Dal Salvatore al Trickster Divino: La spinta teologica nella politica estera degli Stati Uniti, di MICHAEL VLAHOS

26 FEBBRAIO 2022

 

Dal Salvatore al Trickster Divino: La spinta teologica nella politica estera degli Stati Uniti

MICHAEL VLAHOS

 

Noi americani abbiamo a lungo creduto che le nostre relazioni con il mondo fossero guidate da una polarità illuministica tra “realismo” e “idealismo”. In realtà, però, siamo mossi da correnti più profonde dell’ethos nazionale. L‘America è una religione, come ha detto Robert Bellah. Una “religione civile”, secondo le sue parole, ma comunque una religione vera e reale.

Le religioni hanno ovviamente una teologia e una chiesa che sono di competenza del clero. Tuttavia, le religioni (nazionalizzate) raccontano anche storie che spingono il popolo a lottare e persino a sacrificarsi, come fratelli cittadini, per l’idea stessa della nazione. Chiamiamo queste storie la narrazione sacra della nazione: narrativa, come in una sceneggiatura; sacra come in una scrittura. Le grandi nazioni hanno narrazioni piene di potere e, in tempi di crisi, sono spesso tentate di seguire la guida inossidabile della loro scrittura nazionale.

Ma queste narrazioni possono rivelarsi pericolose per chi le racconta, e la storia sacra dell’America – così sacra e imperiosa da farle pensare al suo ruolo missionario nel mondo – può rivelarsi alla fine la sua più grande debolezza. Gli americani vedono il mondo attraverso la lente di ferro del testamento messianico della “nazione redentrice“. Raramente abbiamo rinnegato questo sacro impulso, che ci ha condotto in tutte le guerre americane, portandoci sia gloria che disgrazia, vittoria e disastro.

Figura 1: American Progress (1872) con la Columbia, una personificazione.

degli Stati Uniti (John Gast).

 

Due secoli di cieca osservanza di questa prima direttiva hanno portato gli Stati Uniti all’unico trionfo trascendente: la vittoria nella Seconda Guerra Mondiale. Altrove, invece, la scrittura americana ha sempre portato al fallimento strategico: La ricostruzione, Cuba (due volte!), la Società delle Nazioni, l’Iran, l’America centrale (molte volte!), il Vietnam, le guerre in Medio Oriente e l’Afghanistan.

Che sia sacra o profana, la letteratura è sempre letteratura. Di conseguenza, gli elementi della trama scritturale devono, come in televisione, lavorare insieme e raccontare all’unisono una storia. Nelle scritture americane, questi tropi sono strettamente intrecciati e intimamente familiari come i classici della letteratura mondiale.

Ora sembra che la “crisi” in Ucraina sia l’ennesimo arco narrativo della nostra lunga serie televisiva nazionale, non un sequel ma semplicemente l’ultima stagione di una serie in streaming: la sacra narrazione americana è infatti organizzata attorno a quattro motivi universali e immutabili, ognuno dei quali è presente nell’ultima stagione di apertura che sta andando in onda:

1.                 Dr. Evil

Il nemico che affrontiamo è il male, e il male deve essere per- sonalizzato. Quando i ribelli abbatterono la statua di piombo dorato di Giorgio III il 9 luglio 1776, stavano celebrando l’antico rito romano della Damnatio Memoriae: giustiziare simbolicamente l’imperatore rovesciato distruggendo la sua sacra imago legionaria (un ritratto dorato in 3D). Al contrario, durante la lunga Guerra Civile, il nemico era più simile al “Lato Oscuro della Forza” – “Il Potere Schiavista“.

– o lo specchio malvagio di “God’s Amer- ican Israel” di Ezra Stiles. Questo tropo fu esteso al dominio spagnolo a Cuba, che abolì la schiavitù solo nel 1880. La metafora del Lato Oscuro continuò fino alla Prima Guerra Mondiale, con la damnatio del predicatore Wilson sul “militarismo prussiano”. (L’epifenomeno ufficiale popolare – “Halt the Hun!” – si tingeva in realtà di razzismo).

