DUE APPUNTATI E DUE STUDENTESSE, di Antonio de Martini

L’argomento è delicato e si presta alle più svariate strumentalizzazioni. L’affare Weinstein negli USA e Brizzi in Italia ha ridato vita a una campagna isterica e scandalistica sugli abusi sessuali ai danni delle donne. Il campionario delle accuse va dall’abuso violento, al mercimonio tra sesso e carriere, sino alle avances troppo invadenti e a quelle appena accennate. Weinstein ha più volte ventilato che a tempo debito pubblicherà i testi di messaggi e dichiarazioni con l’obbiettivo di riequilibrare in qualche maniera il rapporto tra vittime e carnefici delineato grossolanamente nella campagna mediatica. L’epilogo naturale di tanta acredine non è soltanto la condanna e la giusta persecuzione dei casi di abuso concreto, ma l’estensione agli estremi della casistica di abuso stesso sino alla stesura di decaloghi, poi di comandamenti e poi di leggi di morale e salute pubblica per l’applicazione delle quali non mancheranno certamente i Savonarola di turno dediti alla missione. Nel frattempo anche questo “argomento” si presta ad essere uno strumento efficace per liquidare e neutralizzare avversari nella vita civile e nel confronto politico.

Chi nel proprio lavoro, specie se prossimo ai luoghi decisionali, non ha assistito oltre a soprusi vili a carriere miracolose e vergognose legate a curricula con referenze legate alle capacità “seduttive”?

Tralascio anche le conseguenze soprattutto nefaste ed inibitorie, spesso opportunistiche che l’affermazione di questi codici moralistici stanno avendo nel rapporto affettivo tra i ragazzi dei due sessi. Sarebbe un discorso troppo complesso per l’economia di questo articolo.

Non sono mancate comunque iniziative di buon senso.

L’appello firmato, tra gli altri, da Catherine Deneuve ne è un esempio  https://www.ilfoglio.it/societa/2018/01/10/news/appello-monde-deneuve-172508/

La reazione appare però ancora inadeguata.  

La vicenda di settembre scorso con i due carabinieri protagonisti in divisa di prestazioni sessuali con due turiste americane alticce si inquadra in questo clima. Nel caso più favorevole ai militi, l’episodio denota comunque un comportamento a dir poco riprovevole e meritevole di sanzioni. Il caso peggiore, però, quello di violenza, vien dato per scontato sia dall’iniziale campagna di stampa, sia, fatto preoccupante ma prevedibile vista la statura del personaggio, dallo stesso Ministro Pinotti, dimentica del necessario equilibrio richiesto dalla sua funzione. Ora cominciano a circolare i primi verbali degli interrogatori riguardanti la vicenda e con essi i dubbi sulle versioni e le preoccupazioni sull’influenza che un clima di caccia alle streghe può esercitare sull’orientamento dei giudici. Da qui il commento sagace di Antonio de Martini. Buona lettura, Giuseppe Germinario Tratto da facebook

 

I DUE APPUNTATI E GLI INCONTRI RAVVICINATI DEL TERZO TIPO.

Sarebbe forse meglio dire i due allupati, ma il processo ai due carabinieri ( non si dice più militari dell’Arma, perché adesso sono diventati Forza Armata), rischia di assomigliare a quello dei due marò che furono vittime, non difese, di una campagna nazionalista indiana, come costoro rischiano di essere sacrificati sull’altare del femminismo isterico americano non garantiti da un giudice imparziale.

Leggendo il resoconto dell’interrogatorio di una delle due querelanti sul Corriere della Sera raccontato da una donna, ho tratto l’impressione – più di una impressione- che il giudice abbia preso le parti della americana chiamata sul banco dei testimoni, ma questo è un problema della difesa.

Cerco di fare un discorso generale. Esistono tre tipi di rapporti sessuali:

a) consensuale , in cui entrambi i partecipanti ci danno dentro con entusiasmo. Chiaro.

b) Stupro: in cui uno dei due, generalmente il maschio, usa o minaccia una qualche forma di violenza. Chiaro.

c) tra i due tipi di rapporto c’è una terza zona che possiamo definire una ” no men’s land”, una zona grigia, che risulta irta di trappole e mine. Ma che non è stupro. È complicato.

La vicenda che si sta valutando a Firenze, è certamente un rapporto del terzo tipo.

La ragazza interrogata tra mille divieti posti da un giudice iperprotettivo, ha ammesso che ricorda di essersi baciata, fatta togliere il top è poi “essersi sentita debole” e ” non ricordare più nulla” tranne che fu oggetto di sesso penetrante che non avrebbe voluto avere. Ma non ricorda se lo disse.

Alla domanda ” se non ricorda, come fa ad essere sicura dell’avvenimento?” ha risposto di ” aver sentito un fastidio lì.” Ha aggiunto, con singolare capacità mnemonica selettiva, che si sentiva intimorita dal fatto che il militare avesse un’arma.

Ma fu lei, l’americanina (41 anni, studentessa di che?) a chiamare i carabinieri alla discoteca per sentirsi protetta proprio da quell’arma?
Fu lei a dare il proprio numero di telefono ( esatto).

Il giudice ha impedito di fare la domanda se portasse o meno le mutande.

Un vero peccato.

Qui sotto il link con il resoconto dell’interrogatorio

http://27esimaora.corriere.it/18_febbraio_13/trova-sexy-divise-domande-choc-aula-due-ragazze-stuprate-a2853158-1103-11e8-ae74-6fc70a32f18b.shtml

Qui sotto l’intera trascrizione dell’articolo:

 

LA PARTICOLARE GESTIONE POLITICA DEI FATTI DI MACERATA, di Giuseppe Germinario

C’ è un limite alla capacità di orientamento dell’opinione pubblica per quanto sofisticate possano essere le tecniche di comunicazione e di manipolazione delle informazioni; è il crescente e reiterato stridore tra la rappresentazione offerta e il concreto evolversi degli eventi e delle situazioni. Lo si è visto durante le elezioni presidenziali americane e, nel nostro piccolo, nella rapida parabola che sta segnando i destini di tanti uomini politici nostrani, compreso il ruspante Matteo Renzi.

I fatti di Macerata, nella loro banale tragica casualità, rappresentano uno di quei momenti cruciali che possono innescare il collasso irreversibile di una classe dirigente inadeguata, ormai avulsa da gran parte del paese e, nel migliore e auspicabile dei casi all’affermazione di una nuova classe dirigente, nel peggiore a una condizione di degrado e instabilità endemica attorno alle cittadelle assediate dei centri di potere.

Una ricostruzione degli eventi e dei conseguenti comportamenti dei politici a partire dalla tragica uccisione di Pamela Mastropietro, avvenuta il 30 gennaio e della rappresaglia, fortunosamente meno tragica di Luca Traini del 3 febbraio, per quanto soggettiva può servire a fornire i primi elementi di giudizio.

  • Al rinvenimento del corpo meticolosamente sezionato e privo di alcune parti la prima imputazione dei giudici inquirenti è stata, al momento, la sottrazione e vilipendio di cadavere.
  • Il 3 febbraio scatta la rappresaglia xenofoba di Traini, con il ferimento di immigrati neri e l’ostentata consegna alle forze dell’ordine dell’autore dell’atto terroristico, avvolto nel tricolore davanti al monumento ai caduti della prima guerra mondiale.
  • Il sindaco e soprattutto il questore, la figura istituzionale abilitata, propendono per il divieto temporaneo di ogni manifestazione.
  • Dal Ministero degli Interni arriva a Macerata un funzionario di alto livello il quale spinge ad autorizzare la sola manifestazione antifascista.
  • Si fa strada l’ipotesi, in qualche maniera suffragata dalle dichiarazioni del medico legale incaricato dell’autopsia che il sezionamento del cadavere non fosse dovuto alla necessità di nascondere o far sparire il cadavere, ma fosse legato alla pratica, ancora in uso in numerose comunità tribali africane e riprese dalle organizzazioni mafiose nigeriane operanti in Italia, di riti sacrificali. Una tesi esplosiva in grado di compromettere definitivamente la residua credibilità delle attuali politiche migratorie e dell’intera classe dirigente di esse responsabile; contestualmente la Procura locale denuncia le enormi pressioni cui è sottoposta.
  • Il questore di Macerata viene rimosso improvvisamente e sostituito da un funzionario del Ministero vicino al Ministro Minniti. Non è il solo avvicendamento legato agli avvenimenti; viene sostituito il responsabile del Dipartimento Persone Scomparse. In contemporanea viene lanciata su stampa e telegiornali la notizia che in Italia scompaiono circa ottocento italiani e cinquantasettemila stranieri.

Avrebbe potuto essere una importante occasione per assurgere alla statura di uomini di Governo e ancor più di Stato, sia per il ceto politico attualmente al governo sia per quello che ambisce a sostituirlo.

Avrebbe dovuto essere il momento per affermare solennemente e praticare un principio fondante, basilare della convivenza civile e del confronto politico: lo Stato deve essere il detentore unico dell’uso della forza e non può accettare forme individuali e collettive di rappresaglia e l’esistenza di strutture di controllo politico e militare alternative ad esso come le organizzazioni mafiose e di malavita organizzata, tra esse quella nigeriana, secondo propri codici di comportamento e repertori di sanzioni.

Sin da subito le reazioni, nella quasi totalità dei casi, seguono invece il cliché naturale proprio di politicanti intenti a salvaguardare la propria fazione e intaccare la credibilità delle altre.

Già il giorno dopo il ritrovamento dei resti di Pamela, con grande enfasi mediatica, si assiste alla richiesta di perdono, probabilmente indotta se non orchestrata, rivolta ad una madre, imbarazzata e ignara del senso dell’iniziativa, ad opera di un nigeriano a nome dell’intera sua comunità di appartenenza. Una contraddizione enorme per una società fondata sul principio della responsabilità e della colpa individuale del cittadino e che ha spinto il punto di vista liberale sino all’estremo del disconoscimento o della incomprensione dei legami culturali, religiosi e ideologici propri di una comunità.  Una funzione disperatamente cacciata dalla porta della casa liberale, ma pronta pervicacemente a rientrare ad ogni occasione dalla finestra.

La campagna, però, inizia subito ad utilizzare argomenti più sofisticati e variegati quanto vario è il campo dei paladini dirittoumanitaristi.

Parte a spron battuto l’onorevole Boldrini la quale adombra il fatto che l’assassinio contemporaneo della ragazza di Milano ad opera di un ferrotranviere depravato rappresenta un atto di per sé equivalente se non più grave, perché legato apertamente ad un abuso sessuale quando invece il delitto di Macerata, enfatizzato, rischia invece di alimentare il razzismo.

Prosegue l’opera di imbonimento Giuliano Amato,https://www.youtube.com/watch?v=kciBzASA6Og  il “dottor sottile” il quale a furia di sottilizzare ci illumina sul corso dei secoli pontificando che l’Europa, le popolazioni europee sono la sintesi di una mescolanza di etnie e di culture più o meno aperte al confronto, le quali popolazioni hanno cominciato a rimarcare le differenze e le estraneità, le aperte ostilità sino al male assoluto dei genocidi a sfondo razziale, con l’avvento degli stati-nazione. La sottigliezza degli argomenti gli consente il margine necessario per qualche giravolta opportunistica tipica del personaggio; il senso rimane comunque quello del superamento degli stati nazionali e dell’appello ad un intenso processo di integrazione a scapito dell’evidenza storica delle macellerie che hanno interessato l’epoca moderna, quanto quella medioevale e le precedenti. Eppure il colto e raffinato Giuliano Amato saprà benissimo che sino a qualche secolo fa, in Europa, si riteneva che i vari organi del corpo umano fossero le sedi rispettivamente delle varie virtù umane; la tentazione di conseguenza di nutrirsene doveva essere forte. Concediamogli pure la misconoscenza che tale apprezzamento sia ancora in atto in larghe parti del pianeta, non troppo lontane da noi.

Conclude l’opera di imbonimento e sviamento il vescovo di Macerata, Monsignor Zamboni, http://www.famigliacristiana.it/articolo/il-vescovo-di-macerata-l-italia-e-davanti-al-fallimento-educativo-non-le-servono-miracoli-elettorali.aspxl il quale smarrisce la sua funzione di prelato e di pastore per assumere quella del sociologo attribuendo alla mancanza di senso della vita, al materialismo dell’arricchimento senza scrupoli, alla assenza di concrete politiche di integrazione l’origine del male. Uno smarrimento che spinge il prelato a dimenticare che l’idea di bene e di sacrificio offerta dal cristianesimo, in particolare dalla componente cattolica, si contrappone non solo ai problemi sociali ma ad idee di bene e di sacrificio, di rituali propri di società e comunità tribali; comunità dalle quali stiamo bellamente traendo “risorse” ignorandone completamente i retaggi culturali e le effettive possibilità di reale integrazione. Succede quando si riduce il problema dell’integrazione ad un mero aspetto economico, di dialogo e di giustapposizione multiculturale.

