa identica) e in una cattiva che ha come fine l’accrescimento delle ricchezze nella forma monetaria, basata sul valore di scambio (ciò che successivamente abbiamo chiamato capitalismo). L’economia, per Aristotele, riguarda l’amministrazione della casa sulla base delle decisioni prese dal suo padrone e quindi non è soggetta a deliberazione politica. La crematistica invece riguarda l’intera collettività e quindi sarebbe soggetta a deliberazione politica. Che il singolare qui pro quo non sia casuale? Che vi fosse insito dal principio l’idea dell’amministrazione del mondo come fosse una casa proprietà di un padrone? In questa frattura tra essere e prassi determinata dal creazionismo sorge l’oikonomia divina, che secolarizzata porta all’idea di una completa amministrabilità del mondo. Proprio perché il mondo è plasmabile a piacere e non vi più alcun limite nella natura, sorge l’idea di una possibile crescita all’infinito della potenza economica. In breve, l’affermarsi di una sfera dell’oikonomia (mondo amministrato) è condizione necessaria per il perseguimento dell’illimimato, in quanto comporta la caduta dei limiti naturali che in precedenza erano da ostacolo. Il denaro, da quando aveva acquisito una nuova funzione ai tempi di Dante, non ha cessato di evolversi. Marx scriveva che l’anatomia della scimmia si può comprendere solo in base all’anatomia dell’uomo, per dire che talune strutture sociali si comprendono solo quando sono giunte alla loro piena formazione. Così possiamo analizzare in prospettiva la nuova funzione del denaro che nasce in Italia circa 7 secoli fa, vista da Dante nella Firenze del suo tempo. Oggi, con la virtualizzazione della moneta è possibile un enorme controllo sulla società, con un solo click sarebbe possibile, in un futuro non tanto lontano, tagliare a chiunque i mezzi di sussistenza (anzi è già stato fatto in Canada e Germania con taluni giornalisti «dissidenti» che si sono recati nel Donbass). Così si realizza il significato effettivo del termine economia, ovvero la gestione, l’amministrazione della società come se fosse una casa di proprietà del padrone. Il capitale è dall’inizio una nuova forma di potere sulla società che, insieme alla concentrazione del potere coercitivo nello Stato, consente, tra l’altro, l’abbandono della schiavitù perché si stabilisce un nuovo potere di controllo più efficace.

Il motivo per cui Dante risulta tra i classici più citati nel Capitale non è dovuto alla sola ammirazione artistica di Marx, ma viene, ritengo, da una affinità più profonda. Così come la via d’uscita dal vicolo cieco della società comunale italiana è verso un monarchia universalista oikonomica, in cui l’imperatore dantesco sopprimendo tutte le cupidigie, trasforma il mondo in una casa di sua proprietà, dove vige solo la sua volontà. Così nel comunismo marxiano la via d’uscita dal vicolo cieco della civiltà europea dopo la sconfitta di Napoleone è verso un universalismo oikonomico chiamato comunismo, dove si estingue la famiglia, lo Stato, i principali corpi intermedi. Motivo per cui Preve applicava giustamente al comunismo il concetto hegeliano di furia del dileguare. Critica che si applica ugualmente all’universalismo dantesco. Marx pensava come Dante che si dovesse porre fine all’illimitato (nell’economia, a differenza di Dante che lo riscontrava anche nella sfera del potere e della conoscenza), e che si potesse giungere con il comunismo ad una padronanza decisiva sulla società, una convinzione molto interna all’oikonomia. Engels ebbe solo il merito dell’enunciazione esplicita della sostituzione dello Stato con «l’amministrazione delle cose»36. Sia Dante che Marx partono da Aristotele, ma finiscono per negare quell’assunto fondamentale della Politica secondo cui i rapporti tra gli esseri umani nella polis devono essere governati politicamente, non si può estendere l’amministrazione della casa (oikonomia) all’intera polis. Dante quindi deve essere inseparabile da Machiavelli nella nostra cultura, figlio di Dante non solo per il modello della romanità (fu il poeta a rovesciare il primo a rovesciare il giudizio complessivamente negativo del cristianesimo sulla romanità), ma anche nella sua opposizione a lui quale pensatore del conflitto, ineliminabile, e quindi da gestire politicamente.

