Post-democrazia e crisi italiana: Mattarella e il “governo del cambiamento”, di Alessandro Visalli

Tratto dal blog https://tempofertile.blogspot.com/

Post-democrazia e crisi italiana: Mattarella e il “governo del cambiamento”.

Il Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, ha oggi chiuso una lunga crisi istituzionale con una decisione drastica che fa fare alla crisi politica italiana un salto di qualità di enormi proporzioni.

È davvero difficile immaginare come la crisi istituzionale evolverà: probabilmente avremo un presidente del consiglio incaricato del tutto privo di legittimazione elettorale, direttamente designato dal Presidente della Repubblica con la quasi certezza che non potrà avere i necessari voti di fiducia; quindi questi, dopo rituali consultazioni e il probabile appoggio del PD e FI (magari di LeU), formerà la sua lista dei ministri e probabilmente giurerà. A questo punto un governo senza appoggio politico adeguato in Parlamento (un “governo di minoranza”, si dice, ma senza l’astensione delle altre forze) andrà a chiedere la fiducia e non la otterrà. Il Presidente potrebbe o dovrebbe nominare un altro presidente per verificare se c’è un’altra maggioranza, ma lui sa già che c’è. Dunque lo farà entrare in esercizio e si riserverà di sciogliere le camere, io credo.

Di qui il terreno si farà ancora più scivoloso, perché un governo senza alcuna legittimazione elettorale, di minoranza, ma contro una maggioranza politica alla quale è stato impedito di esprimere un suo governo, si troverà a prendere decisioni di grandissimo momento in Europa e in Italia. Proverà, magari, ad arrivare alla legge finanziaria di fine anno, quindi non sciogliendo un Parlamento ostile che gli boccerà aspramente tutte le leggi che passano. Questo governo si esprimerà solo attraverso decretazioni di urgenza.

Ma la crisi politica è più grave della crisi istituzionale.

Già da tempo, in tutto l’occidente, è in corso un riorientamento degli assi politici dal tradizione asse sinistra/destra, che appare ai più sempre più obsoleto, ad un asse élite/popolo la cui definizione è oggetto dei più aspri scontri. Questo riorientamento ha visto nelle elezioni di marzo italiane un enorme acceleratore e contemporaneamente una plastica rappresentazione. Per la prima volta da decenni la maggioranza dei votanti (sia pure di misura) ha garantito consenso a Partiti contrari all’establishment percepito (ovvero ai duellanti della seconda Repubblica: PD e FI).

Spinge questa crisi un insieme di fattori economici, tecnologici e sociali che rendono instabili e altamente confusi tutti i fattori di stabilità politica che faticosamente erano stati costruiti nel corso dei due secoli che seguono alla fine dell’ancien régime: le relazioni sociali, il discorso pubblico, i valori centrali, i partiti, le forme della politica, le forme dell’azione pubblica, le istituzioni. Come avevamo già scritto, probabilmente alla radice di questa trasformazione non è solo l’economia, con la prevalenza del sogno neoliberale (incubo per la maggioranza delle persone non dotate di robuste dotazioni di capitali), ma anche una profonda disintermediazione nella stessa costruzione del discorso, pubblico e privato, e quindi della capacità e possibilità di accesso alla formazione della verità.

Ma certamente in questa crisi viene rimesso in questione, e sempre più profondamente, anche se incoerentemente l’assetto soffocante per troppi che aveva trovato forma dalle ‘riforme’ avviate negli anni ottanta e poi rinforzate con una piega imperiale (e neocoloniale) negli anni novanta. Questa è la dimensione di crisi della politica, ovvero di una democrazia politica incapace da tempo di svolgere la propria funzione di ottenere giustizia per i più deboli (i forti se la ottengono da sé). Precisamente per coloro che sono deboli a causa della posizione strutturale in cui si ritrovano nel sistema globale dei rapporti produttivi e quindi nell’accesso alle risorse che questi consentono (risorse economiche, sociali, culturali e quindi anche politiche).

Nel corso degli anni ottanta, e poi novanta, c’è stata una inavvertita rotazione dell’asse istituzionale: da orientato ad un compromesso, premessa di pace sociale e lealtà, si è trovato ad essere indirizzato a proteggere i profitti e le rendite. Tutto il sistema istituzionale contro il quale si è espresso il voto di marzo, anche quando non se ne accorge, vede il mondo dal punto di vista di chi ottiene i profitti e di chi detiene i risparmi (ovvero i capitali) e ne vuole trarre rendite. Ovvero di chi dispone del denaro nella forma del capitale (poco o tanto) e ‘compra’ lavoro. Il lavoro, peraltro, è inquadrato essenzialmente come una merce come ogni altra, della quale fare economia, da ridurre al suo minor prezzo. Dimenticando, tra le altre cose, che è il lavoro che consente di comprare le altre merci, di dare il loro valore. Lo sguardo miope del capitale scava sotto le proprie fondamenta.

Nel 2003 tutto questo viene messo sotto accusa da un fortunato libro del politologo Colin Crouch: “Postdemocrazia”. La crescente influenza di sempre più piccole lobbies economiche e di élite politiche sempre più autoreferenti ed il riferimento costante alla capacità di azione libera degli agenti, ma anche il sistematico depotenziamento del sistema di regole volto ad impedire che il mero potere economico si traduca in politico produce una forma politica nella quale si comincia ad andare oltre l’idea del governo del popolo. Ovvero oltre la sovranità popolare.

Ascoltiamo ora il discorso di Mattarella.

https://www.youtube.com/watch?time_continue=3&v=tx4TEKC6ni4

Ne riprendo alcuni stralci:

Come del resto è mio dovere” … “avevo fatto presente che per alcuni ministeri avrei esercitato un’attenzione particolarmente ampia sulle scelte da compiere”. Infatti, “il Presidente della Repubblica svolge un ruolo di garanzia”.

Fin qui si può dire poco, ma subito continua:

la designazione del Ministro dell’Economia costituisce sempre un messaggio immediato, di fiducia o di allarme per gli operatori economici e finanziari. Ho chiesto per quel ministero un autorevole esponente politico di maggioranza, coerente con l’accordo di programma, un esponente che, al di là della stima e della considerazione della persona non sia visto come portatore di una linea più volte manifestata che possa portare probabilmente, o addirittura inevitabilmente, la fuoriuscita dell’Italia dall’Euro. Cosa ben diversa da un atteggiamento vigoroso nell’ambio della UE dal punto di vista italiano”.

Il Presidente della Repubblica, nella non rituale ma essenziale presentazione alla sfera pubblica delle ragioni per le quali ha inteso respingere la lista dei Ministri che ai sensi della costituzione il Presidente del Consiglio incaricato, nell’esercizio delle sue prerogative, gli aveva sottoposto per la ratifica, porta un solo argomento: può allarmare gli operatori economici e finanziari.

Di per sé potrebbe anche non essere trovato gravissimo se il Presidente della Repubblica, che, come dice la Costituzione “nomina i ministri” su “proposta” del Presidente del Consiglio, come in altri casi è successo, avesse solo consigliato di cambiare un nome. Ma di fronte all’irrigidimento del Presidente incaricato, pienamente appoggiato dalle forze politiche che hanno la maggioranza in Parlamento, avendo vinto le elezioni su chiaro mandato, e considerando le conseguenze su cui ci siamo soffermati in avvio, è grave e pericoloso decida di procedere alla rottura. Bocciano quindi un “Governo del cambiamento” che aveva il certificato consenso della maggioranza del paese.

Scrive Habermas nel 1990 in “La rivoluzione recuperante” (in ‘La rivoluzione in corso’, p.197): il problema lasciato dal crollo del sistema del socialismo reale, e delle sue speranze di governo amministrativo, può essere affrontato attraverso un “contenimento protettivo” ed una “guida indiretta” della crescita capitalistica. Un problema che può trovare soluzione “solo in un nuovo rapporto tra sfere pubbliche autonome da un lato e campi di azione mediati dal denaro e dal potere amministrativo dall’altro”. Il potere sovrano, “connotato in senso comunicativo”, si deve a questo punto (almeno) far sentire attraverso la capacità di influire senza intenti egemonici sulle premesse dei processi di valutazione e di decisione dell’amministrazione. Insomma, il potere comunicativo “gestisce il pool di motivazioni con cui il potere amministrativo può operare in modo strumentale ma che non può ignorare nella misura in cui si richiama allo stato di diritto”.

L’unica ragione di non allarmare gli operatori economici, quando a fronte di questa considerazione, pur dotata di una sua qualche forza, c’è l’enormità di mandare inespressa la volontà sovrana appena manifestata dagli elettori, non credo proprio passi il test di Habermas.

Continua il Presidente:

l’incertezza sulla nostra posizione sull’euro ha posto in allarme gli investitori e i risparmiatosi, italiani e stranieri, che hanno investito nei nostri titoli di stato, italiani e stranieri. L’impennata dello spred, giorno dopo giorno, aumenta il nostro debito pubblico e riduce le possibilità di spesa dello Stato per nuovi interventi sociali. Le perdite in borsa, giorno dopo giorno, bruciano risorse e risparmi delle nostre aziende e di chi ha investito, e configurano rischi concreti per i risparmi le nostre famiglie e per i cittadini italiani, con pericoli per gli interessi per i mutui e per le aziende. In tanti ricordiamo come prima dell’unione europea gli interessi bancari sfioravano il 20%”.

In questa compatta spiegazione, che funge da esplicazione dell’allarme degli operatori, si trovano diverse affermazioni di fatto e l’esplicazione di diversi meccanismi tecnici causali di cui si chiede implicitamente la correttezza:

  1. l’allarme è ricondotto, tra i molti possibili fattori (non ultimo la vittoria di forze inattese e mai provate), alla sola posizione sull’euro;
  2. l’impennata dello spread (peraltro già molte volte verificatasi e sempre ricondotta) è accusata di “aumentare il debito pubblico” e di “ridurre la capacità di spesa dello Stato”, questa relazione causale sarebbe possibile se lo spread restasse alto a lungo, trascinandosi sui tassi e quindi impattando nel tempo sul servizio del debito che va alimentato da risorse fiscali. Ma sarebbe possibile che nel caso temuto di uscita dall’Euro questi effetti possano essere neutralizzati, ma non senza costi, da una nuova Banca d’Italia sotto controllo del Tesoro (ovvero revocando la più strutturale delle riforme degli anni ottanta, che ha generato il debito);
  3. allargando il discorso si passa alle oscillazioni delle quotazioni della borsa, qualificate come “perdite” (quando sono solo valori nominali che si determinano in perdite per qualcuno e guadagno per qualcun altro solo se sono vendute) e che addirittura, con linguaggio giornalistico fuorviante in bocca ad un Presidente che sta svolgendo l’alto ufficio di fornire motivazioni alla sfera pubblica politica su una decisione così grave, vengono descritte attraverso la metafora del “bruciare”;
  4. Allargando ancora queste perdite potenziali si potrebbero riverberare, in un successivo anello, addirittura in “rischi concreti” per i risparmi delle famiglie e in innalzamenti dei tassi di mutui ed aziende (evidentemente in caso di crisi generalizzata);
  5. Da ultimo viene ricordato che gli interessi bancari senza euro erano al 20% (ma questo accadeva quando l’inflazione era alta quasi altrettanto e dunque gli interessi reali erano bassi come ora, o comunque vicini).

Insomma, il Presidente ha esercitato un crescendo retorico il cui vero obiettivo era illustrare i rischi che immagina per l’uscita dall’Euro.

Ma il ministro in pectore non minacciava affatto l’uscita, intendeva solo assumere una posizione forte di tipo negoziale (impossibile se ci si preclude in via definitiva il piano “B”).

La chiusa è interessante:

È mio dovere nello svolgere il compito di nomina dei ministri che mi affida la costituzione essere attento alla tutela dei risparmi degli italiani. In questo modo si riafferma concretamente la sovranità italiana, mentre vanno respinte al mittente inaccettabili e grotteschi giudizi sull’Italia.” … “Quella dell’adesione all’euro è una scelta di importanza fondamentale per le prospettive del nostro paese e dei nostri giovani, se si vuole discutere va fatto apertamente e con il necessario approfondimento, anche perché non è stato al centro della recente campagna elettorale”.

È dovere del Presidente essere attento alla tutela dei capitali (ovvero dei “risparmi”), in questo poggia la sovranità italiana.

Facciamo un passo indietro: scrive Guido Carli nel 1993 che quello che chiama “il significato sociale e politico del debito pubblico”, a causa della sua ‘capillare diffusione nel pubblico’ (ovvero, vale la pena ricordarlo subito, nella media e alta borghesia), ipocritamente attribuito anche agli strati sociali meno abbienti (come se avere, eventualmente, uno o due bot sia la stessa cosa di averne migliaia), è che questo viene trasformato nella democrazia stessa. Dice, infatti, Carli: “la sintesi politica di tutto ciò è evidente: il permanere del debito pubblico nei portafogli delle famiglie italiane, per una libera scelta, senza costrizioni, rappresenta la garanzia per la continuazione della democrazia” (in ‘Cinquant’anni di vita italiana’, p.387). Ne segue, incredibilmente, che per Carli “chi mira ad intaccare quella fiducia, quella libera scelta, mira in ultima analisi ad interrompere la continuità democratica”. Infatti il debito pubblico è niente di meno che la connessione delle “famiglie”, ed “intima”, con il “grande” ed “efficiente” (due parole che non possono certo essere sottovalutate nella loro potenza simbolica) “mercato”. Il debito pubblico, continua Carli, è il tramite della scelta culturale dell’apertura delle frontiere.

A chi propone (all’epoca Visentini) forme di ristrutturazione forzosa (che oggi sarebbe implicita in una fuoriuscita dalla gabbia europea, ma anche in una sua forte messa in discussione, attraverso operazioni di “monetizzazione”), Carli risponde che “oggi le strade della coercizione finanziaria sono precluse a qualsiasi classe dirigente che non voglia far correre al Paese antistoriche avventure autoritarie”. Insomma, risponde che al debito non si può sfuggire, e nemmeno si deve.

In conseguenza di ciò, e dell’apertura dei mercati, “non è più possibile tornare indietro”. Come dice espressamente: “il Trattato di Maastricht è incompatibile con l’idea stessa della ‘programmazione economica’. Ad essa si vengono a sostituire la politica dei redditi, la stabilità della moneta e il principio del pareggio di bilancio” (p.389).

Il Banchiere che altrove dice apertamente “io stavo dalla parte dei capitalisti” nei conflitti distributivi, (p.269) e che ha rappresentato l’Italia nel negoziato di Maastricht, mostra, cioè, in modo del tutto chiaro chi è il sovrano.

Il sovrano è chi decide, e sono i risparmiatori, ovvero i detentori dei capitali e quindi dei debiti.

Oggi ne abbiamo avuta un’altra prova: a fronte di due forze politiche che non apprezzo, ma che hanno la maggioranza sia in Parlamento sia nei voti degli italiani, e che proponevano attraverso la corretta procedura un ministro sgradito perché foriero di mettere in questione il debito, il Presidente ha argomentato il suo rifiuto proprio in questi termini. Ha sostenuto che la scelta avrebbe danneggiato i risparmi e spaventato i mercati.

Dunque non sono sovrani i cittadini attraverso la procedura del voto (ovvero attraverso l’esercizio di quel suffragio universale, sostituitosi nel corso del novecento al voto limitato a chi dispone di capitale), ma i risparmiatori e il loro oracolo: i “mercati”.

In effetti “post-democrazia”, da oggi, è termine modesto. Bisognerà riflettere bene su questo passaggio epocale: di nuovo l’Italia apre la strada.

