Il dominio dei migliori, di Roberto Buffagni

In Canada, il governo blocca i C/C dei dissenzienti. Domanda: sono dei fasci? sono dei comunisti? Sotto la risposta.
NON sono dei fasci. NON sono neanche dei comunisti. Sono dei liberal-progressisti. Il contenuto ideologico che impongono con la coercizione è il liberal-progressismo, del quale fa parte integrante l’ingegneria sociale (questo è un esempio preclaro di ingegneria sociale condotta con metodi coercitivi). La distinzione è molto importante perché altrimenti non si capisce più niente. Va tenuto presente che l’ordine internazionale unipolare a guida USA non è “agnostico”, ma ha un contenuto ideologico obbligatorio, che è appunto il liberal-progressismo. La ratio di questo contenuto ideologico è che a) il liberal-progressismo è il regime sociale più avanzato e migliore in assoluto b) se tutto il mondo diventa liberal-progressista si raggiungerà, in futuro, la concordia universalis, basta guerre, basta conflitti c) non si vedono motivazioni (se non malattie psichiatriche o arretratezza culturale) per opporsi al liberal-progressismo in nome di altre ideologie quali il fascismo (sconfitto, eticamente inaccettabile) il comunismo (sconfitto, eticamente meno inaccettabile del fascismo ma inaccettabile anche lui perché conculca l’individuo) il nazionalismo (eticamente inaccettabile perché arretrato, bellicista e incompatibile con la concordia universalis). Poi, siccome NON è vero che tutti sono d’accordo con il liberal-progressismo, il quale, anzi, specie dove viene imposto con le armi, suscita forti dissensi e resistenze (per tacere dei morti e dei disastri); e persino nei paesi di lunga tradizione liberal-progressista, quali gli USA, esso suscita endemici dissensi per i suoi effetti collaterali sgraditi (caduta del tenore di vita per l’esposizione diretta ai mercati, perdita di identità, immigrazione di massa, diseguaglianze stratosferiche); ne consegue che il liberal-progressismo, e le trasformazioni anche culturali che esso esige, andranno realizzate con un di più di coercizione, ovviamente “per il bene dell’umanità”. Le somiglianze con il fascismo stanno soltanto nell’imposizione autoritaria delle norme sociali, mentre il contenuto delle norme liberal-progressiste non potrebbe essere più lontano dal fascismo. La somiglianza con il comunismo è invece più prossima perché come il liberal-progressismo, il comunismo è universalista, ossia è (era) persuaso che il comunismo fosse in assoluto il migliore e definitivo regime sociale, che, una volta instaurato in tutto il mondo, avrebbe condotto alla concordia universalis, basta guerra, basta conflitti, la casalinga che dirige lo Stato, la fine della preistoria dell’umanità eccetera. Il contenuto ideologico imposto dal liberal-progressismo è però diverso dal contenuto ideologico imposto dal comunismo perché il liberal-progressismo è PIU’, molto più individualista del comunismo (il liberal-progressismo è il trionfo dell’individuo assoluto, la sua teodicea, un Valore con tripla maiuscola in nome del quale si possono anche fare sacrifici umani aztechi). Il comunismo insomma è un parente del liberal-progressismo, ma non è affatto la stessa cosa, cià la fissa delle classi, della Teleologia della Storia, insomma roba vecchia . La parentela liberal-progressismo/comunismo si vede chiara come il sole se si pensa a che sarebbe successo se dalla Guerra Fredda fosse uscita vincitrice l’URSS. Se l’URSS avesse vinto la guerra fredda, avrebbe sicuramente costruito un ordine internazionale unipolare con un contenuto ideologico obbligatorio (il comunismo), esattamente come gli USA hanno costruito un ordine internazionale unipolare a contenuto ideologico obbligatorio (il liberal-progressismo). Gli americani però hanno fatto i conti senza l’oste (l’oste è la storia + la logica di potenza) e sono sorte, negli ultimi decenni, due grandi potenze, Cina e Russia, che hanno tutto l’interesse e la capacità di costruire un ordine internazionale multipolare; e l’ordine unipolare USA, sia per questo, sia perché esso provoca conflitti endemici anche al proprio interno, è in crisi (grazie a Dio, auguriamogli un pronta eutanasia e magari anche un suicidio assistito).

LA “NOVITÁ” DELLA RESPONSABILITÁ DIRETTA, di Teodoro Klitsche de la Grange

LA “NOVITÁ” DELLA RESPONSABILITÁ DIRETTA

I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici” (art. 28 della Costituzione italiana)

Dopo la “bocciatura” da parte della Corte costituzionale del referendum sulla responsabilità dei giudici, sui teleschermi si è visto un fiorire di dichiarazioni sul fatto che non è ammissibile la responsabilità diretta del magistrato, che l’Italia è l’unico paese che l’avrebbe prevista, ecc. ecc. In genere a sostenere tale tesi (o similari) erano coloro che omaggiano la Costituzione come “la più bella del mondo”; pare che il Presidente della Corte costituzionale abbia affermato che “l’introduzione della responsabilità diretta avrebbe reso il referendum più che abrogativo, innovativo”: Ma di cosa se è già prevista la responsabilità diretta del funzionario dall’art. 28 della “più bella del mondo”?

Anzi occorre ricordare – a conferma che la responsabilità diretta era quella che volevano e si compiacevano di aver prescritto – alcuni interventi alla Costituente. All’uopo riportiamo affermazioni del costituente prof. Codacci Pisanelli “si ha al riguardo una notevole innovazione, perché gli impiegati non sono soltanto responsabili nei confronti dello Stato o dell’ente pubblico da cui dipendono, ma sono responsabili nei confronti dei terzi, ai quali siano derivati danni dalla loro attività. È un principio dalle gravi conseguenze, senza dubbio, ma la gravità delle conseguenze deve essere valutata in relazione al fatto che non si tratta di una innovazione radicale. Anche per altri impiegati esiste già qualcosa di simile. Non dobbiamo dimenticare che per i dipendenti dello Stato, i quali esplicano la funzione giurisdizionale, cioè per i magistrati, per i cancellieri e per gli stessi ufficiali giudiziari, è stabilita anche oggi la responsabilità personale… Col nuovo sistema non bisogna pensare che venga abbandonato il principio delle responsabilità dello Stato o della pubblica Amministrazione per atti compiuti dai suoi dipendenti; viceversa, il principio viene integrato con l’altro della responsabilità estesa anche alle persone fisiche preposte ai pubblici uffici”. Quanto all’asserito “solipsismo” della responsabilità diretta , Codacci Pisanelli diceva “In Inghilterra da secoli si applica questo principio, fin da quando, nel 1763, ci fu il famoso contrasto tra Giorgio III ed uno dei deputati, il Wilkes, il quale scrisse un articolo contro il re. Il re dispose, attraverso il primo ministro, perquisizioni domiciliari e arresti; il Parlamento insorse; l’autorità giudiziaria dichiarò la incostituzionalità della esecuzione dell’ordine impartito di eseguire quei sequestri e condannò colui il quale aveva eseguito l’ordine al risarcimento dei danni. Risale a questo tempo l’affermazione del principio della responsabilità personale dei pubblici impiegati per gli atti da essi compiuti” (v. V. Carullo, La Costituzione della repubblica italiana, Bologna 1950, pp. 77-78). Anche in altri ordinamenti, e da secoli, la responsabilità diretta del funzionario era tutt’altro che sconosciuta. Scrive Tocqueville che nell’ancien régime le azioni proposte in giudizio contro i funzionari pubblici erano sistematicamente avocate al conseil du roi. La rivoluzione istituì la “garanzia amministrativa” con la L. 16-24 agosto 1790; la quale, aggiungeva Tocqueville, ebbe un grande successo, dato che passati tanti diversi regimi politici, nessuno l’aveva cambiata. Anche in Gran Bretagna prima del Crown Proceedings Act del 1947 in linea generale a rispondere alle azioni giudiziarie era il funzionario che aveva preso la decisione o commesso il fatto. Quindi la responsabilità diretta, da secoli praticata, non è una novità se non per qualche politico o giurista dalla memoria corta. Ne è l’espediente rozzo di quei cavernicoli di Salvini e Meloni. C’è da chiedersi perché la responsabilità diretta trovi così tanti avversari, malgrado, alla fin fine non sia tanto diversa dalla cugina carnale, cioè quella indiretta? A favore della quale bisogna aggiungere che, pagando lo Stato, si ha una ben superiore garanzia della solvibilità del debitore.

Gli è che nel primo caso il funzionario deve vedersela con la parte lesa, che ha un diretto interesse alla riparazione richiesta e quindi è un avversario ben più motivato e temibile; nel secondo caso a recuperare il risarcimento corrisposto dallo Stato alla vittima, è un funzionario anch’esso, spesso svogliato, se non, come può succedere, complice e, soprattutto, che non combatte per un proprio interesse come il danneggiato.

E magari qualche dato statistico, più o meno segretato ce lo confermerebbe.

