Ostilità in Ucraina: non se ne parla quasi più, ma i rischi di escalation aumentano, di Roberto Buffagni
Ostilità in Ucraina: non se ne parla quasi più, ma i rischi di escalation aumentano
Sui media, e nel dibattito elettorale italiano, non si parla quasi più delle ostilità in Ucraina: ma i rischi di una escalation che può sfuggire al controllo dei contendenti stanno aumentando. Il 17 agosto, l’articolo di John Mearsheimer su “Foreign Affairs”, Giocare con il fuoco in Ucraina/I rischi sottovalutati di una escalation catastrofica[1] disegna un quadro esauriente delle molteplici possibilità, più o meno probabili, di escalation, anche calamitosa, delle ostilità.
Di seguito, prendendo spunto dall’articolo di Mearsheimer, propongo una lettura più ravvicinata della situazione attuale.
- Dopo l’incontro trilaterale a Leopoli, Erdogan si dice pronto a ospitare colloqui per il cessate il fuoco. E perfino Mosca apre a un incontro Putin-Zelensky. Ma Zelensky chiude: ‘Niente pace senza ritiro dei russi’. Dagli Usa altri 775 milioni di dollari di aiuti a Kiev.[2] [mia sintesi dalle agenzie di stampa]
- Ovviamente, esigere il “ritiro dei russi” come presupposto per l’apertura di una trattativa significa rifiutare ogni possibile trattativa, oggi, domani o mai. I russi “si ritirerebbero” dai territori del Donbass che hanno conquistato, e dalla Crimea che hanno già annesso, solo in seguito a una sconfitta militare e politica devastante, che non solo rovesciasse l’attuale governo russo ma rendesse impossibile alla Federazione russa proseguire la guerra. In buona sostanza, i russi si ritirerebbero solo se gli Stati Uniti raggiungessero il formidabile obiettivo politico che hanno ufficialmente dichiarato di perseguire, ossia indebolire la Russia “al punto che non le sia più possibile fare il tipo di cose che ha fatto invadendo l’Ucraina” (Segretario alla Difesa USA, aprile 2022), in altre parole, espellerla dal novero delle grandi potenze, probabilmente frammentandola.
- Usualmente, impone una condizione così dura per l’apertura di una trattativa diplomatica solo chi sia certo d’essere sul punto di ottenere una vittoria militare decisiva, sappia che il nemico ne è consapevole, e in caso di rifiuto si disponga a conseguirla per esigere, poi, la resa incondizionata.
- È questa, la situazione militare in Ucraina? L’Ucraina e i suoi alleati occidentali sono sul punto di ottenere una vittoria decisiva sulla Russia? No. Stando a quanto è dato di comprendere, leggendola con prudenza e con l’ausilio di esperti commentatori[3], è vero l’esatto contrario. Anche senza ricorrere alla mobilitazione generale, la Russia ha, già oggi, la possibilità di sferrare un’offensiva volta all’annientamento delle residue FFAA ucraine. La Russia sta impegnando nei combattimenti soltanto le milizie delle Repubbliche del Donbass, e i mercenari dell’Orchestra Wagner. Le truppe russe sono adibite al martellamento d’artiglieria delle posizioni fortificate ucraine, e non entrano in combattimento se non occasionalmente, in formazioni ridotte. Esse hanno avuto tutto il tempo di riposarsi, ricostituirsi, riorganizzarsi, e sono insomma più che pronte all’impiego. Le migliori truppe ucraine hanno subito perdite incapacitanti, nessun territorio ucraino preso dai russi è mai stato riconquistato stabilmente. La controffensiva annunciata dagli ucraini resta un annuncio, probabilmente perché di fatto impossibile: le migliori truppe ucraine hanno subito perdite gravissime, le nuove formazioni sono raccogliticce, mal addestrate, e scontano un incolmabile divario sia nella direzione operativa, sia nelle capacità combattive, sia nell’armamento a disposizione, nonostante gli aiuti occidentali.
- Dunque, per quale motivo Zelensky, e l’Amministrazione americana che lo sostiene e lo guida, rifiutano ogni trattativa con la Russia? Avanzo alcune ipotesi.
