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Se i piani degli Stati Uniti andassero a buon fine, la Russia non solo perderebbe decine di miliardi di dollari di entrate annuali, ma le tensioni con la Turchia potrebbero diventare ingestibili se venisse meno la complessa interdipendenza energetica che finora ha tenuto unite le due nazioni, con il rischio di destabilizzare il Caucaso meridionale e l’Asia centrale.
Zelensky ha annunciato il mese scorso che l’Ucraina importerà GNL americano dalla Grecia attraverso il gasdotto “Vertical Gas Corridor“. Questo progetto integra i piani congiunti della Polonia e degli Stati Uniti in materia di GNL e, in misura minore, quelli della Croazia, al fine di gettare le basi affinché il GNL americano sostituisca completamente il gas russo nell’Europa centrale e orientale (CEE). Sebbene sia molto più costoso, i responsabili politici del continente stanno assecondando questa scelta con il pretesto della sicurezza energetica, ma la pressione esercitata dagli Stati Uniti su di loro ha probabilmente giocato un ruolo importante nella loro decisione.
L’ultima mossa strategica degli Stati Uniti in materia di energia potrebbe anche porre fine ai piani della Russia relativi al hub del gas turco. Questi erano stati annunciati alla fine del 2022 dopo i colloqui tra Putin ed Erdogan, ma Bloomberg ha riferito lo scorso giugno che erano stati accantonati a causa di difficoltà tecniche nell’approvvigionamento dell’Europa centro-orientale dalla Turchia e di disaccordi tra quest’ultima e la Russia. Nessuna delle due parti ha confermato la notizia, ma ora che gli Stati Uniti hanno conquistato una quota maggiore del mercato CEE attraverso il gasdotto “Vertical Gas Corridor”, le probabilità che questo hub venga costruito sono diminuite.
Alex Christoforou di The Duran ha scritto un post approfondito su X a questo proposito, sottolineando in particolare che “il Mediterraneo orientale (Israele e Cipro) sta osservando con attenzione l’avvio di questo corridoio verticale, poiché potrà essere utilizzato per vendere il gas EastMed in Europa in futuro”. Il termine “EastMed” si riferisce al progetto di gasdotto sottomarino omonimo per l’esportazione delle enormi riserve di gas offshore di Israele verso l’UE. Il suo completamento, combinato con il GNL statunitense, eliminerebbe probabilmente per sempre la necessità di gas russo nell’Europa centro-orientale.
A rendere la situazione ancora più preoccupante per la Russia, Reuters ha riportato il mese scorso che “Il cambiamento nella politica energetica della Turchia minaccia l’ultimo grande mercato europeo della Russia e dell’Iran“, sottolineando come l’aumento della produzione interna e delle importazioni di GNL potrebbe ridurre notevolmente il futuro fabbisogno di gas russo della Turchia attraverso il TurkStream. Le minacce di sanzioni di Trump nei confronti di tutti coloro che continuano a importare energia russa senza dimostrare di essersi affrancati da essa, che potrebbero assumere la forma di dazi fino al 500%, potrebbero accelerare questa tendenza.
La Russia non solo perderebbe decine di miliardi di dollari di entrate annuali se tutti i piani americani sopra citati avessero successo, ma le tensioni con la Turchia potrebbero diventare ingestibili se venisse meno la complessa interdipendenza energetica che finora ha tenuto unite le due nazioni. Si prevede già che la Turchia inietterà l’influenza occidentale nell’Asia centrale attraverso il nuovo corridoio TRIPP, ponendo così sfide lungo l’intera periferia meridionale della Russia, il che complicherà ulteriormente i rapporti tra Turchia e Russia.
Se la loro complessa interdipendenza energetica dovesse indebolirsi entro quella data, ad esempio se i loro piani relativi al gas hub rimanessero sostanzialmente congelati o venissero ufficialmente cancellati e la Turchia iniziasse a importare meno gas russo dal TurkStream, allora la Turchia potrebbe sentirsi incoraggiata a sfidare la Russia in modo più aggressivo su questo fronte. Dopo tutto, lo scenario in cui la Russia interrompe le esportazioni di gas per costringere la Turchia a fare concessioni durante una crisi sarebbe meno efficace, il che potrebbe portare a posizioni turche più intransigenti che aumentano il rischio di guerra.
La Russia dovrebbe quindi cercare di rilanciare i propri piani relativi al gas hub e raggiungere un accordo con gli Stati Uniti, magari nell’ambito del grande accordo che stanno cercando di negoziare in questo momento, per assicurarsi la quota di mercato del gas russo in Turchia e possibilmente ripristinarne una parte nell’Europa centro-orientale. Ciò richiederebbe quasi certamente che la Russia scendesse a compromessi su alcuni dei suoi obiettivi massimalisti in Ucraina, e la parola degli Stati Uniti non può essere data per scontata, poiché i futuri presidenti potrebbero invalidare qualsiasi accordo, ma la Russia dovrebbe comunque considerare questa possibilità invece di escluderla.
Il grande obiettivo strategico è quello di ripristinare il ruolo centrale degli Stati Uniti nel sistema globale, ma se ciò non fosse possibile e gli Stati Uniti perdessero il controllo dell’emisfero orientale a favore della Cina, allora il piano B sarebbe quello di ritirarsi nell’emisfero occidentale.
Trump 2.0 ha appena pubblicato la sua Strategia di Sicurezza Nazionale (NSS). È possibile leggerla integralmente qui, ma per chi ha poco tempo, il presente articolo ne riassume i contenuti. La nuova NSS ridefinisce, restringe e ridefinisce le priorità degli interessi statunitensi. L’attenzione è rivolta alla supremazia delle nazioni rispetto alle organizzazioni transnazionali, al mantenimento dell’equilibrio di potere attraverso una ripartizione ottimizzata degli oneri e alla reindustrializzazione degli Stati Uniti, che sarà facilitata dalla sicurezza delle catene di approvvigionamento critiche. L’emisfero occidentale è la priorità assoluta.
Il “corollario Trump” alla Dottrina Monroe è il fulcro e cercherà di negare ai concorrenti non emisferici la proprietà o il controllo di risorse strategicamente vitali, alludendo all’influenza della Cina sul Canale di Panama. La NSS prevede di arruolare campioni regionali e forze amiche per contribuire a garantire la stabilità regionale al fine di prevenire crisi migratorie, combattere i cartelli e erodere l’influenza dei suddetti concorrenti. Ciò è in linea con la strategia “FortressAmerica” di ripristinare l’egemonia degli Stati Uniti nell’emisfero.
L’Asia è il prossimo obiettivo nella gerarchia delle priorità della NSS. Insieme ai suoi partner incentivati, gli Stati Uniti riequilibreranno i legami commerciali con la Cina, competeranno più vigorosamente con essa nel Sud del mondo in un’allusione alla sfida della BRI, e scoraggeranno la Cina su Taiwan e il Mar Cinese Meridionale. Le scappatoie commerciali attraverso paesi terzi come il Messico saranno chiuse, il Sud del mondo legherà più strettamente le sue valute al dollaro e gli alleati asiatici garantiranno agli Stati Uniti un maggiore accesso ai loro porti, ecc., aumentando al contempo la spesa per la difesa.
Per quanto riguarda l’Europa, gli Stati Uniti vogliono che “rimanga europea, ritrovi la sua fiducia nella propria civiltà e abbandoni la sua fallimentare attenzione alla soffocante regolamentazione” al fine di evitare “la cancellazione della civiltà”. Gli Stati Uniti “gestiranno le relazioni europee con la Russia”, “rafforzeranno le nazioni sane dell’Europa centrale, orientale e meridionale” alludendo alla iniziativa polacca “Three Seas Initiative” e, infine, “aiuteranno l’Europa a correggere la sua attuale traiettoria”. A tal fine verrà impiegato un insieme ibrido di strumenti economici e politici.
L’Asia occidentale e l’Africa sono in fondo alle priorità della NSS. Gli Stati Uniti prevedono che la prima diventerà una fonte maggiore di investimenti e una destinazione privilegiata per gli stessi, mentre i legami della seconda con gli Stati Uniti passeranno da un paradigma di aiuti esteri a uno incentrato su investimenti e crescita con partner selezionati. Come con il resto del mondo, gli Stati Uniti vogliono mantenere la pace attraverso una ripartizione ottimizzata degli oneri e senza espandersi eccessivamente, ma continueranno anche a tenere d’occhio le attività terroristiche islamiste in entrambe le regioni.
Il seguente passaggio riassume il nuovo approccio della NSS: “Poiché gli Stati Uniti rifiutano il concetto fallimentare di dominio globale per sé stessi, dobbiamo impedire il dominio globale, e in alcuni casi anche regionale, di altri”. A tal fine, l’equilibrio di potere deve essere mantenuto attraverso politiche pragmatiche del bastone e della carota in collaborazione con partner stretti, che includono la sicurezza delle catene di approvvigionamento critiche (in particolare quelle nell’emisfero occidentale). Questo è essenzialmente il modo in cui Trump 2.0 intende rispondere alla multipolarità.
Il grande obiettivo strategico è quello di ripristinare il ruolo centrale degli Stati Uniti nel sistema globale, ma se ciò non fosse possibile e gli Stati Uniti perdessero il controllo dell’emisfero orientale a favore della Cina, il piano B sarebbe quello di ritirarsi nell’emisfero occidentale, che diventerebbe autarchico sotto l’egemonia degli Stati Uniti se questi ultimi riuscissero a costruire la “fortezza America”. La NSS di Trump 2.0 è molto ambiziosa e sarà più difficile da attuare di quanto lo sia stato promulgare, ma anche un successo parziale potrebbe rimodellare radicalmente la transizione sistemica globale a favore degli Stati Uniti.
Il loro scopo è far capire al Pakistan che l’India è e sarà sempre il principale partner della Russia nell’Asia meridionale, quindi nessuno lì o altrove dovrebbe pensare che il miglioramento delle relazioni russo-pakistane sia in qualche modo rivolto contro l’India o che assumerà mai tali forme.
Putin ha rilasciato una lunga intervista ai canali televisivi Aaj Tak e India Today alla vigilia della sua visita in India . L’intervista ha toccato un’ampia gamma di argomenti e, pur non rivolgendosi direttamente al Pakistan, ha comunque inviato alcuni messaggi velati. Il primo è stato quando ha dichiarato che “l’India è un importante attore globale, non una colonia britannica, e tutti devono accettare questa realtà”. Tra i difficili rapporti indo-americani e il rapido riavvicinamento tra Pakistan e Stati Uniti , il messaggio è che l’India non si lascerà costringere o contenere.
Questo punto è stato rafforzato aggiungendo che “il Primo Ministro Modi non è uno che soccombe facilmente alle pressioni… La sua posizione è ferma e diretta, senza essere conflittuale. Il nostro obiettivo non è provocare conflitti; piuttosto, miriamo a proteggere i nostri diritti legittimi. L’India fa lo stesso”. Ricordiamo che il Pakistan ha accusato l’India di aggressione per aver reagito in modo convenzionale dopo l’ attacco terroristico di Pahalgam , attribuendo la colpa a Islamabad, eppure Putin ha semplicemente lasciato intendere che ciò fosse in realtà giustificato e legale.
L’India ha fatto molto affidamento sulle attrezzature russe durante la guerra che ne è seguita , ma sarebbe sbagliato supporre che la loro attuale cooperazione tecnico-militare sia rivolta contro il Pakistan, come sostengono alcuni esperti filo-occidentali legati alla sua giunta militare di fatto allineata all’Occidente. Putin ha chiarito che “né io né il Primo Ministro Modi, nonostante alcune pressioni esterne che subiamo, abbiamo mai – e voglio sottolinearlo, voglio che lo sentiate – avvicinato la nostra collaborazione per lavorare contro qualcuno”.
A Putin è stato poi chiesto dell’approccio della Russia nei confronti delle “questioni fondamentali irrisolte tra gli stati membri chiave” della SCO, al che ha risposto che “condividiamo la comune comprensione di avere valori comuni radicati nelle nostre credenze tradizionali, che sostengono le nostre civiltà, come quella indiana, già da centinaia, se non migliaia, di anni”. Il messaggio qui è che l’India è un’antica civiltà-stato , non una nuova e artificiale creazione postcoloniale come sostengono alcuni revisionisti pakistani.
Gli è stato anche chiesto come la Russia si bilancia tra India e Cina, a cui ha risposto esprimendo ottimismo sulla risoluzione delle divergenze. Ha iniziato, in modo significativo, affermando: “Non credo che abbiamo il diritto di interferire nelle vostre relazioni bilaterali” e ha concluso ribadendo che “la Russia non si sente autorizzata a intervenire, perché questi sono affari bilaterali”. Ciò contraddice educatamente la recente proposta politicamente fuorviante del suo ambasciatore in Pakistan di mediare tra India e Pakistan.
L’ultimo messaggio velato di Putin al Pakistan è stato quando ha affermato: “Per raggiungere la libertà (per coloro che credono che sia stata loro negata), dobbiamo usare solo mezzi legali. Qualsiasi azione che implichi metodi criminali o che danneggi le persone non può essere sostenuta… In queste questioni, l’India è nostra piena alleata e sosteniamo pienamente la lotta dell’India contro il terrorismo”. Di conseguenza, è contrario al ricorso alla criminalità e al terrorismo da parte di alcuni separatisti del Kashmir , ergo al pieno sostegno della Russia alla risposta dell’India all’attacco terroristico di Pahalgam.
Nel complesso, questi messaggi mirano a trasmettere al Pakistan che l’India è e sarà sempre il principale partner della Russia nell’Asia meridionale, quindi nessuno, né lì né altrove, dovrebbe pensare che il miglioramento delle relazioni russo-pakistane sia in alcun modo rivolto contro l’India o che possa mai assumere tali forme. Anche la fazione politica pro-BRI del suo Paese, responsabile di aver inviato segnali contrastanti sulle relazioni russo-indiane, come spiegato nelle sette analisi qui elencate , dovrebbe prendere nota di quanto affermato.
Una maggiore consapevolezza in tutto il mondo del ruolo insostituibile che il duo russo-indiano svolge nella transizione sistemica globale porterà loro partnership più reciprocamente vantaggiose che accelereranno l’avvento della multipolarità complessa.
Il primo viaggio di Putin in India in quattro anni è stato un successo straordinario. I lettori possono consultare l’elenco dei risultati condivisi dal Ministero degli Affari Esteri indiano qui e la sua dichiarazione congiunta con Modi qui . Probabilmente altrettanto importante di quanto sopra è stato il lancio di RT India , avviato personalmente da Putin . Non è un caso che la Russia abbia appena aperto una sede regionale del suo principale organo di stampa internazionale in India. La presente analisi evidenzierà le cinque ragioni per cui questo rappresenta un punto di svolta strategico per la Russia:
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1. L’India è un gigante demografico
La prima ragione è la più ovvia: l’India è il Paese più popoloso del mondo, con circa 1,5 miliardi di persone. Non solo, ma ha anche il secondo maggior numero di anglofoni al mondo, dopo gli Stati Uniti, il che spiega perché gli indiani stiano influenzando sempre di più il dibattito sui social media, dato che l’inglese rimane ancora la lingua franca online. Di conseguenza, un numero maggiore di indiani favorevoli alla lingua russa potrebbe tradursi in un numero maggiore di post sui social media in linea con la lingua russa, il che non può che giovare alla Russia.
2. Ha un enorme potenziale economico
L’India è già la quinta economia mondiale e si appresta a diventare la terza entro il 2030. Il commercio con la Russia è salito alle stelle da quando è stata approvata la legge speciale.L’operazione è iniziata perché l’India importa massicciamente petrolio a prezzi scontati dalla Russia, ma entrambe le parti vogliono intensificare i legami economici nel settore reale. Con il rafforzamento del sentimento di simpatia per la Russia in India grazie a RT India, potenziali clienti, aziende e investitori potrebbero di conseguenza scegliere i prodotti russi e il mercato russo rispetto ad altri, realizzando così questo obiettivo.