La rappresaglia di Traini rappresenta la classica ciliegina a conferma della costruzione di questo immaginario. Offre l’occasione inaspettata per nascondere sotto il vessillo consunto dell’antifascismo di maniera la polvere dei tanti problemi lasciati a marcire. Grazie ai quali e all’inesistenza di alternative politiche, soffocate queste ultime continuamente per decenni da questo manierismo, si finisce più o meno inconsapevolmente per rilegittimare e dare occasioni di rilancio proprio alle componenti fascistoidi, in quanto uniche potenziali forze di opposizione radicale. La strumentalizzano apertamente le forze sinistrorse più radicali sino alla aperta chiamata di correità di coloro che puntano a regolamentare e ridurre drasticamente i processi di immigrazione. In questo Boldrini e Grasso, ma anche Bersani e d’Alema quando tentano di ridurre a fascismo il sovranismo, sono le punte di lancia. Ma il resto degli iscritti “all’anagrafe antifascista” non sono da meno tranne che nella cautela di vedersi associati all’azione “militante” delle “guardie plebee” (cit. di Preve) dei centri sociali.

Da qui la fretta di celebrare il “sacrificio” di Traini e la tentazione di evitare o rinviare quello degli assassini di Pamela. Se finiranno male, questi ultimi saranno additati come mostri; in realtà non sono nient’affatto avulsi dalla loro comunità; non sono nemmeno troppo lontani dai rituali previsti da nostre comunità. L’aspetto più mefitico di queste dinamiche per il nostro paese rischia di essere proprio quello di una commistione e di una fusione. I segnali, andando in giro per la penisola, di certo non mancano. Dall’altro la riduzione e rimozione a “mostri” è funzionale alla sopravvivenza delle priorità di ordine pubblico e di politica giudiziaria stabilite dai pasdaran dei diritti umani: la persecuzione delle donne, la recrudescenza del fascismo e poi si vedrà. Un modo paradossale di relegare un problema di criminalità organizzata e di rituali annessi, anche se praticamente sconosciuto, in second’ordine rispetto ad un problema sociale in gran parte sovrastimato e comunque riguardante comportamenti individuali quale quello della persecuzione della donna e a un problema circoscritto, più politico in senso stretto che giudiziario, quale quello del fascismo.

Di fronte a questi strattonamenti si comprendono meglio lo smarrimento, i tentennamenti e le oscillazioni della magistratura inquirente.

L’inquietudine che si legge nei comportamenti del ceto politico al governo soggiace a motivi precisi e a retaggi inamovibili.

  • La retorica dell’accoglienza rappresenta un velo che nasconde la completa ignoranza della radicalità delle differenze culturali di gran parte degli immigrati sino all’ingresso di comunità di natura tribale. Una retorica che nasconde l’ambizione reale di gran parte delle schiere più recenti di immigrati; ambizioni che vanno al di là di una dignitosa esistenza in un contesto produttivo.
  • L’entità dei flussi e la condizione di crisi e di radicale riorganizzazione economica in un paese in evidente declino rende impossibile un assorbimento ed una integrazione economica propedeutica a quella culturale
  • La massiccia presenza dell’economia informale e di organizzazioni e sistemi malavitosi e mafiosi alternativi e compenetrati allo Stato offrono lo spazio all’importazione massiccia di strutture analoghe presenti all’estero. Forse uno dei pochi esempi riusciti di integrazione; con essi la mutualizzazione e l’ingresso di rituali largamente presenti e denunciati in quei paesi, ivi compresa la Nigeria. Del resto sono scene e rituali che non sono prerogative esclusive di quell’area. Li abbiamo visti in Siria, con i guerriglieri della libertà dediti ad assorbire le energie vitali del nemico mangiandone cuore e fegato. Anche da quelle parti stiamo attingendo a man bassa, con l’aggiunta dell’esperienza guerriera. Gran parte degli immigrati di quelle aree sicuramente hanno superato questi modelli di vita e ambiscono a qualcosa di meglio. La riproduzione di quelle comunità e di quelle strutture, in una situazione così precaria, rischia di ricacciarli inesorabilmente alle origini. Una precarietà, se proprio la si vuole legare ad una condizione sociale, legata molto più alla economia informale che alla condizione di clandestino. Un processo di regressione riscontrabile purtroppo anche nelle comunità di immigrati meno recenti. Un processo, per altro, che ha intaccato pesantemente la coesione di paesi ben più solidi come la Svezia, la Francia e la Germania. http://italiaeilmondo.com/2017/12/08/svezia-un-paese-sempre-piu-allineato-in-tanti-aspetti-intervista-a-max-bonelli/
  • Gran parte dei flussi sono legati a precisi disegni di destabilizzazione dei paesi fonte di emigrazione e di precarizzazione di gran parte delle economie occidentali, specie quelle in declino. Una destabilizzazione alla quale ha partecipato con ogni evidenza passivamente e senza sussulti l’intera classe dirigente nazionale. Lo stesso interventismo che si sta affermando nell’Africa Subsahariana rischierà di alimentare questa immagine nella misura in cui si offre lo stendardo di una crociata all’integralismo ad un conflitto al momento di tutt’altra natura, in particolare di origine etnica e di sistemi socioeconomici antitetici costretti in uno stesso stato

Sono ingombranti scheletri negli armadi che rischiano di uscire proprio nel momento delle elezioni a discredito definitivo di ciò che rimane della credibilità dei governanti.

Sarebbe stata l’occasione per la sedicente opposizione radicale di proporsi come classe dirigente alternativa credibile.

Lascio perdere per carità di patria i grillini.

Anche Salvini ha però di fatto scelto il silenzio e la speculazione strumentale.

Sarà stato senz’altro il timore, con l’esclusione dall’anagrafe antifascista, di vedersi assegnato nel girone dei reietti.

Molto probabilmente peserà soprattutto la sua inadeguatezza ad affrontare un tema così delicato in termini di sicurezza e di coesione sufficiente del paese e della formazione sociale.

Due atteggiamenti complementari che rischiano di far scivolare il problema della gestione compatibile dell’immigrazione in un problema di etnie, di bianchi e di neri. Da qui ad una rappresentazione razzista più o meno latente del processo il passaggio rischia di essere impercettibile quanto funesto http://italiaeilmondo.com/2018/02/07/intorno-ai-fatti-di-macerata_-non-ce-piu-religionedipende-di-roberto-buffagni/

EPILOGO DI UNA FARSA?_ di Gianfranco Campa

Mueller ha reso pubblici i capi di accusa contro tredici cittadini russi accusati di intrusione nelle elezioni presidenziali americane. Ciò che colpisce però non sono questi capi di accusa contro fantomatici agenti russi; sono piuttosto le parole, i concetti espressi durante la conferenza stampa da Rod Rosenstein,  il vice di Jeff Sessions al Dipartimento di Giustizia. Se si seguono  attentamente le  parole di Rosenstein  la vera notizia, il  titolo più adeguato è che la presunta collusione Trump-Russia non sembra per il momento esistere. Questo è abbastanza chiaro leggendo i documenti di accusa. I cittadini russi accusati dal procuratore speciale Muller sono: MIKHAIL IVANOVICH BYSTROV, MIKHAIL LEONIDOVICH BURCHIK, ALEKSANDRA YURYEVNA KRYLOVA, ANNA VLADISLAVOVNA BOGACHEVA, SERGEY PAVLOVICH POLOZOV, MARIA ANATOLYEVNA BOVDA, ROBERT SERGEYEVICH BOVDA, DZHEYKHUN NASIMI OGLY ASLANOV, VADIM VLADIMIROVICH PODKOPAEV, GLEB IGOREVICH VASILCHENKO, IRINA VIKTOROVNA KAVERZINA, e VLADIMIR VENKOV . Nessuno di questi personaggi risiede negli Stati Uniti e di conseguenza nessuno di loro vedrà mai le pareti di una cella americana. Aspettiamo ora la reazione di Putin e le decisioni che i Russi prenderanno in conseguenza di queste nuove accuse degli americani. Qui trovate il testo completo delle imputazioni formulate da Robert Muller: https://www.justice.gov/file/1035477/download

 

Come detto sopra, l’atto d’accusa riguarda  13 cittadini russi e tre organizzazioni (entità) russe le quali, a detta di Muller, hanno condotto una “guerra dell’informazione” durante il ciclo elettorale presidenziale. Secondo gli atti di accusa, queste persone; “supportavano la campagna presidenziale dell’allora candidato Donald J. Trump e hanno lavorato a denigrare Hillary Clinton.” Ma dopo l’elezione di Trump, sempre secondo la stessa accusa, “i convenuti e il loro co-ispiratori hanno usato personaggi sotto falso nome negli Stati Uniti per organizzare e coordinare ulteriori personaggi sotto mentite spoglie per organizzare e coordinare raduni politici statunitensi di protesta contro i risultati delle elezioni presidenziali del 2016. Una di quelle manifestazioni, tenutasi il 12 novembre 2016, adottava lo slogan. Trump NON è il mio presidente. No non è` uno scherzo! Siamo di fronte a pura follia russofobica mischiata a una totale confusione ideologica e politica.

 

Che dire poi del fantomatico coordinamento elettorale tra i Russi e la campagna Trump? Secondo l’accusa, “alcuni imputati, presentandosi come persone statunitensi e senza rivelare la loro origine russa, hanno comunicato con individui inconsapevoli impegnati nella Campagna di Trump e con altri attivisti politici per cercare di coordinare le attività politiche“. Non è collusione, a meno che la campagna di Trump sapesse che stava lavorando con fonti russe. La collusione, per definizione, si compie solo se hai sollecitato e ricevuto aiuto, consapevolmente, da fonti straniere. Fino ad ora nessuno dei personaggi coinvolti nella campagna di Trump è stato implicato in atti di collusione. Ricordo che lo stesso Michael Flynn è accusato di aver mentito all’FBI, non di aver collaborato con i Russi. Questa mancanza di collegamenti diretti tra Trump e i Russi crea un buco piuttosto grande nella teoria secondo la quale i russi stavano lavorando a braccetto con i funzionari della campagna di Trump. Dopo 10 mesi e  milioni di dollari spesi dai contribuenti, le indagini di Muller e dei suoi compagni di merende non sono riusciti a produrre un solo straccio di prova della collusione diretta fra Trump e i Russi. Questa linea di attacco contro Trump sembra sempre meno logica. Rod Rosenstein durante la conferenza stampa afferma categoricamente che : “Non vi è alcuna prova in questi capi di accusa che cittadini americani fossero partecipi e consapevoli in questa attività illegale. Non vi è alcuna prova che attesti che la condotta degli accusati abbia modificato l’esito delle elezioni.”  A questo punto la domanda logica da farsi è la seguente: Quanto ancora durerà il teatrino di questo Russiagate? https://www.youtube.com/watch?v=5rAxiX8Tiu0

 

Secondo i capi di accusa questi “guerrieri” russi dell’informazione avrebbero usato le piattaforme dei social media per influenzare le elezioni americane, principalmente twitter e Facebook. Anche se questo fosse vero, a mio parere, nessuno di queste interferenze ha spostato l’ago della bilancia elettorale di una virgola durante le presidenziali, soprattutto negli stati del Rust Belt. Gli elettori del Wisconsin sono andati a votare a favore di Trump contro Hillary perché erano stufi dello status quo politico non perché qualche oscuro blogger Russo chiamato “army of jesus” li ha convinti a cambiare voto da democratico a repubblicano. Per il resto se vogliamo realmente parlare di influenze straniere in elezioni terze, basta guardare a quello che fecero gli americani durante gli anni novanta quando l’amministrazione Clinton influenzò pesantemente le elezioni russe a favore di Boris Yeltsin . Stendo qui un velo pietoso su questa meschina caccia alle streghe che Mueller e i suoi co-cospiratori hanno intrapreso ai danni di chiunque abbia avuto rapporti con entità russe. Ormai siamo oltre anche alla fobìa del Maccartismo; nemmeno all’epoca di caccia alle streghe Sovietiche si era arrivati così a fondo. Poi, parliamoci chiaro: se i russi hanno interferito nelle elezioni americani quanti capi di accusa si meriterebbe il personaggio che per decenni a colluso e tramato nel minare governi e elezioni in almeno mezzo mondo? Parlo di George Soros… e delle sue entità ormai quasi misteriose.

