Guerra ibrida ed eserciti in campo 1a parte_con Alessandro Visalli

Lo scontro militare in Ucraina sta sempre più assumendo le caratteristiche di un confronto a tutto campo tra Russia e Stati Uniti. Le apparenze dettate dalla propaganda e dall’enorme impegno del sistema mediatico narrano di una Russia isolata, impacciata nella sua autorevolezza e capacità di argomentazione, in stallo militarmente, completamente esposta alle sanzioni economiche e alla onnipotenza del sistema finanziario.L’Occidente in realtà rischia di rimanere vittima della propria propaganda. Nella realtà, gli spazi e le opportunità offerte da un mondo ormai multipolare offrono margini crescenti di azioni e di contromisure alle forze di fatto antagoniste sino a ritorcere e ad erodere l’efficacia degli strumenti più in voga del dominio statunitense; tra di essi quello finanziario. E’ una novità, ma non è una condizione inedita nella storia. Alessandro Visalli ci offre numerosi spunti in proposito. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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UNIVERSO E PLURIVERSO, di Teodoro Klitsche de la Grange

UNIVERSO E PLURIVERSO

Sullo scorcio del secolo scorso, appariva sicuro, a seguire la comunicazione imperante, che l’assetto del pianeta era avviato all’uniformità, dato che era diventato unipolare dopo l’implosione del comunismo e dell’U.R.S.S., onde l’unica potenza egemone erano gli U.S.A. Così la prospettiva che iniziava era che la politica – e il suo scenario – si trasformavano dal pluriverso, cui alcuni millenni di storia ci hanno abituati, all’universo. Una (sola) potenza egemone; uno il contesto (il pianeta globalizzato); una la conseguenza, la pace; una avrebbe dovuto essere la forma politica ossia la democrazia più liberal che liberale; una l’ideologia, il rispetto dei diritti umani; uno il nemico, chi a tanto bene si opponeva. E via unificando.

Poco tempo dopo, con l’attentato dell’11 settembre, tale costruzione già presentava vistose e sanguinarie falle: un’organizzazione più terroristica che partigiana aveva colpito duramente il territorio U.S.A. A parte l’incrinarsi (a dir poco) delle prospettive rosee, era evidente che il problema reale, che quelle avevano più che sottaciuto, occultato, era ciò che millenni di pensiero politico avevano considerato: le differenze tra gli uomini, il loro voler vivere in comunità (relativamente) omogenee, in spazi costituenti il limite (anche giuridico) tra interno ed esterno. Così chi afferma l’universo e l’uniformità non riduceva il numero dei (possibili) nemici, ma lo incrementava di tutti coloro che non concordavano né con l’egemonia di una potenza, né con quella di una forma politica, né di un uguale “tavola dei valori” per tutti i popoli del pianeta e via distinguendo.

Di guisa che quello che con espressione involontariamente strapaesana la stampa nazionale chiamava l’“ulivo mondiale” si è rivelato un moltiplicatore (o almeno un non-riduttore) di zizzania planetaria. Abbiamo avuto guerre etniche, partigiane, religiose oltre a quelle più “tradizionali” di competizioni per la potenza e l’appropriazione (politica ed economica).

A questo hanno contribuito due elementi, l’uno consistente in una regolarità politica, quindi ineliminabile: il conflitto. Da Machiavelli a Schmitt passando per Hobbes e (tanti) altri lotta, conflitto e amico-nemico sono stati considerati intrinseci alla natura umana. Per cui è impossibile eliminarli; ed è difficile ridurli, anche se non impossibile.

In fondo sia la teologia politica cristiana che il diritto internazionale westphaliano erano volti a realizzarlo. In particolare la riduzione dei legittimi contendenti agli Stati sovrani (justi hostes) diminuiva il numero di guerre limitando chi ne poteva far uso, garantendo così lunghi periodi di pace e comunque di guerre limitate (guerres en dentelles) alle nazioni europee. A ciò concorrevano altri precetti fondamentali del diritto pubblico (internazionale e interno): il monopolio della violenza legittima e della decisione politica, le frontiere (conseguenti al carattere territoriale delle comunità sedentarie), le distinzioni giuridiche (romanistiche) tra nemico e criminale e carattere pubblico della guerra. Il diritto di ciascuna comunità di vivere secondo le proprie scelte e consuetudini, ovviamente all’interno del proprio territorio, ne garantiva il pluralismo ed il rispetto da parte delle altre.

L’universo non è in linea con tale metodo sperimentato nella storia, che è poi, come scriveva de Maistre, la politica applicata. Buona parte dell’armamentario di propaganda spiegato, da ultimo (ma non solo) nella guerra russo-ucraina è il contrario di quanto efficacemente praticato in qualche secolo di storia d’Europa. Il nemico è un “criminale, macellaio, pazzo”. Le sue pretese sono quelle di un malato grave, a Putin hanno fatto anche delle visite psichiatriche via televisione con diagnosi tutte infauste (dal tumore alla demenza).

Il fatto che quanto fatto da Putin somigli assai alla politica dei suoi predecessori negli ultimi secoli (da Pietro il grande a Caterina la grande passando per Alessandro I e II, Nicola I), rivolti a guerreggiare per acquisire la supremazia nel (e intorno al) Mar Nero, può avere due risposte: o che, per interessi, in primo luogo geopolitici, la Russia tende a conquiste ed accessi ai “mari caldi” tra cui in primis, il Mar Nero, e di tale tendenza occorre tener conto; ovvero che la Russia da Pietro il Grande ad oggi è stata governata per gran parte dalla sua storia, da dementi (tuttavia due dei quali fregiati dagli storici con l’appellativo di “grande”). La lotta sarebbe tra democrazia contro autoritarismo – argomento che ricorda assai quello del “mondo libero” contro il “totalitarismo comunista” – solo che nel primo caso, aveva fondamenti ben più seri. L’autoritario è ovviamente Putin (ma anche Erdogan, Xi-Jin-Ping, Orban, Modi ecc. ecc.). Dimenticando che, se per difendere la democrazia fosse necessario propiziare la guerra a Russia, Cina, India, ecc. ecc., il confronto risulterebbe assai problematico. Argomenti che hanno tutti i connotati comuni: a) di non riconoscere l’avversario come nemico giusto; b) di considerare le frontiere come intollerabile limite d’influenza; c) e di discriminare essenzialmente in base a “tavole di valori” nelle quali i “diritti umani” rivestono un ruolo fondamentale.

Ora se è vero che vivere in una democrazia liberale (reale, meno in quelle parlate come purtroppo – in parte – è l’Italia) è molto meglio che vivere in uno Stato autoritario e forse anche in una democrazia illiberale, è parimenti vero che altro è tenersi il proprio modo di esistenza e rispettare quello degli altri, altro è cercare di esportarlo con inopportune ingerenze, e ancor più con guerre (dirette o per procura).

Ancor più quando il fondamento è la diversità di valori, la cui conseguenza è, come scriveva Schmitt, che valorizzarne alcuni significa comunque dis-valorizzare altri, collocarli in una “scala” da quello superiore a quello inferiore. E quindi discriminare coloro che condividono quelli “in basso”..

Come sosteneva Max Weber la competizione tra valori crea una lotta dove non è possibile “nessuna relativizzazione e nessun compromesso”. Onde Schmitt riteneva: “la teoria dei valori celebra i suoi trionfi… nel dibattito sulla questione della guerra giusta” perché crea così il nemico assoluto “Il non valore non ha nessun diritto di fronte al valore, e nessun prezzo è troppo alto per la imposizione del valore supremo”[1].

Soprattutto per questo il pluriverso è preferibile all’universo – in politica, e specialmente nei rapporti tra popoli. E l’inclusione dell’orbe nell’urbs, capacità di cui i Romani erano maestri, richiede secoli e rispetto delle differenze. Tempo carente ed attitudine assente tra i globalizzatori. Onde il pluriverso, fondato sul rispetto della diversità tra i popoli, possiede un’attitudine pacificatrice superiore all’ “alternativa” universalista.

Teodoro Klitsche de la Grange

 

[1] E prosegue: “Tutte le categorie del diritto di guerra classico del jus publicum europaeum – nemico giusto, motivo di guerra giusto, proporzionalità dei mezzi e condotta conforme alle regole, debitus modus – cadono vittime, inesorabilmente, di questa mancanza di valore”, v. Carl Schmitt, La tirannia dei valori, A. Pellicani Editori, Roma 1987, p. 72.

La sindrome dell’Onnipotente_a cura di Roberto Buffagni

Il dono della sintesi. In cinque minuti e ventitre secondi il professor John Mearsheimer descrive la traiettoria strategica degli Stati Uniti dalla loro nascita ad oggi. Gli Stati Uniti come lo stato più potente e aggressivo della storia moderna, che diviene l’egemone dell’emisfero occidentale e categoricamente non tollera MAI l’esistenza di altri peer-competitors e anzi li spazza via uno dopo l’altro.

Oggi, il peer-competitor degli Stati Uniti è la Cina. L’attuale decisione strategica americana, confermata ufficialmente dai Ministri della Difesa e degli Esteri nella recente visita a Kiev, ribadita dal Presidente Biden nella successiva riunione straordinaria NATO di Ramstein, è di incapacitare politicamente la Russia, ossia di frammentarla, per indebolire la Cina e poi rivolgere la propria attenzione contro di essa.

La Cina è l’obiettivo principale perché solo la Cina dispone dei requisiti di potenza (demografia, economia, potenziale militare in fieri) necessari per divenire l’egemone regionale nell’ Asia, come egemone dell’emisfero occidentale sono gli Stati Uniti d’America.

Già oggi la Cina dispone di una potenza latente (economica) superiore alla potenza latente americana; per di più, la Cina è in grado di produrre tutti i beni tipici delle quattro rivoluzioni industriali, mentre la manifattura americana, in larga misura delocalizzata, non lo è. Quindi, una alleanza tra la Cina e la Russia, con il vastissimo bacino siberiano ricco di materie prime e un arsenale nucleare modernissimo, suona la campana a morto per l’egemonia mondiale statunitense.

Le opzioni strategiche, per gli Stati Uniti, erano due: la prima, trovare un modus vivendi con la Russia, progressivamente avvicinarsela staccandola dalla Cina della quale è avversario naturale (4500 km di frontiere in comune), e allentare la propria egemonia sull’Europa: la Russia, comunque, non dispone dei fondamentali di potenza sufficienti a egemonizzare l’Europa, e non ne disporrà mai finché non riuscirà a invertire la dinamica demografica, sviluppare l’economia a ritmi cinesi, creare FFAA convenzionali abbastanza numerose e qualitativamente adeguate per un progetto espansionistico, imprese tutte che richiedono almeno vent’anni di sforzi coronati da successo.

La seconda, affrontare insieme Russia e Cina, iniziando dalla Russia, l’anello più debole. Logorare la Russia con una guerra interminabile in Ucraina, nella quale si riversino truppe polacche, rumene, baltiche; accendendo focolai di ostilità in tutti i luoghi sensibili per la Russia, Balcani, Medio Oriente, Artico; fomentando separatismi interni alla Federazione russa; ostacolando l’economia Russia con sanzioni durissime che pesano anzitutto sui paesi europei. Al contempo, contenere la Cina nella sua zona d’influenza immediata, dove è improbabile che l’avversario tenti un’espansione perché le sue FFAA non sono ancora in grado di competere con la potenza aeronavale statunitense. Frammentata la Russia, impadronirsi indirettamente delle risorse siberiane russe, creare un blocco occidentale atlantico che giunga fino a Vladivostok, e un blocco occidentale pacifico composto da Australia, Giappone, Corea del Sud che stringa la Cina in un accerchiamento su due fronti. Di qui, potrebbe iniziare il rollback della Cina, e gli Stati Uniti potrebbero riconfermare ed estendere la loro egemonia mondiale.

Gli Stati uniti hanno scelto questa seconda “Grand Strategy”. Non si tratta di una strategia prudente, per usare un understatement. I rischi che essa fallisca ed esponga l’intero blocco occidentale, anzitutto l’Europa, a contraccolpi terribili, persino annichilenti, sono manifesti.