3. L’India è la “voce del Sud del mondo”
Il Sud del mondo comprende la stragrande maggioranza dell’umanità e solo ora sta iniziando a emergere come una forza con cui fare i conti. L’India si è presentata come la ” Voce del Sud del mondo ” dall’inizio del 2023, essendo di gran lunga il più popoloso ed economicamente più grande tra i paesi del mondo. Ecco perché sente naturalmente la responsabilità di guidare questo insieme fraterno di paesi con esperienze e sfide simili. Un sentimento più favorevole alla Russia in India può quindi diffondersi facilmente in tutto il Sud del mondo.
4. RT India può rompere il monopolio mediatico dell’Occidente
Sebbene l’India sia già una delle società più favorevoli alla Russia al mondo, come dimostrato da fonti credibili,Secondo i sondaggi , il mercato mediatico nazionale è dominato da testate filo-occidentali. Ciò ha già portato ad alcuni scandali di fake news. Alcuni ignari osservatori stranieri hanno anche interpretato erroneamente articoli critici sulla Russia pubblicati sui media indiani, interpretandoli come il riflesso del sentimento popolare o dell’élite. RT India può rompere il monopolio mediatico dell’Occidente, rafforzare ulteriormente il sentimento filo-russo e quindi rovinare i piani dell’Occidente.
5. Potrebbe presto diffondere il concetto di tri-multipolarità in tutto il mondo
Il grande significato strategico delle relazioni russo-indiane risiede nel fatto che queste due realtà agiscono congiuntamente come una terza forza per aiutare gli altri a liberarsi dal percepito dilemma a somma zero e a schierarsi nella rivalità sistemica sino-americana. Senza questo ruolo, il mondo si biforcherebbe di fatto in due blocchi, ma ora si muoverà invece verso una tripla – multipolarità (Stati Uniti, Cina e Russia-India) come trampolino di lancio verso una multipolarità complessa . RT India dovrebbe articolare e diffondere questo concetto in tutto il mondo.
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Tutto sommato, RT India rappresenta davvero un punto di svolta strategico per la Russia, poiché otterrà ampi benefici in termini di soft power, economici e politici attraverso i mezzi descritti sopra, il più importante dei quali è probabilmente l’ultimo, ovvero la divulgazione del concetto di tripla-multipolarità. Una maggiore consapevolezza a livello mondiale del ruolo insostituibile che il duo russo-indiano svolge nella transizione sistemica globale porterà a partnership più reciprocamente vantaggiose, che accelereranno l’avvento della multipolarità complessa.
Gli inglesi potrebbero istigare questa iniziativa a provocare una crisi per rovinare la rinascimentale “Nuova distensione” tra Russia e Stati Uniti, ma anche se fallisse, l’Europa continentale sarebbe comunque indebolita se gli Stati Uniti si facessero da parte quando la Russia reagisse, e questo potrebbe favorire anche i loro interessi.
A ottobre si è valutato che ” la triplice risposta della NATO all’ultimo allarme russo aumenta il rischio di una guerra più ampia “. A quel punto, il blocco stava prendendo in considerazione l’armamento di droni di sorveglianza, la semplificazione delle regole di ingaggio per i piloti di caccia e lo svolgimento di esercitazioni NATO proprio al confine con la Russia. Tutte e tre le opzioni sono ancora in programma, ma recenti resoconti di Politico e del Financial Times suggeriscono che ora si stia discutendo di una politica finora impensabile, che potrebbe essere molto più pericolosa.
Il primo riportava che “gli alleati, dalla Danimarca alla Repubblica Ceca, consentono già operazioni informatiche offensive” contro la Russia da parte dei loro servizi di sicurezza nazionale, il che costituisce il contesto in cui il Ministro degli Esteri lettone e, cosa interessante, il Ministro della Difesa italiano stanno sollecitando una maggiore “proattività”. Il secondo citava poi il Presidente del Comitato Militare della NATO, Giuseppe Cavo Dragone, il quale sosteneva che ipotetici “attacchi informatici preventivi” potrebbero essere considerati un'”azione difensiva” da parte del blocco.
Dragone ha tuttavia chiarito che “è più lontano dal nostro normale modo di pensare e di comportarci”. Ciononostante, l’importanza di questi recenti rapporti sta nel fatto che suggeriscono che alcuni membri della NATO potrebbero lanciare unilateralmente tali “attacchi preventivi” contro la Russia o farlo in una nuova “coalizione dei volenterosi”, entrambe le opzioni aumenterebbero il rischio di ritorsioni russe, che potrebbero catalizzare un nuovo ciclo di escalation potenzialmente incontrollabile. È quindi meglio per loro non farlo affatto.
Non è chiaro quanto seriamente se ne stia discutendo all’interno della NATO, ed è possibile che i rapporti citati facciano parte di un’operazione psicologica a scopo di deterrenza, dato il timore patologico del blocco che la Russia stia pianificando operazioni informatiche su larga scala contro di loro, ma è preoccupante che se ne parli. Ci sono tre ragioni per cui ciò accade, la prima delle quali è che la NATO è ancora ufficialmente un'”alleanza difensiva”, ma qualsiasi osservatore onesto sa già che di fatto è un’alleanza offensiva dalla fine della Vecchia Guerra Fredda.
La seconda è che queste deliberazioni contraddicono direttamente la politica di coesistenza pacifica con la Russia che Trump spera di promulgare alla fine del conflitto ucraino, che ora sta finalmente cercando di porre fine con entusiasmo attraverso la sua tanto attesacostringere Zelensky a fare qualche concessione a Putin. Se questo dovesse avere successo e gli Stati Uniti coesistessero pacificamente con la Russia, gli “attacchi informatici preventivi” dei membri europei della NATO contro la Russia potrebbero costringere gli Stati Uniti a lasciarli a bocca asciutta in caso di rappresaglia.
Lo scenario sopra descritto si collega all’ultima ragione per cui queste deliberazioni politiche sono così preoccupanti, ovvero che qualcuno sembra manovrare i fili dietro le quinte per provocare una crisi con questi mezzi. Dato che dietro le fughe di notizie russo-americane di Bloomberg, volte a far deragliare i colloqui sul quadro di 28 punti dell’accordo di pace russo-ucraino degli Stati Uniti , ogni sospetto dovrebbe essere nuovamente rivolto a loro, in quanto maestri storici di complotti divide et impera e provocazioni sotto falsa bandiera.
Considerando tutto ciò, si può quindi concludere che il flirt della NATO con “attacchi informatici preventivi” contro la Russia sia probabilmente fomentato dagli inglesi, che vogliono completare i preparativi in modo che possano essere eseguiti su suo ordine in futuro. Lo scopo sarebbe quello di provocare una crisi per rovinare la rinascente ” Nuova Distensione ” russo – americana , ma anche se questo fallisse, l’Europa continentale sarebbe comunque indebolita se gli Stati Uniti si facessero da parte in caso di rappresaglia russa, e questo potrebbe favorire anche gli interessi britannici.
Ciò rafforzerà i loro atti di bilanciamento complementari per evitare una dipendenza sproporzionata dalle superpotenze americana e cinese nel contesto della transizione sistemica globale verso una multipolarità complessa.
Putin è alla sua prima visita di Stato in India in quattro anni, dopo aver visitato quello che la Russia considera il suo partner strategico speciale e privilegiato nel dicembre 2021. All’epoca si era valutato che cercassero di guidare un nuovo Movimento dei Paesi Non Allineati (Neo-NAM), la cui essenza è stata introdotta dall’India attraverso la sua piattaforma ” Voce del Sud del Mondo ” all’inizio del 2023. Lo scopo è quello di contrastare le tendenze alla bi-multipolarità sino-americana , promuovendo la tripla – polarità come trampolino di lancio verso la multipolarità complessa ( multiplexità ).
In parole povere, questo significa che Russia e India aiutano congiuntamente i paesi relativamente più piccoli a trovare un equilibrio tra le superpotenze americana e cinese, ma la Russia è stata subito costretta ad avviare la sua specialeoperazione che ha portato a una guerra per procura con la NATO. Nel corso del conflitto ucraino , la Russia si è avvicinata così tanto alla Cina che ora si può dire che i due abbiano formato ufficiosamente un’Intesa, ma l’India ha aiutato preventivamente la Russia a evitare una dipendenza sproporzionata da essa.
Ciò è stato ottenuto attraverso l’acquisto su larga scala di petrolio russo a prezzo scontato e la ridefinizione delle priorità del corridoio di trasporto nord-sud attraverso l’Iran per ampliare il loro commercio nel settore reale. Nonostante le divergenze Nonostante le notizie circa il rispetto delle recenti sanzioni statunitensi per limitare gli acquisti di cui sopra, l’India resta impegnata a evitare la dipendenza sproporzionata della Russia dalla Cina per timore che ciò possa portare la Cina a costringere la Russia a limitare le esportazioni di armi all’India per risolvere la controversia sui confini a suo favore.
L’inaspettata pressione degli Stati Uniti sull’India sotto Trump 2.0 è intesa come punizione per non essersi sottomessa al ruolo di maggiore vassallo degli Stati Uniti di sempre, ma ha avuto l’effetto indesiderato di ricordare ai politici indiani come la Russia non abbia mai fatto pressione sul loro Paese, dando così nuovo impulso all’espansione dei loro legami. È in questo contesto che Putin visita l’India, che avviene anche nel contesto della rinascente ” Nuova Distensione ” russo – americana messa in atto dall’accordo di pace in 28 punti di Trump con l’Ucraina .
La pressione degli Stati Uniti sull’India potrebbe presto attenuarsi se i politici iniziassero a comprendere il suo ruolo cruciale nel bilanciamento tra Russia e Cina. Questo accordo è nell’interesse del Paese, scongiurando lo scenario in cui la Russia diventi l’appendice cinese delle materie prime per accelerare la sua traiettoria di superpotenza e, di conseguenza, un rivale più temibile nella definizione dell’ordine mondiale emergente. Facilitare passivamente la visione condivisa di tripla-multipolarità tra Russia e India potrebbe quindi essere considerato vantaggioso dagli Stati Uniti.
Il viaggio di Putin in India giunge quindi in un momento reciprocamente opportuno, poiché rafforzerà i loro complementari equilibri per evitare rispettivamente una dipendenza sproporzionata dalle superpotenze cinese e americana. Ciò aiuterà entrambe le parti a raggiungere accordi migliori con le due superpotenze, migliorando la propria posizione negoziale e promuovendo al contempo la transizione sistemica globale verso la multiplessità, che contestualizza ciò che Fëdor Lukyanov di Valdai intendeva quando descriveva i loro legami come “un modello per un mondo post-occidentale”.
Ciò potrebbe rendere più facile per l’Arabia Saudita normalizzare le relazioni con Israele anche in assenza dell’indipendenza palestinese e quindi ripristinare la fattibilità politica di questo megaprogetto geoeconomico.
L’annuncio che gli Stati Uniti venderanno gli F-35 all’Arabia Saudita è uno sviluppo monumentale. Israele è l’unico paese dell’Asia occidentale a schierare questi caccia all’avanguardia, quindi il suo “vantaggio militare qualitativo” potrebbe essere eroso di conseguenza, ergo il motivo per cui l’IDF si è ufficialmente opposta . Axios ha riferito che Israele vuole che la vendita sia subordinata alla normalizzazione delle relazioni tra Arabia Saudita, idealmente attraverso gli Accordi di Abramo, o almeno alla garanzia da parte degli Stati Uniti che gli F-35 non saranno schierati nelle regioni occidentali dell’Arabia Saudita vicine a Israele.
Non è ancora chiaro se gli Stati Uniti accolgano queste richieste, ma ciò che è molto più chiaro è che l’Arabia Saudita avrà un ruolo più importante nella strategia regionale degli Stati Uniti, il che riporta il Regno nell’orbita statunitense dopo aver diversificato le sue partnership negli ultimi anni, ampliando i legami con Russia e Cina. L’Arabia Saudita si stava già muovendo verso un riavvicinamento con gli Stati Uniti dopo gli ultimi quattro anni di relazioni difficili sotto Biden, come dimostrato dalla sua riluttanza ad aderire formalmente ai BRICS dopo essere stata invitata nel 2023.
L’ultima guerra di Gaza scoppiata poco dopo, che si è evoluta nella prima guerra dell’Asia occidentale tra Israele e l’Asse della Resistenza guidato dall’Iran e si è conclusa con la sconfitta di quest’ultimo , ha ostacolato i progressi sul ” Corridoio economico India-Medio Oriente-Europa ” ( IMEC ) dal G20 di quell’anno. La portata geoeconomica dell’IMEC richiede in modo importante la normalizzazione dei rapporti israelo-sauditi per facilitare questo processo, che gli Stati Uniti potrebbero ora cercare di mediare dopo aver posto fine alla guerra di Gaza che ha interrotto questo processo precedentemente in rapida evoluzione.
L’impegno dell’Arabia Saudita a investire quasi mille miliardi di dollari nell’economia statunitense, in aumento rispetto ai 600 miliardi di dollari concordati durante la visita di Trump a maggio, può essere interpretato come una tangente per ottenere le migliori condizioni possibili. Trump potrebbe quindi cercare di costringere Bibi a fare almeno delle concessioni superficiali sulla sovranità palestinese in Cisgiordania, in modo che il principe ereditario Mohammad Bin Salman (MBS) non “perda la faccia” accettando la normalizzazione delle relazioni tra i due Paesi senza che la Palestina diventi prima indipendente.
Allo stesso tempo, la vendita di F-35 all’Arabia Saudita e il conferimento dello status di “Maggiore alleato non NATO” potrebbero essere sufficienti per convincere MBS ad abbandonare anche la minima domanda implicita di cui sopra, soprattutto perché l’IMEC è indispensabile per il futuro post-petrolifero del suo Regno e per il relativo programma di sviluppo ” Vision 2030 “. Se gli Stati Uniti mediassero un accordo israelo-saudita che porti a rapidi progressi nell’implementazione dell’IMEC, potrebbero promuovere l’IMEC come sostituto del Corridoio di Trasporto Nord-Sud (NSTC) dell’India con Iran e Russia.
Gli Stati Uniti hanno già revocato la deroga alle sanzioni Chabahar per l’India prima di reintrodurla , prima come forma di pressione durante i colloqui commerciali e poi come gesto di buona volontà man mano che si facevano progressi, ma si può sostenere che questa deroga miri a reindirizzare l’India dall’NSTC all’IMEC come mezzo per contenere la Russia. Dopotutto, l’NSTC consente all’India di aiutare la Russia a controbilanciare l’ espansione dell’influenza turca in Asia centrale tramite il TRIPP , quindi una deroga a tempo indeterminato è estremamente improbabile anche in caso di un accordo commerciale indo-americano.
Sarebbe più facile per l’India accettare questa concessione geoeconomica, che potrebbe essere ricambiata da concessioni tariffarie da parte degli Stati Uniti, se l’IMEC tornasse a essere vitale e potesse quindi sostituire l’NSTC. Affinché ciò accada, gli Stati Uniti devono prima mediare la normalizzazione dei rapporti tra Israele e Arabia Saudita, a cui potrebbero ora dare priorità dopo aver mediato la fine della guerra di Gaza e raggiunto la loro ultima serie di accordi con il Regno. L’accordo tra Stati Uniti e Arabia Saudita sugli F-35 potrebbe quindi far parte del piano finale di Trump per rilanciare l’IMEC.