20° PODCAST_GLI AMANTI (DEI) SEGRETI, di Gianfranco Campa

Negli Stati Uniti continua lo scontro politico innescato dalle recenti elezioni presidenziali. Quella che sembrava una caccia con una muta di cani pronta ad avventarsi senza scampo sulla preda, impegnata al massimo a schivare i colpi più letali si sta trasformando lentamente in un inseguimento che rischia di sfiancare i predatori. Pensavano i baldanzosi, probabilmente, di infilzare una lepre, al massimo una volpe; rischiano, invece, di stuzzicare pericolosamente la rabbia di un orso. La spedizione punitiva si sta lentamente trasformando in un duello durante il quale la vittima designata riesce ad organizzare le forze e inizia a restituire qualche colpo pesante. Gianfranco Campa non riesce a completare la sua egregia opera di informazione che nuove notizie continuano ad accavallarsi. In una conferenza stampa appena conclusasi il Vicesegretario alla Giustizia Rosenstein ha annunciato che l’inchiesta condotta dal procuratore Mueller ha portato all’incriminazione di tredici cittadini russi impegnati in attività di condizionamento della vita politica americana. Lo stesso ha categoricamente smentito ogni collusione o complicità di funzionari e personaggi politici americani. Una dichiarazione che lascia intravedere la ricerca disperata di una via di uscita che in qualche maniera consenta di salvare la faccia e le carriere dei protagonisti di una vera e propria caccia alle streghe sino ad ora inconcludente e in futuro probabilmente controproducente per gli stessi artefici. Secondo le conclusioni l’operazione di influenza avrebbe riguardato non solo le elezioni presidenziali, ma anche le primarie del Partito Repubblicano e curiosamente anche di quello Democratico a discapito esclusivo della candidata Hillary Clinton e a favore del suo contendente Sanders, sconfitto quest’ultimo, come ormai accertato, con velenosi colpi bassi. Vedremo se anche questa volta la stampa americana e di riflesso quella italiana riusciranno a distorcere platealmente le dichiarazioni e il corso degli eventi. Gianfranco Campa sembra ventilare la possibilità che cotanto furore persecutorio possa ritorcersi contro alfieri e paladini. Il curioso coinvolgimento di Sanders nell’inchiesta potrebbe essere l’indizio che i protagonisti più spietati delle ritorsioni potrebbero alla fine annidarsi addirittura in casa democratica piuttosto che nell’entourage del Presidente Trump. Qui sotto il link del podcast.

Buon ascolto, Giuseppe Germinario

 

https://soundcloud.com/user-159708855/podcast-episode-20

 

 

 

ISRAELE ENTRA UFFICIALMENTE IN BALLO SUL FINALE, MA …., di Antonio de Martini

ISRAELE ENTRA UFFICIALMENTE IN BALLO SUL FINALE, MA ….

Nell’allegato in lingua inglese su cui potete clikkare sotto il post, c’è un “tweet”del quotidiano ” TIMES OF ISRAEL” che rivela ( a meno non si tratti di un apocrifo) quel che il mondo sospettava da anni, ossia il coinvolgimento diretto dello stato di Israele con gli assassini jihadisti del DAESCH ( detto anche ISIS, EI ecc).

Il giornale – della sinistra moderata – rivela che è il DAESCH a comunicare all’aeronautica israeliana quali obbiettivi colpire in Siria. È la prova di un affiatamento operativo accurato e non effimero.

Dopo anni di propaganda e spiegazioni improbabili della funzione del signor Abdelrahman ( a Coventry) e della signorina Katz ( negli USA) come liberi addetti stampa dei jihadisti, la verità affiora prepotente.

Dietro agli orrendi misfatti del DAESCH, si celavano gli israeliani che perseguivano il doppio risultato di aggredire la Siria, neutralizzandola, e di creare una pessima stampa agli arabi in generale presentati come una genia di barbari mozzateste che bruciano vivi i loro conterranei.

Difficile adesso non pensare che gli attentati in Europa non siano stati sincronizzati con i coincidenti appelli ( as es. di Netanyahu dopo gli attentati di Parigi e del rabbino capo di Barcellona) agli ebrei francesi e a quelli spagnoli, a emigrare in Israele in cerca di protezione.

In realtà per compensare la bilancia demografica cronicamente deficitaria dello Stato di Israele, che è, da sempre, la priorità N 1 della dirigenza locale e dell’Agenzia sionista, preoccupate per l’ormai quarantennale esodo di israeliani verso Canada, Stati Uniti e Australia, paesi dalle grandi potenzialità economiche e che garantiscono una serenità e progetti di vita impensabili in Palestina.

Sembra quindi rivelarsi vincente la strategia araba di creazione e mantenimento, tra gli israeliani, di uno stato di insicurezza permanente con un minimo, ma costante, di attacchi alla cieca contro gli abitanti (coltello nelle città e missili artigianali nel contado) che negli anni ha prodotto il convincimento generale di invivibilità del territorio controllato dal governo.

A questa notizia da Gerusalemme si aggiunge quella del Presidente Trump, che ha dichiarato venerdì con la sua abituale rudezza, di dubitare ormai della volontà di pace di Israele ( avrebbe forse potuto dire di Netanyahu).

Il giorno successivo, la Casa Bianca, ha dichiarato falsa l’asserzione del premier israeliano di aver discusso con Trump della legalizzazione degli insediamenti abusivi nei territori occupati.

Il quadro si delinea.

Siamo in presenza di uno stato dominatore, aggressivo e tecnologico che ha vinto tutte le battaglie militari e diplomatiche ed ora constata che rischia di aver perso la guerra o almeno il suo principale alleato.

Reagisce, abbattendo le carte e ammettendo delitti e complicità inconfessabili per tentare di liberarsi dalla stretta mortale di Netanyahu e sodali che preferiscono distruggere tutto pur di non lasciare il potere a chi vuole la pace.

#WhiteHelmets #svpol https://t.co/y1lkrNAZjF
(https://twitter.com/ProfessorsBl…/status/962587850268168192…)

Sergey Lavrov e i punti fermi della politica estera russa_a cura di Germinario Giuseppe

Qui sotto una intervista, tradotta in italiano, al Ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov. Offre una interpretazione delle dinamiche geopolitiche da un punto di vista quasi del tutto ignorato e travisato dai facitori di opinione di area occidentale. Molto interessanti le motivazioni dell’approccio “paziente” nei confronti dell’Amministrazione Americana

Intervista del ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov concessa al quotidiano Kommersant

Visione russa degli eventi attuali. Da prendere, come sempre, con criticità e senno di poi.

Fonte: Ministero degli Affari esteri della Federazione Russa, Kommersant , 21-01-2018

Domanda: Oggi tutti attendono con impazienza la pubblicazione di due rapporti dell’Amministrazione americana: il “Rapporto del Cremlino” sui leader e gli oligarchi vicini ai leader russi, e quello sulla necessità di introdurre nuove dure sanzioni economiche contro Mosca. Se tutti questi testi portassero al rafforzamento della politica di sanzioni di Washington, quale sarebbe la reazione di Mosca?

Sergey Lavrov: Questa domanda è ipotetica. Abbiamo già indicato in diverse occasioni che non aspiriamo in alcun modo allo scontro. A nostro avviso, l’introduzione di sanzioni non ha basi ragionevoli. Per quanto riguarda gli obiettivi annunciati di queste misure, non hanno alcun senso in quanto, poiché queste sanzioni sono in vigore da molti anni, i loro autori avrebbero certamente potuto rendersi conto che queste iniziative non modificano in alcun modo la politica onesta e aperta della Russia. La nostra posizione indipendente e autonoma negli affari internazionali si basa sui nostri interessi nazionali e non può essere modificata sotto la pressione esterna. È definita dal presidente russo sulla base di interessi che soddisfano i bisogni del popolo russo. La popolarità considerevole della nostra politica estera in seno alla sociatà è, a mio parere, la prova migliore dell’inutilità di ogni tentativo di modificarla facendo pressione sulle élites e su alcune imprese.

Anche se non abbiamo alcun interesse a rafforzare la spirale dello scontro, naturalmente non possiamo ignorare i tentativi di punire la Russia – questo riguarda la nostra proprietà, le sanzioni che hai citato o i tentativi di usare lo sport per questi scopi. Ci sono molte prove che riguardo ai casi molto reali di doping dei nostri atleti, così come di molti altri paesi – questi sono ben noti ma nessuno fa rumore, li analizziamo secondo le procedure stabilite – fanno parte di una campagna controllata basata sul principio già utilizzato in altri settori della vita internazionale per quanto riguarda la comunicazione con la Russia e i suoi partner intrapresa contro di noi. Se non mi sbaglio, Richard McLaren ha indicato nel suo rapporto che non c’erano prove e che non sapeva come era stato fatto tutto, ma che gli autori sapevano come si poteva fare. Nessun tribunale normale in nessun paese accetterebbe mai accuse di questo tipo. Queste affermazioni piuttosto esotiche servono come base per le decisioni di privare il nostro paese dei Giochi Olimpici.

Questo contesto ricorda la situazione intorno al Boeing malese: tre giorni dopo questa tragedia gli Stati Uniti hanno chiesto di avviare un’indagine affermando che conoscevano i colpevoli e che erano certi che gli esperti avrebbero confermato il loro punto di vista.

Possiamo anche notare il caso più antico di Alexander Litvinenko. All’epoca, le autorità britanniche sostenevano che l’inchiesta avrebbe confermato ciò che già sapevano. Questa mancanza di obiettività che si tinge di russofobia è davvero senza precedenti. Non avevamo visto nulla di simile durante la Guerra Fredda. All’epoca esistevano regole e standard di condotta reciproci. Oggi tutti questi standard sono stati rigettati.

Domanda: la situazione è peggiore rispetto al periodo della Guerra Fredda?

Sergey Lavrov: Riguardo agli standard di condotta, è possibile. Ma se confrontiamo le reali manifestazioni dello scontro, le opinioni divergono. Da un lato, c’era allora una stabilità negativa tra due blocchi rigidi, tra due sistemi globali – socialista e imperialista. Oggi non c’è divergenza ideologica. Tutti hanno adottato l’economia di mercato e la democrazia. Nonostante i diversi atteggiamenti che si possono adottare nei confronti di questi ultimi, in tutti i casi si hanno le elezioni, le libertà ed i diritti fissati nella Costituzione.

Inoltre, la competizione rimane presente anche in assenza di differenze ideologiche, il che è perfettamente normale. Ma la competizione deve essere onesta. Tutti i paesi hanno ovviamente i propri mezzi per promuovere i loro interessi, i loro servizi segreti, i loro lobbisti impiegati, le loro ONG che promuovono questo o quel programma. È normale. Ma se ci viene detto che la Russia è obbligata ad evitare qualsiasi pressione sulle ONG finanziate dall’estero, ma non ha il diritto di rispondere ad azioni simili contro le proprie ONG all’estero, questo suona come un “Doppio standard”.

Vorrei anche sottolineare un altro elemento. Anche senza differenze ideologiche promuoviamo la crescita materiale del potenziale militare. Che non era il caso al tempo della Guerra Fredda.

Domanda: ma abbiamo avuto la corsa agli armamenti …

Sergey Lavrov: La corsa agli armamenti è rimasta confinata al quadro geopolitico adottato da entrambe le parti. C’era una certa linea di demarcazione tra la NATO e il Patto di Varsavia, che sviluppò le loro braccia su entrambi i lati di quest’ultima. Di conseguenza, l’URSS ha esaurito le sue forze in questa corsa. Le “Star Wars” e altre invenzioni simili hanno avuto un ruolo, anche se quest’ultimo non è stato decisivo. L’URSS si è dissolta perché il paese stesso, le sue élite, inizialmente non sentivano il bisogno di riforme. Poi, quando hanno iniziato le trasformazioni, queste ultime non hanno preso la strada giusta. Ma nell’attuale contesto dell’ampliamento della NATO verso l’Oriente, non c’è davvero alcuna regola. Non abbiamo più un limite da porre come una “linea rossa”.

Domanda: E il confine della Federazione Russa?

Sergey Lavrov: Se dicessimo di non avere alcun interesse nella regione, nell’area euro-atlantica, allora sì: il confine della Federazione Russa sarebbe questa “linea rossa”. Ma abbiamo interessi legittimi perché  popolazioni russe si sono ritrovate all’estero a causa della dissoluzione dell’URSS, perché abbiamo stretti legami culturali, storici, personali e familiari con i nostri vicini. La Russia ha il diritto di difendere gli interessi dei suoi compatrioti, specialmente se sono perseguitati come avviene in molti paesi, o se violano i loro diritti come in Ucraina, laddove annunciavano immediatamente dopo il colpo di stato che la lingua russa doveva essere limitata.

Domanda: Ma hanno indietreggiato …

Sergey Lavrov: Sì, ma è stato ancora detto. Dopo il colpo di stato, la prima iniziativa del Parlamento è stata quella di mostrare “il suo posto” alla lingua russa. Doveva posizionarsi in secondo piano, secondo i parlamentari. Due giorni dopo fu dichiarato che i russi sarebbero stati espulsi dalla Crimea perché non avrebbero mai onorato Stepan Bandera e Roman Shukhevich.

Dopo la mia conferenza stampa, un quotidiano tedesco ha scritto che “Sergei Lavrov aveva cambiato i fatti” e ha presentato una “manifestazione pacifica dei tatari di Crimea davanti al Consiglio supremo della Crimea come un tentativo di espellere i russi dalla penisola”. È sufficiente, tuttavia, guardare i video dell’epoca in cui il Consiglio Supremo era circondato da giovani furiosi, per non parlare dei “treni di amicizia” che Dmitrij Iaroch aveva inviato in Crimea.

