Perché pensiamo quello che pensiamo?
La persuasione e la manipolazione.
Di Davide Gionco
02.12.2023
Pensiamo di essere persone libere
Ciascuno di noi pensa di essere una persona libera, con un proprio pensiero libero, con le proprie certezze e le proprie convinzioni, al punto di sentirsi a volte in grado di giudicare come “persona che non ha capito” chi non la pensa come noi.
In molti casi ci sentiamo rassicurati dal fatto che “la maggior parte delle persone che conosciamo” la pensa come noi. Questa convinzione viene spesso confermata dalle parole delle persone che frequentiamo abitualmente (familiari, amici). Anche se, a dire il vero, in realtà queste persone non rappresentano “tutte le persone”.
Nelle neo-comunità dei social medi tali dinamiche sono persino più accentuate dagli algoritmi delle “bolle di filtraggio” (filter bubble), che ci fanno vedere di preferenza i messaggi di amici che hanno cliccato sul “like” ai nostri precedenti messaggi e meno i messaggi di persone che non la pensano come noi. Anche in questo caso la percezione di “tutte le persone” rischia di essere alterata.
E’ altresì un fatto che ciascuno di noi può constatare come in altre culture, in altre popolazioni, ma ovviamente anche qui fra di noi in Italia, vi siano delle persone “che non hanno capito” (almeno così giudichiamo), le quali manifestano idee molto diverse dalle nostre su questioni sensibili e importanti come la famiglia, i costumi sessuali, l’importanza di mettere al mondo dei figli, l’uso della violenza, la vendetta, l’onore, il rispetto delle leggi, la fede religiosa, il senso della vita, il rispetto dell’ambiente, il rapporto con gli animali, il rapporto con il denaro, etc.
In questi casi siamo propensi ad etichettare come “retrograde” o “bigotte” o “ignoranti” tali persone, in quanto ci sembra inconcepibile che non credano ciò che noi pensiamo essere assolutamente logico ed evidente al giorno d’oggi. Pensiamo sempre di trovarci “all’apice delle credenze”.
Per fortuna siamo in un paese libero e tollerante (così ci dicono e ci fanno credere) e per fortuna ci sono anche molte persone, fra le quali probabilmente chi legge, che accettano pacificamente, senza giudicare gli altri, che possano convivere nella società diverse opinioni e modi di vedere la vita. Questo atteggiamento, però, è spesso accompagnato da una sorta di indifferenza: “sono affari loro”. Il fatto che esistano opinioni differenti in genere non ci porta a mettere in discussione la nostra opinione.
La metacognizione e il cambiamento culturale
Dal punto di vista logico è chiaro che nella diversità di opinioni non tutti possono avere ragione. O è vera una cosa o è vera un’altra.
Esistono delle idee oggettivamente giuste o sbagliate? Saremmo disposti a mettere in discussione le nostre convinzioni, se qualcuno ci dimostrasse che avevamo torto?
Ma, soprattutto, da dove arrivano le nostre certezze su quello che pensiamo e crediamo?
E’ quello che gli psicologi chiamano metacognizione: perché pensiamo quello che pensiamo?
E’ evidente che esistono delle differenze “culturali” che dipendono dalla storia di ogni popolo, dalle idee che sono state tramandate di generazione in generazione. Quindi le idee in cui ogni persona crede non sono frutto di una “libera scelta”, ma sono derivate dall’ambiente in cui tale persone è cresciuta e si è formata.
Questa affermazione sembra ovvia. Ma cos`è che fa cambiare le credenze, al punto che le idee degli italiani di oggi siano profondamente diverse da quelle di pochi decenni fa. Mai nel passato si erano registrati cambiamenti così rapidi nell’opinione pubblica.
Anche solo 60 anni fa in Italia facevamo molti più figli rispetto ad oggi. Quindi le donne erano convinte che mettere al mondo dei figli fosse una questione importante della vita, mentre oggi sono probabilmente altre le priorità nella vita di una donna. 60 anni fa pochissime famiglie tenevano un animale domestico in casa (cane, gatto), non esisteva un rapporto affettivo con gli animali come viene vissuto oggi da molti italiani.
E lo stesso potremmo dire su molte altre questioni sensibili.
Che cosa è successo per arrivare a questi cambiamenti di credenze?
In televisione e sui giornali ci viene detto, banalmente, che ci siamo “modernizzati”, dando per sottointeso che quanto gli italiani pensano oggi sia un superamento della “vecchia cultura”.
E’ un fatto che molti di noi sono convinti di avere un pensiero al passo con i tempi e nello stesso tempo di avere un pensiero liberamente scelto: il miglior pensiero possibile.