Dopo il brutale Trattato di Versailles, gli atteggiamenti americani verso la Germania si ammorbidirono. Nel 1941 – con il 25% degli americani di origine nemica – non era più realistico creare una Germania e un’Italia malvagie. Il male doveva essere ancora una volta incarnato dal “Dottor Male”, questa volta personificato da Hitler e Mussolini.

Come pilastro della sacra narrazione americana, il motivo della “personificazione del male” si è accentuato nel secondo dopoguerra. Stalin, naturalmente, si adattava al profilo alla perfezione, così come Mao. E il dominio del Partito Comunista ha permesso di estendere questa designazione, sempre più ampia, fino a includere tutti i loro scagnozzi e i loro interi regimi. Soprattutto, però, tale tassonomia ha permesso agli ecclesiastici della politica estera statunitense di esonerare la stragrande maggioranza del popolo nemico come servo della gleba, oppresso dalla tirannia e desideroso di liberazione. Come ci dice Frank Baum ne Il meraviglioso mago di Oz:

[La strega cattiva ha tenuto in schiavitù tutti i Mastichini per molti anni, rendendoli schiavi per lei notte e giorno. Ora sono tutti liberi e vi sono grati per il favore.

Anche i soldati desiderano la liberazione e possono essere redenti. Dopo aver ucciso la strega cattiva (nel film del 1939), il capo della guardia Winkie (pseudo-cosacco) dichiara: Ave a Dorothy! La strega cattiva è morta! Vediamo come la narrazione sacra sia profondamente codificata e permei anche le opere letterarie e cinematografiche più popolari d’America.

Nel corso dei decenni, i nostri Dottor Malvagi scelti sono cresciuti fino a diventare un cast corale, che comprende Fi- del Castro, Muhammar Gheddafi, Saddam Hussein e Osama Bin Laden – una legione del Darkside! – solo per citarne alcuni. Ma questi si sono rivelati solo un gioco da ragazzi, perché l’America desidera soprattutto un nemico esistenziale manicheo. Dopo tutto, sono le minacce più gravi che portano la vittoria più dolce.

Per questo motivo, il dottor Putin si è recentemente calato in suole ben vestite. In effetti, come la strega cattiva o Jo- seph Stalin, il personaggio pubblico di Putin – da lui accuratamente curato per ottenere il massimo impatto mitico – è del tutto congruente con il meme del Dottor Male incorporato in America, soddisfacendo e superando le aspettative in ogni occasione.

Pertanto, non c’è dubbio – nell’occhio monolitico dei credenziosi esperti di Washington – che il nostro nuovo Grande Dittatore sia semplicemente un prepotente, motivato solo da avarizia e cupidigia. Una volta che questo giudizio viene canonizzato collettivamente, prevalgono le camere dell’eco e l’analisi dell’establishment viene congelata in un dogma. Smettiamo di indagare sul reale pensiero della nostra (autoproclamata) nemesi: tutto ciò che serve è un giudizio moralistico.

2.                    America il Redentore

La perfetta incapsulazione del dovere divino che l’America si è autoproclamata di salvare e liberare l’umanità (e punire i malvagi) è contenuta nel sofomorico discorso inaugurale di John F. Kennedy, che è diventato il fulcro della dottrina Kennedy:

Che ogni nazione sappia, che ci voglia bene o male, che pagheremo qualsiasi prezzo, sopporteremo qualsiasi peso, affronteremo qualsiasi difficoltà, sosterremo qualsiasi amico, ci opporremo a qualsiasi nemico, per assicurare la sopravvivenza e il successo della libertà.

Da Julia Ward Howe – “viviamo per rendere gli uomini liberi” – a Samantha Power – “Responsabilità di proteggere” (R2P) – la narrazione dei “nostri sacri obblighi di liberare l’umanità” rimane la catena ininterrotta dell’America. La nostra ultima Musa della Libertà, Anne Applebaum, ci ordina ora di essere risoluti e di fermare il sangue della storia alleviando il dolore di chi ha perso la vita.

 

Ucraina: “Potremmo iniziare con questo”, dichiara compiaciuta e disinvolta, “aiutando a fare dell’Ucraina la democrazia di successo, prospera e rivolta verso l’Occidente che Putin teme così chiaramente”.