Una corretta alfabetizzazione mediatica può aiutare le persone a distinguere con maggiore sicurezza la varietà di prodotti informativi a cui sono esposte e quindi a ridurre le probabilità di cadere nella trappola delle fake news.
A fine novembre, il quotidiano britannico Daily Express ha affermato che l’Azerbaigian sta segretamente inviando cacciabombardieri Su-22 in Ucraina attraverso una rotta tortuosa che attraversa Turchia, Sudan e Germania. È la stessa rotta attraverso la quale un oscuro sito di notizie online ruandese ha affermato a fine settembre che l’Azerbaigian sta segretamente armando l’Ucraina con armi leggere e droni. La notizia è diventata virale all’epoca dopo essere stata ripresa da organi di stampa russi come Sputnik , nel mezzo delle tensioni russo-azere allora in corso .
Le stesse tensioni si sono presto placate dopo che Putin ha incontrato il suo omologo Ilham Aliyev per un colloquio a Dushanbe a margine del vertice dei leader della CSI, dopo il quale il suddetto rapporto è stato raramente menzionato da molti di coloro che fino a quel momento avevano contribuito a diffonderne la massima informazione. La sua sostanza è sempre stata sospetta a causa dei costi aggiuntivi e dei tempi di spedizione connessi a un percorso così tortuoso rispetto all’impiego di percorsi più diretti via terra o ferrovia attraverso Turchia, Bulgaria e Romania.
Ciononostante, il blog militare russo Rybar – che funge anche da sorta di think tank – ha dato credito a tale notizia in uno dei suoi post su Telegram dell’epoca, ma poi ha curiosamente contestato l’ultima affermazione secondo cui i Su-22 sarebbero stati spediti tramite questa rotta. Secondo loro, i Su-22 sono molto vecchi, l’Ucraina non ne ha nemmeno bisogno (nemmeno per i pezzi di ricambio) e il Daily Express è una pubblicazione sensazionalistica il cui paese trae vantaggio dalla creazione di nuove tensioni nei rapporti con la Russia.
A dire il vero, i rapporti russo-azeri non sono ancora buoni, nonostante il loro incipiente riavvicinamento, con la percezione di una minaccia non convenzionale da parte della Russia nei confronti dell’Azerbaigian che rimane elevata a causa del suo ruolo nel facilitare l’iniezione di influenza occidentale guidata dalla Turchia lungo l’intera periferia meridionale della Russia . Questo processo viene portato avanti attraverso la ” Trump Route for International Peace and Prosperity ” (TRIPP), che faciliterà la logistica militare della NATO in Asia centrale e quindi il possibile adeguamento delle sue forze armate ai suoi standard.
Secondo Aliyev , l’Azerbaigian ha già raggiunto questo obiettivo all’inizio di novembre , e avendo appena aderito all’annuale Incontro Consultivo dei Capi di Stato delle Repubbliche dell’Asia Centrale, poi ribattezzato ” Comunità dell’Asia Centrale “, potrebbe aiutare Paesi come il Kazakistan a seguirne l’esempio. In parole povere, l’Azerbaigian rappresenta effettivamente una minaccia latente non convenzionale per gli interessi strategici della Russia in Asia Centrale, ma ciò non significa automaticamente che ogni notizia sulle sue politiche anti-russe sia vera.
Di conseguenza, è discutibile se l’Azerbaigian stia segretamente inviando Su-22 in Ucraina, soprattutto attraverso la complicata rotta tricontinentale che un tabloid britannico ha affermato essere utilizzata a questo scopo. In assenza di prove, infatti, questo rapporto potrebbe benissimo essere un’operazione di intelligence britannica volta ad esacerbare la sfiducia tra Russia e Azerbaigian allo scopo di provocare una “reazione eccessiva” da parte della Russia che catalizzi un ciclo autoalimentato di escalation reciproche. Gli osservatori dovrebbero quindi essere molto scettici.
In fin dei conti, resoconti provenienti da fonti sospette come questo di un tabloid britannico e persino quello precedente di quell’oscuro notiziario online ruandese potrebbero sembrare credibili a prima vista, poiché corrispondono alle aspettative di alcuni lettori, ma questo è un motivo in più per dubitare delle loro affermazioni. Una corretta alfabetizzazione mediatica può aiutare le persone a distinguere con maggiore sicurezza la varietà di prodotti informativi a cui sono esposte e quindi a ridurre le probabilità di cadere in errore e cadere vittima di fake news.
Questo nuovo gruppo potrebbe promuovere un più forte senso di identità regionale condivisa tra i suoi membri, persino etnica in senso pan-turco (il Tagikistan è l’eccezione), rispetto a quello che condividono con la Russia attraverso il loro passato imperiale e sovietico, con tutto ciò che ciò comporta per l’elaborazione delle politiche future.
Le Repubbliche dell’Asia Centrale (RCA) rientrano nella “sfera di influenza” russa per ragioni storiche, economiche e di sicurezza. La prima deriva dalla loro storia comune sotto l’Impero russo e l’URSS, la seconda dall’Unione Economica Eurasiatica (UEE) a guida russa, a cui partecipano Kazakistan e Kirghizistan, mentre la terza è legata all’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO) a guida russa, che include le Repubbliche e il Tagikistan. L’influenza della Russia, tuttavia, è diminuita negli ultimi anni.
La sua comprensibile priorità allo specialeL’operazione ha creato l’opportunità per la Turchia di espandere la propria influenza attraverso l'”Organizzazione degli Stati Turchi” (OTS), a cui partecipano Kazakistan, Kirghizistan e Uzbekistan, con il Turkmenistan in qualità di osservatore. L’OTS è nata come gruppo di integrazione socio-culturale che ora promuove anche la cooperazione economica e persino in materia di sicurezza, sfidando così l’UEE e la CSTO. Anche gli Stati Uniti hanno compiuto importanti passi avanti negli scambi commerciali all’inizio di questo mese, durante l’ultimo vertice C5+1.
Questi sviluppi sono stati notevolmente facilitati dalla normalizzazione dei rapporti tra Armenia e Azerbaigian, mediata dagli Stati Uniti, e dal conseguente “Trump Route for International Peace & Prosperity” ( TRIPP ), presentato durante il vertice dei tre leader alla Casa Bianca all’inizio di agosto. Ciò porterà essenzialmente la Turchia a iniettare influenza occidentale lungo l’intera periferia meridionale della Russia, soprattutto attraverso il previsto aumento delle esportazioni militari, che minaccia di porre serie sfide latenti alla Russia .
L’ ultima mossa su questo fronte è stata quella delle RCA di invitare l’Azerbaigian a partecipare alla loro riunione consultiva annuale dei capi di Stato e di rinominarla “Comunità dell’Asia Centrale” (CCA), casualmente subito dopo l’incontro con Trump. L’integrazione regionale è sempre positiva, ma in questo caso potrebbe anche ridurre l’influenza regionale della Russia. Questo perché tutti e sei potrebbero trattare con la Russia come gruppo anziché individualmente. Ciò potrebbe portare a posizioni negoziali più dure se incoraggiati dalla Turchia e dagli Stati Uniti.
L’inclusione dell’Azerbaigian suggerisce che condividerà la sua esperienza nella gestione delle tensioni di quest’estate con la Russia e fungerà da supervisore dell’alleato turco all’interno del CCA per allinearlo il più possibile all’OTS (ricordando che il Tagikistan, paese non turco, non ne è membro). Questo probabile ruolo, unito alla tempistica dell’annuncio del CCA subito dopo il C5+1 e tre mesi dopo la presentazione del TRIPP, suggerisce che il paese voglia riequilibrare i rapporti con la Russia e potrebbe fare affidamento sulla guida dell’Azerbaigian se ciò dovesse causare tensioni.
La Russia svolge ancora un ruolo economico enorme nelle cinque RCA e garantisce la sicurezza di tre dei sei membri della CCA attraverso la loro adesione alla CSTO. Putin ha inoltre ospitato i leader delle RCA all’inizio di ottobre, durante il Secondo Vertice Russia-Asia Centrale, dove si è impegnato ad aumentare gli investimenti. Esistono quindi limiti concreti in termini di portata e rapidità con cui la CCA potrebbe riequilibrare i rapporti con la Russia, quindi non ci si aspetta nulla di drammatico a breve, ma una certa riduzione dell’influenza russa potrebbe essere inevitabile.
Questo perché il CCA potrebbe promuovere un più forte senso di identità regionale, persino etnica in senso pan-turco (il Tagikistan è l’eccezione), rispetto a quello che condividono con la Russia attraverso il loro passato imperiale e sovietico, con tutto ciò che ciò comporta per la futura definizione delle politiche. Ciò è in linea con gli interessi della Turchia, che prevede di diventare una Grande Potenza eurasiatica attraverso la sua nuova influenza in Asia centrale tramite il TRIPP e l’OTS, e che a sua volta promuove il grande obiettivo strategico degli Stati Uniti di contenere la Russia.
Se non fosse stato abbattuto sopra la città di confine bielorussa di Grodno e fosse invece passato in Polonia diretto al Centro congiunto di analisi, addestramento e istruzione NATO-Ucraina, come hanno rivelato i dati di volo recuperati, avrebbe potuto scatenare una crisi che avrebbe rovinato i rinati colloqui di pace.
L’inviato speciale di Trump per la Russia, Steve Witkoff, e suo genero Jared Kushner, entrambi protagonisti di un ruolo importante nei negoziati per l’ accordo di pace di Gaza , hanno incontrato Putin al Cremlino per cinque ore martedì. Il loro viaggio avrebbe potuto essere ostacolato, tuttavia, se una provocazione lituana avesse avuto successo. Un drone spia occidentale all’avanguardia è stato abbattuto domenica sulla città di Grodno, al confine con la Bielorussia occidentale, ma i dati di volo recuperati indicavano che avrebbe dovuto raggiungere la Polonia occidentale.
Il percorso lo avrebbe portato a Bydgoszcz, che ospita il Centro congiunto di analisi, addestramento e istruzione NATO-Ucraina , per poi tornare indietro per lo stesso percorso. Questo avrebbe potuto a sua volta scatenare una crisi, poiché i guerrafondai occidentali avrebbero certamente riportato l’incidente in modo errato, forse utilizzando dati di volo e radar manipolati, per affermare che la Russia avesse lanciato il drone dalla Bielorussia. Potrebbero persino aver mentito sul fatto che si trattasse di un drone armato, al fine di drammatizzare al massimo l’incidente e far deragliare i colloqui allora imminenti.
Diversi presunti droni russi sono entrati in Polonia circa due mesi e mezzo fa in un incidente che è stato presumibilmente attribuito al disturbo della NATO in vista delle esercitazioni Zapad 2025 , ma che è stato sfruttato dallo “stato profondo” polacco in un fallito tentativo di manipolare il presidente per spingerlo a dichiarare guerra alla Russia. Da allora, il presidente bielorusso Alexander Lukashenko e il suo capo del KGB Ivan Tertel hanno confermato che il loro Paese desidera un “grande accordo” con gli Stati Uniti, che includerebbe naturalmente un accordo di de-escalation con la Polonia.
Gli accordi sopra menzionati potrebbero potenzialmente essere parte di un grande compromesso russo-statunitense per porre fine al conflitto ucraino, ma se l’accordo polacco-bielorusso in esso contenuto dovesse essere improvvisamente sabotato, allora potrebbe essere più difficile raggiungere qualcosa di più significativo. Qui sta tutta l’importanza dell’ultima provocazione lituana con i droni, che non è stata la prima da quando Tertel ha affermato nell’aprile 2024 che la Bielorussia ha sventato un attacco con droni contro Minsk da lì, ovvero per rovinare l’intera sequenza diplomatica.
Dopotutto, lo scenario di un presunto drone russo (forse “armato”) lanciato dalla Bielorussia e abbattuto durante il tragitto verso il Centro congiunto di analisi, addestramento e istruzione NATO-Ucraina praticamente alla vigilia del viaggio di Witkoff e Kushner a Mosca sarebbe sensazionale. Non solo, ma il presidente del Comitato militare della NATO, Giuseppe Cavo Dragone, ha appena rivelato che il blocco sta prendendo in considerazione ” attacchi (cyber) preventivi ” contro la Russia come “risposta” alla sua “guerra ibrida”, che avrebbe potuto seguire.
In un simile contesto, le crescenti tensioni tra Russia e Occidente avrebbero reso impossibile il viaggio di Witkoff e Kushner a Mosca, infliggendo così un colpo potenzialmente letale all’ultima – e forse ultima – spinta di Trump per la pace in Ucraina. Ricordando come gli inglesi siano stati probabilmente i responsabili delle recenti fughe di notizie russo-americane di Bloomberg, come sostenuto qui , volte a sabotare i loro colloqui, è possibile che dietro questa provocazione ci fossero anche questi storici maestri del divide et impera e delle provocazioni sotto falsa bandiera.
Se Trump è seriamente intenzionato a raggiungere un accordo con Putin, allora dovrebbe dichiarare pubblicamente che gli Stati Uniti non saranno trascinati in una guerra con la Russia se i membri della NATO lanciassero una sorta di “attacco preventivo” contro di essa in risposta a incidenti sospetti come presunte incursioni di droni. Non farlo rischia di incoraggiare gli orchestratori (britannici?) di quest’ultima provocazione a riprovarci più e più volte, finché non riusciranno finalmente a innescare una crisi che rovinerebbe tutto ciò che sta cercando di ottenere e porterebbe il mondo sull’orlo di una guerra totale.
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La Turchia sta accelerando il riarmo con l’obiettivo di ridefinire la propria posizione geopolitica e affermarsi come protagonista in un sistema multipolare
«Se Dio vuole, non lontano nel futuro, raggiungeremo una capacità di difesa così forte che nessuno avrà nemmeno il coraggio di comportarsi in modo duro nei nostri confronti».
In questa dichiarazione dello scorso giugno, il Presidente turco Recep TayyipErdogan – scosso dalla recente guerra tra Israele e Iran – prometteva un’accelerazione nei programmi di riarmo del suo Paese, soprattutto per quanto riguarda la produzione di missili balistici a medio e a lungo raggio.
Poche settimane dopo, durante l’International Defence Industry Fair (Idef) di Istanbul – una fiera a cadenza biennale, che quest’anno ha accolto più di 120 mila visitatori e 103 delegazioni straniere – è stato presentato il Tayfun Block 4, il primo missile ipersonico prodotto dalla turca Rokestan.
Il sistema d’arma è una versione aggiornata del missile balistico a corto raggio Tayfun, che è stato testato per la prima volta nel 2022. La nuova versione, secondo Roketsan, raggiungerà distanze maggiori e «Sarà in grado di distruggere numerosi obiettivi strategici, come sistemi di difesa aerea, centri di comando e hangar militari».
All’Idef, oltre al sistema Tayfun Block 4, sono stati presentati 26 nuovi prodotti per la Difesa, accompagnati da più di 1.100 articoli esposti per la prima volta. Nel corso dell’evento, sono stati conclusi contratti per un valore complessivo di 9 miliardi di dollari, confermando il ruolo sempre più rilevante della Turchia nel panorama dell’industria militare a livello globale.
Questo progresso è il risultato di una strategia adottata all’inizio degli anni Duemila, quando le restrizioni e gli embarghi internazionali hanno spinto Ankara a concentrarsi sullo sviluppo dipiattaformenazionali. Una necessità che si è trasformata in una levastrategica: la percentuale di produzione interna nel settore è passata dal 20% all’inizio del millennio a oltre l’80% oggi.
I numeri dell’export parlano chiaro. Nel 2024, le esportazioni turche nel settore della Difesa e dell’aerospazio hanno raggiunto il record di quasi 7,2 miliardi di dollari, con un balzo di quasi il 30% rispetto all’anno precedente. Si tratta di un dato più che triplicato rispetto ai 2,28 miliardi del 2020. E secondo il ministro del Commercio Ömer Bolat, la soglia degli 8 miliardi sarà «superata facilmente» già quest’anno.
