L’Occidente sta intensificando la guerra in Ucraina?_DI ARTA MOEINI

https://unherd.com/2023/02/is-the-west-escalating-the-ukraine-war/

L’Occidente sta intensificando la guerra in Ucraina?

A un anno di distanza, non c’è alcun segno di una conclusione

DI ARTA MOEINI

 

È passato appena un giorno dalla richiesta di carri armati tedeschi Leopard-2 da parte dell’Ucraina, quando il governo di Kiev ha chiesto ai Paesi della NATO di dimostrare ancora una volta la loro solidarietà fornendole i caccia F-16 di produzione statunitense. Sebbene gli esperti militari dubitino che questi veicoli modificheranno in modo significativo la situazione sul campo di battaglia, Kiev li pubblicizza come importanti simboli della determinazione politica dell’Occidente.

 

“La guerra è la continuazione della politica con altri mezzi”, scriveva Clausewitz nel 1832. A un anno dalla guerra russo-ucraina, qual è la politica dell’Ucraina? O dell’America, della Germania e degli altri alleati della Nato? I ripetuti appelli dell’Ucraina per un maggiore sostegno e la risposta accomodante dell’Occidente sono un caso di sfruttamento della “pubblicità strategica”, di diplomazia performativa, di solidarietà dell’alleanza o di qualcosa di completamente diverso? Dopotutto, per quanto gli ucraini stiano combattendo contro le forze russe e subendo ingenti perdite per proteggere l’integrità territoriale dello Stato ucraino, oggi la Nato è apertamente impegnata in una guerra per procura che rischia di trasformarsi in un conflitto catastrofico tra Occidente e Russia.

Sebbene il realismo in politica estera possa aiutare a delineare, persino a prevedere, i contorni generali della guerra e a spiegare la politica di Mosca e Kiev, questa posizione realista mainstream, rappresentata da personalità come John Mearsheimer, fornisce un resoconto incompleto del comportamento della maggior parte degli alleati occidentali, soprattutto degli Stati Uniti. Per comprendere il processo decisionale occidentale e le peculiari dinamiche interalleate della Nato, abbiamo bisogno di un realismo più radicale che prenda in seria considerazione le dimensioni non fisiche, psicologiche e “ontologiche” della sicurezza – comprendendo il bisogno di uno Stato o di un’organizzazione di superare l’incertezza stabilendo narrazioni e identità ordinate sul proprio senso di “sé”.

 

Tuttavia, i conti realisti “strutturali” – incentrati sull’anarchia sistemica, la sicurezza fisica, l’equilibrio di potere e le dimensioni politiche della strategia – possono aiutare a spiegare alcuni aspetti del processo decisionale strategico dell’Ucraina. In un recente studio per l’Institute for Peace & Diplomacy, di cui sono coautore, abbiamo analizzato le ragioni strutturali che guidano il calcolo strategico dell’Ucraina. Abbiamo suggerito che, in qualità di “equilibratore regionale”, l’Ucraina ha corso un rischio enorme sfidando le linee guida russe sul rifiuto esplicito da parte di Kiev delle offerte della Nato e sull’interruzione di qualsiasi integrazione militare con l’Occidente. Si trattava di una mossa massimalista che presupponeva il sostegno militare dell’Occidente e rischiava di provocare attivamente Mosca a proprio svantaggio strategico.

 

Scegliendo la strategia più rischiosa, a somma zero, volta a ostacolare la sfera d’influenza storica e geopolitica di una potenza regionale e civile vicina, l’Ucraina è stata forse imprudente, ma non per questo irrazionale. Come abbiamo scritto:

Praticamente tutte le alleanze di sicurezza americane oggi sono accordi asimmetrici tra gli Stati Uniti e gli equilibratori regionali – una classe di Stati regionali più piccoli e periferici che cercano di bilanciarsi con le medie potenze dominanti nelle rispettive regioni. In quanto grande potenza, l’America possiede una capacità intrinseca di invadere altri complessi di sicurezza regionale (RSC). In questo contesto, è ragionevole che gli equilibratori regionali cerchino di attirare e sfruttare il potere americano al servizio dei loro particolari interessi di sicurezza regionale”.

 

Fissare un obiettivo così elevato, tuttavia, significava di fatto che Kiev non avrebbe mai potuto avere successo senza un intervento attivo della NATO che spostasse l’equilibrio di potere a suo favore. In virtù della sua decisione, l’Ucraina, insieme ai suoi partner più stretti in Polonia e nei Paesi baltici, è diventata il classico “alleato di Troia” – Paesi più piccoli il cui desiderio di avere un peso regionale contro la media potenza esistente (la Russia) si basa sulla capacità di persuadere una grande potenza esterna e la sua rete militare globale (in questo caso, gli Stati Uniti e, per estensione, la Nato) a intervenire militarmente a loro favore. Come abbiamo notato nel nostro studio, “questo avviene con grandi rischi per l’equilibratore regionale e con grandi costi per la grande potenza esterna“. Infatti, in ultima analisi, l’accordo dipende dalla “minaccia dell’uso della forza e dell’intervento militare” da parte della grande potenza esterna, senza la quale l’equilibratore regionale fallirebbe.

 

L’ambizione strategica dell’Ucraina è quella di superare la Russia una volta per tutte e di staccarsi dal controllo storico di Mosca. Mettendo da parte le pretestuose e facili giustificazioni russe per l’invasione, che cercano di sbeffeggiare l’intervento militare della NATO in Jugoslavia, è lo schiacciamento di questa più grande ambizione ucraina a motivare il Cremlino. Questo spiega l’annessione della Crimea da parte di Mosca nel 2014, le sue aspirazioni agli accordi di Minsk e il ricorso finale all’azione militare.

 

Una volta iniziata l’invasione russa, l’obiettivo di Kiev di contrastare Mosca e mantenere intatti i propri territori è diventato impossibile senza un intervento militare occidentale. Il futuro dell’Ucraina come Stato sovrano dipendeva dalla sua capacità di organizzare con successo un’escalation. Dal punto di vista dell’Ucraina, quindi, il desiderio di ricevere forniture di armamenti sempre più sofisticati dalle nazioni occidentali più potenti non è motivato principalmente dal loro immediato impatto pratico e tattico – dopo tutto, la consegna e l’addestramento per questi sistemi saranno ancora lontani mesi. No, le richieste ucraine derivano in gran parte da ciò che l’introduzione di queste armi rappresenterebbe dal punto di vista politico e dalle conseguenze geostrategiche a lungo termine per la prossima fase della guerra.

 

È infatti nell’interesse di Kiev indirizzare la NATO verso un maggiore coinvolgimento nella guerra. L’Ucraina ha fatto ricorso a una combinazione di tattiche – tra cui la guerra d’informazione e lo sfruttamento del senso di colpa storico dell’Occidente – per istigare una cascata informativa e reputazionale tra i membri della NATO che assicurerebbe l’adesione alle richieste ucraine. Date le sue evidenti debolezze a lungo termine in termini di truppe di qualità, artiglieria e munizioni, il governo Zelenskyy ha combattuto astutamente una guerra ibrida fin dall’inizio, sapendo che l’Ucraina non può sconfiggere la Russia senza che la Nato combatta al suo fianco. La domanda che ci si pone ora è se l’Occidente debba lasciarsi intrappolare in questa guerra, mettendo a rischio il destino del mondo intero.

 

Secondo la concezione materialista della sicurezza offerta dalla maggior parte dei realisti, l’America e l’Europa occidentale hanno pochi vantaggi, e certamente nessun interesse nazionale o strategico genuino, nel farsi trascinare in quella che è essenzialmente una guerra regionale in Europa orientale che coinvolge due diversi Stati nazionalisti. Da un punto di vista ontologico, tuttavia, un establishment di politica estera anglo-americano che si “identifica” fortemente con l’unipolarismo statunitense ha investito molto nel mantenimento dello status quo, impedendo la formazione di una nuova architettura di sicurezza collettiva in Europa, che sarebbe incentrata su Russia e Germania piuttosto che sugli Stati Uniti. Come ha osservato l’analista geopolitico George Friedman nel 2015: “Per gli Stati Uniti, la paura primordiale è… [l’accoppiamento di] tecnologia e capitale tedeschi, [con] risorse naturali russe [e] manodopera russa“.

 

Forse seguendo una logica simile, l’establishment statunitense ha lavorato per distruggere qualsiasi possibilità di formazione di un asse Berlino-Mosca allineandosi con il blocco Intermarium di Paesi dal Baltico al Mar Nero, opponendosi ripetutamente (e minacciando apertamente) i gasdotti Nord Stream e respingendo deliberatamente l’insistenza russa su un’Ucraina neutrale. In relazione all’Ucraina, l’obiettivo iniziale di un’alleanza ideologica occidentale orientata verso “valori condivisi”, come la Nato è diventata con la dissoluzione dell’URSS, era quello di trasformare il Paese in un albatros occidentale per la Russia, di impantanare Mosca in un pantano esteso per indebolire il suo potere e la sua influenza regionale e persino di incoraggiare un cambio di regime al Cremlino.

Se si accetta la logica di questa strategia, allora sembra plausibile un limitato sostegno militare occidentale agli obiettivi di guerra ucraini – diretto a creare un conflitto conflittuale e congelato. Tuttavia, anche in questo scenario, l’espansione della portata e del grado di tale sostegno fino a includere sistemi d’arma avanzati, come gli F-16 o i missili a lungo raggio, non è solo imprudente, ma sempre più suicida in qualsiasi calcolo costi-benefici. Un sostegno così esplicitamente ostile potrebbe far degenerare la guerra per procura in una guerra diretta e convenzionale – uno scenario da terza guerra mondiale, che il Presidente Biden insiste di voler evitare. Inoltre, nell’improbabile caso che tale assistenza militare espansiva riesca a cacciare le forze russe dal Donbass, per non parlare della Crimea (dove la Russia possiede una grande base navale), aumenterebbe drammaticamente la probabilità di un evento nucleare, dato che Mosca considera la protezione della sua roccaforte strategica nel Mar Nero come un imperativo esistenziale.

 

Perché, allora, l’Occidente continua ad assecondare l’Ucraina e a cedere alle pressioni reputazionali e al braccio di ferro dei nuovi membri della Nato nel corridoio Intermarium? Le cause sono molteplici e vanno dagli interessi privati e istituzionali dell’establishment internazionalista liberale alla diffusione di una visione del mondo manichea all’interno dell’alleanza. Il più importante, tuttavia, è il fenomeno della compulsione di gruppo verso l’escalation aggravata dall’insicurezza ontologica, che si verifica quando eventi storici mondiali improvvisi e tragici come l’invasione russa sconvolgono il senso unitario di ordine e continuità nel mondo.

 

Esacerbata dall’allargamento e dalla trasformazione della NATO in un colosso istituzionale di circa 30 nazioni con percezioni diverse della minaccia e della sicurezza, questa coazione ha plasmato e rafforzato una “identità” unificata tra le nazioni occidentali – una narrazione di noi contro di loro. In una condizione di insicurezza ontologica, le correnti socio-psicologiche ed emotive permettono di creare cascate di reputazione, di imporre il conformismo in nome dell’unità dell’Occidente e di rafforzare la “polarizzazione di gruppo” intorno alla scelta più rischiosa, che garantisce l’adozione di politiche più estreme ed escalatorie. E, cosa fondamentale, gli alleati troiani usano comprensibilmente queste dinamiche per promuovere i loro reali interessi nazionali e di sicurezza all’interno dell’alleanza, dando loro un ruolo molto più importante nel processo decisionale di quanto il loro potere relativo potrebbe far pensare.

 

Un’analisi più attenta del discorso interalleanza all’interno della Nato rivela anche una psicologia attivista che si cela sotto il segnale politico e ideologico. Dato che l’ideologia – in particolare l’umanitarismo e il democratismo liberali – gioca un ruolo chiave nel mantenimento dell’alleanza, il suo processo decisionale è predisposto alla fallacia dell’action bias: l’idea che fare qualcosa sia sempre meglio che non fare nulla. Questa sorta di mentalità reciproca, che si rafforza a vicenda, tra i membri dell’alleanza che professano un'”etica della cura” attivista, interpreta di riflesso la responsabilità come azione, mentre rimprovera l’esitazione e la moderazione come disumane. La dinamica ricorda l’osservazione di Nietzsche ne La nascita della tragedia, secondo cui “l’azione richiede di essere avvolti da un velo di illusione“; in questo caso, il “velo di illusione” è fornito dal processo ontologico di formazione dell’identità e dalle narrazioni condivise di “responsabilità collettiva” e “unità occidentale”.

 

Nel contesto del processo decisionale interalleanza, un’etica di questo tipo non può fare a meno di assecondare le richieste che le vengono rivolte, soprattutto perché i pari più rumorosi possono mascherare questa costrizione con il presunto imperativo morale di promuovere l’unità occidentale, difendere i “nostri valori” e combattere il male reazionario. La ricerca di sicurezza ontologica di una grande potenza globale ed egemonica come gli Stati Uniti mette in primo piano la necessità di un’ideologia che le offra un senso di coerenza, che faccia apparire le sue azioni come significative e giustificate. Lo stesso fenomeno vale per la Nato, che – pur non essendo uno Stato ma un’istituzione – è oggi praticamente un alter-ego degli Stati Uniti.

Ora, questo potrebbe sembrare indicare una tensione intrinseca tra il desiderio di un racconto di ancoraggio su “chi siamo” e la più tradizionale sicurezza materiale che si basa sull’autoconservazione fisica. Ma se questo è vero in alcuni casi, soprattutto in relazione a grandi potenze ideologiche come gli Stati Uniti, la cui auto-narrazione idealistica dell’eccezionalismo americano spesso si scontra con i suoi interessi reali, la ricerca di sicurezza ontologica e fisica è più congruente negli Stati più piccoli e di medio livello, per i quali sia gli interessi che le identità sono più radicati, localizzati e reali.

 

Nell’Anglosfera, forse a causa dell’eredità dell’imperialismo e della realtà storica dell’unipolarismo, esiste attualmente uno scollamento tra gli autentici interessi nazionali, definiti in modo ristretto e concreto, e il comportamento del suo establishment di politica estera liberale e internazionalista, che privilegia la ricerca di una sicurezza ontologica con ramificazioni globali. Questo fatto deve essere rettificato. Fortunatamente, ci sono i primi segni che il Presidente Biden e almeno alcuni dei suoi consiglieri, tra cui il presidente dello Stato Maggiore degli Stati Uniti, Gen. Mark Milley, hanno percepito questa terribile realtà e le sue ricadute potenzialmente pericolose, e stanno iniziando a parlare della necessità di negoziati e di una soluzione diplomatica in Ucraina.

 

All’inizio del secondo anno di guerra, molti a Washington si sono finalmente resi conto che l’esito probabile di questa tragedia è lo stallo: “Continueremo a cercare di convincere [la leadership ucraina] che non possiamo fare tutto e niente per sempre“, ha dichiarato questa settimana un alto funzionario dell’amministrazione Biden. Per quanto si parli di agenzia ucraina, questa dipende interamente dall’impegno della NATO a continuare a sostenere lo sforzo bellico di Kiev a tempo indeterminato. Un desiderio così massimalista di “vittoria completa” non solo è altamente distruttivo e fa pensare a un’altra guerra infinita, ma è anche imprudente; il suo stesso successo potrebbe scatenare un olocausto nucleare.

 

Mosca ha già pagato a caro prezzo le sue trasgressioni in Ucraina. Prolungare la guerra a questo punto, in una ricerca ideologica di vittoria totale, è discutibile sia dal punto di vista strategico che morale. Per molti internazionalisti liberali in Occidente, la richiesta di una “pace giusta” che sia sufficientemente punitiva per la Russia suggerisce poco più di un desiderio poco velato di imporre a Mosca una pace cartaginese. L’Occidente ha effettivamente ferito la Russia; ora deve decidere se lasciare che questa ferita si incancrenisca e faccia esplodere il mondo intero. Infatti, a meno che a Mosca non venga fornita una ragionevole via d’uscita che riconosca lo status della Russia come potenza regionale con i propri imperativi esistenziali di sicurezza strategica e ontologica, questo è il precipizio verso cui ci stiamo dirigendo.

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“Simplicius the Thinker”, 11 domande e risposte sulla guerra in Ucraina_a cura di Roberto Buffagni

“Simplicius the Thinker”, 11 domande e risposte sulla guerra in Ucraina

 

https://simplicius76.substack.com/p/saturday-readers-mailbag-extravaganza?utm_source=post-email-title&publication_id=1351274&post_id=107709348&isFreemail=true&utm_medium=email

PRIMA DOMANDA Supponendo che le azioni continuino per un altro anno o due. Come pensa che le elezioni americane del 24 influiscano sulla guerra?

In primo luogo, vorrei dire che credo che la guerra continuerà almeno più o meno per questo un periodo di tempo. Ho scritto nell’ultimo rapporto che finora, due mesi è il tempo medio necessario per catturare una città di medie dimensioni, e questo non include i diversi mesi di tempo che di solito intercorrono tra l’una e l’altra, che vengono impiegati per il modellamento del campo di battaglia e l'”avvicinamento” alla città. Quindi, se si fa un semplice calcolo, la strada da percorrere è ancora lunga.

 

Credo che il resto del 2023 possa ruotare semplicemente intorno alla cattura dell’agglomerato di Slavyansk/Kramatorsk, e non sono nemmeno sicuro che questo risultato possa essere raggiunto entro la fine del 2023, tanto meno la cattura del resto delle regioni a est del Dnieper. E sì, mi aspetto ancora un’incursione militare russa molto più ampia, come pensavamo potesse accadere settimane fa. Tuttavia, anche in questo caso non significa che le cose andranno velocemente, perché l’Ucraina ha ormai mobilitato molte nuove brigate di riserva che può chiamare a difendersi da una potenziale nuova offensiva russa. Non che ci riusciranno, ma significa che l’offensiva non sarà una guerra lampo che attraverserà il Paese in modo inarrestabile.

 

Per quanto riguarda le elezioni del 2024, una cosa che sappiamo è che Trump ha dichiarato che “fermerà la guerra in 24 ore” se verrà eletto, ma soprattutto che il metodo che ha ammesso più tranquillamente di essere disposto a usare per raggiungere questo obiettivo è la concessione territoriale. Tradotto: è disposto a costringere l’Ucraina a cedere il suo territorio, piuttosto che esigere i “confini pre-2022″.

 

D’altra parte, DeSantis sembra essere un comune guerrafondaio neocon, quindi se sarà eletto non possiamo aspettarci grandi cambiamenti nella postura degli Stati Uniti rispetto al presente.

 

Naturalmente, realisticamente, non credo che nessuno dei due abbia una possibilità, semplicemente perché i Democratici a questo punto hanno industrializzato le loro capacità di imbroglio/frode, ed è difficile immaginare che possano perdere di nuovo un’elezione, soprattutto perché l'”outsider” Trump minaccia di correre come indipendente, il che dividerà il voto repubblicano.