A ragione, Costanzo Preve in Storia alternativa della filosofia ritiene Marx, e Heidegger per la critica della volontà di potenza, i maggiori critici della società occidentale, ma allo stesso tempo rileva che condividono entrambi un medesimo eurocentrismo che proviene da Hegel. Solo Lenin contribuì a «diminuire l’occidentalismo marxiano», per il suo antimperialismo che fu dovuto più che altro all’intuito politico di Lenin, anzi sia Marx che Engels furono complessivamente favorevoli all’imperialismo inglese.

Bisognerebbe ricostruire una teoria filosofica e politica adeguata al mondo multipolare che tenga conto della presenza di altre civiltà, che superi il radicatissimo eurocentrismo (oggi occidentalocentrismo), ma allo stesso tempo radicata nella nostra non trascurabile eredità culturale, che stiamo letteralmente buttando via.

Al suo tramonto, abbiamo della civiltà europea-occidentale due critiche radicali (nel senso marxiano, che intendono andare alla radice del problema).

La critica dell’oikonomia da parte di Marx che però resta nell’ambito dell’oikonomia (anche in questo molto affine a Dante). La sua teoria resta fondamentale per l’analisi del capitalismo, ma non ha strumenti per definire il ruolo nella storia dell’identità culturale (civiltà). Dalle civiltà storiche derivano le principali potenze che contendono l’egemonia mondiale statunitense.

La seconda, è una critica della civiltà occidentale, la critica della volontà di potenza, ovvero il paradigma su cui viene a fondarsi la civiltà occidentale che si origina dalla «metafisica» di Platone, si estende dal cristianesimo, fino alla Tecnoscienza dei nostri giorni, trovando la massima espressione in Nietzsche. Assente la questione del rapporto con le altre civiltà, tale critica riguarda la salvezza della civiltà occidentale, che per un certo periodo coincide con l’egemonia mondiale della Germania, per poi lasciare spazio al pessimismo filosofico: «Non c’è più niente da fare, solo un Dio ci può salvare»

Il giovane filosofo Diego Fusaro37, nel libro La notte del mondo, ha cercato ciò che unisce Marx e HeideggerEcco, io vedo, andando all’indietro, una loro congiunzione in Dante. All’alba del mondo moderno, egli vede un’unica cupidigia, di ricchezze (il comportamento dell’avaro diventato norma sociale), di conoscenza, espressione dalla volontà di potenza di Ulisse, di potere (regnanti e papi), nell’imperialismo di Firenze mosso dalla sola cupidigia di ricchezze. Sì, Dante ha una cognizione dell’imperialismo, che nel marxismo verrà dopo Marx.

La visione dantesca sa contenere in sé sia la dimensione culturale, filosofica e religiosa sia la cruciale questione del sorgere dell’oikonomia.

In conclusione, ecco perché l’invettiva contro Firenze si trova in apertura del «Canto di Ulisse». La cupidigia o volontà di potenza unisce Firenze e Ulisse, cupidigia di cui quest’ultimo è espressione intellettuale. Il viaggio di Ulisse avviene all’insegna del «maladetto fiore», la logica con cui Ulisse compie il suo viaggio è la stessa dell’«avaro maladetto» che mira al «numero impossibile a giugnere». L’imperialismo fiorentino non è guidato dalla virtù romana, ma dalla brama illimitata di denaro e di possesso.

La filosofia dantesca è universalistica, la sua Monarchia è un impero universale. Possiamo dire che tutte le religioni e filosofie imperiali sono universalistiche, mirano per loro natura ad includere «tutti gli uomini», vale per il cattolicesimo, il cristianesimo ortodosso, l’islamismo, il liberalismo e il comunismo. Fu proprio per il suo indirizzo universalistico che il comunismo potè essere una sfida globale al liberalismo. Tuttavia, l’universalismo dantesco seppe contenere al suo interno il senso del limite. Le colonne d’Ercole sono un simbolo nato dall’antico limite naturale della civiltà greco-romana, prettamente mediterranea. Limite che i Greci varcarono con Alessandro Magno (uno dei volti di Ulisse, come abbiamo visto nella parte precedente) le cui conquiste segnarono la fine della civiltà greca, la cui eredità fu raccolta e salvata dai romani, i quali invece nel complesso, fra alterne vicende, convissero seppur in modo conflittuale, con l’impero partico. Con la modernità questo limite «naturale» è scomparso, ma ne è sorto uno nuovo nella presenza di altre civiltà dotate di armi atomiche. Dobbiamo imparare a riconoscere questo limite, se vogliamo con-vivere con le altre civiltà della Terra.