Questa storia ucraina è quella del colpo di stato, il tradimento del diritto internazionale da parte dell’Occidente: l’accordo firmato dai ministri degli Esteri dei principali paesi dell’Unione europea è stato semplicemente calpestato. Poi l’UE si è prodigata a persuaderci che questo evento era perfettamente logico e che nulla poteva essere fatto. Francamente, è un peccato per l’Europa. Prendiamo atto di questa realtà storica, ma scegliamo l’implementazione degli accordi di Minsk anziché l’isolamento.

Ma torniamo alle “linee rosse”. Era una “linea rossa”, proprio come nel caso di Mikhail Saakashvili che aveva attraversato un’altra “linea rossa” lanciando un attacco contro l’Ossezia del Sud, dove erano schierate le forze di mantenimento della pace. Russo, osseto e georgiano. Le truppe georgiane furono ritirate, tuttavia, poche ore prima dell’inizio di questa offensiva assolutamente illegittima e provocatoria.

La Russia ha i suoi interessi e gli altri devono tenerne conto. Lei ha le proprie “linee rosse”. A mio parere, i politici seri in Europa comprendono la necessità di rispettare queste “linee rosse” proprio come durante l’era della Guerra Fredda.

Domanda: Ma torniamo agli americani. Secondo i media statunitensi, nel marzo 2017 la Russia ha inviato proposte agli Stati Uniti nel formato “non cartaceo” per quanto riguarda la standardizzazione delle relazioni su più punti. Queste proposte rimangono in vigore data la crescente pressione delle sanzioni da parte americana e tutto ciò che è successo nelle relazioni russo-americane nell’anno passato?

Sergey Lavrov: le proposte sono ancora in vigore. Non assumiamo mai un atteggiamento indignato, ma cerchiamo di capire il contesto delle azioni intraprese dagli americani o da altri colleghi. In questo caso, comprendiamo pienamente che un cocktail di fattori ha provocato questa aggressione senza precedenti dell’establishment americano, come si suol dire.

Il fattore principale è che i democratici non possono accettare la loro sconfitta dopo aver fatto così tanti sforzi, soprattutto per estromettere Bernie Sanders – che al momento si preferisce dimenticare. È una manipolazione diretta delle elezioni e una grave violazione della Costituzione degli Stati Uniti.

Il secondo fattore è che la maggior parte dei repubblicani ha ereditato un presidente fuori dal sistema che non aveva legami con nessun livello dell’establishment repubblicano, ma aveva ottenuto i suoi voti nel campo repubblicano alle primarie. Qualunque sia il tuo atteggiamento nei confronti delle azioni del presidente degli Stati Uniti Donald Trump o la tua visione delle sue azioni non molto usuale per diplomatici e politologi tradizionali …

Domanda: rompe tutti gli accordi internazionali come un elefante in un negozio di porcellana.

Sergey Lavrov: Qualunque sia il vostro atteggiamento nei confronti delle sue azioni, stiamo attualmente parlando delle ragioni per l’indignazione senza precedenti dei politici americani. I repubblicani non apprezzavano davvero l’avvento al potere di un uomo che aveva dimostrato che il sistema esistente da decenni – oltre 100 anni – in cui due parti avevano definito le regole del gioco – io prendo oggi il potere per 4 anni e poi ancora 4, e tu aspetti nel settore degli affari per poi scalare la cima, mentre mi rioriento verso il business – era crollato a causa della vittoria di Donald Trump. Il suo arrivo non è spiegato dal suo carattere messianico, ma dal fatto che la società è stanca e non vuole tollerare questo cambiamento tradizionale di leader, senza alcun significato nella realtà.

Se guardiamo alla struttura della società americana, comprendiamo che quest’ultima affronta processi demografici molto interessanti. Non è un caso che gli elementi etnici stiano attualmente provocando lunghi e profondi dibattiti sul risveglio o il rafforzamento del razzismo, che è sempre stato latente o aperto nella politica americana. Questi sono processi molto complicati che richiedono molto tempo. Ancora una volta, la prima ragione è la disfatta dei democratici, che non possono sempre accettare. La seconda ragione è il crollo del sistema bipartisan. Questa procedura “amichevole” era presente durante molte campagne elettorali. Il terzo elemento – tra molti altri – che vorrei sottolineare è il senso della perdita della capacità di influenzare tutti i processi globali nell’interesse degli Stati Uniti. Potrebbe sembrare paradossale, ma è la realtà. Sentiremo ancora gli effetti per molto tempo.

Anche al tempo della Guerra Fredda gli Stati Uniti erano molto più potenti, grazie in parte alla sua partecipazione all’economia mondiale e al suo ruolo assolutamente dominante nel sistema monetario mondiale, perché l’euro non esisteva ancora e nessuno sapeva nulla dello yuan, per non parlare del rublo. Oggi gli Stati Uniti forniscono dal 18% al 20% del PIL mondiale. Non è più la metà come in passato, soprattutto considerando i numeri dopo la seconda guerra mondiale.

Questa sensazione che tutto non è più deciso da un singolo centro è evidente anche nella campagna russofoba. Ci sono ancora la Cina e altri paesi importanti, molti dei quali preferiscono ignorare le derive americane. Per noi è difficile da fare perché i primi due motivi – la sconfitta dei democratici e il collasso del sistema – ci fanno puntare le dita. Ci sono stati contatti tra alcune persone e rappresentanti delle élite politiche statunitensi, o tra l’ambasciatore russo negli Stati Uniti Sergei Kisliak e il consigliere del presidente Donald Trump sulla sicurezza nazionale Michael Flynn. Questo è assolutamente normale e non avrebbe dovuto causare reazioni di questo tipo soprattutto per la scarsa rilevanza rispetto a ciò che i diplomatici americani fanno in Russia e a quello di cui si tenta di incriminare l’ambasciatore e l’ambasciata russa negli Stati Uniti,

Ma poiché non abbiamo reagito alle misure ostili e coercitive prese contro l’ambasciatore russo che ha rifiutato di cambiare il suo atteggiamento, rinunciare alla sua indipendenza e scusarsi per eventi che non sono mai accaduti, la loro agitazione peggiorò. Naturalmente, siamo stati accusati di tutti gli errori e i fallimenti americani. Siamo usati come una specie di parafulmine di fronte a quello che è successo in Messico, in Francia …

Domanda: anche a Malta …

Sergey Lavrov: Ovunque: Russia, Russia e Russia. È molto semplice e facile per una propaganda “stupida”. Gli elettori ascoltano gli slogan molto semplici della CNN: “La Russia si è ingerita ancora una volta …” Se la ripetiamo mille volte, essa si radica nello spirito.

Domanda: Sembra che tu personalmente giustifichi le scelte del presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Ma nessuno lo ha costretto a firmare la legge sulle consegne di armi in Ucraina o la legge sulle sanzioni lo scorso agosto.

Sergey Lavrov: Non provo a romanticizzare nessuno. Ovviamente, quando si adottano provvedimenti di legge con una maggioranza di voti – il 95% in questo caso – il Presidente non riflette sulla realtà, la legalità, la legittimità o la correttezza della legge, ma riflette sul fatto che il suo veto sarà superato in tutti i casi.

Domanda: Ma che dire della legge sulle forniture di armi in Ucraina? Barack Obama non l’ha firmato …

Sergey Lavrov: La mia risposta è la stessa. Sa perfettamente che il Congresso lo costringerà a farlo. Se il presidente degli Stati Uniti Donald Trump si fosse rifiutato di seguire la volontà della stragrande maggioranza del Congresso – che attualmente esiste – il suo veto sarebbe superato. Questa è la mentalità della politica interna americana. Se il veto presidenziale viene superato – anche se è perfettamente giusto e incontra gli interessi a lungo termine degli Stati Uniti – questa è una sconfitta del Presidente. Questo è tutto.

Quando il presidente degli Stati Uniti Donald Trump mi ha accolto alla Casa Bianca, ha parlato con il presidente russo Vladimir Putin ad Amburgo e in seguito telefonicamente, non ho visto alcuna intenzione di lanciare azioni per silurare i suoi slogan elettorali nella sua aspirazione a mantenere buoni rapporti con la Russia. Ma le circostanze non sono favorevoli. La combinazione dei tre fattori – la sconfitta di Hillary Clinton, la natura fuori dal sistema di Donald Trump e la necessità di spiegare i fallimenti americani nell’arena internazionale (e non solo) – spiega la situazione attuale. Mentre gli Stati Uniti sono coinvolti in questo processo molto riprovevole e trovano una posizione pacifica della Russia che non ammette reazioni isteriche – a volte abbiamo risposto, ma entro il minimo indispensabile. Stiamo perseguendo la nostra politica di risoluzione dei conflitti e di lavoro sui mercati dai quali gli americani vorrebbero rifiutarci. Tutto ciò inizia a irritare coloro che hanno promosso un programma russofobico. È un peccato. Tuttavia, siamo incoraggiati dal fatto che alcuni membri del Congresso, politologi e diplomatici statunitensi sono stati ascoltati di recente – silenziosamente in conversazioni riservate – confermando la natura assolutamente anormale di questa situazione e la necessità di rimediare. In ogni caso, tutti riconoscono l’errore di coloro che hanno cercato di metterci ai piedi del muro, perché ovviamente non arrivano ad isolarci. Basta consultare il programma degli incontri e dei viaggi del presidente russo e dei membri del governo per rendersi conto del fallimento dei tentativi di isolamento. Secondo loro, capiscono di essersi spinti troppo oltre su questo tema, ma ci chiedono di fare il primo passo in modo che possano dire che la Russia si è “mossa”. Questa psicologia crea ovviamente la sensazione che la mentalità della superpotenza stia facendo del male agli Stati Uniti. Propongono di fare qualcosa sul dossier ucraino.

Domanda: “muoversi” significa rafforzare il controllo delle azioni separatiste nel Donbass, costringerli a smettere di sparare, assicurare il ritiro delle armi e rispettare assolutamente tutti i punti fondamentali degli accordi di Minsk?

Sergey Lavrov: Non siamo in alcun modo contrari al ritiro delle armi e al cessate il fuoco, che non dovrebbe essere assicurato da Donetsk e Lugansk ma dall’esercito ucraino. Molte testimonianze dei vostri colleghi, inclusi i giornalisti della BBC e altri media che hanno visitato la linea di demarcazione nel 2018, indicano che battaglioni come Azov non sono controllati da nessuno tranne che dai loro comandanti. L’esercito ucraino, le forze armate ucraine non hanno alcuna influenza su di loro. Non ascoltano nessuno. Ciò si riflette nel blocco che hanno lanciato nonostante le denunce del presidente ucraino Petro Poroshenko il quale aveva promesso pubblicamente di eliminare il blocco che contraddice in modo assoluto gli accordi di Minsk e ha persino inviato le forze per sollevarlo, ma non ci è riuscito. Poi decise che la soluzione migliore sarebbe stata di restituire le vesti e adottare un decreto che legalizzava il blocco. È quindi assolutamente necessario smettere di sparare e ritirare le truppe e le armi pesanti, ma da entrambe le parti.

Come ho detto in una conferenza stampa, il desiderio di ridurre l’intera gamma di questioni geopolitiche in Ucraina – ci viene chiesto di ritirare un battaglione da Donetsk o Lugansk per creare le condizioni necessarie per indebolimento delle sanzioni – è indegno di persone che occupano posizioni molto importanti, ma mantengono tali osservazioni.

Domanda: Ci saranno forze di mantenimento della pace in Donbass nel 2018?

Sergey Lavrov: Non dipende da noi. Se fosse stato così, sarebbero stati schierati lì molto tempo fa.

Domanda: quali ostacoli esistono ancora oggi? La Russia è pronta per le concessioni per eliminarli?

Sergey Lavrov: C’è un solo ostacolo: nessuno vuole guardare le nostre proposte in modo concreto.

Domanda: ma gli americani hanno proposto emendamenti. Sono studiati?

Sergey Lavrov: Nessuno ci ha offerto emendamenti, anche se avessimo voluto. Ho parlato con il ministro degli esteri ucraino Pavel Klimkin, i nostri colleghi francesi e tedeschi. Dicono che è una buona e giusta iniziativa, ma abbiamo bisogno di qualcos’altro. Quindi parliamone. Spiegaci le tue proposte e stabiliremo se sono in linea con l’attuazione degli accordi di Minsk. In ogni caso, il progetto di risoluzione sancisce il nostro assoluto impegno a favore del principio del pacchetto di misure per la concertazione di tutte le azioni di Kiev, Donetsk e Lugansk. Ci viene detto che dobbiamo pensare perché possiamo fare qualcos’altro. Ma tutto è limitato alle parole, nessuno discute con noi questi problemi. Le idee presentate al di fuori del lavoro sulla nostra bozza di risoluzione hanno un orientamento completamente diverso. Il nostro progetto sottolinea l’immutabilità degli accordi di Minsk e la necessità di proteggere la missione dell’osservatore dell’OSCE, le cui condizioni di lavoro sono talvolta pericolose. Le guardie armate delle Nazioni Unite devono seguire gli osservatori in tutti i loro movimenti. Questa è la logica legale degli accordi di Minsk. Ci viene detto che se accettiamo il concetto di forze per il mantenimento della pace, devono assumersi la responsabilità di tutti gli eventi a destra della linea di demarcazione. Lascia che assicurino la sicurezza su questo territorio al confine russo, dicono. In queste condizioni, potevano organizzare le elezioni e tutto sarebbe andato bene. Il nostro progetto sottolinea l’immutabilità degli accordi di Minsk e la necessità di proteggere la missione dell’osservatore dell’OSCE, le cui condizioni di lavoro sono talvolta pericolose.