Ma come dice Mearsheimer, gli Stati Uniti sono lo Stato più potente e aggressivo della storia moderna. Oggi, la loro supremazia è in forse, e non sono disposti a rinunciarvi, costi quel che costi: specialmente agli altri. A noi italiani, a noi europei, per esempio._Roberto Buffagni

 

https://youtu.be/9qNDDYu9I3A

 

 

I paraocchi ideologici dell’America e la guerra in Ucraina, di gilbert doctorow

Paraocchi ideologici impediscono una corretta valutazione da parte degli Stati Uniti dei successi russi nella guerra in Ucraina, dei probabili esiti e di cosa fare ora

L’edizione di ieri del principale notiziario della domenica sulla televisione di stato russa, Vesti nedeli , condotto da Dmitry Kiselyov, ha segnato un punto di svolta in ciò che i russi stanno dicendo ufficialmente sui loro successi sul campo in Ucraina. Mi ha fatto pensare al motivo per cui Washington sta sbagliando tutto e come i paraocchi ideologici americani possono portare a conseguenze molto sfortunate a livello globale.

Finora, le notizie russe sono state molto tranquille sulle conquiste militari del paese in Ucraina. I briefing quotidiani del portavoce del ministero della Difesa Igor Konashenkov hanno fornito solo dati sintetici su aerei, carri armati e altri veicoli corazzati, centri di comando in Ucraina distrutti dai missili russi di alta precisione più i nomi delle città che sono state prese, senza approfondire la loro strategia o altro valore. Per il resto, la programmazione televisiva russa ha mostrato solo i danni inflitti quotidianamente dalle forze ucraine alla città di Donetsk e alla sua periferia dall’artiglieria e dagli attacchi missilistici Tochka U. C’è un numero costante di case distrutte, ospedali, scuole e perdite di vite civili. Il senso di questa programmazione è chiaro: spiegare ancora e ancora al pubblico russo perché siamo lì.

Il News of the Week di ieri ha dedicato più di 45 minuti alle operazioni militari russe a terra. Il messaggio è cambiato rispetto a ciò che stiamo facendo lì.I telespettatori sono stati guidati dalla squadra di giornalisti della zona di guerra Rossiya attraverso le foreste e i campi distrutti dell’oblast di Kharkov nell’Ucraina nord-orientale, nonché nelle parti appena liberate della Repubblica popolare di Donetsk. Le riprese da un veicolo blindato fuoristrada, ci hanno mostrato chilometri di distese di carri armati ucraini bruciati e altri equipaggiamenti militari pesanti, nonché dozzine e dozzine di cadaveri di soldati ucraini “uccisi in azione” e lasciati a marcire dalla loro rapida ritirata compagni e disertori. Poi sono arrivate le interviste ai prigionieri di guerra ucraini, i cui volti e parole raccontano una storia molto diversa dagli eroici encomium piovuti da Zelensky e dal suo entourage. Infine,

Tratterò brevemente ciascuno di questi segmenti dal News of the Week di ieri sera. Ma prima, permettetemi di offrire due generalizzazioni generali.

In primo luogo, l'”operazione militare speciale” russa è una macina che macina lentamente ma macina bene. Funziona. I russi stanno schiacciando le forze ucraine. È improbabile che qualsiasi quantità di consegne di equipaggiamenti stranieri a Kiev possa fare la differenza sull’esito di questo conflitto. In effetti, mentre i critici dell’intervento guidato dagli Stati Uniti nel conflitto affermano, correttamente, che le consegne stanno prolungando la guerra incoraggiando Kiev a continuare a combattere, è anche vero che i russi non hanno problemi a riguardo: più va avanti , più territorio possono conquistare, al fine di controllare e infine annettere l’intero litorale del Mar Nero. In tal modo assicurerebbero che ciò che sopravvive dello stato ucraino non possa mai più rappresentare una minaccia militare per la Russia, con o senza l’aiuto della NATO.

In secondo luogo, l’esercito ucraino ha davvero ufficiali addestrati dalla NATO e professionisti qualificati che possono essere combattenti ammirevoli, come insistono i media occidentali. Ma ha anche molta carne da cannone. Per carne da cannone intendo le reclute più anziane convogliate nelle forze armate e anche i volontari che sono inutili per qualsiasi esercito moderno e non sono più addestrabili. La maggior parte dei prigionieri di guerra mostrati dalla televisione russa avevano tra i 50 ei 60 anni; non avevano precedenti esperienze militari. A uno di questi ultimi, con la faccia smunta e la barba ispida fino al petto, è stato chiesto perché si fosse arruolato per combattere. La risposta è tornata: “Non c’era lavoro. Quindi mi sono iscritto solo per fare un po’ di soldi”. Dopo aver visto i loro compagni uccisi a colpi di arma da fuoco, c’è da meravigliarsi che tali soldati alzino le braccia per arrendersi alla prima occasione? 

La domanda che non viene posta è: dove sono tutti i giovani e abili maschi ucraini? Come hanno evitato la bozza? Data la corruzione ampiamente riconosciuta nel governo e nella società ucraini, non sarebbe strano se alcuni si limitassero ad uscire dalla guerra? Sono tra i 5 milioni di ucraini che sono andati all’estero dall’inizio delle ostilità? Sono loro che ora guidano la loro Mercedes costosa con targa ucraina per le strade di Amburgo? Chi in Occidente registra questo o se ne preoccupa davvero?

La testimonianza dei prigionieri di guerra mostra che furono fuorviati dai loro ufficiali. Gli è stato detto che i russi li avrebbero semplicemente massacrati se avessero mostrato la bandiera bianca. La testimonianza delle diverse donne che camminarono verso la libertà dalle catacombe dell’Azovstal supporta la versione ufficiale russa della situazione lì: furono intimidite dai guerrieri nazionalisti che le usarono come scudi umani. Sono stati nutriti a malapena e sono stati avvertiti che la via d’uscita era minata in modo che sarebbero morti in ogni tentativo di fuga.

L’avanzata dei russi sul terreno mentre terminano i preparativi del calderone o l’accerchiamento totale della maggior parte delle forze ucraine nel Donbas è lenta, solo un paio di chilometri al giorno. Il motivo era chiaro dalla segnalazione di ieri sera: a parte i campi aperti e le foreste di cui sopra, gli ucraini si trovano in bunker ben fortificati che hanno costruito negli ultimi otto anni e si trovano in mezzo a piccole città dove devono essere ripulito strada per strada, casa per casa. Bombardamenti a tappeto o bombardamenti illimitati provocherebbero pesanti perdite di vite umane tra la popolazione civile, molti dei quali sono di lingua russa, proprio le persone che i russi stanno cercando di liberare.

Il ragionamento alla base della Via della Guerra Russa in Ucraina è stato del tutto trascurato o respinto a priori dalla Washington ufficiale. I media americani e politici di alto livello parlano solo dei presunti problemi logistici della Russia e della scarsa attuazione dei suoi piani di guerra. Non è così perché i consiglieri di Biden sono scervellati. È così a causa dei paraocchi ideologici che l’intero sistema di politica estera negli Stati Uniti indossa. L’ideologia può essere chiamata idealismo (wilsoniano). È in contrasto con il realismo, che è sposato da una piccola minoranza di accademici americani.

La distinzione non sono semplici parole. È così che vengono analizzate le questioni di politica estera. Si tratta della creazione negli Stati Uniti di un mondo post-fattuale che potrebbe anche essere chiamato un mondo virtuale. 

L’idealismo in politica estera si basa sul presupposto che i principi universali modellano le società ovunque. Ignora sistematicamente le peculiarità nazionali, come la storia, la lingua, la cultura e la volontà. Al contrario, il realismo si basa proprio sulla conoscenza di tali specificità, che definiscono gli interessi e le priorità nazionali.

In queste condizioni, gli studiosi di think tank negli Stati Uniti possono sedersi davanti ai loro computer e scrivere le loro valutazioni del proseguimento russo della guerra in Ucraina esclusivamente su ciò che loro, gli americani e i loro alleati, farebbero se dirigessero il russo sforzo militare. Avrebbero combattuto alla maniera americana, il che significa un inizio con “shock e timore reverenziale” seguito da una vasta distruzione di tutto ciò che si trovava sulla via della loro marcia sulla capitale dello stato nemico per ottenere la capitolazione totale in breve tempo. Il ragionamento degli uomini al Cremlino non li interessa. Da qui la conclusione completamente sbagliata che i russi stanno perdendo la guerra, che la Russia non è la forza militare forte che temevamo,

Lo stesso problema dell’approccio del “mondo virtuale” emerge ora nella discussione tra gli esperti americani sulla probabilità che Putin utilizzi armi nucleari tattiche in Ucraina e su come dovrebbe rispondere l’Occidente guidato dagli Stati Uniti. È esclusa la possibilità che i russi stiano vincendo e non abbiano bisogno di soluzioni estreme. È esclusa la possibilità che soluzioni non nucleari come i bombardamenti a tappeto possano essere applicate se i russi fossero davvero ostacolati.

L’ultima variazione sulla possibile escalation della Russia verso la terza guerra mondiale utilizzando armi nucleari tattiche è una reazione alla vaga minaccia del presidente Putin di una risposta “fulminea” a qualsiasi segno che le potenze occidentali diventino cobelligeranti con le loro azioni a sostegno dell’Ucraina. Curiosamente, si riteneva che la minaccia significasse precisamente attacchi nucleari tattici, non il lancio dei nuovi missili balistici intercontinentali ipersonici Sarmat e in grado di eludere l’ABM, o l’invio del drone d’altura Poseidon per spazzare via Washington, DC in un’esplosione nucleare causata da un’onda di marea . In ogni caso, l’assortimento di nuovi devastanti sistemi d’arma a disposizione della Russia sembra essere ignorato dai nostri esperti di politica. Si sono stabiliti su uno solo, su cui speculano all’infinito.

La bolla del mondo virtuale in cui esiste e prospera la comunità della politica estera statunitense è un disastro che aspetta di accadere. Chi ascolterà il campanello d’allarme di John Mearsheimer e dei pochi esperti di politica che sostengono lo standard della Realpolitik?

©Gilbert Doctorow, 2022

https://gilbertdoctorow.com/2022/05/02/americas-ideological-blinkers-and-the-ukraine-war/

UCRAINA: Il vero Zelensky_di Natylie Baldwin

Natylie Baldwin intervista l’accademica Olga Baysha sul presidente dell’Ucraina, un ex attore televisivo che è diventato, dall’inizio della guerra, una celebrità di primo piano negli Stati Uniti

Di Natylie Baldwin
The Greyzone

Un attore comico che è salito alla carica più alta del paese nel 2019, Volodymyr Zelensky era praticamente sconosciuto all’americano medio, tranne forse come un  piccolo attore  nel teatro dell’impeachment dell’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump.

Ma quando la Russia ha attaccato l’Ucraina il 24 febbraio, Zelensky è stato improvvisamente trasformato in una celebrità di primo piano nei media statunitensi. I consumatori di notizie americane sono stati bombardati dalle immagini di un uomo che  sembrava  sopraffatto dai tragici eventi, forse sopra la sua testa, ma alla fine comprensivo. Non ci volle molto prima che quell’immagine si evolvesse nell’eroe instancabile vestito color cachi che governava su una piccola democrazia scadente e da solo allontanava i barbari dell’autocrazia dall’est.

Ma oltre a quell’immagine mediatica occidentale accuratamente realizzata c’è qualcosa di molto più complicato e meno lusinghiero. Zelensky è stato eletto dal  73%  dei voti con la promessa di perseguire la pace mentre il resto della sua piattaforma era vago. Alla vigilia dell’invasione, tuttavia, il suo indice di gradimento era sceso al  31%  a causa del perseguimento di politiche profondamente impopolari.

L’accademica ucraina Olga Baysha, autrice di  Democracy, Populism, and Neoliberalism in Ukraine: Ai margini del virtuale e del reale , ha studiato l’ascesa al potere di Zelensky e come ha esercitato quel potere da quando è diventato presidente.

Nell’intervista qui sotto, Baysha discute dell’abbraccio di Zelensky al neoliberismo e al crescente autoritarismo, di come le sue azioni abbiano contribuito alla guerra in corso; la sua leadership controproducente e egocentrica durante la guerra, le complesse opinioni e identità culturali e politiche degli ucraini, il partenariato tra neoliberisti e destra radicale durante e dopo la rivolta di Maidan e se un’acquisizione russa dell’intera regione del Donbass potrebbe essere meno popolare tra la popolazione locale di quanto sarebbe stato nel 2014.

Raccontaci un po’ del tuo background. Da dove vieni e come ti sei interessato alla tua attuale area di studio?

Olga Baysha. (Scuola Superiore di Economia, Università Nazionale delle Ricerche)

Sono di etnia ucraina nata a Kharkov, una città ucraina al confine con la Russia, dove vivono ancora mio padre e altri parenti. Prima dell’attuale guerra, Kharkov era uno dei principali centri educativi e scientifici dell’Ucraina. I residenti della città sono orgogliosi di vivere nella “capitale intellettuale” dell’Ucraina.