Teodoro Klitsche de la Grange

Lorenzo Castellani, Sotto scacco_recensione di Teodoro Klitsche de la Grange

Lorenzo Castellani, Sotto scacco, Liberilibri, Macerata 2022, pp. 115, € 14,00.

Il profilo più interessante di tale saggio, è che, contrariamente a quanto di solito generalmente praticato (anche da studiosi), riconduce a concetti, categorie, intuizioni che sono patrimonio da secoli del pensiero politico, le vicende d’attualità.

Così è per la pandemia. Il libro esordisce “Il potere politico si fonda sulla paura. E il caso della pandemia non costituisce eccezione… La paura, scaturita dal rischio posto dalla pandemia, è stato il carburante di legittimità politica per far accettare scelte di governo, restrizioni e norme che altrimenti mai sarebbero state considerate ricevibili dalle popolazioni delle democrazie occidentali” (e naturalmente il riferimento è, in primis, a Hobbes) “per paura si deve intendere anzitutto l’insicurezza collettiva e per politica il controllo autoritario e assolutista di tale insicurezza”. Dato che “secondo Luhmann, il sistema politico-giuridico opera come una struttura normativa di selezione delle alternative. Diritto e potere politico tracciano dei confini per i comportamenti individuali e sociali costringendo le possibilità di scelta tra innumerevoli alternative”, onde “Il sistema di potere, in definitiva, definisce quali rischi coprire e quali lasciar correre, quali paure sopire e quali far circolare”.

L’inconveniente, noto, è che per farlo, necessita di potere/i enormemente superiore, nello Stato moderno, a quello necessario a forme politiche meno impegnative.

Anche se esercitato attraverso un ordinamento amministrativo costituito da burocrazie professionali specializzate, il potere politico non rinuncia alla dinamica antichissima “dell’insondabilità e dell’inconoscibilità dei segreti su cui si fonda la decisione: “A certe istituzioni si obbedisce proprio perché non si possono comprendere le basi sulle quali poggiano le loro scelte”, comunque rimesse all’autorità di esperti, illuminati dal sapere. Anche in ciò nulla di nuovo: l’incremento del potere attraverso il mistero e l’inconoscibilità (ai più) è una costante da millenni. Kojéve la fa risalire alla teoria dell’autorità di Aristotele fondata sulla superiorità e sulla capacità di prevedere del superiore, e così (anche) dei dotti sugli inesperti (e ignoranti).

Ciò sarebbe anche conforme al pensiero istituzionale moderno, uno dei connotati del quale è la razionalizzazione, anche e soprattutto del potere politico (e lo Stato ne è il risultato). Solo che data la complessità dell’essere umano e delle società “c’è sempre un’incrinatura” che si frappone nella saldatura tra tecnica e potere, perché “Non c’è razionalismo capace di trasformare una società umana in una macchina e la politica in ingegneria”.

Da questa e da altre affermazioni del saggio deriva che, cambiando situazione e giustificazioni, la sostanza rimane – in larga parte – la stessa: a seguire Hauriou, le fond è il medesimo. Con la conseguenza che, dato il carattere prevalente e decisivo in politica della competizione e conservazione del potere, la pandemia è (e può esserlo ancora di più) la giustificazione dell’incremento dei poteri pubblici. I quali, nell’attualità possono avere due versioni; da una parte “c’è il tecno-autoritatismo cinese, nel quale le stesse tecnologie sono messe al servizio di un sistema esplicitamente totalitario, il cui aspetto più inquietante risiede nel fatto che differisce dal nostro soltanto per la sua intensità: una questione di misura più che di sostanza”. Mentre in occidente è il verde, le politiche green: “proposte dalla classe politica occidentale per gestire un altro stato di emergenza che subentrerà, o meglio appare già in compresenza a quello pandemico”.

Con la prospettiva di arrivare al Leviatano climatico: “lo stratagemma usato dall’alleanza tra capitalismo clientelare, finanza e politica per rilanciare lo sviluppo globale senza rinunciare a forme di centralismo economico, di moralismo pedagogico e di azioni disciplinanti sui singoli individui”.

Castellani ne individua i connotati già nella nota profezia di Tocqueville sul dispotismo mite: un potere fondato su un controllo generalizzato, un potere assoluto, pervasivo, previdente e dolce, che fiacca la volontà e riduce la comunità a un gregge “di cui il governo è il pastore”. È il dispotismo mite quello peculiare alla decadenza occidentale “securitario e centralista, in cui lo spirito d’iniziativa individuale e collettivo, la società civile, i beni comuni, le libertà negative e positive vengano mortificati e sacrificati sull’altare di un nuovo dirigismo e della sua pianificazione”. A questo l’autore contrappone il recupero di “forme di azione riflessiva, decentrata e consensuale … ancora possibili invece di pensare a forme di delegittimazione ed esclusione dell’avversario. L’auctoritas prevarrebbe sull’imperium, l’amicizia sull’inimicizia, la rule of law sul potere di polizia… ci sarebbe invece un rifiuto della sorveglianza come idea-guida dell’organizzazione sociale”; perché “la politica sapiente è l’arte di rinvigorire la società, e non di alimentare burocrazie, e la libertà di tutti è un privilegio la cui difesa compete alla classe dirigente”. Ciò sarebbe sicuramente aspirazione largamente maggioritaria. Speriamo che sia pure largamente percepita; perché lo diventi, si consiglia la lettura di questo saggio.

Teodoro Klitsche de la Grange

Le fasi della guerra, Di: George Friedman

Le fasi della guerra

Pensieri dentro e intorno alla geopolitica.

Di: George Friedman

Considerando l’affermazione americana secondo cui la Russia intende attaccare l’Ucraina – che il Cremlino nega – è utile considerare in forma schematica le fasi della guerra per comprendere non solo la sequenza ma anche le difficoltà e i rischi della guerra.

Ci sono quattro fasi per attaccare e occupare un paese:

Fase 1: Perspicacia. Comprendere chi stai combattendo, le sue intenzioni e capacità e ciò che la guerra intende raggiungere.

Fase 2: Guerra. Avviare il movimento e la potenza di fuoco destinati a infrangere la volontà e la capacità di resistere del nemico.

Fase 3: Occupazione. Occupare il Paese, o quella parte che è necessaria per raggiungere il fine politico desiderato.

Fase 4: Pacificazione. Pacifica il terreno occupato e spezza la volontà del popolo di resistere.

Questo è un riassunto ordinato di quella che probabilmente è la cosa più disordinata che gli esseri umani sperimentano. Ogni fase è più complessa e disordinata di quanto possa sembrare possibile e il numero di fasi può sconvolgere la mente. Tuttavia, semplificare e ordinare il caos della guerra ci aiuterà a porre le domande giuste e forse a intravedere le risposte.

L’intelligence è la prima fase e precede la decisione di combattere. Comprendere le intenzioni di un potenziale nemico ti dice se ciò che intende è compatibile con i tuoi interessi. Comprendere le sue capacità ti dice se dovresti correre l’enorme rischio di andare in guerra. Le intenzioni e le capacità sono cose che tutti i paesi cercano di capire anche sull’avversario meno probabile. Ti dicono chi devi combattere e chi potrebbe combattere con te. L’intelligence può anche guidarti su chi potrebbe essere il nemico. Quando il Giappone invase la Cina, non prevedeva che a tempo debito avrebbe potuto affrontare gli Stati Uniti. Se c’è un’invasione russa dell’Ucraina, gli Stati Uniti hanno un’idea abbastanza chiara di chi potrebbero combattere se intervenissero. (È improbabile che la Cina abbia la capacità di proiettare una forza decisiva durante il periodo di un qualsiasi conflitto tra Stati Uniti e Russia.) La Russia non conosce l’ordine di battaglia che dovrà affrontare, anche se potrebbe essere chiaro quale tipo di forza potrebbe portare un potenziale avversario dell’orso. L’incertezza politica crea incertezza militare.

La seconda fase è l’inizio e il proseguimento della guerra. L’aggressore decide per il difensore. Quando la Germania, alleata con l’Unione Sovietica, invase la Polonia, l’intelligence di Berlino non le parlò della serie di nazioni e delle capacità a lungo termine che avrebbe dovuto affrontare. La decisione di entrare in guerra ha lo scopo di anticipare la forma finale della guerra. L’intelligence politica è molto più difficile da raccogliere dell’intelligence militare. I motori della guerra possono essere nascosti solo imperfettamente. Le intenzioni dei paesi sono difficili da capire, poiché anche quegli stessi paesi non sono consapevoli di ciò che potrebbero fare. Tuttavia, è essenziale valutare cosa faranno di fronte alla guerra che stai lanciando, ora o nel lungo periodo. Devi sapere questo per conoscere l’ordine di battaglia che dovrai sconfiggere. Hitler capì i suoi potenziali nemici. Non apprezzò l’ordine di battaglia che gli Stati Uniti avrebbero messo in atto o la resilienza della difesa sovietica. Qualunque sia l’obiettivo della Russia in Ucraina, la sua incertezza su chi potrebbe essere il suo nemico è un deterrente. Questo è vero a meno che l’intelligence russa non sia penetrata in profondità nel processo decisionale americano.