I sistemi d’arma progettati ad Ankara stanno guadagnando terreno in Europa, con particolare attenzione ai droni realizzati dalla turca Baykar. Recentemente, l’azienda ha stretto una collaborazione con la società italiana Leonardo per lavorare insieme allo sviluppo di questi velivoli senza pilota direttamente in Italia. La joint venture punta a esportare non solo a livello europeo, ma anche su scala globale.
In aggiunta, lo scorso anno Bloomberg ha evidenziato che la Turchia sta rapidamente guadagnando terreno come principale fornitore di proiettili di artiglieria per gli Stati Uniti. In particolare, materiali chiave come il trinitrotoluene (Tnt) e la nitroguanidina, prodotti negli stabilimenti turchi, risultano fondamentali per la fabbricazione di munizioni calibro 155 mm conformi agli standard Nato.
Nonostante una solida industria militare in continuo sviluppo, la Turchia continua a incontrare difficoltà nel progettare sistemi d’arma avanzati, come i caccia da combattimento. Il jet di quinta generazione Tai Tf-X Kaan è stato sviluppato dalla turca Tai solo in collaborazione con la britannica BaeSystems e i primi prototipi si trovano ancora in fase di test.
Il programma ha ricevuto un impulso decisivo nel 2019, quando gli Stati Uniti hanno escluso Ankara dal progetto F-35 a seguito dell’acquisto da parte del governo turco del sistema di difesa aerea russo S-400. Ora l’ambasciatore statunitense in Turchia, TomBarrack, ha dichiarato che una risoluzione della questione è vicina e che Washington potrebbe presto autorizzare la consegna degli ambiti velivoli ad Ankara.
Tuttavia, Israele si oppone a questa eventualità, temendo che la concessione dei jet alla Turchia possa compromettere la sua supremazia militare in Medio Oriente. Cresce inoltre la preoccupazione che Ankara stia emergendo, dopo l’Iran, come principale rivale strategico per Tel Aviv, soprattutto in seguito alla recente caduta del regime di Bashar al-Assad in Siria, evento che ha avvicinato le sfere d’influenza dei due Paesi.
Ankara sta comunque cercando delle alternative agli F-35 per dotarsi di un parco di velivoli all’avanguardia (oggi l’aeronautica turca fa affidamento soprattutto sugli ormai superati F-16). Da ultimo, sembra che la Turchia abbia raggiunto un accordo con il Regno Unito che apre la strada per l’eventuale acquisto da parte di Ankara di cacciabombardieri EurofighterTyphoon.
Dato che il velivolo è prodotto anche da Germania, Spagna e Italia, è necessaria l’approvazione alla vendita da parte di ciascuno di questi Paesi. Per ora, solo Londra e Berlino hanno dato luce verde.
L’aggiornamento della forza aerea è un obiettivo chiave nel programma di riarmo turco. Invero, come sottolinea Ozgur Unluhisarcikli, analista del German Marshall Fund: «Sebbene la Turchia abbia un esercito molto grande — il secondo più grande della Nato — la sua potenza aerea è relativamente più debole».
Sul frontenavale, invece, i programmi di riarmo in atto promettono di rendere la Turchia la prima potenza marittima del mediterraneo. Nei cantieri di Istanbul e Golcuk sono in costruzione un sottomarinod’attacco, un cacciatorpediniere lanciamissili di grandi dimensioni e una portaerei, che sarà circa 20mila tonnellate più pesante della portaerei francese Charles de Gaulle e della Lhd Trieste.
Le ambizioni turche non si fermano qui: recentemente il comandante della flotta sottomarina della Marina di Ankara ha reso noto l’interesse per battelli a propulsione nucleare, accennando al lancio di un programma dedicato, denominato Nukden. Qualora queste aspirazioni venissero realizzate, la Turchia entrerebbe nel ristretto gruppo di sette nazioni al mondo dotate di tale tecnologia.
«Riteniamo che non vi sia alcuna giustificazione per escluderci dai programmi di ricostruzione e di approvvigionamento di prodotti per la Difesa dell’Unione Europea», ha affermato Erdogan lo scorso marzo nel corso della riunione con i capi di Stato e di governo di Canada, Gran Bretagna, Norvegia e Islanda organizzata dal presidente del Consiglio europeo AntonioCosta.
Il beneficio di una collaborazione militare tra i Paesi dell’Ue e Ankara è stato sottolineato da FedericoDonelli, esperto di relazioni internazionali all’università di Trieste: «Abbiamo un enorme potenziale di cooperazione con la Turchia […] è uno dei protagonisti emergenti nel mercato della sicurezza. Uno dei punti di forza è la sua capacità di produrre in modo efficiente a un costo inferiore rispetto alle aziende americane o israeliane».
Sebbene tra i 27 non tutti siano d’accordo con questa prospettiva (Grecia e Cipro su tutti), la crescente esigenza per l’Europa di concentrarsi su temi come la sicurezza e il riarmo potrebbe spianare la strada a una collaborazione con la Turchia per lo sviluppo congiunto di sistemi d’arma. In ogni caso, è difficile ignorare il ruolo strategico di Ankara nel panorama continentale e le influenze che esercita sui Paesi europei.
La Turchia riveste infatti un’importanza fondamentale nella gestione di questioni fondamentali per la sicurezza del Vecchio Continente, tra cui la gestione dei profughi siriani e la stabilità politica nelle Libie. Negli ultimi anni, Ankara è riuscita anche a ridurre i margini di instabilità nel mediterraneo grazie alla sua azione diplomatica e si è posta anche come attore super partes nei confronti del conflitto russo-ucraino.
Proprio per questa ragione, anche di fronte al progressivo smantellamento dell’ordine democratico all’interno del Paese da parte di Erdogan, che include l’arresto del suo principale avversario politico, Ekrem Imamoglu, gran parte dell’Europa continua ad adottare un atteggiamento passivo nei suoi confronti, preoccupata di evitare eventuali rappresaglie da parte del Sultano.
Immagine in evidenza: https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=29814907, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=78712757, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=12103028
Geopolitica su Italia e il Mondo: Trattativa Iran Usa , Netanyau rimane fuori incassando l’ennesima esclusione Steve Witkoff si dimostra un asso nella manica della nuova amministrazione Trump. Guarda ora! Su *Italia e il Mondo*, Cesare Semovigo e Giuseppe Germinario ospitano Roberto Iannuzzi e Antonello Sacchetti, maestri di Medio Oriente e Iran, per un’analisi think tank che svela gli intrighi geopolitici del 2025. Scopri di più nella playlist *Medio Oriente: Iannuzzi e Sacchetti*! Parleremo dell’inviato speciale Usa Steve Witkoff e della brillante operazione strategica Iraniana.
Roberto Iannuzzi “Intelligence for People” Antonello Sacchetti @www.diruz.it ” Guarda ora! ” Seguici Metti Like e ricordati di selezionare la campanella , entra nel nostro Team !
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La risoluzione, il 21 gennaio 2025, dell’accordo tra Mosca e Damasco, che prevedeva un contratto di locazione di 49 anni concesso da Bashar al-Assad alla Russia per lo sfruttamento del porto di Tartous, ha fatto perdere a Mosca il suo principale punto d’appoggio nel Mediterraneo e la sua unica base navale nella regione. Ecco perché, con urgenza, la Russia ha spostato il suo dispositivo militare in Libia.
Oltre a essere un punto di appoggio indispensabile in prossimità delle basi russe nel Mar Nero, il porto di Tartus costituiva un anello essenziale nella catena logistica di rifornimento della base che Mosca intende stabilire nel Mar Rosso. Dopo la caduta di Assad, la Russia ha quindi proceduto a un massiccio trasferimento delle sue attrezzature militari dalla Siria alla Libia. I porti di Tobruk e Ras Lanuf hanno così sostituito le basi russe in Siria, compresa quella di Tartus, le cui attrezzature sono state trasportate da una vera e propria “ponte navale”. Senza questi due punti di appoggio, la flotta russa dovrebbe lasciare il Mediterraneo. Per quanto riguarda i cargo russi, hanno effettuato rotazioni tra la base di Hmeimim, in Siria, e la base aerea di Al-Khadim, nella Libia orientale. Quest’ultima sarebbe in fase di ammodernamento, così come le basi navali di Tobruk e Bengasi. Attualmente, l’organizzazione paramilitare Africa Corps, che è succeduta a Wagner dopo la morte di Evgenij Prigojine, controllerebbe quattro basi in Libia: Al-Jufrah, Al-Khadim, Brak al-Shati e AlQardabiya e una nuova base sarebbe in costruzione nel sud-est del paese, a Mateen al-Sarrah, vicino a Uweinat (Mondafrique, 11 febbraio 2025). Questa nuova base nel sud della Libia, insieme al rafforzamento delle infrastrutture esistenti, consentirà a Mosca di mantenere un corridoio strategico tra il Mediterraneo e il Sahel, un vero e proprio corridoio che le permetterà di sostenere le sue aree di influenza in Mali, Niger, Burkina Faso e Repubblica Centrafricana, e di rafforzare così la sua presenza a livello subregionale. Un grande problema che si pone ora alla Russia è se il maresciallo Haftar sia più affidabile dell’ex presidente Assad. La questione è essenziale, perché se quest’ultimo perdesse il potere, la flotta russa sarebbe cacciata dal Mediterraneo… Il riorientamento della politica russa in Africa è quindi totalmente incentrato sul rafforzamento delle sue relazioni con la Cirenaica, la parte orientale della Libia controllata dal maresciallo Khalifa Haftar, comandante dell’Esercito nazionale libico (ALN) con base a Bengasi e rivale del Governo di Unione Nazionale (GUN) di Tripoli sostenuto dalla Turchia e dall’Occidente. Qual è dunque la forza dell’ALN, questo conglomerato di forze tribali sostenuto da Russia, Egitto e Emirati Arabi Uniti? Il maresciallo Haftar controlla la maggior parte dei campi petroliferi libici e i quattro terminali di esportazione del greggio. I proventi che ne ricava gli consentono di modernizzare l’ALN. Alcune delle unità di Haftar sono ora equipaggiate con materiale recente fornito dagli Emirati Arabi Uniti. La forza militare su cui può contare il maresciallo Haftar sarebbe di circa 15.000 uomini. Nel sud della Libia, il maresciallo Haftar si è alleato con gli arabi del potente tribù degli Ouled Sulayman che occupano l’asse delle oasi che si estende fino al centro del Ciad e che controlla la città di Sebha in un clima di conflitto permanente con i Toubou e i Tuareg. Di fronte, la Tripolitania è riuscita a resistere alle offensive lanciate dal maresciallo Haftar grazie all’intervento diretto dell’esercito turco. Ankara ha addestrato diverse migliaia di soldati, tra cui la brigata 444 che sarebbe composta da Fratelli musulmani. Ankara gestisce la marina di Tripoli e possiede diverse basi militari in Tripolitania, tra cui la base aerea di al-Watiya e la base navale di Misurata.
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Nel frattempo: Trump ha invitato tutti i funzionari coinvolti nella gestione del conflitto ucraino a dare le dimissioni alle ore 00:01 del 20 gennaio, altrimenti…Sono già pronti, intanto, duemila nuovi funzionari pronti a sostituire gli uomini di apparato. Ne occorreranno almeno il doppio.
Netanyau ha dichiarato che non ci sarà alla cerimonia di insediamento di Trump. Ruggini che riemergono o rischi alla sicurezza? Vedremo se ci ripenserà.
Il quadro geopolitico in Medio Oriente cambierà parecchio. Tra Turchia, Sauditi, Israele e Iran gli equilibri cambiano, ma manca un vincitore assoluto. Tempi di mediazione. L’effetto di bilanciamento della sconfitta in Ucraina con una vittoria in Medio Oriente è praticamente diluito. Trump ha acquisito credito, ma non sarà l’unico mediatore in quell’area e non solo_Giuseppe Germinario
La grande notizia del giorno: Israele ha annunciato ufficialmente un cessate il fuoco e la potenziale fine della guerra di Gaza. Hamas rilascerà 33 ostaggi (numerologia interessante, come sempre) e Israele ritirerà le sue forze militari da Gaza.
L’operazione si svolgerà in tre fasi, la prima delle quali avrà inizio il 19 gennaio, appena un giorno prima dell’insediamento di Trump, come se fosse un omaggio:
L’annuncio è stato accolto con grandi applausi in tutto il nord di Gaza, dove i combattenti di Hamas sarebbero usciti dai loro tunnel per festeggiare apertamente nelle strade: non ci sono dubbi, questa è considerata una vittoria monumentale dalla resistenza:
Hamas ha dichiarato il cessate il fuoco con Israele una vittoria
Secondo l’accordo, nella seconda fase del cessate il fuoco, l’esercito israeliano dovrà lasciare Gaza.
Hamas deve restituire gli ostaggi sopravvissuti e in cambio riceverà i suoi compagni detenuti nelle prigioni israeliane. Questa era la richiesta di Hamas; Israele ha insistito sul rilascio dei suoi cittadini senza alcuna condizione.
Nella terza fase dell’accordo, i resti degli ostaggi assassinati saranno restituiti alle famiglie in Israele e a Gaza avrà inizio la ricostruzione postbellica su larga scala.
In Israele stesso si sta già definendo l’accordo “cattivo” e si sostiene che sia stato imposto dagli Stati Uniti.
Ascolta qui sotto l’ammissione di Blinken:
“In effetti Hamas ha reclutato quasi tanti nuovi militanti quanti ne ha persi.”
Non sorprendetevi se il numero reale sarà molto più alto di quanto perso; se non è ancora così, lo sarà in futuro.
Dopo molto più di un anno di combattimenti, la “più grande forza militare del pianeta” non è riuscita a sconfiggere Hamas, nemmeno dopo aver ricevuto un assegno in bianco per il totale massacro indiscriminato e il genocidio della popolazione civile senza alcuna ripercussione, un margine di manovra non concesso a nessun’altra forza militare nella storia recente.
Il fatto è che le IDF hanno avuto un esito disastroso e il motivo per cui si è arrivati all’accordo è dovuto al fatto che nelle ultime settimane si è registrato un aumento significativo delle morti tra i soldati delle IDF:
Di recente è giunta la notizia che il 4% di tutti i decessi tra le truppe dell’IDF sono stati suicidi:
E segnalazioni di 20.000 feriti tra le IDF solo nel conflitto di Gaza:
In un umoristico cenno alla politica americana, sia Biden che Trump si sono presi separatamente il merito dell’accordo di cessate il fuoco, sebbene la CNN sostenga che entrambe le parti abbiano lavorato insieme su di esso. Tenete presente che Netanyahu ha recentemente sospeso i piani per partecipare all’insediamento di Trump, a quanto si dice, dopo lo sgarbo di quest’ultimo: Trump ha pubblicato un video di Jeffrey Sachs che chiama Netanyahu un “profondo, oscuro figlio di puttana”.
In effetti, Haaretz ha addirittura affermato che la recente “aggressività” di Trump, che probabilmente include la frecciatina di cui sopra, ha portato al cessate il fuoco, presumibilmente perché Netanyahu ha letto il cambiamento nel vento e ha capito che sarebbe stato adesso o mai più, poiché la futura amministrazione di Trump è percepita come dotata di un approccio più duro e pratico nel raggiungere un accordo:
I “patrioti” israeliani si sentono traditi da un Trump che aveva affermato di voler dare ad Hamas “l’inferno” e che ha subito costretto Bibi a un accordo:
Zimri: “Quindi tutta la sua gente ha mentito: è una grande delusione”.