 

Qui, lo squallido Soros fa la sua previsione per il 2024, e non si può fare a meno di riconoscerne la probabilità:

https://youtu.be/2TjiLPZPn1U

 

Quindi non cambierà nulla in superficie, perché molto probabilmente avremo un altro guerrafondaio democratico come presidente. Tuttavia, ci sono alcune indicazioni, che non hanno apertamente a che fare con le elezioni in sé, secondo cui gli Stati Uniti non vedono l’ora di abbandonare l’Ucraina e di concentrarsi completamente sulla questione Cina-Taiwan. Alcuni ritengono addirittura che la recente attribuzione della colpa dell’attacco al Nordstream da parte di Biden rappresenti l’inizio di questo pivot to China.

Una possibilità è che sappiano che la guerra in Ucraina potrebbe essere vista come un importante fallimento dei Democratici quando il ciclo elettorale del 2024 sarà in pieno svolgimento. Possono estrapolare la situazione a un anno da oggi, e sanno benissimo che a quel punto l’Ucraina traballerà sull’orlo del baratro, e se i Democratici rimarranno ancora con la patata bollente in mano, sarà vista come un grande disastro e scandalo per loro, un punto debole estremamente vulnerabile che sarà un frutto facile da cogliere e un facile bersaglio per i Repubblicani su cui fare a pezzi Biden e la sua squadra.

Quindi, secondo una teoria, saranno costretti a nascondere l’Ucraina sotto il tappeto quest’anno per preparare la strada alle primarie (dal febbraio 2024 in poi) e al resto del circo elettorale.

A titolo di esempio, immaginiamo per un momento di essere a metà del 2024 e che le forze russe stiano circondando completamente Kiev, marciando su Odessa, ecc. Le perdite dell’Ucraina sono ormai note a tutti e ammontano a 500-700k, gli schermi televisivi americani sono pieni di immagini di carri armati Abrams in fiamme, di mercenari statunitensi morti e la situazione è un disastro assoluto, peggiore di tutte le ritirate di Biden dall’Afghanistan messe insieme. Che impressione faranno i Democratici?

 

Credo sia chiaro che vogliono che l’Ucraina dia un ultimo grande “urrà” con la cosiddetta offensiva di primavera, dopo di che, se fallisce, inizieranno le iniziative per congelare il conflitto nello “scenario coreano”. Ho scritto in precedenti rapporti che l’Occidente ha già segnalato l’imminenza dello “scenario coreano” per la fine di quest’anno.

Ma, va detto, voci alternative ritengono che sia il contrario: La NATO intende raddoppiare ancora di più il proprio impegno e si sussurra di una prossima escalation della NATO. Alcuni ritengono che gli Stati Uniti e la NATO entreranno nel conflitto in un modo o nell’altro nel prossimo futuro, soprattutto dopo il fallimento della “controffensiva” dell’Ucraina.

 

Lo scenario più probabile, ovviamente, da un punto di vista logico, è che una volta fallita l’offensiva ucraina, la Russia riceverà un forte invito a “coreanizzare” il conflitto. Poi arriveranno avvertimenti più forti e se la Russia si rifiuterà di scendere a compromessi e andrà avanti entro l’estate, allora le voci più ferme e radicali all’interno della NATO batteranno certamente i tamburi e le sciabole per un qualche tipo di intervento. La domanda è: saranno soffocate da voci più razionali e non suicide o no?

 

SECONDA DOMANDA Sì, sembra che i neoconservatori di Washington siano intenzionati a creare una narrativa secondo cui la Russia avrebbe esaurito le attrezzature militari, le munizioni, i missili, l’artiglieria ecc. In questo modo, quando la Russia avrà finalmente successo, i neocon potranno comodamente dare la colpa alla Cina.

Gli Stati Uniti stanno cercando di bloccare il processo di unificazione eurasiatica?

Non mi riferisco strettamente alla discussione sulla guerra tra Russia e Ucraina, ma a ciò che sta realmente accadendo: gli Stati Uniti non vogliono semplicemente sciogliere questo conflitto che hanno creato e che sicuramente sanno di non poter vincere per molte ragioni. Vi va di condividere i vostri pensieri in merito?

Beh, credo che sia abbastanza evidente che gli Stati Uniti stiano cercando di ostacolare, sovvertire, mettere i bastoni tra le ruote o distruggere del tutto qualsiasi cosa possa rafforzare le varie iniziative “eurasiatiche”, che si tratti della One Belt One Road o, più specificamente, delle relazioni tra Cina e Russia, ecc.

Ora, se ho capito il senso della sua domanda, che sembra essere: perché gli Stati Uniti continuano in modo così flagrante e ossessivamente sconsiderato, se sicuramente devono percepire che la vittoria per loro non è probabile.

Ebbene, la ragione principale è questa – e risponde alla condizione USA di essere rigorosamente “al di fuori” dell’effettiva parte cinetica del conflitto ucraino – il semplice fatto è che per gli Stati Uniti la “guerra cinetica sul terreno” in Ucraina è in realtà della minima importanza possibile. Gli obiettivi di gran lunga più importanti dell’intera situazione sono i seguenti:

 

  1. Distruggere le relazioni russo-tedesche
  2. Staccare la spina all’Europa dall’energia russa
  3. Rendere l’Europa, al contrario, dipendente dall’energia statunitense.
  4. Far fallire e deindustrializzare l’Europa per tenerla sottomessa al potere egemonico statunitense.

 

E indovinate un po’? Su quasi tutti questi punti gli Stati Uniti hanno avuto successo a pieni voti. Una vittoria grandiosa e senza precedenti. E più a lungo riusciranno a mantenere la situazione, più conseguenze geopolitiche positive potranno trarre da questa situazione. Per quanto riguarda chi ottiene quale terra in Ucraina, non gliene può fregare di meno. Certo, sarebbe molto bello per loro ottenere Odessa, o impedire alla Russia di ottenerla, ecc. Ma questo impallidisce rispetto all’importanza di distruggere l’onnipotente riavvicinamento e l’integrazione economica russo-europea.

 

Invito tutti a guardare questo famoso segmento del fondatore di STRATFOR George Friedman che spiega la quintessenza del problema classico:

https://youtu.be/QeLu_yyz3tc

 

TERZA DOMANDA Dove sono i ceceni?

Ho trattato questo tema più in dettaglio qui: https://simplicius76.substack.com/p/sitrep-223-putin-prigozhin-pmcs-and?utm_source=substack&utm_campaign=post_embed&utm_medium=web

Comunque, ricapitolando, i ceceni sono ancora lì, ma non sono così visibili per un paio di motivi:

I ceceni sono una forza di fanteria leggera perché la maggior parte di loro proviene tecnicamente da unità militari “irregolari” come le FSVNG, che sono “Forze Speciali della Guardia Nazionale Russa”, e cose del genere. Ciò significa che in genere le loro formazioni non dispongono di “armi pesanti” (carri armati, artiglieria, ecc.) e quindi non sono adatte ai tipi di combattimenti che sono prevalenti in Ucraina in questo momento.

Se ricordate, sono stati importanti a Mariupol, Popasna, Severodonetsk e in altri scontri urbani, ma al momento c’è solo una città principale: Bakhmut. E Wagner l’ha già “rivendicata”, per così dire.

Credo anche – anche se questa è una mia opinione basata sull’analisi – che i ceceni siano stati leggermente “limitati” da un MOD russo sempre più attento all’immagine, perché i ceceni hanno cominciato a diventare un po’ troppo vivaci, rubando per così dire la scena. Così è stato detto loro di abbassare un po’ la voce e di tenere un profilo più basso.

Detto questo, se si guarda da vicino è ancora possibile vederli spesso, su molti fronti. Forse l’ultima volta ho postato come sono stati visti catturare l’élite ucraina della 79ª Brigata aviotrasportata circa un mese fa:

Video 1
Video 2

E solo pochi giorni fa, dopo il ritorno dal suo incidente di avvelenamento (tentato omicidio), il comandante del battaglione Akhmat Apti Alaudinov è stato visto catturare un nuovo gruppo di prigionieri di guerra dell’AFU con la sua unità cecena:

Video 1
Video 2

Negli ultimi tempi sono stati visti operare nella zona di Kremennaya come truppe d’assalto nei boschi e anche nella regione settentrionale di Mariupol-Donetsk.

E come si può vedere qui, Prigozhin/Wagner sono diventati vicini anche ai ceceni, poiché è a loro che Prigozhin si è rivolto per rifornirsi di munizioni quando la MOD russa gli ha presumibilmente chiuso il rubinetto settimane fa.

Infine, credo che nei prossimi assedi di grandi città che ci attendono, probabilmente vedremo i ceceni giocare ancora una volta un ruolo più ampio e visibile; ad esempio Slavyansk/Kramatorsk, e forse anche la riconquista di Kupyansk, ecc.

 

QUARTA DOMANDA Vorrei sentire la vostra opinione su quale potrebbe essere una posizione ragionevole da accettare per entrambe le parti per porre fine a questa guerra.

Questa è una buona domanda da parte di un ex paracadutista. Vorrei iniziare con l’Ucraina, perché i suoi confini di “ragionevolezza” sono molto più facili da delimitare.

Tutto inizia con la seguente serie di immagini che vorrei che tutti coloro che sono interessati a questa risposta studiassero molto attentamente:

Questa prima immagine rappresenta le elezioni presidenziali ucraine del 2004. Lascerò che Wikipedia descriva sinteticamente ciò che stiamo vedendo:

I due principali contendenti alle elezioni erano il primo ministro in carica e candidato sostenuto dal governo Viktor Yanukovych e il leader dell’opposizione Viktor Yushchenko. Viktor Yanukovych, primo ministro dal 2002, era sostenuto dal presidente uscente Leonid Kuchma, nonché dal governo russo e dall’allora presidente Vladimir Putin.[1][2]

Viktor Yushchenko è stato dipinto come più filo-occidentale e ha ricevuto il sostegno degli Stati dell’Unione Europea e degli Stati Uniti.

 

Quindi, è molto chiaro: Viktor Yanukovych è fortemente sostenuto dal governo russo ed è considerato il candidato filorusso. Viktor Yuschenko è fortemente sostenuto dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea ed è considerato il candidato filo-occidentale.

Ciò che appare chiaro è che il Paese è diviso secondo linee fortemente partitiche. E naturalmente queste regioni corrispondono esattamente ai luoghi in cui si prevede che la Russia effettuerà le annessioni.

Un piccolo riferimento storico per contestualizzare:

 

Infine, ecco la distribuzione delle elezioni del 2010:

Si trattava di una sfida tra Viktor Yanukovich (filo-russo, come abbiamo stabilito sopra) e Yulia Tymoshenko (candidata dell'”establishment” fortemente filo-occidentale).

Quindi cosa vediamo? Anche se le elezioni sono distanti quasi un decennio, la stessa distribuzione. E le aree blu sono esattamente quelle in cui i russofoni hanno continuato a essere repressi, perseguitati, negati nei loro diritti in modi sempre più draconiani e tirannici.

Detto questo, per tornare alla sua domanda: che cosa è “ragionevole” aspettarsi dall’Ucraina per raggiungere i negoziati? Credo che dopo il tipo di persecuzione dilagante e di pulizia etnica che il regime ucraino ha condotto su quelle popolazioni della “zona blu”, non possa che essere ragionevole per l’Ucraina cedere la maggior parte di quelle aree. Tornerò tra un attimo sul perché ho parlato di “maggioranza”.

Innanzitutto vorrei ricordare che in innumerevoli interviste, sia con i soldati dell’AFU ai livelli più bassi, sia con i ministri di alto livello, li abbiamo visti esprimere il sentimento che le popolazioni delle regioni russe non sono tenute in considerazione da loro. E non lo dico nel modo banale e polemico di gridare frasi trite e ritrite come “Odiano quella gente!”, eccetera, ma piuttosto con dichiarazioni specifiche in cui li hanno già “cancellati” e hanno fatto capire che non si preoccupano di quelle popolazioni.

Non ho bisogno di sminuire l’argomento con un “appello alle emozioni” postando gli innumerevoli video in mio possesso che mostrano dichiarazioni di soldati ucraini, ministri, ecc. in cui invocano la pulizia totale, il genocidio, ecc. della popolazione del Donbass, che non considerano veramente “ucraina”. Ma è sufficiente dire che ci sono molti video di questo tipo per capire che è necessario un “divorzio” tra le due popolazioni. L’unica domanda è: dove saranno esattamente le linee di demarcazione?

Quindi, per tornare al motivo per cui ho detto che ci si aspetta che l’Ucraina ceda la “maggioranza” di queste regioni piuttosto che “tutte”. L’ho detto perché lo “spirito” della sua domanda sembrava essere quello del “compromesso”. E sebbene personalmente non ritenga che la Russia debba scendere a compromessi, e che debba andare fino in fondo, per onorare lo spirito della sua domanda, dirò che se si vuole raggiungere una “pace” attraverso un compromesso, allora, ipoteticamente parlando, entrambe le parti dovrebbero fare una concessione.

Nel caso dell’Ucraina, tale concessione dovrebbe naturalmente essere la maggior parte del suddetto territorio “blu”. Nel caso della Russia, la concessione “ragionevole” sarebbe una questione di quanta parte del territorio blu prendere. La soluzione più naturale sarebbe che la Russia tenesse tutto ciò che già possiede a est del Dniepr. Ma c’è la questione della regione critica di Kharkov, che la Russia non ha ancora e alla quale l’Ucraina non rinuncerebbe mai volentieri perché Kharkov è una città assolutamente critica, probabilmente la più importante dell’Ucraina (per certi versi è anche più importante di Kiev perché ha molte industrie critiche).

Kharkov, ovviamente, è ufficialmente la seconda città più grande dell’Ucraina dopo Kiev. E credo che questo sia un punto su cui nessuna delle due parti scenderà a compromessi, perché nel caso dell’Ucraina è di estrema importanza per le ragioni sopra citate. Nel caso della Russia, si tratta di una regione filorussa che si trova letteralmente al confine con la Russia vera e propria, e quindi è troppo pericolosa per permettere che rimanga nelle mani militarizzate dell’Ucraina. Quindi, purtroppo, quando si tratta di questo, non vedo alcun compromesso “ragionevole” possibile.

Alla fine, queste sono solo le mie risposte da “avvocato del diavolo”. Il mio punto di vista personale è che l’unica soluzione “ragionevole” è che la Russia completi il mandato completo dell’OMU: resa totale e incondizionata dell’AFU attraverso la completa smilitarizzazione/distruzione delle sue forze armate, seguita dall’occupazione totale del Paese e dal cambio di regime con un fantoccio non installato dalla NATO. Questo perché a questo punto, ora che i disegni della NATO/Occidente sono chiari, la Russia non può più rischiare la minaccia esistenziale di avere uno Stato nazista, razzista e armato proprio ai suoi confini.

Può sembrare duro, ma questa è realpolitik.

 

QUINTA DOMANDA Per quanto riguarda le domande, vorrei un breve resoconto su come si svolge la vita nelle aree e negli insediamenti nei nuovi territori russi che sono relativamente lontani dal fronte, come Lugansk o Berdiansk, per esempio. Ho visto alcuni video da Mariupol, ma niente di più. Le persone che si sono trasferite da lì dal 2014 stanno tornando? Come procedono i lavori di ricostruzione?

Purtroppo il mio russo è molto debole, ma se poteste indicarmi qualche canale che tratta questo argomento sarebbe bello. Grazie ancora per il vostro lavoro!

Innanzitutto, per togliermi il pensiero prima che me ne dimentichi, vorrei segnalare a tutti questo meraviglioso canale interamente dedicato alla ricostruzione e alla vita quotidiana di Mariupol:

 

https://www.youtube.com/@MariupolVideo/videos

 

Ci sono letteralmente centinaia di video, postati quasi quotidianamente, che mostrano la risorgente vita quotidiana di Mariupol mentre si rimette in piedi. Un tema comune è la costruzione infinita ovunque, molti mercati ad hoc che sorgono in vari angoli della città con persone che vendono di tutto, dal cibo di strada ai vestiti, ristrutturazioni ovunque e il ritorno della normalità.

Ecco l’ultimo di un giorno fa: https://youtu.be/LJUdQEmDdZk

Per quanto riguarda le altre città, non c’è molto di specifico da dire se non il fatto che è in atto una costante crescita dell’integrazione con la Federazione Russa vera e propria, in termini di tutti i servizi, le utenze, le banche, ecc.

Ad esempio, le maggiori banche russe come Sberbank, Bank of Russia e PSB hanno iniziato ad aprire filiali in varie città come Energodar, Donbass e altre città regionali di Zaporozhe/Kherson.

Solo una settimana fa è stato annunciato il completamento di un gigantesco progetto di conduttura idrica che collega la Russia continentale a Rostov al Donbass.

La più grande conduttura idrica che collega la regione di Rostov e il Donbass inizierà a funzionare nell’aprile di quest’anno. L’avanzamento dei lavori è stato ispezionato dal vice ministro della Difesa della Federazione Russa Timur Ivanov.

Data l’importanza del progetto in corso di realizzazione, il Ministero della Difesa russo continua a incrementare il raggruppamento di costruttori militari presso le strutture del gasdotto.

Ad oggi, più di 3.200 specialisti e oltre 1.300 attrezzature sono stati coinvolti nella costruzione.

 

Così, a poco a poco, la Russia sta integrando la sua patria con quella del Donbass, legandole indissolubilmente attraverso le infrastrutture critiche.

 

A proposito, visto che avete citato Berdiansk, va notato che una settimana fa il governo regionale ha ufficialmente dichiarato e firmato la legge che Melitopol è la nuova “capitale” ufficiale dell’Oblast’ di Zaporozhe. Poiché la Russia non possiede la città di Zaporozhe, ma controlla la maggior parte dell’oblast’, Melitopol fungerà da capitale regionale. Molte di queste città, come Melitopol, Berdiansk, Energodar, non sono state molto danneggiate dai combattimenti perché sono state prese rapidamente, quindi non c’è molto da dire in termini di “ricostruzione”. Queste città sono per lo più tornate alla normalità e continuano a funzionare normalmente. Naturalmente c’è una percentuale di persone che sono fuggite, ma non è gigantesca.

In effetti, qui si possono vedere le truppe russe che si congratulano con le donne in occasione della Festa della Donna, qualche giorno fa a Melitopol:

https://video.twimg.com/ext_tw_video/1633803155321372676/pu/vid/1280×720/GSvjhmjpWDPs3roE.mp4?tag=12

E qui a Mariupol.