Ha davvero qualcosa di prodigioso la figura di Ulisse, in cui Dante ha saputo racchiudere e presentire tutto uno sviluppo successivo, reso possibile dalle scoperte geografiche e scientifiche, dall’espansione economica e imperialistica (contrapposta alla prassi imperiale di Roma). Ora che Ulisse, l’uomo occidentale, è giunto al limite estremo, deve decidere se proseguire nella rotta che lo porta al «mondo sanza gente», oppure ritornare a Itaca per rimettere ordine nella sua patria.

1« … è vero quanto notava Gorni: “l’Inferno dantesco è popolato di personaggi che recano il segno trino di una divinità negata”, a cominciare dalle tre fiere; dal ricordato Cerbero che con le tre teste che caninamente latrano e gli altri suoi tratti è la prima impressionante ‘figura’ di Lucifero, e proprio come lui è definito «il gran vermo» (Inf. VI, 22, e XXXIV, 108); da Gerione che al corpo umano aggiunge quello di leone, serpente e scorpione… tutti animali, dunque, variamente connotati della mostruosità alla quale apertamente si riallaccia Lucifero con quella cresta da drago alla quale convergono, al sommo della testa, le sue tre facce. Quanto al loro significato, ancora oggi può ben valere quanto chiosava Pietro di Dante: “ut in Deo est potentia, sapientia, et amor summus, sic in isto per oppositum est impotentia, ignorantia, et odium summum: et haec tria in tribus ejus capitibus significantur”» Enrico Fenzi, Lucifero, Academia.edu

2Giovanni Pascoli, Sotto il velame. Saggio di un’interpretazione generale del poema sacro. e-book

3V. voce Avaro, Enciclopedia Dantesca Treccani online

4Cfr. Gianfranco Contini, Dante come personaggio-poeta della “Commedia”. In Varianti e altra linguistica, Torino: Einaudi, 1970

5V. voce Superbia e superbi, in Enciclopedia dantesca Treccani online

6Per questo non c’è contraddizione tra la confessione a Beatrice della propria cupidigia e la confessione della propria superbia in Purg 13, 136-38

7Maria Gabriella Riccobono, Portar nel tempio le cupide vele, Academia.edu

8«Sulla base della notissima sentenza paolina “radix enim omnium malorum est cupiditas” (Tim 6, 10), l’avarizia, intesa in senso generale, ovvero, con Tommaso, come ogni desiderio smodato di ottenere qualsiasi cosa: “nomen avaritiae ampliatum est ad omnem immoderatum appetitum habendi quamcumque rem” (ST II-II, q. 118, a. 2co), oppure, con Agostino, come desiderio di possesso per amore di se e della propria eccellenza: “si avaritiam generalem intellegamus, qua quisque appetit aliquid amplius quam oportet, propter excellentiam suam, et quemdam propriae rei amorem”, diviene nel medioevo il principale peccato della cristianita, arrivando ad includere, assieme all’attaccamento ai beni materiali, anche la brama di potere, di onori e di sapere, e contendendo cosi alla superbia il primato di massimo vizio del settenario, come spiega ancora Tommaso sulla scorta della stessa sentenza paolina: “sic enim ex amore rerum temporalium omne peccatum procedit” (ST I-II, q. 84, a. 1). In quanto tale, l’avarizia, che e esecrata gia nelle Scritture come una vera e propria forma di idolatria, risulta essere “il vizio di cui si e scritto di piu per tutto il Medioevo”. Che la cupidigia domini il mondo non e dunque convinzione del solo Dante, che nel vizio incarnato dalla lupa pure riconosce nel canto proemiale la principale causa di perdizione dell’umanita, e quindi lo maledice, in quanto tale, non solo nella Commedia (al “maladetto lupo” del v. 8 si aggiunga la gia ricordata invettiva di Purg. XX, 10-12: “Maladetta sie tu, antica lupa / che piu di tutte l’altre bestie hai preda / per la tua fame sanza fine cupa!”), ma con pari veemenza gia nella canzone Doglia mi reca (vv. 78-80: “Maladetta tua culla… maladetto lo tuo perduto pane…”) e nella circostanziata analisi del vizio del Convivio (Conv. IV, xv, 8-9) “e in questo errore cade l’avaro maledetto…”».