PRESIDENTE ZERO TITULI, di Massimo Morigi ovvero: introduzione alla guerra civile, di Antonio de Martini

PRESIDENTE ZERO TITULI

Di Massimo Morigi

Come scriveva Karl Marx nel 18 brumaio di Luigi Bonaparte, la storia si ripete sempre due volte: “la prima come tragedia, la seconda volta come farsa”. Nell’attuale crisi di sistema ed istituzionale iniziata il 27 maggio 2018 dall’avventurismo politico del Presidente della Repubblica italiana, la vicenda in questione, del tutto inedita nella storia passata dell’umanità per la tragica insipienza del suo altissimo scatenatore (se non andando alla tragica e goffa vicenda della fuga a Varenne di Luigi XVI che decretò la sua uscita violenta dalla scena della storia e del demente comportamento di Nicola II che fece da innesco alla rivoluzione russa e alla sua e della sua famiglia tragica fine e andando, volendo essere un attimo più leggeri, al falso storico dell’incendio di Roma da parte di Nerone, immortalato in un registro alto della memoria collettiva da un Petrolini che sulle ceneri della Città Eterna arringa un popolo tumultuoso ed avverso che lo ritiene responsabile di tanta rovina esprimendo di voler ricostruire Roma “più bella e più superba che pria” e con una vocina surreale e stridente di un astante davanti a tanta ridicola enfasi che risponde “bravo”, alla quale Nerone replica con “grazie”, in un esilarantissimo botta e risposta nel quale al “grazie” si risponde ogni volta con un “bravo”: ci permettiamo questa nota surreal-teatrale per dire che auguriamo al nostro beneamato presidente della Repubblica di essere ricordato ai posteri non come un protagonista tragico della storia ma come un’immagine in fondo affettuosa e appartenente alla cultura popolare simile al Nerone petroliniano, che proprio come personaggio si fa amare per la sua buffonesca, istrionica, e quanto divertente, abissale incompetenza), non ha, questa vicenda, contraddicendo quello che diceva Marx, alcuna analogia con le passate catastrofi storiche perché essa è contemporaneamente tragica ma anche farsesca ( non v’è mai stato nulla di simile se non ricorrendo all’esempio del Nerone petroliniano, il quale però fu tratto  da una letteraria finzione storica). Il fatto farsesco alla sera del 29 maggio 2018 è il seguente: Cottarelli è sul punto di rinunciare all’incarico perché c’è la verosimile possibilità che il nuovo Governo al Senato non ottenga nemmeno un voto di fiducia. Riferendosi ad un suo avversario allenatore calcio, un allenatore portoghese non molti anni fa ebbe modo di dire: “Zero tituli”. Pensiamo che anche a   noi, in veste di modesti commentatori politici, visto il grande successo che la sua iniziativa rischia di correre al Senato, riferendoci al Presidente della Repubblica, ci sia consentito di esprimerci riguardo alla massima carica della Stato come “Presidente zero tituli”. Ma visto che la storia del nostro paese ci consente anche citazioni ben più illustri che non il calcio, si ricorda per ultimo la storiella di Caligola che nominò senatore il suo cavallo. Con tutti gli absit iniuria verbis del caso –  sia verso il “Presidente zero tituli” che verso Caligola: in ogni caso non si mai… –  e con ancora ripetuto rispetto parlando del  “Presidente zero tituli”, abbiamo così trovato alla fine un altro caso in cui la tragedia è abbinato alla farsa, e contribuito, alla fine, a non smentire Marx. Con il tetro e poco tranquillizzante sospetto, però, che dopotutto il cavallo abbia fatto meno danni dell’attuale impazzimento istituzionale e con la certezza, anche, che per non cadere nelle lugubri immagini evocate dalla fuga a Varenne e dall’orrida fine della famiglia imperiale russa ad Ekaterimburg, l’unica rimedio sia ricorrere alle surreali ed anche allegre immagini evocate dal Nerone petroliniano.

 

Massimo Morigi – 29 maggio 2018

 

P.S. Ultimissime delle ore 22.30 di martedì 28 maggio. Il “Presidente zero tituli” sta pensando seriamente di fare marcia indietro e di richiamare Conte accettando anche Paolo Savona come ministro dell’economia. Siamo all’ “indietro tutta”. Ma come la presente farsa non lo rende, ahilui, né un Caligola né un Nerone (anche se glielo auguriamo in prospettiva di diventarlo, perché questi, se non altro, sono caldi ricordi scolastici di una lontana gioventù), questa ultima “indietro tutta” non riesce a renderlo popolare ed amato come quel simpatico ed anche geniale (e molto serio nel suo mestiere) comico che vestiva buffoneschi panni d’ammiraglio.

 

INTRODUZIONE ALLA GUERRA CIVILE, di Antonio de Martini

Tutti presi dagli aspetti formali della Batracomiomachia in corso stiamo trascurando quelli essenziali.

a) preservare la libertà
b) preservare il benessere
c) preservare l’Unità Nazionale

Fino a pochi anni fa e per troppi anni, abbiamo tollerato il regime democristiano e la sua corruttela perché , in fondo, era come Maradona coi napoletani.

“Con Maradona s’azzuppa ” dicevano i compaesani cui il campione permetteva di violare la legge sul “trademark” delle magliette che consentiva loro di cenare a latte e profumato con la fantasia.

Questo regime di preti in borghese ha gradatamente corrotto tutti cooptandoli al potere – impedendo quindi la nascita di alternative politiche democraticamente elette – prima i socialisti, poi i comunisti , infine i fascisti.

Nel frattempo, un numero crescente di italiani più consapevoli, si allontanava dalla politica e dal voto, dai risultati sempre più taroccati, mentre le distrazioni di massa fioccavano leggère.

Adesso che, per ragioni che andranno indagate dal controspionaggio, è nata una alternativa nuova che ha coagulato i fermenti ribellistici del Nord e del sud in una inedita “coalizione dei velleitari”, i padroni del vapore hanno perso il controllo dei nervi.

Gridano che non vogliamo l’Europa.
È falso, noi non vogliamo loro e in Europa vogliamo contare per quello che siamo veramente.

Preparano un altra “fake election” su un altro tema da guerra civile.

Intendiamoci, in questa crisi ministeriale Mattarella ha rispettato la forma, ma la sostanza del discorso ė che il sistema dei ladri che munge le mammelle dell’Italia da decenni, non vuole più spartire con nessuno.

La crisi economica e il controllo sociale hanno ridotto le disponibilità, le liti interne al PD, moltiplicato il numero di parti da fare, hanno sottovalutato Masaniello e sopravvalutato il cardinal Bassetti e i suoi belati tardivi.

Il sistema dei preti in borghese e in uniforme non vuole correre il rischio di un mutamento costituzionale che metta in forse anche il blindaggio del concordato con il Vaticano e vede il pericolo concretizzarsi a ogni giorno che passa.

Al rischio di perdere il potere e il denaro, preferiscono quello del conflitto civile.

Berlusconi che era sceso in politica ansioso di cambiare il mondo, adesso ha paura che cambi davvero e si offre insistentemente per difendere il palazzo che aveva aggredito – mi tornano a mente le parole del comunicato della vittoria- con orgogliosa sicurezza.

Hanno perso tutti la testa.

Il Presidente della Repubblica che scende nella polemica politica e si meraviglia che ” due partiti che si sono presentati divisi alle elezioni” ora provino a collaborare. Salvini che vuole imporsi pubblicamente al Presidente della Repubblica. de Maio che improvvisa “impeachement” in palcoscenico.

Il connubio tra avversari elettorali lo hanno fatto anche i suoi amici Merkel e Schultz in cinque mesi di trattative senza suscitare scandali ne critiche.
Il loro governo regge. Il suo cemento è l’interesse nazionale.

Mattarella si è anche presentato come un campione di tolleranza per aver accettato un candidato non eletto ( Conte) per poi presentare lui stesso un quidam de populo, tale Cottarelli da Velletri.
Finge di voler varare la finanziaria, ma punta a gestire le elezioni in proprio con un ” governo neutrale”. La scorsa settimana aveva detto pubblicamente che la neutralità non esiste….

Per impedire manifestazioni ” a caldo” dei 5 stelle, il PD ne ha già indetto una per il 1 giugno.
De Maio, ha risposto convocandola per il 2 giugno.

La conta delle presenze sarà da ridere, ma c’è da piangere: è già una prova generale di guerra civile.

Il tradimento della Costituzione italiana da parte di Sergio Mattarella c’è e coinvolge anche il suo predecessore Giorgio Napolitano e quel povero cretino di Ciampi. Ma vediamoli uno alla volta prima che muoiano e vengano santificati.

L’articolo 11 della Costituzione è stato violentato più volte e in entrambi i comma.
L’Italia nel ventennio scorso ha fatto più guerre che nel ventennio fascista ( Balcani, Afganistan Libia), tutte in posizione subordinata rispetto alle potenze straniere interessate e – nel caso balcanico e in quello libico- in stridente contrasto con gli interessi nazionali. I responsabili devono risponderne e Mattarella tra loro.

Napolitano ha obbedito al diktat straniero di cacciare Berlusconi nel 2011 e Mattarella oggi di rifiutare il nuovo governo giallo verde che personalmente considero velleitario e inadatto, ma che ha diritto di governare quanto la signorina Madia o Ignazio Larussa. Di certo, faranno meno danni.

Fingono di voler fare le elezioni, ma tra legge finanziaria, manovra di aggiustamento, nuova legge elettorale e, prassi – non si fanno contemporaneamente le elezioni europee e quelle italiane – se va bene se ne parlerà nell’autunno del 2019 previa “stabilizzazione” della situazione.

Le elezioni nazionali le vogliono fare all’insegna di EUROPA SI, EUROPA NO per deviare ancora una volta l’attenzione dai loro loschi affari.

UNA ALTRA RAGIONE DI MESSA IN STATO DI ACCUSA è il fatto di aver consentito che la RISERVA AUREA NAZIONALE, depositata presso la Banca d’Italia e da questa affidata fiduciariamente alle allora Banche d’interesse nazionale, sia stata ” dimenticata” lì quando le banche furono privatizzate e le si autorizzò – con protesta della BCE- ad iscriverle a patrimonio di queste ultime.
Una ennesima truffa anche ai danni della “caraeuropa”.
Cacciamo Mattarella e saremo rispettati dal mondo intero. Teniamocelo e finiremo come la Grecia.

 

 

Dalla mia Palla di Cristallo: Governo Ombra!, di Roberto Buffagni

Dalla mia Palla di Cristallo: Governo Ombra!

 

Stamani, in un fortunoso collegamento con il Regno Sovratemporale, tra le linee dei possibili ne ho scorto una molto interessante: il Governo Ombra.

Sarà legale il governo Mattarella – pardon, il governo Cottarelli? Certo che sarà legale, e dunque gli si dovrà tributare il rispetto e l’obbedienza che la legge impone. Non avrà la fiducia della maggioranza parlamentare, ma sono dettagli. E allora perché Lega e 5*, che saranno  all’opposizione anche se la maggioranza parlamentare ce l’hanno – ma, ripeto, sono dettagli – non riprendono un bella istituzione della più antica democrazia parlamentare del mondo, la britannica?

A Westminster, il Governo Ombra o Shadow Cabinet[1] consiste di un gruppo di rispettati portavoce dell’opposizione, i quali, guidati dal leader dell’Opposizione di Sua Maestà, formano un gabinetto dei ministri alternativo a quello in carica, i cui membri sono l’ombra o il riflesso speculare di ciascun membro del governo.

A Roma, avremmo il vantaggio che la lista dei ministri del Governo Ombra è già pronta, con il suo bel programma di governo già laboriosamente concordato tra i partiti. Purtroppo, il Governo Ombra italiano non potrebbe essere guidato dal prof. Conte, che non è un parlamentare. Ma potrebbero guidarlo, magari a turno, i due leader della maggioranza parlamentare, Salvini e Di Maio: e per ogni iniziativa del governo Mattarella – pardon, Cottarelli – proporre al parlamento e agli italiani una critica, e una controproposta costruttiva.

Certo, il Governo Ombra italiano non sarebbe identico allo Shadow Government britannico: perché nella Perfida Albione, c’è la radicata abitudine di far governare solo chi ha la maggioranza parlamentare, e di mettere all’opposizione chi non ce l’ha. D’altronde, negli ultimi 66 anni l’Inquilina di Buckingham Palace non risulta aver posto il veto su alcun ministro propostoLe dal premier, neanche quando il ministro era di fede repubblicana o socialista. L’attuale Inquilino del Quirinale, invece, sì: chissà, forse la residenza nell’antica sede del Papa Re, un monarca assoluto per diritto divino (anche se eletto), suggerisce interpretazioni più misticamente sfumate del proprio ruolo.

A me sembra una buona idea. Piuttosto che organizzare manifestazioni oceaniche che si risolvono in gigantesche scampagnate, magari funestate da qualche incidente che può inquietare gli italiani più prudenti e sedentari, perché non far vedere agli italiani che cosa avrebbe potuto fare il governo Lega – 5*? O meglio: che cosa potrebbe fare anche oggi, anche domani, se il Presidente della Repubblica italiana sobriamente si ispirasse all’esempio di Sua Maestà britannica Elisabetta II, regina per grazia di Dio del Regno Unito e dei quindici realms del Commonwealth, e Difensora della Fede?

Formare un Governo Ombra non impegnerebbe a una riedizione dell’alleanza Lega e 5*. Mentre il governo Mattarella – ahem, Cottarelli – resta in carica, il Governo Ombra si limiterebbe a presentare agli italiani un test su strada senza impegno di acquisto di quel che poteva essere ma chissà come non è il governo italiano. Gli italiani, parlamentari e cittadini, giudicherebbero con calma nel merito, e si farebbero un’idea: per esempio, potrebbero valutare serenamente se davvero il professor Paolo Savona è un pericoloso babau che mette in pericolo i loro risparmi, come si sostiene dalle parti del Quirinale, dei partiti di minoranza, di quasi tutti i giornali, della Cancelleria di Berlino e della Banca Centrale di Francoforte.

Nel frattempo, in attesa di nuove elezioni, liberi tutti i partiti, di maggioranza e minoranza, di ridiscutere programmi e alleanze: chi da dato ha dato, chi ha avuto ha avuto, e con le immortali parole di Rossella O’Hara, domani è un altro giorno e via col vento.

Certo: il governo Mattare…- scusate: il Governo Cottarelli sarebbe il governo legale, mentre il Governo Ombra sarebbe legittimo. E’ un po’ imbarazzante, quando legalità e legittimità non coincidono: ma sono dettagli. In caso di dubbi e confusioni ci si può sempre rivolgere, per l’interpretazione autentica, al Presidente della Repubblica, che ha dimostrato di non esserne avaro.

That’s All, Folks.

[1] https://en.wikipedia.org/wiki/Shadow_Cabinet

Che cos’è e come funziona il “Piano B” per l’uscita dall’euro,di Roberto Buffagni

 

Che cos’è e come funziona il “Piano B” per l’uscita dall’euro

 

Il piano B per l’uscita dall’euro funziona esattamente come la strategia du faible au fort elaborata dal generale Pierre Gallois su incarico di De Gaulle, che condusse alla costruzione della force de frappe nucleare francese. Semplificando: si tratta di una strategia difensiva e DISSUASIVA, che rende impervio il rapporto costi/benefici per l’aggressore, anche molto più forte, che volesse attaccare la Francia. In caso sia minacciato un interesse vitale della nazione, essa dispone di un’arma che può causare danni politicamente insostenibili all’aggressore. Lo scopo della strategia du faible au fort è dissuasivo, vale a dire che è rivolto a EVITARE il conflitto, prevenendolo. Logicamente, perché la deterrenza e la dissuasione si verifichino è indispensabile che a) tutti sappiano che la force de frappe nucleare esiste sul serio b) tutti sappiano che il responsabile politico, in questo caso il Presidente francese, ha il potere e la volontà di usarla in caso di necessità.

Il “piano B” per l’uscita unilaterale dall’euro funziona allo stesso identico modo. Averlo rappresenta certamente una minaccia per l’avversario, e quindi non istituisce con lui un rapporto di amichevole cordialità. Non ha senso averlo clandestinamente, a meno che il piano B non sia in effetti il piano A, cioè a meno che non si sia deciso in via preliminare che qualsiasi trattativa è inutile e controproducente, e dunque non si voglia senz’altro uscire dall’euro nei tempi più brevi possibili e nel modo più netto e brutale compatibile con le esigenze operative. Chi ha chiesto al prof. Savona di abiurare pubblicamente ogni ipotesi di “piano B” gli ha chiesto, magari senza accorgersene, di rinunciare a ogni alternativa tranne a) nelle trattative con la Ue, non chiedere nulla più che briciole octroyèes b) uscire unilateralmente senza trattativa alcuna (o solo fingendo di trattare in attesa dell’ora X).

Un  “piano B” pubblicamente annunciato rappresenta dunque un elemento decisivo e DISSUASIVO essenziale in ogni progetto inteso a una modifica NON COSMETICA E NON TRAUMATICA dei rapporti tra uno Stato membro dell’eurozona e la UE. Paradossalmente  – ma la strategia si fonda su paradossi sin da quando la saggezza romana sentenziò “si vis pacem para bellum” –  la possibilità di una trattativa, aspra quanto si voglia, ma con possibilità concrete di giungere a un compromesso accettabile per tutte le parti, si fonda proprio sulla presenza effettuale e a tutti nota del “piano B”, che né a caso né a torto anche il linguaggio giornalistico chiama “opzione nucleare”.

In rapporto alla UE, l’Italia si trova nella situazione in cui si trovarono Saddam Hussein e Muhammar Gheddafi in rapporto agli USA. Lusingandoli con promesse, minacce e prebende, gli USA persuasero i due oggi defunti Capi di Stato a rinunciare ai propri programmi nucleari, e persino ai loro arsenali di “bombe atomiche dei poveri”, le armi biologiche. Il ragionamento proposto dagli USA fu, terra terra: “Se non rinunciate ai vostri programmi di dissuasione militare, escalate il conflitto, e dato che noi siamo infinitamente più forti, non vi conviene”. S’è visto com’è finita. Se Gheddafi e Saddam non ci fossero cascati, oggi si troverebbero nella situazione del dittatore Nord Coreano, certo non invidiabile ma direi migliore della morte per impiccagione o per linciaggio.

