POPOLO, ELITE, DEMOCRAZIA, di Pierluigi Fagan

POPOLO, ELITE, DEMOCRAZIA. (Post pensante, quindi pesante) Il “populismo” era una espressione politica manifestatasi a cavallo tra XIX e XX secolo in Russia, negli Stati Uniti d’America e in periodi relativamente più recenti in Sud America. Le prime due manifestazioni politiche fotografavano una opposizione tra una vasta porzione di popolo, agricolo, contro i poteri dominanti del tempo, tempi in cu la composizione sociale era molto semplificata. Leggermente diversa la composizione sociale in Sud America, figlia del diverso corso storico di quel continente. Papa Francesco (che è argentino), ebbe a ricordare che secondo lui, populismo era anche quello di Hitler e del suo partito-movimento che s’impose durante le convulsioni finali della Repubblica di Weimar.
Ho sempre nutrito una infastidita diffidenza verso l’utilizzo recente di questa categoria, in quanto democratico radicale non ho mai capito la differenza tra populismo e demagogia, stante che un democratico sa molto bene cos’è la demagogia in quanto storica malattia degenerativa proprio della democrazia. Non solo la categoria è incerta ma la sua applicazione mi è sembrata molto a casaccio. AfD, FN, Vox, FdI, ad esempio, mi sembrano legittimi partiti di destra, non vedo cosa c’entri il populismo. Avranno la loro percentuale di inclinazione demagogica, ma in comune a molte altre forze politiche in questi tempi di “democrazia spettatoriale”. Non ho neanche mai capito cosa c’entrasse la Brexit col populismo. E’ stata una etichetta intrisa di giudizio negativo, applicata appunto un po’ a casaccio per delegittimare posizione politiche avversarie. Forse se ne può accettare l’utilizzo descrittivo nel caso polacco, ungherese e di Trump, in buona parte per la forma di qualche tempo fa nel caso M5S e Lega, ma sono tutti casi da meglio precisare.
Non è un caso che questa categoria politica nasca come fenomeno politico concreto tra fine XIX ed inizi XX secolo, assieme al suo riflesso teorico. Questa è la “Teoria delle élite” di Mosca-Pareto-Michels. Ma la teoria era descrittiva, il suo utilizzo in chiave prescrittiva che cioè preveda politicamente che possa esistere una possibile contrapposizione secca tra élite e popolo inteso come il 99% di Occupy Wall Street (non a caso fenomeno americano), è un passaggio non compreso in quella teoria. Forse compresa da Michels quando da socialdemocratico tedesco diventò simpatizzante del fascismo italiano della prima ora, ma il caso individuale non è riflesso nella teoria in quanto tale.
Se la contrapposizione élite vs popolo esiste in descrizione, vale anche in prescrizione? Cioè esiste una via politica concreta che opponga le élite al popolo? Direi proprio di no, tranne in un caso. Il caso che prevede questa contrapposizione è quello vagamente oppositivo, ma una opposizione che non sviluppa una sua visione alternativa del potere, solo di interpreti, è movimento di opinione non movimento politico. Quando da movimento di vaga opinione diventa movimento concretamente politico, rischia solo di sostituire una élite ad un’altra, una élite sfidante “buona” fintanto che si contrappone a quella cattiva, ma destinata a trasformarsi inevitabilmente in “cattiva” quando prenderà il ruolo di élite dominante a sua volta. Come faccia una intenzione populista a riportare il potere al popolo, non è mai detto perché diventerebbe una teoria della democrazia che nessuno si sogna minimamente di promuovere davvero.
Sono cinque i fattori che hanno favorito l’affermarsi di questa partizione “popolo vs élite”. Il primo è la torsione globalista-finanziaria del modo economico occidentale, un nuovo modo che di sua natura intrinseca premia moltissimo pochissimi e pochissimo moltissimi. Il secondo è il fondo di impotenza che questa partizione induce, chi sa oggi come contrastare e riformulare il sistema in modo che non produca questa asimmetria di poteri? Il terzo è il collasso del pensiero politico di sinistra occorso all’indomani del ’91. Questo ha lasciato il campo a due fazioni di destra, populiste si sono manifestate le destre conservatrici finalmente in grado di assurgere al ruolo di difendenti il “popolo” considerato un omogeneo post-classista (il concetto di classe, a destra, fa l’effetto che l’aglio fa ai vampiri), in opposizione a quelle liberal-globaliste tacciate di progressismo-elitista, ma non meno di destra anch’esse. Anche parti una volta di sinistra si sono accodate a questa “furia del dileguare” della dicotomia destra-sinistra propagandata dalle destre. Del resto quando il cervello va in pappa l’indistinto della “notte in cui tutte le vacche sono nere” diventa l’unico modo di far funzionare l’apparato interpretativo. Il quarto fattore è la sempre più pronunciata divergenza tra complessità obiettiva del mondo e nostre facoltà di interpretarla. Sintomo di questa divergenza è la fioritura di teorie del complotto che antropomorfizzano e semplificano processi impersonali complessi. Il quinto e più importante, è la crisi ormai decennale della democrazia rappresentativa occidentale. Se in origine la democrazia altro non è che l’assemblea decisionale di individui facenti parte della forma di vita associata, la democrazia rappresentativa ha aggruppato questi individui in partiti e la degenerazione populista ha ulteriormente aggruppato i comunque plurali partiti in una massa indistinta, il popolo. Quest’ultimo passaggio, oltre per la coazione degli altri quattro fattori, si è creato per degenerazione democratica decennale in favore della democrazia spettatoriale. Da spettatori a consumatori il passo è stato breve, la politica diventa una faccenda di marketing, il politico è diventato il prodotto, il voto l’atto d’acquisto. Questo filone degenerativo origina delle specifiche teorie elitiste attive sulla “maggioranza silenziosa” nate in America negli anni ’60.
Il tutto prospera oltreché sui fenomeni nel mondo, da un totale abbandono della teoria politica democratica. Una forma detta “democrazia” ce la siamo trovata fatta quando siamo nati, ormai la generazione che ha vissuto la non democrazia sta scomparendo fisicamente e con lei almeno il ricordo del prima. Se quella forma meritasse o meno il titolo di democrazia non l’abbiamo mai discusso davvero e fino in fondo, perché poco chiaro cosa s’intendesse per “democrazia” in quanto tale. In teoria politica occidentale abbiamo Machiavelli, Bodin, Hobbes, Locke, Montesquieu, il “popolo” sotto forma di Terzo Stato di Sieyès, Tocqueville, vari conservatori à la Burke, Marx, Lenin, a parte Rousseau e pur coi suoi limiti, nessuno era democratico. Le origini del sistema parlamentare sono elitiste, dalla Gloriosa rivoluzione inglese di fine XVII secolo che affonda le sue radici nelle assemblee baronali dei tempi della Magna Charta (inizio XIII secolo). Un sistema nato elitista non diventa democratico solo perché si amplia la base elettorale, è un problema strutturale. C’è anche chi con somma impudenza epistemica usa con nonchalance l’ossimoro della “democrazia di mercato” come fosse un concetto. Da quando un ossimoro può diventare un concetto? qui siamo alla bancarotta logica. Quel sistema è stato usato di malavoglia dai seguici del marxismo-leninismo, tacciato di “democrazia borghese” è stato usato in attesa di fare un qualche salto rivoluzionario. Dove il fatto rivoluzionario s’è compiuto come in Russia, la fase dei soviet è durata lo spazio di un mattino, la fretta rivoluzionaria e le pressioni anti-rivoluzionarie, hanno portato a forme oligarchiche teorizzate già nel concetto di avanguardia del popolo (autonominata tale come tutte le élite).
Insomma, ci siamo dichiarati democratici senza sapere bene cosa significasse, quindi abbiamo accettato il lungo e costante processo di degenerazione attiva della democrazia condotto da élite sapienti, ci siamo ritrovati in assetti sociali descrivibili come élite vs popolo, abbiamo preso una descrizione e l’abbiamo fatta diventare una prescrizione stabilendo che è il popolo a dover dominare e non l’élite, abbiamo aspiranti nuove élite che in nome del popolo vogliono soppiantare quelle vigenti come già successe dalla Rivoluzione francese in poi.
Noi non siamo mai stati democratici, inutile piangere ciò che non c’è mai stato, piangiamo una vaga e romantica intenzione mai diventata pratica politica.