Roberto Rea, La paura della lupa e le forme dell’ira (lettura di Inferno VII, Academia.edu

9«Cupidigia is a “super-vice”: an unbridled desire that is a composite of three of the sins of incontinence; it embraces excess desire for carnal pleasure, excess desire for food, and excess desire for money, honors, and advancement.» https://digitaldante.columbia.edu/dante/divine-comedy/inferno/inferno-12/

10Paolo Falzone, Dante e il mondo animale, Academia.edu

11Teodolinda Barolini, Multiculturalismo medievale e teologia dell’inferno dantesco, Dante: Rivista internazionale di studi su Dante Alighieri, Vol. 2 (2005)

12Teodolinda Barolini, Ora parrà di Guittone, Doglia mi reca di Dante e l’anatomia del desiderio nella Commedia, Academia.edu

13«Credo sia proprio questo il significato della lonza: l’oro, la ricchezza, e non la lussuria. Anche perché l’apparizione successiva dei tre animali sta ad indicare, oltre la gerarchica già considerata, un rapporto di causalità -Gorni (1995: 23-55), le cui preziose osservazioni tengo molto presenti, a questo proposito parla di metamorfosi della “bestia”-, e non vedo la relazione tra lussuria (almeno che non sia intesa nel suo significato latino di ‘vita lussuosa’) e il significato attribuito al leone (superbia) e alla lupa (cupidigia): la lussuria non genera superbia e non ha niente a che vedere con la cupidigia. Sì invece le ricchezze, dalle quali nasce la superbia: “ex divitiis nascitur superbia” (Alain de Lille: vox dives) e la cupidigia (cfr. Pg. XXII, 40-41: “Perché non reggi tu, o sacra fame / de l’oro, l’appetito de’ mortali?”), se si considera che è “un desiderio disordinato di possedere ricchezze” (S. Theol. II-II C.118 a.2), ma -come si è visto sopra- in un senso ampio era definita pure come un desiderio smisurato, non soltanto di danaro, ma anche di scienza (ibid.)».Carlos López Cortezo, Le promesse della filosofia. Analisi del proemio della Commedia, Academia.edu

14Per una buona e dettagliata discussione del rapporto tra Dante e il proto-capitalismo fiorentino v. Francis R. Hittinger, Dante as Critic of Medieval Political Economy in Convivio and Monarchia, https://academiccommons.columbia.edu/doi/10.7916/D87P962W/download

15E. Fenzi, Tra etica del dono e accumulazione. Note di lettura a Doglia mi reca ne lo core ardire, in Id., Le canzoni di Dante. Interpretazioni e letture, Le Lettere, Firenze 2017

16 Marx, K., Il capitale, Roma, Editori Riuniti, I, 1, p. 164.

17Vittorio Sermonti, Il purgatorio di Dante, Garzanti 2021, e-book

18«Agostino nel De libero arbitrio aveva cercato, senza grande successo, di risolvere il contrasto tra Vecchio (Ecclesiastico) e Nuovo Testamento (San Paolo) in modo diretto, attraverso una dilatazione, un allargamento del concetto di avarizia. Definendo quest’ultima come desiderio smodato e disordinato di ogni cosa (non necessariamente di solo denaro), Agostino interpreta la celebre frase di San Paolo come a significare la forza del bramare, e non tanto l’oggetto del desiderio (avarus, infatti, da aveo, è l’avido – non importa di che cosa). Lucifero cade per avarizia; non però per amore del denaro, bensì del potere. È questo un punto che verrà confermato successivamente da Gregorio Magno: «L’avarizia ha a che fare non solo col denaro ma anche con le alte posizioni; giustamente si parla di avarizia quando il prestigio è ricercato oltre misura». (Si tenga presente che era stato Girolamo a tradurre con cupiditas, da cui avaritia, il termine greco philargyria, che propriamente sta per “amore del denaro”. Come vedremo, tale slittamento semantico sarà poi all’origine di non poche incomprensioni ed equivoci).
Va da sé che dilatando in tal modo la nozione di avarizia, essa finisce con il coincidere di fatto con la superbia, che è appunto la ricerca ossessiva delle «alte posizioni». È per questo che il tentativo di mediazione operato da Agostino non avrà successo: esso non accontenta pienamente nessuno e soprattutto non è funzionale alle esigenze di stabilità dell’ordine sociale dell’epoca.»