Per molti aspetti, questa dottrina della nazione redentrice è radicata nella trasformazione dell’America durante la Guerra Civile. Prima della crociata abolizionista, gli Stati Uniti erano una politi- ca dominata dagli Stati confederati proprietari di schiavi, il che avrebbe reso assurda qualsiasi rivendicazione da parte degli Stati Uniti circa il loro accesso privilegiato alla giustizia divina. Le nascenti ambizioni americane assunsero quindi la forma di un’espansione territoriale imposta a livello nazionale attraverso il “Destino manifesto”, in cui l’America avrebbe domato la selvaggia natura occidentale e portato una civiltà protestante superiore nelle corrotte terre spagnole della Florida, del Messico e dei Caraibi.

In quanto tale, la Guerra Civile rappresentò una metamorfosi americana. D’ora in poi, la missione americana si sarebbe basata sulla redenzione piuttosto che sulla sottomissione: liberare gli oppressi, civilizzare i pagani e farne degli americani veri e propri (almeno nello spirito). La linea edificante della Ricostruzione, sebbene attuata solo di sfuggita nell’ex Confederazione, sarebbe stata presto estesa a Cuba e alle Filippine, e poi (almeno nelle intenzioni missionarie) alla Cina.

Figura 2. Vignetta politica statunitense del 1899 che raffigura lo Zio Sam che “istruisce” le nazioni occupate dopo la guerra ispano-americana (Louis Dalrymple).

Il pugnale del colonialismo e dell’im- perialismo americano è sempre stato ammantato sotto l’illusoria veste della tutela e della scolarizzazione: professando di salvare e poi risollevare quei milioni di persone che per tanti secoli erano state condannate all’ig- noranza e alla servitù con la promessa dell’istruzione, ma consegnando invece l’indottrinamento liberale e l’ingegneria sociale occidentale.

3.                    Democratismo

Se la libertà è l’insegnamento centrale della religione civile americana, la democrazia è la sua preghiera sacra o talismano. È allo stesso tempo grido di battaglia e vessillo. Come la اَل َهٰلِإ اَّلِإ هلا ٌدَّمَحُم ُلوُسَر هللا sulla bandiera saudita, questa singola parola sacra cattura e trasmette l’essenza della missione divina dell’America.

In effetti, come parola in codice per la mente americana, la democrazia è una nozione utilizzata per sposare più significati contemporaneamente: 1) che la democrazia è il segno sicuro del progresso, il segno della volontà di Dio per il futuro umano e di “ampie e soleggiate pianure“, o più semplicemente, il Millennio; 2) che la ricerca della democrazia unisce i democratici di tutto il mondo contro gli autocrati e crea tra loro e gli americani legami di fratellanza, rendendoli parenti dell’America; 3) che il mondo è nettamente diviso in democrazie e dittature: una minaccia contro una è una minaccia contro tutte; e 4) la prima direttiva dell’America è la difesa e la promozione della democrazia in tutto il mondo.

Un osservatore astuto potrebbe forse notare che “democrazia” non è semplicemente una parola sacra. È anche una parola d’ordine culturale ricca di contenuti sacri. Sempre compresa dai veri credenti, non è mai formalmente esplicita – la pronuncia è sempre sufficiente – purché si possa mostrare il distintivo di appartenenza.

La narrazione sacra esercita il suo potere come una singola parola. Se ciò che ogni americano dovrebbe sapere a memoria – come nel caso della R2P americana nei confronti di

 

L’Ucraina ha ancora bisogno di essere spiegata, allora basta recitare (a memoria) solo alcuni versi chiave, come fa Mike Turner (R-Ohio-futuro presidente del Comitato Intel) in questa intervista televisiva:

L’Ucraina è una democrazia… La Russia è un regime autoritario che cerca di imporre la sua volontà su una democrazia validamente eletta… Noi siamo per la democrazia. Siamo per la libertà. Non siamo per i regimi autoritari che entrano e cambiano i confini con i carri armati… Dobbiamo assicurarci di essere dalla parte della democrazia.