 

Tuttavia, ci sono alcune città che sono state praticamente cancellate dalla mappa e che potrebbero non essere mai ricostruite. Un esempio è Popasna, e probabilmente Rubizhne. E naturalmente una serie di città più piccole come Marinka, Avdeevka, ecc. Non ne sono sicuro al 100%, ma ho letto che Popasna è completamente distrutta, una città che sarà probabilmente abbandonata/condannata o ricostruita da zero. Anche Severodonetsk è stata pesantemente danneggiata, ma ora è in funzione, anche se non credo che la ricostruzione stia procedendo così rapidamente come in luoghi come Mariupol, dove la Russia pone molta più enfasi e urgenza.

 

Ecco un video recente da Severodonetsk:

https://video.twimg.com/amplify_video/1632019398448889857/vid/640×360/wdYqkSrq3ys-rUde.mp4?tag=16

 

SESTA DOMANDA 1) Lei ha spesso citato fonti affidabili qui, compreso Twitter e altrove. Mi chiedevo se potesse offrire un post in cui consigliare un elenco di fonti suggerite, magari con le avvertenze che potrebbero accompagnare ciascuna di esse.

Sfortunatamente, non esistono una o due fonti perfette o affidabili, e un’analisi accurata si basa più che altro su una comprensione a lungo termine di quali cose tenere o scartare. Per la cronaca, sono abbonato a un’ampia varietà di fonti sia su Twitter, sia su Telegram, sia sul web, e le scruto doverosamente (e a volte noiosamente) ogni giorno per creare un quadro composito di ciò che sta accadendo. Ci sono decine di account di spicco su Twitter, oltre 80-90 che seguo su Telegram, e poi varie fonti web.

I migliori in generale su Telegram sono probabilmente ColonelCassad e il canale russo Rybar, così come AnnaNews, Intel Slava Z e i canali ufficiali del Ministero della Difesa russo.

Su Twitter, i canali più affidabili, con una reale integrità e professionalità, sono:

@GeromanAT

@vicktop55

@rwapodcast

@Suriyakmaps per le migliori e più affidabili mappe aggiornate.

 

Anche le migliori mappe web aggiornate della guerra sono:

Map 1
Map 2
Map 3  (con il posizionamento delle unità)

(2) Mi chiedo anche quale sia la tempistica dell’attacco al Nord Stream, il 26 settembre.

Purtroppo questa storia di cui mi hai chiesto è la prima volta che ne sento parlare personalmente, quindi non posso darti una risposta valida. Tuttavia, l’unica cosa che posso dire è che se hai letto la storia di Sy Hersh Nordstream, e se ci credi, noterai che in quella versione dei fatti, la squadra della NATO ha piazzato gli esplosivi sul tubo molto tempo prima di farlo esplodere. In effetti, c’era un’intera sezione su come stessero cercando di trovare un modo in cui gli esplosivi potessero rimanere inattivi ed essere attivati in seguito, un problema molto difficile da risolvere.

Quindi, la voce da lei riportata, che sembrava più improvvisata sul posto, si scontrerebbe con quella versione degli eventi che descrive uno scenario molto più pianificato, con la decisione di far saltare il gasdotto già presa mesi prima, piuttosto che “sul posto” a causa di qualche ipotetica “fuga di notizie” da parte di MBS.

La verità è che tutti noi abbiamo visto le scritte sul muro e sapevamo che l’oleodotto sarebbe saltato da tempo. Diversi anni fa ho detto ad amici intimi che l’oleodotto non sarebbe mai stato completato. È troppo delicato dal punto di vista geopolitico e la mia previsione in tal senso si è avverata.

Qui c’è un video di ben due minuti in cui i politici statunitensi hanno praticamente telegrafato da tempo le loro precise intenzioni di disattivare l’oleodotto. In breve, si trattava di qualcosa deciso molto tempo fa, e non di una decisione avventata presa per “capriccio” perché Putin aveva incontrato Scholz, ecc. Era praticamente un fatto compiuto.

3) Sembra che la Russia stia mettendo a punto sistemi di armamento più grandi e che si stia intensificando in alcuni modi tattici solo dopo che l'”Occidente collettivo” lo fa per primo. Ad esempio, gli attacchi al Nord Stream e al ponte sullo Stretto di Kerch hanno visto una drammatica impennata degli attacchi russi alle infrastrutture. Più recentemente, abbiamo visto la Russia dispiegare bombe glide dopo che gli Stati Uniti hanno iniziato a spingere i JDAM. Questi sono solo un paio di esempi tra i tanti, ma credo che il punto sia chiaro. Quindi la domanda è: qual è il prossimo passo nella scala mobile dell’escalation? Quali sistemi d’arma potrebbero essere introdotti dagli Stati Uniti in questo conflitto e spingere la Russia a rispondere con qualcosa che finora ha tenuto in riserva? È possibile vedere in anticipo in questo senso?

Beh, prima di tutto lasciatemi dire che l’introduzione delle bombe glide russe non ha nulla a che fare con un’escalation. È semplicemente un effetto secondario del fatto che non avevano già pronte queste bombe più recenti, e che il vasto incremento nella produzione della loro industria bellica ha permesso loro di iniziare finalmente a produrle. Le avrebbero usate in massa se avessero potuto all’inizio della guerra. Quindi alcune di queste cose che lei cita non hanno un vero rapporto di causalità.

Per esempio, negli attacchi missilistici di massa di ieri, la Russia avrebbe usato 6 missili ipersonici Kinzhal. È facile leggere questo fatto e dire che si è trattato di una sorta di “risposta” punitiva e di escalation per qualche atto percepito, come il recente attacco terroristico transfrontaliero dell’Ucraina alla regione russa di Bryansk. Ma in realtà non ha alcun legame con questo, è semplicemente la Russia che utilizza armi che non sono più così “scarse” come un tempo a causa dell’aumento di massa della produzione.

La Russia produceva qualcosa come una dozzina di Kinzhal all’anno prima dell’SMO, o un numero così misero. Ora:

La Federazione Russa ha aumentato la produzione del sistema missilistico ipersonico Kinzhal, ha dichiarato il capo della Rostec Sergey Chemezov. “Sono entrato in produzione molto tempo fa, inizialmente non c’era bisogno di una tale quantità. Ora la stiamo aumentando”, ha dichiarato Chemezov in un’intervista al programma Military Acceptance. Ha dichiarato che Rostec sta attualmente producendo volumi colossali di prodotti per il Ministero della Difesa della RF. “I volumi sono cresciuti in modo significativo, in alcuni casi di 50 volte”, ha detto Chemezov.

È così semplice.

 

Ma per rispondere alla domanda ipotetica su quale tipo di sistema d’arma la Russia potrebbe reciprocamente ancora intensificare l’uso che non ha ancora fatto, in risposta all’uso occidentale/ucraino, direi che non c’è un vero e proprio sistema d’arma che la Russia ha “trattenuto” e che non ha ancora usato. Piuttosto, sono i tipi di obiettivi su cui si sono trattenuti e che possono passare a colpire.

È ovvio che non hanno ancora preso di mira la leadership ucraina. Un esempio: ieri l’intera leadership ucraina, da Zelensky al comandante supremo Zaluzhny, al capo dell’SBU Budanov e molti altri, erano tutti seduti in un unico luogo al funerale di un famoso nazista ucraino recentemente liquidato a Bakhmut.

https://video.twimg.com/ext_tw_video/1634238521513787397/pu/vid/480×270/yY8SnVqjrIedTe7d.mp4?tag=12

La Russia avrebbe potuto facilmente spazzare via l’intera leadership con un preciso attacco Iskander. Chiaramente, il messaggio è che non hanno interesse a uccidere la leadership. Ma questo è un punto dell’escalation in cui c’è ancora margine di manovra, se mi spiego.

L’unica altra cosa che posso dire è che recentemente l’Ucraina ha iniziato a usare non solo gli attacchi chimici, come si può vedere qui: https://www.bitchute.com/video/MeIU5uoF8PqF/

Ma hanno anche iniziato a usare i gas lacrimogeni per stanare le trincee russe. Quindi le forze russe e della DDR hanno iniziato a usare reciprocamente droni che lanciano gas lacrimogeni per stanare regolarmente anche le trincee ucraine: https://www.bitchute.com/video/Qoqsqd4YCXuj/

Quindi, come ho detto, non c’è un particolare sistema d’arma che la Russia non ha usato di per sé, ma si tratta più che altro della quantità e degli obiettivi su cui si sta ancora “trattenendo”, e su cui può ancora fare un’escalation.

SETTIMA DOMANDA Quali sono gli obiettivi russi in questa guerra?

La maggior parte dei commentatori e delle commentatrici si concentra su obiettivi ovvi, ma a me sembra che il nemico della Russia non sia mai stato l’Ucraina, bensì la CIA e la sua maschera NATO.

Se fossi lo zar di tutte le Russie, sarebbe ovvio per me che il potere che controlla gli Stati Uniti ha reso perfettamente chiaro che non posso semplicemente sconfiggere le forze ucraine, smilitarizzare il territorio ucraino e chiudere la questione. E a volte mi sembra che i russi agiscano in modi che suggeriscono obiettivi tutt’altro che lineari.

O me lo sto immaginando? SImplicius — con il suo studio dettagliato di questa guerra, vede prove evidenti di obiettivi russi diretti o meno diretti?

Questa è un’ottima domanda, perché mi porta a dire qualcosa di piuttosto eterodosso che molti troveranno sorprendente o scioccante e che probabilmente interpreteranno in modo errato come una sorta di segno di debolezza o di arretratezza/scarsa pianificazione da parte della Russia.

Ma il fatto è che: gli obiettivi della Russia in questa guerra sono fluidi. Uno dei modi in cui lo sappiamo deriva innanzitutto dalla comprensione di come vengono pianificate le campagne militari. Bisogna innanzitutto capire che le campagne militari non sono costruite in base al “capriccio” di qualcuno o al “sentimento” di un particolare generale o leader in un certo giorno. Ci sono dottrine e regole molto rigide che circondano la pianificazione, che potrebbero essere paragonate ai regolamenti e ai protocolli di un qualsiasi lavoro.

Esistono mandati e dottrine che richiedono vari imprevisti, piani B e molte altre cose del genere. Si tratta di semplice ridondanza logica, precauzione, ecc. Nessuna campagna militare è pianificata con un solo livello di obiettivi predefiniti.

Quindi, ciò che possiamo dedurre da questo è che la Russia ha probabilmente una serie di obiettivi tangibili, ma c’è anche uno strato di contingenza flessibile incorporato in esso, specificamente al fine di lasciare “spazio” per le varie possibilità che possono verificarsi, come l’ingresso della NATO nel conflitto, vari scenari di falseflag, ecc.

L’obiettivo di superficie più evidente, di primo livello e più critico è la liberazione di tutto l’attuale territorio russo legale e costituzionale. Questo include principalmente le quattro regioni che Putin ha firmato costituzionalmente come parte della Federazione Russa nel settembre 2022: DPR, LPR, Kherson, Zaporozhe.

L’obiettivo successivo più importante è la sconfitta delle forze armate ucraine fino alla resa incondizionata. Pur essendo anch’esso cruciale, non è assolutamente critico come il precedente. Anche se ovviamente sarebbe una grave perdita sotto molti aspetti se la Russia non fosse in grado di raggiungere questo obiettivo, ma non è una perdita così grande come non liberare il proprio territorio costituzionale e permettere che rimanga occupato da una forza nemica.

Non l’hanno annunciato “ufficialmente”, ma è stato segnalato in una varietà di modi non ufficiali attraverso vari portavoce governativi e funzionari altamente collegati che la Russia intende includere altre regioni nel piano di annessione, in particolare Kharkov, Dnipro, forse Sumy, Odessa, ecc.

A parte questo, e sebbene ciò faccia infuriare anche molti sostenitori filorussi che vorrebbero tanto che le cose fossero chiare e facili da capire, la Russia sta giocando le sue carte “vicino al petto” per le ragioni che ho menzionato prima. Vuole rimanere flessibile per rispondere alle mosse della NATO. Se la Russia comunicasse tutti i suoi piani e obiettivi esatti, darebbe all’Occidente l’opportunità di cercare di contrastarli. In questo modo, la Russia può tenerli sulle spine.

Ma idealmente, ovviamente, la Russia vuole la resa totale dell’AFU e un cambio di regime a Kiev con un leader fantoccio non occidentale che supervisionerà anni di smilitarizzazione dell’AFU e avrà forti legami con Mosca per assicurarsi che l’Ucraina rimanga smilitarizzata. Potrebbe anche essere prevista una sorta di “occupazione”, in cui un certo contingente di forze di pace russe rimarrà nel Paese per assicurarsi che non vi siano tentativi occulti di militarizzazione. Dopotutto, questo non è diverso da come fanno gli Stati Uniti, che continuano ad avere basi militari in quasi tutti i Paesi precedentemente conquistati, dalla Germania al Giappone, ecc. Il loro scopo è proprio quello di tenere un piede sul collo di questi Paesi, assicurandosi che non si militarizzino mai troppo.

In breve, l’obiettivo e la preoccupazione principale della Russia è di non essere sbilanciata dalla varietà di trucchi e carte vincenti che la NATO ha in serbo per la regione; come le varie provocazioni destabilizzanti che può innescare in qualsiasi momento – ad esempio la Transnistria, ecc.

Detto questo, questi sono gli obiettivi “diretti”, e lei ha chiesto di quelli non diretti. Ci sono alcune prove per concludere che gli obiettivi “segreti” includono la smilitarizzazione dell’Europa/NATO, consentendo loro di inviare tutte le loro scorte in Ucraina per una facile distruzione. È un modo molto conveniente per la Russia di creare una massiccia disparità di forze, perché le industrie russe hanno un enorme vantaggio rispetto alle industrie di armi europee, che sono in cattive condizioni. Ciò significa che la Russia può rimpiazzare le sue perdite mentre l’Occidente non può farlo, almeno non così rapidamente.

A riprova di ciò, il fatto che la Russia non ha tolto i ponti sul Dnieper e continua a permettere ai carri armati e alle varie attrezzature pesanti di entrare dove possono essere convenientemente smilitarizzati.

E naturalmente ci sono obiettivi geopolitici più ampi: lo stesso Putin ha dichiarato più volte che in un certo senso l’OMU è stata una manna perché permette alla Russia di ristrutturare forzatamente la sua economia in meglio, costringendo le sue industrie ad attuare la sostituzione delle importazioni, in modo che la Russia possa diventare ancora più autosufficiente (per molti versi è già il Paese più autosufficiente della Terra).

Inoltre, credo che la Russia veda il crescente malcontento in Occidente, l’attrito e la crescente divisione di base tra Europa e Stati Uniti, e questo è di gran lunga l’obiettivo finale più importante, ovvero il lento deterioramento e la disintegrazione finale sia dell’UE che della NATO. Attualmente la NATO pensa di “rafforzarsi” perché ha in programma di aggiungere alcuni membri deboli come la Finlandia e la Svezia, ma in realtà le sue fondamenta si stanno incrinando (non da ultimo perché più si avvicina ad aggiungere nuovi membri insignificanti, più si avvicina a perdere il suo membro geopoliticamente più importante, la Turchia).

 

OTTAVA DOMANDA 1. Visto il numero di gran lunga superiore di proiettili sparati dall’artiglieria russa, ciò si spiega con una migliore metallurgia all’interno delle canne dei cannoni russi o questi cannoni vengono ruotati per la manutenzione preventiva su qualche tipo di base pratica/scientifica?

Per quanto riguarda i bossoli e la metallurgia, è difficile saperlo con certezza, ma sembra che sia così. Semplicemente perché ci sono state molte segnalazioni specifiche di SPG NATO che hanno perso le loro canne molto presto rispetto alle varianti russe. Per esempio, le famose foto dell’AHS Krab polacco con la canna esplosa sono state mostrate non molto tempo dopo la consegna, e certamente non abbastanza a lungo per raggiungere la durata di 4000-7000 proiettili per cui è stato progettato. Notizie analoghe di Caesar francesi che si sono rotti, ecc.

Tuttavia, va notato che nel caso dell’AFU, molti dei difetti dei loro sistemi si sono verificati a causa del folle miscuglio di tipi di munizioni/sistemi con cui sono costretti a destreggiarsi. Leggete questo rapporto (e ce ne sono altri simili):

 

TLDR: l’AFU in alcuni casi accidentalmente, in altri per pura necessità/assenza di scelta, ha utilizzato tipi di propellente errati/differenti in sistemi non corrispondenti, propellente per M777 in canne Krab, ecc.

L’unica cosa definitiva che posso dire è che ci sono state varie segnalazioni da parte russa, secondo le quali le canne sono in grado di durare molto più a lungo di quanto previsto. Per esempio, la durata di fabbrica è ufficialmente di circa 1500-3500 colpi su molti sistemi, più o meno a seconda del sistema. Ma stanno scoprendo che possono arrivare a più di 7000, ecc. E ci sono state molte lamentele da parte russa sull’uso dei carri armati principalmente come artiglieria a fuoco indiretto (con proiettili HE). Questo è un grosso problema perché i proiettili HE apparentemente consumano molto di più le canne dei carri armati.

Purtroppo non ho visto rapporti specifici che parlino o mostrino la sostituzione delle canne, ma è una supposizione logica e istruita che i russi lo stiano facendo, soprattutto perché abbiamo visto cose come treni carichi di SPG diretti in Russia per essere riparati, dove gli SPG non sembravano palesemente danneggiati, il che probabilmente indica che stanno andando a riparare le canne.

Il fatto è che con i carri armati questo probabilmente non è un problema così grande, perché la durata di vita della maggior parte dei carri armati dell’SMO probabilmente non è nemmeno abbastanza alta da preoccuparsi dell’usura della canna. Ma con gli SPG, che sono molto più sicuri nelle “retrovie”, raramente vengono fatti fuori e quindi le loro canne si consumano. Detto questo, gli SPG probabilmente sparano anche molto meno. Il motivo è che spesso vengono chiamati una o due volte al giorno per una missione di fuoco specifica su un bersaglio designato. Mentre i carri armati sono spesso usati per starsene lì seduti per un’ora a bombardare senza sosta varie fortificazioni e obiettivi casuali in modo “a volontà” (cioè continuando a sparare a qualsiasi cosa capiti di vedere).

Inoltre, va notato che non è necessario sostituire l’intera canna, ma il “rivestimento della canna”, che è una guaina metallica separata che risiede all’interno della canna.

  1. Con la recente notizia che la diplomazia cinese ha compiuto il primo passo di riavvicinamento tra Iran e Arabia Saudita, non sembra un paletto di legno nel cuore del mostro della guerra di Washington, il distretto della corruzione?