Magal: “Parla dell’inferno e nel frattempo manda il suo inviato a firmare un accordo. È un accordo il cui impatto sarà molto difficile. Questa è la verità.” Ha aggiunto che l’ultima speranza rimasta è che Hamas rifiuti un accordo: “Un ministro del governo mi ha detto che dobbiamo pregare di nuovo affinché Dio indurisca il cuore del faraone.”
Ma naturalmente, questo è solo l’ultimo capitolo dell’incubo ciclico e senza fine del colonialismo razzista israeliano:
Non possiamo avere grandi confidenze sul suo successo, soprattutto considerando che alti funzionari israeliani come Ben-Gvir hanno già espresso la speranza che l’accordo fallisca e senza dubbio faranno del loro meglio per indebolirlo in ogni modo possibile.
Ha anche poca attinenza con i continui attacchi di Israele su vari altri paesi circostanti, dal Libano e dalla Siria allo Yemen. Israele ha persino intensificato gli attacchi su Gaza oggi, uccidendone una dozzina circa, si suppone che avessero bisogno di saziare la loro sete di sangue come consolazione per l’imminente cessazione delle ostilità.
In effetti, un rapporto appena precedente sosteneva che Israele aveva addirittura scatenato il suo primo attacco diretto contro le truppe di Jolani:
L’aeronautica militare israeliana ha condotto il suo primo attacco contro le forze del gruppo terroristico HTS, che ha preso il potere in Siria.
L’attacco aveva come obiettivo un convoglio di militanti nella provincia di Quneitra per impedirgli di avvicinarsi alle forze dell’IDF presenti sul territorio.
Fu proprio in quel periodo che Erdogan rivolse un forte rimprovero a Netanyahu, invitandolo a smettere di colpire la Siria, mentre continuavano a crescere le tensioni tra la Turchia e i suoi alleati siriani e Israele.
Erdogan:
“Le azioni aggressive delle forze che attaccano il territorio siriano, Israele in particolare, devono cessare il prima possibile. Altrimenti, causeranno esiti sfavorevoli per tutti.”
Non ci resta che speculare se questa nuova minaccia in aumento sia la principale delle ragioni per cui Netanyahu ha finalmente acconsentito a un cessate il fuoco che aveva rifiutato molte volte in precedenza. Con la continua pessima performance dell’IDF, in particolare il suo grave fallimento nell’incursione nel territorio libanese, Netanyahu potrebbe aver scelto di ridurre il peso della guerra su più fronti per liberare risorse da concentrare sulla potenziale nuova minaccia dall’asse turco-siriano.
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Il fetore di tutto ciò seguirà i demoni dell’amministrazione Biden per molti anni a venire:
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Prosegue la collaborazione con il canale YouTube @Gabriele.Germani Il passaggio dal 2024 al 2025 offre, come sempre, l’occasione per un primo bilancio di quanto accaduto nell’anno passato, così convulso per poi sbilanciarci in qualche previsione nel prossimo futuro, aperto a diverse opzioni. Seguirà, prossimamente, una puntata di ulteriore approfondimento con Roberto Buffagni e Roberto Iannuzzi, registrata il 2 gennaio scorso. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
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Ho passato parte degli ultimi anni ad assistere a continue trasformazioni in Medio Oriente, e gli ultimi quindici mesi ad aggiornare settimanalmente, con continue integrazioni, il manuale del “surrealismo geopolitico”. Salutiamo la suddetta degradazione relativista, che, cronicizzata nel decennio scorso, ha prodotto l’inquietante thriller psicologico nel quale, consapevoli o meno, tutti noi speriamo di non sprofondare.
Nella scena di oggi siamo comparse impotenti; la protagonista, invece, è la distopia cangiante in varie sfumature di despotismo. Per sua natura non si preoccupa di chi resterà dopo, dei danni che fa nel mentre e, perché no, di chi paga il conto. Il loop temporale di eventi paradossali è diventato una sorta di laboratorio sperimentale dove ogni attore locale e internazionale rischia il proprio “gioco”, a scapito di sé stesso prima e di tutti gli altri dopo, tanto da presentare prima la conseguenza e poi l’effetto.
Sfogliando l’atlante della “democrazia export”, la grande ossessione auto-assolutoria del suprematismo coloniale, ovvero l’essere dalla “parte giusta”, sta generando una serie di singolarità ricorrenti. Talmente inedite che i corsi e ricorsi vichiani interrompono per una volta la loro innata ciclicità, accelerando verso la parabolica della vergogna.
È così che vediamo alleanze effimere quanto contraddittorie sbancare incontrastate, senza effettivamente essersi misurate con forze se non uguali, almeno vagamente contrarie. Sicuro, la realtà percepita, qui in Occidente, delle presunte imprese di alcuni attori…
In diversi abbiamo notato che l’eccessiva porosità, sia delle difese che della struttura di comando dell’Esercito Baathista, non possa essere ricondotta esclusivamente alle disastrate finanze statali e al venir meno dei preziosissimi alleati sciiti, che si rivelarono determinanti nella lunga e faticosa guerra civile (non sarebbe corretto definirla in questo modo).
La fuga di Assad
Airbus A320-200 modificato per funzioni governative e un Yak-40 , usati per il volo verso Mosca
Non importa se la loro presentabilità politica è oltre lo scandalo e insiste sulla teoria che vorrebbe essere postulato. Se gli interessi dei “giusti” coincidono con quelli di milizie con telaio Al-Qaeda, motore Al-Nusra, preparazione MIT e una guida satellitare esotica, e si riesce nel posizionare in pole questa gran turismo non comune, poi è un dettaglio secondario giudicare la decenza di chi vorrebbe narrarne le gesta epiche, omettendo che si tratti di un pick-up nero modello Mad Max (“Interceptor” però quello low budget).
La comparsa e il rafforzamento, estero-su-estero diretto, di gruppi come Hay’at Tahrir al-Sham (HTS), erede di Al-Qaeda in Siria, è particolarmente emblematica: da un lato, ha combattuto Assad per “liberare” la Siria; dall’altro, pare intessere rapporti ambigui con Israele, se è vero — come insinuano alcune analisi e rapporti dal campo — che si sono verificati atteggiamenti ambigui di non belligeranza e taciti “consensi” sulla condivisione di certe aree di influenza.
Non bisogna stupirsi in un contesto così frammentato: dopotutto, i contatti sotterranei fra fazioni apparentemente in conflitto diventano quasi “fisiologici”, soprattutto quando si tratta di vendere o comprare armi, assicurarsi appoggi tattici o supervisione di intelligence garantendo “corridoi”, rotte di contrabbando e la pirateria delle risorse altrui estorte in maniera disinvolta da milizie concorrenti.
Parallelamente, c’è l’Esercito Siriano Libero (FSA) — un’entità che nei primi anni del conflitto godeva di un’immagine quasi romantica di “resistenza laica al regime di Assad” — che si trova sempre più alle strette. Si vocifera di un potenziale e imminente scontro proprio tra FSA e HTS per il controllo di diverse porzioni di territorio, in special modo nel nord della Siria. Sarebbe un ulteriore passo verso quella balcanizzazione che da tempo in tanti intravedono, con piccole enclavi che combattono fra loro, mentre potenze regionali come Turchia e Qatar cercano di spingere per il ripristino di una sorta di “sultanato musulmano”, cioè un sistema di governo modellato sulle dottrine dei Fratelli Musulmani.
Doha e Ankara si sono già prodigate a sostegno di gruppi a ispirazione islamista, sperando di trasformare la Siria in una pedina strategica, in funzione anti-sciita e, perché no, nella prospettiva di spazzare via l’asse della resistenza e lo spazio di influenza elastica che Teheran aveva tessuto a immagine del suo pragmatismo persiano.
Le raccomandazioni dello zio d’America
Recentemente, una delegazione statunitense ha incontrato a Damasco Ahmed al-Sharaa, noto come Abu Mohammad al-Julani, leader di Hay’at Tahrir al-Sham (HTS). La delegazione includeva Barbara Leaf, assistente del Segretario di Stato per gli Affari del Vicino Oriente, e Roger Carstens, inviato presidenziale speciale per gli affari degli ostaggi.
Durante l’incontro, al-Julani ha assicurato che HTS non permetterà a gruppi terroristici di operare in Siria o di minacciare gli Stati Uniti e i loro alleati. In seguito a queste discussioni, gli Stati Uniti hanno deciso di ritirare la taglia di 10 milioni di dollari precedentemente offerta per informazioni su al-Julani. Se li sono giocati a Las Vegas.
Questo incontro rappresenta un cambiamento significativo nelle relazioni tra gli Stati Uniti e HTS, poiché è la prima interazione pubblica tra allenatori statunitensi e al-Julani, nonché la prima partita diplomatica statunitense a Damasco, inaugurando gli “Internazionali di Siria” con un tabellone davvero esplosivo, come hanno dimostrato gli incontri precedenti.
Successivamente all’incontro, gli Stati Uniti hanno annunciato la revoca della taglia di 10 milioni di dollari sul leader di HTS, precedentemente inserito nella lista delle ricompense per la giustizia. Questa decisione ha suscitato indignazione e scandalo, poiché è sia una percezione di debolezza continuata del Dipartimento di Stato, senza attenuanti generiche, che un messaggio pericoloso di autorevolezza (quella che comunque continuano a dissimulare).
Le azioni dell’amministrazione Biden in Siria sono un delitto seriale che inevitabilmente ricorda parenti illustri.
Analizzando il pattern operativo degli Stati Uniti del secolo scorso e della prima decade di quello che, sulla carta, doveva essere “il Nuovo Secolo Americano”, dimostra che non solo hanno perso lo smalto degli antenati, ma hanno anche smarrito il limite della decenza e del contatto con la realtà.
Preferire un terrorista come al-Julani, graziarlo e, secondo alcune fonti, addirittura finanziare direttamente (vedi Clinton, Sullivan, versetto 2012, il vangelo della geopolitica) il suo gruppo, rappresenta un pericolo per la stabilità della Siria e del Medio Oriente. Questo episodio dimostra come gli Stati Uniti abbiano perso coerenza strategica. Da una parte demonizzano certi attori regionali (ad esempio, il regime di Assad o gli alleati dell’Iran) dall’altra cercano compromessi con figure altrettanto problematiche, se non peggiori.
(Roger Carstens,Barbara Leaf, Al-Julani , primo viaggio dal 2012 del Dipartimentio di Stato Usa )
La Turchia, l’equilibrista
La Turchia, in particolare, ha assunto un ruolo da vero e proprio “equilibrista”. Un giorno si mostra dialogante con Mosca e aperta a cooperazioni che vanno dal settore energetico all’acquisto di sistemi missilistici russi; il giorno dopo torna a parlottare con Washington, ridestando la propria identità di membro NATO e “guardiano meridionale” dell’Alleanza.
Come non menzionare gli analisti che tentano ancora di giustificare ogni scelta di Ankara, arrampicandosi sugli specchi del dogma o pericolosamente scivolando nelle paludi della propaganda: dipingono Erdogan come l’ “uomo forte non esente da difettucci di poco conto”, con un piede dentro i Brics, mentre è sotto gli occhi di tutti che la sua posizione è sempre più incerta, stretta fra richieste statunitensi, sguardi severi di Israele e — al tempo stesso — il bisogno di non provocare troppo la Russia.
Nell’analisi del tangibile risulta sempre più impervio analizzare le mani semplicemente contando le carte e attendendo la mano buona.
L’inversione di tendenza globale potrebbe essere ancora lungi dall’attivare ricette che possano impensierire il “padrone del pallone”, che, come gli ultimi turbo eventi hanno dimostrato, riesce con qualche difficoltà passeggera a decidere chi gioca. Persa qualche partita e aggiustata la formazione, ha ricominciato a macinare gioco e risultati.
Nel mezzo di questa confusione, i Curdi appaiono nuovamente sul punto di venire “sedotti e abbandonati sulla strada per Damasco ” dagli Stati Uniti, uno scenario che non sarebbe una novità
Tantomeno un sacrilegio . Basta guardare la cronaca degli ultimi decenni per vedere come Washington si sia affrettata a sostenere l’FDS quando faceva comodo nella lotta contro Daesh, salvo poi lasciare che altre potenze regionali — Turchia in primis — muovessero pedine ostili nei confronti dei Curdi stessi.
La reliquia di Abdullah Öcalan, leader del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), dal 1999 nel carcere di massima sicurezza sull’isola di Imrali, ha recentemente ricevuto una visita familiare dopo oltre quattro anni di isolamento. Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha mostrato apertura verso una possibile grazia per Öcalan, a condizione che il PKK rinunci alla violenza e si sciolga. Le dichiarazioni rispetto alle quali consiglia di abbandonare la lotta armata sono in linea con determinati inspiegabili piani del socialismo del Rojava.
Accanto a questi scenari, c’è l’Iran, che, nella metafora del “pokerista”, a volte sembra foldare tutte le mani, seduto in un angolo, svogliato spettatore che per ora non investe troppo, lasciando che l’escalation scorra davanti ai suoi occhi. Molti si chiedono: è una scelta di prudenza o un sintomo che nasconde ben altre patologie?
( Raisi scende dal Mi8 di fabbricazione russa -anno 1968- qualche ora prima dello schianto)
Teheran è scossa dalle proteste interne e dalle sanzioni che ne minano l’economia, come provano a rappresentare le agenzie occidentali ,oppure si tratta di un calcolo tattico per evitare di trovarsi invischiata in un confronto diretto — come dargli torto — al quale crede di non poter vincere al momento.
Eppure, questa passività desta più di qualche sospetto: Hezbollah ha recentemente dichiarato presagi circa un progetto di balcanizzazione dell’area. Facendo un flashback, possiamo mettere in correlazione le falle della sicurezza che hanno portato alla decapitazione delle figure chiave con, in primis, la morte di Raisi e del ministro degli esteri Hossein Amirabdollahian (ritenuto da molti una figura forse più cruciale del primo ministro) e le voci circa un possibile tradimento interno con sospetti su Esmail Qaani, comandante della Forza Quds iraniana.
Secondo alcune fonti, Qaani sarebbe sotto custodia e interrogato dai Guardiani della Rivoluzione iraniani nell’ambito di un’indagine su possibili falle nella sicurezza che hanno permesso a Israele di colpire la leadership di Hezbollah.
(Hossein Amirabdollahian)
Inoltre, si riporta che l’Ayatollah Ali Khamenei avesse avvertito Nasrallah di un complotto israeliano per assassinarlo, consigliandogli di lasciare il Libano. Nasrallah avrebbe scelto di rimanere, portando alla sua morte nell’attacco israeliano.
La coltre di nebbia di guerra calata sulla scomparsa di Raisi , che ricordiamo era in pratica l’unico successore designato della guida suprema , ha sicuramente aggravato i sospetti , indagini velocissime , confusione sul numero degli elicotteri , il maltempo non c’era e dulcis in fundo quella richiesta di aiuto alla Turchia con quel drone giunto troppo in fretta e con delle strane rotte notate dal tracciato del transponder .
Molti analisti e tecnici osint militari hanno sollevato diversi dubbi , ma nonostante il “ peso politico “ enorme della vicenda è stato seppellito in fretta “ furbi et orbi “ , quasi una “damnatio memoriae” sulla quale ci concentreremo nei prossimi articoli.
Gli interrogativi si sprecano. E, nel frattempo, c’è chi sospetta che Israele stia osservando la partita con la consueta lucidità, lasciando che i propri potenziali nemici — di varia denominazione — si indeboliscano a vicenda. A sud, con il Libano in crisi politica e Hezbollah forse meno centrale di un tempo, la minaccia si è apparentemente ridimensionata. A nord, la Turchia e i gruppi turcomanni sarebbero stati incoraggiati a spostare l’attenzione verso il nord della Siria, con i Curdi potenzialmente nel mirino, e la stessa Russia che non desidera uno scontro diretto con Tel Aviv.