Nel 1990 vi è stata fondata la prima compagnia televisiva libera dal controllo dei partiti; presto andò in onda il suo primo telegiornale. A quel tempo, mi ero già laureato all’Università di Kharkov e un giorno sono stato invitato a lavorare come giornalista in questo programma da un amico universitario. Il giorno dopo, senza esperienza precedente, ho iniziato a fare reportage. In un paio di mesi, ero un presentatore di notizie. La mia carriera fulminea non è stata un’eccezione.

I nuovi media incontrollati, il cui numero cresceva ogni giorno a un ritmo enorme, richiedevano sempre più operatori dei media. Nella stragrande maggioranza dei casi si trattava di giovani ambiziosi senza alcuna formazione giornalistica o esperienza di vita. Ciò che ci ha unito è stato il desiderio di occidentalizzarsi, la mancanza di comprensione delle contraddizioni sociali che caratterizzano la transizione post-sovietica e la sordità alle preoccupazioni dei lavoratori che si opponevano alle riforme. Questi ultimi ai nostri occhi erano “retrogradi”: non capivano di cosa si trattasse la civiltà.

Ci siamo visti come un’avanguardia rivoluzionaria e abbiamo scelto dei riformatori progressisti. Siamo noi, operatori dei media, che abbiamo creato un ambiente favorevole alla neoliberalizzazione dell’Ucraina, presentata come occidentalizzazione e civiltà, con tutte le conseguenze disastrose per la società che hanno portato. Solo anni dopo me ne sono reso conto.

Più tardi, mentre supervisionavo la produzione di documentari storici in una compagnia televisiva di Kiev, ho riconosciuto che la mitologia del progresso storico unidirezionale e l’inevitabilità dell’occidentalizzazione per i “barbari” fornivano un terreno ideologico per esperimenti neoliberali non solo negli ex stati sovietici ma in tutto il mondo . È questo interesse per l’egemonia globale dell’ideologia dell’occidentalizzazione che mi ha portato prima al programma di dottorato in studi critici sui media presso l’Università del Colorado a Boulder e poi alla ricerca che sto facendo ora.

Secondo il  lavoro accademico  di alcuni sociologi ucraini, i sondaggi hanno mostrato nel recente passato che la maggior parte degli ucraini non era molto interessata alla questione dell’identità, ma era più interessata a questioni come lavoro, salari e prezzi. Il tuo lavoro si concentra molto sulle riforme neoliberiste varate in Ucraina dal 2019, contro il sentimento popolare. Puoi parlare di qual è il punto di vista sulle questioni economiche per la maggior parte degli ucraini e perché?

Negli ambienti sociali [in cui] ho vissuto – l’est dell’Ucraina, la Crimea e Kiev – c’erano pochissime persone interessate alla questione dell’identità etnica.

Non sottolineo invano “i miei ambienti sociali”. L’Ucraina è un paese complesso e diviso con il suo estremo oriente e l’estremo ovest che hanno punti di vista diametralmente diversi su tutte le questioni socialmente significative. Dalla dichiarazione di indipendenza dell’Ucraina nel 1991, due idee di identità nazionale sono state in competizione in Ucraina: “ucraino etnico” contro “slavo orientale”.

L’idea nazionale etnica ucraina, basata sull’idea che la cultura, la lingua e la storia centrata sull’etnia ucraine dovrebbero essere le forze di integrazione dominanti nello stato-nazione ucraino, è stata molto più popolare nell’Ucraina occidentale. L’idea slava orientale, che prevede la nazione ucraina come fondata su due gruppi etnici, lingue e culture primarie – ucraino e russo – è stata accettata come normale nel sud-est ucraino. Tuttavia, in generale, sono d’accordo sul fatto che la maggior parte degli ucraini è molto più interessata alle questioni economiche, come è sempre stato.

Tramonto alla stazione ferroviaria di Kharkov, Ucraina, 2007. (Trey Ratcliff, Flickr, CC BY-NC-SA 2.0)

In effetti, l’indipendenza dell’Ucraina nel 1991 è stata in larga misura anche una questione di preoccupazioni economiche. Molti ucraini hanno sostenuto l’idea del divorzio politico dalla Russia a causa dell’aspettativa che l’Ucraina sarebbe stata meglio economicamente – questo è ciò che ci hanno promesso volantini propagandistici.

Questa speranza economica non si è realizzata. In molti modi, il crollo dell’Unione Sovietica ha cambiato radicalmente in peggio la vita delle persone a causa della neoliberalizzazione dell’Ucraina: la commercializzazione della sfera sociale e la rovina dello stato sociale sovietico.

E le riforme neoliberiste avviate da Zelensky? Puoi giudicare la loro popolarità dai sondaggi di opinione: fino al 72% degli ucraini non ha sostenuto la sua riforma agraria, il fiore all’occhiello del programma neoliberista di Zelensky. Dopo che il suo partito l’ha approvato nonostante l’indignazione della gente, la valutazione di Zelensky è scesa dal 73% nella primavera del 2019 al 23% nel gennaio 2022. Il motivo è semplice: un profondo senso di tradimento.

Nella sua piattaforma elettorale non ufficiale – lo spettacolo “Servant of the People” – Zelesnky-Holoborodko [Holoborodko era il personaggio di Zelensky nello show televisivo – NB] ha promesso che se avesse potuto governare il paese per una sola settimana, avrebbe “fatto vivere l’insegnante come presidente, e il presidente vive come insegnante”. Per dirla in parole povere, questa promessa non è stata mantenuta. La gente si è resa conto di essere stata ingannata ancora una volta: le riforme sono state attuate nell’interesse non degli ucraini ma del capitale globale.

In che misura pensi che la priorità della sicurezza economica rispetto alle questioni di identità sia cambiata con l’invasione russa? Come pensi che funzionerà per le fortune politiche dei nazionalisti/ultranazionalisti rispetto ai moderati o alla sinistra?

Questa è una domanda interessante. Da un lato, la priorità delle persone ora è sopravvivere, il che fa della sicurezza la loro preoccupazione principale. Per salvarsi la vita, milioni di ucraini, tra cui mia madre e mia sorella con bambini, hanno lasciato l’Ucraina per l’Europa. Molti di loro sono pronti a rimanere lì per sempre, a imparare le lingue straniere e ad adottare uno stile di vita straniero: tutti questi sviluppi difficilmente possono dare priorità alle preoccupazioni sull’identità.

D’altra parte, però, è anche evidente l’intensificarsi dei sentimenti etnici e il consolidamento della nazione di fronte all’invasione. Posso giudicare questo dalle discussioni pubbliche sui social media: alcuni kharkiviti che conosco personalmente hanno persino iniziato a pubblicare post in [lingua] ucraina, che non avevano mai usato prima, per evidenziare la loro identità nazionale e segnalare che sono contrari a qualsiasi invasione straniera.

Questo è un altro aspetto tragico di questa guerra. La rivoluzione Maidan del 2014, che molte persone nel sud-est non hanno sostenuto, ha trasformato queste persone in “schiavi”, “sovki” e “vatniki”, termini dispregiativi per denotare la loro arretratezza e barbarie.

È così che i rivoluzionari di Maidan, che si consideravano la forza progressista della storia, vedevano gli “altri” anti-Maidan a causa della loro adesione alla lingua e alla cultura russa. Mai e poi mai questa popolazione filo-russa potrebbe immaginare la Russia che bombarda le loro città e rovina le loro vite. La tragedia di queste persone è duplice: in primo luogo, il loro mondo è stato simbolicamente rovinato dal Maidan, ora viene distrutto fisicamente dalla Russia.

I risultati di questi sviluppi non sono chiari nella misura in cui non è chiaro come finirà la guerra. Se le regioni sudorientali rimarranno in Ucraina, molto probabilmente sarà completata la rovina di tutto ciò che resiste al nazionalismo aggressivo.

“… prima, il loro mondo è stato simbolicamente rovinato dai Maidan, ora viene distrutto fisicamente dalla Russia.”

Questa sarà probabilmente la fine di questa cultura borderline unica che non ha mai voluto essere né completamente ucrainizzata né russificata. Se la Russia stabilisce il controllo su queste regioni, come si vanta ora, difficilmente posso prevedere come affronterà il risentimento di massa, almeno nelle città che sono state danneggiate in modo significativo, come a Kharkov.

Passando a Zelensky in particolare: una cosa che fai notare nel tuo libro è come Zelensky abbia servito come questa specie di pifferaio magico in quanto ha usato la sua celebrità e le sue capacità di recitazione per convincere le persone a sostenerlo per conto di questo vago programma di benessere ( pace, democrazia, progresso, anticorruzione) ma ciò ha davvero oscurato un’altra agenda che non sarebbe stata popolare, in particolare un’agenda economica neoliberista. Puoi parlare di come lo ha fatto: come ha condotto la sua campagna e quali erano le sue priorità dopo essere entrato in carica?

L’argomento di base presentato nel mio recente libro è che la sorprendente vittoria di Zelensky e del suo partito, poi trasformata in una macchina parlamentare per sfornare e imprimere riforme neoliberiste (in un “regime turbo”, come lo chiamavano), non può essere spiegato a parte il successo della sua serie televisiva, che, come credono molti osservatori, è servita da piattaforma elettorale informale di Zelensky.

A differenza della sua piattaforma ufficiale, che conteneva solo 1.601 parole e conteneva pochi dettagli politici, i 51 episodi di mezz’ora del suo spettacolo hanno fornito agli ucraini una visione dettagliata di ciò che dovrebbe essere fatto affinché l’Ucraina potesse progredire.

Il messaggio consegnato da Zelensky agli ucraini attraverso il suo show è chiaramente populista. Il popolo ucraino è raffigurato come una totalità priva di problemi e priva di divisioni interne, dalla quale sono esclusi solo gli oligarchi e i politici/funzionari corrotti. Il paese diventa sano solo dopo essersi sbarazzato sia degli oligarchi che dei loro burattini. Alcuni di loro vengono imprigionati o fuggono dal paese; i loro beni sono confiscati senza alcun riguardo alla legalità. Più tardi, Zelensky-il-presidente farà lo stesso con i suoi rivali politici.

È interessante notare che lo spettacolo ignora il tema della guerra del Donbass, scoppiata nel 2014, un anno prima che la serie iniziasse a essere trasmessa. Poiché le relazioni Maidan e Russia-Ucraina sono questioni molto divisive nella società ucraina, Zelensky le ha ignorate per non mettere a repentaglio l’unità della sua nazione virtuale, dei suoi spettatori e, in definitiva, dei suoi elettori.

Volodymyr Zelensky nel 2016, in un episodio della commedia televisiva ucraina “Servant of the People”. (Youtube)

Le promesse elettorali di Zelensky, fatte ai margini del virtuale e del reale, riguardavano principalmente il “progresso” dell’Ucraina, inteso come “modernizzazione”, “occidentalizzazione”, “civiltà” e “normalizzazione”.

È questo discorso di modernizzazione progressista che ha permesso a Zelensky di camuffare i suoi piani di riforme neoliberiste, lanciati solo tre giorni dopo l’ascesa al potere del nuovo governo. Durante tutta la campagna, l’idea di “progresso” evidenziata da Zelensky non è mai stata collegata a privatizzazioni, vendita di terreni, tagli di budget, ecc.

Solo dopo che Zelensky aveva consolidato il suo potere presidenziale stabilendo il pieno controllo sui rami del potere legislativo ed esecutivo, ha chiarito che la “normalizzazione” e la “civiltà” dell’Ucraina significavano la privatizzazione della terra e della proprietà statale/pubblica, la deregolamentazione rapporti di lavoro, riduzione del potere per i sindacati, aumento delle tariffe delle utenze, e così via.

Lei ha sottolineato che molti stranieri sono stati assegnati a importanti incarichi economici e sociali dopo il colpo di stato del 2014 e prima del mandato di Zelensky. Allo stesso modo, molti dei funzionari di Zelensky hanno stretti legami con le istituzioni neoliberiste globali e hai suggerito che ci sono prove che manipolano Zelensky che ha una comprensione non sofisticata di economia/finanza. Puoi discutere questo aspetto delle ramificazioni del cambio di governo filo-occidentale nel 2014? Quali sono gli interessi più grandi in gioco qui e hanno in mente gli interessi della popolazione ucraina in generale?

Sì, il cambio di potere di Maidan nel 2014 ha segnato l’inizio di un’era completamente nuova nella storia dell’Ucraina in termini di influenza occidentale sulle sue decisioni sovrane.

A dire il vero, da quando l’Ucraina ha dichiarato la sua indipendenza nel 1991, questa influenza è sempre esistita. La Camera di Commercio americana, il Centro per le relazioni USA-Ucraina, il Consiglio d’affari USA-Ucraina, la European Business Association, il FMI, la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, l’OMC, l’UE: tutte queste istituzioni di lobbying e di regolamentazione hanno avuto un impatto significativo[ing] Decisioni politiche ucraine.