Beh, sicuramente sì. Tuttavia, ci sono alcune sfumature, come il fatto che, allo stesso tempo, la SA sta segnalando un accordo per il riavvicinamento con Israele e il suo programma nucleare: https://www.zerohedge.com/geopolitical/saudis-want-civilian-nuclear-program-exchange-normalization-israel

 

Detto questo, il semplice fatto che questo apra la porta a Arabia Saudita e Iran per entrare entrambi nei Brics nel futuro a medio termine è certamente una possibilità che fa tremare il mondo. L’unico problema è che per la maggior parte di queste cose ci vorrà molto più tempo di quanto vorremmo, quindi posso solo archiviarla come una cosa futura da attendere con ansia, ma la direzione che traccia è sicuramente molto promettente.

Secondo quanto riferito, negli ultimi tempi lo yuan cinese ha scalato costantemente le classifiche della maggior parte delle valute globali in circolazione, al momento #5. Se la Cina riuscirà davvero a convincere l’Arabia Saudita e l’Iran a unirsi ai BRIC e poi a portarli lentamente verso un maggiore volume di scambi commerciali in yuan, allora sarà il vero chiodo finale sulla bara della supremazia del dollaro USA, del petrodollaro, del “privilegio esorbitante”, ecc.

Ma, come ho già detto, penso che ci siano ancora molte insidie e deviazioni da affrontare, perché la cabala statunitense/bancaria andrà a fondo combattendo.

NONA DOMANDA Putin si rende conto che gli interessi occidentali/atlantici stanno perpetuando una frode rubando gli “aiuti” con entrambe le mani? Ci sarà un cessate il fuoco come al confine tra Corea del Nord e Corea del Sud, dove viene stabilita una zona cuscinetto ed entrambe le culture possono leccarsi le ferite e andare avanti? Sono un americano orgoglioso e non mi piace sentirmi nella squadra dei cattivi. Qual è il meglio che posso sperare in questa situazione assurda?

Per quanto riguarda la prima parte della domanda, Putin sa benissimo cosa sta facendo l’Occidente in questo senso. Ha apertamente denunciato la loro maliziosa doppiezza quando si tratta di tutto, compresi gli aiuti, molte volte.

Tuttavia, per quanto riguarda la seconda questione, più complicata, di un cessate il fuoco in stile coreano, questo è sicuramente ciò verso cui si sta orientando il conflitto. L’unica domanda è se la Russia/Putin avrà i mezzi per continuare fino alla fine, o se le pressioni saranno troppo forti a quel punto.

Ne ho parlato in modo molto più approfondito in questo articolo: https://simplicius76.substack.com/p/tempered-outcomes-and-shaken-confidence?utm_source=substack&utm_campaign=post_embed&utm_medium=web

Dove ho sottolineato come in Occidente stiano iniziando a addensarsi nubi oscure verso l’accettazione di uno “scenario coreano”. E all’inizio di questo rapporto, ho anche postato questo:

E ho già detto che credo che dopo l’ultimo “hurrah” dell’Ucraina in tarda primavera/estate – dopo che sarà fallito – inizieranno a cercare un’uscita dal tunnel. Recentemente persino Stoltenberg (e le sue parole sono state riprese da altri funzionari) ha dichiarato apertamente che questa guerra “finirà sicuramente al tavolo dei negoziati”, ma che il loro compito è semplicemente quello di dare all’Ucraina la migliore posizione negoziale possibile nei prossimi mesi.

Quindi, se si leggono le foglie di tè, si noterà che la maggior parte dei tecnocrati europei si sono già rassegnati a questa conclusione, ma vogliono semplicemente che l’Ucraina faccia un’ultima grande spinta, per far arretrare le forze russe il più possibile, in modo che una volta che il negoziato arriverà, all’Ucraina rimarrà più territorio dopo l’inevitabile (per loro) “cessate il fuoco”.

Ma la controargomentazione da parte russa è che Putin ha già vissuto i famigerati tradimenti degli accordi di Minsk 1 e 2. Negli ultimi tempi è stato messo in evidenza quanto apertamente i vili leader occidentali abbiano usato gli accordi di Minsk come semplici periodi di riarmo segreto per l’Ucraina, con l’inevitabile piano di ostilità.

È quindi difficile credere che Putin possa fidarsi di nuovo dell’Occidente in qualsiasi “accordo di pace” o che voglia sottoporre se stesso e la Russia a una tale disonestà e inganno.

Tuttavia, se dovesse accadere, non sarebbe per volontà intrinseca di Putin, ma piuttosto come risultato di una qualche forma di necessità o mancanza di scelta. Nello stesso mio articolo citato sopra, ho spiegato a lungo come, anche se la Russia riuscisse a conquistare tutto ciò che si trova a est del Dnieper, sarebbe estremamente difficile per la Russia passare alla fase successiva. A quel punto i ponti sarebbero probabilmente già saltati. Ciò significa che per continuare l’operazione e catturare Odessa, Kherson, ecc. la Russia dovrebbe effettuare un massiccio reindirizzamento e riorientamento della totalità delle sue forze attraverso il nord, passando per la Bielorussia fino a Kiev e alle terre “a ovest del Dnieper”.

C’è la possibilità che un riorientamento così massiccio venga visto con sfavore in quel momento, in un’ulteriore confluenza di pressioni politiche sia da parte dei nemici che degli alleati stanchi (la Cina, per esempio), che potrebbero mettere Putin alle strette e indurlo a scendere a compromessi su qualche scenario coreano. Questa possibilità si rafforzerebbe se l’esercito russo dovesse esaurirsi o continuare ad avere problemi estremi di munizioni: la confluenza di tutti questi fattori potrebbe indurre alcuni a non vedere altra via d’uscita. Spero che questo non accada, e personalmente non credo che accadrà, ma sto semplicemente delineando la possibilità, per quanto remota possa essere, solo per dare un’idea dell’ampiezza delle direzioni che la SMO potrebbe prendere, come da domanda iniziale.

 

Inoltre, nel mio articolo citato, ho spiegato come alcune figure di spicco avessero già previsto da tempo uno scenario del genere. Ad esempio, l’ex consigliere presidenziale Arestovich, in un’intervista del 2019, aveva previsto la logica evoluzione dell’intero conflitto. Non solo ha azzeccato il periodo approssimativo in cui il conflitto sarebbe iniziato, ma ha persino previsto che sarebbe finito in una situazione di stallo coreano, che avrebbe portato a una seconda ripresa della guerra intorno al 2025, e forse anche a una terza intorno al 2028.

Chi è scettico deve solo guardare agli anni ’90, quando la Russia ha già vissuto esattamente questo scenario con le guerre cecene, dove la prima si è conclusa con uno stallo congelato, per poi essere necessariamente ripresa nella seconda guerra cecena.

La verità, però, è che è difficile da prevedere perché la guerra attuale è “al di là di qualsiasi cosa si sia vista prima” per la Russia. Non è paragonabile alle guerre cecene in termini di scala, e ci sono molte prime volte che giustificano paragoni più vicini alla Seconda Guerra Mondiale che con altro, come la prima mobilitazione della Russia dalla Grande Guerra Patriottica. È quindi difficile fare proiezioni quando siamo così lontani dalla familiarità, ma la natura assolutamente esistenziale del conflitto indica certamente una sua continuazione fino alla “fine” piuttosto che uno scenario in stile coreano.

DECIMA DOMANDA Mi piacerebbe capire meglio il rapporto tra Prigozhin/Wagner e l’establishment militare russo. Qualsiasi cosa possiate scrivere che possa aiutare a chiarire quando si tratta di trollaggio, quando siamo testimoni di maskirovka ( маскировка) e quando siamo testimoni di dispute autentiche e importanti che potrebbero influenzare le prestazioni militari, sarebbe apprezzata. Grazie

È difficile saperlo con certezza, dato che gran parte di questa storia è avvolta nella segretezza. Tuttavia, se la storiografia ufficiale sulle origini di Prigozhin è vera, è chiaro che probabilmente ha un rapporto profondo con Putin e il governo russo che va oltre la superficie che vediamo.

È un personaggio naturalmente molto sarcastico, quindi molte delle sue buffonate sono solo giochi psicologici, questo è chiaro.

Tuttavia, c’è motivo di credere che alcune delle tensioni/attriti tra lui e le autorità militari siano reali. Contrariamente a quanto vogliono far credere i tabloid occidentali, Putin non è un imperatore o uno “zar” onnipotente. Non controlla tutto ed è possibile che qualcuno sia amico suo, ma abbia un rapporto di dissenso con il Ministero della Difesa.

Di recente, Prigozhin ha persino preso di mira Shoigu in un modo molto “personale” che probabilmente non sarebbe accaduto se si fosse trattato di una messinscena o di un teatro. La figlia di Shoigu esce con un ragazzo che, a quanto pare, ha mostrato di essere contrario all’OMU russa, dato che è stato sorpreso a “gradire” i post anti OMU su Instagram/social media. Si tratta in un certo senso di un grande scandalo, che Prigozhin ha messo in evidenza per gettare sale sulla ferita di Shoigu. Un simile attacco alla figlia di un importante silovik andrebbe probabilmente oltre i confini del semplice “teatro” o “maskirovka”. Questo ci fa supporre che alcune tensioni siano reali.

Detto questo, bisogna capire che Prigozhin non è un “comandante” e non fa i piani di battaglia per i suoi soldati, se non in apparenza. Non ha alcuna esperienza o conoscenza militare reale. Ciò significa che Wagner è di fatto comandato dai militari russi e rientra nella loro struttura di comando e nella loro sfera di competenza. Non si tratta di un gruppo indipendente di “lupi solitari” che fa quello che vuole in stile laissez-faire.

Dopotutto, in un articolo precedente ho spiegato che Wagner non ha un proprio “back end” in termini di rifornimenti/logistica. Per questo si affidano completamente alle forze russe nominali.

Seconda parte: Ottima domanda sui Wagner e sui militari regolari. Chi sono questi ragazzi? Perché sono lì? Sembra strano.

Beh, certamente Wagner è lì per aiutare a gonfiare il numero complessivo delle truppe, dato che la Russia ha impegnato un numero di truppe totali molto inferiore a quello che la maggior parte delle persone pensa, come ho sottolineato in questo articolo: https://simplicius76.substack.com/p/the-coming-russian-offensive-2023?utm_source=substack&utm_campaign=post_embed&utm_medium=web

Tuttavia, alla fine dei conti, è un fatto innegabile che Wagner sia in gran parte lì anche per 1. Plausible deniability 2. tenere le perdite in eccesso fuori dai “libri” e dai bilanci nominali russi.

Questa è la dura realtà, ma è un’operazione standard. Sì, è nell’interesse della Russia avere perdite ufficiali più basse per ovvie ragioni. Wagner offre alla Russia l’opportunità di utilizzare una forza d’urto addestrata in battaglie urbane che tipicamente producono molte perdite, e in pratica di avere tutte queste perdite “in nero”.

Sappiamo che Wagner sta subendo molte meno perdite dell’AFU a Bakhmut, dopo tutto lo hanno ammesso loro stessi più volte. Basta ascoltare questo mercenario australiano che combatte a Bakhmut, che dice che le perdite di Wagner sono molto più leggere di quanto si pensi, rispetto alle orrende perdite dell’AFU:  Video 1

E naturalmente c’è questo:

Video 2
Video 3

Ma detto questo, le perdite della Wagner sono probabilmente le più alte di qualsiasi altro fronte, semplicemente a causa della natura degli assalti alle città. Quindi, questo è uno degli scopi principali di Wagner: fare i “combattimenti pericolosi” senza aumentare il numero di vittime ufficiali dell’esercito russo. Ancora una volta, questa è una procedura operativa standard, per coloro che potrebbero ingenuamente pensare il contrario. È una cosa semplice, logica e molto intelligente da fare dal punto di vista del Ministero della Difesa russo.

UNDICESIMA DOMANDA Ultima domanda: La Russia sembra agire soprattutto in risposta alle aggressioni degli Stati Uniti, con un’escalation simmetrica. Quindi di solito chiediamo: quali sono gli obiettivi degli Stati Uniti in questa guerra? Gli obiettivi pubblicamente dichiarati di “indebolire la Russia” o di “cambiare regime” o di “impedire alle nazioni di invadere paesi sovrani” o altro non reggono. C’è qualcosa di più profondo e fondamentale che non viene discusso pubblicamente. E potrebbe essere che gli Stati Uniti stiano agendo per contrastare qualche piano/agenda più profonda della Russia (probabilmente coinvolgendo la Cina e altri). Naturalmente c’è una spiegazione ovvia: la Russia ha sfidato l’ingerenza degli Stati Uniti in una serie di nazioni (Georgia, Siria, Ucraina, Kazakistan, ecc.), mentre gli Stati Uniti soffrono di una serie di problemi interni e stanno vivendo un declino generale… si può capire perché gli Stati Uniti cerchino di contrastare questa sfida, soprattutto se gli “alleati” in Europa ne soffrono in modo tale da renderli sempre più dipendenti dagli Stati Uniti (mentre le azioni della Russia vengono utilizzate per terrorizzare gli alleati a mantenere la fedeltà).

Ma… cosa sta progettando la Russia, oltre alla semplice opposizione agli Stati Uniti? Sentiamo parlare di nuove valute di scambio, eccetera, ma sono anni che si parla di queste cose senza che siano stati fatti passi concreti.

È una buona domanda, anche se credo di aver già risposto in gran parte in una delle altre precedenti, anche se ne ripeterò alcune.

 

In primo luogo, guardate il segmento del fondatore dell’influente think tank STRATFOR, George Friedman, che ho postato nella domanda n. 3 di cui sopra. Egli spiega con precisione quali sono state le ambizioni generazionali di Stati Uniti e Regno Unito nei confronti della Russia.

Molti saggi storici alternativi sostengono che praticamente tutti i conflitti globali degli ultimi ~150 anni sono ruotati attorno a questa questione centrale: impedire la formazione di un’alleanza russo-tedesca che minacciasse l’ordine globale.

La Germania è sempre stata la potenza manifatturiera e innovativa dell’Europa, o del mondo. E la Russia è la ben nota centrale di risorse naturali del mondo. L’unione di questi due elementi crea l’unica forza conosciuta in grado di scalzare la supremazia egemonica globale di Londra.

Se si scava abbastanza a fondo nel movimento della Round Table di Lord Milner, in Cecil Rhodes e nell’intera tana del coniglio, si scopre subito che la Prima e la Seconda Guerra Mondiale avevano lo scopo di mettere Russia e Germania l’una contro l’altra per indebolirle/distruggerle entrambe e assicurarsi che rimanessero ostili l’una all’altra, e così mantenere la supremazia anglosassone, vedi: https://strategic-culture.org/news/2021/09/22/the-first-world-war-cecile-rhodes-anglo-saxon-power/ e https://www.maier-files.com/the-rhodes-milner-secret-society-the-start-of-the-new-world-order/

In generale, ovviamente, vogliono che la Russia sia il più possibile scollegata dall’Europa. Per gli Stati Uniti, ciò mantiene sia la Russia che l’Europa più povere, più sottomesse e, soprattutto, più dipendenti dai prodotti, dall’energia, ecc. statunitensi. Ma la Germania è il vero omphalos dell’intera faccenda.

Quindi, per molti versi, si può sostenere che spingere la Russia a realizzare l’OMT sia servito soprattutto a vanificare il gasdotto Nord Stream 2, che si stava preparando a entrare in funzione molto presto prima dell’inizio delle ostilità. Gli Stati Uniti avevano bisogno di sbarazzarsi di quel gasdotto, per evitare che portasse a una nuova era di relazioni russo-tedesche e di cooperazione economica. Così gli Stati Uniti hanno semplicemente attivato le loro pedine in Ucraina, hanno fatto in modo che cominciassero a bombardare il Donbass e a fare pressione verso la guerra, e voilà – hanno premuto esattamente i pulsanti necessari per far partire la Russia sulla sua strada attuale. Poi hanno alimentato il sentimento anti-russo in Europa sulla base delle presunte “atrocità” della guerra, e questo garantisce in modo semplice e pulito un’intera nuova generazione di relazioni euro-russe in disgregazione. È davvero così semplice.

Il famoso assioma anglosassone recita:

Tenere fuori i russi, giù i tedeschi e dentro gli americani. – Il primo segretario generale della NATO, Lord Ismay, spiega così gli obiettivi della nuova alleanza militare.