Esemplare, nel contesto UE, il caso di Tsipras, non defunto fisicamente ma zombificato politicamente. Egli fu incastrato da due fattori: 1) NON aveva il piano B (e anzi nel Ministero dell’Economia c’era fior di gente che lavorava proUE dietro alle spalle di Varoufakis) 2) Pensava che la trattativa con la UE avrebbe avuto migliori prospettive NON avendo il piano B, appunto perché  averlo costituisce una minaccia che escala il conflitto. Come si vede, si sbagliava.

That’s all, folks: stiamo in campana.

POT POURRI PRESIDENZIALI, di Antonio de Martini e Roberto Buffagni

ROBERTO BUFFAGNI

Mattarella e chi lo consiglia non hanno capito la cosa essenziale: che il ferro di legno Ue funziona solo se nessuno lo sottopone mai a esame chimico (“E’ ferro? E’ legno? Che caspita è?”). E invece di stendere il mantello di Noè sulle vergogne del Padre Euro, questa moneta senza Stato di uno Stato che fa finta di esistere e per trent’anni aveva dignitosamente retto l’onerosa impostura, il Presidente della Repubblica (quale? italiana? europea? francofortese?dell’Isola Che Non C’è?) ha illuminato con un riflettore da tremila il Re, e, sorpresa! Il Re non è neanche nudo (per essere nudi bisogna esistere), il Re proprio non esiste! Non ha lo scettro del comando, perchè può dire solo di no; non ha la corona, perchè nessuno l’ha incoronato; non ha la giustizia, perchè dove sono i suoi magistrati, dove la sua polizia, dove le sue prigioni, dove il suo codice europeo; non ha la forza, perchè dov’è il suo esercito? Il Re UE è il Re del Regno di Domani, il Domani In Cui Si Fa Credito (ma oggi solo Debito), il Domani in cui Alle Menschen Werden Bruder (ma intanto vengono trattati come cosi superflui, pagati da schifo, sbeffeggiati da signorini che gli fanno anche la morale).
Nei primi tempi beati della rivoluzione sansa larmes, in servizio d’ordine alle Tuileries, il tenente Bonaparte guardava il povero Luigi XVI, che sul balcone, salutato dalla folla osannante, sorrideva e calzava il berretto frigio. Il tenente Bonaparte commentò, in italiano: “Che coglione!”

 

ANTONIO de MARTINI

SEGRETI E SEGRETARI, UCCELLI RARI.

“Assegnare alla BCE le funzioni svolte dalle principali banche centrali del mondo per perseguire il duplice obiettivo della stabilità”

Paolo Savona oggi alle 13.32 ( vedi post precedente)

Attualmente la Banca Centrale Europea ha come unica missione quella di mantenere stabili i prezzi.
Dire ” assegnare le funzioni che hanno le principali banche centrali del mondo” significa attribuire alla BCE il potere di manovrare la moneta ( leggi svalutare) oltre che di sorvegliare i prezzi, funzione unica a cui è ingabbiata oggi.

Ovvio che la dichiarazione, incautamente fatta dai nuovi capi, di 250 miliardi di sconto significava chiedere una svalutazione del 10% dell’Euro che avrebbe alleggerito e riequilibrato il debito e svalutati i crediti di Francia e Germania verso Italia, Grecia e tutti gli altri paesi della UE. Il dollaro si sarebbe rafforzato…

Sarebbe bastato cambiare un solo articolo dello Statuto della BCE senza stravolgere i trattati.
Probabilmente Draghi sarebbe stato dalla sua parte.

Ovvio che tedeschi e francesi si siano infuriati. Macron ha telefonato a Conte per conferma, magari indiretta, e il coglione ha fatto chicchiricchì.

L’arte del governo richiede negoziati silenti e non fornire preziose anteprime agli interessati.

La fica in mano ai ragazzini dicono a Napoli.
Di Maio, quasi napoletano, avrebbe dovuto ricordarsene, se non fosse un ragazzino.

Bertoldo-Salvini ha invece indicato l’albero cui essere impiccato. Altra bambinata.
Conte si accontenterà di mettere nel curriculum ” ex primo ministro”.

A F…. ‘N MANO ‘E CRIATURE

Ma se nominassero ministro dell’Economia Teresina dei Baracconi, questa prenderebbe Savona come vice capo di gabinetto e realizzerebbe i lavori mentre Teresina resta ai Baracconi per godersi le ferie.

Quindi il problema non sono le idee di Savona.

Hanno fatto giocare i ragazzini per evitare le elezioni a breve termine e far decantare la situazione. Hanno fatto i capricci, come previsto, e faranno saltare tutto.

La scusa ufficiale di stasera è surreale.

Il Presidente della Repubblica teme che i partiti realizzino quel che avevano promesso di fare in campagna elettorale.

Intanto rinnovano i vertici RAI – blindano il controllo- e le elezioni nazionali si faranno dopo le elezioni europee del 2019. Forse.

IL SOLO MARGINE CHE RESTA È CHIEDERE L’INCARICO PER SAVONA.

TARANTO, DA POLO SIDERURGICO A POLO STRATEGICO DELLA NATO, DI LUIGI LONGO

Qui sotto un saggio di Luigi Longo sugli interessi geopolitici che in qualche maniera stanno contribuendo a determinare, in maniera determinante, assieme al conflitto intracomunitario sulla ripartizione delle quote di produzione di acciaio, il destino infausto dello stabilimento ILVA di Taranto. Il testo è apparso nel 2013 su www.conflittiestrategie.com, sito con il quale sia lo scrivente che l’autore collaboravano.Giuseppe Germinario

Taranto, da polo siderurgico a polo strategico della NATO

di Luigi Longo

 

 

Quando si giunge ai beni della terra, allora

                                                                       il bene più grande si nomina inganno e pazzia.

                                                                       Quelle passioni alte che ci hanno dato la vita,

                                                                       di pietra si fanno nel caos del mondo.[…]

\                   Johann Wolfgang Goethe*

 

Colui che disse che la vita dell’uomo è una guerra,

                                                           disse almeno tanto gran verità nel senso profano

                                                           quanto nel sacro. Tutti noi combattiamo l’uno

                                                           contro l’altro, e combatteremo fino all’ultimo fiato,

                                                           senza tregua, senza patto, senza quartiere. Ciascuno

                                                           è nemico di ciascuno, e dalla sua parte non ha altri che

                                                           se stesso.[…] Del resto o vinto o vincitore, non bisogna

                                                           stancarsi mai di combattere, e lottare, e insultare e calpestare

                                                           chiunque ci ceda anche per un momento. Il mondo è

                                                           fatto così, e non come ce lo dipingevano a noi poveri

                                                           fanciulli.[…]

.                                                                                                                      Giacomo Leopardi*

 

Essere pessimisti circa le cose del mondo e la vita in

                                                           generale è un pleonasmo, ossia anticipare quello che

                                                           accadrà […]. La situazione politica in Italia è grave ma

                                                           non è seria[…].

Ennio Flaiano*

 

 

1.Il conflitto strategico all’Ilva di Taranto.Nel mio precedente scritto sulla questione dell’Ilva di Taranto ho avanzato l’ipotesi della trasformazione di questo polo siderurgico in polo strategico della NATO (1). Oggi, con il commissariamento dell’Ilva, questa ipotesi diventa più fondata, soprattutto se analizziamo le seguenti fasi: a) il decreto di commissariamento ( nomina di Enrico Bondi a commissario straordinario e di Edo Ronchi a sub commissario per la tutela ambientale ); b) il programma di intervento finalizzato nei fatti alla chimera della bonifica ambientale e della tutela della salute degli operai e della popolazione; c) la configurazione di blocchi di potere economico-portuale ( uso e riuso del porto ), economico-ambientale ( bonifica e risanamento ) e economico-territoriale ( rigenerazione urbana e nuovo ruolo della città ); d) la trasformazione, di fatto, a comando NATO della seconda base navale nel Mar Grande ( ubicata nella zona “Chiapparo”) e la costruzione della terza base navale NATO nel Mar Grande ( localizzata nel molo polisettoriale vicino al Molo Ovest del porto utilizzato dall’Ilva) (2); e) la nuova strategia USA nel mediterraneo ( soprattutto nei paesi del Nord Africa) e nel Medio Oriente (soprattutto in Siria e Iran).

La nuova strategia USA, che fa riferimento a Barak Obama e agli agenti dominanti che lo esprimono, assegna un ruolo importante all’Italia considerata uno spazio geografico asservito con infrastrutture militari strategiche ( armi e sistemi di comunicazioni), ovviamente, per questioni di sicurezza legate all’Europa, al Medio Oriente e all’Africa e già mai per costruire con tutta l’Europa [si veda il costruendo accordo di libero scambio USA-UE ( la NATO economica)] << la testa di ponte americana sul continente euroasiatico >> (Zbigniew Brzezinski) per l’accerchiamento militare della Russia (una potenza ri-emergente), temuta sopratutto per il suo arsenale militare nucleare (3), nella fase multipolare lagrassiana che si sta facendo sempre più vivace e incalzante.

Si può affermare che la nuova strategia USA di ri-orientamento, dopo il tramonto della illusione di essere diventata l’unico centro di ordine mondiale a seguito dell’implosione dell’ex URSS ( 2001-2003, la sconfitta del Nuovo ordine mondiale o del secondo secolo americano), porta a un conflitto per l’egemonia mondiale che può sfociare in un dominio meno unilaterale ( un assestamento della fase multipolare) o in una guerra mondiale ( fase policentrica) come la storia dimostra (4).

Gianfranco La Grassa sostiene che << Si deve partire dalla configurazione che sono andati assumendo i rapporti internazionali nella nostra area, e in quella vicina africana e mediorientale, per meglio valutare che cosa stia accadendo in Italia. Sembra di poter constatare che il mutamento strategico statunitense, precisatosi soprattutto negli ultimi anni, ha ormai bisogno di accelerare date trasformazioni nella subordinazione italiana >> (5); Gianfranco La Grassa ha ragione, soprattutto in considerazione del fatto che << Le strutture statunitensi in Italia permettono una capacita’ di azione unica e sono fondamentali per la nostra possibilità di promuovere la stabilita’ nel Mediterraneo, nel Medio Oriente e nel Nord Africa. Abbiamo quindicimila uomini nelle sei basi italiane e questi insediamenti presentano alcune delle nostre più avanzate risorse schierate fuori dagli Stati Uniti [ corsivo mio] >> (6).

I segnali della suddetta accelerazione sono: 1) lo «Strategic Dialogue», una revisione complessiva della collaborazione tra Italia e Stati Uniti, che non avveniva da circa due anni, si è tenuta di recente a Roma. L’invito viene da Derek Chollet, Assistant Secretary of Defense for International Security Affairs, ossia il principale consigliere del capo del Pentagono Hagel per le questioni di sicurezza legate all’Europa, al Medio Oriente e all’Africa, che così afferma << Discutere il nostro rapporto strategico e le cose che possiamo fare insieme nel mondo. E’ un appuntamento che arriva in un momento cruciale: il quadro della sicurezza nella regione mediorientale e nordafricana sta cambiando velocemente, e l’Italia è un partner indispensabile per portare cambiamenti positivi ( corsivo mio)…L’Italia è un partner molto stretto su questa vicenda. Ha ospitato almeno un incontro degli Amici della Siria, i segretari Kerry e Panetta sono venuti da voi a parlare in varie occasioni. State dando un contributo importante con l’assistenza umanitaria, lavorando con paesi tipo la Giordania per rafforzare le loro difese, e aiutando a costruire un’opposizione coerente e capace di favorire i cambiamenti che vorremmo vedere in Siria [ corsivo mio] >> (7); 2) la nomina del nuovo ambasciatore USA in Italia, John Phillips e, soprattutto, la presenza della moglie Linda Douglass, ex portavoce della Casa Bianca sulla riforma della Sanità e una delle più quotate strateghe di Barak Obama, i quali aiuteranno il Presidente della Repubblica che garantisce la costituzione italiana fondata sulla sovranità popolare e non sulla servitù volontaria, a mettere ordine tra gli agenti sub-dominati italiani ( i cotonieri di Gianfranco La Grassa) in modo da gestire, senza eccesso di disordine, attraverso le istituzioni, l’asservimento del territorio italiano alla strategia degli agenti dominanti USA, in una fase molto delicata e in continua mutazione, soprattutto, come indica Derek Chollet, nella regione mediorientale e nordafricana (8).

Leggerò i fatti di Taranto secondo lo schema proposto per il conflitto strategico dell’Ilva.

2.Le città NATO. La città di Taranto è diventata una città importante per la strategia USA-NATO. Una città NATO. Gli agenti dominanti USA hanno bisogno della piena disponibilità del porto di Taranto (9), con i suoi Mar Piccolo e Mar Grande, per le loro infrastrutture militari strategiche ( sommergibili nucleari, armi, sistemi di sorveglianza). E’ da un decennio ( il tempo non è da leggere in maniera lineare e deterministico) che stanno lavorando a questa trasformazione che si innerva con quelle trasformazioni messe in atto in altre basi militari USA-NATO ( Napoli, Sigonella, Niscemi, Vicenza) e alla trasformazione del ruolo della NATO (10).

Nel porto di Taranto è localizzata, dalla prima metà degli anni sessanta del secolo scorso, l’Ilva che è evidentemente incompatibile con la strategia della trasformazione delle basi NATO.

Noto una certa analogia, da prendere con cautela e calarla storicamente, con la storia industriale della più grande acciaieria di Napoli, l’Ilva di Bagnoli. Anche qui gli obiettivi erano le esigenze strategiche e territoriali della base NATO della città di Napoli ( quartier generale della NATO, sede di vari comandi di unità di servizi USA, grande centro per le telecomunicazioni del Mediterraneo dell’US Navy che coordina tutta l’attività di comunicazione, comando e controllo del Mediterraneo, eccetera). In quegli anni si svolgevano fatti di importanza mondiale per il nuovo equilibrio che si andava configurando con la caduta del muro di Berlino e con la successiva implosione dell’ex URSS. Si aprivano nuovi scenari per gli USA come possibilità di un unico centro di coordinamento mondiale e un nuovo ruolo della NATO. La chiusura dell’Ilva di Napoli per le esigenze territoriali della base del quartiere generale della NATO non poteva essere detta. Tutto fu velato dietro un fumoso progetto per il risanamento e il rilancio dello sviluppo della città di Napoli che passava attraverso il conflitto tra i settori economici (industriale, edilizio, turistico) : il progetto Fiat-Partecipazioni Statali degli anni ’80, l’idea della NeoNapoli di Paolo Cirino Pomicino, la fase di Tangentopoli, le lotte di blocchi di potere per i finanziamenti della bonifica di Bagnoli, non realizzata ( dal 2003 sono stati presentati ben 6 progetti di bonifica), gli indirizzi per la pianificazione urbanistica ( impianti di eccellenza per il turismo legato al sistema congressuale alberghiero, grande parco pubblico, rete di attività produttive connesse con la ricerca scientifica, eccetera).

L’Ilva di Bagnoli, una impresa in piena salute, fu chiusa e venduta ai cinesi (11).

Un sindaco, Antonio Bassolino, e un urbanista, Vezio De Lucia (i nomi sono l’espressione di gruppi di potere in riferimento agli agenti sub-dominanti), gestirono la fase di velamento culturale e ideologico della grande trasformazione della città di Napoli.

Anche qui occorse un decennio per preparare la trasformazione.

 

3.Il ruolo della magistratura. L’inizio della fine ( che avrà i suoi tempi) dell’Ilva di Taranto è datato dall’azione della magistratura che il 26 luglio 2012 dispone il sequestro preventivo, senza facoltà d’uso, degli impianti dell’area a caldo dell’Ilva. L’azione è intrapresa per tutelare, con mezzo secolo di ritardo, i sacri principi costituzionali di tutela della salute dei lavoratori, della popolazione e del territorio. E’ logico pensare, considerato che la magistratura agisce sull’intero territorio nazionale, che tutti i poli siderurgici e petrolchimici abbiano lo stesso interessamento, se così non fosse rimarrebbe sempre la domanda in sospeso: perché l’Ilva di Taranto?.

Se dovessimo tutelare i suddetti sacri principi costituzionali (12) dovremmo chiudere qualsiasi impresa di produzione di merce, ma a questo punto non saremmo più nella società capitalistica. E non credo che la magistratura pensasse ad un’altra società. Infatti la sua azione sembra quella di difendere i sacri principi costituzionali elevandoli su un edificio sociale costruito con fondamenta di ingiustizie, di sperequazioni, di privilegi, di inganni, di ruberie, di pazzie e di guerre.