La terza fase è l’occupazione del territorio o del paese preso di mira. L’occupazione è un fine. Il mezzo a tal fine deve essere la distruzione dell’esercito nemico, fisicamente o per motivi di morale. La Francia aveva la capacità materiale di continuare a resistere alla Germania nazista, ma non aveva il morale. L’occupazione di un paese è un processo difficile e che richiede tempo anche quando non c’è resistenza. C’è prima di tutto l’assoluta dimensione fisica del paese e la cautela che deve accompagnare un’informazione imperfetta sulle forze nemiche. Poi c’è la questione della logistica. I soldati devono mangiare e, nella guerra moderna, la benzina deve essere consegnata ai veicoli, insieme alle munizioni per sostituire ciò che è stato consumato. In un assalto corazzato, come sarebbe il caso in Ucraina, i veicoli corazzati, anche se ben tenuti, hanno la tendenza a rompersi. Quando 50 tonnellate di parti mobili incontrano la strada, le parti potrebbero guastarsi. E non dobbiamo sottovalutare le armi anticarro date all’Ucraina. Qualsiasi assalto dovrebbe essere metodico e consapevole delle possibili minacce, e lo stesso movimento logistico è più vulnerabile della spinta principale e altrettanto essenziale. Se l’occupazione incontra resistenza, il movimento rallenterà drasticamente. In caso contrario, la preoccupazione per la possibilità di resistenza rallenterà il movimento. Ciò ha ramificazioni politiche, poiché una rapida sconfitta di una forza preclude il rafforzamento da parte delle potenze straniere: dovrebbero invadere di nuovo. Un esteso processo di occupazione aumenta la probabilità che le potenze straniere sentano pressioni per intervenire a favore dei difensori – o almeno la forza offensiva deve considerare la possibilità.

La quarta fase potrebbe essere la più dispendiosa in termini di tempo e politicamente irritante. Alcune popolazioni occupate accettano la sconfitta. Altri no. Il miglior esempio dell’efficacia militare della resistenza post-occupazione è la stessa Russia, dove le forze militari e civili hanno continuato a resistere dietro l’avanzata tedesca, costringendo i tedeschi a dirottare le forze verso la pacificazione, cosa che ha ulteriormente alienato la popolazione e aumentato la resistenza dietro la linea del fronte. La Gran Bretagna in India ha affrontato questo problema nel 19° secolo. La pacificazione è una questione politica imperniata sulla lealtà della popolazione al suo governo e sull’ostilità degli occupanti. Dal punto di vista degli occupanti, la pacificazione è un’arma a doppio taglio, che limita la resistenza e la incoraggia attraverso la sua natura brutale. Ovviamente non è chiaro quanto il popolo ucraino sia leale al governo o al principio di un’Ucraina indipendente, né è chiaro quanto non gli piacciano i russi e quanto una pacificazione russa possa incoraggiare la resistenza.

Nel caso di Russia e Ucraina, i russi non possono essere certi di quanto gli Stati Uniti sarebbero coinvolti o quali armi userebbero. Nella guerra moderna non è necessario avvicinarsi a un chilometro da un carro armato per distruggerlo. I missili a lungo raggio possono attaccare la forza e, in modo più redditizio, il sistema logistico che supporta quella forza. Un intervento degli Stati Uniti sarebbe il più pericoloso per la Russia e Mosca non può fidarsi di ciò che dice Washington, in particolare se la resistenza ucraina è rigida, le vittime sono alte e gli Stati Uniti si trovano sotto pressione per intervenire. È un caso in cui gli stessi americani non sanno cosa faranno. In tal caso, quella che i russi intendevano essere una breve guerra potrebbe trascinarsi, con incerte probabilità di una pacificazione riuscita.

Le operazioni militari richiedono la minimizzazione dell’incertezza. Tuttavia, è nella natura della guerra la moltiplicazione  delle incertezze. Gli Stati Uniti hanno respinto l’idea di una controffensiva tedesca alla fine della seconda guerra mondiale. Risultò la battaglia delle Ardenne. Gli Stati Uniti si aspettavano che il Vietnam del Nord abbandonasse il suo desiderio di unire il Vietnam. Ha calcolato male. E Stalin non si aspettava un’invasione tedesca nel 1941.

L’intelligence spesso fallisce. Le operazioni militari subiscono fallimenti di comando, comunicazione e morale. La resistenza all’invasore aumenta inaspettatamente. Gli alleati del difensore emergono a sorpresa, con attacchi militari e non. Le superbe fonti di informazioni dalla capitale del nemico risultano funzionare per il nemico. Per entrare in guerra, deve esserci un interesse prevalente per il quale non è possibile altra soluzione o mitigazione.

Quando utilizziamo le fasi della guerra come uno scheletro su cui drappeggiare le varie fasi, la guerra diventa un’idea poco attraente. Per i russi, che non hanno condotto una guerra multidivisionale estesa in quasi 75 anni, l’opzione potrebbe sembrare allettante. Il tempo nasconde le verità. Ma nel caso della Russia, ci vorranno secoli per dimenticare la verità della guerra. I russi ricordano la seconda guerra mondiale nelle loro ossa. Ricordano anche quante cose Hitler ha calcolato male, dalla resistenza russa alle nazioni che hanno sostenuto la Russia. E ricordando quella guerra, considerando il modello con cui ho armeggiato qui e le vaste incognite, i russi, non credo, ne inizieranno un’altra. Avrebbe poco senso.

https://geopoliticalfutures.com/the-phases-of-war/?tpa=OGZhOWM3ZWEyMTVlMDllMzUyNWEwYjE2NDU3MTY4OTIyY2NmMDg&utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_term=https://geopoliticalfutures.com/the-phases-of-war/?tpa=OGZhOWM3ZWEyMTVlMDllMzUyNWEwYjE2NDU3MTY4OTIyY2NmMDg&utm_content&utm_campaign=PAID%20-%20Everything%20as%20it%27s%20published

ANCORA IN AVVICINAMENTO AL NUOVO GIOCO DELLE PERLE DI VETRO DEL REPUBBLICANESIMO GEOPOLITICO: POMBALINA ET INACTUALIA ARCHEOLOGICA PARTE QUARTA, di Massimo Morigi