( Scontri Hts , miliziani ex esercito di Siriano 26-12-24 )
Un microcosmo di caos non randomico
Gli scontri del 26 dicembre sono un microcosmo del caos che potrebbe attendere la Siria se non si trova una via d’uscita a queste rivalità intestine. In quel giorno, Idlib e Tartus sono diventate teatri di battaglie che hanno coinvolto non solo HTS e fazioni rivali, ma anche le ultime vestigia di fedeltà al vecchio regime di Assad.
No Future ! HTS e FSA: Nemici Amici e la Guerra Interminabile
Gli scontri tra Hay’at Tahrir al-Sham (HTS) e le fazioni ex-Esercito Siriano Libero (FSA) non sono una novità. Sono capitoli ricorrenti di un manuale che tutti conosciamo: quello della frammentazione dell’opposizione. Dalla battaglia di Idlib nel 2017, quando HTS iniziò a consolidare il proprio potere eliminando i concorrenti, agli scontri a Darat Izza nel 2019, fino agli episodi più recenti. Era inevitabile che, dopo la caduta di Bashar al-Assad, queste rivalità sopite esplodessero di nuovo.
Eppure, mentre queste fazioni si combattevano, HTS si è autoproclamato il difensore del popolo siriano, con Abu Mohammad al-Julani che si è ritagliato un ruolo quasi messianico. Da jihadista radicale a “statista” locale, la trasformazione di al-Julani è stata accompagnata da una campagna mediatica ben orchestrata. E adesso? Il rischio è che questa santificazione faccia di lui l’uomo forte di una Siria frammentata. Ma a quale prezzo?
Gli scontri del 26 dicembre 2024 sono un microcosmo del caos che potrebbe attendere la Siria se non si trova una via d’uscita a queste rivalità intestine. In quel giorno, Idlib e Tartus sono diventate teatri di battaglie che hanno coinvolto non solo HTS e fazioni rivali, ma anche le ultime vestigia di fedeltà al vecchio regime di Assad.
Da un lato, HTS si è scontrato con le fazioni ex-FSA per il controllo di risorse strategiche, dimostrando che la lotta per il potere non si fermerà con la caduta di Assad. Dall’altro, Tartus ha visto esplodere le tensioni tra le forze di sicurezza siriane e le milizie filo-Assad, culminate in 17 morti e la destabilizzazione di una delle poche aree che erano rimaste fedeli al regime. Questo, unito alle proteste alawite per la profanazione di un loro santuario, ha mostrato come nessuno sia immune dal caos.
E noi, che tutto questo abbiam previsto, non possiamo che vedere in questi eventi un monito: la Siria post-Assad rischia di essere prigioniera dei suoi stessi demoni, una terra dove ogni fazione vuole un pezzo del futuro. Ma a me sembra di ascoltare una colonna sonora in loop dei Sex Pistols.
Al-Julani: il Santo Opportunista?
Abu Mohammad al-Julani si è posizionato come l’uomo del momento, ma la sua ascesa ha radici in un passato fatto di strategie spietate. La sua capacità di ripulire l’immagine di HTS, presentandolo come una forza di stabilizzazione, è stata incredibile. Ma dietro questa narrazione c’è la realtà di un gruppo che ha combattuto non solo contro Assad, ma anche contro chiunque minacciasse il suo dominio. Praticamente tutti.
Se la Siria non si libera dall’idea che un uomo forte possa salvarla — tranquilla Siria, sei in buona compagnia — rischia di finire in una spirale di autoritarismo teocratico elegante come il completo di al-Julani, con la sua aura quasi messianica, candidato perfetto solo quando non veste Prada. Il problema è la cravatta.
La Siria ha bisogno di un nuovo paradigma, uno che metta da parte il culto della personalità e le rivalità settarie. Gli scontri del 26 dicembre sono un campanello d’allarme.
Il futuro della Siria non può essere costruito su leader Masters of Al-Qaeda, una notte dei jihadisti viventi che emergono dalle macerie fumanti di una guerra civile costruita su battaglie tribali per il controllo di città e risorse.
( al-Julani Hts )
Multipolar News
La Russia mantiene truppe e basi militari sul territorio, e l’Iran non si è ufficialmente ritirato, ma la verità è che la “resistenza” non può dar nulla per scontato. Se Teheran dovesse davvero continuare il suo “fold strategico” — attendendo momenti più propizi o, peggio, mossa dall’incertezza interna e dalle sue proprie contraddizioni — il rischio è che, a lungo andare, si crei una fascia settentrionale controllata dalla Turchia (e associati), e una serie di enclave più piccole dove le varie milizie, dai Curdi alle brigate filo-siriane, si barcamenano in cerca di sopravvivenza.
La prospettiva di un nuovo “Sultanato” islamista in Siria, promosso da Turchia e Qatar, è stata sempre ritenuta un’ipotesi estrema. Eppure, se guardiamo la storia recente, le cosiddette ipotesi estreme si sono realizzate più volte, complici gli errori di calcolo occidentali e la determinazione di leader regionali decisi a sfruttare ogni minimo varco.
( L’elicottero di Raisi )
Diamo un nome alle cose
Il vero interrogativo riguarda questo giocatore di poker chiamato Iran, che, foldando ogni mano, sta osservando la tavolata con aria distaccata, mentre intorno s’infiammano rivalità e dispute sanguinose. La sua scelta di non puntare, di non scoprire le proprie carte, avrà esiti felici? Oppure si tratta di un errore grave che, col senno di poi, verrà giudicato come una rinuncia a difendere i propri alleati storici, da Hezbollah agli iracheni sciiti, e di conseguenza un’ulteriore mossa per farsi logorare dall’interno e dall’esterno?
Del resto, se è vero che anche i Curdi, in passato strumento di politica statunitense per arginare Daesh, sono stati abbandonati più volte, non è escluso che pure Teheran finisca per patire le scelte di potenze che badano esclusivamente al proprio tornaconto. Chi ne trarrà vantaggio?
In mezzo a tutto questo, spiccano gli analisti che, come già accennato, paiono ignorare i fatti. Leggendo certi editoriali, par di capire che la Turchia stia facendo una politica “coerente” o che l’Iran sia ancora “solido e compatto”, lasciato indietro Assad. Eppure, è lampante che Ankara sia immersa in un “ballo pericoloso” che combina rapporti contraddittori con USA, Israele, Russia e Qatar, e che, all’interno della Federazione Russa, diversi “falchi” militari inizino a mostrarsi scontenti del doppio gioco turco.
Non ci sarebbe nulla di male ad ammettere le contraddizioni e a riconoscere che l’epoca dei blocchi netti e perfettamente coerenti è tramontata. Ma certuni continuano con la propaganda, distribuendo attenuanti generiche alle mosse turche e interpretando come “casuali” scelte che in realtà seguono una logica ben precisa: salvaguardare l’interesse di Erdogan in ogni scenario, quale che sia il costo umano o geopolitico.
Siamo, dunque, in un quadro talmente fluido da rendere la Siria un mosaico di conflitti permanenti: FSA e HTS che potrebbero ricominciare a scambiarsi salve di Grad da un momento all’altro; i Curdi che maledicono le “fatality” di Kissinger sulla vera anima del loro alleato senza però poterne fare a meno; la Turchia che alza la posta guardando verso est e Mosul, sapendo perfettamente che in certe posizioni di gioco non si può fare altro che rilanciare; il Qatar che, insieme ad altri attori, muove pedine con cautela.
Il risultato è — e spero di sbagliarmi — un rompicapo ai confini della realtà che assomiglia troppo al caos che fu indotto nei Balcani, dove tutti i player provano a realizzare i loro sogni “bagnati dai due Fiumi”. Assad non era Tito, ma paradossalmente le “proxy” forces, per spregiudicatezza, sono sicuramente più simili ai Mladić, Karadžić e altri protagonisti di quell’epoca.
La diplomazia diventa esercizio di dissimulazione e il conflitto, non me ne vogliano i puri di cuore, scompare, superato dalla sua rappresentazione streaming artefatta in alta risoluzione.
Pensare che all’inizio qualcuno parlava di “primavera araba”: ironia della sorte, siamo finiti in un Medio inverno pre-nucleare, sommerso da un fall-out di contraddizioni, doppi giochi . Se la primavera non arriva come potrebbe l’estate non finire mai ?
Diga di Giz Galasi , il Bell 212 di Raisi si allontana
FONTI
Middle East Eye, 15 ottobre 2021;; Al-Monitor, 10 settembre 2020
2 dicembre 2019; Escobar, Pepe, “Raging Twenties,” Asia Times, 18 marzo 2020
BBC News, 3 luglio 2019; The Guardian, 30 aprile 2020
Le Monde Diplomatique, 11 maggio 2021; The Duran, 19 febbraio 2023
Foreign Affairs, 12 agosto 2022; Politico, 9 novembre 2021
Limes, 15 giugno 2022; Al Jazeera English, 27 settembre 2022
The Times of Israel, 27 maggio 2021; Carnegie Middle East Center, 14 ottobre 2022
The Intercept, 23 agosto 2021; Project Syndicate, 17 gennaio 2022
The Moscow Times, 4 marzo 2022; The Duran, 27 maggio 2023
Brookings Institution, 9 dicembre 2022; Der Spiegel, 19 luglio 2021
Asia Times, 22 ottobre 2022; European Foreign Affairs Review, 14 settembre 2021
The Washington Quarterly, 10 novembre 2021; Il Manifesto, 28 febbraio 2022
Jacobin Italia, 11 giugno 2019; Escobar, Pepe, “BRICS 2.0: The Strategic Shift,”,
Limes, 16 marzo 2023; Politica Internazionale, 2 maggio 2022
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Bentornati a tutti, spero che tutti si siano goduti il Natale, chiunque lo abbia festeggiato. Durante i cicli di notizie lente tornerò all’edizione “medley” che non sarà tematica, ma piuttosto coprirà alcuni argomenti disparati in via di sviluppo. Questo è un ciclo di questo tipo, quindi, senza ulteriori indugi, alcuni dei principali sviluppi:
Bilderberg
Uno dei temi ricorrenti qui è stata la lenta ristrutturazione globale che si è verificata con la rinascita dei movimenti di destra/conservatori/tradizionalisti e il crollo del globalismo neoliberista.
Un altro tema ricorrente è stato il revolving-doorism, di cui ho parlato nell’ultimo pezzo, della coorte globalista che vede il costante riciclo delle stesse poche figure devote all'”establishment” attraverso una serie di posizioni burocratiche non elette all’interno delle strutture di potere del super-Stato globalista. Se ci si pensa bene, è incredibile come i burattinai facciano semplicemente ruotare i loro factotum stantii e marci da una posizione all’altra, proprio quando il burattino si esaurisce. Una volta che hanno accumulato una quantità irreversibile di malcontento pubblico, vengono semplicemente spediti al nuovo posto o alla nuova carica, ruotando intorno alla scacchiera come pedine degli scacchi, in questo caso.
Abbiamo visto Mario Draghi passare da presidente della Banca Centrale Europea (BCE) a primo ministro italiano; più recentemente Kaja Kallas da primo ministro dell’Estonia a luogotenente destro della von der Leyen come vicepresidente della Commissione europea; ora l’ex primo ministro norvegese Jens Stoltenberg, che è stato ruotato nella posizione di segretario generale della NATO, è stato nuovamente riciclato dai suoi controllori nella leadership del Bilderberg:
L’aspetto più sinistro di questa nomina è l’implicazione, data negli articoli precedenti, che Stoltenberg sia stato scelto specificamente per la sua “esperienza” e la sua leadership sulla situazione Ucraina-Russia, che potrebbe segnalare la principale area di attenzione che la cabala Bilderberger avrà nei prossimi anni:
Ora è in atto un importante cambiamento di potere: Stoltenberg, che ha partecipato al suo primo vertice Bilderberg nel 2002, è stato scelto per la sua esperienza nella strategia transatlantica.
Questo avviene mentre Trump, i cui frequenti attacchi alla NATO hanno scatenato l’indignazione dell’Europa, sale ancora una volta allo Studio Ovale. Il presidente eletto ha ribadito che non spenderà più miliardi di denaro dei contribuenti americani per finanziare le guerre di altri Paesi.
In breve: il clan vede sgretolarsi la solidarietà europea, con le potenze europee ora impantanate in una crisi politica dopo l’altra – ieri ho annunciato l’ascesa di Alice Weidel dell’AfD come nuova favorita per il posto di cancelliere di Scholz nei nuovi sondaggi. Oggi, il partito di Nigel Farage ha superato il Partito Conservatore al secondo posto in tutto il Regno Unito:
Il partito politico britannico di destra Reform UK, guidato da Nigel Farage, è ora ufficialmente il secondo partito del Regno Unito per numero di iscritti, con circa 132.000 membri.
Il partito conservatore di centro-destra è attualmente a 131.000 membri e in calo, mentre il partito laburista di centro-sinistra rimane il più grande, con oltre 366.000 membri.
Le élite al potere sono in crisi e Stoltenberg – nonostante la sua evidente mancanza di intelligenza, arguzia o grazia sociale di qualsiasi tipo – è stato apparentemente ritenuto fanaticamente devoto alla causa tanto da qualificarsi per questo ruolo amministrativo di primo piano, forse come una sorta di mandriano.
L’articolo del DailyMail fa un interessante accenno alla rilevanza dell’Ucraina per il gruppo Bilderberg, visti gli altri membri di rilievo:
L’amministratore delegato di [Palantir] Alex Karp, che fa anche parte del comitato direttivo del Bilderberg, ha recentemente sottolineato l’impatto di Palantir, affermando che l’azienda è stata “responsabile della maggior parte degli obiettivi in Ucraina”.
Questo legame diretto con la guerra moderna esemplifica come l’impero tecnologico di Thiel si allinei con gli interessi del Bilderberg in materia di sicurezza e investimenti militari.
[Il mandato di Stoltenberg come capo della NATO è stato dominato dal conflitto Russia-Ucraina e dalla crescente espansione della NATO, rendendolo una scelta naturale per guidare le discussioni del Bilderberg sulla difesa transatlantica.
Qualche mese fa il FT ha riportato come le aziende di difesa globali stiano assistendo alla più grande frenesia di profitto “dai tempi della Guerra Fredda”:
La domanda di lavoratori dell’industria della difesa in Occidente sale ai livelli della Guerra Fredda.Secondo il FinancialTimes, la spesa militare globale ha raggiunto la cifra record di 2,443 trilioni di dollari.
Tre dei maggiori appaltatori statunitensi – Lockheed Martin, Northrop Grumman e General Dynamics – hanno quasi 6.000 posti di lavoro da coprire, mentre 10 aziende intervistate stanno cercando di aumentare le posizioni di quasi 37.000 in totale, ovvero quasi il 10% della loro forza lavoro complessiva.
Questo aggiunge un contesto affascinante alla storia del Bilderberg, soprattutto se si considera che Alex Karp, CEO di Palantir, e Peter Thiel sono entrambi membri di spicco del Bilderberg. Ora, con l’assunzione di Stoltenberg, possiamo vedere ancora una volta i contorni della struttura dello Stato profondo globale: si tratta di pezzi grossi legati all’esercito e all’intelligence che presiedono sindacati segreti a cui partecipano tutti i principali leader politici e commerciali del mondo. Come si può facilmente immaginare, i tamburi di guerra vengono battuti con forza e le “gravi minacce” vengono messe in scena per mantenere il treno dei guadagni nel ciclo infinito del complesso finanziario-militare-industriale.