Giorgio Nebbia, che è un noto merceologo, ha scritto di recente che <<… la produzione dell’acciaio, come di qualsiasi altra merce, è accompagnata, inevitabilmente [corsivo mio], da scorie, rifiuti e nocività: la natura non dà niente gratis [ lui essendo un merceologo si ferma alla natura e non pensa ai rapporti sociali che determinano la forma, lo sviluppo della produzione e l’uso della natura, mia critica] >> (13). Ha sostenuto un grande medico e scienziato, Giulio Maccacaro, che << …c’è un solo MAC [Massima Concentrazione Accettabile di una sostanza, mia precisazione] accettabile ed è quello zero…>> (14). Nella società a modo di produzione capitalistico non esiste un processo produttivo a MAC zero.

La magistratura sa che non ci sono le risorse finanziare per risanare e bonificare il territorio, ammesso e non concesso che ciò sia possibile!, e per questo dà la caccia al tesoro finanziario della famiglia Riva la quale metterà in campo, visto il potere che le deriva dal condurre un’impresa di livello mondiale ( il gruppo Riva nel 2011 è il primo nel settore in Italia, quarto in Europa e ventitreesimo nel mondo), tutte le sue relazioni economiche, politiche, finanziarie, istituzionali ( la grande impresa non è solo ciclo economico), per contrastare il sequestro delle sue risorse finanziarie.

La storia economica reale dei poli siderurgici e petrolchimici dimostra che c’è la privatizzazione dei benefici e la socializzazione delle perdite ( umane, ambientali e territoriali).

Le risorse finanziarie che la magistratura intende confiscare alla famiglia Riva, tramite la capogruppo Riva Fire (15), sono pari a 8 miliardi e 100 milioni di euro. La somma stabilita equivale, secondo la magistratura, ad << …un indebito vantaggio economico all’Ilva ai danni della popolazione e dell’ambiente >> e sarebbero destinate agli interventi di risanamento e bonifica territoriale. Dalle risorse finanziarie da confiscare sono esclusi i costi per la bonifica di acqua e suolo ai parchi minerali, oltre al profitto necessario per continuare la produzione. E’ evidente che con queste condizioni l’impresa Ilva non è in grado di pianificare il piano industriale 2013-2018. Ed è evidente che il peso per contrattare a livello europeo, in una fase competitiva sempre più agguerrita [ francesi, tedeschi e turchi stanno già beneficiando della crisi dell’ILVA](16), gli aiuti del piano siderurgico predisposto dalla Commissione Europea sarà pari a zero, per non parlare del ruolo, nella sostanza assente, dello Stato italiano. Ricordo che l’Ilva è stata decapitata del gruppo dirigente strategico e tecnico.

A Napoli fu la sfera economica, intrecciata alla sfera ideologica, la teste di ariete per la base NATO, a Taranto è la sfera della magistratura, innervata alla sfera ideologica, ad essere la testa di ariete della NATO.

 

4.Il ruolo del governo. L’Ilva, è utile ricordarlo, è una impresa di livello mondiale, con il più grande impianto siderurgico d’Europa, che produce acciaio, una merce base dell’economia italiana e mondiale. E’ un’impresa strategica per l’economia italiana. Ha una occupazione diretta di circa 12 mila lavoratori, a cui deve aggiungersi un indotto strettamente collegato sul piano verticale che porta l’occupazione diretta a oltre 15 mila unità. A questo dato devono sommarsi 9.200 unità legate all’indotto, per un totale complessivo di occupazione pari a oltre 24 mila occupati (17).

L’intervento del governo si concentra in tre direzioni: a) l’esproprio di una grande impresa (con la beffa del richiamo agli articoli 32, 41 e 43 della Costituzione, mai vista nella storia dell’industria italiana); b) la bonifica dell’ambiente, la tutela della salute e la salvaguardia del territorio; c) l’applicazione dell’ AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale) al processo produttivo dell’Ilva, anticipata e integrata con le migliori tecnologie disponibili da impiegare nel settore della siderurgia a livello europeo per assicurare la protezione dell’ambiente e la protezione della salute così come da decisione della Commissione Europea 2012/135/UE ( la Commissione Europea dà tempo fino 2016 per uniformarsi).

La domanda viene spontanea: perché anticipare di tre anni il recepimento della suddetta decisione della Commissione UE creando uno squilibrio nel mercato della concorrenza tra le imprese del settore siderurgico ( scusate il linguaggio neoclassico)? E il recepimento della suddetta decisione della Commissione Europea nell’AIA non significa non rendere competitiva l’Ilva e avviarla alla chiusura?. E’ questo il modo di difendere un’industria strategica da parte del governo italiano?

Andiamo avanti nel ragionamento.

Tutto questo, ovviamente, avverrà di pari passo con la elaborazione del piano industriale per il rilancio dell’Ilva e del piano ambientale per la tutela del territorio ( città, mare e territorio rurale) e della salute dei lavoratori e della popolazione.

Così ragiona il ministro dello sviluppo economico Flavio Zanonato: << Il costo di un’eventuale chiusura dell’impianto avrebbe conseguenze negative gravi sul piano economico e, comunque, determinerebbe il consolidamento di una situazione che, secondo i magistrati di Taranto, è da considerarsi di disastro ambientale. L’impatto economico negativo è stato valutato attorno ad oltre 8 miliardi di euro annui, imputabili per circa 6 miliardi alla crescita delle importazioni, per 1,2 miliardi al sostegno al reddito ed ai minori introiti per l’amministrazione pubblica e per circa 500 milioni in termini di minore capacità di spesa per il territorio direttamente interessato. In una fase di calo globale del mercato, è evidente che l’eventuale uscita dello stabilimento di Taranto sarebbe guardata con estrema soddisfazione dai maggiori competitor europei e mondiali, che vedrebbero aumentare le proprie prospettive di mercato a tutto danno del sistema produttivo italiano. Anche un’eventuale vendita ad operatori internazionali esporrebbe il nostro Paese al rischio di un forte impoverimento della capacità tecnologica e di innovazione. L’importanza strategica di questo complesso industriale non può, però, far venir meno gli obblighi di tutela ambientale da cui dipende la qualità della vita dei cittadini di Taranto. La crescita economica e la salvaguardia della salute non sono, in particolare in questo caso, due diritti contrapposti e la prima non si può certo perseguire facendo soccombere la seconda [ corsivo mio]. Il Governo, quindi, tende ad adottare tutte le azioni utili a tutelare l’ambiente e la vivibilità della città di Taranto nella consapevolezza che un’interruzione della produzione peggiorerebbe ulteriormente la situazione rendendo impossibile la bonifica dei siti inquinati. La sopravvivenza dello stabilimento è, oggi, dunque, legata alla capacità dell’azienda di mettere in atto gli investimenti necessari a rendere compatibile l’impianto con le norme ambientali e di sicurezza sulla salute dei cittadini  [ corsivo mio]>> (18).

La priorità del governo nella questione Ilva è tutta incentrata sulla questione ambientale, sulla tutela della salute e sul risanamento della città. Basta avere la pazienza di leggere i dibattiti parlamentari, gli atti delle Commissioni Parlamentari (VIII e X), i decreti legge, i disegni di legge di conversione dei decreti, per rendersene conto direttamente. Anche il Vice presidente della Commissione Europea, Antonio Tajani, privilegia l’aspetto ambientale della questione Ilva anche perché nel piano siderurgico dell’Unione Europea, che illustra uno scenario di grande crisi, non c’è spazio per una grande impresa come l’Ilva, tra l’altro impossibilitata ad agire perchè in fase di esproprio temporaneo, e le condizioni di rilancio del settore siderurgico previste nel suddetto piano necessitano di una forte presenza dello Stato che abbia un minimo di strategia di politica economica sovrana e che sappia difendere le sue industrie strategiche e, in una logica di sviluppo economico, sappia ridurre i costi eccessivi dell’energia che <<… pesa fino al 40% sui costi di produzione di un impianto siderurgico, per cui il settore risente fortemente del trend dei costi energetici che, in Europa, sono tra i più alti al mondo >> e rilanciare i due settori di maggior consumo di acciaio (le costruzioni e la produzione di auto) così come fanno la Germania e la Francia (19).

L’Unione Europea sta indagando sull’Ilva di Taranto e vuole sapere dal Governo italiano, dalla regione Puglia e dall’Arpa/Puglia, come si sta combattendo l’inquinamento, come si gestiscono le discariche, i rifiuti e le acque reflue. Chiede inoltre di sapere se sono stati violati il diritto alla vita e il rispetto della vita privata e familiare (articolo 2 e 7 della Carta dei diritti fondamentali della UE) (20).

Il governo italiano sta chiudendo tutte le imprese strategiche appartenenti ai settori innovativi ( inutile fare l’elenco); è in forte crisi anche il tanto lodato e non strategico made in Italy; la Banca d’Italia è preoccupata per la tenuta dell’intero sistema industriale (si vedano gli ultimi bollettini economici della Banca d’Italia). Stiamo in una crisi profonda di portata epocale per la quale l’80% della popolazione non vive bene.

A chi pensate che la UE taglierà la produzione, per ridurre la propria sovraccapacità, che ammonta a 80 milioni e rappresenta oltre 1/3 della produzione complessiva ?

Il governo italiano, mentre chiude le sue imprese strategiche, per assecondare gli agenti strategici americani, con grandi perdite nelle relazioni geopolitiche e geoeconomiche, diventando sempre più un territorio dove << i gabinetti stranieri [sono] a decidere la sorte della nazione >> , decide per decreto (articolo 1 del decreto legge del 3 dicembre 2012 n.207) di trasformare l’Ilva in impresa strategica ed espropriarla per affidarla alla gestione pubblica per il risanamento aziendale e territoriale per poi restituirla ai proprietari. Come se i luoghi pubblici, i luoghi dell’interesse generale, i luoghi delle istituzioni ramificate territorialmente, i luoghi dello Stato, fossero luoghi dove si espleta la politica dell’interesse generale del Paese e non invece, luoghi dove i gruppi strategicamente egemonici ( pre-dominati e sub-dominanti) realizzano i loro indirizzi strategici di dominio (21).

Non solo, ma la difesa ambientale e la salute delle popolazioni, per cui è stata espropriata l’Ilva, è ideologica ( nell’accezione negativa del termine) e strumentale da parte del governo italiano, tant’è che all’articolo 41, comma 1, del decreto legge n.69/2013[ il cosiddetto decreto del fare (sic)], si legge  <<…nei casi in cui le acque di falda contaminate determinano una situazione di rischio sanitario, oltre all’eliminazione della fonte di contaminazione ove possibile ed economicamente sostenibile…>>. E’ ovvio che l’economicamente sostenibile si riferisce alle imprese. E, allora, i tanto decantati articoli 41 e 43 della Costituzione italiana si applicano soltanto all’Ilva? Se interpreto bene il citato articolo, mi ritorna di nuovo la domanda: perché L’Ilva? E i giuslavoristi, i costituzionalisti, i difensori estremi della Costituzione non hanno niente da dire sulla incostituzionalità del citato comma?

Se fosse vivente il grande storico Carlo Maria Cipolla certamente avrebbe aggiornato il suo magnifico saggio ( Allegro ma non troppo) sulle leggi fondamentali della stupidità umana.

5.Il ruolo dei Commissari. Per realizzare questo grande disegno di rilancio dell’Ilva e di risanamento ambientale e territoriale vengono nominati un Commissario Straordinario, nella persona di Enrico Bondi, già amministratore delegato dell’Ilva nominato dalla famiglia Riva, e un sub Commissario all’ambiente nella persona di Edo Ronchi ( un confusionario della generazione “sessantottopersa” nel distorto benessere capitalistico, che ha scambiato una rivoluzione di costume e di consumo per una rivoluzione sociale nell’accezione marxiana e leniniana, esperto di sviluppo sostenibile, stimato dagli ambientalisti e dai radicali di sinistra, in quota nel PD). Entrambi traghetteranno, in un continuo gioco delle parti, se le cose dette hanno un minimo di sensatezza, l’Ilva alla chiusura. Sono gli esecutori, insieme ai loro gruppi di potere, degli ordini degli agenti strategici sub dominanti italiani alla mercè dei desiderata dei predominanti USA via NATO. A ciò è servito l’applicazione del citato artico 1 del D.L. n.207/2012, altro che interesse pubblico o interesse generale o bene del Paese.

Enrico Bondi, con il suo gruppo di potere di riferimento, medierà con la proprietà una chiusura dignitosa dal punto di vista economico-finanziario magari aiutando l’Ilva a de-localizzare nei Balcani.

Edo Ronchi, con il suo gruppo di potere di riferimento, lavorerà ad un grande piano di risanamento dell’ambiente, della città e del territorio rendendo << … gli stabilimenti Ilva un punto di riferimento in Europa, anticipando di tre anni le migliori tecnologie disponibili (Best Available Technologies, BAT) che saranno applicate in ambito europeo a partire dal 2016. Nella consapevolezza di una situazione di assoluta emergenza, il Governo intende tuttavia giungere alla realizzazione dello stabilimento più avanzato in Europa in termini di compatibilità ambientale…>> (22).

La UE, il governo italiano, la regione Puglia e il comune di Taranto sono i luoghi istituzionali dove saranno gestite le risorse finanziarie ( derogando al Patto di stabilità) per il rilancio di uno sviluppo dell’area tarantina nei settori della bonifica ambientale, del risanamento del territorio, della rigenerazione urbana della città, della smart city, del riuso del porto ( l’Autorità Portuale vede con favore la chiusura dell’Ilva per puntare a un riuso del porto e al superamento dell’attuale crisi sul modello di quello di Rotterdam: fare di Taranto, la Rotterdam del Mediterraneo) (23), eccetera, in stretta collaborazione con le strategie di intervento che integrano la dimensione militare e quella civile della NATO.

I sindacati, i partiti convergeranno, per gestire la fase di passaggio dal polo siderurgico al polo NATO, le loro azioni per difendere il lavoro (intanto ci saranno a luglio i primi 2 mila esuberi per crisi di mercato) (24) e la dignità della popolazione con i meccanismi di difesa sociale, ridotti all’osso, del fu stato sociale.

I lavoratori e le lavoratrici si chiederanno, come Vincenzo Buonocore dell’Ilva di Bagnoli, perché l’Ilva è stata chiusa ?

La popolazione di Taranto continuerà a credere che nella società capitalistica è possibile un modo di produzione rispettoso della salute, dell’ambiente e del territorio e dorme tranquilla perché sa che ha come Presidente della Repubblica un garante intransigente della Costituzione italiana.

La sfera ideologica è già al lavoro.

Non è la marxiana storia che si ripete diventando farsa, ma è la lagrassiana storia che torna in maniera diversa.

 

 

*Le citazioni che ho scelto come epigrafe sono tratte da:

 

  • Johann Wolfang Goethe, Faust, a cura di Franco Fortini, Mondadori, Milano, 1970, pag.53;
  • Giacomo Leopardi, Con pieno spargimento di cuore, L’Orma editore, 2012,pp.43-44;
  • Ennio Flaiano, Diario notturno, Adelphi, Milano, 2012, pp. 114 e 165.

 

 

NOTE

 

1.In Italia esistono ufficialmente 120 basi dichiarate, oltre a 20 basi militari USA totalmente segrete e ad un numero variabile ( al momento sono una sessantina) di insediamenti militari o semplicemente residenziali con la presenza di militari USA. Per quanto riguarda le basi segrete, non si sa ovviamente dove siano, né che armi e che mezzi vi si trovino. Cfr Le basi militari Usa e Nato in Italia in www.neoingegneria.com

2.La prima base navale della Marina Militare Italiana è ubicata nel Mar Piccolo. Il Mar Piccolo è un’area militarizzata se consideriamo la presenza dell’Aeronautica Militare con un deposito sotterraneo di rifornimento più grande del Sud- Italia. Oltre ad infrastrutture e servitù militari. Il Mar Grande è lo specchio d’acqua della parte settentrionale del Golfo di Taranto ( con profondità massima di 36 m), compreso tra il continente e le isole Cheradi; comunica con il Mar Piccolo per mezzo di due canali, che isolano il centro storico di Taranto. Il Mar Piccolo è lo specchio d’acqua delle coste pugliesi ( 20 Km2, perimetro 26,5 Km), che comunica con il Golfo per mezzo di due canali stretti, uno naturale, l’altro artificiale e navigabile; è diviso in due bacini dalla penisola di Punta Penna ed è poco profondo (10 m). Numerose sorgenti subacquee (citri) rendono l’acqua meno salata rispetto al mare aperto, creando condizioni favorevoli per la mitilicoltura.

3.Peter Dale Scott, Droga, petrolio e guerra in www.eurasia-rivista.org , luglio 2013.

4.Per approfondimenti si rimanda a Gianfranco La Grassa, Finanza e poteri, Manifestolibri, Roma, 2008; Giovanni Arrighi, Capitalismo e (dis)ordine mondiale, a cura di Giorgio Cesarale e Mario Pianta, Manifestolibri, Roma, 2010; Henry Kissinger, Cina, Mondadori, Milano, 2011.

5.Gianfranco La Grassa, Situazione pericolosa e instabile inwww.conflittiestrategie.it, giugno 2013.

6.Si rimanda al Rapporto del 2009, redatto dall’incaricata d’affari dell’ambasciata USA Elizabeth Dibble per Barak Obama, pubblicato a cura di Giuseppe Germinario in www.conflittiestrategie.it, 2013.