Dopo la pubblicazione sull’ “Italia e il Mondo” del saggio sulla dialettica prassistica
dell’epigenetica e della sintesi evoluzionistica estesa intitolato Epigenetica, Teoria
endosimbiotica, Sintesi evoluzionista moderna, Sintesi evoluzionistica estesa
efantasmagorie transumaniste. Breve commento introduttivo, glosse al Dialectical
Biologist di Richard Levins e Richard Lewontin, su Lynn Margulis, su Donna Haraway e
materiali di studio strategici per la teoria della filosofia della prassi olisticodialetticaespressiva-strategica-conflittuale del Repubblicanesimo Geopolitico e dopo la recentissima pubblicazione sempre sull’ “Italia e il Mondo” sotto la Leitbild di
Federico II il Grande re di Prussia dell’inattuale La Loggia Dante Alighieri nella storia
della Romagna e di Ravenna nel 140° anniversario della sua fondazione (1863-2003) (la
prima parte all’URL http://italiaeilmondo.com/2022/01/09/massimo-morigi-la-loggia-dantealighieri-nella-storia-della-romagna-e-di-ravenna-nel-140-anniversario-della-sua-fondazione1863-2003-_________-i-parte/, Wayback Machine:
https://web.archive.org/web/20220110075018/http://italiaeilmondo.com/2022/01/09/massimomorigi-la-loggia-dante-alighieri-nella-storia-della-romagna-e-di-ravenna-nel-140-anniversario-della-sua-fondazione-1863-2003-_________-i-parte/; la seconda all’URL
http://italiaeilmondo.com/2022/01/11/massimo-morigi-la-loggia-dante-alighieri-nella-storiadella-romagna-e-di-ravenna-nel-140-anniversario-della-sua-fondazione-1863-2003-_________-ii-parte/, Wayback Machine:
https://web.archive.org/web/20220111161456/http://italiaeilmondo.com/2022/01/11/massimomorigi-la-loggia-dante-alighieri-nella-storia-della-romagna-e-di-ravenna-nel-140-anniversario-della-sua-fondazione-1863-2003-_________-ii-parte/ ho ritenuto presentare ai lettori del blog alcune riflessioni se si vuole ancora più inattuali ed attinenti il
Repubblicanesimo Geopolitico solo in Statu nascenti ed inseribili in questo contesto
interpretativo ma solo in prospettiva archeologica, quattro scritti ed interventi
pubblicati o presentati in sede seminariale in Portogallo che hanno precorso,
attraverso una prima riflessione sul repubblicanesimo, sull’estetizzazione della politica
e sulla conflittualità sociale, le attuali conclusioni, anch’esse inattuali ça va sans dire,
cui è giunto il Repubblicanesimo Geopolitico, informate al paradigma olisticodialettico-espressivo-strategico-conflittuale e appunto giunte a piena maturità – o
involuzione, chi può dirlo? – nel summenzionato saggio sulla dialettica storica e
biologica. Come suggerisce il titolo, queste fonti a stampa sono state per la maggior
parte edite dalla casa editrice dell’Università di Coimbra Pombalina oppure hanno
avuto comunque un editore portoghese (anche se sul Web, oltre a questa immissione
dei documenti in questione da parte dei “portoghesi”, esiste, di queste precursioni
inattuali del Repubblicanesimo Geopolitico, pure un’edizione dello scrivente immessa
direttamente sul Web: si tratta di Repvblicanismvs Geopoliticvs Fontes Origines et Via,
all’URL di Internet Archive
https://archive.org/details/RepvblicanismvsGeopoliticvsFontesOriginesEtViaMassimoMorigiGeopolitics_436, un’antologia di interventi sul Repubblicanesimo Geopolitico,
comprendente anche parte dei documenti presenti in questa antologia e con contenuti
anche multimediali) e riguardano o una prima ricognizione sul concetto
di‘Repubblicanesimo’ e come questo possa venire machiavellianamente in contatto con
la conflittualità sociale e l’estetizzazione della politica e come quest’ultima venga
utilizzata dai regimi totalitari di massa del Novecento. Come Leitbild si è pensato di
ricorrere ai Due amanti di Giulio Romano. Scelta apparentemente avulsa dal discorso
delle precursioni e delle inattualità. A ben vedere non troppo se si consideri il profondo
legame dialettico fra queste quattro riflessioni e la filosofia della prassi espressa dal
saggio Epigenetica, Teoria endosimbiotica, Sintesi evoluzionista moderna, Sintesi
evoluzionistica estesa e fantasmagorie transumaniste (ed anche visto l’attuale degrado
politico-filosofico, civile e culturale che in questi tempi di pandemie virali ma anche
psichiche, con ciò intendendo non solo l’irrazionale paura della morte causa morbo ma
l’altrettanto irrazionale terrore antivaccinista – entrambe le angosce frutto della
superstizione, del fideismo e dell’anomia caratteristici delle c.d. moderne democrazie
rappresentative, un degrado la cui succitata Leitbild costituisce il più dialetttico ed
ironico controveleno). E oltre non vado perché una corretta dialettica ha sempre
implicato una creativa e penetrante attività da parte di tutti i soggetti coinvolti.
Perché, si spera e si pensa, Gentile e Gramsci non hanno certo predicato (e sofferto e
pagato) invano, e soprattutto, inattualmente. Il nuovo gioco delle perle di vetro, lo
sappiamo, disdegna la cronaca e si compiace di accostamenti (apparentemente)
inusitati per le superstiziose, anomiche, fideistiche e degradate masse dei sopraddetti
regimi “democratici”.
Massimo Morigi – Ravenna, inizio anno 2022

Massimo Morigi, Itália, Neorepublicanismo, Modernidate: uma história para o
futuro, in Armando Malheiro da Silva Maria, Luiza Tucci Carneiro, Stefano
Salmi (a cura di), República, Republicanismo e Republicanos, Brasil, Portugal,
Itália, Coimbra, Pombalina (Imprensa da Universidade de Coimbra), 2011, pp.
177-203, all’URL http://web.archive.org/web/20201114094709/https:/digitalis-dsp.uc.pt/jspui/bitstream/10316.2/31013/1/8-%20rep%C3%BAblica,%20republicanismo.pdf?ln=pt-pt

http://web.archive.org/web/20201114094709/https:/digitalis-dsp.uc.pt/jspui/bitstream/10316.2/31013/1/8-%20rep%C3%BAblica,%20republicanismo.pdf?ln=pt-pt. Non è stato trovato
sul Web il documento nella sua interezza ma solo l’estratto visitabile e
scaricabile all’URL sopra riportato.

Qui sotto il link con il testo della IV parte:

POMBALINA E GIOCO DELLE PERLE DI VETRO QUATTRO

STORIA COME INCREMENTO DI COMPLESSITA’ A CUI ADATTARSI, di Pierluigi Fagan

STORIA COME INCREMENTO DI COMPLESSITA’ A CUI ADATTARSI. [Post di studio] Tornerò su un argomento su cui abbiamo scritto più e più volte. Il tema è il passaggio storico tra modi di vita pre e post civili dove -civile- viene da -civitas- e dà luogo a civiltà, quindi pre e post cittadini. Siamo nella sequenza tra Mesolitico e Neolitico tra 15.000 e 3500 a.C. con prospettiva verso l’inizio del periodo civile o storico propriamente detto e siamo in quel della Mesopotamia.
La narrazione (sempre meno) dominante è quella per cui l’invenzione dell’agricoltura, innovazione dei modi di produzione, ha rivoluzionato le forme di vita associata. Questo ha portato da una parte progresso ed incremento di complessità, dall’altra gerarchie sociali, diseguaglianze e guerre. La narrazione è interna alla nostra immagine di mondo costruita già nel XIX secolo e conforme le due famiglie ideologiche politiche prevalenti, quella liberale e quella social-marxista. Ha la stessa scansione della narrazione sulla “rivoluzione” industriale ovvero la teoria è “il proprio (spazio)-tempo appreso nel pensiero” ovvero le forme socio-economiche del Regno Unito nel XIX secolo. Fin qui nulla di male, il problema è poi decidere di fare di questa teoria locale (nello spazio e nel tempo) un universale, una presunta legge storica. Oltretutto pensando che la storia, per rendersi scientifica, debba mostrare le logiche della regina delle scienze: la fisica. La fisica ha le leggi? Quindi anche la storia ed il pensiero economico dovevano avere “leggi”.
Negli ultimi anni, la quantità delle informazioni ricavate dagli scavi archeologici è decisamente aumentata. Viepiù se la compariamo al XIX secolo, ma anche a buona parte del XX. È anche aumentata la nostra capacità di trarre informazione dagli scavi ed è diventata più complessa, quindi più realistica, la nostra organizzazione narrativa in grado ora di mettere assieme informazioni su natura, clima, uomini, modi di vita etc. Vediamo in breve cosa abbiamo scoperto.
1 – L’agricoltura non fu una invenzione puntiforme. Abbiamo primi semi messi da parte per esser ripiantati negli scavi di un sito di 20.000 anni fa. Abbiamo prove di prodotto agricolo selvatico ovvero cura della produzione naturale spontanea che poi lascia il passo a produzione intenzionale ovvero semina-cura-raccolta, da allora fino a 15.000 anni dopo. Tra l’altro l’atteggiamento di cura e raccolta valeva anche per la silvicultura e l’orticultura ad allargare l’output di sussistenza. Pari progressione vale anche per le prime forme di allevamento.
2 – La destinazione di questo nuovo prodotto di sussistenza agricola (naturale ed intenzionale) fu di integrazione e stoccaggio. Integrazione in quanto così si allargavano le opzioni della dieta, di base centrata ancora a lungo su caccia e raccolta. Stoccaggio in quanto i cereali raccolti, seccati, garantivano prodotto consumabile in via differita, per quanto di ripiegamento.
3- Tre informazioni ulteriori vanno considerate per ricostruire un processo che durerà millenni: a) i gruppi umani mostrano una tendenza moderata ma costante (a grana grossa) a crescere di dimensioni. Ciò avviene per vari motivi non tutti derivati dalle oscillazioni di sussistenza disponibile; b) altresì cresce la loro densità territoriale relativa. Questa riduce progressivamente gli areali di riferimento per la singola banda o tribù. A loro volta, molte di queste aggregazioni, diventano progressivamente stanziali. La forma stanziale fissa l’areale di riferimento mentre prima l’areale si spostava allo spostamento del gruppo umano; c) il tutto si svolge in un periodo climatico molto dinamico. Il periodo inizia con la deglaciazione che letteralmente inonda il mondo di acqua, aumentando la produzione naturale di piante ed animali. A più riprese però, il clima oscilla diventando più secco. Queste fasi diminuiscono di colpo (nell’ordine dei secoli) la produzione naturale per, ricordiamolo, gruppi ora più massivi, densi e fissi territorialmente.
4 – C’è un movimento progressivo di discesa del fuoco di presenza umane territoriali dal sud anatolico al Golfo Persico. Contemporaneamente continua l’afflusso dall’esterno di questo areale (Monti Zagros, altopiano iranico). Contemporaneamente, i siti abitativi vanno progressivamente sempre più vicino i due grandi fiumi (Tigri ed Eufrate). Quest’ultimo punto si verifica in più o meno corrispondenza con il cambiamento climatico. C’era una regolare agricoltura intenzionale (semina-cura-raccolto) che si basava sulla semplice periodicità delle piogge e non su lavori di canalizzazione. Quando l’andamento climatico oscilla verso il secco, l’acqua che non cade più dal cielo, andrà presa dai fiumi.
I punti di questa ricostruzione porterebbero ad una narrazione lineare, ma i fenomeni a grana fine non lo furono. I gruppi umani oscillarono all’oscillazione del contesto. Questo perché la regola cui sono soggetti è l’adattamento a contesti mutevoli.
C’è poi anche una controverifica indiretta alla tesi dell’invenzione del modo agricolo. I modi agricoli compaiono a più riprese in poco meno di altri dodici casi nel globo (ma c’è chi ne conta ben di più), in tempi differenti, tra luoghi non comunicanti. A meno di non prevedere una magica sincronizzazione dell’ingegno umano, l’unica spiegazione che sta in piedi, è che i vari gruppi umani vennero sottoposti a pressioni adattive simili. La condizione simile è un “complesso di cause” (cause tra loro interagenti) che prevede: aumento costante demografico, aumento di densità per areale chiuso (che ha condizioni migliori che non si trovano nell’intorno), un primo miglioramento costante delle condizioni naturali (clima, acqua, rigoglio vegetale, esuberanza demografica animale), progressiva stanzializzazione, una seconda relativamente improvvisa inversione negativa delle condizioni climatiche. Il ricorso a produzione intenzionale (agricoltura-allevamento) che all’inizio è arricchimento della varietà di dieta, poi stoccaggio di alimenti a cui attingere per compensare le curve oscillanti di produzione naturale (caccia e raccolta), diventa sempre di più fonte di sussistenza primaria, poi esclusiva. Per quanto di apporto nutritivo monotono e modesto, la coltivazione di cereali e la segregazione con riproduzione di animali, era l’unica possibilità di sopravvivenza date le condizioni. Ed a sua volta, la sua relativa prevedibilità quindi sicurezza alimenterà ulteriore incremento demografico e di densità relativa avviandoci lungo un percorso irreversibile.
Non ci fu quindi alcuna invenzione come motore della storia, fu un complesso adattamento a nuove condizioni dei gruppi umani, dei territori e distribuzione umana e naturale dentro di essi, del clima. Tutte le mitologie posteriori raccontano questa storia come una caduta dall’età dell’oro, non come un progresso. Ritenuti a lungo “miti”, oggi sembrano confermati dall’analisi delle ossa e degli scheletri che confermano l’impoverimento nutritivo, dismorfismo sessuale e la perdita di forza e salute generale. A seconda di come si deciderà di organizzare le nuove forme di vita associata, nasceranno le diseguaglianze sociali (anziani su giovani, maschi su femmine, classi su classi, élite castali su popolo), le gerarchie fisse e riprodotte per ereditarietà, la guerra, le narrazioni di contesto, tra cui le religioni, le varie caste tripartite (commerciali, militari, sacerdotali) ovvero la civiltà.
Il significato proprio del ricorso prima saltuario, poi sistematico, poi unico all’opzione agricola fu una necessità, non una libertà. Necessità di garantire, quindi prevedere, output alimentare per numeri sempre più ampi di popolazione già stanziale per via delle dimensioni. L’adattamento del tempo portò in dote il problema del doverci pensarci prima, del prevedere. Il ricorso sempre maggiore all’agricoltura-allevamento fu la necessità di prevedere le forniture di sussistenza per migliaia e migliaia di persone ormai inurbate. Per altro, non sembra neanche che fu il semplice predominio del modo agricolo a scatenare la trasformazione sociale, ma una dinamica più complessa a molti fattori che all’inizio prese forma di quello che alcuni chiamano “socialismo sacerdotale” ovvero l’attribuzione del prodotto della terra (inizialmente terra degli dèi, non più totalmente libera e non ancora privatizzata) ad un centro ridistributivo gestito dai funzionari della credenza. Sarà all’interno di questi centri che la burocrazia civile al servizio del tempio diverrà poi predominante politicamente (il “re”, inizialmente spesso eletto e senza dinastia, al tempio si affiancherà il palazzo) mentre accanto si infittiscono le dispute per lo spazio da cui si svilupperanno le élite militari e si formano i monopoli di scambio tra eccedenze e mancanze, a volte pubblici, a volte privati, più spesso privati su concessione pubblica. Se all’inizio il “centro” assolve ad una funzione controllata, al crescere del volume dei gruppi, il centro si emancipa dal controllo dal basso e diventa l’alto dominante.
Se una regola si vuol trovare, a grana grossa, sembra lampante una correlazione tra modi di organizzare la società e sua dimensione in cui società viepiù massive confinano le decisioni da prendere in una élite sempre più stretta. Più che in economia, il motore della faccenda va cercato in socio-demografia. Quello che si perde è la facoltà di decidere assieme il che fare, facoltà naturale nei piccoli gruppi, molto meno naturale in quelli grandi.
Detto da D. Graeber e D. Wengrow nel loro di recente pubblicato “L’alba di tutto” (Rizzoli, 2022, p. 19): “La questione ultima della storia dell’umanità non è l’equo accesso alle risorse materiali (terre, alimenti, mezzi di produzione), per quanto queste cose siano ovviamente importanti, bensì l’equa capacità di partecipare alle decisioni sulla nostra convivenza”.
Oggi, con un mondo cresciuto di tre volte in soli settanta anni, di quattro quando saremo al 2050, si pone nuovamente, il problema dell’adattamento su previsioni anticipanti. Il modo o forma di come comporre le nostre forme di vita associata, non dovrebbe più esser un esercizio a ruota libera, di invenzione, innovazione, nostri vari desiderata. Dovrebbe esser un esercizio di necessità e compatibilità: come e cosa fare per convivere in così tanti nello stesso spazio obbligato. Dovrebbe esser un esercizio adattativo, le forme sociali dipendono non solo dalle loro dinamiche interne, ma queste stesse sono condizionate dal contesto. Ereditiamo forma politiche in cui pochissimi si occupano di questo problema, inevitabilmente propensi ad aumentare diseguaglianze, gerarchie, vantaggi ereditari, guerre e confitti, narrazioni sempre più assurde, forme religiose di credenza anche quando non hanno in oggetto fatti spirituali.
Cinquemila anni fa dovemmo fare i conti di compatibilità tra società umane e contesto, di nuovo oggi. Allora andò come sappiamo, come fare in modo che oggi vada diversamente?

ANCORA IN AVVICINAMENTO AL NUOVO GIOCO DELLE PERLE DI VETRO DEL REPUBBLICANESIMO GEOPOLITICO: POMBALINA ET INACTUALIA ARCHEOLOGICA PARTE TERZA, di Massimo Morigi