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IL CICLO DEI VINTI – 9 maggio 1945. [cap. 3 e 4 di 7]_di Daniele Lanza

IL CICLO DEI VINTI – 9 maggio 1945. [cap. 3 di 7]
Identità, ieri e oggi (riflessioni sparse sul caso tedesco e non solo. Da leggere senza impegno)
Un aquilotto spennato e imbarazzante – simboleggiante lo stato di Weimar – che impallidisce, sfigura dinnanzi alla VERA aquila tedesca (kaiseriana). L’immagine in basso (manifesto per le elezioni legislative al reichstag del 1924) rappresenterebbe il sentire del partito nazionalista Dnvp, ma in fondo proietta un’immagine diffusa nell’animo tedesco di quell’era, assai aldilà del sostegno o meno a partiti nazionalisti coevi.
Tempo addietro, un conoscente di estrazione comunista (di accademico livello) paragonò distrattamente – quasi propose un parallelo – tra lo stato sovietico e la repubblica di Weimar.
Nel senso che erano entrambe entità nuove, entrambe entità che rovesciavano ognuna a suo modo un precedente sistema reazionario e antiquato, detto a grandi linee (…).
Come tanti altri miei amici e conoscenti della medesima provenienza – mi dispiace dirlo – la sua ferrea impostazione tradizionale fatta di insuperabile (psicologicamente), inalterabile dicotomia destra/sinistra – gli inibisce, oscura, confonde la percezione di elementi che trascendono tale demarcazione dogmatica. Accettando un prisma simile si può tracciare un parallelo tra le due realtà : elemento moderno di rottura che “rottama” il ciarpame oscurantista ed elitario del passato….questa sarebbe la logica.
La verità tuttavia è che anche solo accostare casualmente due casi del genere è pura cecità intellettuale. Perché la logica (binaria) in questione sorvola sul fattore PATRIA, lo sottovaluta, lo mette in secondo piano in quanto non rilevante per essa : nega il potere profondo dell’autoidentificazione e la sua capacità insondabile di sfuggire alla categorizzazione vista sopra, aldilà (protesterebbe il sincero comunista) di qualsiasi razionalità.
Il fattore PATRIA decretò per molti versi la sopravvivenza della Russia sovietica, come all’opposto, l’implosione della Germania weimariana. Perché ? Come ? Le verità più basilari ed ineludibili dell’animo umano stanno in formule strabiliantemente semplici e quindi non sciorinerò elucubrazioni storico-politologiche, vado al punto : perché lo stato rivoluzionario sovietico pur sbarazzandosi del sistema ad esso anteriore, vi si sostituì efficacemente in tutto…..anche in quella necessità patriottica della società nel suo insieme. La rivoluzione d’ottobre (anche nonostante l’inenarrabile guerra civile che ne seguirà) si fa sistema, sulle ceneri di quello precedente, ed anche più forte di esso : diventa punto di riferimento per il multiforme sentire della parcellizzata umanità che deve governare, cooptando anche e soprattutto le fasce conservatrici/nazionaliste della “russità” , a partire da coloro che sin dal principio decidono di militare tra i rossi (bolscevichi di stampo “patriottico”, per intendersi), quanto, dopo la fine della guerra, gli sconfitti bianchi che vorranno rientrare, infondendo l’idea che l’evento cataclismatico è stato una VITTORIA nazionale (si presti attenzione doppia da questo punto in avanti perché è il perno di tutto).
Gli eventi che vanno dall’ascesa al potere di Lenin sino alla fondazione ufficiale del nuovo stato, passando traverso 4 anni di conflitto interno, sono subito storia ed entrano in brevissimo tempo a costituire il fulcro di un colossale processo di “nation-building” in seno alla società, malgrado ciò possa essere controintuitivo vista la cesura traumatica col sistema zarista e il successivo sviluppo di una divisiva e devastante guerra civile : questo perché in fondo…….tali eventi sono percepiti come un successo, in un contorto meccanismo psicologico che vede tutti, incluse le fasce conservatrici/nazionaliste – e tra queste anche gli sconfitti veri e propri – entrare a far parte di un’entità vincente.
Ma come è possibile un capovolgimento percettivo in quest’ordine di grandezza ?! Abbozzo una ragione (non è certo l’unica, nè quella scientificamente più dimostrabile, ma forse la più viscerale) : perché in fondo quanto accadde dal 1917 al 1921 era…LORO (a prescindere dalle parti). La rivoluzione era…LORO (a prescindere dalle parti).
Si intende che la consecutio di fatti che si snoda da ottobre in poi è un fenomeno INTERNO, pertinente cioè ad uno spazio profondo del paese (in senso fisico quanto morale) irraggiungibile ed inconoscibile all’”alieno”, allo straniero : una “sacra” arena che non cessa di esistere malgrado il collasso del secolare zarismo e quindi trascende il cromatismo (rosso/bianco) delle parti in causa e laddove i destini di un popolo – ed altri ad esso annessi – vengono stabiliti a prescindere da cosa avvenga al di fuori del proprio “umland” : in parole più chiare, alla storica/oggettiva polarizzazione “Rivoluzione – Reazione”, si fa concomitante su un piano inafferrabile della psiche, la polarizzazione “Russia – mondo esterno” (che sta per “occidente” in realtà, quest’ultimo effettivamente coinvolto nella lotta dai bianchi).
Se pure è vero che una parte in lotta nella guerra civile è stata sconfitta sul piano storico/oggettivo, altresì vero che su un piano più metastorico offerto dalla psiche, l’evento rivoluzionario in sé non viola un canone assai più remoto della civiltà russa (o “rossiskaya” concetto più ampio) : la propria autoctonia, la propria indipendenza dall’occidente o altre forze (queste in effetti sconfitte nel loro tentativo di penetrazione approfittando del confronto rosso/bianco), la sicurezza che dà il proprio impermeabile spazio interno (…). Questo schema delle cose permette l’innesco di una valvola di salvataggio nei meccanismi delicati dell’autoidentificazione : alla psiche del russo (anche se di parte sconfitta) viene offerta come una scialuppa che consente lui di rivedere, in linea di principio, ancora lineamenti familiari, una continuità metapolitica in quel contenitore di popoli che prima si chiamava impero ed ora si chiamava CCCP (la quale tra l’altro nonostante la cesura col passato rivendicava anzi ancor più di prima – in vesti mutate – un ruolo geopoliticamente attivo, influente, sotto il vessillo assai più messianico e patriottico di quanto potesse esserlo la corona dei Romanov).
I “bianchi” avevano perso sì, ma in fondo era anche vero che la RUSSIA, la sua dimensione peculiare contrapposta allo spazio esterno (occidente) aveva vinto a prescindere dai cromatismi delle parti in causa, riaffermando la sua potenza che anzi prima sotto gli zar era in declino….quindi alla fine (col tempo che fosse occorso per abituarsi), tutti – anche i bianchi “volenterosi” o altre fasce conservatrici potevano chiamarla degnamente patria. In definitiva sia bianchi che rossi erano ugualmente nazionalisti (si può a buona ragione discutere su chi lo fosse di più tra loro)…..esisteva un comune fondo di attaccamento a una “potente patria” : che questa non fosse più una cosmopolita aristocrazia dall’aquila a due teste, ma una coesa unione multinazionale sotto bandiera rossa forse non era poi un male, no ? Anzi….chi dice che non fosse quest’ultima la VERA patria (e l’altra un abbaglio) ?? A questo punto i colori finora menzionati cessano di esistere : i rossi bolscevichi sono patrioti che da subito hanno capito questo fatto, mentre i bianchi (quelli pentiti) sono ugualmente patrioti con l’unico peccato di aver capito più in ritardo lo stesso fatto (…)
Interrompo d’autorità questa caotica e estesa digressione (che agli occhi di molti – professionisti in primis – apparirà cervellotica, sconclusionata o peggio – agli occhi del comunista ortodosso – una litania dozzinale nel novero eretico dell’interpretazione in chiave nazionalista e slavofila della rivoluzione socialista, la quale invece “esce fuori della storia” (..)….tuttavia io replico a costoro (nel caso ci fossero) che la mia riflessione presuppone che sia proprio QUESTO il problema : un limite di comprensione di molti studiosi del passato (non essendo “national-konservativ” stentano ad entrarne nella dimensione e quindi a valutarne percorsi e forza reale).
E da qui quindi torniamo – ma con una serie di punti in mente che ci consente di intenderci e quindi di accorciare il discorso (il tempo perso in Russia ce ne fa risparmiare qui)– sul vero tema del ciclo che è il caso tedesco : tutto era iniziato con un vago accostamento tra Weimar e la CCCP giusto ? Bene, la domanda è : perché WEIMAR in fondo non fu mai considerata una vera patria ?
Risposta essenziale : perché era figlia di una sconfitta. Fattore banale, ma insuperabile.
A scanso di quali ideali sinceri potessero esservi alle spalle, a scanso della costituzione democratica (mi si ricorderà) che finalmente aveva, a scanso di tutto…..era il risultato di un’umiliazione sul campo di battaglia. La prima democrazia tedesca, per quanto democrazia, violava lo stesso principio eonico che vuole gli stati (o qualsiasi aggregazione umana, contratto sociale di qualsiasi dimensione) fondati sui SUCCESSI, sulle vittorie. Non – come in questo caso – su un “infamante” (percepito come tale sia a destra che a sinistra in fondo) trattato di pace a Versailles.
Weimar nasce dal collasso della patria kaiseriana “legittima”…senza riuscire in alcun modo a sostituirla con qualcosa che nell’immaginario possa tenervi testa. Ne occupa semplicemente lo spazio vacante in attesa che QUALCOSA di maggiormente degno e supremo la rimpiazzi (e questo qualcosa disgraziatamente arriverà). Oserei affermare che il percorso di autoidentificazione per i neo-cittadini di Weimar e quelli sovietici sia esattamente opposto : mentre quelli sovietici, come visto, trovano una dimensione comune aldilà delle parti (anche belligeranti), nella società tedesca weimariana questo è infattibile. Se la Russia zarista passa il testimone alla CCCP sul piano ideale della “patria potenza” (in fondo condivisa tanto da progressisti che da conservatori), la nuova repubblica tedesca NON riceve alcun testimone dal prestigioso predecessore ! La “patria potenza” è sostituita da un’imbarazzante “ex patria” (tanto nella percezione dei conservatori quanto in quella – non espressa apertamente – di molti progressisti).
Insomma : lo stato sovietico UNISCE nel rispetto delle sue solide istituzioni – nella sua dimensione patriottica – tanto sinistra quanto in fondo anche una buona parte di destra (anche se non ufficialmente). Lo stato weimariano UNISCE, ma nel disprezzo delle istituzioni, sia la destra quanto in fondo anche la sinistra (anche se non ufficialmente).
Eccovi l’antitesi dei casi. Sintetizzo all’estremo :
La Cccp è un EREDE di qualcosa
Weimar è un SURROGATO di qualcosa.
La formula sopra è volutamente esagerata, ma esprime – sempre su un piano psicologico – come vennero percepite le due realtà dalle rispettive società a prescindere (questo è importante) dalla demarcazione classica destra/sinistra.
(CONTINUA…)
IL CICLO DEI VINTI – 9 maggio 1945. [cap. 4 di 7]
Identità, ieri e oggi (riflessioni sparse sul caso tedesco e non solo. Da leggere senza impegno)
L’affermarsi del “SUPER-STATO” nella prima metà del XX° secolo (ovvero sistemi politici che si presentano non come semplici edifici politico-amministrativi regolati da un diritto civile, bensì come energie messianiche che si prefiggono di uscire al di fuori della storia e regolarla anziché esserne regolati) – o anche “totalitarismo” (!) a seconda di come si vuole definire – è una reazione fisiologica al bisogno del cittadino stesso di 100 anni orsono a quest’epoca…della sua profonda incoerenza, scarsa conoscenza di sé.
Da un lato si strillava in piazza per per uno stato più umano, più civile…..dall’altro – una volta ottenuto – questo stato “civile ed umano” era un gradino meno rispettato di quello passato. Si odiavano i preamboli delle vecchie costituzioni liberali (“per grazia di Dio e volontà della nazione”), ne si voleva smorzare il tono un tantino ultraterreno e riportarle coi piedi a terra, a misura d’uomo, umanizzarne forma e contenuto senza tante investiture celesti e giuramenti alla corona………beh, ecco fatto. Anziché una guida speciale, lo stato diventa – per l’appunto, perché ciò si voleva – un semplice contenitore, un’arena civile (de-divinizzata) all’interno della quale muoversi. Ci volle poco perché l’agognata agorà moderna divenisse invece un parco giochi (…)
Tanti abitanti di Weimar erano in realtà nel profondo delle loro menti, più “ex-sudditi” che non “neo-cittadini”. Il parlamentarismo carnevalesco dal 1919 in poi non si poteva prestare allo stesso rispetto che poteva suscitare l’incedere del Kaiser un decennio prima e questo psicologicamente è verosimile. L’illuminismo ingenuo di quella breve repubblica non teneva conto – tanti dei migliori illuministi cadono in questo, ahimè – dei bisogni più primitivi e imponderabili dei governati.
Tanti volevano sinceramente la democrazia…..ma tutti esigevano – e subito – un comandante in capo, una forza unificante che garantisse forza e sicurezza (che sono sinonimi). Per metterla in filosofia occorreva il ripristino di quel perfetto ingranaggio, quel punto di congiunzione tra cielo e terra (o tra regno delle idee e quello materiale) che è lo stato prussiano di hegeliano conio (…). Quanto l’effimera Weimar non era. Lo si vede dai manifesti elettorali dell’era…pittoreschi, teatrali lo erano tutti, ma c’è qualcosa di più : nella maggioranza (a partire naturalmente dai più estremisti, ma arrivando anche a quelli moderati) si nota una ricerca di qualcosa di perduto, un’armonia arcadica irrecuperabile che lascia dinnanzi a sé o la difesa di quel poco che si ha ancora (le “heimat” locali in genere ad appannaggio di partiti centristi) ossia la logica “bastione contro l’orda barbara” oppure soppressione dell’esistente per rifondare una nuova “grande patria”.
Detto fatto, nel giro di 15 anni circa un sostituto lo si trova (anzi si fa avanti lui) : è un po meno aristocratico rispetto alla casta JUNKER in verità, anzi decisamente più proletario e ruspante, senza tanti galloni e mustacchi, quanto in più moderna e sportiva camicia bruna + baffetto, ma questo è anche meglio (“…a pensarci non sono in fondo anche quegli spocchiosi latifondisti della Prussia orientale con la loro flemma ad averci condotto al fallimento sul fronte occidentale e inguaiato la nostra PATRIA ?” p.s. = pensiero possibile dell’elettore popolare, Nsdap).
Siamo ad un punto critico : ho inaugurato questo ciclo di libere riflessioni al primo capitolo sottolineando come la vecchia identità prussiana sia stata distrutta e gettata via arbitrariamente assieme al nazional socialismo. Ebbene si potrebbe controbattere (tanti lo fanno) che in realtà tale retaggio era GIA’ stato distrutto e superato in due fasi : dalla deposizione del kaiser in primo luogo – cui la prussianità era legata per ragioni “memetiche” e dalla successiva affermazione nazista, la cui ascesa vertiginosa a cavallo tra anni 20/30 de facto assimila, inghiotte letteralmente tutto l’elemento vetro-conservatore (chiamiamo così la prussianità junker in politica) strappandolo ai contemporanei partiti nazional-conservatori più convenzionali dell’era Weimar che surclassa quanto a violenza e audacia (…).
Il nazional socialismo nel contesto in cui si trovò ad operare, devo ammettere, costituì un catalizzatore formidabile : da un lato arrivava a quegli strati popolari refrattari ai tradizionali partiti monarchici e vetro-conservatori…..mentre dall’altro riusciva a raccogliere l’elettorato proprio di questi ultimi, fisiologicamente irraggiungibile per socialisti e comunisti. Una creatura chimerica il nazismo, essere mutaforma “capace di assumere l’aspetto che l’osservatore voleva dargli” (se non ricordo male furono più o meno le parole di A.Speer al processo di Norimberga, nel descrivere il nazional socialismo).
(CONTINUA…)

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IL POPOLO DEI LUPI (cap.1 e 2), di Daniele Lanza