Stefano Zamagni, AvariziaLa passione dell’avere. I 7 vizi capitali, Il Mulino, 2009, p. 15

«La superbia fu l’origine di tutti i mali; l’orgoglio di Lucifero fu il principio e la causa di ogni rovina. Questa era la visione di Agostino e tale rimase la concezione dei posteri: l’orgoglio è la fonte di tutti i peccati, che crescono da esso come il tronco dalla radice. Tuttavia accanto al passo biblico, che confermava questa opinione: “A superbia initium sumpsit omnis perditio”, ve n’era un altro: “Radix omnium malorum est cupiditas”. Pertanto si poteva considerare anche l’avidità come la radice di tutti i mali, poiché per “cupiditas”, che come tale non si trova nella serie dei peccati capitali, si intendeva qui “avaritia”, come era riferito anche in un’altra lezione del testo. E sembra che, soprattutto dal XIII secolo in poi, la convinzione che sia l’avidità sfrenata a corrompere il mondo scacci l’orgoglio dal suo posto di primo e più fatale dei peccati nel giudizio delle genti. L’antico primato teologico della superbia viene scalzato dal sempre più forte coro di voci che attribuiscono tutti i guai dei tempi alla sempre crescente avidità. Come l’ha maledetta Dante: la cieca cupidigia!»

Johan Huizinga L’autunno del medioevo, Roma, Newton Compton, 1992, p. 46

19E. Fenzi, Tra etica del dono e accumulazione, cit

20 « … lo scopo costituisce il fine, il quale è tale che non è in vista di un altro scopo, ma le altre cose sono in vista di esso, sicché, se c’è un fine ultimo, non si andrà all’infinito; ma se non c’è nessun fine ultimo, non ci sarà lo scopo. Coloro i quali ammettono l’infinito non si rendono conto che eliminano anche la natura del bene: eppure nessuno tenterebbe di fare nulla, se non avesse la prospettiva di pervenire a un limite. E non esisterebbe neppure intelligenza, perché chi ha intelletto agisce sempre in vista di qualche cosa, e questo è un limite: il fine infatti è un limite.
Ma non è neppure possibile ricondurre la definizione dell’essenza sostanziale a una definizione via via più dettagliata, perché il titolo maggiore di definizione ce l’ha la prima, nella serie che si otterrebbe, e non l’ultima, e se 20 non è definizione la prima, non lo è neppure la successiva. Inoltre coloro che sostengono questa dottrina eliminano anche il sapere scientifico, perché non è possibile conoscere prima di essere arrivati ai termini indivisibili. E non sarà possibile neppure la conoscenza, perché come è possibile pensare cose infinite in questo senso? Diverso è il caso della linea, che può essere divisa indefinitamente, ma che non può essere pensata, se non si arresta la divisione (e perciò non può contare le operazioni di divisione chi le prosegue all’infinito); ma è necessario pensare anche la materia in una cosa che si muove. E non può esistere nulla d’infinito: se esistesse non sarebbe infinito l’essere dell’infinito.
E non sarebbe possibile il conoscere neppure se le specie delle cause fossero di numero infinito, perché crediamo di conoscere soltanto quando conosciamo ciò che è causa; e non è possibile percorrere in un tempo finito ciò cui si possono aggiungere parti all’infinito». Metafisica II 2, ed. Utet, 2013

21Bruno Nardi, Dal convivio alla commedia, cit. p. 74

22«Niente di finito può quietare il desiderio dell’intelletto. E lo dimostra il fatto che l’intelletto, data una qualsiasi cosa finita, escogita qualche cosa che la sorpassa: data, p. es., una qualsiasi linea finita, può concepirne una più estesa; e lo stesso si dica dei numeri. Questa è appunto la ragione dell’infinita addizionalità dei numeri e delle linee geometriche. Ora, l’altezza e la virtù di qualunque sostanza creata è finita. Quindi l’intelletto delle sostanze separate non si acquieta per il fatto che conosce delle sostanze create, per quanto eminenti, ma col desiderio naturale tende a conoscere una sostanza di dignità infinita, quale è appunto la sostanza divina». Somma contra gentili, III, 50, ed. UTET, 1997

23: «His men, his “brothers,” now show their real relationship to Ulysses: it is an instrumental one. They are his oars». R. Hollander (Ed.), Dante Alighieri, Inferno, New York, 2002, p. 493

24Teodolinda Barolini, Multiculturalismo medievale … cit.