Molto interessante, grazie

Pierluigi

. Noterella brevissima: il potere (qualsiasi potere) è sempre un differenziale di potenza, + potente/ – potente. Il potere ugualmente distribuito tra tutti non esiste né può esistere, e l “uno vale uno” del M5* ne è la dimostrazione empirica. Sintesi, le élites ci sono sempre state e ci saranno sempre. Di qui sorgono le questioni a) legittimazione delle – b) ampiezza delle – c) ricambio delle – d) inclusività delle – e) efficacia nella leadership/capacità di competere con altre – f) coesione valoriale tra – e popolo eccetera.

Roberto Buffagni

Dalla nascita delle società complesse cinquemila anni fa, le élite ci sono sempre state. Che da ciò tu tragga certezza che sempre ci saranno è un “non sequitur”.

Pierluigi Fagan

E’ una argomentazione probabilistica + una di logica formale che si basa sul fatto che il potere è sempre un differenziale di potenza, + potente/ – potente

Roberto Buffagni

L’induzione è sempre probabilistica. Ma le probabilità lasciano spazio a possibilità contrarie

Pierluigi Fagan

Infatti non dico che sia impossibile, mai dire mai. Mi sembra molto, molto improbabile, ma io sono un reazionario

Roberto Buffagni

A me interessava solo fa notare che una cosa storicamente rarissima e legata a condizioni molto speciali, non diventa probabile se nessuno si applica a pensarla per poi provarla a farla diventare possibile.

NB_Tratto da facebook