- Ipotesi 1: l’Amministrazione americana interpreta diversamente, ed erroneamente, la situazione sul campo. Essa, cioè, interpreta l’attuale stallo nei combattimenti come il sintomo dell’incapacità russa di affondare il colpo e ottenere una vittoria decisiva, e ritiene che il tempo lavori contro i russi, logorandoli. Ripete così il probabile errore di lettura commesso al principio delle ostilità: “Inizialmente, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno appoggiato l’Ucraina per impedire una vittoria russa e negoziare da posizione favorevole la fine dei combattimenti. Ma non appena l’esercito ucraino ha iniziato a martellare le forze russe, specialmente intorno a Kiev, l’amministrazione Biden ha cambiato rotta e si è impegnata ad aiutare l’Ucraina a vincere la guerra contro la Russia.”[4] Che questa lettura fosse erronea lo argomenta l’analisi di “Marinus”[5], coincidente con l’analisi del gen. Fabio Mini. Gli statunitensi hanno creduto che le sconfitte tattiche subite dai russi intorno a Kiev segnalassero le scarse capacità delle FFAA russe, mentre le sconfitte tattiche erano un “sacrificio di pedone” previsto e volontario, nell’ambito di una complessa manovra diversiva russa volta a fissare le truppe ucraine nel Nordovest, mentre il grosso delle forze russe si posizionava nel Sudest; una diversione ben riuscita che ha condotto all’attuale situazione sul campo, nettamente favorevole alla Russia. Errori di lettura sono sempre possibili; e si tenga presente che i consiglieri militari dell’Amministrazione americana hanno un forte incentivo a leggere la situazione sul campo in modo da non contraddire frontalmente la linea politica ufficiale. Vi sono certo qualificate voci dissenzienti, ma chi ha il vizio di dire troppo spesso verità sgradevoli raramente giunge in vetta nel suo campo: e chi consiglia Presidente, Segretario di Stato e alla Difesa, è chi ha saputo giungervi. Se davvero, come pare, “Marinus” è il tenente generale in congedo Paul Van Riper, Corpo dei Marines, egli è un caso esemplare di tecnico di grande valore capace di dire verità sgradite ai superiori e di costringerli a sbatterci il muso. Si veda come agì, guastando la festa agli organizzatori, al comando delle forze “rosse” nel “Millennium Challenge 2002”, un enorme wargame statunitense[6].
- Ipotesi 2: l’Amministrazione statunitense è motivata principalmente da esigenze politiche interne. Si avvicinano le elezioni di midterm, e l’Amministrazione americana non può permettersi di ammettere che non tutto va come previsto, in Ucraina. Questa considerazione fa passare in secondo piano le valutazioni strategiche, e le mette “on the backburner”, le tiene in caldo per il dopo novembre, quando saranno più chiari i rapporti di forza interni. Ciò ovviamente accresce gli incentivi a presentare un quadro militare positivo, per i consiglieri della Presidenza; e per i decisori politici, gli incentivi a ignorare le voci dissenzienti[7] che pure si moltiplicano, e provengono da fonti qualificatissime, interne all’ufficialità.
- Ipotesi 3: l’Amministrazione statunitense sta decidendo, o ha già deciso, di allargare il conflitto. Un allargamento possibile del conflitto potrebbe essere la discesa in campo, in Ucraina, di forze polacche e baltiche, previa richiesta di aiuto militare del governo ucraino ai governi polacco e baltici; che dal punto di vista giuridico non implicherebbe il coinvolgimento diretto della NATO nei combattimenti. Un altro allargamento possibile del conflitto è una importante manovra diversiva in Serbia e Kosovo, con un’accensione militare delle presenti tensioni tra Kosovo e Serbia, tale da costringere la Russia a fornire aiuto militare al governo serbo. Questi (o altri) allargamenti possibili del conflitto consentirebbero all’Amministrazione americana di guadagnare il tempo (mesi, probabilmente più di un anno) necessario a costituire e organizzare logisticamente, su territorio europeo, una forza convenzionale NATO, comprensiva di un forte contingente americano, sufficiente a contenere la Russia ed eventualmente in grado di affrontarla sul campo in uno scontro convenzionale diretto Russia-Nato. In questo caso, la Russia potrebbe ostacolare seriamente la proiezione della forza statunitense sul territorio europeo, specie nel passaggio più delicato del trasporto truppe, soltanto attaccando direttamente il naviglio degli Stati Uniti, e dunque innescando un conflitto diretto tra le due grandi potenze nucleari.