Domanda: non è ragionevole?

Sergey Lavrov: ragionevole? Lo pensi davvero?

Domanda: le forze di pace delle Nazioni Unite sono una forza da affidare alla sicurezza della regione.

Sergey Lavrov:Gli accordi di Minsk stabiliscono che l’amnistia deve essere intrapresa per prima, l’attuazione della legge sullo status speciale della regione – che è stata adottata ma non ancora entrata in vigore – e incorporare questo ultimo alla Costituzione prima di organizzare le elezioni. I cittadini che sono attualmente soffocati da un blocco illegale e i cui cavi e servizi di telefonia mobile vengono tagliati per isolarli dal mondo esterno, almeno dallo stato ucraino, devono sapere che non sono criminali di guerra né terroristi, poiché Kiev ritiene di aver lanciato un’operazione antiterroristica sebbene nessun abitante di queste regioni abbia attaccato nessuno. Vorrei attirare la vostra attenzione sul fatto che sono stati attaccati. Queste persone hanno bisogno di sapere, in primo luogo, che non sono in pericolo e che l’amnistia copre tutti gli eventi da entrambe le parti. In secondo luogo, devono essere certi di ricevere la garanzia – che gli accordi di Minsk letteralmente prevedono – in grado di mantenere la loro connessione con la lingua russa e la cultura, il loro rapporto speciale con la Russia a prescindere dalla politica delle autorità di Kiev, la loro la polizia e la loro stessa voce per la nomina di giudici e pubblici ministeri. Questi sono i principi essenziali. Non è molto complicato. Inoltre, se non erro, circa 20 regioni ucraine hanno inviato a Kiev una proposta ufficiale 18 mesi fa per avviare negoziati sul loro decentramento, per delegare poteri e firmare accordi speciali con il centro. È quindi una normale federalizzazione. Possiamo chiamarlo “decentramento” se abbiamo tanta paura della parola “federalizzazione”. Ma quando ci viene detto che faremo tutto – varare l’amnistia, mettere in atto lo status speciale e organizzare le elezioni – ma solo dopo aver affidato la regione alle forze internazionali per dare loro il “the” non possiamo accettarlo. È una linea rossa. Tutti lo capiscono e avanzano queste proposte con l’obiettivo molto riprovevole di sfruttare l’argomento delle forze di mantenimento della pace. mettere in atto lo status speciale e organizzare le elezioni – ma solo dopo che la regione è stata consegnata alle forze internazionali per dargli “il”, non possiamo accettarla. È una linea rossa. Tutti lo capiscono e avanzano queste proposte con l’obiettivo molto riprovevole di sfruttare l’argomento delle forze di mantenimento della pace. mettere in atto lo status speciale e organizzare le elezioni – ma solo dopo che la regione è stata consegnata alle forze internazionali per poter dare il la, non possiamo accettarla. È una linea rossa. Tutti lo capiscono e avanzano queste proposte con l’obiettivo molto riprovevole di sfruttare l’argomento delle forze di mantenimento della pace.

Gli accordi di Minsk sono stati adottati dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Essi stabiliscono chiaramente che tutte le azioni necessarie devono essere concertate da Kiev e da alcuni distretti delle regioni di Donetsk e Lugansk. Confidiamo nell’ONU e nell’OSCE, che sta facendo un buon lavoro in un contesto molto serio. Ma non si può semplicemente grattare la parte politica degli accordi di Minsk. La promessa di attuarlo dopo l’acquisizione di questo territorio da parte di un’amministrazione delle Nazioni Unite sembra dubbia. Se gli autori di questa idea riescono a persuadere Donetsk e Lugansk: vai avanti, non ci opporremo. Tutto ciò è previsto dagli accordi di Minsk e approvato dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Ma penso che coloro che avanzano questo concetto vogliono semplicemente strangolare questi due territori.

Vi ricorderò una cosa interessante: gli accordi di Minsk si riferiscono all’amnistia, allo stato speciale e alle elezioni. In questo ordine. Nel contesto del gruppo di contatto e del formato Normandia, tuttavia, la parte ucraina propone di capovolgerla, vale a dire garantire in primo luogo la sicurezza totale, compreso l’accesso all’estero, quindi risolvi le altre domande. Abbiamo spiegato loro per anni che il completo ripristino del controllo ucraino di questa parte del confine con la Federazione Russa è l’ultimo punto degli accordi di Minsk. In primo luogo, dobbiamo garantire ciò che abbiamo appena menzionato. Poi dicono che non possono dare uno status speciale a queste persone perché non sanno chi sarà eletto alle elezioni locali. Pertanto chiediamo loro se concederanno questo status solo a coloro che li soddisfano. Rispondono che è questo effettivamente il caso. Questa posizione non è tuttavia molto diplomatica dato che il loro presidente ha firmato un testo che prevede una serie di eventi abbastanza diversi. In ogni caso, abbiamo accettato il compromesso soprannominato “la formula di Frank-Walter Steinmeier”. Stabilisce che la legge sullo status speciale debba entrare provvisoriamente in vigore il giorno delle elezioni per diventare definitiva dopo la pubblicazione della relazione finale dell’OSCE, che dovrebbe garantire l’osservazione durante queste elezioni. Questo lavoro richiede solitamente due mesi. Gli ucraini hanno accettato questo modo di agire. I capi di Stato hanno concordato su questo punto nell’ottobre 2015 a Parigi. Abbiamo provato per un anno a mettere questa formula su carta ma gli ucraini si sono opposti. Quindi, le parti si sono incontrate nel 2016 a Berlino. Abbiamo chiesto spiegazioni sulla mancanza di progressi nell’attuazione della formula di Steinmeier e gli ucraini hanno risposto che era impossibile conoscere in anticipo il contenuto della relazione. Accetto: scriviamo che la legge sullo status speciale dovrebbe entrare provvisoriamente in vigore il giorno delle elezioni per diventare definitiva dopo la pubblicazione della relazione finale dell’OSCE, a condizione che quest’ultima confermi la legittimità e l’accuratezza delle elezioni. Tutti lo hanno accettato. Da allora è passato più di un anno, ma gli ucraini si rifiutano ancora di correggere questa formula nero su bianco. Questo è solo un esempio. Un altro è altrettanto eloquente. Il primo riguardava la politica, e quello sulla sicurezza. Le parti hanno concordato a ottobre 2016 a Berlino di procedere seriamente al ritiro delle armi pesanti e impedire il loro ritorno alla linea di contatto. Hanno scelto tre città pilota: Zoloteus, Pokrovskoye e Stanitsa Luganskaya. In Zoloteus e Pokrovskoye tutto è stato rapidamente portato a termine, ma non è ancora stato possibile farlo a Stanitsa Luganskaya. Gli ucraini dicono che hanno bisogno di sette giorni di tregua prima di lanciare il ritiro delle loro armi pesanti. Da allora l’OSCE ha visto – anche pubblicamente – più di una dozzina di periodi di tregua della durata di sette giorni o più. Gli ucraini dicono di avere altre statistiche e hanno registrato diversi colpi. I tedeschi, il francese e l’OSCE stesso capiscono perfettamente che sono insinuazioni. L’impegno politico dei nostri partner occidentali sfortunatamente impedisce loro di esercitare pressione sulle autorità di Kiev per costringerli ad attuare ciò che hanno promesso, in particolare alla Francia e alla Germania. È triste Se scommetti su un politico, il potere che si è stabilito a Kiev dopo il colpo di stato, è ovviamente molto difficile abbandonare questa posizione senza “perdere la faccia”. Lo comprendiamo e manteniamo la calma. Non siamo scandalizzati a causa della completa disapplicazione degli accordi di Minsk da parte di Kiev, ma cercheremo con calma l’adempimento degli accordi raggiunti. Troppi accordi raggiunti con così tante difficoltà sono attualmente in discussione: l’accordo di Minsk, l’accordo con l’Iran e così via.

Domanda: Rada ha adottato la legge sulla reintegrazione del Donbass giovedì. La reazione delle capitali europee è stata neutrale, mentre Mosca ha fortemente criticato questo testo. Perché? Quali potrebbero essere, secondo te, le conseguenze pratiche dell’adozione di questa legge?

Sergey Lavrov: Da un punto di vista giuridico, la legge sulla reintegrazione traccia una linea sugli accordi di Minsk approvata all’unanimità dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nella sua risoluzione adottata pochi giorni dopo l’incontro dei quattro leader del Normandy Format a Minsk. Per noi è assolutamente ovvio.

Per quanto riguarda la reazione, come ho già detto, non abbiamo dubbi – inoltre, abbiamo prove tangibili – che l’Europa e Washington comprendono appieno il gioco delle attuali autorità di Kiev che cercano di sfuggire alle proprie responsabilità dettate dagli accordi di Minsk. Spero che i rappresentanti di Berlino, Parigi, Washington e altre capitali lo dicano a Kiev in privato, faccia a faccia. Dopo aver preso le parti di questo potere che non ha la capacità di rispettare l’accordo, l’Occidente non può criticare pubblicamente le azioni dei suoi protetti. È un peccato. Capiamo perfettamente che tutto ciò è legato a un falso senso di prestigio e reputazione, ma è la vita. Cercheremo di raggiungere il pieno raggiungimento di tutti i punti degli accordi di Minsk. Tentativi di “deviare il mirino” e ingannare i dibattiti, così come di trovare nuovi ordini del giorno, metodi e forme sono inaccettabili. Difenderemo con calma, ma con fermezza, l’onesto pacchetto di misure firmato dal presidente Petro Poroshenko, nonché dai leader di Donetsk e Lugansk.

Domanda: la mia ultima domanda riguarda l’Iran che lei ha già menzionato. Il possibile fallimento dell’accordo iraniano a causa delle azioni statunitensi potrebbe rivelarsi, in un modo o nell’altro, vantaggioso per la Russia? Gli americani sembrerebbero odiosi e isolati, mentre l’Iran potrebbe diventare più conciliante su alcune questioni.

Sergey Lavrov: questa scuola di pensiero non è quella dei leader russi. Molti politologi si interrogano sulla nostra preoccupazione e difendono la peggiore strategia: secondo loro, gli Stati Uniti dovrebbero essere autorizzati a dimostrare la loro mancanza di capacità di raggiungere un accordo e la loro forza distruttiva negli affari internazionali, in Iran o in Siria, dove attualmente ci sono azioni unilaterali che hanno già scandalizzato la Turchia.

Domanda: Inoltre, l’Iran sarà più accomodante …

Sergey Lavrov: Questo non è essenziale. La distruzione del tessuto degli accordi legali concordati dai principali paesi del mondo in tale e tal altro conflitto potrebbe provocare uno scontro caotico in cui ognuno difenderà solo se stesso. Sarebbe alquanto riprovevole. Lo considero inaccettabile, che si tratti dell’Iran, della Siria, della Libia, dello Yemen o della penisola coreana, anch’esso concordato nel 2005 e che stabiliva chiaramente gli obblighi di Corea del Nord e altre parti. Poche settimane dopo la firma, gli americani “rivangarono” una vecchia storia sui conti di una banca di Macao e iniziarono a bloccare i conti nordcoreani. Possiamo discutere a lungo su questo argomento, l’accuratezza della Corea del Nord o l’errore degli Stati Uniti. I fatti rimangono gli stessi. Abbiamo raggiunto un accordo che comportava la totale cessazione dello scontro e della provocazione. Ha fallito. Pertanto, la capacità di concordare è attualmente il problema sistemico più importante.

Fonte: Ministero degli Affari esteri della Federazione Russa, Kommersant , 21-01-2018

 

MAMMA MIA, MAMMA LI TURCHI, di Antonio de Martini

MAMMA MIA!

Il governo turco, immediatamente dopo la fulminea visita di Erdogan a Roma, ha annunziato un vertice con Russia e Iran sul tema della Siria.

C’era già stato un vertice analogo a novembre e alla riunione di Astana, in Kazakistan ( prossimo paese ad essere destabilizzato) si affermò, realizzandolo poi sul terreno, la creazione di una serie di luoghi adatti per la de-escalation.

Come risultato, circa centomila profughi sono tornati alle loro case.
Troppo pochi, ma meglio di niente.

A questa iniziativa di pace, ha fatto seguito l’apertura di un nuovo fronte con nuovi protagonisti: truppe turche, nell’operazione ” ramo d’olivo” hanno invaso una enclave di frontiera occupata da elementi curdi armati dagli Stati Uniti.
I combattimenti sono iniziati il 20 gennaio e siamo al 10 febbraio.

I curdi hanno dato ad intendere di possedere mezzi antiaerei tipo STINGER abbattendo un aereo russo.