IL POPOLO DEI LUPI (cap.1)
(note storiche sparse tra Moldavia, Valacchia e Transilvania, dagli albori alla contemporaneità / ripub. 2018*)
Può avere vent’anni come quaranta…forse non ha mai avuto un’età. Inebetito, steso contro un tronco che stancamente si specchia nei flutti del grande fiume. Al suo passaggio gli elementi si tingono di rosso : terra e acqua sono uniformate in flusso scarlatto…..persino l’aria attorno a lui sembra percorsa da chiazze del medesimo riflesso. Prima che il sole cali la vita se ne sarà andata.
Si chiama Sudogvast ? o Vädusan ? altro ancora ? Cerca di dirmelo, ma in un idioma incomprensibile che in ogni caso non è più in grado di articolare. Una manciata di ore avanti, durante una sortita, qualcosa è andato storto ed un giorno qualsiasi si è trasformato nell’ultimo che potrà vedere. Lui non ha rimpianti in realtà : il suo concetto di morte non è analogo alla coscienza secolarizzata di chi legge…….ritiene che sia solo il passaggio verso un’altra esistenza, non meno piena o eroica.
Oltre il “grande fiume” non possiamo seguirlo, solo osservare ciò che si è lasciato dietro nella dimensione mortale : una sagoma compatta e slanciata che affiora dalla vegetazione, coperta unicamente da brache ridotte a brandelli, gli occhi ancora spalancati e una cascata di un castano lucido sulle spalle.
Eh…..si da il caso che la nostra sgangherata navicella spazio-temporale (con cui faccio viaggiare nel tempo chi mi legge) è riemersa presso l’uncino sud-orientale del nostro continente, 500 giri della Terra attorno al sole prima che Cristo iniziasse a predicare : da qualche parte, lungo il ricco bacino idrogeografico del Danubio.
L’uomo che ci guardava poco fa prima di transitare alla nuova vita, un suo remoto abitante……la cui fisionomia incute terrore tra i piccolo uomini bruni più a sud verso il mare Egeo.
Il popolo di Sudogvast è quello dei LUPI : così lo chiama chi vi confina e così loro appellano se stessi…fondamento mitico/fantastico che trova una parte di accordo anche nell’archeologia odierna. Esso si articola in un interminabile susseguirsi di clan e tribù che si spalma su un territorio che va dai Balcani fino alla pianura sarmatica (dalla Serbia fino all’Ucraina meridionale e occidentale) : la massa aborigena della protostoria è stata indoeuropeizzata sino a dar vita a uno strato di civiltà che chiameremo (paleo) Trace.
L’elemento TRACE non ha certo bisogno di presentazioni o precisazioni dal sottoscritto o da altri…….combattivo e acerrimo, in sinergia con l’ecosistema balcano/carpatico le cui immense foreste di conifere incutono timore nelle civiltà mediterranee, a partire da quella ellenica, che la associano a quello spazio di tenebra (quel “nord” mitico) dal quale di tanto in tanto sprizzano come scintille demoni dalle barbe che brillano rossicce tra la fiamme del saccheggio.
La percezione immaginifica del greco antico chiaramente dilatava inverosimilmente la frequenza di codeste fisionomie aliene ed oggi l’archeologia (supportata dalla genetica) ritiene più plausibilmente che i barbari a nord e sud del bacino danubiano fossero assai più simili ad un qualsiasi abitante dell’Europa meridionale per aspetto (solo disseminati di elementi più chiari che generano leggenda). I traci, come norma nella struttura organizzativa umana più elementare di allora NON sono uno stato unitario, che anzi sono anni luce dal conoscere : la parcellizzazione fino al livello di clan regna sovrana. Dal brodo sopramenzionato prende forma un sottoinsieme che assume il nome di DACI…..o Geto-daci (per la precisione i geti si trovavano in Valacchia, come si chiamerà in seguito, mentre i daci veri e propri in Transilvania odierna).
Il significato dell’etnonimo (usato dagli stessi) è questione di dibattito tuttora, ma parte dell’opinione scientifica li chiama “LUPI” o loro fratelli o discendenti…..il popolo dei lupi. Questi autoctoni subiscono variegate influenze celtiche e periodicamente praticano incursioni verso sud guadagnandosi fama sinistra presso i più meridionali vicini che negli stessi anni edificano il Partenone (…).
La struttura politica è estremamente semplice, adeguata al loro stadio di evoluzione umana : un grappolo di regni, grandi quanto un francobollo, che vanno e vengono assieme alle loro rudimentali dinastie sostenute da reti di clientele e relazioni di clan. Con tale status quo si mantengono relativamente indipendenti dal turbinio della collisione greco-persiana dei secoli cruciali e, sempre in queste condizioni vanno a incontrare con l’elemento romano (o meglio quest’ultimo va a cozzargli contro) : il II° secolo dopo Cristo vede assorbire questo mondo nell’assai più caotica voragine della latinità…….alle vittorie di TRAIANO segue un afflusso (non comune) di coloni di diversa provenienza fino a creare sul posto la provincia romana di cui tutti i manuali ci informano. La Dacia romana equivale solo a metà dell’attuale Romania e arriverà a contare 1 milione e mezzo di sudditi dell’imperatore : tutti gli appartenenti a tribù non comprese nel dominio romano vengono denominati “daci liberi” e tra di essi spicca la tribù dei “carpi”. Nel giro di un secolo sorgono ben 10 città ed oltre 100 forti, impiantandosi così il seme della civiltà latina, strettamente legato all’ambiente urbano, in contrasto col vasto entroterra rurale dei nativi.
L’area nonostante gli sforzi rimarrà instabile, assorbendo circa il 10% della forza militare dell’impero e resistendo non più di 175 anni complessivamente (ovvero da Traiano fino ad Aureliano, quando l’impero ordinatamente si ritira da una regione ritenuta indifendibile : siamo nel 275 dopo Cristo).
Il disimpegno militare romano lascia tuttavia sul campo dietro di sè qualcosa di inestimabile : gli abitanti del luogo nei 2 millenni a seguire, continueranno ad esprimersi in un idioma a noi familiare classificato come componente orientale della neo-latinità.
Occorre qui fermarsi un momento poiché la questione si fa cruciale : il processo di latinizzazione possa apparire scontato o banale, nel discorso scientifico esso NON lo è.
In parole altre, la dinamica di tale latinizzazione è tutt’altro che scontata e tuttora si confrontano due opposte opinioni : secondo alcuni la romanizzazione linguistica sarebbe avvenuta secondo un linearissimo ed intuibile moto di aggregazione dell’elemento indigeno ai nuclei romani già insediati sul territorio, finchè alla fine sono TUTTI “romani”. Secondo la tesi avversa (più macchinosa, ma non impossibile) l’elemento di lingua latina sarebbe emigrato sul posto da aree romanizzate da più lungo tempo (tutto l’illirico), fuggite al momento del collasso imperiale in cerca di riparo in zone più inaccessibili, giusto nel mentre della calata dei barbari da nord.
A questo, si aggiungono svariati punti di vista intermedi……ma il punto che accomuna tutti, il grado di ideologizzazione che il tema presenta, già alla vigilia dell’età delle idee (tarda modernità), come vedremo.
(continua) 
IL POPOLO DEI LUPI. (cap. 2)
(note storiche sparse tra Moldova, Valacchia e Transilvania, dagli albori alla contemporaneità, ripub. 2018*)
Abbiamo lasciato Sudovgast morente sulle rive di un fiume, 500 anni prima di Cristo : come sono divenuti i suoi discendenti 500 anni DOPO Cristo ?
Un millennio di evoluzione non può non sentirsi e i suoi posteri riconoscerebbero molti tratti culturali in lui, tranne uno vitale : ora sarebbe complicato comunicare verbalmente con lui. Malgrado il disimpegno imperiale nella provincia di DACIA (già nel 275 d.C.), il disfacimento dell’impero stesso 200 anni ancora dopo ed il conseguente gioco imprevedibile di maree demografiche che si innesca, niente riesce a cancellare la numerosa componente daco-romana nel cuore di quella che oggi chiamiamo Romania : è come se i più numerosi e aggressivi flussi slavi (e magiari) provenienti da settentrione non riuscissero a penetrare il nucleo geografico valacco/transilvano né passarvi traverso, risultandone deviati e costretti a costeggiarlo, passarvi tutto attorno.
Un residuo vivente della remota romanità (adattata al contesto particolare) trincerato attorno ai Carpazi, mentre lo spazio immediatamente limitrofo è sommerso dal suono di parlate aliene : la sopravvivenza, su così larga scala, di un ceppo smarrito della famiglia filologica romanza, a migliaia di km dal blocco italo-franco-porto-spagnolo del Mediterraneo occidentale è un miracolo (o anomalia) geoculturale dell’intera Europa sud-orientale.
I secoli post-imperiali passano senza che alcuna organizzazione politica di rilievo venga prodotta : questi nativi “romanzofoni” costituiscono sostrato aborigeno utile del quale il governante o dominatore di turno si serve all’occorrenza. Vista l’oggettiva infattibilità di riportare fedelmente gli innumerevoli e tortuosi sentieri della storia balcano/carpatica medievale (anche per non irritare i valenti medievisti che per caso leggono) effettuo una macro-sintesi culturologica………il lettore immagini questo (grossomodo) : sui nostri amici di lingua latina gravano DUE forze acculturanti principali, una da SUD e l’altra da NORD.
1) L’”energia” che viene dal sud è l’elemento BULGARO (che da sud supera la linea del Danubio ed estende la propria influenza fino a tutto l’areale dell’odierna Romania tra il 7° ed il 10° secolo dopo Cristo : si tratta della fase storica del cosiddetto impero bulgaro, potenza dominante nei Balcani dell’era altomedievale (di tale impero vi saranno due fasi, oggi chiamate dalla storiografia 1° e 2° impero : quest’ultimo si spegne definitivamente alla fine del 14° secolo quando la Bulgaria è incamerata dagli ottomani…1396 circa).
2) L’”energia che viene da nord è l’elemento MAGIARO (che si presenta successivamente rispetto ai bulgari : inizia a comparire nel 12° secolo, penetrando dal bassopiano pannonico e nelle stesse generazioni in cui si combattono le prime crociate in Terrasanta, si fa strada sempre più a sud strappando all’influenza bulgara e bizantina le provincie più settentrionali dell’attuale Romania.
Orbene, se si tiene a mente questo basilare schema di movimenti e forze, si ha una prima chiave d’accesso alla storia dell’identità romena e moldava e i suoi asimmetrici sviluppi a seconda delle regioni che oggi troviamo viaggiando in questo paese : diciamo sinteticamente che si parte da un’originaria dominanza bulgara, che ottiene la fondamentale conversione della cristianità dell’area in questione all’ortodossia, per poi subire un processo di erosione nella frangia più settentrionale dei territori balcano/carpatici, ad opera dei monarchi d’Ungheria che nel corso del XIII° secolo riescono ad espandere durevolmente il loro confini fino a ricomprendere quella che oggi chiamiamo “Transilvania”. Quest’ultima a partire dai primi anni del 1300 è parte del regno di Ungheria di cui costituisce l’estensione più orientale. Sempre i sovrani d’Ungheria nella loro avanzata verso meridione determinano la nascita di due ulteriori principati a parte la Transilvania……….la MOLDAVIA (ad ovest) e la VALACCHIA (a sud), inizialmente pensati come cuscinetto della frontiera sempre più balcanica d’Ungheria.
Ricapitoliamo : a partire dai primi decenni del 300 nell’area di lingua romanza (non chiamiamolo ancora “romena”) vengono a costituirsi TRE principati sotto l’impulso del regno medievale d’Ungheria.
1) Transilvania (direttamente inglobata)
2) Valacchia (1330)
3) Moldavia (1359)
Codeste entità chiaramente NON costituiscono alcuno stato unitario, né ci pensano : si tratta di potentati indipendenti l’uno dall’altro che semplicemente sorgono su popoli della medesima base linguistica culturale (elemento che tuttavia in età premoderna non è fondamentale).
Teniamo a mente un punto CHIAVE : mentre Valacchia e Moldavia si rendono presto autonome dai sovrani magiari (pur rimanendo formalmente vassalli), la Transilvania invece è oggetto di una vera e propria annessione territoriale all’Ungheria medievale che ne farà una regione della mitteluropa ungherese (poi austro-ungarica) per gli oltre 600 anni a venire (!). Questo fatto apre le porte della Transilvania al torrente della cultura centro-europea e dei relativi flussi migratori, ovvero popolandosi di minoranze germaniche, ebraiche e slave per il mezzo millennio che traghetta tutta la zona fino ai primi del XX° secolo.
Questo particolare assetto geoculturale è quindi un carattere di lunghissimo periodo che persisterà nonostante il successivo “ombrello ottomano” dal tardo medioevo : Valacchia e Moldavia stati autonomi di confine, mentre la Transilvania (a dispetto della maggioranza di lingua neolatina che la abita) è parte dell’Ungheria vera e propria. I sultani osmanidi erediteranno QUESTA suddivisione, più o meno.
(continua)

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La Georgia è bersaglio di un cambio di regime per il suo rifiuto di aprire un “secondo fronte” contro la Russia, di Andrew Korybko

La Georgia è bersaglio di un cambio di regime per il suo rifiuto di aprire un “secondo fronte” contro la Russia

Andrew Korybko
8 marzo

L’Occidente vuole punire il primo ministro Irakli Garibashvili per il suo pragmatico rifiuto di aprire un “secondo fronte” nella guerra per procura degli Stati Uniti contro la Russia, dopo che all’inizio di dicembre aveva pubblicamente denunciato questo complotto, impegnandosi al contempo a non armare mai nemmeno Kiev. Il furore artificialmente prodotto sulla legge sugli agenti stranieri della Georgia, ispirata dagli Stati Uniti, non è altro che una cortina di fumo per nascondere la vera ragione alla base dei disordini di martedì.

L’ex Repubblica sovietica della Georgia ha subito un grave tentativo di rivoluzione colorata martedì sera, dopo che i rivoltosi radicali filo-occidentali hanno cercato di prendere d’assalto il Parlamento in risposta all’approvazione di una legge che impone a tutte le organizzazioni con almeno il 20% di finanziamenti stranieri di registrarsi presso le autorità. I media occidentali guidati dagli Stati Uniti (MSM) hanno artificialmente fabbricato una falsa narrativa nel periodo precedente agli eventi, sostenendo che la legge si basa sul sistema di registrazione della Russia, anche se è esplicitamente ispirata a quella degli Stati Uniti.

Questo tentativo ben intenzionato di proteggere la nascente e certo imperfetta democrazia georgiana da ingerenze straniere, come suo diritto sovrano, è stato poi sfruttato come pretesto per organizzare un violento cambio di regime contro il primo ministro Irakli Garibashvili. L’Occidente vuole punirlo per il suo pragmatico rifiuto di aprire un “secondo fronte” nella guerra per procura degli Stati Uniti contro la Russia, dopo che all’inizio di dicembre aveva pubblicamente smascherato questo complotto, impegnandosi a non armare nemmeno Kiev.

La presidente Salome Zurabishvili, che era in visita all’ONU a New York durante il fallito cambio di regime contro Garibashvili martedì sera, ha dato il suo pieno appoggio ai disordini in un video che riproponeva la falsa narrativa di guerra informativa dell’Occidente, secondo la quale il progetto di legge è sostenuto dalla Russia. I lettori dovrebbero sapere che ha svolto la maggior parte della sua carriera come diplomatica francese, dopo esservi nata, ed è stata in precedenza ambasciatrice di quel Paese in Georgia fino al 2004.

A quel punto ha ricevuto la cittadinanza georgiana solo grazie a un accordo tra i due governi, proposto da Mikhail Saakashvili dopo il successo della sua rivoluzione colorata l’anno precedente, affinché diventasse ministro degli Esteri. Da allora, a tutti gli effetti, Zurabishvili è uno dei principali “agenti di influenza” del Miliardo d’oro in Georgia. Nonostante il Primo Ministro abbia oggi più potere grazie alle riforme precedenti, la Presidenza le conferisce ancora una certa influenza sulla società.

È in questo contesto che è stata tentata la violenta presa di potere di martedì sera contro Garibashvili, anche se la Russia era già preparata a questo scenario dopo che il Ministro degli Esteri Sergey Lavrov aveva avvertito all’inizio di febbraio che qualcosa di losco era in atto nell’ex Repubblica Sovietica. In quell’occasione ha dichiarato a un popolare conduttore televisivo: “Il fatto che vorrebbero trasformare la Georgia in un’altra fonte di irritazione, per riportare la situazione alla condizione aggressiva dell’era Saakashvili, è fuori dubbio”.

Va anche detto che l’ultimo tentativo di rivoluzione cromatica dell’Occidente nella regione ha avuto luogo in mezzo ai continui guadagni russi intorno ad Artyomovsk/”Bakhmut”, che hanno spinto il presidente ucraino Vladimir Zelensky ad avvertire che la Russia potrebbe attraversare il resto del Donbass se catturasse quella città. All’inizio dello stesso giorno e poche ore prima del tentativo di assalto al parlamento di Tbilisi, il ministro della Difesa russo Sergey Shoigu ha confermato che una vittoria in quella regione avrebbe distrutto le difese regionali di Kiev.

Per riassumere le dinamiche strategiche alla vigilia del fallito cambio di regime di martedì sera in Georgia, i mass media avevano già prodotto una falsa narrativa prima che il parlamento votasse la legge sugli agenti stranieri ispirata dagli Stati Uniti, sostenendo che essa simboleggiasse l’inclinazione del Paese verso la Russia. Questa campagna di guerra informativa è condotta contro il suo premier per il suo rifiuto, all’inizio di dicembre, di aprire un “secondo fronte” contro la Grande Potenza eurasiatica per alleviare la pressione sui proxy ucraini degli Stati Uniti.

La Presidente georgiana, che probabilmente è sempre stata uno dei principali “agenti d’influenza” del Miliardo d’oro, si trovava a New York quando tutto si è svolto e ha dato il suo pieno appoggio ai disordini del cambio di regime. All’inizio dello stesso giorno, sia il Ministro della Difesa Shoigu che Zelensky avevano informato tutti che la Russia avrebbe potuto attraversare il resto del Donbass se avesse catturato Artyomovsk/”Bakhmut”. Le premesse per il tentativo di rovesciare violentemente Zurabishvili martedì sera erano quindi pronte.

Sarebbe prematuro dichiarare che Zurabishvili è sicuro della sua posizione, nonostante i servizi di sicurezza siano riusciti a difendere il parlamento dai rivoltosi, poiché molto potrebbe ancora accadere per far avanzare l’agenda degli Stati Uniti sul cambio di regime. La Georgia è un Paese profondamente diviso che è stato sotto l’immensa influenza dell’Occidente negli ultimi due decenni, durante i quali il Miliardo d’oro è riuscito a manipolare una parte consistente della popolazione per indurla a fare i suoi interessi geopolitici.

Non mancano gli “utili idioti” che, grazie alla loro ideologia liberal-globalista, possono essere facilmente indotti a destabilizzare il Paese a scapito dei suoi interessi nazionali oggettivi. Questo significa che la Georgia è destinata a diventare l’ultimo fronte della Nuova Guerra Fredda, visto che è improbabile che la sua ultima crisi si risolva a breve. La situazione è estremamente grave e l’esito della guerra ibrida non dichiarata degli Stati Uniti contro la Georgia potrebbe influenzare direttamente gli sviluppi nel Donbass.

https://korybko.substack.com/p/georgia-is-targeted-for-regime-change

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Ecologia o delirio ?_di Davide Gionco

Ecologia o delirio ?
Le politiche ambientali dell’Unione Europea, l’idealità totalmente slegata dalla realtà.

di Davide Gionco

L’UE e gli ecologisti monotematici
L’Unione Europea è governata da ecologisti. Almeno in teoria.
Nulla fanno per evitare la diffusione delle microplastiche nell’ambiente e di altri composti chimici che portano effetti avversi gravi sulla salute umana: glifosato, PFAS, grafene, sostanze nanotecnologiche, radioattività, ecc..
Nulla fanno per evitare la diffusione di armi che uccidono molto più dell’effetto serra, anzi, fanno di tutto per aumentarne la produzione, così come per diffondere la mentalità di guerra.
Ma ci difendono dall’unico grave pericolo preso in considerazione dalla narrativa dei mass media: le emissioni di CO2 che portano al cambiamento climatico.
Da questa ideologia scaturiscono le proposte del piano “Fit for 55”.

Naturalmente non si propongono limitazioni all’importazione di prodotti commerciali contenenti energia fossile consumata in altri continenti, che causano emissioni di CO2 esattamente come se lo facessimo in Europa. Le limitazioni al consumo di energia vengono imposte unicamente in Europa, così che il risultato, alla fine, sarà comunque insufficiente rispetto all’obiettivo prefissato, dato che gli altri, fuori dall’Europa, avranno continuato ad inquinare, anche grazie agli acquisti di merci estere da parte dei paesi dell’UE.

In realtà l’unico motivo sicuro per cui l’UE dovrebbe affrancarsi dalle energie fossili è che si libererebbe dai condizionamenti da parte dei paesi fornitori di gas e di petrolio. L’autosufficienza energetica è qualcosa che può offrire ad un governo molti margini di azione nella politica internazionale e garantire una maggiore stabilità dei prezzi per famiglie ed imprese.

Chiudiamo qui la discussione sulla opportunità o meno di perseguire l’obiettivo primario di perseguire la riduzione delle emissioni di CO2. Assumiamo che si tratti dell’obiettivo giusto da perseguire e valutiamo la razionalità e l’efficacia delle soluzioni proposte.
La sensazione è che da parte della Commissione Europea e dei mezzi di informazione (che sanno solo fungere da amplificatore) è che vi sia una idealità totalmente slegata dalla realtà.
Un conto è che una singola persona, una singola famiglia, una singola impresa passi dall’auto a benzina all’auto elettrica o che installi una pompa di calore o che metta l’isolamento termico ad un edificio. Un altro conto è che a farlo siano centinaia di milioni di persone in tutta Europa o 60 milioni di persone in tutta Italia.

Ci sono dei problemi di fattore scala, come si dice fra noi ingegneri. Infatti è prima necessario verificare che filiere produttive dispongano di quanto necessario (materie prime, manodopera, capitali) per fare fronte all’aumento della domanda del mercato.

 

Il caso delle auto elettriche
Se un cliente si presenta da un autorivenditore per acquistare un’auto elettrica, questi non avrà problemi a vendergli una singola auto elettrica. Né la rete elettrica avrà, successivamente, problemi a rendere disponibile la necessaria energia elettrica per il funzionamento di una singola auto elettrica. Né ci saranno problemi, quando sarà ora di smaltire la batteria dell’auto, a trovare un modo sostenibile per farlo,
Ma ben diverso è che si presentino da tutti gli autorivenditori in Italia 20 milioni di italiani, ciascuno ordinando un’auto elettrica. In quel caso per rispondere all’ordinativo sarà necessario fare i conti con la capacità del sistema di produrre nel tempo richiesto tempi brevi una tale quantità di automobili. E’ evidente che i produttori non sarebbero pronti per passare da 100 mila auto vendute elettriche vendute in Italia nel 2022 a 1,3 milioni l’anno (totale delle auto vendute in Italia nel 2022), 13 volte tanto.
Per fare fronte a questa nuova domanda, infatti, sarà necessario reperire in sufficiente quantità le materie prime per i nuovi motori elettrici e per le batterie, le quali non sono prodotte scrivendo numeri sul computer, come si fa quando si scrive una norma, ma sono estratte dal pianeta terra, con implicazioni ambientali, sociali, geopolitiche, con il rischio di guerre per il controllo delle risorse.
Oltre a questo sarà anche necessario organizzarsi per smaltire, in modo ecologicamente sostenibile, le batterie elettriche esauste, per quantitativi 13 volte superiori a quelli attuali.