La gente del passato, i “nostri vecchi” erano persone antiquate: si sbagliavano. Oggi noi abbiamo capito molto meglio come funziona il mondo e come rapportarci con la vita.
Molto probabilmente, però, le persone di 60, di 100 o di 1000 anni fa avevano la stessa opinione riguardo alla “modernità” delle proprie idee. Mentre tutte le idee cambiano, resta ferma proprio la credenza di non aver bisogno di cambiare le proprie credenze.
Ma che cos’è che ci ha portati a “modernizzare” il nostro pensiero? Da dove ci sono arrivate le nuove idee che sono entrate nella nostra mente?
Queste nostre certezze sono frutto di nostre riflessioni, di nostre esperienze personali, dei nostri studi, di fatti vissuti, o derivano da un’azione di persuasione da parte di una persona di cui ci siamo fidati o sono piuttosto ilo frutto di un’azione di manipolazione che abbiamo subito?
E’ chiaro che in genere nessuno di noi ama riconoscere di essere stato manipolato, salvo i casi in cui ci rendiamo conto di avere subito un tremendo inganno.
In Francia ha molto successo il podcast Méta de Choc https://metadechoc.fr/ condotto dalla giornalista Elisabeth Feytit: “Voi non immaginate quello che pensate!”, il pensiero critico applicato a sé.
Questa giornalista, che riferisce di provenire da esperienze di credenze “New Age” di cui si è pentita e ricreduta, nelle varie puntate riferisce ciò che al tempo lei stessa credeva o che ancora viene oggi creduto da persone che seguono la “spiritualità contemporanea. Il quadro che emerge è come quasi mai le persone si interrogano sulle origini delle proprie credenze. La Feytit ricostruire le origini storiche di certe credenze, le analizza con senso critico e invita gli ascoltatori a porre a se stessi la domanda “Perché pensiamo quello che pensiamo?”.
Ovviamente l’atteggiamento del pensiero critico applicato a sé deve valere per ogni tipo di credenza, che si tratti di convinzioni religiose, politiche, della convinzione di dover vivere ricercando sempre l’approvazione degli altri all’idea di dover vivere per arricchirsi economicamente, dalla credenza degli economisti che stampare denaro crei inevitabilmente un aumento dell’inflazione (credenza più volte smentita dai fatti) e qualsiasi altra nostra possibile convinzione.
La giornalista Elisabeth Feytit intervista persone le quali ad un certo punto si sono rese conto che le idee, in cui credevano convintamente, erano in realtà frutto di manipolazioni da parte di “guru”, della fiducia mal riposta in personaggi che si pr4sentavano come carismatici. Non solo sette religiose, ma anche gruppi nei quali per sentirsi accolti era necessario condividere e confermare certe credenze.
In queste interviste e tramite i suoi studi la giornalista risale alle origini di certi idee oggi molto diffuse negli ambienti della “spiritualità contemporanea”, concetti come la “legge dell’attrazione”, il “pensiero positivo”, le “energie vibratorie”, la “medicina quantica”, la “liberazione dell’anima”.
Vengono anche esposte in senso critico le origini della psicanalisi, fondata sulle intuizioni mai scientificamente dimostrate di Sigmund Freud e di Carl Gustav Jung.
Per ciascuna di queste idee, che oggi sono parte delle credenze di molte persone, si individua il personaggio che le ha presentate come “certe”, pur essendo frutto della sua immaginazione e non di verifiche sottoposte a metodo scientifico. Personaggi come Helena Blawatsky, come Sai Baba, come Charles Taze Russel e molti altri.
Questi citati sono solo degli esempi. In realtà si tratta di una questione di metodo, di applicazione del pensiero critico alle nostre proprie convinzioni.
Il pensiero critico applicato a sé
Il grande economista del XX secolo John Maynard Keynes scrivere nell’introduzione della sua opera “Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta” del 1936:
“La difficoltà non sta nelle idee nuove, ma nell’evadere dalle idee vecchie, le quali, per coloro che sono stati educati come lo è stata la maggioranza di noi, si ramificano in tutti gli angoli della mente.”
La questione del metodo, quindi, riguarda tanto le credenze economiche quanto ogni altro tipo di credenza.
Keynes dimostrò, ricorrendo a ragionamenti logici e calcoli matematici, che la convinzione degli economisti del suo tempo che la disoccupazione fosse una libera scelta di lavoratori “pigri e incapaci di adattarsi” era sbagliata. E dimostrò che la disoccupazione era invece conseguenza delle politiche monetarie e fiscali del governo. Cosa che, peraltro, ancora oggi molti economisti non hanno compreso, vedendo i risultati disastrosi delle politiche economiche dei vari governi.