Dopo la pubblicazione sull’ “Italia e il Mondo” del saggio sulla dialettica prassistica
dell’epigenetica e della sintesi evoluzionistica estesa intitolato Epigenetica, Teoria
endosimbiotica, Sintesi evoluzionista moderna, Sintesi evoluzionistica estesa
efantasmagorie transumaniste. Breve commento introduttivo, glosse al Dialectical
Biologist di Richard Levins e Richard Lewontin, su Lynn Margulis, su Donna Haraway e
materiali di studio strategici per la teoria della filosofia della prassi olisticodialetticaespressiva-strategica-conflittuale del Repubblicanesimo Geopolitico e dopo la
recentissima pubblicazione sempre sull’ “Italia e il Mondo” sotto la Leitbild di
Federico II il Grande re di Prussia dell’inattuale La Loggia Dante Alighieri nella storia
della Romagna e di Ravenna nel 140° anniversario della sua fondazione (1863-2003) (la
prima parte all’URL http://italiaeilmondo.com/2022/01/09/massimo-morigi-la-loggia-dantealighieri-nella-storia-della-romagna-e-di-ravenna-nel-140-anniversario-della-sua-fondazione1863-2003-_________-i-parte/, Wayback Machine:
https://web.archive.org/web/20220110075018/http://italiaeilmondo.com/2022/01/09/massimomorigi-la-loggia-dante-alighieri-nella-storia-della-romagna-e-di-ravenna-nel-140-anniversario-della-sua-fondazione-1863-2003-_________-i-parte/; la seconda all’URL
http://italiaeilmondo.com/2022/01/11/massimo-morigi-la-loggia-dante-alighieri-nella-storiadella-romagna-e-di-ravenna-nel-140-anniversario-della-sua-fondazione-1863-2003-_________-ii-parte/, Wayback Machine:
https://web.archive.org/web/20220111161456/http://italiaeilmondo.com/2022/01/11/massimomorigi-la-loggia-dante-alighieri-nella-storia-della-romagna-e-di-ravenna-nel-140-anniversario-della-sua-fondazione-1863-2003-_________-ii-parte/ ho ritenuto presentare ai lettori del blog alcune riflessioni se si vuole ancora più inattuali ed attinenti il
Repubblicanesimo Geopolitico solo in Statu nascenti ed inseribili in questo contesto
interpretativo ma solo in prospettiva archeologica, quattro scritti ed interventi
pubblicati o presentati in sede seminariale in Portogallo che hanno precorso,
attraverso una prima riflessione sul repubblicanesimo, sull’estetizzazione della politica
e sulla conflittualità sociale, le attuali conclusioni, anch’esse inattuali ça va sans dire,
cui è giunto il Repubblicanesimo Geopolitico, informate al paradigma olisticodialettico-espressivo-strategico-conflittuale e appunto giunte a piena maturità – o
involuzione, chi può dirlo? – nel summenzionato saggio sulla dialettica storica e
biologica. Come suggerisce il titolo, queste fonti a stampa sono state per la maggior
parte edite dalla casa editrice dell’Università di Coimbra Pombalina oppure hanno
avuto comunque un editore portoghese (anche se sul Web, oltre a questa immissione
dei documenti in questione da parte dei “portoghesi”, esiste, di queste precursioni
inattuali del Repubblicanesimo Geopolitico, pure un’edizione dello scrivente immessa
direttamente sul Web: si tratta di Repvblicanismvs Geopoliticvs Fontes Origines et Via,
all’URL di Internet Archive
https://archive.org/details/RepvblicanismvsGeopoliticvsFontesOriginesEtViaMassimoMorigiGeopolitics_436, un’antologia di interventi sul Repubblicanesimo Geopolitico,
comprendente anche parte dei documenti presenti in questa antologia e con contenuti
anche multimediali) e riguardano o una prima ricognizione sul concetto
di‘Repubblicanesimo’ e come questo possa venire machiavellianamente in contatto con
la conflittualità sociale e l’estetizzazione della politica e come quest’ultima venga
utilizzata dai regimi totalitari di massa del Novecento. Come Leitbild si è pensato di
ricorrere ai Due amanti di Giulio Romano. Scelta apparentemente avulsa dal discorso
delle precursioni e delle inattualità. A ben vedere non troppo se si consideri il profondo
legame dialettico fra queste quattro riflessioni e la filosofia della prassi espressa dal
saggio Epigenetica, Teoria endosimbiotica, Sintesi evoluzionista moderna, Sintesi
evoluzionistica estesa e fantasmagorie transumaniste (ed anche visto l’attuale degrado
politico-filosofico, civile e culturale che in questi tempi di pandemie virali ma anche
psichiche, con ciò intendendo non solo l’irrazionale paura della morte causa morbo ma
l’altrettanto irrazionale terrore antivaccinista – entrambe le angosce frutto della
superstizione, del fideismo e dell’anomia caratteristici delle c.d. moderne democrazie
rappresentative, un degrado la cui succitata Leitbild costituisce il più dialetttico ed
ironico controveleno). E oltre non vado perché una corretta dialettica ha sempre
implicato una creativa e penetrante attività da parte di tutti i soggetti coinvolti.
Perché, si spera e si pensa, Gentile e Gramsci non hanno certo predicato (e sofferto e
pagato) invano, e soprattutto, inattualmente. Il nuovo gioco delle perle di vetro, lo
sappiamo, disdegna la cronaca e si compiace di accostamenti (apparentemente)
inusitati per le superstiziose, anomiche, fideistiche e degradate masse dei sopraddetti
regimi “democratici”.
Massimo Morigi – Ravenna, inizio anno 2022

Massimo Morigi, Una guerra semantica infinita: il polemos dell’Italia del XIX e
XX secolo fra patria, nazione e repubblica, testo in italiano di Id., Uma guerra
semântica infinita. O polemos da Itália dos séculos XIX e XX entre pátria, nação e
república, in “Leonardo”, N° 6 (Título: Causa Pública, Coordenação da Série
“Leonardo”: Rita Marnoto), Coimbra, Pombalina (Imprensa da Universidade
de Coimbra/Instituto de Estudos Italianos), 2011, pp. 117-141, intero documento
non stralciato all’URL
https://estudogeral.uc.pt/bitstream/10316/43407/1/LeonardoN.%C2%BA%206_Final.pdf, Wayback Machine:
http://web.archive.org/web/20201114080627/https://estudogeral.uc.pt/bitstream/10316/43407/1/Leonardo-N.%C2%BA%206_Final.pdf.
Tutto il testo del numero della rivista in testa in formato HTM all’URL
https://docplayer.com.br/73814491-Causa-publica-coordenacao-deritamarnoto.html#show_full_text, Wayback Machine:
http://web.archive.org/web/20201114161120/https://docplayer.com.br/73814491Causa-publica-coordenacao-de-rita-marnoto.html#show_full_text-.

Qui sotto il link con il testo della III parte:

POMBALINA E GIOCO DELLE PERLE DI VETRO 3

Nuove strategie politiche in un nuovo ordine economico, di Antonia Colibasanu

In diversi dibattiti a cui ho partecipato dall’inizio dell’anno – e in diverse risposte che ho ricevuto dai lettori – viene inevitabilmente posta una domanda: in questi tempi senza precedenti, in che modo gli stati stanno usando la loro leva economica per sostenere i loro imperativi geopolitici? In altre parole, come sta cambiando la geoeconomia ?

Per rispondere, dobbiamo considerare le origini dell’attuale clima economico globale. La pandemia di COVID-19 potrebbe aver rivelato e persino aggravato alcune tendenze già in atto, ma i problemi sono iniziati con la crisi finanziaria globale del 2008, che ha segnato alcuni cambiamenti fondamentali. In particolare, ha capovolto l’ordine economico dominato dagli Stati Uniti stabilito a Bretton Woods dopo la seconda guerra mondiale. Gli Stati Uniti sono ancora il paese più dominante, ovviamente, ma il mondo è decisamente più multipolare di quanto non fosse una volta.

Tra le altre cose, Bretton Woods ha consentito agli Stati Uniti di stabilire il dollaro USA come valuta mondiale mentre il Piano Marshall degli Stati Uniti ha fornito gli investimenti necessari per ricostruire le principali potenze europee. Ha facilitato la globalizzazione basata sul libero scambio su una scala senza precedenti, con la Marina degli Stati Uniti che si è assicurata le rotte commerciali globali. Ha creato un sistema in base al quale tutti erano legati a un mercato globale che, in teoria, avrebbe scoraggiato i sistemi imperiali tradizionali e quindi impedito un’altra guerra mondiale. Era in parte responsabile della guida della Guerra Fredda e in parte responsabile della sua fine. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, gli Stati Uniti erano l’unica superpotenza rimasta al mondo, il garante di un governo globale che sosteneva il libero flusso del commercio. Da allora, altri paesi hanno riconquistato il potere economico, militare e politico, proprio come gli Stati Uniti ha perso o ceduto alcuni dei suoi. In breve, altre nazioni, istituzioni finanziarie e società hanno assunto un ruolo più importante nella gestione dell’economia globale.

I mercati finanziari si sono quindi sviluppati così rapidamente e in modo così indipendente che né gli Stati Uniti né nessun altro stato potrebbero controllarli come avrebbero potuto nella seconda metà del 20° secolo. Il trading sul cosiddetto mercato secondario – dove i diritti sui beni e le garanzie sulle transazioni venivano comprati e venduti come se fossero merci stesse – è diventato così fluido e così astratto da creare la bolla scoppiata nel 2008. I cittadini di tutto il mondo hanno perso fiducia nelle loro istituzioni finanziarie e nei governi che pretendono di proteggerle.

Molti di questi stessi cittadini iniziarono ad abbracciare il nazionalismo sia politico che economico, ma, cosa importante, iniziarono a cercare sistemi alternativi che operassero parallelamente a quelli consolidati. Inserisci le criptovalute. La fattibilità delle criptovalute è ancora una questione aperta, ma il fatto che siano state accettate come sono state illustra una perdita di fiducia nelle istituzioni tradizionali.

Quindi oggi, con le catene di approvvigionamento interrotte, con le criptovalute che stanno prendendo piede e con il mondo non ancora completamente ripreso dalla crisi del 2008, i leader di tutto il mondo stanno lottando per escogitare un mix di politiche adeguato. Insieme al fatto che i governi di tutto il mondo stanno escogitando modi per rendere le loro economie nazionali più resilienti, questo cambia il modo in cui i governi usano la leva economica per perseguire i propri interessi.

Il problema che stanno attualmente affrontando sia i governi che le banche centrali sembra essere un problema di inadattamento. Se guardiamo solo all’inflazione, dovremmo sapere che le banche centrali considerano la cosiddetta “inflazione core” il motore della politica monetaria. L'”inflazione core” esclude i fattori a breve termine che possono influenzare i prezzi, il che significa che esclude i prezzi dell’energia e dei generi alimentari. L’idea è che la politica monetaria non può controllarli e le fluttuazioni dei prezzi verranno eventualmente corrette.