E si dovrebbe anche fare i conti con la disponibilità di energia elettrica, che dovrebbe aumentare considerevolmente rispetto all’attuale produzione.
Dove la prendiamo? Che cosa significa aumentare a tali livelli di disponibilità di energia elettrica?
Nel 2020 l’Italia aveva un consumo di energia elettrica di 319 TWh, di cui solo 273 TWh prodotti in Italia (e 46 TWh importati) e di cui 182 TWh provenienti da fonti non rinnovabili e solo 91 TWh da fonti rinnovabili.
A questo si andrebbero aggiungere altri 65 TWh l’anno per sostituire l’energia fossile delle auto termiche con energia elettrica da fonti rinnovabili.
L’Unione Europea ha proposto che dal 2035 vi sia il divieto di produrre auto termiche in Europa, per evitare di emettere CO2 con i motori termici. Ma questo significherà anche organizzarsi per aumentare la produzione elettrica da fonti rinnovabili di 182 + 65 = 247 TWh/anno rispetto ai 91 TWh/anno attuali, con un incremento pari a 2,7 volte. Oltre al fatto che dovremmo assicurarci che anche i 46 TWh/anno che importiamo provengano da fonti rinnovabili-
A chi parla di costruire nuove centrali nucleari risponderei che, dal momento della decisione, ci vogliono 14-15 anni prima di mettere in servizio una centrale nucleare (quindi saremmo già in ritardo per il 2035). E, anche in questo caso, dovremmo fare i conti con la disponibilità di ingegneri e di personale tecnico per progettarle e realizzarle, considerando che questo avverrebbe simultaneamente in tutta Europa.

In sostanza stiamo parlando di ideologia pura, di cifre teoriche scritte sulla carta, senza tenere conto della fattibilità concreta di quanto proposto.

Non a caso lo scorso mese di dicembre 2022 il CEO della Toyota, primo produttore al mondo di automobili (qualcosa ne sanno) ha detto chiaramente che al momento non siamo ancora pronti, sia per il fatto di non disporre di sufficiente energia elettrica per tutte queste auto. Se, infatti, l’energia elettrica necessaria fosse prodotta da fonti fossili, i rendimenti sarebbero peggiori di quelli attuali e inquineremmo ancora di più.

Oltre alla sostanziale impossibilità e non convenienza tecnica è anche necessario affrontare il discorso economico: quante famiglie sono in grado di permettersi di acquistare un’auto elettrica nuova da 30-40 mila euro nei prossimi anni a venire? Dove trovare tutti questi soldi, se non sommergendo di debiti le famiglie, a solo vantaggio degli istituti di credito finanziario?

Il caso delle case ecologiche
Il discorso si fa ancora più insostenibile nel caso dell’obbligo imposto dalla UE di portare tutti gli edifici almeno in classe energetica E entro il 01.01.2030 ed entro la classe D entro il 01.01.2033.
Sarebbe certamente una cosa utile. Anche per chi non fosse convinto dell’utilità ambientale, sarebbe certamente utile per il portafoglio che abitassimo tutti in case energeticamente efficienti, perché questo ci consentirebbe di ridurre il peso delle bollette per il riscaldamento e la nostra dipendenza estera da fonti energetiche fossili.

Quello che pare una emerita assurdità è pretendere che tutti i proprietari (compreso lo Stato) di edifici di classe energetica inferiore alla E riescano a realizzare i necessari interventi di ristrutturazione edilizia da qui al 31.12.2029. E poi, in soli 2 anni, fare lo stesso per gli edifici in classe E, a portare almeno in classe D.

Secondo i dati forniti dall’ENEA, i lavori di ristrutturazione energetica degli edifici trainati dal Superbonus 110% hanno portato in 3 anni di lavori a ristrutturare 360’000 edifici, saturando di lavoro il settore dell’edilizia.
Quindi, lavorando a pieno regime, il settore è in grado di ristrutturare al massimo 120’000 edifici ogni anno.
Considerando che gli edifici in Italia di classe energetica inferiore alla E sono 8,8 milioni, questo significa che, disponendo dell’attuale forza lavoro, servirebbero 73 anni per completare i lavori richiesti (entro fine 2029, meno di 7 anni) dalla UE. Oppure, in alternativa, servirebbe moltiplicare almeno di 10 volte la forza lavoro nel settore delle ristrutturazioni energetiche. Considerando che oggi l’edilizia occupa 2 milioni di persone, dovremmo istantaneamente passare a 20 milioni di lavoratori nel settore (ovviamente da formare e a cui fornire le necessarie attrezzature), sapendo che attualmente in Italia siamo in tutto 18-19 milioni di lavoratori.
Ovvero dovrebbe tutti lavorare nell’edilizia (compresi i disoccupati), tralasciando tutte le altre attività lavorative.

Ci sarebbe da ridere, se non fosse che, addirittura, sarebbero previsto, per chi non si adegua, il divieto di affittare o di vendere tali immobili.
Se anche il governo non avesse affossato il Superbonus 110%, non tanto riducendo la quota di detrazioni all’80%, ma soprattutto vietando la cedibilità dei crediti fiscali, il che taglierà fuori dal beneficio la grande maggioranza dei proprietari, fiscalmente incapienti, con l’attuale forza lavoro si potrebbero mettere a norma solo 840’000 edifici nei tempi imposti dalla UE, lasciando quasi 8 milioni di edifici fuori norma, sui 12 milioni esistenti in tutta Italia. Ovvero 2 edifici su 3 non sarebbero più né affittabili, né vendibili.
Si tratta, quindi, non solo di una disposizione impossibile, ma delirante.
E’ solo il caso di far notare che nessuno dei geni che ci governano, né dei geni che fanno finta di fare opposizione, se ne sia accorto. Quantomeno non si è sentito nessuno che abbia denunciato l’impossibilità delle richieste della UE, con la proposta di rispedirle al mittente.

Conclusioni
La prima conclusione da tratte è che in Europa e in Italia non siamo governati da ecologisti, ma da persone in preda ad un delirio ideologico.
Infatti concentrano tutte le attenzioni ad un solo aspetto, forse neppure il più urgente, delle questioni ambientali, senza occuparsi di tutti gli altri aspetti.
In secondo luogo vogliono imporre ai cittadini europei ed al mondo produttivo delle misure fattivamente impossibili da realizzare e con conseguenze catastrofiche certe sull’economia.
Se dobbiamo impegnarsi a salvaguardare il pianeta, lo dobbiamo fare per il nostro benessere e dei nostri discendenti.
Se le misure proposte portano inevitabilmente a sommergere di debiti cittadini e imprese, a devastare l’ambiente in altre zone del pianeta, a bloccare il mercato immobiliare, impedendo alla gente di cambiare casa o di vendere un immobile, a doversi privare dei mezzi di trasporto…
E tutto questo senza incidere più di tanto sull’effetto serra, dato che il resto del mondo continuerà ad inquinare come e più di oggi.

Nel frattempo gli stessi che ci governano trascurano, per ossequio alle varie lobbies industriali, tante altre questioni che riguardano la qualità di vita della gente, come la diffusione di altre sostanze inquinanti nell’ambiente, nei cibi, nei farmaci. Come la crescita della produzione e vendita di armi, che porta inevitabilmente all’aumento di morti ed al maggior potere dei produttori di armi nei confronti dei decisori politici. Ricordiamoci che “L’Italia ripudia la guerra”. Non lo abbiamo scritto a caso nella Costituzione.

Vorrei chiedere ai nostri politici ed ai giornalisti che fanno informazione di liberarsi da questi folli condizionamenti ideologici, perché la storia ci insegna quanti morti sono arrivati dalle derive ideologiche nei decisori politici.
Chiediamoci se l’attuale modello economico, che punta a trasformare tutto in business, incurante degli “effetti collaterali” (sulle persone, sull’ambiente), sia davvero un modello economico adeguato pert gli obiettivi che ci prefissiamo.
Va bene usare le ideologie per pensare ad un mondo migliore, ma impariamo a fare sempre i conti con la realtà. Diversamente rischiamo di raggiungere risultati molto diversi da quelli sognati.

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IL CICLO DEI VINTI – 9 maggio 1945. [cap. 1 di 7], di Daniele Lanza

Vista la gravità dell’episodio di questi giorni a Berlino (più ci si pensa più ne diventa nitida la gravità estrema), ripubblico una vecchia serie di riflessioni in merito all’identità dello stato tedesco nell’ultimo secolo, che scrissi svariati anni fa in coincidenza dei festeggiamenti per la fine del conflitto mondiale :”IL CICLO DEI VINTI” in 7 parti.
Dato che la crisi dell’ultimo anno ha costituito una prova del 9, gettando luce sulle identità e sulle fedeltà di ognuno di noi e di ogni stato (i periodi di crisi hanno questo effetto) e in generale sull’ASSENZA di una comunità europea realmente indipendente ed efficace……..suggerisco di ripassarne i fondamentali iniziando proprio dal suo tassello più importante che è la GERMANIA contemporanea.
Buona (ri)lettura.
IL CICLO DEI VINTI – 9 maggio 1945. [cap. 1 di 7]
Identità, ieri e oggi (riflessioni sparse sul caso tedesco. Da leggere ma senza impegno)
Antichissimo buon senso orientale ci ricorda che ad ogni evento che determini un guadagno da una parte, sempre ed inevitabilmente corrisponde una perdita di analoga entità da un’altra : quest’ultima, la perdente, può essere più vicina a noi e quindi immediatamente percepibile, oppure – al contrario – meno prossima o addirittura remota, tanto da sfuggirci e darci l’illusoria impressione che il nostro successo si sia verificato senza danno, senza vittime. Di pia illusione si tratta naturalmente…..poichè per legge empirica (diciamo), ad un surplus aritmeticamente quantificabile in un determinato luogo, DEVE corrispondere un deficit altrove : possiamo infischiarcene di questo “altrove” certamente, concludere sulla base dei nostri valori e priorità che non ci riguardi (è a tutti gli effetti un diritto), ma decidere che non esista e far finta di nulla…..è una comodità che qualsiasi rigore intellettuale non consente (per dire : un governante può anche lavarsi le mani del fatto che milioni di suoi sudditi siano scalzi o soffrano carestie, ma NON può difendersi affermando di ignorare la situazione. Nel caso che veramente la ignori, mal gliene incolga – ogni riferimento all’ultimo tsar non è casuale).
La letteratura moderna ribadisce il concetto con la “teoria della somma zero” di Marx.
Mi duole prendere le cose troppo alla lontana, ma quanto avete appena letto costituisce la premessa filosofica, il senso di fondo, di quanto cercherò di esprimere in quanti capitoli sgorgheranno dalla mia tastiera da qui in avanti…….è a questo incipit che mi riallaccerò al momento dell’epilogo, chiudendo il cerchio.
Dunque…la storia – nella sua totalità – non si ferma mai, nel senso che laddove una storyline finisce, ipso facto ne nasce un’altra che prosegue (semplicemente si sostituiscono gli attori) : è la dinamica convenzionale considerando che tutto è correlato e che molto spesso una vicenda nasce dalle ceneri o dall’esaurimento di una ad essa anteriore. Orbene, questo perenne passaggio di testimone dalle alterne fortune genera naturalmente memorie differenti : tutto ciò che simboleggia gaudio e stimolo per la parte vincente in entrata -una data ad esempio – corrisponde, all’inverso, a triste epilogo per quella che soccombe, in uscita (elementare questione di prospettiva). Nel nostro caso si parla della GERMANIA, intesa come stato nazionale tanto per andare al punto senza tirarla avanti con altri fronzoli.
Il 9 maggio tutti cannoni – virtuali – di Russia (mio secondo paese), nonché di un’altra mezza dozzina di paesi del suo “commonwealth” culturale post-sovietico, sparano in commemorazione delle 75 estati trascorse dal momento in cui le forze armate germaniche firmano la capitolazione davanti al comando sovietico, concludendo il conflitto mondiale in Europa.
Il 9 maggio NESSUN cannone spara in Germania e mai lo farà. Indifferenza, un giorno come qualsiasi altro….anche in questo la tragedia del vinto : a prescindere dal tributo di sangue versato o dal valore dimostrato, lo attende l’oblio. In quanto sconfitto, diventa “male” secondo il metro di giustizia del nuovo contesto plasmato dai suoi vincitori, al punto che l’opzione più conveniente è la dimenticanza per l’appunto.
Da generazioni ogni 9 maggio milioni di adolescenti di Mosca, Leningrado, Ekaterinburg dilagano per le strade e i corsi principali contribuendo all’oceanico pubblico che segue la parata in un turbine variopinto di drappi, bandiere, striscioni, nastri, fiocchi medaglie, e qualsiasi cosa possa luccicare sotto il sole della tarda primavera, in ricordo di nonni e bisnonni.
Nel medesimo giorno i loro coetanei di Francoforte, Berlino e Amburgo sono a casa dopo un normale giorno di lezioni tra i banchi : loro nemmeno SANNO (non tutti) cosa sia stato o cosa abbia fatto il nonno o il bisnonno. E’ quasi come se non li avessero o almeno non li hanno per quanto concerne quella capsula temporale che segue l’anno 1933 e precede il 1945…pazienza per quanti di questi nonni e bis. sopravvissero e si costruirono un’esistenza nella generazione a venire, ma per coloro che ebbero sventura di cadere sul campo di battaglia la faccenda si fa problematica dato che la finestra temporale 33-45 come si è detto è zona morta.
Ecco, siamo di fronte a un triangolo delle Bermuda della memoria collettiva tedesca (come ben si sa), un buco nero che inghiotte e dissolve visi e voci, dissolvendoli riducendoli a un nebbioso e remoto mare di sagome che emette un lamento confuso : zona morta anche per i morti – scusate il gioco di parole – dove non muoiono esattamente, ma piuttosto vengono discretamente rimossi dalla linea temporale. Sì perché una morte eroica fa frastuono, attira l’attenzione pubblica…. è problematica ! L’autorità tedesca post-bellica NON poteva parlar bene dei propri uomini in uniforme, ma nemmeno male (perché aldilà del bene o del male, l’atto stesso del parlare, tiene in vita la cosa) ragion per cui si opta per la soluzione meno compromettente ed efficace : miniaturizzazione, compressione, vaporizzazione (passatemi qualche verbo originale) del soggetto tabù.
E allora ?? Quel golia chiamato “Wehrmacht” ha ancora da lamentarsi ?! Un conflitto convenzionale non demolisce demograficamente mezza dozzina di nazionalità diverse al passare di un singolo esercito ! Dire che si è passato il segno è limitativo, imbarazzante. Una dirigenza politica come quella del reich e coloro che maggiormente la sostennero (tra cui le forze armate) lanciatasi in un progetto di ambizione e incognite fuori scala, deve accettare le leggi dell’azzardo il che prevede ritrovarsi obliterati dal tavolo da gioco se qualcosa va male, le scuse non esistono nemmeno se si vede il gioco dal loro stesso punto di vista (…).
Il nodo – alla base del dibattito sull’identità tedesca dal dopoguerra in avanti – è questo, la posta in gioco : ci si è giocati integralmente il proprio paese come in una partita e quando questo accade, non soltanto la frazione più direttamente responsabile, ma tutto e tutti ne subiranno il peso…sarà la patria nella sua totalità – il concetto di essa – a pagare un tributo. La Germania non è solo nel novero dei paesi sconfitti dalla guerra, ma in quello dei paesi SCOMPARSI a seguito della guerra dal momento che le statualità post-conflitto non saranno la continuazione del paese “tradizionale” nato nel XIX° secolo : in questo senso è proprio la Germania tradizionale ad essere la prima vittima del nazionalsocialismo.
Il 9 maggio si aprono le porte al sorgere della “patria – superpotenza” diretta da Mosca, mentre conversamente, il medesimo giorno muore la “vecchia patria” in Germania.
(CONTINUA…)

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Proposte di pace, propositi di guerra_con Antonio de Martini

Il mondo occidentale, patrocinato dagli Stati Uniti, continua a offrire la propria rappresentazione come quella del mondo intero. Il conflitto in Ucraina non fa eccezione. La novità consiste proprio nel fatto che la verità che ci viene offerta in Europa e negli Stati Uniti questa volta è radicalmente diversa da quella accettata nel resto del mondo. L’amministrazione statunitense rivendica a buon diritto la compatezza conseguita, al momento, nel blocco di alleanze costruito nei decenni pur con qualche crepa; glissa nervosamente sulla neutralità e sulla aperta opposizione di un gran numero di stati nazionali e della gran parte della popolazione nel mondo al suo avventurismo. Dopo la Turchia, iniziano ad emergere nuovi attori di primo piano pronti ad esercitare una azione di mediazione. Lo stesso conflitto ucraino da essere l’oggetto univoco delle attenzioni si sta trasformando con il tempo nella leva per ridefinire le relazioni geopolitiche. La proposta impropria di mediazione della Cina assume questo significato. Nelle more, ancora una volta, i soggetti che vedranno restringere il proprio campo di azione saranno i centri politici europei. La direzione obbligata sarà quella dell’Africa. Ma in una condizione di estrema debolezza e con un retaggio coloniale e neocoloniale pesante come un fardello. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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CRONACHE DEL MONDO MULTIPOLARE, di Pierluigi Fagan