I turchi si sono adoprati per recuperare il corpo del pilota, a dimostrazione che distinguono la loro posizione da quella americana.

Il sottocapo di SM turco ha anche dichiarato che se gli ” advisor” americani vestono le stesse uniformi dei curdi, hanno gli stessi distintivi e partecipano ai combattimenti, ” distinguerli sarà molto difficile” . Un capolavoro di minaccia indiretta.

Gli USA hanno poi diffuso foto di ” carri armati che si ritirano dall’Irak per compiuta missione” .
Ritirarsi via terra, significa andare verso l’Arabia Saudita o verso la Siria.
Il Pentagono ha anche riconosciuto che nove carri armati Abrams ” sono finiti in mano a ribelli siriani” non meglio specificati.
Imparare ad usarli richiede almeno tre mesi di intenso addestramento…

Si preparano a uno scontro indiretto di prova, salvo poter dare la colpa a “focosi e incontrollabili alleati.”
Vogliono uccidere, ma non vogliono la guerra.
Quiindi, per ora, gli USA bombardano i governativi siriani, i turchi bombardano i curdi e i russi bombardano i ribelli siriani.

In pratica ognuno bastona il fratello piccolo dell’altro, solo che la Turchia sembra stanca di fare da spalla agli americani e questo rischia di scoprire il fianco sud della NATO che, come denunziato ieri dal generale @ Vincenzo Camporini, ex capo di Stato Maggiore della Difesa, è già strutturalmente debole a causa dell’incomprensibile mania di mandarci a presidiare i cieli del nord Europa per rasserenare le isterie delle Repubbliche baltiche.

Se esiste un pericolo, oggi questo è nell’area mediterranea.
Se abbiamo interessi strategici da difendere, questi sono in Libia, Egitto e nel Levante.
Se abbiamo prosperità da cercare, dobbiamo cercarla a est.
Non possiamo permetterci un alleato tanto ricco da stanziare 700 miliardi per la Difesa e poi pretendere di dividere le spese con noi.

 

MAMMA LI TURCHI

Hulusi Akar capo dell’esercito turco ha dichiarato che le FFAA turche sono in grado di combattere contemporaneamente sul fronte siriano e nell’Egeo. ( vogliono partecipare allo sfruttamento delle acque di Cipro. Nota per Cristiana Fischer che chiedeva cosa Erdogan è venuto a dire a Gentiloni).

È riuscito con una sola frase breve a inverare due nostri detti popolari.

a) la storia non insegna niente
b) la mamma dei fessi è sempre incinta.

INTORNO AI FATTI DI MACERATA_ NON C’E’ PIU’ RELIGIONE?DIPENDE, di Roberto Buffagni

Non c’è più religione? Dipende.

Intorno ai fatti di Macerata

LA PARTICOLARE GESTIONE POLITICA DEI FATTI DI MACERATA, di Giuseppe Germinario

La giovanissima Pamela Mastropietro viene uccisa e smembrata a Macerata, pare dal criminale nigeriano Innocent Oseghale, in concorso con altro suo connazionale (identificato, non si sa perché non ancora arrestato). Immediatamente un giovane maceratese, Luca Traini, che pure non la conosce di persona, decide di vendicarla. Incensurato, con simpatie sommarie per l’estrema destra, candidato della Lega alle ultime elezioni comunali (zero voti),  in possesso di porto d’armi per uso sportivo (rilasciato dalla Questura in seguito a presentazione di certificato medico ASL attestante l’idoneità psicofisica[1], nonostante egli oggi dichiari d’essere “in cura da una sua amica psichiatra”) si propone di uccidere Oseghale. Ma Oseghale è protetto dalle FFOO, e Traini ripiega su una vendetta generica, una rappresaglia collettiva: sale in automobile e spara con la sua Glock a undici passanti neri, per fortuna senza ucciderne nessuno. Subito allertate, le FFOO lo cercano per ben due ore nella minuscola Macerata, senza trovarlo. Ci pensa Traini, a farsi trovare. Si avvolge in un tricolore e va ad attendere l’arresto-martirio, al quale non opporrà resistenza, sul monumento ai Caduti della Prima Guerra Mondiale. Il simbolismo del gesto è limpido: Traini si considera un eroe, che ha agito per difendere la patria e la stirpe italiana come i soldati che combatterono e morirono nella Grande Guerra. Sorpresa: pare che non pochi maceratesi siano d’accordo con Traini, a giudicare da quel che riferisce il suo avvocato Giancarlo Giulianelli: “Mi ferma la gente a Macerata per darmi messaggi di solidarietà nei confronti di Luca. E’ allarmante ma ci dà la misura di quello che sta succedendo.”[2]

“Non c’è più religione?” Dipende. Non c’è più la religione del Dio che dice “Misericordia io voglio e non sacrifici” (Mt 9 13): non c’è più il cristianesimo, che si è secolarizzato e tradotto (molto male) nel pensiero dominante progressista dei diritti umani e sociali e dell’accoglienza tous azimuts  per gli immigrati, un pensiero tanto dominante che l’ha fatto proprio persino il pontefice cattolico regnante; l’altro, il pontefice pensionato, ha le sue riserve ma sta ai giardinetti e se le tiene per sé.

Altre religioni, invece, ci sono eccome, e una di esse, antica, importante, diffusa nel mondo, a Macerata ha dato una prova di vigorosa esistenza in vita. E’ la religione del popolo Yoruba, al quale Karl Polanyi dedicò un bel libro, Il Dahomey e la tratta degli schiavi. Analisi di un’economia arcaica, Einaudi 1987[3]. Racconta Polanyi che il popolo yoruba viveva del commercio degli schiavi, inserendosi così nelle correnti del traffico interafricano. Per quei tempi, prima dell’arrivo dei bianchi, era la punta di lancia più avanzata dell’economia; i raziocinanti yoruba trattavano bene gli schiavi, per non far deperire la merce pregiata. Come molte religioni, per la verità tutte le religioni tranne le abramitiche[4], la religione yoruba contemplava il sacrificio umano.

La religione yoruba contemplava il sacrificio umano allora, e continua a contemplarlo anche oggi, anche se naturalmente lo proibiscono le legislazioni dei paesi in cui essa è praticata, tra i quali anzitutto la Nigeria. Per la religione yoruba, il benessere e la potenza degli dèi, gli orisha, dipendono dagli uomini.[5] Senza i sacrifici che gli uomini gli tributano, gli orisha si indeboliscono, si ammalano, cadono in depressione, si riducono a nulla.[6] Con il vettore degli schiavi, la religione yoruba si è diffusa nel mondo occidentale, e ibridandosi con elementi del cattolicesimo ha dato origine al candomblè brasiliano, al voodoo haitiano, alla santeria cubana.

Il sacrificio è al centro della religione yoruba. L’uomo sa di non essere solo, ma in comunione con forze divine, alle quali va offerto un sacrificio appropriato alla richiesta e all’occasione. Il sacrificio è il tramite di questa comunione. Si sacrifica per rendere grazie della buona fortuna e per propiziarsela, per sventare la collera divina, per cambiare situazioni spiacevoli, per difendersi dai nemici, per purificare una persona o una comunità in seguito all’infrazione di un tabù. A seconda delle circostanze e dello scopo, si sacrificano oggetti personali, piante, animali. In speciali circostanze, si sacrifica un essere umano. Come è consueto in tutto il mondo, la vittima sacrificale umana viene trattata con il massimo rispetto: ben nutrita, ne vengono esauditi tutti i desideri tranne la vita e la libertà. Se il sacrificio ha scopo riparatorio o espiatorio, la vittima viene condotta in parata lungo le vie della città mentre la popolazione prega per il perdono dei peccati. Il capro espiatorio porta con sé i peccati, la sfortuna e la morte di tutti, senza eccezione. Lo si cosparge di cenere per velare la sua identità di individuo, e il popolo lo tocca per trasferire su di lui tutti i propri mali, fisici e morali. Condotto sul luogo del sacrificio, egli canta la sua ultima canzone, che viene ripresa dagli astanti. La testa viene recisa, il sangue offerto agli dèi.[7]

Molto curiosa la somiglianza tra la religione yoruba e il luogo comune sociologico, o il moderno senso comune ateo, secondo il quale ogni religione è creazione puramente umana, rispondente al bisogno di rassicurazione contro la precarietà e i mali dell’esistenza. La dimensione pratica è in effetti prevalente, nella religione yoruba: in una civiltà cristiana, la si chiamerebbe magia, piuttosto che religione; perché la magia si propone appunto lo scopo pratico di influenzare o asservire forze numinose, per mezzo di rituali e incantesimi.

Come d’altronde la nostra (ex nostra) religione, anche la religione yoruba può secolarizzarsi e trascriversi in pratiche e persuasioni che le somigliano e ne derivano, senza essere espressamente e autenticamente religiose. Per esempio, negli omicidi rituali: molto interessante l’articolo di Patrick Egdobor Igbinova, accademico nigeriano, sugli omicidi rituali in Nigeria.[8] Sempre come avviene, o avveniva, per la nostra ex religione, anche la religione yoruba può influenzare le forme di rappresentazione, a livello artistico o commerciale. Wole Soyinka, ad esempio, il premio Nobel di origini nigeriane, quando ha voluto adattare per la scena un testo della classicità occidentale ha scelto Le baccanti di Euripide, che narra lo sparagmòs, o smembramento sacrificale del re Penteo per mano delle Baccanti, le donne invasate dal dio Dioniso.[9] A livello commerciale, è istruttivo apprendere che da quando in Nigeria c’è stato un afflusso importante di migranti dell’etnia Igbo, assai affezionati alla religione yoruba, il settore industriale degli home movies ha conosciuto una tumultuosa espansione. La trama fissa degli home movies di maggior successo è la seguente: rituali di sacrificio umano generano affermazione sociale, ricchezza, benessere. Certo: l’ autore del sacrificio è presentato come un cattivo, e alla fine della storia viene sconfitto. Però intanto la ricchezza, il successo e il piacere li ha raggiunti proprio grazie ai sacrifici umani che ha praticato.[10]

E’ stato un sacrificio umano con tutti i crismi, l’omicidio con smembramento di Pamela Mastropietro? Non lo so, non credo. E’ stato un omicidio rituale? Non lo so, credo di sì. E’ un pazzo, il criminale nigeriano che l’ha uccisa? Una specie di Jack lo Squartatore africano? Non credo proprio. E’ sicuramente un criminale (pregiudicato, spacciatore di droga, probabilmente membro della mafia nigeriana), ma non vedo perché dovrebbe essere un pazzo. Le modalità dell’omicidio corrispondono a una corrente, antica e profonda, della sua cultura. A quanto pare sinora, lo smembramento non è stato operato per facilitare il trasporto del cadavere, ma a scopo rituale: ma il rituale di smembramento ha uno scopo utilitario, esattamente come smembrare il corpo per farlo stare in valigia. Almeno questo aspetto utilitario dovremmo essere in grado di capirlo anche noi progressisti, che giudichiamo e comprendiamo tutto in chiave di economia, utilità e profitto. C’è molta differenza tra fare a pezzi il cadavere di Pamela per celebrare un rituale inteso ad accrescere il proprio successo e benessere, e fare a pezzi il cadavere dei feti abortiti per venderlo alle industrie biotecnologiche, come fa abitualmente Planned Parenthood? A me francamente non pare. Forse la differenza è che secondo noi progressisti, il rituale africano non funziona? Ma non è affatto detto. Il rituale africano può funzionare benissimo, per esempio per sviluppare la fiducia in sé e la forza del celebrante, per cementare l’intesa del gruppo, per incutere un salutare timore ai nemici, etc. E poi si possono fare soldi con entrambe le pratiche, no?

Concludo rivolgendomi al lettore, in special modo al lettore progressista, allo “hypocrite lecteur, mon semblable, mon frére”.[11]

Rifletti un momento, caro lettore. Giustamente ti ripeti che bisogna comprendere l’Altro, e io sono più che d’accordo con te. L’assassino nigeriano è un uomo, un uomo come te e me, capace di bene e di male come lo siamo tu ed io. Ha anche una sua cultura, radicata nella religione come tutte le culture – persino la tua, nonostante a te la religione non parli più – e questa cultura informa dal profondo sia il bene, sia il male che compie quest’uomo: pensieri, sentimenti, sogni, emozioni, punti di vista, amori, odi, azioni, passioni… E’ così, e non può essere che così, perché è un uomo, e nessun uomo si può ridurre ai moventi più superficiali ed evidenti dei suoi atti. Ora, rifletti: ti sembra facile, o almeno possibile, “integrare” questa cultura, questo uomo? Basterebbe mandarlo a scuola e insegnargli l’italiano, dargli un posto di lavoro decente, il diritto di voto, l’automobile, il 730 dell’Agenzia delle Entrate?