La leadership di Stoltenberg, unita all’influenza smisurata di Thiel, indica un Gruppo Bilderberg sempre più intrecciato con l’innovazione militare e la strategia politica.
Il Guardian osserva che Stoltenberg assumerà anche la presidenza dell’influente Conferenza sulla sicurezza di Monaco e che, affiancato al vertice dal “collega veterano del Bilderberg” Mark Rutte – un’altra marionetta riciclata che è stata primo ministro olandese – “segna una concentrazione del controllo ai vertici dell’alleanza atlantica in un momento critico”.
È interessante notare che anche Fareed Zakaria della CNN è stato nominato nel comitato direttivo del Bilderberg, evidenziando ancora una volta il nesso tra potere militare, industriale e mediatico concentrato in cabale segrete per dirigere gli eventi mondiali:
Ma l’arrivo di Stoltenberg potrebbe segnare un cambiamento: si tratta di una nomina di grande rilievo e segue la recente elezione dell’intervistatore di alto profilo della CNN Fareed Zakaria al comitato direttivo del gruppo, forse segnalando un’uscita dall’ombra per il gruppo, che non ha bisogno di pubblicità.
Siria-Turchia-Israele
Mentre la riforma della Siria prende forma, le opinioni continuano ad essere varie per quanto riguarda chi ne beneficia di più e chi è al posto di comando. Lo stesso Lavrov ha recentemente osservato che Israele sarà il principale beneficiario, e molti sono d’accordo con questa prospettiva.
Ma io continuo a sostenere che questo è solo un fenomeno di breve durata. Il vincitore finale è la rinascita dell’Impero Ottomano.
Jolani è sempre più amico di alti funzionari turchi: l’ultima volta è stato il capo del MIT di Erdogan, la principale agenzia di intelligence turca. Questa volta Jolani ha ospitato il ministro degli Esteri turco Hakan Fidan, che in passato è stato anche direttore del MIT. Jolani ha anche accompagnato Fidan in giro per Damasco e i due hanno ammirato le bellezze del luogo, sorseggiando insieme un caffè dalla cima del Monte Qasioun che domina la capitale:
E questo avviene in mezzo a notizie secondo cui la Turchia stabilirà la sua presenza nelle accademie militari di Aleppo e Damasco:
La Turchia invierà consiglieri militari per addestrare il nuovo esercito siriano nelle accademie di Aleppo e Damasco, scrive la risorsa turca ClashReport, citando le sue fonti.
Si parla anche del possibile dispiegamento di un’unità dell’esercito turco a Homs per addestrare operatori di difesa aerea per le nuove autorità siriane.
Come se non bastasse, il figlio di Erdogan, Bilal, è stato visto in un video che invita a un grande raduno pro-Palestina sul ponte di Galata a Istanbul per il 1° gennaio, proprio come hanno fatto lo scorso Capodanno, da cui è tratto il filmato. Ma il grande cambiamento sta nel fatto che si riuniscono sotto la bandiera di un nuovo interessante slogan:
“Ieri Santa Sofia, oggi la Moschea degli Omayyadi (Damasco), domani Al-Aqsa (Gerusalemme)”.
Questo sembra essere il manifesto ufficiale dell’evento, con lo slogan stampato anche sopra:
Come si può vedere, si sta lentamente creando un fervore nazionalista per la riconquista di Gerusalemme. Israele è ora alle prese con un membro della NATO seriamente armato e notoriamente tenace, che mira a una moderna riconquista delle sue antiche terre. Per come stanno andando le cose, la Turchia potrebbe presto controllare per procura praticamente tutto ciò che accade in Siria e Israele si troverà ad affrontare la sua più grande sfida di sempre direttamente alle porte di casa.
Con gli Stati Uniti che sostengono Israele, potrei prevedere che la Turchia sarà costretta a stringere legami più stretti con la Russia e forse anche con l’Iran, per circondare Israele e tenerlo sotto pressione. La Russia è già pronta a firmare il grande partenariato strategico globale con l’Iran il 17 gennaio, proprio come ha fatto di recente con la Corea del Nord:
Russia e Iran potrebbero firmare un nuovo accordo di partenariato strategico prima dell’insediamento di Trump – Newsweek
Secondo la pubblicazione, il nuovo accordo tra Teheran e Mosca indica un tentativo dei due Paesi di “unire le forze” in un contesto di “isolamento sulla scena mondiale”.
Newsweek osserva che l’accordo con l’Iran era in cantiere da molti anni. A fine ottobre, il ministro degli Esteri russo S. Lavrov ha dichiarato che l’accordo sarà pronto per la firma nel prossimo futuro e “formalizza l’impegno delle parti a una stretta cooperazione in materia di difesa, all’interazione nell’interesse della pace e della sicurezza regionale e globale”.
Il nuovo accordo bilaterale dovrebbe sostituire l’accordo strategico ventennale firmato tra i Paesi nel 2001 e prorogato nel 2020. Conterrà promesse di cooperazione nei settori dell’energia, della produzione, dei trasporti e dell’agricoltura. – RVvoenkor
Il presidente Pezeshkian si recherà a Mosca per firmarlo personalmente in quella data.
Israele ora si affanna per indebolire il più possibile l’Iran, colpendo brutalmente lo Yemen negli ultimi giorni e pregando Trump di dare la sua benedizione per colpire gli impianti nucleari iraniani al suo arrivo. Ma credo che Israele si stia concentrando sull’avversario sbagliato e abbia di fatto scambiato un nemico con uno molto più potente.
Ucraina
Ieri la Russia ha scatenato un’altra serie di attacchi alle infrastrutture energetiche, colpendo con successo una miriade di obiettivi, secondo quanto riportato:
I missili contro il sistema energetico ucraino hanno colpito tre centrali idroelettriche sul Dnepr: a Dneprodzerzhinsk, Svetlovodsk e Kanev.
Inoltre, sono stati registrati scioperi in diverse centrali termoelettriche: Prydneprovskaya, Ladyzhinskaya e Burshtynskaya. Inoltre, le forze aerospaziali russe hanno lanciato un attacco missilistico contro la centrale termica Slavyanskaya nella regione di Kramatorsk occupata dalle Forze armate ucraine nella DPR.
Secondo alcuni rapporti, questa volta i colpi hanno preso di mira specificamente le infrastrutture di riscaldamento e idriche:
Oggi non si è attaccata solo l’energia, ma anche “riscaldamento, acqua e gas”. Ci sono arrivi e feriti:
Kharkov. Attacco di massa di balistica e UAR. Più di 13 esplosioni. Riscaldamento e acqua scomparsi in città. C’è luce. Dnipro. Attacco di massa con missili da crociera. Circa 12 esplosioni. Ci sono danni alle infrastrutture. Kremenchug. Più di 5 esplosioni. Crooked Horn. Esplosioni. Burshtyn. Circa 8 esplosioni. La luce è sparita.
L’ultima diagnosi del NYT sui problemi energetici dell’Ucraina lascia un quadro desolante:
L’Ucraina ha finora resistito agli effetti dei tre grandi attacchi russi dell’ultimo mese tagliando l’illuminazione stradale e imponendo spegnimenti intermittenti per alleggerire la pressione sulla rete elettrica. Ma due anni di attacchi alle centrali elettriche e alle sottostazioni hanno lasciato la rete energetica del Paese sull’orlo del collasso, secondo gli esperti.
Con interruzioni di corrente destinate a durare 18 ore al giorno, l’Occidente si sta affidando a misure disperate per salvare l’Ucraina, secondo l’articolo:
Questo ha costretto le autorità ucraine a ricorrere a misure non convenzionali per cercare di evitare una crisi energetica. Sta portando in Ucraina un’intera centrale elettrica lituana, ormai obsoleta, per recuperare pezzi per la rete danneggiata; si è mossa per affittare centrali elettriche galleggianti dalla Turchia; e ha persino richiesto la presenza delle Nazioni Unite presso le sottostazioni critiche, nella speranza di scoraggiare gli attacchi russi.
Usare il personale delle Nazioni Unite come scudi umani? Beh, se non è una follia questa!
Il direttore ucraino del Centro di Ricerca sull’Energia ha dichiarato che le interruzioni di corrente probabilmente dureranno 2-3 anni – e questo nell’ipotesi che la Russia non faccia altri danni.
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Qualche ultimo articolo:
Uno scioccante e imperdibile reportage francese sull’operazione Kursk in Ucraina: viene intervistato uno degli ufficiali partecipanti, che racconta i dettagli crudi e nichilisti di come sta andando l’operazione di Zelensky (nel video qui sotto, sia in versione doppiata che sottotitolata):
Considerando che si tratta di un rapporto filo-occidentale, ci si può solo chiedere come si possa continuare a credere ai dati sulle vittime dell’Ucraina.
Poi, Lukashenko umilia ironicamente l’armeno Pashinyan per non essere stato presente di persona alla riunione dell’EAEU (Unione Economica Eurasiatica) a Minsk:
Infine, un nuovo sondaggio mostra che tutta la popolazione europea ha drasticamente spostato il proprio sostegno a favore di risultati massimalisti a favore dell’Ucraina, con la maggioranza che ora si sposta in direzione di coloro che vogliono che la guerra finisca anche se ciò significa perdite territoriali per l’Ucraina:
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Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan incontra il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York il 19 settembre 2023. AFP
La stretta di mano non è passata inosservata. Il 19 dicembre, i presidenti turco e iraniano si sono salutati calorosamente in occasione di un vertice al Cairo, appena dieci giorni dopo la fuga a Mosca di Bashar al-Assad, bête noire del primo e alleato del secondo. Sostenitore dei ribelli che hanno contribuito alla caduta del presidente siriano, Recep Tayyip Erdogan è ora l’attore principale nel plasmare il futuro del suo vicino. Di fronte a questa situazione, un altro Paese vicino sta tenendo d’occhio la situazione. Non appena il regime di Assad è caduto, Israele ha invaso la zona cuscinetto demilitarizzata delle Alture del Golan, facendo anche un’incursione in territorio siriano, e ha lanciato centinaia di attacchi contro le infrastrutture militari del Paese, con l’obiettivo dichiarato di evitare che attrezzature pesanti e armi chimiche finissero nelle mani dei “terroristi”. Il movimento islamista Hay’at Tahrir el-Sham (HTC), che ha guidato l’offensiva dei ribelli, è il risultato di successive scissioni con il gruppo dello Stato Islamico (EI) e poi con El-Qaeda, e in passato ha espresso solidarietà con Hamas. “In questo momento delicato, quando c’è l’opportunità di raggiungere la pace e la stabilità a cui il popolo siriano aspira da molti anni, Israele dimostra ancora una volta la sua mentalità da occupante”, ha criticato il Ministero degli Esteri turco in un comunicato stampa.
Punti di tensione tra i pesi massimi turchi e israeliani
Perché i potenti di Ankara vogliono assicurarsi che l’esperimento siriano sia un successo, sia in termini di stabilità e integrazione regionale, sia come strumento di influenza. “Se Israele inizia a vedere la struttura di potere emergente in Siria come una minaccia ai suoi interessi, questo potrebbe creare un importante punto di divergenza con la Turchia”, suggerisce Sinan Ülgen, ricercatore presso il Carnegie Endowment for International Peace. Secondo molti osservatori, e nonostante le minacce, Israele avrebbe preferito un Bashar al-Assad indebolito al suo confine, che è rimasto calmo dopo l’accordo di disimpegno del Golan firmato con suo padre nel 1974. Il capo dell’HTC, Abu Mohammad el-Jolani, sembrava dare assicurazioni allo Stato ebraico per eliminare qualsiasi pretesto. Pur chiedendo alla comunità internazionale di “agire con urgenza” per garantire la sovranità della Siria, ha dichiarato a Syria TVche “le nostre priorità ora sono quelle di soddisfare i bisogni di base della popolazione e lavorare per ottenere un futuro più stabile e giusto”. Scaldata dall’errata valutazione di Hamas prima del 7 ottobre, Tel Aviv non sembra tuttavia voler fare marcia indietro, soprattutto perché un’espansione del suo controllo sulle Alture del Golan permetterebbe al Primo Ministro Benjamin Netanyahu di compiacere i suoi partner di estrema destra, pilastri essenziali della sua permanenza al potere.
Si veda anche“Le rivendicazioni messianiche di Israele sul Golan sono un’invenzione storica molto recente”.
“Per Israele, avere un’entità curda più autonoma, che potrebbe potenzialmente controbilanciare le fazioni arabe in Siria, sarebbe anche vantaggioso”, sostiene Sinan Ülgen, mentre il capo della diplomazia israeliana, Gideon Saar, aveva precedentemente affermato che lo Stato ebraico dovrebbe considerare i curdi, oppressi dall’Iran e dalla Turchia, come un “alleato naturale” e rafforzare i suoi legami con questa comunità e con altre minoranze in Medio Oriente. Ankara, da parte sua, intende ridurre l’influenza delle forze curde nel nord-est della Siria per creare una zona cuscinetto al suo confine ed eliminare una minaccia che considera esistenziale, considerandole una propaggine del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK, classificato come terrorista dalla Turchia). Le fazioni protestanti hanno così preso Tell Rifaat e poi Manbij prima della conclusione di una fragile tregua sotto l’egida degli Stati Uniti, alleati con le Forze Democratiche Siriane (FDS, a maggioranza curda), per evitare la presa di Kobané. Mentre Washington sta negoziando con Ankara per preservare almeno la lotta contro l’EI in cui sono stati coinvolti i suoi partner locali, sembra improbabile per il momento che Israele corra il rischio di essere coinvolto direttamente in Siria con i curdi contro la Turchia.
Vedi ancheIn Siria, la Turchia non nasconde più le sue ambizioni neo-imperiali
Tanto più che la questione siriana costituisce ora una nuova leva di influenza nella rivalità regionale tra Ankara e Tel Aviv. Di fronte alle operazioni israeliane in Siria, condannate in particolare dall’ONU, il 19 dicembre il re turco ha chiesto un embargo sulle armi contro lo Stato ebraico, la rottura delle relazioni commerciali con esso e il suo isolamento internazionale. Il presidente turco non aveva già dichiarato l’estate scorsa che avrebbe potuto entrare in Israele come aveva fatto in Libia e in Nagorno-Karabakh, accennando a un ipotetico intervento militare a sostegno di Hamas a Gaza? Presentandosi come difensore della causa palestinese e protettore della comunità sunnita, Recep Tayyip Erdogan ha regolarmente denunciato il “genocidio” nell’enclave e ad agosto Ankara ha chiesto di unirsi al Sudafrica nella sua denuncia contro Tel Aviv alla Corte internazionale di giustizia. Nonostante la sua posizione netta, nelle ultime settimane la Turchia è stata comunque coinvolta nei negoziati per il cessate il fuoco nella Striscia, mentre i leader del movimento islamista palestinese vi si sono rifugiati dopo l’annuncio del Qatar di sospendere la sua mediazione, che ha ripreso di recente. Un ruolo che il presidente turco auspicava da tempo e che conferisce alle sue mire neo-ottomane una dimensione del tutto nuova.
Verso uno status quo sul campo di battaglia siriano?