Mustafa Nayyem, uno dei primi attivisti a esortare gli ucraini a riunirsi su Maidan Nezalezhnosti, o Piazza dell’Indipendenza, parlando il 23 novembre 2013. (Aleksandr Andreiko, CC BY-SA 2.0, Wikimedia Commons) 

Tuttavia, mai nella storia pre-Maidan dell’Ucraina il paese aveva nominato cittadini stranieri a incarichi ministeriali di primo piano: ciò è diventato possibile solo dopo il Maidan.

Nel 2014 Natalie Jaresko, cittadina statunitense, è stata nominata ministro delle finanze ucraino; Aivaras Abromavicius, cittadino lituano, divenne ministro dell’economia e del commercio ucraino; Alexander Kvitashvili, cittadino georgiano, ministro della sanità. Nel 2016 Ulana Suprun, cittadina statunitense, è stata nominata ministro della sanità ad interim.

Altri stranieri hanno assunto cariche di rango inferiore. Inutile dire che tutte queste nomine non sono derivate dalla volontà degli ucraini ma dalle raccomandazioni delle istituzioni neoliberiste globali, il che non sorprende dato che lo stesso Maidan non è stato sostenuto da metà della popolazione ucraina.

Come già accennato, la maggior parte di questi “altri” anti-Maidan risiede nelle regioni sudorientali. Più si guardava a est, più forte e unificato si sarebbe trovato un rifiuto del Maidan con la sua agenda europea. Più del 75% di coloro che vivono nelle oblast’ di Donetsk e Luhansk (due regioni orientali dell’Ucraina popolate prevalentemente da lingua russa) non hanno sostenuto il Maidan, mentre solo il 20% delle persone che vivono in Crimea lo ha sostenuto.

Questi dati statistici, forniti dall’Istituto di Sociologia di Kiev nell’aprile 2014, non hanno impedito alle istituzioni di potere occidentali di sostenere che il Maidan fosse la rivolta del “popolo ucraino” presentato come una totalità non problematica – un trucco ideologico molto potente. Visitando piazza Maidan e incoraggiando i suoi rivoluzionari a protestare, i membri della “comunità internazionale” hanno mancato di rispetto a milioni di ucraini che avevano opinioni anti-Maidan, contribuendo così all’escalation del conflitto civile, che alla fine della giornata ha portato alla disastro che stiamo osservando impotenti oggi.

“… i membri della ‘comunità internazionale’ … hanno contribuito all’escalation del conflitto civile.”

Che dire degli interessi esteri investiti nella neoliberalizzazione dell’Ucraina, portata avanti in nome del popolo ucraino? Sono diversi, ma dietro la riforma agraria, che ho analizzato attentamente, c’erano lobby finanziarie in Occidente. I fondi pensione e i fondi di investimento occidentali volevano investire denaro che si stava deprezzando. Alla ricerca di asset in cui investire, hanno ottenuto il sostegno del FMI, della Banca Mondiale, della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo

e vari gruppi di lobby per promuovere i loro interessi e tracciare tutte le basi necessarie. Questo non ha nulla a che fare con gli interessi degli ucraini, ovviamente.

Come sono stati i precedenti di Zelensky sulla democrazia: libertà di parola e di stampa, pluralismo politico e trattamento dei diversi partiti politici? Come si confronta con i passati presidenti dell’Ucraina post-sovietica?

Sono d’accordo con Jodi Dean che sostiene che la democrazia è una fantasia neoliberista, nel senso che non può esistere nei sistemi di governo neoliberisti controllati non dalle persone ma da istituzioni sovranazionali. Come accennato in precedenza, ciò è diventato particolarmente evidente dopo il Maidan, quando i ministri degli Esteri sono stati nominati da queste istituzioni per presentare i loro interessi in Ucraina.

Tuttavia, nel suo zelo riformatore, Zelensky è andato oltre. All’inizio di febbraio 2021, i primi tre canali televisivi di opposizione – NewsOne, Zik e 112 Ukraine – sono stati chiusi. Un altro canale di opposizione  Nash  è stato bandito all’inizio del 2022, prima dell’inizio della guerra.

Dopo lo scoppio della guerra, a marzo sono stati arrestati decine di giornalisti, blogger e analisti indipendenti; la maggior parte di loro sono di visione di sinistra. Ad aprile sono stati chiusi anche i canali televisivi di destra, Channel 5  e  Pryamiy . Inoltre, Zelensky ha firmato un decreto che obbliga tutti i canali ucraini a trasmettere un unico telethon, presentando un solo punto di vista filogovernativo sulla guerra.

Tutti questi sviluppi sono senza precedenti per la storia dell’Ucraina indipendente. I sostenitori di Zelensky sostengono che tutti gli arresti e i divieti dei media dovrebbero essere cancellati per convenienza militare, ignorando il fatto che la prima chiusura dei media è avvenuta un anno prima dell’invasione russa. Quanto a me, Zelensky usa questa guerra solo per rafforzare le tendenze dittatoriali all’interno del suo regime di governo, che ha iniziato a formarsi subito dopo l’ascesa al potere di Zelensky, quando ha creato una macchina del partito per controllare il parlamento e ha approvato le riforme neoliberiste senza riguardo per l’opinione pubblica umore.

Il Consiglio di sicurezza e difesa nazionale (NSDC) è stato utilizzato da Zelensky nel 2021 per sanzionare alcune persone, per lo più rivali politici. Puoi spiegare cos’è l’NSDC e perché Zelensky lo stava facendo e se fosse legale o meno.

Dopo che il suo sostegno popolare è crollato nel 2021, Zelensky ha avviato il processo incostituzionale di sanzioni extragiudiziali contro i suoi oppositori politici, imposto dal National Security and Defense Council (NSDC).

Tali sanzioni hanno comportato il sequestro extragiudiziale di beni senza alcuna evidenza di attività illecite delle persone fisiche e giuridiche interessate. Tra i primi ad essere sanzionati dall’NSDC c’erano due deputati parlamentari della Piattaforma di opposizione — For Life (OPZZh) — Victor Medvedchuk (poi arrestato e mostrato in TV con la faccia picchiata dopo l’interrogatorio) e Taras Kozak (che è riuscito a fuggire da Ucraina), così come i membri delle loro famiglie. Questo è successo a febbraio 2021; nel marzo 2022 sono stati banditi 11 partiti di opposizione. Le decisioni di bandire i partiti di opposizione e di sanzionare i leader di opposizione sono state prese dall’NSDC; sono stati attuati con decreti presidenziali.

La Costituzione dell’Ucraina afferma che il Consiglio di sicurezza e difesa nazionale è un organo di coordinamento: “coordina e controlla l’attività degli organi del potere esecutivo nella sfera della sicurezza e della difesa nazionale”.

Questo non ha nulla a che fare con il perseguimento degli oppositori politici e la confisca delle loro proprietà, cosa che l’NSDC fa dal 2021. Inutile dire che questo know-how del regime di Zelensky è incostituzionale: solo i tribunali possono decidere chi è colpevole o meno e confiscare proprietà.

Ma il problema è che i tribunali ucraini si sono rivelati impreparati a fungere da burattini di Zelensky. Dopo che il capo della Corte costituzionale ucraina, Oleksandr Tupytskyi, ha definito le riforme incostituzionali di Zelensky un “colpo di stato”, Zelensky non ha avuto altro da fare che fare affidamento sull’NSDC per portare avanti le sue politiche impopolari. E il “dissidente” Tupytskyi? Il 27 marzo 2021 – anche in violazione della Costituzione ucraina – Zelensky ha firmato un decreto che annulla la sua nomina a giudice del tribunale.

Sotto il governo di Stalin, il Commissariato del popolo per gli affari interni (NKVD) ha creato “troika” per emettere condanne alle persone dopo indagini semplificate e rapide e senza un processo pubblico ed equo. Quello che osserviamo nel caso dell’NSDC è uno sviluppo molto simile, solo i processi incostituzionali dell’NSDC hanno un numero maggiore di partecipanti: tutte le figure chiave dello stato, inclusi il presidente, il primo ministro, il capo del servizio di sicurezza ucraino, il procuratore generale dell’Ucraina, ecc.

Una riunione dell’NSDC può decidere il destino di centinaia di persone. Solo nel giugno 2021, Zelensky ha messo in atto una decisione dell’NSDC di imporre sanzioni contro 538 individui e 540 aziende.

Vorrei chiedervi dell’elenco dei “Peacemaker” (Myrotvorets) che secondo quanto riferito è  affiliato  al governo ucraino e ai servizi di intelligence della SBU. La mia comprensione è che questo è un elenco di “nemici dello stato” e pubblica le informazioni personali di detti nemici. Molti di coloro che sono apparsi su di esso sono stati successivamente assassinati. Puoi parlare di questa lista, come ci finiscono le persone e come si inserisce in un governo che ci è stato detto essere democratico?

Il sito web nazionalista  Myrotvorets  è stato lanciato nel 2015 “da un deputato del popolo che ricopre una posizione di consigliere del Ministero dell’Interno dell’Ucraina” – così lo descrive il rapporto delle Nazioni Unite. Il nome del deputato di questo popolo è Anton Gerashchenko, ex consigliere dell’ex ministro degli Interni Arsen Avakov. È sotto il patrocinio di Avakov nel 2014 [che] sono stati creati battaglioni punitivi nazionalistici da inviare nel Donbass per reprimere la resistenza popolare contro il Maidan.

Myrotvorets  ha fatto parte della strategia generale di intimidazione degli oppositori del colpo di stato. Qualsiasi “nemico del popolo” – chiunque osi esprimere pubblicamente opinioni anti-Maidan o sfidare l’agenda nazionalistica dell’Ucraina – può comparire su questo sito web.

Ole Buzina. (CC BY-SA 3.0, Wikimedia Commons )

Su Myrotvorets c’erano anche gli indirizzi di Oles Buzina, un famoso pubblicista [giornalista], ucciso a colpi d’arma da fuoco dai nazionalisti vicino al suo condominio a Kiev, e Oleg Kalashnikov, un deputato dell’opposizione ucciso dai nazionalisti nella sua casa,  che ha aiutato gli assassini a trovare il loro vittime. I nomi degli assassini sono ben noti; tuttavia, non vengono imprigionati perché nell’Ucraina contemporanea, la cui vita politica è controllata dai radicali, sono considerati eroi.

Il sito non è stato chiuso nemmeno dopo uno scandalo internazionale quando  Myrotvorets ha  pubblicato i dati personali di noti politici stranieri, tra cui l’ex cancelliere tedesco Gerhard Schröder. Ma, a differenza del signor Schröder residente in Germania, migliaia di ucraini i cui dati sono su  Myrotvorets non possono sentirsi al sicuro. Anche tutti gli arrestati nel marzo 2022 erano su  Myrotvorets  . Alcuni di loro li conosco personalmente: Yuri Tkachev, l’editore del quotidiano di Odessa  Timer  e Dmitry Dzhangirov, l’editore di  Capital , un canale YouTube.

Molti di coloro i cui nomi sono su  Myrotvorets , sono riusciti a fuggire dall’Ucraina dopo il Maidan; alcuni sono stati in grado di farlo dopo gli arresti di massa lo scorso marzo. Uno di loro è Tarik Nezalezhko, collega di Dzhangirov. Il 12 aprile 2022, già al sicuro fuori dall’Ucraina, ha pubblicato un post su YouTube, chiamando il servizio di sicurezza ucraino “Gestapo” e dando consigli ai suoi spettatori su come evitare di essere catturato dai suoi agenti.

Detto questo, l’Ucraina non è un paese democratico. Più osservo quello che sta succedendo lì, più penso al percorso di modernizzazione di Augusto Pinochet, che, di fatto, è ammirato dai nostri neoliberisti. Per molto tempo i crimini del regime di Pinochet non erano stati indagati. Ma alla fine, l’umanità ha scoperto la verità. Spero solo che in Ucraina ciò avvenga prima.

L’ accademico ucraino Volodymyr Ishchenko ha affermato in una recente  intervista  a New Left Review che, a differenza dell’Europa occidentale, c’è più di una partnership tra nazionalismo e neoliberismo nell’Europa orientale post-sovietica. Ciò è stato osservato anche nel Donbass tra i più ricchi. Sei d’accordo con questo? Se sì, puoi spiegare come si è evoluta quella combinazione?