CRONACHE DEL MONDO MULTIPOLARE. Negli ultimi giorni abbiamo avuto un ennesimo voto di condanna delle UN verso l’invasione russa, con l’auspicio di una pace completa, giusta e duratura ed i risultati di una ricerca di opinione condotta dall’European Council for Foreign Relation (ECFR) in Occidente più Russia, Cina, India, Turchia effettuata attraverso tre grandi istituti internazionali. Il tutto ad un anno dall’inizio del conflitto in Ucraina.
In breve, il voto UN è esattamente identico a quello di un anno fa, nulla si è spostato. Quanto alla ricerca la sintesi più precisa è del Direttore dell’ECFR, Mark Leonard: “Il paradosso della guerra in Ucraina è che l’Occidente è tanto unito quanto ininfluente nel mondo”.
L’opinione di Leonard combacia con quella di altri due partner nell’indagine. Ivan Krastev (Center for Liberal Strategy) ha detto: “Lo studio rivela che mentre la maggior parte degli europei e degli americani vive nel mondo pre-Guerra Fredda, caratterizzato dal confronto tra democrazia e autoritarismo, molti al di fuori dell’Occidente vivono in un mondo postcoloniale incentrato sull’idea della sovranità nazionale”.
Timothy Garton Ash (Oxford, Hoover, Stanford) invece ha detto: “I risultati sono estremamente deludenti: l’’occidente transatlantico, incentrato su Europa e Stati Uniti, è oggi più unito, ma non è riuscito a convincere le restanti potenze principali come Cina, India e Turchia. La lezione per l’Europa e l’Occidente è chiara: abbiamo urgentemente bisogno di una nuova narrativa che risulti convincente per Paesi come l’India, la più grande democrazia del mondo”.
Forse a seguire l’idea espressa da Garton-Ash, Biden ha proposto Banga come direttore della Banca Mondiale, un indo-americano ex Mastercard ed ora Exor (Agnelli), membro associato all’élite statunitense ma anche a capo di molte istituzioni miste USA-India per lo sviluppo commerciale. Banca Mondiale fa parte dell’originario pacchetto Bretton Woods 1945 e dalla sua fondazione ad oggi, il direttore è stato sempre e solo americano. Il corteggiamento americano all’India per portarla nell’alveo occidentalista va avanti da tempo. Oltre a Banga, oggi abbiamo la capo economista del FMI ed addirittura il primo Ministro britannico di origine indiana, oltre molti CEO influenti. Curiosa anche l’espressione usata da TGA ovvero “… abbiamo urgentemente bisogno di una nuova narrativa” che denota una deriva di mentalità in corso in Occidente ormai da un po’ di tempo. TGA non crede che gli indiani siano in grado di ragionare razionalmente sul proprio interesse strategico, hanno solo bisogno noi gli si racconti la storiella giusta. La realtà non esiste, esistono solo interpretazioni, narrative appunto.
Forse è per questo che come invece fotografa Leonard, dopo un anno di guerra l’Occidente si è condensato ed estremizzato sotto la costante pressione narrativa USA-NATO mentre una buona parte del resto del mondo va da un’altra parte. Quale parte?
Il Resto del Mondo pensa che presente ed immediato futuro c’è e ci sarà un mondo condominiale, rifiuta l’idea dei due blocchi contrapposti. Astenuti, assenti, contrari alla risoluzione UN, nonostante i numeri dei voti a favore la risoluzione (141) che comprendono molti stati ininfluenti, sommano comunque più della maggioranza del mondo. Ma molti votanti a favore della risoluzione che contiene comunque auspici ecumenici, ad esempio molti soggetti centro-sudamericani (Argentina, Brasile, Messico), africani, asiatici, non per questo si possono annoverare schierati così convintamente con l’Occidente nel nuovo bipolarismo armato auspicato dagli americani. Questi voti servono solo a fare titoli sui giornali, narrative appunto.
Corretta la sintesi che viene fatta nel Rapporto ECFR: “Uno dei risultati più sorprendenti del sondaggio riguarda le idee divergenti sul futuro ordine mondiale. La maggior parte delle persone sia all’interno che all’esterno dell’Occidente crede che l’ordine liberale guidato dagli Stati Uniti stia morendo”. E questo lo diamo come condiviso. Poi però “In Europa e in America, l’opinione prevalente è che il bipolarismo stia tornando. Un numero significativo di persone si aspetta un mondo dominato da due blocchi guidati da Stati Uniti e Cina.”. Nel resto del Mondo, invece: “… al di fuori dell’Occidente, i cittadini credono che la frammentazione piuttosto che la polarizzazione segnerà il prossimo ordine internazionale. La maggior parte delle persone nei principali paesi non occidentali … prevede che l’Occidente sarà presto solo un polo globale tra i tanti. L’Occidente potrebbe essere ancora il partito più forte, ma non sarà egemonico”. Differenze tra chi è soggetto a bombardamento narrativo e chi no.
Emerge così la strategia realista americana per quanto qui da noi impacchettata da narrative idealistiche. La Russia dovrà indebolirsi in modo da non esser più un pericoloso competitor militare. Mai più un’altra Siria, ci rivediamo nell’Artico. In vista del condominio planetario, all’Europa va tolta ogni autonomia strategica in modo da permettere a gli USA di sedersi al tavolo delle varie partite in cui si giocheranno i nuovi equilibri mondiali in nome e per conto dell’Occidente Unito. Un anno fa, definimmo questa una “cattura egemonica”, mi pare si sia perfettamente compiuta, obiettivo perfettamente raggiunto. Anche per evitare che l’Europa dia in toto a parte sponda a questo nuovo gioco con tanti giocatori, va imposto il format “crociata democrazie vs autocrazie”. Gli strateghi degli Stati Uniti sanno benissimo che il gioco sarà plurale e vogliono riservarsi quanta più forza per giocarlo da posizione di primato, per quanto sempre meno esclusivo.
Quindi non solo il voto UN è esattamente uguale a quello di un anno fa, anche le mie considerazioni lo sono, un anno fa circa scrivevo le stesse, identiche cose a conflitto appena iniziato.
Una ultima considerazione andrebbe fatta sulla convenienza europea. In prospettiva multipolare, l’Europa avrebbe ben potuto appartenere al fronte non allineato, quello che gli stessi ricercatori ECFR chiamano “Stati oscillanti” (ad esempio Turchia, India etc.), ma questo non era semplicemente possibile. Europa non è, né può essere, un soggetto geopolitico semplicemente perché non è uno Stato, non avrà mai una sola logica di interesse nazionale e non si può fare una strategia a più logiche. Ma neanche nei sogni più sfrenati può auspicare di diventare uno Stato per quanto federale poiché non ha alcun grado di potenziale omogeneità per esserlo. Non ne ha neanche la volontà. Al di là delle polemiche teatrali tra europeisti e sovranisti i leader europei ed i relativi popoli sono tutti cripto-nazionalisti, nessuno pensa di sciogliere il proprio Stato in un comune con altri. Infatti “europeismo” è una nuvola di sfocati pseudo-concetti ciancicati a coprire una realtà di confederazione economica con rilievi giuridici, così è e mai potrà esser altro.
Semplicemente, popoli, intellettuali, élite degli Stati europei, arrivano ad una svolta storica nel Grande Gioco del mondo, impossibilitati a giocarlo. Gli strateghi americani questo lo sapevano e lo sanno, per questo hanno forzato la mano e con successo, perché non c’era alcuna realistica alternativa viabile. Alternative c’erano ovviamente nel mondo delle chiacchiere, non in quello del crudo realismo ed è proprio la mancanza di realismo a far sì che noi si viva e si possa vivere solo nel mondo delle chiacchiere.

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L’AFRICA RIFIUTA I “VALORI” DELL’OCCIDENTE!_di (Bernard Lugan)

Su questo sito abbiamo più volte sottolineato il ruolo inconsistente e nefasto svolto dai paesi europei in Africa, specie nella area costiera mediterranea e subsahariana. Il deprimente allineamento dei paesi europei alla linea russofobica e di aperta ostilità alla Russia, tra le enormi implicazioni di postura geopolitica, di politica estera e di natura socio-economica, ne avrà una ancora del tutto sottovalutata dalle classi dirigenti europee, in particolare di Francia e Italia: l’obbligo di attenzione verso l’unico spazio geopolitico in qualche maniera rimasto agibile, l’Africa appunto. Una strada obbligata da percorrere, però, nelle condizioni peggiori. Nessuno dei paesi europei, allo stato, dispone di sufficienti strumenti diplomatici, politici, economici e militari sufficienti a perseguire politiche più autonome; gran parte delle classi dirigenti africane hanno assunto ormai una consapevolezza dell’interesse nazionale tale da consentire l’assunzione di un proprio ruolo autonomo e di agire tra le contraddizioni e gli spazi di un contesto multipolare ben visibile in Africa; le grandi dinamiche geopolitiche di quel continente sono ormai in mano ad altri protagonisti, nella fattispecie Stati Uniti, Cina, Russia, India e Turchia in particolare. Ai paesi europei non resta alla fine che il ruolo di meri ausiliari. Un contesto che rischia pesantemente di vellicare tentazioni ed avventure neocoloniali che puntino ad agire sulle diversità etniche e tribali rese presentabili nella veste della salvaguardia dei diritti umani e della tutela di una democrazia formale che in realtà non fa che sancire il predominio di gruppi etnici. Tentazioni coltivabili, come ovvio, nella condizione di ausiliari nella competizione geopolitica in corso. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Bernard Lugan è un noto storico specializzato in Africa. In un momento in cui i riflettori dei media sono puntati sul conflitto russo-ucraino, ci è sembrato utile pubblicare questa intervista che getta nuova luce sulle relazioni molto deteriorate tra Francia e Africa. Ciò che è in gioco in questo continente in piena espansione demografica è di grande importanza per comprendere meglio la ricomposizione in corso delle relazioni internazionali e la perdita di influenza della Francia nonostante (o a causa di) i suoi (maldestri) interventi politici e militari.

(Questa intervista è apparsa originariamente sul sito web di Boulevard Voltaire)

 

 

 

Gabrielle Cluzel

Bernard Lugan, il 9 febbraio pubblicherai una Storia del Sahel, dalle origini ai giorni nostri (Éditions du Rocher), essenziale per comprendere le minacce del mondo di oggi. Per te, è importante conoscere questa storia. Pensi che questo fattore sia sottovalutato?

Bernard Lugan

I decisori francesi non hanno visto che gli attuali conflitti saheliani sono prima di tutto risorgenze “modernizzate” di quelle di ieri, che inscritte in una lunga catena di eventi, spiegano quelli di oggi.

Prima della colonizzazione, i meridionali sedentari venivano catturati nella tenaglia predatoria dei nomadi. Un fatto comune a tutto il Sahel, dal Senegal al Ciad dove troviamo lo stesso problema. Alla fine del XIXe In un secolo, la colonizzazione ha bloccato l’espansione di entità predatorie nomadi il cui crollo è stato fatto nella gioia dei sedentari che hanno sfruttato, i cui uomini hanno massacrato e venduto donne e bambini agli schiavisti del mondo arabo-musulmano.

Ma, così facendo, la colonizzazione ha invertito l’equilibrio di potere locale offrendo vendetta alle vittime della lunga storia dell’Africa, mentre riuniva predoni e predoni entro i limiti amministrativi dell’AOF (Africa occidentale francese). Tuttavia, con l’indipendenza, i confini amministrativi all’interno di questo vasto insieme divennero confini di stati all’interno dei quali, essendo i più numerosi, i sedentari prevalevano politicamente sui nomadi, secondo le leggi immutabili dell’etno-matematica elettorale. Gli ex governanti non accettarono di diventare sudditi dei loro ex vassalli, quindi fu posto il problema conflittuale saheliano. Le prime guerre tuareg scoppiarono nel 1960 in Mali, poi in Niger e Ciad dove i Toubou si sollevarono.

G.C.

Nel tuo libro, seguiamo costantemente l’interazione tra la geografia e ciò che definisci etno-storia. Perché i decisori francesi non l’hanno visto?

B

Questo è davvero il cuore della cascata di errori commessi dai decisori politici francesi mentre i militari avevano capito la realtà sul terreno, ma non sono stati ascoltati. In Mali siamo stati al cospetto di due guerre, quella dei Tuareg a nord, quella dei Fulani a sud, e poi, più tardi, si è aggiunta quella dello Stato Islamico nella regione dei tre confini.

Nel nord, e come ho più volte detto nei miei articoli su Real Africa, la chiave del problema era detenuta oggi dai Tuareg riuniti di nuovo attorno alla “leadership” di Iyad Ag Ghali, leader storico delle precedenti ribellioni tuareg. Politicamente, avremmo dovuto raggiungere un accordo con questo leader di Ifora con il quale inizialmente avevamo contatti, interessi comuni e la cui lotta è prima di tutto identitaria prima di essere islamisti. Tuttavia, per ideologia, per rifiuto di tener conto delle costanti etniche secolari, coloro che fanno politica africana francese consideravano al contrario che fosse lui l’uomo da massacrare… Anche il secondo conflitto, quello del sud (Macina, Liptako, Burkina Faso settentrionale e regione dei tre confini), ha radici etno-storiche e la loro forza trainante è costituita da alcuni gruppi Fulani.

G.C.

Lei scrive che il jihadismo è “il più delle volte lo schermo del traffico di droga”. Quindi i due mali sono strettamente intrecciati?

B

Un altro errore di Parigi è stato quello di aver “essenzializzato” la questione chiamando sistematicamente come jihadista qualsiasi bandito armato o anche qualsiasi portatore di armi. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, abbiamo avuto a che fare con trafficanti che affermavano di essere jihadisti per coprire le loro tracce. Perché è più gratificante pretendere di combattere per la maggior gloria del profeta che per le stecche di sigarette, le spedizioni di cocaina o per il controllo delle rotte migratorie verso l’Europa. Da qui la giunzione tra traffico e religione, la prima nella bolla assicurata dall’islamismo. L’errore della Francia è stato quello di aver rifiutato di vedere che ci trovavamo di fronte alla spazzatura delle rivendicazioni etniche, sociali, mafiose e politiche, opportunamente vestite con il velo religioso, con diversi gradi di importanza di ogni punto a seconda dei momenti.

G.C.

Lei spiega che un altro errore francese è stato quello di aver globalizzato la questione quando era imperativo regionalizzarla.

B.L

Proprio perché Parigi non voleva vedere che ISGS (Stato Islamico nel Grande Sahara) e AQIM (Al-Qaeda per il Maghreb Islamico) hanno obiettivi diversi. L’ISGS, che è collegato a Daesh, mira a creare un vasto califfato transetnico in tutta la striscia sahelo-sahariana per sostituire e comprendere gli stati attuali. Da parte sua, essendo AQIM l’emanazione locale di ampie frazioni dei due grandi popoli all’origine del conflitto, vale a dire i Tuareg nel nord e i Fulani nel sud, i suoi leader locali, i Tuareg Iyad Ag Ghali e i Fulani Ahmadou Koufa, hanno obiettivi principalmente locali e non sostengono la distruzione degli Stati del Sahel. Parigi non ha visto che c’era un’opportunità sia politica che militare da cogliere, che non ho mai smesso di dire e scrivere, ma in Francia non ascoltiamo le opinioni degli “eretici”… Di conseguenza, i decisori parigini hanno categoricamente rifiutato qualsiasi dialogo con Iyad ag Ghali. Al contrario, il presidente Macron ha persino dichiarato di aver dato a Barkhane l’obiettivo di liquidarlo… Contro quanto sostenuto dai capi militari di Barkhane, Parigi ha quindi persistito in una strategia “all’americana”, “digitando” indiscriminatamente tutti i GAT (gruppi terroristici armati) perentoriamente descritti come “jihadisti”, rifiutando così qualsiasi approccio “raffinato”. “à la française”…

G.C.

Qual è il ruolo di Wagner nella regione del Sahel?

B

Permettetemi di essere molto chiaro: rifiuto questa mania di attribuire agli altri le cause dei nostri fallimenti. Se Wagner ha preso il nostro posto nella Repubblica Centrafricana, è perché Sarkozy ci ha fatto evacuare Birao, chiusa di tutta questa parte dell’Africa che i russi, che sanno leggere una mappa, hanno naturalmente occupato. Poi perché Hollande aveva i pannolini distribuiti dai nostri eserciti quando era necessario colpire e molto duramente la Seleka. Abbiamo perso la fiducia dei nostri alleati locali e tutto il nostro prestigio. I russi dovevano solo raccogliere il frutto maturo che avevamo lasciato sull’albero. . . In Mali era la stessa cosa e l’ho spiegato a lungo all’inizio di questa intervista.

Ma, più in generale, attraverso il rifiuto della Francia, sono i “valori” dell’Occidente che l’Africa rifiuta. Il continente, che, nel suo insieme, si riconosce nei valori naturali della famiglia vede con repulsione il “matrimonio per tutti”, i deliri LGBT o il femminismo castrante di ogni virilità proposta come “valori universali” dall’Occidente. Per gli africani, questa è una prova di decadenza. Questo è il motivo per cui la Russia appare, al contrario, come un contrappeso di civiltà al frantoio morale-politico occidentale.

Per quanto riguarda la democrazia “alla francese”, è vista come una forma di neocolonialismo. Tanto più che proporre agli africani come soluzione ai loro problemi l’eterno processo elettorale, il miraggio dello sviluppo o la ricerca del buon governo è ciarlataneria politica… Gli eventi dimostrano costantemente che in Africa, democrazia = etno-matematica, il che si traduce in gruppi etnici più grandi che vincono automaticamente le elezioni. Ecco perché, invece di spegnere le fonti primarie di incendio, le elezioni le rianimano. Per quanto riguarda lo sviluppo, tutto è già stato provato in questo settore dall’indipendenza. Invano. Inoltre, come possiamo ancora osare parlare di sviluppo quando è stato dimostrato che la demografia suicida africana vieta ogni possibilità?

G.C.

Quindi, quale futuro?

B

Decine dei migliori bambini in Francia sono caduti o tornati mutilati per aver difeso un Mali i cui uomini emigrano in Francia piuttosto che combattere per il loro paese. Ma, richiesto dagli attuali leader maliani in seguito ai numerosi errori di Parigi, il ritiro francese ha lasciato campo libero al GAT, offrendo loro anche una base d’azione per destabilizzare Niger, Burkina Faso e paesi vicini. Il bilancio politico di un decennio di coinvolgimento francese è quindi catastrofico.

La Francia sta ora affrontando un rifiuto globale. Se il Niger, un paese più che fragile in cui abbiamo appena ritirato le nostre forze, dovesse subire un colpo di Stato, la situazione diventerebbe problematica e il ritiro verso le coste un’emergenza. Ma con quali mezzi di ritiro? Gli uomini possono ancora essere evacuati per via aerea, ma per quanto riguarda i veicoli e le attrezzature, dal momento che non abbiamo jumbo jet?

La priorità urgente è quindi sapere cosa stiamo facendo nella striscia sahelo-sahariana dove non abbiamo interessi, compreso l’uranio trovato altrove. Dobbiamo quindi definire finalmente e molto rapidamente i nostri interessi strategici attuali e a lungo termine per sapere se dobbiamo o meno disimpegnarci, a quale livello e, soprattutto, senza perdere la faccia.

Occorre trarre diversi insegnamenti da un colossale fallimento di cui, va ripetuto, i responsabili politici sono gli unici responsabili. In futuro, dovremo dare priorità agli interventi indiretti o alle azioni rapide e ad hoc delle navi, che eliminerebbero lo svantaggio dei diritti territoriali percepiti localmente come una presenza neocoloniale insopportabile. Sarebbe quindi necessaria una ridefinizione e un aumento del potere delle nostre risorse marittime e delle nostre forze di proiezione.

Ultimo ma non meno importante, dovremo lasciare che l’ordine naturale africano si sviluppi. Ciò implica che i nostri intellettuali finalmente capiscono che i vecchi governanti non accetteranno mai che, attraverso il gioco dell’etno-matematica elettorale, e solo perché sono più numerosi di loro, i loro ex sudditi o affluenti sono ora i loro padroni. Questo sconvolge le concezioni eteree della filosofia politica occidentale, ma questa è la realtà africana. Più che mai, è quindi importante riflettere su questa profonda riflessione che il Governatore Generale dell’AOF fece nel 1953: “Meno elezioni e più etnografia, e tutti ne trarranno beneficio… In una parola, il ritorno alla realtà, la rinuncia alle “nuvole”, che passa attraverso la conoscenza della geografia e della storia, ed è questo lo scopo del mio libro e delle sue numerose mappe.

21 febbraio 2023

(Questa intervista è apparsa originariamente sul sito web di Boulevard Voltaire)

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