Keynes aveva capito che le sue precedenti convinzioni non erano frutto di un proprio ragionamento indipendente, ma che erano invece la ripetizione di pensieri che gli erano stati trasmessi, accettati in modo acritico e mai messi a confronto con la realtà dei fatti o con il rigore della logica.
Così come Keynes seppe applicare a se stesso il metodo del pensiero critico, arrivando al cambiamento delle proprie opinioni su questioni fondamentali delle teorie economiche, allo stesso modo il metodo del pensiero critico può essere applicato ad ogni tipo di credenza, che sia essa scientifica o non scientifica.
La realtà è che noi crediamo in ciò che crediamo soprattutto perché sarebbe troppo faticoso elaborare delle nostre idee originali “ex novo” per ogni nostra opinione. E’ molto più semplice adeguarci e fare nostre le idee che vanno per la maggiore negli ambienti in cui viviamo, per sentirci più facilmente accettati e per non entrare quotidianamente in conflitto di opinione con le persone che frequentiamo. Per questo, “pigramente”, andiamo avanti con le nostre convinzioni senza chiederci né da dove arrivino né se siano o meno fondate. Si tratta di un meccanismo che nel corso dell’evoluzione si è rivelato vincente, ma che in certi casi può portare a in false credenze.
Anche se siamo “pigri” nel cambiare le nostre idee, questo non significa che non possiamo cambiare idea. Anzi: le idee cambiano, addiruttura negli ultimi decenni le idee cambiano rapidamente come non mai.
Quante persone oggi cinquantenni erano convinte 30 anni fa che il cambiamento climatico fosse la principale emergenza del pianeta o che il matrimonio fra persone omosessuali fosse qualcosa di assolutamente giusto e necessario? Eppure si tratte di credenze oggi molto diffuse, probabilmente maggioritarie.
Quindi siamo propensi, in certi contesti e in certe situazioni, a cambiare le nostre idee e le nostre convinzioni.
E’ esperienza di tutti l’avere creduto al consiglio di un amico che ci ha aiutato ad aprire gli occhi e a cambiare opinione. Cosi come è esperienza di tutti l’essersi fidati di consigli sbagliati, per cui si è arrivati a cambiare opinione dove essere stati scottati da qualche dura esperienza della vita.
Guardando tutto questo in modo distaccato, non è che dobbiamo di colpo porre fine a tutte le nostre certezze, perché senza alcuna certezza nella vita cesseremmo di vivere. Non potremmo neppure recarci in pizzeria per cenare.
Ma sarebbe saggio cambiare il nostro atteggiamento riducendo i giudizi critici sugli altri (su quelli che “non hanno capito”) e aumentando il senso critico verso le nostre proprie convinzioni, perché è sulle nostre credenze che abbiamo più margini di manovra, non su quelle degli altri. Non fosse mai che ci eravamo sbagliati e che, un giorno, ci capiti di liberarci da qualche falsa credenza che ci aveva portato a recare danni a noi stessi ed agli altri.
Gli psicologi David Dunning e Justin Kruger pubblicarono un articolo nel 1999 parlando di quanto sia difficile per la gente riconoscere i propri errori (le proprie incompetenze). Oggi tali teorie sono descritte come “effetto Dunning-Kruger”.
In realtà quando cambiamo idea o quando confermiamo le nostre convinzioni non lo facciamo quasi mai sulla base di un’analisi critica del nostro proprio pensiero, quanto soprattutto sulla base di sensazioni emozionali o ripetendo l’opinione di persone che ritenevamo autorevoli quando ci hanno esposto un certo pensiero.
Facciamo l’esempio, molto recente, della spaccatura dell’opinione pubblica italiana sulla necessità di vaccinarsi contro il Covid-19 (provax, novax, ecc.). Quante delle persone convinte di questa necessità, di entrambe le parti, sono andate realmente a prendere visione dei dati scientifici disponibili, avendo coscienza del metodo scientifico/statistico da applicare per l’interpretazione di quei dati? O invece il convincimento si è basato sulla fiducia riposta sulle affermazioni delle autorità pubbliche o sulle dichiarazioni di scienziati che comparivano su TV e giornali, sostenendo che non vi fossero alternative e che la situazione era urgente?
In modo del tutto analogo, quando la grande maggioranza dei tedeschi nel 1939 era convinto che gli Ebrei fossero degli Untermenschen (dei sub-umani) da sterminare, questa convinzione era presentata come fondata su basi scientifiche. Lo diceva Goebbels e lo dicevano degli “scienziati” che in realtà eran o allineati con il regime nazista a livello ideologico. Si trattava quindi non di dati scientifici, ma di pura propaganda di regime astutamente architettata da Goebbels.