“Ma questo è un criminale,” mi ribatterai tu. “E tutti gli onesti nigeriani, che…etc., etc.”. Vero. Senz’altro vero. Ma secondo te, gli onesti nigeriani comprendono meglio te, o lui, il disonesto nigeriano, l’assassino rituale? A chi si sentono più prossimi? E tu, li capisci, i nigeriani? Onesti o disonesti che siano, come onesti o disonesti siamo noi, a volte indossando la stessa identità anagrafica nell’onestà e nella disonestà? Pensaci.

Pensaci, riflettici, parlane tra te e te, se parlarne con me o con altri ti mette a disagio. Sei sicuro che con tutte queste premure, con tutta questa accoglienza e assistenza, il disonesto nigeriano e gli onesti nigeriani diventerebbero come te, come noi? E se invece fossimo noi, a diventare come lui, come loro? Ci hai mai pensato? E se Luca Traini, il fragile balordo Luca Traini che si è autoinvestito di una missione sacra, la missione di placare col sangue i Mani della fanciulla appartenente alla sua tribù e alla sua stirpe, barbaramente trucidata dal membro di altra tribù, di altra stirpe, e ha simboleggiato la sacralità del suo gesto con i suoi poveri mezzi di bordo – la paccottiglia neonazi, il tricolore-sudario, il Monumento ai Caduti –  se Luca Traini fosse uno di noi che diventa come uno di loro? Un italiano criminale che si sforza di somigliare il più possibile al nigeriano criminale, e ci riesce piuttosto bene? Ci hai mai pensato? Prova. Pensaci. Prova a pensare, a valutare l’ipotesi che il fascismo e l’antifascismo non c’entrino proprio niente. O meglio: c’entrano, nel cuore di Luca Traini, perché da molti decenni le parole sacre “patria” e “stirpe” sono state rinchiuse nella gabbia-ghetto-cordone sanitario della parola “fascismo”.  Non do la colpa a te, per tante ragioni è andata così. Però, vedi: volere o volare, fascismo o antifascismo, patria e stirpe sono pur sempre parole sacre. Restano parole, parole come le altre, finché non accade qualcosa che le riattiva, che le circonda di nuovo dell’aura numinosa, splendida e terribile, che sempre circonda il sacro e dal sacro irradia. Qualcosa di simile l’hai certo sperimentato anche tu: quando parole come “amore” e “tu”, o un altrimenti banale nome di battesimo, vengono pronunciate tra amanti che profondamente si legano, nell’intimità splendida e terribile dell’eros; che come sai – te lo dice anche Umberto Galimberti – è sacro. Bene: non solo l’amore, è sacro. Purtroppo, vedi: nel cuore umano, la radice dell’amore e dell’odio è la stessa. Difetto di progettazione? Forse, ma è così. Anche questo, l’hai sperimentato: quando un tuo grande amore si è trasformato in odio radicato, insopportabile, rovente, e ti ha fatto fare e subire cose che mai avresti immaginato di fare e subire. Esiste, l’amore innocuo? L’amore senza effetti collaterali dannosi? L’amore sicuro, il safe-love? Si può mettere il preservativo, questo sì. Ma il preservativo del cuore e dell’anima non c’è; o se c’è, e lo indossi, anima e cuore avvizziscono, cadono in depressione e muoiono, come gli orisha della religione yoruba quando non gli tributi i sacrifici richiesti.

Come la mettiamo, adesso? Che facciamo? Mah. Un tempo c’era, la procedura seguendo la quale le parole sacre – amore, patria, stirpe, eccetera – restavano sacre ma non irradiavano un’aura radioattiva, mefitica, agghiacciante; in cui insomma si sapeva “gestire”, come ti piace dire, o addomesticare, come preferisco dire io, le sacre profondità dell’anima umana. La procedura si chiamava “civiltà”, e si usava, un tempo, contrapporle la parola “civilizzazione”. Con la parola “civilizzazione” si intendeva tutta la complessa, necessaria, benemerita macchina sociale, dallo Stato alle dighe alle fabbriche alle fogne: tutto quel che si occupa della vita esteriore dell’uomo. Con “civiltà” si intendeva il resto: quel che si prende cura della vita interiore dell’uomo, dalle cime angeliche alle profondità ctonie. La civiltà, ahimè, non c’è (quasi?) più. Ne restano in vita, o in animazione sospesa, gli innumerevoli, meravigliosi monumenti[12]. La fiamma ne è spenta, o è così fioca e impercettibile da sembrarlo. Immensa, torreggiante, la civilizzazione, la “gabbia d’acciaio” weberiana pare invincibile; e in un certo senso lo è, certo che lo è. Ma l’anima e il cuore dell’uomo, anche quando dormono, restano quelli che sono sempre stati. Nelle loro profondità, ci sono miniere d’oro di bontà e fermezza, e abissi di malvagità e violenza. Chi, ormai, sa scendervi e recarvi la luce  “come quei che va di notte, che porta il lume dietro e sé non giova, ma dopo sé fa le persone dotte” [13] ?

Io no, e tu neanche, caro lettore progressista. Se ti azzardi a mettere piede sulle vertiginose scalinate, incise da Gustave Doré, che conducono nelle profondità ctonie dell’anima umana, e per illuminarti la via ti munisci della lampadina “antifascismo”, alimentandola con le batterie “diritti, accoglienza, eguaglianza”, temo che presto, molto presto resterai al buio, inciamperai e ti romperai l’osso del collo.

Temo che questo sia un momento solenne e terribile, caro lettore. Temo che l’endiadi dell’omicidio orribile della ragazzina sbandata, e la vendetta atroce e ridicola del giovane balordo, siano il segnale che si è mosso l’Acheronte. Ricordi L’interpretazione dei sogni di Freud, che hai comprato insieme a “la Repubblica” tanti anni fa? Ricordi l’exergo? “Si flectere nequeo Superos / Acheronta movebo”. Se non riesco a piegare gli Dei celesti, muoverò l’Acheronte: che è il fiume infernale. Questi due orribili fatti di sangue, caro lettore, temo proprio siano due schizzi dell’acqua d’Acheronte, che hanno bagnato la piccola città italiana di Macerata. Che Dio, il Dio “che vuole misericordia e non sacrifici” ci aiuti tutti, anche se non ce lo meritiamo.

[1] https://www.laleggepertutti.it/122839_porto-darmi-tipologie-previste-e-requisiti

[2] http://www.repubblica.it/cronaca/2018/02/05/news/macerata_11_i_migranti_presi_di_mira_da_traini-188082521/

[3] https://www.amazon.it/dahomey-schiavi-Analisi-uneconomia-arcaica/dp/8806593919

[4] L’episodio chiave che marca la differenza tra le religioni abramitiche e le altre è il sacrificio di Isacco. Dio ingiunge ad Abramo di sacrificare l’unico figlio Isacco. Abramo è sconvolto dal dolore, ma nient’affatto sconvolto dalla richiesta in sé e per sé: non trova insensato che il suo Dio gli chieda un sacrificio umano, perché per lui e per tutti i suoi contemporanei è scontato e normale che agli Dei si debbano sacrifici: e il sacrificio più pregiato è, naturalmente, il sacrificio umano. Tra i sacrifici umani, il più elevato è il sacrificio del figlio primogenito, il possesso più prezioso del sacrificante. Ma quando Abramo è sul punto di affondare il coltello nella vittima sacrificale, l’Angelo di Dio gli ferma la mano e gli dice: «Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun male! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio» (Gen. 22,13). Ricordo di passaggio l’opera di René Girard, recentemente scomparso, tutta incentrata intorno al tema del sacrificio umano e del suo disvelamento nel cristianesimo.

[5] V. J. Omosade Awolalu, Yoruba Sacrificial Practice, “Journal of Religion in Africa” Vol. 5, Fasc. 2 (1973), pp. 81-93 http://www.jstor.org/stable/1594756

[6] Karin Barber, How man makes God in West Africa: Yoruba attitudes towards the Orisa, International African Institute 1981 https://www.cambridge.org/core/journals/africa/article/how-man-makes-god-in-west-africa-yoruba-attitudes-towards-the-orisa/AB2C604A49D9A4D1712082F22E2C52BA

 

[7] V. Yoruba Sacrificial Practice, cit.

[8] Patrick Egdobor Igbinova, Ritual Murders in Nigeria, 1 april 1988, in “Internation Journal of Offender Therapy and Comparative Criminology” http://journals.sagepub.com/doi/abs/10.1177/0306624X8803200105

[9] Qui un’intelligente recensione di: Wole Soyinka, The Bacchae of Euripides: A Communion Rite https://www.jstor.org/stable/41153657

[10] Jenkeri Zakari Okwori, A dramatized society: representing rituals of human sacrifice as efficacious action in Nigerian home-video movies, in “Journal of African Cultural Studies” Volume 16, 2003 – Issue 1 http://www.tandfonline.com/doi/abs/10.1080/1369681032000169230

 

[11] Charles Baudelaire, “Au lecteur”, in Les fleurs du mal, 1861. Qui testo originale e traduzione italiana con una analisi ben scritta. Invito a leggere o rileggere perché molto a proposito: http://charlesbaudelaireifioridelmale.blogspot.it/2011/04/au-lecteur-al-lettore-poesiaprologo.html

[12] Eccone uno, che fa bene al cuore più straziato, e lo placa: https://youtu.be/Z5WUO7hsgCA

[13] Purg. 22, 67-69

Anniversari. Hitler a Stalingrado,l’Italia di oggi dove?, di Antonio de Martini

75 ANNI DALLA RESA DI STALINGRADDO

75 anni fa, il due febbraio, la sesta armata tedesca, dopo sei mesi di massacro diuturno, si arrendeva alle truppe sovietiche, decidendo le sorti della guerra sul fronte est.

Il generale Paulus veniva promosso feldmaresciallo, inaugurando così la tradizione di promuovere sul campo i generali sconfitti di cui approfitterà anche il nostro generale Messe che comandò l’ARMIR ( armata italiana in Russia, 60.000 uomini mandati allo sbaraglio per compiacere l’alleato)..

Anche in questo caso il disastro fu dovuto a sclerosi mentale, vanità, visione ideologica delle cose e servilismo carrierista.

Hitler invece di puntare con tutte le sue forze al Caucaso petrolifero abitato da numerosi nuclei di origine tedesca, volle concentrarsi sulla città che portava il nome del suo nemico ideologico prima, e si rifiutò di abbandonarla mentre era ancora a tempo, poi.

Goering, vanitoso, ambizioso e avido di attenzione, alla domanda se l’aeronautica sarebbe stata in grado di rifornire per via aerea trecentomila uomini con l’inverno alle porte, rispose positivamente senza nemmeno interpellare il suo Stato Maggiore. Non ci riuscì.

Paulus, che finirà come candidato dei sovietici a primo ministro di una Germania in condominio che non si realizzò perché la divisero, obbedì alle minute istruzioni quotidiane di Hitler come un caporale di giornata, fregandosene degli uomini di cui era responsabile e del proprio onore.

Sono gli stessi difetti, individuali e di gruppo, che stanno portando questo regime alla tomba.
Con due differenze: non si spara e dura da troppi, troppi anni.

Renzi ci ha spiegato , senza contraddittorio, che il lavoro precario deve essere più costoso di quello a tempo indeterminato.

Logica bacata da ideologia sdrucita. Se una impresa deve, mettiamo, fare un lavoro che non dura dovrà pagarlo più di un lavoro durevole indispensabile e permanente, generatore di lavori a tempo.
Ecco la mentalità di Hitler: rigida, irrealistica e priva di confronti.

Il pallido Padoan è Paulus, zelante esecutore incapace di autonomia intellettuale, sempre devotamente in linea con il pensiero altrui.

Le numerose caratteristiche di Goering possiamo ripartirle tra Alfano e il ministro dello sviluppo economico di cui al momento mi sfugge il nome.

Nessuno, invece, che possa rappresentare il maresciallo Von Manstein, fautore inascoltato della Difesa flessibile che propose insistentemente di far ritirare l’Armata prima che venisse accerchiata e destinarla a impossessarsi delle zone petrolifere, approfittando della maggiore mobilità ed esperienza delle truppe tedesche,accorciando il fronte ed evitando di perdere trecentomila uomini e con essi l’intera campagna.

Hitler, esasperato dalle puntuali critiche militari e dal rifiuto a infierire sui civili di Manstein, nel 1944 lo esonerò mandandolo a casa.
Si salvò così da altre epurazioni sanguinose, a Norimberga gli diedero quattro anni di prigione che non gli fecero nemmeno scontare e, più tardi, scrisse le sue memorie che titolò ” Vittorie Perdute”.

La Stalingrado di questo regime sarà l’economia.

A CARTE COPERTE_ Renzi, Berlusconi, Di Maio, Salvini al 5 marzo, di Giuseppe Germinario

Nel grande luna park elettorale, tra funamboli, illusionisti e fattucchiere cominciano a delinearsi nell’ombra, sotto traccia, alcuni punti fermi.