7.Paolo Mastrolilli, L’Italia è decisiva in Siria per costruire l’opposizione, intervista a Derek Chollet, in La Stampa del 22 giugno 2013.

8.Negli USA i diplomatici importanti, come Thomas Pickering ambasciatore in Russia, India, Israele, hanno criticato Barak Obama perché ha affidato le migliori ambasciate agli uomini che hanno abbondantemente finanziato la sua campagna elettorale. Beh, che si aspettavano? Fa parte del gioco della lotta tra agenti dominanti con orientamenti e strategie diverse. Ma il problema non è solo semplicemente utilitaristico, Barak Obama sta mettendo uomini e donne fidati e “capaci” nelle nazioni importanti per la sua strategia. L’Italia è una nazione-territorio importante. Per la cronaca John Phillips e Linda Douglass sono proprietari del borgo Finocchieto vicino a Buonconvento in provincia di Siena (Toscana). Hanno deciso di gestire direttamente il proprio giardino perché non si fidano dei giardinieri italiani. Sta finendo anche il nostro made in Italy di nazione-giardino più bella del mondo!

9.Lo smantellamento, nel breve-medio periodo, della storica impresa dell’Arsenale della Marina Militare Italiana, con perdita di 1.200 posti di lavoro, il trasferimento del 70% dei traffici al porto Pireo (Atene) dei due giganti asiatici del trasporto marittimo, la taiwanese Evergreen Maritime Corporation e la cinese Hutchison Whampoa che controllano al 90% la società terminalistica dello scalo pugliese ( la Taranto Container Terminal), rientra nella logica della piena disponibilità del porto di Taranto alla Nato. Infatti nella strategia Usa-Nato è prevista la messa in comune di spazi e infrastrutture militari e civili localizzati per aree europee per superare le difficoltà connesse a) alle installazioni militari, b) al controllo del territorio, c) alla contribuzione finanziaria dei paesi Nato, d) al coordinamento delle politiche di difesa, e) alla prevenzione dei conflitti, f) al sostegno della ricostruzione post-conflitto delle aree di intervento, g) alle strategie di integrazione della ricostruzione economica e istituzionale, h) alla militarizzazione delle grandi città.

10.Sulla trasformazione del ruolo della Nato mi permetto di rinviare al mio scritto “Tav, corridoio V, Nato e Usa. Dalla critica dell’economia politica al conflitto strategico” in www.conflittiestrategie.it, 2012.

11.L’Ilva di Bagnoli contava a partire dal 1973 più di 7698 posti di lavoro. Fu chiusa nel 1991. Si veda il romanzo industriale di Ermanno Rea, La dismissione, Rizzoli, Milano, 2002; per una ricostruzione della mancata bonifica dell’area dell’Ilva si rimanda a Dario Del Porto, Napoli, sequestrata area ex Italsider. La procura: disastro ambientale in www.napoli.repubblica.it, 11 aprile 2013; Redazione, Colpo di genio su Bagnoli: la bonifica è in ritardo? Riduciamo il perimetro! in www.lanottata.it, 2013.

12.Il convegno organizzato dalla Facoltà di Giurisprudenza di Taranto, il 14 giugno 2013, su << Sviluppo economico e tutela dell’ambiente nel rispetto dei diritti contrapposti. Il caso Ilva a Taranto >>, è stato tutto un appiattimento sui principi vuoti della tutela della salute, dell’inquinamento, sui limiti dell’utilità sociale delle imprese, eccetera, principi sanciti dagli artt. 32, 41 e 43 della Costituzione italiana. Cfr L’intervento della giuslavorista Angelica Riccardi, docente di Diritto del lavoro dell’Università degli Studi di Bari in www.peacelink.it, giugno 2013.

  1. Giorgio Nebbia, L’acciaieria non è un salotto in www.ecologiapolitica.org., luglio 2013.

14.Giulio Maccacaro, Per una medicina da rinnovare, scritti 1966-1976, Feltrinelli, Milano, pag. 314; Lorenzo Tomatis, Riflessioni su Giulio Maccacaro e i rischi attribuiti ad agenti chimici in << Epidemiologia & Salute >>, luglio-ottobre 2004.

15.La Riva Fire ( acronimo di Finanziaria Industriale Riva Emilio), che ha sede a Milano, ha come principali società: Riva acciaio SpA, che controlla anche le principali consociate estere, che raggruppa le attività nell’acciaio da forno elettrico (produzione di semiprodotti e prodotti lunghi) e nel recupero del rottame di ferro; Ilva SpA, che produce acciaio da ciclo integrale ( prodotti piani).

16.Commissione Europea, Piano d’azione per una siderurgia europea competitiva e sostenibile in www.europa,eu , giugno 2013; Antonio Tajani, Piano d’azione Acciaio, conferenza stampa, Strasburgo, giugno 2013 in www.europa.eu.

17.I dati occupazionali sono di fonte governativa. Essi si trovano nella introduzione al disegno di legge di conversione del decreto legge n.61/2013, camera dei deputati, atti parlamentari in www.camera.it . Sul sito web della camera è possibile leggere tutto il dibattito parlamentare, il lavoro delle Commissioni, i decreti leggi e l’ultimo disegno di legge approvato alla Camera e mandato al Senato per l’approvazione definitiva ( si suppone).

  1. Intervento del Ministro dello sviluppo economico alla Camera dei deputati del 4 giugno 2013, seduta n.28, in www.camera.it .
  2. 19. Antonio Tajani, Piano d’azione Acciaio, op.cit.

20.Mimmo Mazza, “ Violato diritto alla vita”, l’Europa indaga sull’Ilva in << La Gazzetta del Mezzogiorno >> del 17 luglio 2013.

21.Per un approfondimento si rinvia a Gianfranco La Grassa, L’altra strada. Per uscire dall’impasse teorico, Mimesis edizioni, Milano-Udine, 2012; Idem, Un pot-pourri, che spero interessi in www.conflittiestrategie.it , maggio 2013; Idem, Quali prospettive ( al momento pessime?) in www.conflittiestrategie.it , luglio 2013.

 

  1. Intervento del Sottosegretario allo sviluppo economico alle Commissioni riunite ( VIII, ambiente, territorio e lavori pubblici e X, attività produttive, commercio e turismo), 11 giugno 2013, in www.camera.it .
  2. 23. Per un’idea della gravità della crisi del Porto di Taranto riporto quanto dichiarato in sede di << Accordo per lo sviluppo dei traffici containerizzati nel porto di Taranto e il superamento dello stato d’emergenza socio-economico ambientale >> presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti << La nuova grande portualità commerciale del Mezzogiorno d’Italia è nata in tempi relativamente recenti fondandosi su due HUB: Gioia Tauro e Taranto. Nell’ultimo quinquennio il Mediterraneo è diventato un mare ad alta competitività a causa di ulteriori offerte di servizi portuali di transshipment, prima inesistenti: da Porto Said a Tangeri, sulla sponda Africana; dal Pireo ad Algesiras, nel Sud Europa. A causa della concorrenza di tali porti, dei ritardi infrastrutturali ed al lungo periodo di crisi internazionale tutt’ora in corso, il porto di Taranto sta vivendo un periodo di forte crisi con conseguenze estremamente negative che potrebbero ulteriormente aggravarsi in assenza di azioni che consentano una rapida realizzazione delle esistenti progettualità. Per questi motivi, gli eventi degli ultimi anni hanno generato aggravi economici agli operatori, oltre al gravissimo danno d’immagine del porto verso il mercato internazionale >>. Il suddetto Accordo è pubblicato sul BURP n.100 del 10 luglio 2012 della regione Puglia ( regione.puglia.it ); Ferruccio Pinotti, Taranto dal porto arriva la speranza in << il Corriere della Sera >> del 30 agosto 2012.

24.Domenico Palmiotti, Ilva Taranto l’alto forno 2 e l’acciaieria 1: 2 mila a casa da luglio in << Il Sole 24 Ore >> del 12 giugno 2013.

 

 

 

 

IL CONTRATTO DI GOVERNO, di Giuseppe Germinario

altri articoli sull’argomento:

http://italiaeilmondo.com/2018/05/24/dalla-mia-palla-di-cristallo-governo-lega-5-eccetera-che-accadra-di-roberto-buffagni/

IL GUARDIANO DELLA (AUGURABILMENTE DEFUNTA) COSTITUZIONE REALE, di Massimo Morigi

 

In due settimane il cerchio di fuoco tracciato dal Presidente della Repubblica, iniziato con il suo discorso alla Badia di Fiesole si chiude al momento con l’incarico di governo. Al centro le fiere impegnate al grande salto: il duo Salvini-Di Maio con il contratto di governo appena firmato, il PD in piena fibrillazione, il riabilitato Berlusconi.

IL DOMATORE

Il domatore Mattarella ha iniziato a sollevare la barriera utilizzando la strumentazione che conosce da tempo, appresa tale e quale dai suoi padri. L’ha esibita come un automa a Fiesole, con una retorica senza pathos. http://www.quirinale.it/elementi/Continua.aspx?tipo=Video&key=2751&vKey=2475&fVideo=7

  • Ha rievocato le gesta intrepide e gli ideali dei padri fondatori della Unione Europea, omettendo la loro condizione di grave sudditanza politica rispetto al vincitore di campo dell’ultimo conflitto mondiale.
  • Ha rintuzzato le critiche sulla natura oligarchica, burocratica, autoritaria dei centri di potere comunitari sottolineando che le decisioni erano prese democraticamente dai capi di governi europei in concerto tra loro. Ha smontato così almeno parzialmente le ragioni e il bersaglio di una critica ricorrente, prestando però il fianco a due argomenti ancora più dirimenti e ostici da contestare, specie per bocca di un uomo di legge. Intanto le decisioni comunitarie, in quanto frutto di trattative tra capi di governo, non possono avere natura democratica ma sono il frutto di decisioni diplomatiche. Democratica può essere tutt’al più l’elezione dei vari capi di governo. È il riconoscimento implicito che la UE è un consesso frutto di trattati tra stati nazionali piuttosto che una istituzione sovrana. È una affermazione che sposta quindi l’attenzione sull’aspetto cruciale e dolente, ma regolarmente eluso, delle vicende comunitarie viste da un punto di vista nazionale: l’esistenza di una classe dirigente nazionale nella quasi totalità progressivamente senza ambizione di autonomia decisionale, senza capacità operativa e con una smaccata propensione alla sudditanza esterofila.
  • Prosegue ostinatamente nel rappresentare l’attuale processo comunitario come ineludibile nelle forme e nei tempi secondo l’impostazione funzionalista di Monnet. Con questo rimuove le diverse opzioni e punti di vista nelle relazioni tra stati europei presenti sin dall’immediato dopoguerra e che hanno attraversato il processo di costruzione comunitario; soprattutto, di fronte alle crepe sempre più evidenti nella costruzione, rischia di lasciare il paese ancora una volta spiazzato e in balia di scelte altrui

Mattarella merita per altro un filo di comprensione umana. L’arena era stata predisposta per un duetto Renzi-Berlusconi con eventuali altre comparse. La seconda opzione, scaturita dall’esito elettorale imprevisto nelle dimensioni, prevedeva di assecondare le pulsioni europeiste più conformiste presenti nel M5S con un accordo con il PD. Un tentativo reso vano dalla presa ferrea di Renzi su un partito smarrito e dalla sua convinzione di poter sgominare rapidamente i pentastellati stando alla finestra e giocando sulle leve di cui dispone e dalle quali è mosso. Non gli resta che tentare di porre un argine, forzando le proprie stesse prerogative e provare ad incanalarlo sulla retta via sia pure a costo di qualche pesante concessione redistributiva. Della perla rilasciata riguardante il varo di un “Governo Neutrale” non serve dilungarsi. Da pensionato Mattarella dovrà spiegare il nesso profondo tra il concetto di neutralità e quello di politico; una impresa particolarmente ardua anche per il più fervido sostenitore del governo mondiale e dell’ecumenismo. È l’espressione di una classe dirigente dimessa, smarrita e senza argomenti in grado di raccogliere un blocco sociale coeso e un popolo.

LE FIERE AL CENTRO DELL’ARENA

A giudicare dalle enunciazioni di principio del “contratto di governo” sottoscritto da Salvini e Di Maio, Mattarella sembra riuscire nella terza opzione. https://www.quotidiano.net/polopoly_fs/1.3919629.1526651257!/menu/standard/file/contratto_governo.pdf Le modifiche apportate in corso d’opera nelle tre edizioni del documento lasciano intuire l’enormità delle pressioni subite dalla coppia di governo. Il giuramento di fedeltà alla NATO, la rivendicazione del rispetto integrale del Trattato di Maastricht e di Lisbona sarebbero lì a certificare la ortodossa professione di fede dei neofiti, la pesantezza e la compromissione delle cambiali firmate da Di Maio nel suo giro preelettorale in Europa e negli Stati Uniti in cerca di investiture e la spavalda remissività di Salvini.

I più navigati, però, sanno che tanto più vige l’ostentazione pubblica delle virtù quanto più occorre indagare sui vizi privati dei paladini.

E in effetti i termini sui quali si dovranno condurre le future trattative in ambito comunitario, annunciate nel documento, se portati avanti con coerenza e determinazione, lasciano presagire una lacerazione piuttosto che una solida ricomposizione della costruzione europea. La riduzione dei surplus commerciali, il riconoscimento del carattere sociale del legame europeo, lo sfondamento dei tetti di spesa, le garanzie comunitarie su crediti e debiti sono tutti cunei in grado di scardinare l’attuale costruzione alemanno-statunitense del continente.

Gli elementi che evidenziano i limiti del documento e quindi delle forze politiche che lo esprimono si annidano prosaicamente in altre parti del testo. Sono limiti che rivelano l’impostazione culturale e strategica dei due gruppi dirigenti, soprattutto quello del M5S, molto più difficile da correggere.

Li si scova tra vari punti particolari del documento:

  • Nell’auspicio dello sviluppo delle politiche regionali europee senza la mediazione, il controllo e l’indirizzo degli stati nazionali. Politiche che, perseguite con coerenza, hanno condotto scientemente all’indebolimento di alcuni stati nazionali, meno di quelli dell’Europa Orientale, dove il decentramento amministrativo è più che altro nominale, soprattutto di Spagna e in particolar modo di Italia, le vere prede designate nel gioco europeo
  • Nella richiesta generica di investimenti pubblici europei le cui modalità e regole di utilizzo sono attualmente in realtà propedeutiche alle politiche di squilibrio e di dipendenza piuttosto che di sviluppo autoctono
  • Nella affermazione di una fantomatica identità europea tale da legittimare l’efficacia unitaria delle istituzioni rappresentative europee eventualmente da potenziare a scapito degli organi non elettivi. Una impostazione che rischia di celare sotto il mantello europeista una diversa modalità del confronto fra nazioni traslato nelle sedi rappresentative piuttosto che negli apparati.

Ma anche in alcune sue impostazioni di fondo, quindi:

  • Nell’enfasi retorica, pressoché univoca, attribuita alle magnifiche sorti e progressive dell’economia circolare e delle tecnologie verdi e alle capacità di sviluppo della piccola impresa. Non è un caso che il ruolo della grande impresa e della grande industria sia del tutto disconosciuto e quello dell’introduzione e soprattutto del controllo delle nuove tecnologie omesso. È l’indizio che si tratta di un gruppo dirigente attento alla complementarietà e alla diffusione di un sistema economico-sociale, sensibile quindi più al consenso elettoralistico, piuttosto che alla creazione di sistema di potenza indispensabile e necessario a sostenere il confronto geopolitico e garantire la coesione e il progresso sociale. Le righe riservate all’ILVA e alle grandi opere pubbliche sono forse la spia più inquietante di questa debolezza. La chiusura dello stabilimento di Taranto rappresenterebbe un colpo mortale all’industria di base necessaria alla riconversione industriale del paese e alla fornitura dei mezzi necessari all’esercizio della propria sovranità. Senza dimenticare che come la chiusura di Bagnoli ha consentito il potenziamento del comando della VI flotta americana a Napoli, la chiusura dell’ILVA a Taranto consentirà il potenziamento del porto militare e della logistica NATO e americana in tutta la Puglia. Una scelta economica, quindi, dalle profonde implicazioni geopolitiche http://italiaeilmondo.com/2018/05/22/taranto-da-polo-siderurgico-a-polo-strategico-della-nato-di-luigi-longo/  .
  • Nella frettolosità con la quale viene liquidato il tema della riorganizzazione istituzionale e burocratica dello Stato. Le indicazioni più concrete di risolvono nella normativa sui referendum, nella istituzione del ministero del turismo e soprattutto nella devoluzione controllata di competenze alle regioni, su loro richiesta. Proposte che se non sostenute da un chiara ed efficace definizione delle competenze dello Stato Centrale sia nei confronti delle amministrazioni locali che dell’Unione Europea rischiano di alimentare la frammentazione e la sovrapposizione di competenze. Una condizione di per sé precaria e fluttuante, ma estremamente pericoloso nel caso in cui, come ultima risorsa, il vecchio establishment nazionale e soprattutto internazionale decida di utilizzare la carta della frammentazione politica del paese. Il revival dei fasti borbonici del re Nasone periodicamente in auge nel Regno delle Due Sicilie, il controllo territoriale delle varie mafie e il basso rango dei centri di potere regionali potrebbero trovare un terreno favorevole di coltura nell’enfasi della democrazia dal basso e di prossimità, nel regionalismo e nella retorica “dell’Italia dei Popoli”, cavalli di battaglia delle due formazioni politiche contraenti

I COMPRIMARI NELL’ARENA

Il PD e Forza Italia sono i due responsabili del naufragio delle aspettative di continuità degli indirizzi politici. Lo spettacolo offerto dall’Assemblea Nazionale del PD di sabato 19 vale da solo a spiegare lo stato di fibrillazione. Un consesso composto da un migliaio di rappresentanti, tenuto da circa settecento partecipanti, con un ordine del giorno modificato al momento, un esodo a metà svolgimento di oltre la metà dei partecipanti ed una conferma a termine del neosegretario Martina con una maggioranza assoluta di duecentottanta persone. Una sinistra, in sostanza, fautrice di un fantomatico nuovo centrosinistra, indisponibile almeno per il momento ad un governo di salvezza nazionale, detentrice di un controllo approssimativo delle redini del partito, la quale fronteggia un Renzi sornione, detentore delle redini parlamentari e del consenso maggioritario di una formazione del tutto trasformata in questi ultimi quattro anni, pronto a riesumare una politica di collaborazione e fagogitazione di parte dei prossimi resti di Forza Italia.