Sono d’accordo con Volodymyr. Ciò che osserviamo in Ucraina è un’alleanza di nazionalisti e liberali basata sulla loro comune intolleranza nei confronti della Russia e, rispettivamente, verso tutti coloro che sostengono la cooperazione con essa.

Alla luce dell’attuale guerra, questa unità di liberali e nazionalisti può apparire giustificata. Tuttavia, l’alleanza è stata creata molto prima di questa guerra, nel 2013, durante la formazione del movimento Maidan. Dai liberali, l’accordo di associazione con l’Unione europea, sostenuto dal Maidan, era visto principalmente in termini di democratizzazione, modernizzazione e civiltà: era immaginato come un mezzo per portare l’Ucraina agli standard di governo europei.

Al contrario, l’Unione economica eurasiatica, guidata dalla Russia, era associata alla regressione della civiltà allo statalismo sovietico e al dispotismo asiatico. È qui che convergono le posizioni di liberali e nazionalisti: questi ultimi hanno attivamente sostenuto il Maidan non per la democratizzazione, ma per la sua chiara posizione anti-russa.

Fin dai primi giorni delle proteste, i nazionalisti radicali sono stati i combattenti Maidan più attivi. L’unità tra i liberali che associano l’Euromaidan al progresso, alla modernizzazione, ai diritti umani, ecc., e i radicali che cooptano il movimento per la loro agenda nazionalistica è stata un prerequisito importante per la trasformazione della protesta civica in una lotta armata con conseguente ribaltamento incostituzionale potenza.

Colpo di stato di Maidan in Ucraina, 2014. (Wikipedia)

Il ruolo decisivo dei radicali nella rivoluzione è diventato anche un fattore cruciale nella formazione di un movimento di massa anti-Maidan nell’est dell’Ucraina contro il “colpo di stato”, come il discorso egemonico anti-Maidan ha soprannominato il cambio di potere in Kiev. Almeno in parte, quello che osserviamo oggi, è un tragico esito di questa miope e sfortunata alleanza, formatasi durante il Maidan.

Puoi spiegarci qual è stato il rapporto di Zelensky con l’estrema destra in Ucraina?

Lo stesso Zelensky non ha mai espresso opinioni di estrema destra. Nella sua serie “Servant of the People”, che è stata utilizzata come piattaforma elettorale non ufficiale, i nazionalisti ucraini sono descritti in modo negativo: non sembrano altro che stupide marionette di oligarchi.

Come candidato alla presidenza, Zelensky ha criticato la legge sulla lingua firmata dal suo predecessore Petro

Poroshenko, che ha reso la conoscenza della lingua ucraina un requisito obbligatorio per dipendenti pubblici, soldati, medici e insegnanti. “Dobbiamo avviare e adottare leggi e decisioni che consolidino la società, e non viceversa”, ha affermato il candidato Zelensky nel 2019.

Tuttavia, dopo aver assunto la carica presidenziale, Zelensky si è rivolto all’agenda nazionalistica del suo predecessore. Il 19 maggio 2021, il suo governo ha approvato un piano d’azione per la promozione della lingua ucraina in tutte le sfere della vita pubblica rigorosamente in linea con la legge sulla lingua di Poroshenko, per la gioia dei nazionalisti e lo sgomento dei russofoni.

Zelensky non ha fatto nulla per perseguire i radicali per tutti i loro crimini contro gli oppositori politici e il popolo del Donbass. Il simbolo della trasformazione di destra di Zelensky è stata la sua approvazione da parte del nazionalista Medvedko – uno di quelli accusati di aver ucciso Buzina – che ha approvato pubblicamente il divieto di Zelensky dei canali di opposizione in lingua russa nel 2021.

“Dopo aver assunto la carica presidenziale, Zelensky si è rivolto all’agenda nazionalistica del suo predecessore”.

La domanda è perché? Perché Zelensky ha fatto un’inversione di marcia al nazionalismo nonostante le speranze della gente che avrebbe perseguito la politica della riconciliazione?

Come credono molti analisti, ciò è dovuto al fatto che i radicali, pur rappresentando la minoranza della popolazione ucraina, non esitano a usare la forza contro politici, tribunali, forze dell’ordine, operatori dei media e così via, in altre parole, sono semplicemente bravi a intimidatorio della società, compresi tutti i rami del potere.

I propagandisti possono ripetere il mantra “Zelensky è un ebreo, quindi non può essere un nazista” tutte le volte che vogliono, ma la verità è che i radicali controllano il processo politico in Ucraina attraverso la violenza contro coloro che osano affrontare i loro programmi nazionalistici e suprematisti.

Il caso di Anatoliy Shariy  — uno dei blogger più popolari in Ucraina che vive in esilio — è un buon esempio per illustrare questo punto. Non solo lui, insieme ai suoi familiari, riceve in modo permanente minacce di morte, i radicali intimidiscono costantemente gli attivisti del suo partito (bandito da Zelensky nel marzo 2022), picchiandoli e umiliandoli. Questo è ciò che i radicali ucraini chiamano “safari politico”.

In questo momento, Zelensky è la figura più influente sulla scena mondiale rispetto a un conflitto che ha gravi implicazioni se dovesse degenerare. Sono preoccupato che stia usando quelle stesse abilità manipolative nel mondo dello spettacolo per raccogliere sostegno dietro questa immagine di una qualche incarnazione personale di democrazia e rettitudine contro le forze del male e dell’autocrazia. È come un film basato sul mondo dei fumetti Marvel. È proprio il tipo di inquadratura che sembra antitetica alla diplomazia. Pensi che Zelensky stia giocando un ruolo costruttivo come leader dell’Ucraina in tempo di guerra o no?

Seguo regolarmente i discorsi di guerra di Zelensky e posso affermare con sicurezza che il modo in cui inquadra il conflitto difficilmente può portare a una risoluzione diplomatica poiché ripete costantemente che le forze del bene sono attaccate dalle forze del male. Chiaramente, non ci può essere una soluzione politica per un simile Armageddon.

Ciò che esce da questo mitico quadro di riferimento per la guerra è il contesto più ampio della situazione: il fatto che da anni l’Ucraina si rifiuta di attuare gli accordi di pace di Minsk, firmati nel 2015 dopo la sconfitta dell’esercito ucraino in Guerra del Donbass.

Secondo questi accordi, il Donbass doveva ricevere un’autonomia politica all’interno dell’Ucraina, un punto inconcepibile e inaccettabile per i radicali. Invece di attuare il documento, che è stato ratificato dalle Nazioni Unite, Kiev ha combattuto con il Donbass lungo la linea di demarcazione per otto lunghi anni. La vita degli ucraini che vivono in questi territori si è trasformata in un incubo. Per i radicali, i cui battaglioni hanno combattuto lì, il popolo del Donbass – immaginato come  sovki  e  vatniki – non merita pietà e indulgenza.

L’attuale guerra è un prolungamento della guerra del 2014, iniziata quando Kiev ha inviato truppe nel Donbass per reprimere la ribellione anti-Maidan con la premessa della cosiddetta “operazione antiterroristica”. Il riconoscimento di questo contesto più ampio non presuppone l’approvazione dell’“operazione militare” della Russia, ma implica il riconoscimento che anche l’Ucraina è responsabile di quanto sta accadendo.

Inquadrare la questione della guerra in corso nei termini di una lotta della civiltà contro la barbarie o della democrazia contro l’autocrazia non è altro che manipolazione, e questo è essenziale per capire la situazione. La formula dell’ex presidente degli Stati Uniti George W. Bush “o sei con noi o con i terroristi”, propagata da Zelensky nei suoi appelli al “mondo civile”, si è rivelata molto conveniente in termini di evitare la responsabilità personale per il disastro in corso.

In termini di vendita di questa storia unidimensionale al mondo, le capacità artistiche di Zelensky sembrano inestimabili. È finalmente sulla scena globale e il mondo sta applaudendo. L’ex comico non cerca nemmeno di nascondere la sua soddisfazione. Rispondendo alla domanda di un giornalista francese del 5 marzo 2022 — decimo giorno dell’invasione russa — su come era cambiata la sua vita con l’inizio della guerra, Zelensky ha risposto con un sorriso di gioia: “Oggi  la mia vita è bella . Credo di essere necessario. Sento che è il significato più importante nella vita: essere necessari. Sentire che non sei solo un vuoto che è solo respirare, camminare e mangiare qualcosa. Tu vivi.”

Per me, questa costruzione è allarmante: implica che Zelensky gode dell’opportunità unica di esibirsi su un palcoscenico globale fornito dalla guerra. Ha reso bella la sua vita; lui vive. In contrasto con milioni di ucraini la cui vita non è affatto bella e migliaia di quelli che non sono più in vita.

Alexander Gabuev ha  suggerito  che la leadership russa ha una mancanza di esperienza sul paese che è stata un fattore che ha contribuito a questo conflitto. Ho anche sentito commentatori russi suggerire che l’Ucraina ha un atteggiamento superiore riguardo all’essere filo-occidentale rispetto a filo-russo. Pensi che questo sia un fattore che contribuisce in modo significativo a entrambe le parti?

Sono propenso a condividere l’affermazione relativa alla mancanza di un’adeguata comprensione da parte della leadership russa dei processi sociali che sono in corso in Ucraina dal Maidan. In effetti, metà della popolazione ucraina non l’ha accolto con favore e milioni di persone che vivono nel sud-est hanno voluto che la Russia intervenisse. Lo so per certo poiché tutti i miei parenti e vecchi amici risiedono in questi territori.

Tuttavia, ciò che era vero nel 2014 potrebbe non essere necessariamente il caso ora. Sono passati otto anni; è cresciuta una nuova generazione di giovani, cresciuta in un nuovo ambiente sociale; e molte persone si sono semplicemente abituate a nuove realtà. Infine, anche se la maggior parte di loro disprezza i radicali e la politica dell’ucrainizzazione, odia ancora di più la guerra. La realtà sul campo si è rivelata più complessa di quanto si aspettassero i decisori.

E il senso di superiorità tra quegli ucraini che si identificano con gli occidentali piuttosto che con i russi? 

Questo è vero e, per quanto mi riguarda, questa è la parte più tragica dell’intera storia post-Maidan, perché è proprio questo senso di superiorità che ha impedito alle forze “progressiste” pro-Maidan di trovare un linguaggio comune con le loro ” connazionali filo-russi. Ciò ha portato alla rivolta del Donbass, all’“operazione antiterroristica” dell’esercito ucraino contro il Donbass, all’intervento della Russia, agli accordi di pace di Minsk, al loro mancato adempimento e, infine, alla guerra in corso.

Natylie Baldwin è una scrittrice di politica estera russa e statunitense e autrice di The View from Moscow: Understanding Russia & US-Russia Relations.

Questo articolo è tratto da The Grayzone .

Le opinioni espresse in questa intervista possono riflettere o meno quelle di  Consortium News .03