25«Questo dissidio tra due affermazioni, una apertamente mistica, l’altra tendenzialmente razionalistica, dissidio che riflette il carattere della cultura dantista nel Convivio, formata di elementi filosofici frammisti a elementi teologici, non ancora ben fusi tra loro, anzi spesso discordanti gli uni dagli altri, ucciderà la donna gentile come simbolo unitario della Filosofia, e condurrà, nella Monarchia, a una netta separazione della filosofia umana dalla dottrina rivelata.» B. Nardi, Nel mondo di Dante, cit. p. 228

26«Nella Commedia la prospettiva di Convivio, III, 15 è dunque ribaltata. Il desiderio naturale di sapere — diceva il trattato — deve poter conseguire già in questa vita la sua completa realizzazione, altrimenti sarebbe una potenza vana; ancorché naturale, il desiderio di sapere — afferma invece la terzina del Purgatorio — è recato all’atto da un agente sovrannaturale (la grazia): o in questa vita per speciale privilegio concesso da Dio (ed è in fondo il caso che Dante immagina per sé) o nella vita futura, allorché l’uomo che avrà ben meritato sarà ammesso a godere della visione beatifica. Tanto la tesi del Convivio si discosta da quella tomasiana, quanto il senso di questi versi le è invece omogeneo, sicché non sembra improprio sostenere, con Nardi (attraverso Tommaso), che nella Commedia «mortalis ista felicitas (…) ad immortalem felicitatem ordinatur».» P. Falzone, Desiderio della scienza …, cit. p. 251

27«Non è evidente che, esemplare perfetto dell’umano desiderio di sapere, e perciò della scienza e della connessa virtù, da quello, dal desiderio che lo possedeva e lo assoggettava a sé come al suo proprio destino, il personaggio era (se l’espressione non appaia enfatica) insieme condannato e, in senso specifico, salvato? Era salvato dalla forza medesima che lo condannava e che, per la sua irresistibilità, lo rendeva innocente. Era dannato perché, in questa peculiare situazione, innocente com’era nel prestare ascolto alla voce che lo soggiogava, da questa era spinto verso il luogo della sua catastrofe dove, “perduto” , scomparve.» Gennaro Sasso, Ulisse e il desiderio: Il canto XXVI dell’Inferno, Viella, 2011, p. 64

28K. Marx, Il capitale, cit. p. 185

29«Secondo Hegel, i Greci hanno “ad un tempo animato ed onorato il finito”. Animare il finito significa ovviamente rinunciare al concetto biblico-cristiano di creazione, e riconoscere al finito la capacità potenziale di automovimento e di direzione verso la propria finalità che il finito stesso contiene in sé (dynamei on). Onorare il finito significa cercare la perfezione non in un infinito smisurato ed indeterminato (apeiron, aoriston), ma proprio nel finito stesso, che è perfetto proprio perché è finito

Costanzo Preve, Per una storia alternativa della filosofia, Petite Plaisance, 2013, p. 155

30«Era in anticipo sui tempi, il progetto dei Vivaldi? Ma lo stretto di Gibilterra era stato già violato, e con successo. Non alludiamo semplicemente alla rotta in direzione nord, testimoniata da Brunetto Latini in un disteso passo del Tesoretto (vv. 1043-1062), che spira la superiore serenità dell’uomo colto. È persino arguto, Brunetto: le Colonne d’Ercole, ci assicura, sono state varcate, dopo la morte del semidio, da gruppi desiderosi di nuovi stanziamenti, che sono «oltre passati, / sì che sono abitati / di là in bel paese / e ricco per le spese». Dovrebbe essere, questa fiorente contrada, la Gran Bretagna. Evidentemente, risalire l’Atlantico alla volta di spiagge settentrionali non era, nella percezione del tempo, la violazione di un tabù. Lo era invece cercare, al di là delle Colonne, le sconosciute acque meridionali, le rive misteriose dell’Africa? Neanche la direzione sud, in verità, rimaneva vergine, la marineria italiana aveva preso a sondarla. Tant’è: nel 1291, la costa atlantica del Marocco veniva stabilmente vigilata da una flotta in armi agli ordini di un ammiraglio genovese. Lo scorcio finale del XIII secolo, insomma, schiudeva possibilità piuttosto che incentivare timori: la navigazione oceanica poteva apparire praticabile in ogni senso, almeno a ridosso di masse continentali; e, se praticabile, anche lecita. »
S. Cristaldi, Il richiamo del lontano, cit. p. 269