Quanto a Berlusconi, la sua riesumazione e riabilitazione, appare la mossa disperata di una élite ormai incapace di offrire strategie e alternative valide, neppure di breve termine come in Francia. L’estromissione dei francesi da Tim-Telecom e il contestuale sodalizio sottoscritto con Mediaset e la sua produzione mediatica, rappresentano il parziale obolo necessario a rinvigorire l’azione dell’ex cavaliere. Un simulacro che però per il bene del paese dovrebbe ormai essere al più presto accantonato.

IL CONTESTO e LE CONDIZIONI

La sola analisi del documento del “contratto” può indurre però a conclusioni fuorvianti. Alla pubblicità e solennità del testo corrispondono regolarmente strategie e tattiche condotte nella maniera più riservata in un contesto che porta a modificare se non addirittura a stravolgere i programmi e le aspirazioni.

La creazione delle condizioni interne certificheranno la capacità e la serietà delle aspirazioni delle nuove élites in via di formazione.

Il ripristino del controllo della gestione del risparmio nazionale, riportare in casa propria il controllo del debito pubblico, l’istituzione di un sistema finanziario e bancario in grado di garantire lo sviluppo e la ricostruzione industriale, l’interruzione dei processi di integrazione militare e politica ed il ripristino delle condizioni di fedeltà all’interesse nazionale dell’azione delle leve di potere politico e burocratico saranno la cartina di tornasole della serietà delle intenzioni e delle capacità operative.

Altrettanta importanza avranno le condizioni esterne. Il processo di costruzione europea attuale vive una condizione di stallo che prelude ad una crisi sempre più conclamata. La formazione di più sfere di influenza per il momento tutte sotto controllo americano e la frammentazione politica ormai predominante anche nei principali paesi europei non fa che accentuare questo processo e ne è parte integrante.

Il bilateralismo imposto dall’avvento di Trump alla Casa Bianca sta registrando i primi significativi successi con la Cina, la Corea e potrebbe incoraggiare a spingere ulteriormente the Donald a perseguire tali modalità anche in Europa. A quel punto lo scotto da pagare per la Germania, in cambio della permanenza del proprio ruolo in Europa, potrebbe essere particolarmente pesante e compromettere la coesione sociale interna e la solidità del suo cerchio di alleanze più solido ed esclusivo in Europa Centro-Orientale. Tutte condizioni che potrebbero agevolare l’azione della nuova coppia in auge soprattutto in presenza di vecchie élites europee attardate a considerare l’avvento di Trump ancora un semplice incidente. Qualche contatto è stato avviato, ma non si conoscono ancora gli esiti.

Molto diranno le personalità selezionate per costituire il nuovo governo, la loro storia e soprattutto la forza e la determinazione dei loro propositi.

Su questo, il gruppo in formazione, almeno quella parte più sensibile ad un recupero delle prerogative dello stato nazionale, più che essere consapevole delle necessità ed implicazioni appare destinato a scoprire al momento le necessità e a sbattere duramente con la realtà. In tal modo il tempo per trarne lezioni sufficienti è risicato; come in ogni conflitto dall’esito apparentemente improbabile.

Si vedrà già dai prossimi giorni. In quel documento l’impegno insolito ad una condotta controllata del confronto politico tra le due formazioni prelude evidentemente ad altri obbiettivi di più lunga scadenza. Quel che appare certo è che assisteremo ad uno sconvolgimento del quadro politico e a un chiarimento delle varie opzioni. Tutti varchi necessari alla costruzione di un movimento politico più attrezzato alle necessità. L’onda ha iniziato a formarsi. Si vedrà l’energia che riuscirà ad accumulare e la forza con la quale andrà a frangersi

OLTRE SESSANTA E LI DIMOSTRA, di Teodoro Klitsche de la Grange

SESSANTA E LI DIMOSTRA

  1. Il 14 agosto 1941 ad Argentia nella baia di Placentia (Terranova) si incontravano il premier Winston S. Churchill e il presidente Franklin D. Roosevelt. Al termine dei lavori ritennero opportuno render noti taluni principi comuni della politica dei rispettivi Paesi, sui quali essi fondavano le loro speranze per un “più felice avvenire del mondo”. In particolare il terzo principio era il seguente “Essi rispettano il diritto di tutti i popoli a scegliersi la forma di governo sotto la quale intendono vivere; e desiderano vedere restituiti i diritti sovrani di autogoverno a coloro che ne sono stati privati con la forza”.

Tale dichiarazione è evidentemente rispettosa dell’autodeterminazione e della sovranità dei popoli: si riconosce il diritto a scegliersi la forma di governo; si auspica che tale diritto possa esercitarsi anche da coloro cui è stato sottratto con la forza.

Il tono muta decisamente con le dichiarazioni della conferenza di Yalta, nel febbraio 1945, pochi mesi prima della fine della guerra mondiale, quando buona parte dell’Europa già occupata dalla Germania era già stata liberata dagli alleati. Nella Dichiarazione sull’Europa liberata, (uno degli accordi raggiunti a Yalta) infatti si può leggere: “Il Premier dell’URSS, il Primo Ministro del Regno Unito e il Presidente degli Stati Uniti d’America si sono tra loro consultati nel comune interesse dei popoli dei propri rispettivi Paesi e di quelli delle Nazioni dell’Europa liberata. Durante il temporaneo periodo di instabilità che attraverserà l’Europa liberata essi dichiarano di aver congiuntamente deciso di uniformare le politiche dei loro tre Governi al fine di dare assistenza ai popoli liberati dalla dominazione della Germania Nazista e ai popoli degli stati satellite dell’Asse Europeo al fine di risolvere con strumenti democratici i loro pressanti problemi politici ed economici.

Il ristabilimento dell’ordine in Europa e la ricostruzione della vita economica nazionale dovranno essere raggiunti attraverso processi che permettano ai popoli liberati di distruggere ogni traccia di Nazismo e Fascismo e di creare proprie istituzioni democratiche. Questo principio contenuto nella Carta Atlantica, sancisce il diritto di tutti i popoli di scegliere liberamente la forma di governo che desiderano e riafferma la necessità di ripristinare il diritto alla sovranità per quelli che ne sono stati privati con la forza.

Per creare le condizioni nelle quali i popoli liberati possano esercitare questi diritti, i tre Governi, qualora fosse necessario, offriranno assistenza per:… Istituire delle autorità di governo provvisorie largamente rappresentative di tutti i settori democratici della società civile che si impegnino nel più breve tempo possibile e attraverso libere elezioni, a costituire dei Governi che siano espressione della volontà popolare;

Nel momento in cui, secondo l’opinione congiunta dei tre Governi, le condizioni di uno degli Stati Europei liberati o di quelli satelliti dell’Asse Europeo imponessero di intervenire, i suddetti tre Governi si consulteranno immediatamente tra loro per stabilire le misure necessarie da adottare e adempiere così agli obblighi previsti da questa dichiarazione.

Con tale dichiarazione intendiamo riaffermare la nostra fiducia nei principi contenuti nella Carta Atlantica, il nostro impegno a rispettare quanto stabilito nella Dichiarazione delle Nazioni Unite e la nostra determinazione a costruire in collaborazione con le Nazioni amanti della pace, un mondo in cui siano garantite legalità, sicurezza, libertà e benessere”; seguono le disposizioni per lo smembramento della Germania, sui risarcimenti, sui criminali di guerra, su alcuni Stati europei e sul Giappone. Di particolare interesse è una delle disposizioni relativa alle future elezioni in Polonia “Il Governo Provvisorio di Unità Nazionale dovrà impegnarsi ad indire al più presto libere elezioni a suffragio universale e a scrutinio segreto. Per tali elezioni tutti i Partiti democratici e anti-Nazisti avranno diritto a presentare liste di propri candidati”.

  1. Il significato di tale Dichiarazione, in cui si sottolinea la continuità rispetto alla Carta Atlantica, è in effetti assai differente e, in molti punti, opposto a quella[1].

In primo luogo, e seguendo l’ordine della Dichiarazione, i (prossimi) vincitori si presentano come curatori-interpreti dell’interesse dei popoli dell’Europa liberata. Nella realtà politica – e del rapporto politico – chi cura un interesse altrui è il protettore del tutelato e, per il “rapporto hobbesiano”, ha diritto all’obbedienza. Una enunciazione apparentemente “neutra” e benevola sottende ed esprime una realtà inquietante. Che si rivela già nel periodo successivo dove ai popoli europei si promette assistenza per risolvere con “strumenti democratici” i loro problemi: il che significa negarla a chi ne persegue la soluzione con strumenti – a giudizio delle potenze vincitrici – non democratici. Rafforzato ulteriormente nel passo seguente dove si delineano i caratteri e funzioni del “nuovo ordine”: distruggere il Nazismo e creare istituzioni democratiche. Il che è palesemente  in contrasto con quanto segue, che richiama la Carta Atlantica nel diritto dei popoli a scegliere liberamente la forma di governo “che desiderano” e ripristinare “il diritto alla sovranità”. Ma è chiaro che l’uno e l’altro diritto (che sono poi lo stesso, enunciato sotto diverse angolazioni, come scriveva tra i tanti Orlando) ha un senso solo se assoluto  e illimitato: a farne qualcosa di relativo, e limitato, lo si distrugge[2]. Per cui è chiaro che la “sovranità” limitata non è un’invenzione di Breznev all’epoca dell’invasione della Cecoslovacchia, ma aveva un autorevole precedente (e supporto) in questa dichiarazione, dove la libertà di darsi un ordinamento era limitata nei confini disegnati (e imposti) dalle potenze vincitrici.

Le quali si riservavano un diritto d’intervento, ovviamente generico, e illimitato nei presupposti e nel contenuto dei provvedimenti (le misure necessarie); diritto presentato come adempimento “degli obblighi previsti da  questa dichiarazione”: cioè un obbligo a carico di chi l’aveva costituito (un’auto-obbligazione). In realtà quella disposizione delinea la competenza a decidere dello “stato d’eccezione” all’interno degli Stati, ed è così un’attribuzione di sovranità alle potenze vincitrici. Peraltro la dichiarazione sulla Polonia, a meglio chiarire il concetto, prescrive subito che i partiti non democratici e non antinazisti non hanno diritto a presentare liste di candidati. Con queste premesse in pochi anni l’Europa (e non solo) fu tutto un fiorire di costituzioni: Italia (1948), Cecoslovacchia (1948), Bulgaria, (1947) Polonia (1952), Iugoslavia (1946), Albania (1946), Germania occidentale (1949), (e così via).

Anche la non sconfitta Francia sentì la necessità di darsene una, per la verità per motivi più “interni” che per le pressioni dei (veri) vincitori. Questa fioritura costituzionale, ovviamente, aveva meno a che fare con i principi ideali che connotano il potere costituente – in primis di costituire l’espressione della volontà della nazione – che con la necessità di adeguarsi ai nuovi rapporti di forza internazionali (più che interni).

Così capitò, che mentre le nazioni liberate dagli anglosassoni si dettero costituzioni – nella varietà istituzionale – tutte riconducibili ai “tipi” dello Stato borghese e connotate da sistemi pluripartitici, quelle al di là della cortina di ferro, si dettero carte da “socialismo   reale” e sistemi partitici fondati sull’egemonia del partito comunista. Cioè istituzioni, che lassallianamente, riproducevano il colore delle divise degli occupanti. Qualcuno, affezionato all’idea che a far le costituzioni siano (o debbano essere) i giuristi (i quali hanno la più circoscritta funzione di tradurre in regole quei rapporti di forza), ne sottolinea la diversità e varietà delle norme relative. Ma è un’obiezione che conferma la fecondità della distinzione schmittiana tra Costituzione e leggi costituzionali: la prima comprende le decisioni fondamentali e non può non esserci, perché altrimenti lo Stato non esisterebbe e/o non avrebbe capacità di agire (il che è come non esistere); mentre le altre sono per così dire, anche se importanti, accidentali: possono non esserci, o essere le più diverse. Ciò perché, come spiegava Lassalle non sono quella “forza attiva decisiva, tale da incidere su tutte le leggi che vengono emanate … in modo che esse in una certa misura diventano necessariamente così come sono e non diversamente”.

La variabilità di queste e l’invarianza e la “costanza” di quella sono conseguenze del diverso carattere. L’una che attiene alla sostanza e all’essenza del “politico”: comando, obbedienza, pubblico, privato, amico, nemico, in quanto presupposti fondamentali dell’esistenza e dell’organizzazione politica. Le altre, le regole, più o meno importanti ma comunque poco o punto incidenti sul “politico”.

  1. Quando si afferma che la Costituzione italiana è nata dalla Resistenza, si fa un’affermazione vera in astratto, ma errata in concreto.

Che sia vera in astratto lo prova la storia: quasi tutte le “nuove” costituzioni nascono da una crisi, per lo più bellica o in rapporto con una guerra. Non è vero che ogni guerra comporta una nuova costituzione; ma è vero l’inverso che (quasi) ogni costituzione nuova è il risultato e la conseguenza di una guerra.

Quando poi la guerra è civile la percentuale di “innovazione” costituzionale è quasi pari alla totalità. E quindi la resistenza, come qualsiasi guerra civile, avrebbe prodotto la nuova costituzione. Tuttavia, è errato pensare che la causa determinante della Costituzione vigente sia stata la resistenza. Perché in definitiva, vale sempre la tesi di Lassalle, il quale  afferma con dovizia di argomenti che gli “effettivi rapporti di potere che sussistono in ogni società sono quella forza effettivamente in vigore che determina tutte le leggi e le istituzioni giuridiche di questa società, cosicchè queste ultime essenzialmente non possono essere diverse da come sono”. “Questi effettivi rapporti di forza li si butta su un foglio di carta, si dà loro un’espressione scritta e, se ora sono stati buttati giù, essi non solo sono rapporti di forza effettivi, ma sono anche diventati, ora, diritto, istituzioni giuridiche, e chi vi oppone resistenza viene punito!”[3] .

E in realtà nel ’45 l’Italia era stata liberata ed era occupata da quasi un milione di armatissimi soldati americani e inglesi (e alleati); di fronte ai quali il potere delle Forze armate nazionali e di qualche decina di migliaia di partigiani era ben piccola cosa. Vale a proposito, occorre ripeterlo, il detto di Lassalle “un re cui l’esercito obbedisce e i cannoni – questo è un pezzo di costituzione”; e anche di potere costituente.

Per cui il fatto che le potenze vincitrici si fossero riservate di intervenire e che tutti quei soldati fossero delle Potenze anglosassoni significava non solo che il potere costituente sarebbe stato esercitato, ma che lo sarebbe stato in un certo senso. Cosa che fu colta, tra gli altri, da un politico realista e acuto come Togliatti: chi non lo capì fece la fine della Grecia, dilaniata da una seconda guerra civile, in cui, ovviamente, la fazione monarchico-legittimista vittoriosa era appoggiata dagli Anglosassoni.