https://consortiumnews.com/2022/04/29/ukraine-the-real-zelensky/

Stati Uniti! Il moloch della comunicazione e le sue crepe_Con Gianfranco Campa

Nel precedente video con Gianfranco Campa abbiamo accennato al tentativo di acquisizione di Twitter da parte di Elon Musk, il detentore di Tesla e Space X. In questa puntata proseguiamo, senza soluzione, con l’argomento. Il 2016 è stato l’anno dell’elezione inattesa di Donald Trump a Presidente. Ha coinciso con l’apoteosi dell’utilizzo delle reti digitali (facebook, twitter, google, instagram, tik tok, ect) in ogni campo della comunicazione, da quello strettamente privato, a quello economico, culturale e, finalmente, politico. Una apoteosi il cui apice ha segnato nel contempo il momento di declino crescente degli spazi di libertà offerti da quei canali e l’introduzione di sistemi certosini di controllo, censura e manipolazione sempre più stringenti. Non che in precedenza mancassero; soltanto erano meno sistematici e riservati maggiormente all’ambito economico. Quella campagna elettorale è stata un punto di svolta; è stato il primo esempio vincente dell’uso sistematico e simbiotico con un radicamento territoriale tradizionale e con la realizzazione di un programma politico dirompente delle piattaforme digitali. Sono stati i canali attraverso i quali individuare, raggiungere ed influenzare segmenti di interessi ed opinione circoscritti ed individuati con inusitata precisione e fondamentali, sulla base della legge elettorale, all’esito positivo della candidatura. Indicare quel momento e lo spazio americano come il punto e il luogo di svolta non è quindi un cedimento al complottismo, al politicismo e alla sensazione di onnipotenza dell’azione statunitense. E’ semplicemente la constatazione che l’esito di quella battaglia ha messo a nudo e in crisi i meccanismi di manipolazione, di relazione e di esercizio dei centri decisori di potere; centri decisori di potere in grado di determinare la vita interna di quel paese e di influenzare e/o decidere gli eventi e le dinamiche nel resto del mondo; in un paese dove sono localizzati, guarda caso, gli snodi dove affluiscono ed hanno la possibilità quantomeno teorica di essere rilevati e manipolati i dati che ormai muovono le azioni fondamentali del genere umano nei diversi ambiti, compreso quello più invasivo detto “politico”. Da allora il controllo e la manipolazione sistematica dei dati, il loro filtraggio, la creazione apposita da parte delle varie istanze di strutture e gruppi incaricati di questa gestione e manipolazione ha raggiunto livelli sempre più strutturati e invasivi sino a realizzare le peggiori profezie orwelliane. Una politica che comporta comunque dei costi altissimi in termini di coesione sociale e di regolazione dei conflitti in quanto tende a circoscrivere le diversità di opinioni e di interessi in nicchie e in sfere autoreferenziali sempre meno comunicanti tra di loro. Con ciò assecondando quei processi di frammentazione e di conflittualità distruttiva sociale e politica parallele perfettamente complementari alle varie forme di controllo totalitario presenti nelle diverse formazioni sociali, comprese quelle occidentali. L’acquisto di Twitter, per altro non ancora definitivo, non ostante quanto sostenuto dalla “ben informata” stampa italiana, da parte di Elon Musk, con tutto il corollario dei suoi annunci sulla liberazione dello spazio alle diverse opinioni, comprese quelle politiche, e soprattutto della possibilità ventilata di rivelazione dei codici alfanumerici che provvedono alla valutazione, manipolazione e distorsione dei dati, ha scatenato l’allarme isterico dei detentori della verità e dei principi democratici e prosaico dei detentori degli enormi interessi economici legati al sistema comunicativo, alla pubblicità e alla gestione dei sistemi produttivi. Si è alzato un fuoco di sbarramento sia negli Stati Uniti che nella Unione Europea, la paladina che è riuscita a combinare acrobaticamente l’apologia moralistica della democrazia, con il lobbismo istituzionalizzato e la pedissequa fedeltà e subordinazione all’atlantismo. Un muro difficilmente valicabile e sgretolatile se non a prezzo di compromessi deleteri in mancanza di altre condizioni. Uno scontro difficilmente sostenibile da un impero economico già direttamente ed apertamente minacciato nelle sue attività cruciali, senza un equivalente movimento politico adeguatamente attrezzato. Del capitalismo e delle imprese capitalistiche conosciamo il carattere dirompente in alcune fasi, ma anche la loro sorprendente capacità di adattamento alle varie situazioni e alle varie contingenze politiche e socioeconomiche. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/v135f79-usa-e-il-moloch-della-comunicazione-con-gianfranco-campa.html

 

CRIMEA, DONBASS E DNEPR: RADICI DELLA CRISI NEL CUORE DELL’EUROPA, di Marco Giuliani

CRIMEA, DONBASS E DNEPR: RADICI DELLA CRISI NEL CUORE DELL’EUROPA

Una crisi che nasce da lontano

Nel caso della Russia moderna e contemporanea, così come per l’Ucraina, non è affatto facile ricostruire un percorso storico-politico coerentemente legato al concetto di Stato in quanto entità sovrana caratterizzata da confini geografici predefiniti. Ciò è dovuto soprattutto ad antichi motivi etnici, culturali, linguistici e sociali. La ricerca storiografica, nel tempo, si è orientata infatti ad analizzare come, limitatamente dal punto di vista sociologico, scientifico ed eziologico il multiculturalismo delle aree comprese in particolare tra la parte orientale dell’ex impero zarista e la parte slava riferita alla vecchia Polonia e all’Austria-Ungheria, fosse divenuto oggetto di scontri, tensioni, rivalse e rivendicazioni territoriali. Nonostante le difficoltà di ricostruzione, resta forte motivo di interesse individuarne le cause principali.
Osserviamo che nel Settecento e nell’Ottocento, le secolari comunità ucrainofone, presenti per la quasi totalità presso alcune zone centro-meridionali situate accanto al fiume Dnepr, erano prevalentemente un popolo contadino circoscritto in relazione a una variabile linguistica in virtù della stragrande maggioranza russofona estesa verso Est. Questo vale soprattutto per la Crimea, allora abitata da coloni detti “grandi russi” e da comunità di origine tatara, e per le zone di Donetsk e Rostov sino a lambire Karkiv, che per convenzione, vengono oggi considerate parte integrante della regione del Donbass. Le sottili differenze di cui sopra, oltre alle cause descritte, erano ingigantite in primo luogo dal fatto che non fossero stati definiti confini fisici, e in secondo luogo dal fatto che la presenza russa riguardava i centri urbani e relegava indirettamente le comunità ucraine a una distinta condizione di ceto bracciantile. In un contesto così frammentato, si andava ad aggiungere la diversità del credo religioso: i russi, i polacchi e gli ucraini si differenziavano in quanto rispettivamente ortodossi, cattolici romani e uniati (l’uniatismo, o greco-ortodossia, è un sostantivo dispregiativo usato per definire gli osservanti cristiani che rispettano il culto della Chiesa di Roma ma si dedicano a pratiche religiose locali). Di conseguenza, durante il XIX secolo la distinzione si accentuerà anche per suddette cause; come è evidente, è stato ed è molto difficile ancora oggi quantificare o stilare ogni tipologia di schematizzazione su valori nazionali o squisitamente geopolitici.

1897: i primi censimenti

Il primo vero censimento della “fetta” paneuropea dell’Impero zarista risale al 1897, e fu effettuato su basi fiscali, ovvero su chi e quante tasse versava allo Stato. Ne risultò che i Russi rappresentavano il 44,3% della popolazione, gli Ucraini il 17,8, i Polacchi il 6,3 e i Bielorussi il 4,7. Tutto il restante era costituito da comunità Kazake, Tedesche, Lituane, Lettoni, Estoni, Rumene, Armene, Georgiane, Tatare e Uzbeke. In relazione a questa interconnessione di culture e appartenenze, appare evidente a prescindere che i Governatorati istituiti al tempo per dare una sorta di delimitazione alle varie province, non erano affatto sufficienti a selezionare geograficamente e politicamente le zone sottoposte alla giurisdizione imperiale. Rileviamo, inoltre, che in seguito il governo (esattamente nel 1914-15) diede la possibilità ai residenti delle aree più ramificate sotto l’aspetto linguistico di scegliere se registrarsi o meno secondo la definizione di “ucraini russofoni”.
Di fronte a una così complessa condizione di multietnia e plurilinguismo, un minimo di semplificazione ebbe luogo solo a margine della Rivoluzione del 1917, che, come sappiamo, si compì in pieno primo conflitto mondiale. Approfittando della forte instabilità determinata dalla Grande Guerra, le popolazioni del basso Don, quelle per intenderci comprese tra le province di Donetsk e Luhans’k, rivendicarono l’autonomia dal potere centrale e a febbraio del 1918 proclamarono unilateralmente la Repubblica Sovietica del Donec-Krivoj-Rog (in russo Донецко-Криворожская). Tuttavia, a solo un anno di distanza, il partito bolscevico, nel frattempo salito al potere, inglobò sine die la piccola repubblica in quella ucraina, più vasta, che nel 1922, assieme alle altre, avrebbe dato vita alla costituzione dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (U.R.S.S.).
La questione legata all’autonomismo delle comunità periferiche dell’ex impero si intrecciò inevitabilmente con l’aspetto socioeconomico; la modernizzazione degli apparati industriali e tecnologici, accelerata dalla NEP (Nuova Politica Economica), incentivò fortemente l’abbandono delle campagne da parte dei contadini, i quali invasero i centri urbani ponendo l’intero paese di fronte a svolte epocali. Così, centinaia di migliaia di ucraini diedero luogo a quella “russificazione” – del tutto spontanea – che segnò la fine della solidarietà di stirpe (o etnica) mantenuta sino a quel momento con i villaggi rurali limitrofi. Va sottolineato che alle soglie del Novecento i contadini impegnati nei campi ammontavano a un numero di circa 25 milioni su un totale di 70 milioni di abitanti. Nell’assimilazione di ampie comunità ucrainofone all’interno dell’amministrazione russa, intesa anche e soprattutto come possibilità di emancipazione lavorativa e sociale, intervennero dunque fattori esclusivamente asimmetrici rispetto a quelli considerati come “discriminanti culturali”. In pieno XX secolo, tollerare di “russificarsi” significò in modo implicito la piena accettazione della forza attrattiva esercitata dalla possibilità di nuove aspettative di vita, che si legavano via via anche alla condizione di burocratizzazione di cui era oggetto il gigante sovietico. Insieme allo sviluppo dei grandi poli industriali (enorme fu l’attività della costruzione di nuove ferrovie avviata dal ministro delle Finanze Sergej Vitte) marciava di pari passo l’istituzione di migliaia di uffici governativi, di apparati politico-amministrativi e di distretti militari; ciò significava lavoro, occupazione e reddito, ovvero altri elementi di assorbimento che conferivano alle comunità ucraine una progressiva e ulteriore “russificazione”, la quale divenne, in parte, anche linguistica.
Il Donbass e i suoi tesori

Il Donbass, in quanto polo industriale che attinge risorse dai suoi grandi giacimenti minerari, non nasce oggi, tantomeno nel Novecento. È in realtà da prima del Settecento che quest’area millenaria, compresa tra le coste del Mar Nero e gli Oblast di Luhans’k e Belgorod (in pratica, una linea parallela al Don che corre dalla Crimea e va a Nord), grazie anche agli investimenti di paesi stranieri, rappresenta un sito naturale di inestimabile valore che gli zar sfruttarono sino al tempo della grande esplosione demografica e operaia. Oltre a favorire l’esodo dalle campagne, i giacimenti del luogo richiamarono una certa abbondanza di manodopera per l’industria che comportò al tempo stesso la radicalizzazione delle tensioni sociali; queste, provocate dai bassi salari e dalle cattive condizioni di vita della classe operaia, presero sempre più corpo incentivando l’associazionismo dei lavoratori in funzione antigovernativa. Come si può evincere, le note differenze etnico-culturali tra le comunità russo-ucraine ebbero anche implicazioni politiche, che di fatto continuarono a impedire una perdurante stabilità di governo.
«Se lavorerete per il presente, il vostro lavoro resterà insignificante. Bisogna lavorare pensando al futuro». Nel citare questo sillogismo di Anton Pavlovic Cechov, è opportuno ricordare che la classe dirigente russa, nelle prime due decadi del Novecento, aveva tentato di avviare alcune riforme – di cui una relativa alla attribuzione delle terre ai contadini, i quali, come nuovi proprietari, andarono a ingrossare le già nutrite fila dei kulaki, i “signori della terra” – che lenissero il malcontento delle classi meno agiate. Non bastò, e gli scioperi e le proteste di piazza si moltiplicarono, così come l’allestimento dei gulag, dove vennero deportati gli oppositori politici del Cremlino.
Lo spartiacque costituito dal secondo, tragico, conflitto mondiale, diversificò ma non smorzò le tensioni che si trascinavano oramai da decenni. L’invasione nazifascista della Russia (denominata Unternehmen Barbarossa), avvenuta nel 1940, che ne determinò un’occupazione durata circa 3 anni, fu caratterizzata, tra gli altri eventi, dalla costituzione di un esercito paramilitare ucraino in funzione antirussa e dall’arruolamento spontaneo di almeno 250 mila volontari nella Wermacht e nelle Shutz-Staffel (le ben note SS), i quali parteciparono attivamente allo sterminio degli ebrei del luogo. Trattavasi di ultranazionalismo radicato che avrebbe, nel tempo, mantenuto le sue tristi affinità con alcuni movimenti politici locali abbastanza diffusi.