31Cfr. Mario Trovato, Il contrapasso nell’ottava bolgia, Dante Studies, No. 94 (1976)

32«La volontà umana “ha bisogno di una meta — e preferisce volere il nulla piuttosto che non volere” [Nietzsche]. Infatti la volontà, in quanto volontà di potenza, è: potenza di potenza, o, come possiamo dire ugualmente bene, volontà di volontà, volontà di rimanere al di sopra e di poter comandare. Non è il nulla ciò di fronte a cui la volontà indietreggia spaventata, ma il non volere, l’annientamento della sua propria possibilità essenziale. L’orrore del vuoto del non volere — questo « horror vacui » — è il “fatto fondamentale della volontà umana”. E proprio da questo «fatto fondamentale » della volontà umana, cioè che essa preferisce essere volontà del nulla piuttosto che non volere, Nietzsche ricava la prova della sua tesi che la volontà è, nella sua essenza, volontà di potenza.

La volontà in quanto volontà di volontà, è volontà di potenza nel senso dell’autorizzazione alla potenza». In quanto existentia essa sarebbe rappresentata dall’eterno ritorno dell’identico: “Poiché vuole l’ultrapotenziamento di se stessa, la volontà non si acquieta a nessun livello di vita, per elevato che sia. La volontà esercita la potenza nell’oltrepassamento del suo stesso volere. Essa ritorna costantemente a se stessa come uguale a se stessa”» .

M. Heidegger, La sentenza di Nietzsche “Dio è morto”, in Sentieri interrotti, tr. it. di P. Chiodi, La Nuova Italia, Firenze 1968, p. 218

« …che cosa intende Nietzsche stesso con il termine « volontà di potenza »? Che cosa significa volontà? Che cosa significa volontà di potenza? Queste due domande sono per Nietzsche un’unica domanda; infatti per lui la volontà non è altro che volontà di potenza, e la potenza non è altro che l’essenza della volontà. La volontà di potenza è allora volontà di volontà, cioè volere è volere se stesso. »

Heidegger, Nietzsche, Adelphi, 1994, p. 49

«Per che cosa si lotti è, pensato e auspicato come fine con un contenuto particolare, sempre di importanza secondaria. Tutti i fini della lotta e le grida di battaglia sono sempre e solo strumenti di lotta. Per che cosa si lotti è già deciso in anticipo: è la potenza stessa che non ha bisogno di fini. Essa è senza-fini, così come l’insieme dell’ente privo-di-valore. Questa mancanza-di-fini fa parte dell’essenza metafisica della potenza. Se mai qui si può parlare di un fine, questo fine è la mancanza di fini dell’incondizionato dominio dell’uomo sulla terra. L’uomo di questo dominio è il super-uomo (Uber-Mensch). (Ivi, p. 638).

33Ivi, p. 409

34G. Agamben, Il regno e la gloria, cit, p. 72

35La filosofia futura, Rizzoli, 1989 p. 69

36Al posto del governo sulle persone appare l’amministrazione delle cose e la direzione dei processi produttivi. Lo Stato non viene “abolito”: esso si estingue» (Engels, Antiduhring)

37 Riporto questo passo che maggiormente riguarda le questioni da me trattate:
«Sia che lo si chiami kapitalistische Produktionsweise, secondo la definizione di Marx metabolizzata dai suoi eterodossi allievi del Novecento, sia che lo si etichetti come Technik, in accordo con il lessico di Heidegger e dei suoi epigoni, il sistema della produzione mondializzata, nella sua anonima autoreferenzialità di un minaccioso dispositivo che signoreggia gli uomini, presenta una dinamica di sviluppo illimitata e illimitabile: marxianamente, il capitale persegue il telos del proprio incremento smisurato, proprio come, heideggerianamente, la tecnica rincorre lo scopo del proprio irrelato e insensato autopotenziamento, in una cornice di mero nichilismo antiumanistico, in cui il mercato diventa il solo valore direttivo.»

19

http://www.gennaroscala.it/

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Su PayPal è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (ho scoperto che pay pal prende una commissione di 0,38 centesimi)

1 65 66 67 68 69 154