  1. Fino alla fine del secolo XVIII ci si limitava a chiudere la guerra con un trattato che “registrasse” i nuovi rapporti di forza lasciando inalterato l’ordinamento del vinto; dopo la rivoluzione francese è invalso spesso d’imporre al vinto anche l’ordinamento. E con ciò di cambiare la propria costituzione con una nuova, frutto d’imposizione del vincitore. Già così s’esprimeva la mozione La Revellièrè-Lepeaux votata dalla Convenzione nel dicembre 1792, e con la quale s’iniziava, anche teoricamente e programmaticamente, la guerra civile internazionale, che vedeva contrapposti più che Stati contro Stati, borghesi contro aristocratici, giacobini contro cattolici, chaumiéres contro chateaux. Il cui esito comportava la rifondazione dell’ordine concreto del vinto con sostituzione dei governanti, delle istituzioni, delle norme con i modelli imposti dal vincitore. E di cui furono applicazioni le “repubbliche-sorelle” tra cui la nostra cisalpina (e le effimere romana e napoletana). Tale prassi, per la verità contenuta nel periodo post-napoleonico, ha ripreso vigore nel secolo scorso. In modo appena cennato dopo la prima guerra mondiale; del tutto apertamente a conclusione della seconda quando l’esercizio del potere costituente delle nazioni europee liberate e/o sconfitte fu, per così dire, sollecitato dai vincitori. In precedenza la prassi era l’inverso. Un giurista come Vattel nel Droit de gens (1758) già scriveva che “La nazione è nel pieno diritto di formare da se la propria costituzione, di mantenerla, di perfezionarla, e di regolare secondo la propria volontà tutto ciò che concerne il governo”. Questo era in linea con il pensiero pre-rivoluzionario, e, agli esordi, anche di quello rivoluzionario. Per Rousseau la costituzione è il prodotto della volontà della nazione. Polemizzando con le tesi dei privilegiati Sieyès partiva dall’affermazione “La nazione esiste prima di tutto, è all’origine di tutto. La sua volontà è sempre legale: è la legge stessa”: premesso ciò era impossibile che fosse legata da disposizioni preesistenti, anche se costituzionali “Una nazione è indipendente da qualsiasi forma ed è sufficiente che la sua volontà appaia, perché ogni diritto positivo cessi davanti ad essa come davanti alla sorgente e al signore supremo di ogni diritto positivo”. Nella Costituzione giacobina (quella mai applicata, perché chiusa nell’arca di legno di cedro in attesa della fine della guerra) il principio era inserito nella dichiarazione dei diritti: l’art. 28 proclamava solennemente che “un popolo ha sempre il diritto di rivedere, di riformare e di cambiare la propria Costituzione. Una generazione non può assoggettare alle sue leggi le generazioni future” ma la prassi delle conquiste rivoluzionarie e poi napoleoniche era l’inverso: gli Stati-satelliti si davano degli ordinamenti ricalcati su quello francese. Ciò che era ovvio per la Nazione francese, non lo era per le altre. Kant, nel trattare del nemico ingiusto, scrive che il diritto dei vincitori non può arrivare “fino a dividersi tra loro il territorio di quello Stato e a fare per così dire sparire uno Stato dalla terra, perché ciò sarebbe una vera ingiustizia verso il popolo che non può perdere il suo diritto originario a formare una comunità; si può invece imporgli una nuova costituzione, che per la sua natura reprima la tendenza verso la guerra”[4]; ma pur ammettendo il diritto ad imporre la costituzione, nulla esplicitamente afferma sul potere costituente[5].

In effetti, nel pensiero di Kant sembra che ciò non possa escludersi: quando, scrive, ad esempio, “deve pur essere possibile al sovrano cambiare la costituzione esistente”[6]; è chiaro che o ha questo diritto o non è più sovrano. Il che è contrario alla concezione kantiana. Anche il passo sopra citato, che il popolo “non può perdere il… diritto…” significa, implicitamente, che conserva il potere costituente. Quindi se pure è, secondo il filosofo di Königsberg, possibile imporre una costituzione al nemico ingiusto, non è lecito impedirgli di cambiarla e sottrarre o limitarne, così, il potere costituente.

  1. Nella realtà la costituzione vigente è il risultato di quella sollecitazione, esternata negli accordi di Yalta, ben sostenuta dall’argomento-principe della sconfitta militare e dalla conseguenziale occupazione.

Si potrebbe obiettare che il procedimento democratico seguito – e l’alta partecipazione alle elezioni della Costituente – hanno attenuato il carattere d’imposizione e legittimato, in certa misura, la Costituzione che ne è conseguita. Anzi si potrebbe aggiungere che la procedura relativa – conclusasi politicamente anche se non giuridicamente, con l’elezione, il 18 aprile 1948 del primo Parlamento – abbia costituito un esempio di applicazione del consiglio di Machiavelli che regola della decisione politica è di scegliere quella che presenta minori inconvenienti[7].

E sicuramente dato il disastro militare e l’occupazione, non esistevano le condizioni per sfuggire (forse per attenuarla sì, a seguire il discorso di V. E. Orlando, sopra ricordato) alla logica degli accordi di Yalta.

  1. Ma in tale materia è importante essere consapevoli che certe scelte sono state in gran parte frutto di necessità (e di imposizione) e non prenderle per quelle che, a una visione giuridica (peraltro parziale e riduttiva), appaiono come scelte (ottime) del “popolo sovrano” il quale, come scriveva Massimo Severo Giamini, è sovrano solo nelle canzonette; e, in quel frangente, forse neppure in quelle. La sovranità implica libertà di scelta: quella non vi era né in diritto – limitata com’era dalle clausole dell’armistizio e del Trattato di pace – e quel che più conta era inesistente di fatto per la sconfitta e l’occupazione militare. Per cui alla Costituzione del ’48, ed alla relativa decisione si può applicare il detto romano per la volontà negli atti annullabili: che, il popolo italiano coactus tamen voluit.

Se quindi la madre della Costituzione fu l’Assemblea Costituente, i padri ne furono i vincitori della Seconda guerra mondiale. Ma se è vero che, a seguir Kant, al nemico ingiusto (e vinto) è consentito imporre la Costituzione, non lo è pretendere (meno ancora consentire) che quella Costituzione, nata in circostanze sfortunate, divenga come le tavole mosaiche, immodificabile come se fosse stata data da Dio, cosa non richiesta neppure da gran parte dei teologi cristiani. Infatti secondo la teologia tomista il potere costituente, la possibilità di darsi determinate forme di Stato e di governo compete al popolo: non est enim potestas nisi a Deo, cui deve aggiungersi per popolum[8].

Per cui, a cercare di comprendere perché sia vista per l’appunto, come il Decalogo la spiegazione può essere data in termini sociologici, richiamandosi a quella concezione di Max Weber per cui al mantenimento di certe tradizioni “possono connettersi degli interessi materiali: allorchè ad esempio in Cina si cercò di cambiare certe vie di trasporto o di passare a mezzi o vie di trasporto più razionali, venne minacciato l’introito che certi funzionari ricavavano dal pedaggio”[9]; ovvero quella ancora più cruda e demistificante di Pareto, per cui certi tipi di argomentazione sono riconducibili a quella classe di residui che chiamò della persistenza degli aggregati, ovvero nella inerzia e resistenza all’innovazione manifestate dai rapporti sociali in atto, che tendono a perpetuarsi nelle stesse forme, regole, relazioni (e fin quando possibile, persone).

Giacché le situazioni e relative decisione politiche, tra cui la normazione costituzionale, sono frutto di certi rapporti di forza (e di potere), ne producono e riproducono di compatibili; tra cui personale politico selezionato sulla base di quelli, è chiaro che sia a questi sgradito un ri-esercizio del potere costituente che metterebbe in discussione quei rapporti, e la stessa classe politica che ne è stata riprrodotta plasmata. La quale, pertanto, si oppone in ogni modo a qualsiasi cambiamento sostanziale della costituzione. Tra gli argomenti – le derivazioni all’uopo costruite, anche al fine di suscitare la fede nella propria legittimità – c’è di averne ricondotta integralmente la genesi alla lotta ed alla volontà del popolo italiano. Che è, una mezza verità. Purtroppo come tutte le mezze verità  ha l’inconveniente di nascondere una mezza menzogna (se non una menzogna tutta intera); e quello, ancora più pericoloso, di costituire un ostacolo ad una piena consapevolezza politica. Attribuire la costituzione ad una scelta (tutta) propria, occultare la parte nella genesi della stessa svolta dagli alleati, prendere la situazione politica dal primo dopoguerra e le scelte conseguenziali come un criterio di valutazione … per secoli, significa, come scriveva Croce, raccontar favole d’orchi ai bimbi. Nella specie, agli italiani, che, anche per questo, non assumono piena consapevolezza politica. E questa, in politica, significa se non l’impotenza, una mezza potenza, una ridotta attitudine a sviluppare le proprie potenzialità. Una sorta di  emasculazione volontaria .

  1. Che questo sarebbe stato l’esito della situazione e dell’ordine nato alla fine della seconda guerra mondiale era chiaro a qualcuno, tra cui Vittorio Emanuele Orlando che già lo prevedeva nel discorso, sopra citato, contro il Trattato di pace.

La cosa che più colpisce del discorso dell’anziano statista è come stigmatizza la coniugazione tra buone intenzioni (propositi) quali lo sviluppo della democrazia, la repressione del fascismo, la tutela dei “diritti democratici” del popolo, oltre che naturalmente di quelli umani contenuti nelle clausole del Trattato da un lato, e le conseguenti limitazioni e controlli sulla sovranità e sull’esercizio dei massimi poteri dello Stato, dall’altro. Diceva Orlando “Ho detto che questo Trattato toglie all’Italia l’indipendenza che non sopporta altri limiti che non siano comuni a tutti gli altri Stati sovrani. Or bene, approvando questo Trattato, voi approvate un articolo 15,…”[10] e prosegue “Questo articolo si collega con quella educazione politica di cui sembra che abbisogni l’Italia, e cioè la Nazione del mondo che arrivò per la prima all’idea di Stato, e l’apprese a tutti i popoli civili. Dovevamo proprio noi ricevere lezioni di tal genere! E meno male se fosse soltanto un corso di lezioni: ma si tratta di un umiliante limite alla nostra sovranità[11]; quanto all’art. 17 che imponeva di vietare la rinascita delle organizzazioni fasciste, sosteneva: “Non è già, dunque che l’art. 17 mi dispiaccia per sé stesso, ma mi ripugna come un’offesa intollerabile alla sovranità del nostro Stato. Qualunque atto di Governo può prestarsi ad una interpretazione che dia luogo alla accusa della violazione dell’art. 17. Intanto tutte le espressioni in esso usate sono elastiche, atte a favorire ogni punto di vista soggettivo. Una organizzazione dei così detti giovani esploratori potrà essere considerata come militarizzata”[12]. E così prosegue, ricordando l’iniquità delle clausole sul disarmo, sulle limitazioni alla ricerca che possa avere applicazioni militari “ma chi può dire  e sino a qual punto una scoperta in qualsiasi campo possa avere applicazioni militari? In conclusione anche i gabinetti delle nostre Università potrebbero essere assoggettati  ad un controllo, capace di impedire il proseguimento di uno studio scientifico!”[13]. Per cui conclude su questo punto: “l’indipendenza sovrana del nostro Stato viene dunque meno formalmente, cioè come diritto”[14] (oltre che di fatto come espone nel prosieguo). Orlando anticipava così l’opposizione ancora oggi ripresentantesi con frequenza tra tutela di certi “diritti” universali (o trans-nazionali) e integrità della sovranità e indipendenze nazionali. Lo Stato che assume la funzione di tutela di certi diritti, esercita un’influenza interna allo Stato “tutelato”. Così nella tradizionale “impermeabilità” tra interno ed esterno allo Stato si aprono falle, probabilmente destinate ad ampliarsi.

L’altra (principale) preoccupazione  di Orlando era la fragilità dell’assetto politico (e costituzionale in fieri) dell’Italia, incrementata dall’attitudine “psicologica” italiana ad accondiscendere a pretese esterne. Così distinguendo tra Italia e Francia afferma “Ma egli è che una vera superiorità alla Francia su di noi può riconoscersi nella fierezza dei suoi rappresentanti, per cui l’ipotesi di una Francia  come grande Potenza fu ed è sempre una pregiudiziale che si deve ammettere se si vuole conversare con un francese”[15], mentre “nei rapporti con l’estero noi ci dobbiamo sempre precipitare; noi sentiamo sempre l’urgente bisogno di dar prova al mondo che siamo dei ragazzi traviati, i quali avendo demeritato e non bastando la tremenda espiazione sofferta, ammettono la loro indegnità e non aspettano altro di meglio che di riabilitarsi e essere ripresi in grazia[16]. Per cui concludeva l’orazione con la ben nota invettiva “Questi sono voti di cui si risponde dinanzi alle generazioni future: si risponde nei secoli di queste abiezioni fatte per cupidigia di servilità[17]. Ansia condivisa da Benedetto Croce, il quale nel discorso contro il Trattato di pace (pronunciato all’Assemblea costituente il 24 luglio 1947) diceva “Il governo italiano certamente non si opporrà all’esecuzione del dettato; se sarà necessario, coi suoi decreti o con qualche suo singolo provvedimento legislativo, la seconderà docilmente, il che non importa approvazione, considerato che anche i condannati a morte sogliono secondare docilmente nei suoi gesti il carnefice che li mette a morte. Ma approvazione, no! Non si può costringere il popolo italiano a dichiarare che è bella una cosa che esso sente come brutta e questo con l’intento di umiliarlo e togliergli il rispetto di sé stesso, che è indispensabile ad un popolo come a un individuo, e che solo lo preserva dall’abiezione e dalla corruttela[18]; e proseguiva “coloro che questi tempi chiameranno antichi, le generazioni future dell’Italia che non muore, i nipoti e pronipoti ci terranno responsabili e rimprovereranno la generazione nostra di aver lasciato vituperare e avvilire e inginocchiare la nostra comune Madre a ricevere rimessamente un iniquo castigo;… ma vi dirò quel che è più grave, che le future generazioni potranno sentire in se stesse la durevole diminuzione che, l’avvilimento, da noi consentito, ha prodotto nella tempra italiana, fiaccandola”.

In ambedue i vecchi patrioti era evidente che quell’approvazione era il primo passo verso una capitis deminutio dell’indipendenza italiana; riecheggia in entrambi lo sferzante giudizio di Gobetti, che Mussolini non aveva tempra di tiranno, ma gli italiani avevano ben animo di servi.

  1. Il secondo “momento” di questa “rieducazione” era la Costituzione: pur nelle buone intenzioni, di chi l’aveva redatta, e nel pregevole tentativo – particolarmente riuscito nella prima parte – di coniugare l’impianto liberal-democratico con il c.d. “Stato sociale”, la repubblica parlamentare e regionale organizzata dalla seconda parte della Carta, era già obsoleta al momento di entrare in vigore. Scriveva Hauriou a proposito del “prototipo”di quella italiana, cioè la Terza repubblica francese “al momento della redazione della nostra Costituzione del 1875, non si era mai vista al mondo una Repubblica parlamentare, e fu una grande novità”. E ne attribuiva la durata a diversi fattori, istituzionali: d’essere il “giusto mezzo” tra dittatura dell’assemblea e quella dell’esecutivo; di perpetuare il governo delle assemblee, e con esso l’oligarchia parlamentare, pur svolgendo la funzione d’integrazione politica di altri strati della popolazione; ma anche sociali, costituendo un compromesso tra borghesia (vie bourgeoise) e “proletariato” (vie de travail). Tuttavia ne intravedeva già negli anni ’20 del secolo scorso, il tramonto[19]; come d’altra parte altri giuristi francesi. Cosa che avvenne puntualmente nel 1958, perché la repubblica parlamentare aveva esaurito la propria funzione, così acutamente esposta da Hauriou, e non era più adatta ai tempi nuovi, che erano quelli, a un dipresso, in cui l’Italia adottava questa “formula” politica e istituzionale. In Francia, dopo poco, dismessa.

La decisione italiana per la Repubblica parlamentare fu determinata da più motivi.

La ripulsa per il governo “forte” fascista, che fece preferire tra le tante forme di governo quella più “debole” possibile; il ricordo (positivo) del parlamentarismo liberale dello Statuto, cui però erano tolti proprio i principali fattori di stabilità e di governabilità, cioè la monarchia e il sistema elettorale maggioritario; la necessità di garantire un assetto policratico dei poteri pubblici finalizzato alla co-esistenza di partiti ideologicamente radicati quanto distanti; la mancata – o insufficiente – percezione dell’evoluzione economico-sociale dello Stato e delLa società moderna.

Tutte ragioni di carattere (e genesi) essenzialmente e in grande prevalenza “interno” ed “endogeno”; tuttavia alcune in (evidente) accordo col modello delineato (e imposto) a Yalta, specificato dall’occupazione militare anglosassone.

  1. Le condizioni del secondo dopoguerra sono cambiate, fino alla cesura rappresentata dal crollo del comunismo sovietico e dalla fine della guerra fredda; seguita dalla dissoluzione dell’URSS; speculare questa alla divisione, al termine della seconda guerra mondiale, della Germania – ora riunificata all’esito della guerra fredda – e dell’Impero giapponese.