Acutizzazione delle tensioni

Come si diceva, tensioni mai sopite, in cui intervennero nuove discriminanti diacroniche; liberata l’Europa dalle potenze dell’Asse e superato il periodo di Guerra Fredda, le incomprensioni assunsero un contenuto più squisitamente economico e sociale. La dissoluzione dell’Unione Sovietica, avvenuta nel 1991, che sancì l’indipendenza delle repubbliche federatesi nel 1922, rese i rapporti tra Mosca e Kiev mutevoli e controversi, o quanto meno più complicati dal tempo della già menzionata “russificazione” delle aree orientali ucraine. Tutto il bacino degli Urali e le regioni distribuite a est – compreso evidentemente il Donbass – hanno dato e danno attualmente lavoro a decine di migliaia di cittadini con passaporto russo, di lingua e religione filorusse, e ciò ha comportato ulteriori motivi di scontro non solo identitari e sociali, ma, come detto, anche economici. Non va dimenticato neanche che nel referendum del 1991 il 20% degli ucraini, corrispondente a circa 8 milioni di elettori, si pronunciò a favore del mantenimento federativo con la Russia.
Col passare degli anni, la posizione geopolitica dell’Ucraina ha peggiorato questa condizione, specie in relazione all’attrattiva costituita dal mercato libero legato alla UE, che l’alternanza dei governi ha di volta in volta valutato, caldeggiato o meno in base alle congiunture storico-economiche; il paese si è infine letteralmente lacerato tra quanti propesero a favore dell’avvicinamento all’Europa e quanti sostennero l’indipendenza dall’Ucraina mantenendo rapporti strettissimi di lavoro, vicinanza e amicizia con Mosca. Un attrito che provocherà una profonda ferita nel cuore dell’Europa e per la quale si attende il tanto auspicato annuncio di una tregua. Magari con il contributo di paesi terzi che in questo momento sembra stiano affossando qualsiasi possibilità di dialogo.

MG

FONTI & BIBLIOGRAFIA

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A. Franco, Gli ucraini dell’impero zarista nell’Ottocento, Università degli Studi di Udine (a cura di), 2015 –
G.Giardina – G. Sabbatucci – V. Vidotto, L’età contemporanea, Roma/Bari, Laterza, 2000
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E. Hobsbawm, Nazioni e nazionalismi dal 1780. Programma, mito e realtà, Torino, Einaudi, 1991 –
L. Hughes, Pietro il Grande, Torino, Einaudi, 2003
ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale), Sez. Ricerca, Europa e Governance Globale, vedi notizie crisi Russia-Ucraina –
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N. Werth, Storia della Russia del Novecento, Bologna, Il Mulino, 2000 –

FENOMENOLOGIA DELL’ ALESSANDRO   ORSINI, di Massimo Morigi

                      FENOMENOLOGIA DELL’ ALESSANDRO   ORSINI

 

E per la chiarezza concettuale e terminologica e per  iniziare l’indispensabile  percorso già indicato ai lettori in “Regnum Cliens”, (all’ URL  de “L’Italia  e il mondo” https://italiaeilmondo.com/2022/04/24/regnum-cliens-di-massimo-morigi/, Wayback Machine: https://web.archive.org/web/20220424164612/https://italiaeilmondo.com/2022/04/24/regnum-cliens-di-massimo-morigi/; screenshot:  https://web.archive.org/web/20220424164625/http://web.archive.org/screenshot/https://italiaeilmondo.com/2022/04/24/regnum-cliens-di-massimo-morigi/, ed anche su Internet Archive agli URL https://archive.org/details/regnum-cliens-repubblicanesimo-geopolitico-massimo-morigi-italia e  https://ia801505.us.archive.org/10/items/regnum-cliens-repubblicanesimo-geopolitico-massimo-morigi-italia/REGNUM%20CLIENS%2C%20REPUBBLICANESIMO%20GEOPOLITICO%2C%20MASSIMO%20MORIGI%2C%20ITALIA.pdf )  è ora necessario fare un esempio concreto per instradarci verso una nuova pedagogia nazionale che si contrapponga alle vecchie e divisive narrazioni, iniziando innanzitutto da coloro che possono sembrare affini ma, in realtà, ammettendo pure la loro  buona fede, non fanno altro che seminare confusione nel campo di coloro che si stanno rendendo conto che l’Italia non è nient’altro che un “regnum cliens” degli Stati Uniti. Ci riferiamo al prof. Alessandro Orsini, del quale qui di seguito si indica per punti la complessa e contraddittoria fenomenologia di questo comunque interessante personaggio pubblico. Punto primo della fenomenologia di Orsini. Il professore accusato  –  vigliaccamente e distorcendo le sue parole bisogna sottolineare – di essere  fascista,  anziché rimarcare il ruolo paralizzante del mito della resistenza e dell’antifascismo, denuncia anche giustamente di essere stato volutamente frainteso per le posizioni assunte sulla guerra russo-ucraina e per queste sue  posizioni che si sta operando sulla sua persona una sorta di ridicola e deformante “reductio ad fascem” ma facendo ciò ribadisce la sua fedeltà ai valori paralizzanti di cui sopra e non gli passa nemmeno per l’anticamera del cervello (l’abbiamo già detto,  gli si concede la buona fede) che per l’Italia è fondamentale il passaggio ad una nuova pedagogia nazionale che si lasci completamente dietro di sé, appunto, il miti confusionari, divisivi e sommamente paralizzanti  dell’antifascismo e della resistenza e che risultano essere un fenomenale compattatore delle classi dirigenti e parassitarie italiane e, in prospettiva storica, nient’altro che una mitologia costruita ad hoc da un’Italia che aveva perso il secondo conflitto mondiale e che necessitava di questa mitologia per accreditarsi pubblicamente presso i vincitori come una nazione rinnovata ed affidabile (nella realtà inconfessabile, certamente affidabile perché col mito dell’antifascismo e della resistenza si rinunciava alla propria sovranità persa con la guerra ma rinnovata proprio no, anzi il mito copriva il fatto che le strutture dello stato erano sempre quelle fasciste – e quali avrebbero potuto essere ? – e gli italiani non erano per natura antifascisti ma, per la maggior parte, fascisti che avevano perso la guerra cui faceva gioco raccontare all’estero ed anche al loro foro interiore che erano sempre stati antifascisti). Punto secondo della fenomenologia di Alessandro Orsini. Non c’è praticamente alcuna pubblica dichiarazione del professore dove egli non si professi ammiratore della democrazia degli Stati Uniti (???) e nel contempo non affermi che l’Italia deve rendersi più autonoma da questi e cercando di fare i propri interessi, imitando, per giunta, proprio gli Stati Uniti dal professore ritenuti maestri nel perseguire il proprio interesse nazionale. Si tratta, come è di tutta evidenza, di una posizione in sé fortemente contraddittoria (perché allora rendersi autonomi da una potenza che promana tanta civiltà democratica?) ed anche antistorica, perché se è vero che gli Stati Uniti sanno fare i loro interessi (e anche questo è tutto da dimostrare, meglio dire che gli Stati Uniti  hanno di volta in volta grande capacità di imporre agli alleati e agli stati clienti – per l’Italia abbiamo già detto che questa è la definizione che meglio si attaglia riguardo al suo rapporto con gli Stati Uniti – la loro politica del momento), bisogna vedere cosa significhi, a livello di politica interna degli Stati Uniti, fare i propri interessi, che negli ultima trent’anni – se facciamo eccezione dell’amministrazione Trump – non è mai stato l’interesse di quella che più o meno si può definire una classe media (cosa che si intuisce importa molto al prof. Orsini) ma solo quello delle grandi corporation. Quindi, per farla breve e per essere benevoli, Orsini fortemente succube del mito americano e non andiamo oltre. Punto terzo. Orsini si definisce grande europeista e, purtroppo, c’è da credere alla sua sincerità, ma si tratta di una sincerità che confligge – e anche su ciò diamo credito ad Orsini sulla sua sincerità e quindi sul suo accecamento – con la sua volontà di voler rendere l’Italia più assertiva ed efficace in politica  estera. L’Unione Europea è nata per la volontà degli Stati Uniti di controllare il Vecchio continente uscito con le ossa rotte dal Secondo conflitto mondiale e, come si vede nella vicenda della guerra russo-ucraina, svolge egregiamente questo ruolo e non c’è molto altro da dire se non riflettere sull’ingenuità del prof. Orsini, ed anche, se proprio si vuole aggiungere una postilla, concordare  con il ragionamento di Orsini in merito al fatto che per la Francia l’Unione Europea è un moltiplicatore di potenza, ma anche sottolineare che, a differenza dell’opinione di Orsini, è assolutamente velleitario pensare che questo moltiplicatore di potenza possa valere anche per l’Italia, per il semplice fatto che per moltiplicare potenza, potenza bisogna avere e siccome la potenza internazione dell’Italia è uguale a zero, hai voglia a moltiplicare… . Quarto e ultimo punto. Orsini sostiene che l’Italia è un satellite degli Stati Uniti. Errore, grosso errore, errore da sottolineare con la matita blu. L’Italia non è un satellite degli Stati Uniti, perché com’è noto in astronomia, un satellite esercita una sua forza di gravità sul corpo celeste maggiore che va sotto il nome di pianeta, e usando quindi nella relazione di potenza fra Stati Uniti ed Italia la metafora del satellite, ciò vorrebbe dire che l’Italia esercita una pur minima influenza sugli Stati Uniti, ma questo è empiricamente smentito dai fatti, ricevendo l’Italia passivamente e servilmente i desiderata degli Stati Uniti senza portar un pur minimo contributo autonomo agli stessi (vedi sempre guerra russo-ucraina con la ridicolaggine che l’Italia è letteralmente indemoniata nel dire che bisogna fare a meno del gas russo, dimenticando il piccolo dettaglio che essa è la nazione occidentale che più dipende dallo stesso. In realtà l’Italia non è uno stato satellite degli Stati uniti come possono esserlo la Francia, la Germania o la Gran Bretagna, l’Italia è uno stato cliente degli Stati Uniti, dove, come nell’antica Roma, noi attribuiamo a questo termine il significato di uno stato che ha formale personalità giuridica internazionale e formale libertà di scegliersi al suo interno i propri governanti, ma che non solo in materia di difesa militare ma anche in quella delle scelte economiche vitali per il benessere della sua popolazione non può e non deve avere alcuna parola se non quella che direttamente le viene trasmessa dalla nazione con la quale è formalmente alleata ma, nella realtà, completamente sottomessa militarmente ed economicamente (rinuncia al gas russo per ordine degli Stati Uniti anche se questo può uccidere la nostra economia; aumento, sempre su direttiva degli Stati Uniti, delle spese militari per l’Italia anche se questo rischia di far schizzare la già nostra disastrata spesa pubblica, sempre su ordine diretto degli Stati Uniti, invio di armi all’Ucraina, anche se questo ci espone al rischio di essere la prima vittima sacrificale di una ritorsione nucleare da parte della Russia. I Romani con i regni clientes si comportavano esattamente come gli Stati Uniti con noi italiani: prelevavano soldati per le legioni, depredavano i territori dei regni clientes delle risorse minerarie, agricole ed umane, cioè, oltre ai soldati, imponevano de facto  presso costoro anche la fornitura di schiavi oltre quelli che già si procacciavano con la diretta brutale violenza dagli stati debellati tout court dalla loro forza militare). L’interesse della fenomenologia testé tratteggiata  è data dal fatto che col prof. Orsini ci troviamo di fronte ad uno studioso  –  contrariamente alla stragrande maggioranza  degli esponenti del circo intellettual-mediatico mainstream palesemente in malafede e/o talmente istupidito dal crollo delle ideologie novecentesche che “tout va très bien madame la marquise” –   che pur possedendo realmente una competenza geopolitica e pur volendo sinceramente far valere questa competenza a beneficio della nazione cui appartiene, non è riuscito ad acquisire quella necessaria souplesse che gli consenta di sbarazzarsi con decisione di tutti quegli idola fori  del c.d. Occidente che permettono ai gruppi alfastrategici di questo fantomatico e fantasmagorico Occidente di prevalere senza alcuno sforzo sui gruppi omegastrategici che vengono letteralmente privati della loro capacità critica e di autoconservazione vitale tramite l’uso   parareligioso della mitologia dei diritti dell’uomo e della c.d. democrazia rappresentativa (in Italia, sottomiti e diretta gemmazione del mito principale, mito dell’antifascismo presente anche all’estero ma mito dei vincitori per imporre la loro volontà di potenza agli sconfitti mentre in Italia è il mito degli sconfitti e per imporre la volontà di potenza delle classi egemoni sulle classi subalterne e mito della resistenza, anche questo presente all’estero ma in Italia particolarmente farlocco ed arma di “distrazione di massa” a totale detrimento, come nel primo caso, dei gruppi omegastrategici), democrazia e diritti dell’uomo che, secondo questo racconto mitologico, non solo dovrebbero essere imposti sui popoli che non ne vogliono sentire parlare ma, addirittura, dovrebbero essere la chiave di spiegazione universale per interpretare e giudicare le vicende storiche, culturali ed esistenziali dell’Umanità (e se l’imposizione è segno di mentalità imperialista mai morta, e questo passi,  scagli la prima pietra di chi non è mai stato imperialista magari solo sul piano personale, la spiegazione dell’avventura umana lungo le rotaie dei diritti umani e della democrazia quando non di malafede, è veramente segno di profonda ingenuità). In conclusione. Speriamo che la fenomenologia del prof. Orsini, pur segno a nostro giudizio, di buona volontà e anche di buone conoscenze in fatto di geopolitica, possa subire una sua evoluzione verso posizioni più mature ed adulte, speriamo cioè che il segno molto evidente della “fatica del concetto” rappresentato da questo studioso possa portare ad una Epifania Strategica non solo riservata a gruppi ristretti di intellettuali che pur onesti, si lasciano ancora abbindolare dagli idola fori liberaldemocraticistici lasciatici in eredità dal secondo dopoguerra ma anche ad un aumento dell’intelligenza collettiva che, per quanto non nutrita da approfondite conoscenze nelle masse, avverta  e sappia finalmente riconoscere quando i gruppi alfastrategici  tirano fuori le loro  supercazzole ideologiche per fregare gli omegastrategici nel sempiterno conflitto strategico fra gruppi con diverso livello di potere, una fregatura che oggi potrebbe avere come posta in gioco la distruzione dei gruppi omegastrategici stessi attraverso le prime fasi di un conflitto nucleare, prime fasi verso le quali i gruppi dirigenti avrebbero, c’è da scommetterlo, l’intelligenza e le risorse per mettersi al riparo in tempo mentre per i gruppi omegastrategici non ci sarebbe alcuno scampo se non raccomandare l’anima all’Altissimo (su questo punto Orsini è molto lucido: in polemica con Cacciari, per lui la guerra nucleare non significa distruzione di tutta l’Umanità ma, almeno all’inizio, distruzione delle classi più basse e subalterne della società: opinione banale, se vogliamo, ma di una banalità che è segno anche di anticonformismo e profondo realismo politico e sociale). Intanto, per quanto ci riguarda, teniamoci ben stretto, come il nostro (ed altrui, ce lo auguriamo) bene più prezioso la chiarezza terminologica e concettuale riguardo la condizione dell’Italia: l’Italia è stato cliente degli Stati Uniti e, come precedentemente detto, lungo questa consapevolezza si accettano suggerimenti, e perché no? anche dal nostro simpatico seppur non sempre del tutto conseguente prof. Orsini, al quale, comunque, va tutta la nostra solidarietà per i vili e stupidi attacchi ai quali è stato oggetto che testimoniano della sua libertà di studioso e che, ci auguriamo, porti ad una positiva evoluzione del suo pensiero. 

