SAPERE E’ POTERE, di Pierluigi Fagan
SAPERE E’ POTERE. «Il sapere è potere, ma è potere piccolo, perché il sapere che conta è raro, non si mostra se non pochissimo, e in pochissime cose. La natura del sapere [autentico] è infatti tale che non può essere afferrato se non da chi vi sia predisposto.». Così Thomas Hobbes nel De Homine del 1658, quell’Hobbes che era stato in gioventù segretario di quel Francis Bacon che a sua volta aveva scritto “poiché la scienza (conoscenza) è di per sé una potenza”. Il tutto pare risalga ancora più indietro alla Bibbia o magari a qualcosa di ancorpiù precedente che la Bibbia stessa ha rilanciato. Di per sé, infatti, il concetto è abbastanza banale ma il segreto dei vari poteri è renderlo mimetico al punto che nessuno vi presti attenzione davvero, a lui ed alle sue conseguenze.
Ricorre oggi l’anniversario dell’11/09, il ventesimo. Qualche giorno fa Biden ha firmato l’ordine esecutivo che finalmente, dopo venti anni, invita l’intelligence americana a render pubblico il famoso stralcio delle 28 pagine contenute nell’originale rapporto redatto dalla Commissione bicamerale del Congresso sui famosi attentati. Adesso ci sono sei mesi di tempo per rendere pubbliche le 28 paginette. In questi anni, ripetutamente, sia NYT che WaPo che altri sempre rimanendo nell’alveo del mainstream di più alto ed accreditato livello (e con la consueta eccezione della stampa italiana), imbeccati da singoli deputati e senatori, hanno spifferato il cosa contengono quelle famose 28 paginette. Si tratterebbe di tracce evidenti ed inquietanti del coinvolgimento di funzionari delle rappresentanze diplomatiche saudite in USA nella preparazione e gestione degli attentati. Tutto ciò è ben noto a chi ha seguito in questi anni quella vicenda. Tralascio quindi i particolari, i nomi dei coinvolti, il loro evidentemente legame con le rappresentanze diplomatiche saudite al tempo nelle mani del “principe nero” di casa Saud. Quel Bandar bin Sultan che, poco noto ai più, è forse uno dei personaggi più inquietanti degli ultimi venti anni, incluso il parto pilotato dell’ISIS e molto altro.
Donald Trump, ai tempi della sua campagna elettorale del 2016, aveva usato parole di fuoco contro i sauditi, dando per promessa la pubblicazione delle 28 pagine non appena eletto. Saprete poi com’è andata. La minaccia evidentemente serviva a contrattare qualcosa sottobanco nei rapporti di forza tra USA ed AS, tant’è che alla fine si sono messi d’accordo e si sono immortalati, fraterni amici, nella famosa foto della Santa Alleanza che imponeva le proprie mani sul globo. Anche perché alla minaccia avvenuta cinque anni fa di portare effettivamente il decreto di de-secretazione al Congresso, il Ministro degli Esteri saudita aveva gentilmente fatto sapere che un secondo dopo l’AS avrebbe riversato sui mercati tutti gli asset americani in suo possesso, qualcosa come 750 mld di US$ che avrebbero fatto crollare altro che due grattaceli. Ma dopo venti anni, stante che ormai molti attori di quella vicenda o sono morti o sono spariti e stante che quelle 28 pagine diranno solo cose a loro volta di superficie perché nessuno ha mai condotto una vera e propria approfondita indagine sui fatti specifici, la liberalità americana ha deciso di far uscire lo spiffero, portandolo a notizia. Magari per gettare un po’ di velato sospetto su tutta l’operazione che portò gli USA e gli alleati (tra cui noi) in Afghanistan, giusto ora che gli americani hanno deciso di chiudere quel penoso capitolo.
Se, come parrebbe ed a molti noto, i sauditi a livello governativo e di servizi di intelligence, erano in qualche modo coinvolti in quella operazione in terra americana, dovremmo pensare che gli israeliani -sempre molto ben informati su ciò che accade in M.O.- non ne sapessero niente? Dovremmo pensare che le ben 17 (diciasette!) differenti agenzie della mitica United States Intelligence Community non ne sapessero niente? Dovremmo supporre che nessuno mai ha mandato -per tempo- un rapporto informativo su questi argomenti alla presidenza? O che chi lo ha ricevuto lo ha trattato con consapevole e voluta negligenza per lasciar fare ciò che andava fatto? Cosa dovremmo pensare allora degli ultimi venti anni di storia recente incluso il comportamento di esperti e giornalisti che dovrebbero intermediare la comprensione della realtà? Quale realtà abbiamo percepito e commentato?
A chi scrive, l’intera vicenda sollecita una riflessione forse scontata, ma mai dar qualcosa per scontato di questi tempi. A chi segue faccende geopolitiche, attuali o anche reperite negli annali storici come il tranello operato con una manipolazione intenzionale (Dispaccio di Ems 1870) e pilotando una fuga di notizie riservate poggiandosi sul The Times, entrambi orditi da Bismarck per spingere i francesi ad invadere la Germania di modo che i riottosi principi tedeschi invocassero a gran voce l’intervento prussiano, risolvendo così l’annoso problema dell’unificazione tedesca, tali questioni appaiono “normali”. Che le faccende dello scontro di interessi tra nazioni e dei realistici rapporti tra élite ed “opinioni pubbliche” siano hobbesiani ovvero sporchi, brutti, falsi ed immorali etc. è noto e convenuto. Non lo sono invece per le opinioni pubbliche convinte di vivere nel migliore dei mondi possibili, fatto di buoni, cattivi, enti ed entità morali, concetti ideali.
Il sapere è potere nella misura in cui il potere sa della sporca complessità della realtà e con quel registro vi agisce di conseguenza, mentre le opinioni pubbliche, della sporca realtà, hanno un’immagine ideale, fiabesca, teatrale, cioè una “rappresentazione”. Non sono cioè “predisposte” a sapere, come notava Hobbes. Quindi se la democrazia è il potere della cittadinanza, una cittadinanza che non sa o peggio non sa di non sapere e pensa pure di sapere, non può avere alcun potere. La cittadinanza è il pubblico davanti al quale si inscenano le rappresentazioni del potere, rigorosamente emendate dei lati più crudi e realistici. La cittadinanza non è in contatto con la realtà, è esposta ad una sua versione manipolata, edulcorata ed estetizzante.
Sapere è necessario per decidere le cose politiche della nostra forma di vita associata, quindi l’ignoranza vasta ed a molti livelli, la conoscenza distorta ad arte, scientemente coltivate, son ciò che impediscono si possa riconoscere lo statuto di “democrazia” alle nostre forme politiche. Noi non viviamo in “democrazie”, è giusto saperlo, almeno questo …
[Nella famosa foto, Bandar bin Sultan, per 22 anni ambasciatore saudita in USA in amichevoli chiacchiere nel salotto di casa del ranch texano del presidente americano G.W.Bush. La foto è del 2002. BbS poi torna in AS nel 2005 per occupare il posto prima di Segretario Generale del Consiglio di Sicurezza Nazionale e poi di Direttore Generale dell’Intelligence saudita]
NB_Tratto da facebook