Le conseguenze, anche in Italia, sono state notevoli; la caduta del sistema partitico della prima repubblica – salvo il PCI “graziato”; la fine della conventio ad excludendum nei confronti della destra; la sostituzione della legge elettorale proporzionale con sistemi (sia per il Parlamento che per gli enti territoriali) maggioritari. Buona parte della costituzione materiale è stata cambiata. Ma quella formale – se si eccettua l’innovazione al titolo V (cioè della parte “periferica” e non solo in senso territoriale della carta costituzionale) e qualche altra piccola modifica (come all’art. 11) è rimasto inalterato col suo impianto di repubblica parlamentare e policratica.

Permane quindi il “tabù” dell’intangibilità della parte essenziale della Costituzione, malgrado l’evidente inadeguatezza al governo di una società e uno Stato moderno e, più ancora, il venir meno della situazione politica e delle condizioni politiche e sociali che ne giustificavano, in una certa misura, l’adozione.

  1. Neppure è spiegabile questa durata con un interesse delle potenze vincitrici a “determinare” l’esercizio (e il prodotto) del potere costituente. Questo per (almeno) due ragioni. In primo luogo perché, come accennato, la situazione politica è distante anni-luce da quella del dopoguerra. Pensare che gli USA abbiano un interesse rilevante che l’Italia sia una repubblica presidenziale o parlamentare o una monarchia costituzionale o quant’altro appare difficile: crollato il comunismo è venuta meno anche la funzione dell’Italia quale paese di frontiera tra l’Est e l’Ovest.

Dall’altro perché la dissoluzione del comunismo ha eliminato il nemico anche sul piano interno. Di qui l’indifferenza – o lo scarso interesse – che la dialettica politica italiana e i modi in cui si svolge, possono oggi suscitare all’estero.

Piuttosto l’attaccamento a quella Costituzione si può spiegare con la funzione del mito (Sorel), dato che la Resistenza ha avuto la funzione di mito “fondante” della Repubblica, e la Costituzione ne è – secondo questa concezione – la figlia unigenita.

Ma più ancora ci può soccorrere, come sempre cennato, Pareto. Questi divide del Trattato i residui (cioè le azioni non logiche e gli istinti e sentimenti che le determinano) in sei classi; una delle quali è composta dai residui che si esprimono nella tendenza alla persistenza degli aggregati. Gli è che, applicando anche all’inverso la formula di Lassalle, la Costituzione formale, non solo garantisce i rapporti di forza che l’hanno determinata, ma li cristallizza e tende a riprodurli. Da cui consegue la resistenza al cambiamento di quelli che dalla stessa sono favoriti e garantiti, anche se la situazione – e le esigenze – sono sostanzialmente cambiate. Ed il fenomeno si è presentato tante volte nella storia: dalla crisi di Roma repubblicana nel I secolo a.C., a quella dell’Ancien régime (e del potere dei ceti privilegiati), già in gran parte demolito dall’assolutismo borbonico. Nihil sub sole novi.

L’importante è ricordare, e Pareto è qui quanto mai utile, che le ragioni esternate sono derivazioni di quei residui. E più ancora che dietro quelle ci sono concreti rapporti di forza che come tutte le relazioni sociali crescono, si mantengono e poi decadono, come mutano le situazioni reali che li hanno determinati; per cui è compito degli uomini, di rimodellare la nuova forma politica; com’è stata opera degli uomini aver realizzato quella sorpassata. Come scriveva Miglio la Costituzione non è la camicia di Nesso in cui il popolo italiano deve essere avvolto in eterno.

Teodoro Klitsche de la Grange

[1] Si riprende la tesi esposta da Jeronimo Molina Cano in “La Costituzione come colpo di Stato” in Behemoth n. 38 luglio-dicembre 2005 p. 5 ss.

[2] Diceva V. E. Orlando nel vibrante discorso contro il Trattato di pace dell’Italia con i vincitori della Seconda guerra mondiale pronunciato nell’Assemblea Costituente il 30 luglio 1947 “anche grammaticalmente sovrano è un superlativo: se se ne fa un comparativo, lo si annulla” v. in Behemoth n. 3 luglio-dicembre 1987 p. 37.

[3] v. Über verfassungswesen trad. it. in Behemoth n. 20 luglio-dicembre 1996 p. 8

[4] Methaphisik der Sitten § 60.

[5] Anzi Schmitt la interpreta nel senso che “non intende ammettere… che un popolo fosse privato del potere costituente” v. Der nomos der erde, trad. it. Milano 1991, p. 205.

[6] Op. cit. § 52.

[7] V. Discorsi, lib. I, VI.

[8] Sul punto si richiamano i giuristi francesi citati nelle note del mio scritto Diritto divino provvidenziale e dottrina dello Stato borghese in Behemoth n. 41 gennaio-giugno 2007 p. 25 ss.

[9] M. Weber, Storia economica, trad. it. rist. Roma 2007, p. 261.

[10] Behemoth cit., p. 35.

[11] Ivi p. 35-36.

[12] Ivi p. 36.

[13] Ivi p. 36.

[14] Ivi p. 37.

[15] Ivi cit., p. 32.

[16] Op. loc. cit..

[17] Ivi cit. p. 40.

[18] V. in Palomar n. 18, p. 48.

[19] V. “Ce régime pourra durer tant que les nouvelles couches de la population garderont l’ambition de la vie bourgeoise, et il montre des qualités précieuses pour les embourgeoiser successivement sous le couvert des étiquettes politiques les plus variées. Mais le jour où la distinction de la vie bourgeoise et de la vie de travail aura disparu, il devra probablement s’effacer devant les institutions faisant une place plus large au gouvernement direct ” ; Précis de droit constitutionnel Paris 1929, p. 341 – v. anche p. 346.

SPIGOLATURE MEDIORIENTALI, di Antonio de Martini_ a cura di Giuseppe Germinario

Qui sotto due significative spigolature di Antonio de Martini apparse sui social network. La notizia più clamorosa è la vittoria relativa di Moktada Al Sadr in Iraq. Si tratta del leader che con più accanimento ha combattuto l’occupazione americana e contemporaneamente la crescente influenza iraniana nel paese. Non a caso il suo movimento ha progressivamente affievolito l’impronta confessionale ed accentuato il proprio carattere nazionale e nazionalista.

La sua ascesa ci segnala la fragilità di molti stereotipi che hanno guidato l’interpretazione dei fatti nella polveriera mediorientale:

  • la divisione confessionale tra sunniti e sciiti spiega solo in parte, ed in misura decrescente e indiretta, il conflitto e il gioco politico delle fazioni e delle formazioni politiche
  • controllata la sbornia dell’ISIS e del suo tentativo truculento di coniugare l’aspirazione universalistica con l’esigenza di radicamento territoriale, con tutto il corollario di strumentalizzazioni e manipolazioni degli agenti geopolitici più importanti, in particolare degli Stati Uniti, inizia a riprender piede un movimento nazionale dalle sembianze diverse da quelle conosciute negli anni ’70
  • la situazione in Siria e in Iraq, in apparenza del tutto favorevole alla Russia e all’Iran, sta forse rivelando il grande limite della classe dirigente predominante in Iran: l’incapacità di fermarsi al momento giusto e il rischio di compiere un passo più lungo della propria gamba. Ha certamente il grande merito di aver contribuito ad evitare la caduta del regime di Assad e il conseguente genocidio delle minoranze di quel paese. La tentazione di fare della Siria il terreno di confronto con Israele è però sempre più forte e su questo sta incontrando la ritrosia sempre più manifesta dello stesso Assad, sostenuto in questo probabilmente dagli stessi russi. Il viaggio e l’accoglienza riservata a Netanyhau a Mosca non deve essere certo stata dettata dalle sole regole di galateo diplomatico. L’azione dell’Iran si sta spingendo ormai verso l’Atlantico. Di recente ha concesso la fornitura di grosse quantità di armi al Fronte Polisario, una organizzazione ormai dedita più che altro al contrabbando. Con questa mossa ha stuzzicato il Marocco, un paese alleato dei Saud e degli Stati Uniti; ma ha irretito anche l’Algeria, sino ad ora unico contendente del Marocco in quell’area. Anche l’Azerbaijan, paese sciita al confine con l’Iran, non gode ormai dei migliori rapporti con il paese degli ayatollah. La classe dirigente iraniana fatica a dissociare la propaganda oltranzista dalla diplomazia; è il segno della porosità di quel regime alle infiltrazioni e della radicalità del conflitto presente in essa.

Nelle more godiamoci, attraverso la sequenza fotografica di questi giorni colta da un giornalista americano presente “casualmente” all’Hotel Prince de Galles di Parigi; un’anteprima, un trailer dello spettacolo prossimo venturo del quale potremo godere

Ritraggono rispettivamente Seyed Hossein Mousavian, negoziatore iraniano sul nucleare nel 2005, Kamal Kharazi, ex ministro degli esteri iraniano, Abolghassem Delfi, attuale ambasciatore iraniano a Parigi, di spalle John Kerry all’uscita dall’hotel. In un precedente articolo http://italiaeilmondo.com/2018/05/06/diplomazie-parallele-di-giuseppe-germinario/ avevamo segnalato il corso di diplomazie parallele implicate nell’affaire Iran-USA. Queste foto ci segnalano probabilmente l’avvio di una campagna politica decisamente meno “nobile”. Il vecchio establishment americano, al momento di scatenare la campagna denigratoria verso Trump pensava di disporre del monopolio delle informazioni più riservate e private degli avversari politici. Un vantaggio indiscutibile in una contesa dai colpi bassi sempre più sconcertanti. Hanno scoperchiato invece un vaso di Pandora. Gli iraniani non devono aver preso molto bene il fallimento dell’accordo recentemente disconosciuto da Trump e l’inutilità dei loro eventuali atti di generosità. In pratica si profila uno scandalo simile a quello che sta travolgendo Sarkozy, con i suoi benefici finanziari ricevuti da  Gheddafi. E’ il segno che l’afflato pacifista, al pari di quello guerrafondaio, è il più delle volte corroborato e svilito da interessi molto più prosaici e particolaristici sui quali è facile scivolare. Una debolezza che spiegherebbe almeno parzialmente tanta insulsaggine, tante paralisi e tanti immobilismi, compresi quelli dei paesi europei, giustamente sottolineati da de Martini. Buona lettura_Giuseppe Germinario

IRAK: ALTRO BRILLANTE SUCCESSO DI AISE & CIA

Si potrebbe fare un gemellaggio tra Roma e Bagdad o almeno tra il PD e il partito di Abadi, il premier sconfitto alle urne.

Le elezioni sono ancora nella fase di spoglio, ma MOKTADA EL SADR, il mullah contrario all’Iran, come agli americani, è il vincitore col 54% dei voti espressi, mentre il servetto della CIA, Abadi, primo ministro uscente, si è classificato terzo dopo Allawi, l’ex cocco degli USA che li ha mandati a quel paese tre anni fa e ha fatto un partito suo.

MOKTADA EL SADR rappresenta la parte più bisognosa e sana della popolazione, ha istigato due rivolte armate contro le truppe occupanti ed è sospettato di essere dietro l’attentato di Nassirya.

Lusinghe e minacce non lo hanno mai piegato e non ha simpatizzato nemmeno con Teheran.

Il patriottismo di El SADR è fuori discussione e questo avrebbe potuto essere utile agli USA se solo avessero voluto veramente liberare l’Irak e instaurare un regime democratico.

Cercavano un servo. Lo hanno trovato che era vice presidente della Camera. Tutti sappiamo cosa vale un vice presidente. Lo hanno fatto premier e finanziato.
Si è classificato terzo su tre.

Complimenti anche all’AISE che presidiava la zona in cui EL SADR era più forte ed avrebbero potuto scovarlo e coltivarne il talento politico.

Peccato che abbiano mandato come capo centro un ufficiale che parlava solo lo spagnolo.
Magari con un po di inglese sarebbe riuscito almeno a non farsi sparare ai posti di blocco.

TRUMP SCONFESSA L’EUROPA. L’IRAN NON C’ENTRA.

Nessuno ha fatto notare la differenza di trattamento USA a Iran e Corea del Nord.

L’Iran , ha accettato di trattare con l’ONU ( tutti i membri permanenti del Consiglio piu la Germania) e di limitare il proprio sviluppo nucleare, sotto controllo AIEA, viene ad essere oggetto di nuove sanzioni ( e chi commercia con esso, di minacce sgangherate), mentre la Corea del Nord che ha completato il suo arsenale nucleare, è stata promossa da ” Stato canaglia” a cocco di papà Trump nel giro di tre mesi.

Abbiamo tutti constatato cosa sia accaduto a Saddam Hussein, Gheddafi e Assad per aver rinunziato ai WMD “mezzi di sterminio di massa”.

Disarmarsi non è dunque una opzione valida per sopravvivere. Anzi.

Proseguiamo la meditazione con due constatazioni destinate a condizionarci l’esistenza futura:

a) nessun paese dotato di armi nucleari è mai stato oggetto di invasioni, proxy guerre e rivoluzioni pseudo democratiche. Anche solo disporre di un ordigno senza vettore da usare come mina, garantisce dalle invasioni. Nemmeno il Pakistan.

b) chi esce con le ossa rotte da questa vicenda sono i paesi membri del consiglio di sicurezza più la Germania e meno gli Stati Uniti.

Credo proprio che l’intera operazione serva a dimostrare al mondo che chi conta sia soltanto il governo USA e che l’Europa, la Russia, la Cina, anche messi assieme, non contino granché, quindi ogni accordo con loro è caduco.

Basta un qualsiasi Trump per ridurre a zero la loro credibilità.
Mondo multipolare un corno.

Dall’accordo sul clima alla Corea del Nord, se non hai il bollino qualità degli USA non hai alcuna garanzia di essere dalla parte della legalità internazionale.

L’unico rischio che corrono gli USA è che la frequentazione di Russia e Cina ( e India?) potrebbe piacerci.

La solitudine in casa e fuori non fece bene a Macbeth, non farà bene a Trump.

Governo Lega – M5Stelle: come andrà a finire?, di Roberto Buffagni

Governo Lega – M5Stelle: come andrà a finire?

 

Ci vuole una bella faccia di tolla per fare previsioni su come andrà a finire una cosa che ancora non è iniziata, ma per Vs. fortuna io ce l’ho. Ecco quanto ho divinato.

1) Prima valutazione, in ordine di verisimiglianza secondo il Manuale del Piccolo Politico, pagina 1, capitolo I. Per la Lega, questa è un’abile manovra tattica e un grave errore strategico. Abile manovra tattica, perché batte lo stratagemma (oltre il limite del lecito) di Mattarella, volto a instaurare un nuovo “governo tecnico” (= UE) sotto il nome ossimorico, offensivo per il vocabolario e l’intelligenza, di “governo neutro”. Grave errore strategico perché a) spacca il fronte del centrodestra b) libera le mani a Silvio che non ne vedeva l’ora, fornendogli il pretesto per il voltafaccia c) stende un tappeto rosso a Renzi e al suo progetto neomacroniano di “governo della nazione” d) e ovviamente, di solito formare un governo con un alleato che ha il doppio dei tuoi voti nuoce gravemente alla salute.

2) Seconda valutazione, in ordine di importanza e verisimiglianza secondo il MdPP, pagina 732, capitolo LVI. Se l’operazione governo con i 5* è volta a un rapido ritorno alle urne (= entro un anno, in coincidenza con le europee 2019), dopo il varo di provvedimenti magari epidermici ma propagandisticamente efficaci e graditi all’elettorato, in particolare del Sud, ed eventualmente di una nuova legge elettorale che garantisca la governabilità al vincente, è possibile che l’errore strategico venga evitato, e anzi l’abile manovra tattica si raddoppi in audacissima manovra operativa, perché: a) si evita il governo neutro b) si costringono FI e PD ad affrontare il giudizio elettorale in condizioni di grave difficoltà, senza aver avuto il tempo di consolidare il progetto “Partito della Nazione” neomacroniano. Continua il travaso di voti da FI a Lega, il PD continua a perdere elettori c) gli elettori 5* che provengono da sinistra si allontanano dal Movimento e disperdono molti voti (difficile rientrino in casa PD) d) gli elettori 5* che provengono da destra sono tentati di spostarsi verso la Lega che interpreta più schiettamente le loro propensioni, e qualcuno (non so quanti) lo farà. e) La coincidenza delle elezioni politiche con le elezioni europee avvantaggia chi ha una posizione molto chiara sulla UE, cioè la Lega.

E’ più verisimile che si verifichi quanto al punto 1, abile manovra tattica, grave errore strategico. Però Salvini è un politico che sa il fatto suo, e quindi non ritengo affatto inverosimile che stia tentando l’ipotesi 2, abile manovra tattica seguita e raddoppiata da audacissima manovra operativa. Se la manovra gli riesce, dal Cielo il feldmaresciallo Erich von Manstein gli manderà a dire “Ben fatto”. Do 70% all’ipotesi 1, 30% all’ipotesi 2.

That’s all, folks.

 

 

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