I PROTAGONISTI

Matteo Renzi all’avvio della campagna elettorale sceglie di incontrare in Europa Emmanuel Macron, Presidente della Repubblica Francese nonché fondatore di “En Marche” e in Spagna Albert Rivera, Presidente di Ciudadanos ed emulo spagnolo di Macron. Due leader affermatisi sulle ceneri dei partiti repubblicano e popolare e soprattutto di quelli socialisti dei rispettivi paesi. Non è un caso. Renzi dimentica di incontrare i leader superstiti del Partito Socialista Europeo. Tra i transfughi della diaspora socialista europea avrebbe potuto scegliere in una vasta gamma di esponenti di successo. L’ultimo è il rieletto Presidente Ceko Milos Zeman, dalle propensioni filorusse e particolarmente tiepido verso NATO e UE. Con ogni evidenza non è certamente questo il cerchio di amicizie ambito.

L’attenta selezione delle candidature non è la sanzione definitiva del PdR, del partito personale di Renzi. È una interpretazione troppo riduttiva. Il Rottamatore ha semplicemente e definitivamente liquidato la componente di derivazione pciista e con essa le corrispondenti modalità di militanza e di decisione, le prassi di formazione della classe dirigente ad essa legate. Un processo avviato consapevolmente con l’avvento di Veltroni e conclusosi irrimediabilmente con la recente scissione in seno al PD.  È soprattutto la scelta obbligata necessaria a rendere possibile una svolta ben più radicale e per questo Renzi è disposto a sacrificare il residuo voto di sinistra.

Il modello da imitare è quello di Macron, ma le condizioni di applicazione sono ormai largamente compromesse. A differenza dello “Jupiteriano”, il Monarca di Rignano dovrebbe assumere la duplice improbabile veste di rifondatore del Partito Democratico e nell’eventualità di suo liquidatore in un contesto di grave logoramento della sua credibilità. Macron ha potuto assecondare rapidamente l’operazione di destabilizzazione dei partiti tradizionali e di rinnovamento radicale della rappresentanza perché aveva ed ha il sostegno e la copertura di solidi centri di potere ed amministrativi, a cominciare dall’ENA, i quali gli garantiscono la piena copertura e funzionalità nell’esercizio delle prerogative. In Italia i centri di potere sono molto più frammentati e meno efficaci; buona parte di essi sono per di più apertamente eterodiretti.

La visione europeista di Macron può offrire ai francesi il miraggio di una guida condominiale francotedesca della UE con pari dignità; una guida che per perpetuarsi prevede l’ulteriore sacrificio della terza potenza economica del continente, l’Italia. L’europeismo di Renzi di conseguenza rischia di ricadere nella solita cortina retorica necessaria a nascondere l’accettazione supina delle politiche più deleterie. Il recente incontro di Macron a Roma non ha fatto che confermare questa propensione anche nei passaggi in cui si sono spacciati come decisioni comunitarie alcuni atti unilaterali del Governo Italiano in materia di immigrazione.

In buona sostanza Renzi tre anni fa poteva ambire al ruolo di capitano e di timoniere; oggi fatica a mantenere il ruolo di capitano, avendo perso prestigio ed autorevolezza tra l’equipaggio e sicuramente ha perso il ruolo di timoniere ormai nelle mani del navigatore più esperto e smaliziato, Berlusconi, sempre che disponga delle forze necessarie. http://italiaeilmondo.com/2017/11/12/revival-berlusconi-si-berlusconi-no-_-di-giuseppe-germinario/   

http://italiaeilmondo.com/2016/10/19/i-paradossi-del-referendum-di-giuseppe-germinario/

Il profilo di Berlusconi può in effetti rappresentare la luce necessaria ad alimentare le speranze di sopravvivenza del Rottamatore a sua volta ormai a rischio di rottamazione.

Anche l’ex-Cavaliere ha iniziato praticamente la campagna elettorale andando in Europa, più precisamente presso i vertici della UE e del PPE (Partito Popolare Europeo). È andato a garantire il pieno rispetto dei vincoli e degli accordi sottoscritti. Un impegno perfettamente in linea con il Berlusconi conosciuto negli ultimi dieci anni, quello dell’intervento in Libia, del Governo Monti, del sostegno surrettizio ai successivi governi di centrosinistra. In effetti è riuscito a “cadere in piedi”, con qualche pesante umiliazione personale, ma senza necessità di rialzarsi. Un impegno che stride fortemente con i proclami del principale alleato di coalizione.

I più affezionati alle classiche logiche di schieramento lo ritengono più che altro un sotterfugio teso soprattutto a guadagnare tempo nei confronti del vecchio establishment europeista. Potrebbe anche essere; ma sarebbe un’attesa confidata esclusivamente all’eventuale successo di una politica estera americana tesa a dissestare completamente l’attuale Unione Europea. Un successo ancora del tutto ipotetico ma che di per sé rappresenterebbe assolutamente non una garanzia, ma una semplice opportunità per l’Italia di acquisire un ruolo più autonomo e spregiudicato. Ad una condizione imprescindibile: disporre di una classe dirigente idonea ed attrezzata.

Il curriculum di Berlusconi, con i suoi voltafaccia, anche terribilmente meschini negli ultimi otto anni, ha dimostrato di essere piuttosto di tutt’altra pasta.

Il programma sottoscritto dai tre leader del centrodestra si presta, come naturale tra forze ormai così eterogenee, a varie interpretazioni; oltre al contenuto, però, offre la possibilità di giocare anche e soprattutto sui tempi. L’esito delle elezioni determinerà sicuramente le modalità dello scontro interno al centrodestra ma quello che appare certo è che si assisterà ad una guerra di logoramento piuttosto che a un rapido conflitto risolutivo interno allo schieramento.

La compagine è destinata quindi a diventare l’epicentro di un movimento tellurico che riprodurrà schieramenti più corrispondenti al nocciolo dei problemi politici. Una faglia destinata ad attraversare i tre partiti ma che potrebbe estendersi anche ai nuovi arrivati del M5S. Al momento il protrarsi delle ambiguità non fa che rallentare il processo di decomposizione del Partito Democratico e offrirgli qualche ulteriore chance per presentarsi come il paladino esclusivo dell’attuale Unione Europea.

La candidatura di Alberto Bagnai nella Lega è il segno evidente di questa divaricazione e delle intenzioni bellicose, come pure le continue stizzite puntualizzazioni di Salvini tese a correggere le forzature di Berlusconi. Intenzioni, per la verità,  rese meno praticabili dal pesante intervento giudiziario sui conti del partito. Altre volte le vicende italiche ci hanno trascinato in ingloriose conversioni badogliane; ma più il dibattito si accende e si focalizza su questioni che vanno al di là di mere politiche redistributive, più gli eventuali voltafaccia costerebbero caro ai funamboli. Su questo Berlusconi ha ben poco da perdere e la sua funzione di traghettatore verso una opzione macronista sarà sempre più evidente. Per Salvini e Meloni il prezzo sarebbe decisamente salato ed un eventuale scambio tra una politica redistributiva di facciata ed antiimmigrazionista e un cedimento sulla Unione Europea e sulla NATO sarebbe insufficiente a salvaguardarli.

Rimane il problema di una evidente sottovalutazione delle implicazioni complesse e rischiose di una scelta coerentemente antiUE ed antiestablishment dominante; una questione che si è infranta più volte sugli scogli dell’effettivo controllo delle leve di potere, ma che si potrà porre con più determinazione e precisione una volta semplificati gli schieramenti.

GLI APPARENTI OUTSIDER

Dalla mappa è rimasto sino ad ora fuori il M5S, il movimento sul quale si stanno concentrando i consensi e le attenzioni di buona parte degli indignati, dei moralisti e degli scontenti.

In questi ultimi trenta anni la denuncia e l’azione ossessiva contro la corruzione non hanno portato niente di buono al paese. Ha distrutto una classe dirigente decadente, in piccola parte legata ad una migliore difesa degli interessi nazionali, surrogata da un’altra senza alcun serio radicamento in interessi forti e strategici del paese. Si è trattato di un’onda partita puntualmente da iniziative di precisi centri di potere statunitensi, compreso un centro anticorruzione fondato da una quarantina di giornalisti quasi tutti legati al Partito Democratico americano utile a destabilizzare gli scenari politici di mezzo mondo e che ha saputo raccogliere un discreto consenso in gran parte dei casi. Il M5S è stato il catalizzatore ultimo di questo stato d’animo. Da qui una collaborazione strisciante con gli ambienti istituzionali che hanno gestito e assecondato questi processi. A questo aggiunge una politica ambientalista che dà per scontato l’applicazione su larga scala industriale di tecnologie dubbie o che richiederanno programmi di investimento ultradecennali ed una politica redistributiva fondata su un reddito minimo garantito utile a coltivare una plebe precaria e l’assistenzialismo piuttosto che una comunità di produttori. I programmi di accompagnamento all’occupazione sono dei meri slogan che poggiano su dei falsi reiterati da anni come quello che segnala che la disoccupazione sia un problema di sfasamento tra qualificazione dell’offerta e qualificazione della domanda di lavoro. Un problema che riguarda solo poche centinaia di migliaia di opportunità rispetto alla marea di milioni di persone, anche qualificate, disoccupate e sottopagate. Sono solo tre aspetti, oltre alla improvvisa conversione sulla politica europeista, di un programma dai contenuti prevalentemente demagogici ed enunciativi. Beppe Grillo del resto lo aveva detto chiaramente, un paio di anni fa. Il suo movimento era nato per contenere nell’alveo democratico, tradotto nell’attuale sistema partitico e consociativo, un movimento che poteva assumere connotati radicali e sovranisti. Un cambiamento serio non può quindi che partire da una crisi anche di questo movimento in modo che anche gli “onesti” comincino a guardare ad altre parti.

UNA QUESTIONE STRATEGICA

Il Sole24Ore del 21 gennaio titolava, a proposito della campagna elettorale: ”Economia reale e industria a bassa priorità per i partiti”. Solo Carlo Calenda, Ministro dello Sviluppo Economico e Marco Bentivogli, sindacalista della CISL in un articolo http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2018-01-11/un-piano-industriale-l-italia-competenze-222533.shtml?uuid=AEcQ5JgD si sono soffermati lungamente sull’argomento. Lo hanno fatto però con tutti i limiti di una politica industriale del tutto indifferente al vero e proprio esodo all’estero del controllo e della proprietà delle maggiori e medie realtà industriali del paese e di incentivazione nella sua totalità senza alcuna selezione dei settori strategici. Aspetti già segnalati in questo articolo http://italiaeilmondo.com/2017/01/22/203/ . E infatti, ad oltre un anno di distanza, il Ministro vanta il grande successo degli investimenti nei vari settori industriali e lamenta un insufficiente sviluppo della ricerca, della ricerca applicata e della nascita e sviluppo di start-up qualificate. Calenda presenta il dato come un semplice accidente risolvibile con ulteriori finanziamenti ed una migliore organizzazione dei “competence center” e dei centri di ricerca universitari. Vedasi il suo intervento al per altro interessante convegno a Napoli del 11 gennaio scorso. In realtà si tratta di un limite strutturale legato alla ormai quasi totale assenza di adeguate piattaforme industriali nazionali necessarie a favorire la nascita, lo sviluppo e il consolidamento delle attività sperimentali. La conseguenza è che nel migliore dei casi la ricerca e il rischio delle scarse applicazioni industriali sono a carico degli investimenti pubblici e privati nazionali, il più sicuro e remunerativo consolidamento finisce in mano alle grandi piattaforme industriali straniere. Uno degli ultimi esempi riguarda l’ECM, azienda operante nell’alta tecnologia ferroviaria, un settore nel quale era presente, sino a pochi mesi fa e da diversi decenni Finmeccanica http://iltirreno.gelocal.it/pistoia/cronaca/2018/01/05/news/ecm-diventa-americana-arriva-caterpillar-1.16315568 . Per il resto il dibattito è tuttora assente a parte qualche vaga enunciazione sul mantenimento del controllo delle aziende strategiche fatta da Salvini e Meloni.

È vero che i bacini elettorali sono considerati ormai un mercato segmentato secondo semplici e sofisticate tecniche di comunicazione e costituiti da cittadini consumatori piuttosto che da cittadini partecipi e produttori del bene comune. La politica industriale, nei suoi particolari, deve avere necessari caratteri di riservatezza. Essa, comunque, rappresenta uno dei pilastri imprescindibili sui quali costruire non solo il benessere di una comunità, ma anche la forza e la autorevolezza di una nazione organizzata in uno stato.

L’assenza di dibattito sul tema rivela le reali intenzioni di uno degli schieramenti che si andranno a formare dopo le elezioni, ma anche le debolezze intrinseche che l’altro dovrà superare pena l’estinzione o il trasformismo più deleterio.

Questi paiono i tre aspetti sinora emersi nel dibattito. Si spera che la convulsione dei prossimi giorni aiuti a farne emergere altri ancora più dirimenti. Si vedrà. Rimangono nell’ombra, nell’articolo altre forze politiche. Tra esse “Liberi e Uguali”. Il simbolo più evidente della decadenza e dell’estinzione di una classe dirigente, ma non per questo meno importanti. Non mancherà l’occasione di parlarne. Nel frattempo andate a leggervi il programma. Non sembrano crederci nemmeno loro.

 

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