CHI ANDRA’ALLA FIERA DELL’EST ? BOICOTTANO LA RUSSIA SOLO IN UNA TRENTINA E NON TUTTI SINCERI…, di Antonio de Martini

CHI ANDRA’ALLA FIERA DELL’EST ? BOICOTTANO LA RUSSIA SOLO IN UNA TRENTINA E NON TUTTI SINCERI…

Questo é il tabellone del voto dell’ONU che illustra con un + i paesi che hanno votato a favore della censura alla Russia; con un X gli astenuti e con il colore rosso i contrari. Il quadratino nero – se preferite, vuoto, contraddistingue i paesi che hanno marinato la votazione e mancano i paesi sospesi dal diritto di voto come il Venezuela.

Sembra tutto molto facile da capire, ma esistono una serie di paesi che dopo aver riconosciuto e deplorato l’aggressione russa, si sono defilati e si premurano a dichiarare che non adotteranno altre sanzioni che quelle morali già comminate.

Qualche altro, come la Serbia, ha dichiarato per bocca del suo presidente di aver votato sotto minaccia di sanzioni troppo letali per il suo paese. Altri – come L’India, il Pakistan e la Bosnia Erzegovina – sono oggetto di battaglia di influenze perché adottino una posizione o l’altra.

Chi ha riassunto in maniera analitica lo stato delle sanzioni , diviso tra sanzioni militari ed economiche e articolato anche per società che hanno deciso il ritiro dagli affari coi russi, é l’agenzia Reuter che non ha bisogno di presentazioni:

https://graphics.reuters.com/UKRAINE-CRISIS/SANCTIONS/byvrjenzmve/

In buona sostanza, si tratta di una trentina di paesi che l’Agenzia ha trifolato a diverse creando un data base interattivo molto bello, ma serve sopratutto a chi voglia sostituirsi ai boicottato per decidere dove rivolgersi per sostituirli.

I paesi che per ora hanno apertamente rifiutato di comminare sanzioni alla Russia sono: Cina, Messico, Georgia, Egitto, Serbia, Moldova, Kazakistan, UAE, Arabia Saudita,Sud Africa, Nicaragua, Bolivia, El Salvador e Argentina.

Gli altri , non compresi tra la trentina di ossequianti e gli apertamente ribelli, hanno deciso di tacere e far finta che nulla sia avvenuto.

Un uomo d’affari che ho incontrato, mi ha fatto questa considerazione: “Gran parte del gas che giunge in occidente, arriva tramite pipeline che transitano attraverso il territorio ucraino.

Zelenski potrebbe chiudere i rubinetti , ma preferisce lasciarli in funzione perché incassa fior di quattrini.

Comodo far la guerra a spese degli altri.” E poi mi ha girato la mappa delle basi USA che vengono rifornite di gas e petrolio proveniente dalla Russia. Ve la giro

Nella foto a fianco: Una mappatura delle basi NATO e USA in Europa alimentate in carburanti grazie alla rete proveniente dalla Russia. A questo punto dovremmo dire ” vai avanti tu che io ti seguo.”

https://corrieredellacollera.com/2022/05/01/chi-andraalla-fiera-dellest-boicottano-la-russia-solo-in-una-trentina-e-non-tutti-sinceri/

MA COSA E’ LA NEUTRALITÀ E CHE DIFFERENZA C’E’ CON I NON ALLINEATI ?_di Antonio de Martini

MOLTI CREDONO CHE NEUTRALITÀ SIGNIFICHI AMBIGUITÀ ATLANTICA. INVECE SIGNIFICA INDIPENDENZA DALL’IMPERIALISMO DI ENTRAMBI

Illustriamo con una serie di carte geografiche l’evoluzione del concetto di neutralità e quello di non allineamento. Partiamo dalla vigilia della seconda guerra mondiale e dal patto di Monaco che illuse molti con la frase famosa di Chamberlain ” peace in our time”. Voleva solo guadagnare un anno per mettere in linea gli “Spitfire.”

LE CARTINE SONO COPYRIGHT DI ANTONIO de MARTINI

Dalla carta dell’Europa di oggi, risultano chiari alcuni elementi chiave per capire le situazioni: Vi sono quattro paesi neutrali che formano quasi una corona protettiva attorno all’Italia e il ” buco ” NATO é rappresentato da paesi a cui é stata l’Italia a proporre l’entrata nella alleanza atlantica e nel suo dispositivo militare. Spagna e Portogallo – ex neutrali- si sono aggregati alla NATO al fine di migliorare la loro integrazione con il resto d’Europa, mentre i paesi ex appartenenti al patto di Varsavia hanno fatto altrettanto dopo il crollo dell’URSS, grazie al quale, il confine é passato dal fiume Elba ( Berlino) al Dniepr ( Kijv) con una progressione, in avvicinamento a Mosca, di 1347 km. senza colpo ferire. I neutrali del nord Europa sono sottoposti a pressioni per aderire alla NATO con ‘obbiettivo di chiudere l’uscita del Baltico ai russi, come questi vogliono chiudere agli USA il mar nero privandoli delle basi.

Per essere al riparo dalla famelicità altrui bisogna anzitutto avere una favorevole posizione geografica e politica. Spagna, Portogallo e Turchia si sono trovate in questa posizione. La catena delle Alpi, oltre a proteggere la Svizzera favorisce anche il nostro paese. I paesi scandinavi – che simpatizzarono con le potenze dell’INTESA, rimasero neutrali e la Finlandia, già appartenuta agli zar, fu oggetto di un tentativo russo e di uno di rivincita finlandese, entrambi non riusciti. L’est dei Balcani si schierò con la Germania e l’Ovest con gli inglesi anche se la Jugoslavia fu oggetto di due colpi di stato tra i contendenti e finì smembrata con un ” Regno di Croazia” affidato a un Savoia. Danimarca e Paesi Bassi finirono occupati dai tedeschi e l’Islanda dagli inglesi. Le Repubbliche baltiche dai russi prima e dai tedeschi poi. Le sorti della guerra furono comunque decise dall’entrata in guerra di russi e americani alleati dell’Intesa per forza maggiore, dopo un periodo di non allineamento.

Ora che dovremmo avere più chiare le idee grazie alle carte geopolitiche comparate, possiamo definire quali siano le caratteristiche che consentono di sottrarre i rispettivi popoli alle pressioni dell’una o dell’altra parte interessata ad acquisire e/o mantenere satelliti nella propria sfera di influenza.

Il paese deve essere armato e – come per l’approvvigionamento energetico- possibilmente non da un solo fornitore di armi o di Know How. L’ideale é rappresentato dalla Thailandia che partecipa regolarmente a manovre militari sia con gli USA che con la Cina e , da quest’anno, invia i propri cadetti alle scuole militari russe.

Oggi come oggi, la dimensione – se preferite la “massa critica” di una potenza militare che si rispetti é quella continentale e quindi, nel caso nostro, l’Europa. Ammucchiare alcune brigate e chiamarle esercito europeo sarebbe un’idiozia già provata con la brigata franco tedesca che il presidente Hollande, all’epoca, sciolse senza nemmeno informare i Partners tedeschi che il reggimento francese lasciava l caserma.

Vanno integrati i sistemi industriali, i criteri formativi e di addestramento, gli organici e le truppe vanno inquadrate da un corpo di ufficiali e sottufficiali poliglotti come avviene in Svizzera. Il problema della lingua é già risolto per le forze aeree che usano l’inglese. Sarebbe un paradosso, ma é pratico e utilissimo.

Torniamo alla neutralità e definiamola rispetto al ” non allineamento”. Durante gli anni della ” guerra fredda” alcuni paesi guidati da Nehru, Tito e Nasser, Nkrumah ( Ghana), tutti antimperialisti, in odio all’idea di doversi accodare ai vecchi padroni che avevano cambiato pelle, proclamarono a chiunque volesse ascoltare che essi non avrebbero preso posizione per l’uno o l’altro contendente e riuscirono ad adunare attorno a questa tesi una trentina di paesi ( Conferenza di Bandung nel 1955, a iniziativa di India, Pakistan, Birmania, Ceylon, Indonesia e Repubblica popolare cinese) diventati col tempo sessanta. Non tutti rigorosamente ” non allineati” ( vedi Cina) , ma certamente aspiranti alla pace e alla non ripetizione di esperienze coloniali.

Il New York Timesel 26 aprile 2022 ha coperto la notizia con un articolo su sei colonne che ” girano” dalla prima pagina.

Poiché la prospettiva che abbiamo é – come minimo – la ripresa della guerra fredda a livello planetario, sarebbe bene rievocare quella esperienza alla quale stanno già aderendo, forse inconsapevolmente, molti paesi, specie in chiave antimperialista.

Il movimento dei non allineati esiste tutt’ora, conta 120 paesi e 17 osservatori ed é presieduto dal presidente dell’Azerbaijan, ma ha perso la forza trainante di personalità come Sukarno o Nehru, ma i recenti avvenimenti stanno imprimendo maggior velocità ai paesi partecipanti e si notano prese di posizione non solo in allontanamento dagli Occidentali, ma anche dalla Russia ( Cuba, Serbia, Venezuela) come dagli USA ( Messico, Tanzania, Uganda).

L’arrivo della guerra in Europa sta creando una voglia di neutralità documentata dalle sei colonne del New York Times del 26 aprile u.s. e dal Washington Times del 27 u.s. Una voglia che manca ai nostri rappresentanti politici, ma non a noi. E questo spiega le pressioni al limite del ricatto che le due parti esercitano in questi giorni sui paesi giudicati meno decisi.

SEI COLONNE DEL NEW YORK TIMES DEL “26 APRILE 2022 DEDICATE AL FENOMENO DELLA CRESCENTE TENDENZA AL NON ALLINEAMENTO:

WASHINGTON TIMES el 27 aprile che esprime dubbi circa l’equilibrio di Biden ed esclude abbia carisma.

La domanda che il mondo intero si pone é se valga la pena di seguire su una strada tanto pericolosa un leader inconsistente e non equilibrato. Se valga la pena – a parte cedere un pò di ferraglia per averne in cambio dagli USA fondi agevolati per acquistarne di nuova- rischiare il nostro approvvigionamento energetico e un mercato di 150 milioni di persone con reddito piccolo ma crescente per non dispiacere a un presidente che non piace più nemmeno a chi lo ha eletto. Nell’articolo qui sotto troverete i numeri di chi si é astenuto: il 55% della popolazione mondiale.

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