- È ovviamente possibile, anzi credo probabile, che tutte e tre le ipotesi che ho avanzato si combinino. Cioè, che gli USA sottovalutino le capacità militari russe, sopravvalutino le proprie, e leggano erroneamente la situazione sul campo in Ucraina; che vi siano incentivati da esigenze politiche interne, e che stiano studiando, o forse abbiano già deciso, di allargare un conflitto che l’Ucraina, nonostante i massicci aiuti occidentali, non è in grado di condurre a buon fine. Se le mie ipotesi si avvicinano al vero, ciò significa che gli Stati Uniti sono rimasti staffati agli obiettivi politici formidabili che hanno dichiarato di voler perseguire e su cui hanno impegnato il prestigio della nazione, e sono dunque costretti, ancor più che disposti, a escalare il conflitto con la Russia.
- A mio avviso, se oggi la Russia si dichiara disponibile all’apertura di una trattativa con il governo ucraino, e se non sferra già ora un attacco decisivo per annientare le FFAA ucraine, probabilmente è per due ragioni: a) non far perdere la faccia agli Stati Uniti, provocandone una reazione estrema con l’escalation di ritorsioni a cui condurrebbe b) attendere sia le elezioni statunitensi di midterm, sia le reazioni dei governi europei alla crisi energetica che si annuncia per l’inverno, con le gravi conseguenze politiche e sociali che innescherà. Se questa mia lettura della disponibilità diplomatica e dell’inazione russa è corretta, ciò significa che la dirigenza russa cerca di prevenire una escalation e un allargamento del conflitto, che possono condurla allo scontro diretto con gli Stati Uniti a un passo dai propri confini, e a una possibile, calamitosa escalation nucleare.
- In questo quadro, le nazioni europee sono “between a rock and a hard place”, vasi di coccio tra due vasi di ferro. Che cosa succede a un vaso di coccio tra due vasi di ferro ce lo mostra chiaramente il destino dell’Ucraina, una nazione che sta precipitando in un baratro di violenza bellica, miseria, criminalità, e non ne ha ancora toccato il fondo. In questo baratro l’hanno gettata i suoi dirigenti con scelte politiche sciagurate. Il baratro della guerra e della rovina economica e sociale è molto grande: c’è posto anche per le nazioni d’Europa, anche per l’Italia. Non lasciamo che i nostri dirigenti politici spingano nel baratro anche il nostro Paese.
[1] Qui tradotto e introdotto da me: http://italiaeilmondo.com/2022/08/18/12533/
[2] https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2022/08/18/ucraina-zelensky-la-visita-di-erdogan-e-un-potente-messaggio-di-sostegno-_6487b5f7-06f9-4c4f-b54d-5746c6af9e0d.html
[3] Si vedano le molteplici analisi del col. Markus Reisner dell’Accademia Militare Teresiana di Vienna, facilmente reperibili in rete, e di recente l’analisi approfondita di “Marinus” (probabilmente, il ten.gen. Paul Van Riper, Corpo dei Marines) pubblicata su “Maneuverist Papers n. 22”, vedi: http://italiaeilmondo.com/2022/08/14/il-modo-rivoluzionario-in-cui-la-russia-ha-combattuto-la-sua-guerra-in-ucraina-di-leon-tressell/
[4] Mearsheimer, “Foreign Affairs”, cit. in nota 1
[5] V. nota 3
[6] https://warontherocks.com/2015/11/millennium-challenge-the-real-story-of-a-corrupted-military-exercise-and-its-legacy/?fbclid=IwAR33DF9g8s0OEbY2ivRnh6PdWPnHJDHieUhAWemwL-MjTwBvWHM1EYM71bU
[7] V. Oltre all’articolo di John Mearsheimer cit. in nota 1, v. il recente intervento di Henry Kissinger sul “Wall Street Journal”, https://www.wsj.com/articles/henry-kissinger-is-worried-about-disequilibrium-11660325251?no_redirect=true e la videointervista di George Beebe, Director for Grand Strategy del Quincy Institute for Responsible Statecraft, ex consigliere per la sicurezza del Vicepresidente Dick Cheney, https://youtu.be/YDuNilTd1fo