Ciò porta i responsabili politici a considerare l’inflazione “transitoria” quando i consumatori pagano prezzi più alti per cibo ed energia. I consumatori, da parte loro, non sono così ottimisti. In così tante parole, pensano che l’inflazione sarà più alta di quanto pensano gli economisti della banca centrale, ed entrambi partecipano e quindi influenzano il mercato, il tutto mentre anche le istituzioni finanziarie e le società piazzano le proprie scommesse, in base a come vedono i politici e i consumatori agire sul mercato. Il problema è che molte delle loro azioni sono divergenti poiché il divario tra i due si è ampliato nel tempo.

Questo è un punto complesso, anche se ovvio: la volontà politica di cooperare per risolvere i problemi finanziari – come è successo dopo la crisi finanziaria del 2008 – è stata messa in discussione da problemi socio-economici individuali, innescando un effetto domino in cui è cresciuto il nazionalismo politico ed economico, soprattutto in Europa .

La pandemia ha complicato ulteriormente le cose. Le autorità centrali sono sfidate dalla popolazione praticamente su tutto, dalle campagne di vaccinazione alle misure di blocco. Ha creato una sfida ambientale, resistenza e scetticismo. Ecco perché gli stati si sentono obbligati a fornire un senso di protezione o, in alcuni casi, protezionismo.

Il che ci porta alla questione in questione. Dai giorni inebrianti della globalizzazione inarrestabile negli anni ’90, gli investimenti diretti esteri sembravano essere il modo preferito dai paesi per sfruttare economicamente i propri interessi geopolitici. Più un paese era in grado di controllare i flussi di investimento e le destinazioni, più facile era per esso costruire legami politici con vari paesi e regioni. La Cina, ad esempio, ha utilizzato questa strategia con grande efficacia in Africa e in Europa.

Ma poiché la globalizzazione si sta attenuando ed entriamo in un’era di deglobalizzazione, i paesi devono prima imparare a comprendere meglio i loro mercati interni e poi, in base alle loro specifiche esigenze interne, perseguire i loro interessi a livello internazionale. In effetti, la Cina è stata in grado di capirlo e quindi controllare il proprio mercato interno meglio della maggior parte degli altri. (È molto più facile da fare nelle economie centralizzate e nelle non-democrazie.) Le sue tattiche a questo riguardo sono eloquenti. Non ha avuto fretta di porre fine al blocco in porti strategici come Tianjin, dove le misure sono terminate la scorsa settimana, e Ningbo, dove le misure sono ancora in vigore, e ha anche segnalato che potrebbe vietare le esportazioni di energia e risorse minerarie chiave. Il 26 gennaio, Cina e Corea del Sud hanno deciso di notificarsi reciprocamente se una delle due avesse vietato tali esportazioni. Ciò avviene dopo che la Cina ha interrotto le esportazioni di urea a novembre, creando un’interruzione della catena di approvvigionamento nel processo. Pechino lo ha fatto per assicurarsi il mercato interno,

Un altro modo per sfruttare la capacità economica per fini geopolitici è almeno influenzare, se non il controllo totale, il flusso di merci ed energia. Questa è la tattica preferita dalla Russia. Mosca ha impugnato quest’arma in modo aggressivo, ma solo quando poteva permetterselo. Gli alti prezzi del petrolio e del gas di solito coincidono con gli interventi militari all’estero, come in Afghanistan nel 1979-1980 e in Georgia nel 2008. Le voci abbondano secondo cui un calo dei prezzi del gas è stata l’unica cosa che ha risparmiato l’Ucraina da una piena invasione russa dopo che Mosca ha preso Crimea nel 2014. E mentre le forze russe si ammassano oggi al confine con l’Ucraina, è importante notare che l’alto prezzo dell’energia rende probabilmente la Russia a prova di sanzioni per il momento.

Più astrattamente, mentre i paesi navigano nella nuova economia globale, cercando di mantenere la loro gente felice mentre perseguono i propri interessi all’estero, devono avere una comprensione più solida dei mercati finanziari e del ruolo che svolgono in quei mercati. Le autorità centrali hanno l’impegnativo compito di monitorare praticamente tutta l’attività di mercato, pur essendo in grado di regolamentarne una parte preziosa. Giocare un ruolo più sistemico di solito si traduce nella capacità di un paese di trovare modi per raccogliere capitali a costi di finanziamento inferiori e quindi acquisire una maggiore capacità di incidere sui costi di finanziamento di altri paesi. Nell’attuale sistema finanziario, dove il mercato supera le politiche ei loro effetti, un compito del genere sta diventando ancora più difficile del solito.

Ciò che è chiaro è che con il cambiamento dell’economia globale, cambieranno anche le strategie del governo per la gestione dei mercati finanziari e delle materie prime. Ciò si tradurrà probabilmente in misure protezionistiche, ma poiché le catene di approvvigionamento sono così integrate e digitalizzate, il protezionismo sarà probabilmente coordinato almeno a livello regionale se non globale. Fino ad allora, dovremo tutti convivere con l’incertezza.

https://geopoliticalfutures.com/new-political-strategies-in-a-new-economic-order/?tpa=NjZmNmE2YjIzMjc2YTlmZWNmZWE3MDE2NDQ1MDcyODg3Zjg5ZGQ&utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_term=https://geopoliticalfutures.com/new-political-strategies-in-a-new-economic-order/?tpa=NjZmNmE2YjIzMjc2YTlmZWNmZWE3MDE2NDQ1MDcyODg3Zjg5ZGQ&utm_content&utm_campaign=PAID%20-%20Everything%20as%20it%27s%20published

POMBALINA-E-GIOCO-DELLE-PERLE-DI-VETRO-2, di Massimo Morigi

Massimo Morigi
ANCORA IN AVVICINAMENTO AL NUOVO GIOCO DELLE
PERLE DI VETRO DEL REPUBBLICANESIMO GEOPOLITICO:
POMBALINA ET INACTUALIA ARCHEOLOGICA

PARTE SECONDA
Dopo la pubblicazione sull’ “Italia e il Mondo” del saggio sulla dialettica prassistica
dell’epigenetica e della sintesi evoluzionistica estesa intitolato Epigenetica, Teoria
endosimbiotica, Sintesi evoluzionista moderna, Sintesi evoluzionistica estesa
efantasmagorie transumaniste. Breve commento introduttivo, glosse al Dialectical
Biologist di Richard Levins e Richard Lewontin, su Lynn Margulis, su Donna Haraway e
materiali di studio strategici per la teoria della filosofia della prassi olisticodialetticaespressiva-strategica-conflittuale del Repubblicanesimo Geopolitico e dopo la
recentissima pubblicazione sempre sull’ “Italia e il Mondo” sotto la Leitbild di
Federico II il Grande re di Prussia dell’inattuale La Loggia Dante Alighieri nella storia
della Romagna e di Ravenna nel 140° anniversario della sua fondazione (1863-2003) (la
prima parte all’URL http://italiaeilmondo.com/2022/01/09/massimo-morigi-la-loggia-dantealighieri-nella-storia-della-romagna-e-di-ravenna-nel-140-anniversario-della-sua-fondazione1863-2003-_________-i-parte/, Wayback Machine:
https://web.archive.org/web/20220110075018/http://italiaeilmondo.com/2022/01/09/massimomorigi-la-loggia-dante-alighieri-nella-storia-della-romagna-e-di-ravenna-nel-140-anniversario-della-sua-fondazione-1863-2003-_________-i-parte/; la seconda all’URL
http://italiaeilmondo.com/2022/01/11/massimo-morigi-la-loggia-dante-alighieri-nella-storiadella-romagna-e-di-ravenna-nel-140-anniversario-della-sua-fondazione-1863-2003-ii-parte/, Wayback Machine:
https://web.archive.org/web/20220111161456/http://italiaeilmondo.com/2022/01/11/massimomorigi-la-loggia-dante-alighieri-nella-storia-della-romagna-e-di-ravenna-nel-140-anniversario-della-sua-fondazione-1863-2003-ii-parte/ ho ritenuto presentare ai
lettori del blog alcune riflessioni se si vuole ancora più inattuali ed attinenti il
Repubblicanesimo Geopolitico solo in Statu nascenti ed inseribili in questo contesto
interpretativo ma solo in prospettiva archeologica, quattro scritti ed interventi
pubblicati o presentati in sede seminariale in Portogallo che hanno precorso,
attraverso una prima riflessione sul repubblicanesimo, sull’estetizzazione della politica
e sulla conflittualità sociale, le attuali conclusioni, anch’esse inattuali ça va sans dire,
cui è giunto il Repubblicanesimo Geopolitico, informate al paradigma olisticodialettico-espressivo-strategico-conflittuale e appunto giunte a piena maturità – o
involuzione, chi può dirlo? – nel summenzionato saggio sulla dialettica storica e
biologica. Come suggerisce il titolo, queste fonti a stampa sono state per la maggior
parte edite dalla casa editrice Pombalina dell’Università di Coimbra oppure hanno
avuto comunque un editore portoghese (anche se sul Web, oltre a questa immissione
dei documenti in questione da parte dei “portoghesi”, esiste, di queste precursioni
inattuali del Repubblicanesimo Geopolitico, pure un’edizione dello scrivente immessa
direttamente dallo stesso sul Web: si tratta di Repvblicanismvs Geopoliticvs Fontes
Origines et Via, all’URL di Internet Archive
https://archive.org/details/RepvblicanismvsGeopoliticvsFontesOriginesEtViaMassimo, un’antologia di interventi sul Repubblicanesimo Geopolitico,
comprendente anche parte dei documenti presenti in questa antologia e con contenuti
anche multimediali) e riguardano o una prima ricognizione sul concetto di
‘Repubblicanesimo’ e come questo possa venire machiavellianamente in contatto con
la conflittualità sociale e l’estetizzazione della politica e come quest’ultima venga
utilizzata dai regimi totalitari di massa del Novecento. Come Leitbild si è pensato di
ricorrere ai Due amanti di Giulio Romano. Scelta apparentemente avulsa dal discorso
delle precursioni e delle inattualità. A ben vedere non troppo se si consideri il profondo
legame dialettico fra queste quattro riflessioni e la filosofia della prassi espressa dal
saggio Epigenetica, Teoria endosimbiotica, Sintesi evoluzionista moderna, Sintesi
evoluzionistica estesa e fantasmagorie transumaniste (ed anche visto l’attuale degrado
politico-filosofico, civile e culturale che in questi tempi di pandemie virali ma anche
psichiche, con ciò intendendo non solo l’irrazionale paura della morte causa morbo ma
l’altrettanto irrazionale terrore antivaccinista – entrambe le angosce frutto della
superstizione, del fideismo e dell’anomia caratteristici delle c.d. moderne democrazie
rappresentative, un degrado la cui succitata Leitbild costituisce il più dialetttico ed
ironico controveleno). E oltre non vado perché una corretta dialettica ha sempre
implicato una creativa e penetrante attività da parte di tutti i soggetti coinvolti.
Perché, si spera e si pensa, Gentile e Gramsci non hanno certo predicato (e sofferto e
pagato) invano, e soprattutto, inattualmente. Il nuovo gioco delle perle di vetro, lo
sappiamo, disdegna la cronaca e si compiace di accostamenti (apparentemente)
inusitati per le superstiziose, anomiche, fideistiche e degradate masse dei sopraddetti
regimi “democratici”.
Massimo Morigi – Ravenna, inizio anno 2022
Massimo Morigi, Aesthetica fascistica II. Tradizionalismo e modernismo sotto l’ombra del
fascio (comunicazione inviata al convegno “IV Colloquio Tradição e modernidade no mundo
Iberoamericano – Coimbra 1, 2, 3 de outubro de 2007”), in “Estudo do Século XX”, N° 8,
Coimbra, Centro de Estudos Interdisplinares do Século XX de Coimbra – CEIS20, 2008, pp.
119-133. URL dal quale si può scaricare la rivista dal quale proviene l’estratto:
https://www.uc.pt/iii/ceis20/Publicacoes/revistas/revista_8, Wayback Machine:
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Archive e col titolo di GESAMTKVNSTWERK RES PVBLICA la comunicazione è visionabile e
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Qui sotto il link con il testo della II parte:

POMBALINA E GIOCO DELLE PERLE DI VETRO SECONDO

L’ULTIMO SPENGA LA LUCE, di Teodoro Klitsche de la Grange

L’ULTIMO SPENGA LA LUCE

Le recenti lezioni suppletive del seggio alla Camera lasciato libero dal neo eletto Sindaco di Roma on.le Gualtieri ha raggiunto un record di astensione elettorale: ha votato poco più di un decimo degli elettori (l’11% e frazioni). Dei votanti, un po’ meno del 60% ha plebiscitato (per così dire) la eletta on.le D’Elia (del PD). La quale ha occupato un seggio forte del consenso di poco più del 6% degli elettori.

Il tutto pone dei problemi che in una democrazia – anzi in ogni regime politico – sono considerati primari se non decisivi. Non ripetiamo i nomi di coloro che se ne sono occupati, ma solo i profili più importanti.

In primo luogo il rapporto tra potere (dei governanti) e consenso (dei governati): perché un regime politico sia vitale (nel senso anche della durata) occorre che potere e consenso convergano, di guisa che il comando della classe dirigente trovi la minore resistenza possibile: la quale è tale se i governati credono al diritto a governare nonché all’utilità del potere dei governanti. Se tale convinzione non c’è o è scarsa, il potere si esercita essenzialmente attraverso la coazione – esercitata dall’apparato (Donoso Cortès).

Ma un potere del genere è, di norma, transeunte (come, ad esempio, quello dell’occupazione militare) e di breve durata. Se riesce ad essere più duraturo è un potere dispotico, cioè fondato (in prevalenza) sulla paura (Montesquieu). Quando si leggono disposizioni accompagnate da sanzioni spropositate, si può star sicuri che, quanto è più eccessiva la sanzione irroganda tanto più è diffusa la disobbedienza al governo.

Resta il fatto che un regime basato in gran parte sulla coazione è, concettualmente l’inverso della funzione (e del pregio) della democrazia, quello di far “coincidere” comando e obbedienza, onde la volontà generale (cioè del tutto) sia “posta da tutti per applicarsi a tutti” (Rousseau).

In secondo luogo ogni regime politico si fonda sull’integrazione. Questo è il processo d’unificazione sociale che crea una polis armoniosa “basata su un ordine sentito come tale dai suoi membri” (Duverger). Per realizzarla occorre un’unione reale di volontà (Smend); a tale unione concorrono dei fattori d’integrazione (personale, funzionale o materiale). Non esiste un gruppo sociale che “non implichi partecipanti attivi, dirigenti e passivi”. In particolare l’integrazione funzionale si realizza in processi “il cui senso è una sintesi sociale” tra i quali “elezioni e votazioni… voto e principio di maggioranza sono forme d’integrazione più semplici ed originarie” (Smend), perché uno dei presupposti dell’effetto integrativo è “la partecipazione interna di tutti ad essa” (cioè alla vita istituzionale). In caso di elezioni, all’elettorato attivo il quale tra i fattori d’integrazione funzionale riveste un ruolo primario (anche se non esclusivo). Ma che succede se degli integrandi va a votare un’esigue minoranza?

Sono possibili due soluzioni.

Secondo la prima, condivisa attualmente dalla grande maggioranza della comunicazione mainstream, non succede nulla di rilevante.

Il rappresentante eletto, anche se alle elezioni hanno partecipato tre elettori ed abbia riportato due voti, è comunque legalmente abilitato a legiferare, e governare lato sensu. Tesi dovuta al combinarsi di due ragioni, concorrenti, ancorché in misura differente: la prima che l’elezione è avvenuta secondo le regole legali ed è quindi legale; la seconda che comunque, un governo è necessario e non ci si può “prendere una vacanza”. È inutile dire che la prima è quella preferita dalla maggioranza degli intellos di centrosinistra.

L’altra, realista, è che tutti i regimi politici conoscono una parabola, al termine della quale vengono sostituiti da un regime diverso. E tale sostituzione, quasi sempre non avviene rispettando le forme legali, stabilite dal regime senescente. Non è nelle possibilità umane creare una legalità eterna o comunque durevole per secoli e millenni, come dimostra la storia. Della quale qualche decennio fa era annunciata la fine, che la storia si è subito premurata di smentire.

Ancor più se tale legalità si basa su presupposti, attori, situazioni del tutto diverse da quelle del suo nascere. Non è l’illegalità – o la non legalità – che fa si che un regime sia vitale (e quindi efficace):è, come scriveva Smend, che, anche in uno Stato parlamentare, il popolo ha “una sua esistenza come popolo politico, come unione sovrana di volontà… in una sintesi politica in cui soltanto giunga sempre di nuovo ad esistere in generale come realtà statale”.

Esistenza, popolo, politico, sintesi, unione sovrana di volontà: già la terminologia usata dal giurista tedesco è idonea a suscitare la consueta raffica di anatemi ed esorcismi del pensiero mainstream.

Popolo? Sovrano? esistenza? Sintesi? È l’armamentario lessicale e concettuale dei sovranisti odierni da Orban a Salvini, passando per la Meloni; e quindi da esorcizzare. Inutilmente se non per taluni (molto pochi), perché le trasformazioni sociali avvengono con o senza legalità: è il fatto che crea il diritto. Per cui l’alternativa non è – sul piano fattuale – tra legalità e non legalità, ma tra cicli politici: prolungare il vecchio significa soltanto allungare la decadenza. E allontanare così l’aurora di un nuovo ciclo. Se in Italia assistiamo da circa 30 anni alla progressiva riduzione del numero dei votanti, la conseguenza non è di intonare peana se un deputato è eletto col 6% dei voti, ma solo sperare che l’ultimo degli eletti si premuri di spegnere la luce. In tempo di caro-bollette farebbe qualcosa di utile.

Teodoro Klitsche de la Grange

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