4.                    Lo spettro del peccato

Infine, l’arco scritturale della narrazione sacra dell’America raggiunge il suo culmine attraverso una formula di riconoscimento, rimorso e pentimento. L’impegno dell’America può vacillare e persino, inizialmente, fallire; tuttavia la nazione alla fine si risveglia, torna in sé e vede la luce. È un passaggio dalle tenebre alla luce.

Il più famoso di questi passaggi potrebbe essere chiamato il Testamento di Neville: Il cammino verso Damas- cus-in-Munich, una strada selvaggia lungo la quale Neville Chamberlain, alla fine degli anni Trenta, giunse finalmente a vedere e a pentirsi del suo peccato di Appease- ment. Ogni volta che gli Stati Uniti inciampano e si abbassano al male, cedendo alla facile via d’uscita, volendo assecondare il lato oscuro della Forza, si levano sempre voci giuste che chiedono una riconsacrazione della virtù nazionale, gridando come accuse: Appeasement!

Tuttavia, la bilancia deve prima o poi cadere dai nostri occhi se vogliamo che la profezia della missione americana si realizzi e che la “democrazia” trionfi. In questo senso, la chiamata dell’Ucraina (cioè l’intervento americano) è resa più urgente dalla litania dei fallimenti in Iraq, Siria, Yemen, Libia e Afghanistan. Washington oggi sta seguendo una dinamica molto simile a quella che si è verificata dopo l’intervento in Iraq, in Siria, in Yemen, in Libia e in Afghanistan.

La narrazione sacra è fallita rovinosamente in Vietnam, Laos e Cambogia. Le sconfitte dell’Eurasia periferica portarono a una compensazione narrativa nel teatro centrale della NATO: La guerra fredda si è rinnovata alla grande nel 1980. Allo stesso modo, tra gli ecclesiastici statunitensi si sta diffondendo la convinzione che l’impero della virtù americano, che sta fallendo, debba riscattarsi difendendo aggressivamente Taiwan e l’Ucraina.

La nostra narrazione sacra non è semplicemente una serie di capitoli o stagioni scollegate tra loro, ma piuttosto una storia molto lunga e molto collegata. Quindi, gli Stati Uniti sono spinti, forse anche sferzati, dai loro testamenti di ferro. Questo significa che le narrazioni sacre sono dannose?

Ma come potrebbero essere cattivi? Certamente, tutti i grandi Stati sono, in larga misura, guidati dal mito e dalla leggenda. E la forza di questo potere può essere stupefacente, come l’America stessa ha potuto constatare durante la Seconda Guerra Mondiale, sentendosi come i grandi vincitori della lotteria della Storia.

Tuttavia, una storia nazionale globale può essere allo stesso tempo gloriosa e pericolosa. La domanda è: in che modo la narrazione distintiva dell’America (il nostro appello) – nei suoi soli termini – può mettere in pericolo gli americani? La risposta deve iniziare dalla comprensione di come le nazioni agiscono in modalità di crisi:

  1. Nel periodo iniziale di una crisi, o nella reazione a un insulto o a un’aggressione (come l’11 settembre), la narrazione prende il sopravvento e trascina una nazione in una risposta automatica senza tempo o spazio per la riflessione: gli angeli si precipitano dove i saggi hanno paura di camminare.
  2. Se la crisi in questione è preceduta da una serie di risposte scritturali incerte o fallite nel recente passato, la vergogna e l’orgoglio ferito e la vanità potrebbero bloccare i leader in una linea d’azione pre-scritta.
  3. Per questo, di fronte alle crisi geopolitiche,

la reazione immediata è spesso non solo riflessiva, ma inculcata proprio dai troppi trascendenti incorporati nella narrazione sacra – cioè l’appeasement (Monaco), i dittatori (alla Hitler), la democrazia della damigella che sta per essere violentata (alla Belgio, 1914).

Nel caso dell’America, le nostre passioni a forma di meme rischiano di essere al tempo stesso bellicose e compiacenti nei confronti dei risultati: Si ritirerà solo se noi resisteremo! Solo la forza dissuaderà l’aggressore! La pace attraverso la forza! Così, in caso di crisi, la narrazione sacra americana 1) ci fa entrare in modalità storia, 2) chiude lo spazio per la riflessione, 3) spinge a comportamenti bellicosi e troppo sicuri di sé, che 4) possono trasformare un avversario in un nemico, la cui prossima mossa potrebbe davvero sorprenderci (si pensi a Pearl Harbor). 