Per non mettere a repentaglio i suoi guadagni, Ankara potrebbe assecondare gli interessi israeliani nella sua zona di influenza siriana? “Un confronto diretto sembra improbabile nel breve termine, dato che entrambi gli Stati hanno altre priorità: la Turchia si concentra sui gruppi curdi e Israele sull’Iran”, sostiene Nebahat Tanrıverdi Yaşar, analista politica. Per lei, la Siria rimarrà un’area di competizione piuttosto che di conflitto tra i due pesi massimi della regione. La Turchia non vuole provocare un’escalation regionale”, afferma Sinan Ülgen. A differenza di quanto ha fatto l’Iran con i suoi sostenitori, Ankara userà la sua influenza sui suoi affiliati per integrarli nelle strutture siriane e non per mettere alla prova la sicurezza dei vicini di Damasco. Esistono anche punti di convergenza tra i due attori. Il fatto che l’influenza di Iran e Russia sia diminuita in Siria è uno sviluppo che sia la Turchia che Israele hanno accolto con favore”, sottolinea Sinan Ülgen. Per consolidare questo vantaggio strategico e geopolitico, è necessaria una stabilità politica in Siria (…) che è auspicabile per entrambi gli attori”. Prima della caduta del regime, alcuni media iraniani avevano addirittura giudicato che l’offensiva dei ribelli contro Damasco fosse parte di un piano americano-israeliano in cui la Turchia giocava un ruolo centrale. Un vuoto di potere potrebbe esacerbare l’instabilità in Siria, permettendo a gruppi estremisti come l’EI o affiliati di el-Qaeda di stabilirsi al confine tra Turchia e Israele”, avverte Nebahat Tanrıverdi Yaşar. Uno scenario che comporterebbe rischi significativi per la sicurezza di entrambi i Paesi”.
Vedi ancheSiria: le capitali arabe tra cautela e imbarazzo
Anche i fattori esterni potrebbero giocare a favore di uno status quo, se non di un accordo. L’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, che la Turchia vorrebbe vedere giocare un ruolo nella ricostruzione della Siria, hanno una visione negativa della possibile islamizzazione del potere a Damasco e convergono con la posizione dello Stato ebraico, avendo anche una leva finanziaria. Da parte loro, gli Stati Uniti potrebbero essere utilizzati per frenare le ambizioni territoriali di Israele sulle Alture del Golan, se fossero confermate, sebbene lo Stato ebraico abbia finora sostenuto che l’occupazione della zona cuscinetto è temporanea. Resta da vedere se l’amministrazione di Donald Trump, che potrebbe decidere di disimpegnare le circa 2.000 truppe americane attualmente presenti in Siria, vorrà essere sufficientemente coinvolta per evitare uno scontro tra il suo principale alleato nella regione e un partner della NATO.
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*ovvero “verso la riedizione di un nazionalismo becero, da operetta, quello stesso che ha reso l’Italia terra occupata”. Giorgia Meloni si può dire che sia stata baciata, comunque, dalla fortuna oltre che per i suoi “meriti” legati ad un opportunismo compiacente tanto furbo, quanto remissivo. La sua espansività effusiva, così evidente nei confronti di Biden, è la manifestazione epidermica di qualcosa di più profondo, dalle inquietanti affinità con quelle forme di nazionalismo, in particolare ucraino, ma diffuso in Europa Orientale, che hanno paradossalmente trascinato quel paese, paradossalmente, nella più stretta dipendenza e sudditanza e nella propria autodistruzione. Giorgia Meloni non gode di alcun credito in ampi settori dell’amministrazione Trump e nel movimento politico MAGA, specie nella vecchia guardia. Gli stessi abboccamenti estivi con Pompeo, in predicato per ordine della stampa italica, di rientrare nella nuova amministrazione statunitense, non hanno giovato alla sua credibilità e prontezza. È riuscita, però, ad entrare nelle grazie di una figura di punta della futura amministrazione statunitense, Elon Musk e questo le sta garantendo una inaspettata entratura, si vedrà quanto stabile. Elon Musk è certamente una figura dirompente e radicale; avrà il compito di scompaginare e riorganizzare l’intero apparato amministrativo federale. Allo stesso tempo continua ad affermare, assieme a numerosi altri esponenti, di voler ridurre del 80% la spesa pubblica, portando all’estremo i tentativi, per altro in gran parte ridimensionati, fatti a suo tempo da Reagan. Un proposito che, più che riorganizzare la formazione sociale statunitense, rischia di dissestarla definitivamente. Non a caso, sono propositi che destano a dir poco già qualche perplessità nella futura compagine presidenziale. A questo si deve aggiungere il proposito sempre più evidente di quale potrà essere il principale capro espiatorio delle dinamiche geoeconomiche della nuova presidenza, l’Europa, a fronte, invece, della disponibilità a trattare, nel suo consueto stile, una possibile transizione con gli interlocutori più autorevoli ed autonomi, in particolare Russia, Cina e India. Sarà il momento della verità per Giorgia Meloni; di rivelare se sotto il passo morbido e felpato, le fusa avvolgenti, si nascondono artigli pronti ad agire. Tra vuota prosopopea e gatte morte di cui è pieno il campionario politico italico, sono stati pochi gli statisti in grado di sostenere il confronto internazionale; pochi di questi sono sopravvissuti. Non mi pare che Giorgia Meloni possa essere collocata in questo ristretto pantheon e neppure riuscire a ritagliarsi un eclisse dignitosa (postilla di Giuseppe Germinario)
–
L’ultima uscita della Presidente del Consiglio, in visita alla base aerea NATO di Siauliai (Lituania).
Usuale discorso patriottico davanti alle truppe italiane di stanza nel Baltico: mi limito a sottolineare tre passi (3 non di più che sarebbe troppo pesante per me.
A – “La PACE è qualcosa che va difeso ogni giorno”.
[ giustissimo. Solo ci sarebbe da capire cosa si intenda per pace: se difendere i propri confini oppure trovarsi a 1500 km dalla penisola a ridosso della frontiera con la Russia andando a stuzzicarla: in quest’ultimo caso è una definizione inedita del concetto….qualcosa da studiare].
B – “Dobbiamo difendere i nostri confini”.
[cioè, i confini italiani sarebbero a ridosso della Carelia ? Come dire che per mare la flotta italiana deve pattugliare pure il mar glaciale artico attorno a Murmansk….]
C – non vogliamo permette alla Russia o alle organizzazioni criminali di minare la nostra sicurezza
[ Dunque: se la Russia ammassa truppe ai propri confini contro una cintura di basi Nato alle sue frontiere è una “minaccia alla pace”………. chi invece piazza quelle basi alla frontiere russe, “difende la sicurezza d’Europa” ? .
Sono costretto a ricredermi sul concetto – che pensavo universale – di legittima difesa: è soggetto anch’esso alla legge di relatività….ossia che ognuno decide per conto proprio cosa sia come e quando applicare tale formula ].
Buonasera a tutti, ringrazio ovviamente il Comandante Massarotto, ringrazio tutti gli Ufficiali, i Sottufficiali, gli Avieri della Task Force Air di stanza qui in Lituania, ringrazio e saluto anche tutti i Comandanti e tutti i Contingenti dei teatri operativi che rappresentano oltre 7 mila uomini, ai quali dobbiamo aggiungere anche i 2 mila uomini impegnati nell’operazione “Strade sicure”, quindi sul territorio nazionale.
Mi hanno fatto l’onore di essere tutti collegati. Io sono qui fondamentalmente per portarvi gli auguri, per portarvi gli auguri della Nazione, come mi piace fare ogni anno, e per portarvi la riconoscenza del popolo italiano. Oggi è il 22 di dicembre, io sono di ritorno dalla Lettonia, quindi dalla Finlandia, verso casa, torno a casa, come fa la gran parte di coloro che lavorano fuori casa, mentre in Italia la gran parte delle persone è impegnata a organizzare il pranzo di Natale, a comprare gli ultimi regali, e tutti si preparano a riabbracciare le loro famiglie.
È qualcosa che voi non farete. E io so che vi pesa, ma so anche che forse in fondo vi peserebbe di più sapere che non state facendo il vostro lavoro, come qui state facendo il vostro lavoro, per garantire alle vostre famiglie la sicurezza e la serenità che vantano quando si siedono intorno alla tavola di Natale. E per farlo per le milioni di altre famiglie che neanche vi conoscono e che forse neanche se ne rendono conto. Allora, l’ho detto tante volte e lo ripeto anche a voi, la Patria alla fine è una madre, e non è un caso che noi la chiamiamo Madre Patria, quella madre vuole essere da voi e dirvi buon Natale, dirvi grazie, dirvi che apprezza, conosce, riconosce gli straordinari sacrifici che fate, il valore che quei sacrifici regalano e producono per la nostra Nazione nel suo complesso.
Sono qui anche per ricordare tutto questo agli italiani, per ricordare all’Italia nel suo complesso quanta parte della nostra credibilità passi dai vostri sacrifici, dalla vostra determinazione e dalla vostra abnegazione, per ricordarla a quei tanti che si riempiono la bocca della parola «pace», ma non ricordano sempre che la pace non è qualcosa che noi abbiamo per garantito, è qualcosa che va difeso, costruito ogni giorno, e che c’è qualcuno in prima linea a fare questo lavoro.
E allora a quei tanti che ci dicono, per esempio, che sulle spese della difesa, beh… in fondo non sono risorse così utili, forse vale la pena ricordare che sono le risorse che ci consentono di difendere oggi il transito delle navi mercantili, che consente ai nostri prodotti di arrivare in Italia senza un aumento dei prezzi, che consentono oggi di costruire pace e benessere per tante nazioni martoriate dalla guerra, che consentono, più lontano dai nostri confini, di produrre una deterrenza che vuol dire non fare avvicinare i rischi alle nostre case e alle nostre famiglie.
Penso che questo vada detto, penso che vada detto a voce alta, penso che vada rivendicato a testa alta. L’Italia partecipa a 37 missioni all’estero.
Voi sapete che noi siamo il primo contributore in Europa, il secondo contributore all’interno dell’Alleanza Atlantica, in tutto il mondo viene richiesta la nostra professionalità, in tutto il mondo viene richiesto il nostro eroismo. È qualcosa che ci rende sì orgogliosi, ma è anche qualcosa che costruisce i presupposti che a me consentono, quando sono sui tavoli che contano, di difendere gli interessi nazionali. La mia credibilità, la credibilità di questa Nazione cammina soprattutto sulle vostre gambe. Il futuro dell’Italia nella sua capacità di difendere i suoi interessi nazionali vola soprattutto sulle vostre ali.
Questo fa la differenza, fa la differenza e l’Italia lo deve sapere. Fa la differenza perché io di solito mi commuovo sempre quando vengo in posti come questo e ho trovato anche il Comandante emozionato, vedo tanta emozione. È incredibile pensare che si riescano a emozionare così persone che nella loro formazione hanno il sangue freddo. Parlavamo adesso del lavoro che si fa quando si pilota un caccia, e di quanto la freddezza, la capacità di non lasciarsi andare all’emotività facciano la differenza, ma io capisco questa emozione, perché io e voi condividiamo lo stesso sentimento.
Nel Signore degli Anelli – che io cito spesso, come si sa, ma non è l’unico libro colletto, giuro – Faramir, parlando della battaglia, dice “Non amo la lucente spada per la sua lama tagliente, né il guerriero per la gloria, né la freccia per la sua rapidità. Amo solo ciò che difendo”.
Non si sceglie di essere un soldato per odio. Si sceglie di essere un soldato per amore. Non si sceglie di essere un soldato perché si ama la guerra. Si sceglie di essere un soldato perché si ama la Patria. E quella patria ha bisogno di essere difesa. Questo lavoro lo fate voi.
Lo fate voi in prima fila, lo fate voi ogni giorno. Non vedrete i vostri figli che scartano i regali a Natale, ma l’Italia è anche per questo vi è riconoscente e sono sicura che i vostri figli sapranno essere adeguatamente fieri di voi, come lo è l’Italia intera. Grazie e buon Natale a tutti.
Teoricamente, del tutto astrattamente, la posizione del Governo Meloni potrebbe spingere ad una piena assunzione di ruolo del paese nell’area mediterranea, quella di proprio interesse strategico. In politica non esiste l’astratto; esiste la tattica per perseguire una strategia e valgono le intenzioni reali. Il Governo di Giorgia Meloni si distingue dai precedenti per il suo attivismo, per lo più retorico, nell’agone internazionale, specie quello mediterraneo ed africano. Di fatto si risolve in una spinta agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna ad assumere un ruolo più attivo che compensi e riduca il surrogato sub-imperiale franco-tedesco. Un gioco pericoloso, che potrebbe avere un senso, anche questo puramente teorico, se si riuscisse a ritagliare, tra i litiganti, un ruolo autonomo. Quelli di Meloni, al contrario, si riducono a degli appelli al “podestà straniero” che porteranno a coinvolgerci nella conflittualità con Russia e Cina e, probabilmente, la Turchia e nella destabilizzazione programmata degli stati africani. Giuseppe Germinario
***
Grazie mille.
Buongiorno a tutti, e voglio davvero ringraziarti, Petteri, per aver immaginato questa iniziativa e aver invitato anche l’Italia.
Lo dico al di là dei ringraziamenti di rito; penso veramente che questa iniziativa sia importantissima e che rappresenti un modo di pensare molto nuovo all’interno dell’Unione europea.
Come diceva Kyriakos, le quattro nazioni qui rappresentate (ma direi anche cinque, perché Kaja è stata anche Primo Ministro) sono spesso state considerate, e si sono spesso trovate, su fronti contrapposti all’interno dell’Unione europea. Nazioni del nord così dette “frugali”, da una parte, e Nazioni del sud spesso accusate di essere, diciamo, sregolate, anche se negli ultimi anni più per pregiudizio – a mio avviso – che per responsabilità reali.
Il fatto che queste Nazioni oggi si trovino qui, insieme, a parlare dei grandi temi che stiamo cercando di affrontare tutti insieme dimostra che abbiamo capito che il mondo intorno a noi è completamente cambiato, e non possiamo affrontare seriamente le sfide che abbiamo di fronte se non cerchiamo di capire il punto di vista e le difficoltà, i problemi, degli altri. Credo dunque che questa iniziativa sia stata preziosissima, che sia preziosissima. Penso che dovremmo ripeterla.
Sappiamo che sono molte le sfide che l’Unione europea ha di fronte. Sono soprattutto due le questioni che l’Europa non può eludere: una è la sicurezza dei nostri cittadini, che è quella che stiamo affrontando durante questa edizione, e l’altra è la competitività del nostro sistema produttivo (forse questa potrebbe essere l’idea per il prossimo incontro).
Come dicevano Petteri e Kyriakos, abbiamo parlato molto di difesa, di sicurezza.
Sicurezza significa difesa, significa che capiamo tutti di dover fare di più, capiamo tutti che sia importante anche per garantire quel “pilastro europeo” della NATO di cui abbiamo parlato molto in questi anni. La NATO rimane assolutamente, ancora di più dopo l’ingresso di Finlandia e Svezia, la pietra angolare della nostra sicurezza, e deve saper guardare non solo al fianco est, ma anche al fianco sud.
Ma sicurezza significa anche molto altro. Significa infrastrutture critiche, significa intelligenza artificiale, cybersicurezza, significa materie prime, significa catene di approvvigionamento. Significa una nuova, e più efficace politica estera e di cooperazione. Significa migrazione, che è stato l’altro grande argomento di cui abbiamo discusso.
Secondo me è stato un errore affrontare la questione dell’immigrazione illegale, in questi anni, come un dibattito di carattere puramente solidaristico, perché la questione riguarda, appunto, la sicurezza. Il risultato è che non siamo stati in grado di difendere i nostri confini esterni, e abbiamo messo a repentaglio la nostra libera circolazione interna e attori ostili hanno cominciato a usare l’immigrazione come strumento di pressione, o di ricatto.
Oggi siamo impegnati a invertire la rotta. Vogliamo difendere i nostri confini esterni e non consentiremo né alla Russia né alle organizzazioni criminali di minare la nostra sicurezza.
Penso, dunque, che sia stato molto importante, Petteri, e ti ringrazio molto. È stata un’iniziativa molto intelligente e molto importante. Sono orgogliosa che l’Italia sia stata invitata e potete sempre contare su di me e sull’Italia.
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