Una nazione troppo legata alla sua sacra narrazione, come la Francia nel 1870 o la Germania nel 1914, non può distinguere tra il suo ideale stellato e la strategia reale. Ad esempio, una nota dopo l’altra ha dimostrato come lo spettro degli anni Trenta abbia ostacolato pesantemente il processo decisionale della Casa Bianca di Johnson nel periodo precedente al Vietnam. Decenni dopo, quello stesso Studio Ovale ha visto un’isteria maniacale, da sogno della Seconda Guerra Mondiale, dopo l’11 settembre.

Il punto cruciale è che oggi i nostri futuri amici ci conoscono fin troppo bene. Noi, invece, ci conosciamo emotivamente ma non oggettivamente. Non siamo disposti a – o semplicemente non possiamo – tirarci indietro e ha giocato la volontà di coglierla.

Vecchi versetti e parole sacre non sono assolutamente in sintonia con la realtà degli Stati Uniti di oggi, eppure hanno ancora il potere di minare ulteriormente la posizione dell’America. Invocarli ci spinge a insistere su cose che semplicemente non possiamo fare, mentre ironicamente, fatalmente, spinge i nostri avversari a fare le cose che possono.

Nella mitologia norrena, Loki l’Ingannatore incarna la metafora secondo cui una presenza celeste può trasformarsi da guida salvifica a mutaforma (e Loki era un mutaforma!) per emergere improvvisamente come orchestratore di depistaggi divini, per un capriccio. In fondo, la figura di Loki rappresenta la saggezza radicata (presente in molti antichi pan- teoni) che non sempre ci si può fidare degli dei quando si tratta del tragico mondo dell’uomo – che possono persino rivoltarsi contro gli esseri umani, o perlomeno, provocare guai strategici.

Questo mito poteva essere un modo efficace per ricordare ai fedeli (in qualsiasi società) che anche l’ordine impartito dagli dei manca di certezza e permanenza, dato il flusso della vita. In pratica guardare dentro. Siamo cablati su un unico percorso…

quello dell’azione e dell’attivismo come fine a se stesso.

L’istinto di controllo non è necessariamente rovinoso se gli Stati Uniti sono carichi e possono sfruttare tutta la loro potenza, come nel dicembre 1941. In quel caso, la nostra avventatezza strategica, spingendo il nemico troppo

è salutare e salutare per una cultura e un sistema di credenze rendere conto del caos immanente (e di tutto ciò che è al di fuori del mondo).

Loki inganna Hodr per uccidere

Baldr, il dio norreno associato alla luce e alla saggezza. La morte di Baldr annuncia l’arrivo del Ragnarök (Jakob Sigurðsson).

 

lontano, in realtà si è trasformata in serendipità divina. Oggi, in una nazione divisa e in guerra con se stessa, l’America deve evitare come la peste l’eccesso di strategia. Inoltre, questa volta i rivali dell’America possiedono la vera iniziativa strategica e hanno dis-

del proprio controllo) – e per ricordarci almeno che noi non dobbiamo mai permetterci di credere di essere invincibili, per quanto divina sia la nostra dispensazione o grandioso il nostro utopismo.

L’America è diventata così convinta del proprio diritto…

 

missione reificata di un impero liberale globale, incaricato da Dio stesso, che nella sua arroganza dimentica che non si può sempre contare sulla certezza del Divino o di un destino manifesto per salvarsi dalla rovina!

 

Ringraziamenti

 

Michael Vlahos è uno scrittore e autore del libro Fighting Identity. Ha insegnato guerra e strategia alla Johns Hopkins University e al Naval War College. Attualmente è Senior Fellow presso l’Institute of Peace & Diplomacy. Collabora settimanalmente al John Batchelor Show. Seguitelo sul suo blog: anewcivilwar.com.

Copertina: Emil Doepler (via Wikimedia)

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