Per quale motivo le donne italiane negli anni 1960 pensavano che la cosa più importante della vita fosse sposarsi con un brav’uomo lavoratore, fare una famiglia e insieme tanti figli, mentre oggi, 60 anni dopo, le donne italiane (mi si scusi la generalizzazione) pensano che la cosa più importante sia avere una carriera lavorativa e affermare la propria libertà di donna indipendente dagli uomini?
In entrambe le epoche queste erano/sono le convinzioni le più diffuse. Le donne degli anni 1960 si sentivano realmente realizzate quando perseguivano le proprie aspettative, anche se oggi le stesse aspettative sarebbero ritenute inaccettabili dalle donne di oggi.
Su cosa si fondano queste convinzioni? E’ solo accaduto che oggi le donne hanno capito tutto, mentre 60 anni fa non avevano capito niente? O c’è dell’altro?
Le tecniche di manipolazione dell’opinione pubblica
Il sociologo americano Joseph Overton (1960-2003) spiegò come una idea che oggi è ritenuta inaccettabile (impensabile) possa, gradualmente, essere presentata dai mass media prima come radicale (ma pensabile), per diventare successivamente ritenuta accettabile (anche se eccessiva), poi come sensata, diventando poi un’idea diffusa, fino ad essere legalizzata, quando anche la classe politica ne è maggioritariamente convinta.
Non si tratta solo dell’opinione di un sociologo, ma di un dato di fatto, se confrontiamo oggettivamente le credenze attuali della nostra società attuale e le credenze di 60 anni fa. Si tratta solo di capire se certi cambiamenti di opinione nella società avvengono in modo spontaneo o se, come sostiene Overton, sono guidati da qualcuno.
Se confrontiamo le nostre credenze con quelle di altri popoli che, come pare logico, hanno ricevuto messaggi diversi da parte delle loro agenzie educative operanti in un paese diverso dal nostro, allora si spiega come altri popoli credano cose diverse da quelle che crediamo noi. Ad esempio si spiega perché in Afghanistan si ritiene giusto che una donna viva reclusa in casa (lo pensano anche non poche donne afghane), mentre in certi paesi occidentali si ritiene giusto che una giovane donna “liberamente” si metta pubblicamente in mostra in abbigliamento sexy per provocare attrazione sessuale negli uomini che la vedono e sentirsi desiderata.
Quindi da un lato esiste una nostra resistenza al cambiamento delle nostre credenze, ma dall’altro lato esistono dei meccanismi indotti dalle comunicazioni che riceviamo (che si tratti dei mass media, delle scuole governative o degli imam delle moschee) che portano al cambiamento delle credenze in una società.
E lo fanno in modo deliberato, senza chiedere il nostro permesso, portandoci a credere oggi, in Italia, cose che 60 anni fa erano ritenute inaccettabili.
Oggi molti sono convinti della necessità di legalizzare l’eutanasia, del diritto delle coppie omosessuali di contrarre matrimonio civile e religioso. Ci sono persone che trovano del tutto normale dormire nel letto con il proprio cane. E se il cane muore, gli si celebra una sorta di cerimonia funeraria.
Se qualcuno in Italia 60 anni avesse manifestato tali convinzioni sarebbe stato deriso ed emarginato dalla società civile o, nella migliore delle ipotesi, guardato come una persona bizzarra.
Come scrivevamo sopra, molto difficilmente qualcuno di noi potrebbe in un solo colpo mettere da parte tutte le proprie convinzioni, perché resterebbe senza riferimenti certi per valutare ciò che è bene e ciò che è male per se stesso e per gli altri. Oltre a questo ci si vedrebbe obbligati a dare un taglio netto alle persone che frequentiamo e dalle quali ci sentiamo accettati proprio per il fatto di condividere certe credenze.
Come emerge dai podcast di Elisabeth Feytit, persone che vivevano in certi ambienti ideologicamente chiusi (comunità new age, testimoni di Geova, ecc.), pur essendosi ad un certo punto resesi conto che certe credenze erano sbagliate o pericolose, non avevano la forza di rinnegarle, per non esserle obbligate ad uscire dalla comunità, perdendo i forti legami sociali che avevano instaurato.
Se questo vale per le persone appartenenti a certi ambienti specifici, la stessa cosa succede per la “grande comunità” che è la società civile in cui viviamo, che si riconosce in un certo pensiero dominante. La maggior parte delle persone non ama andare “contro corrente”.
Chi oggi espone dubbi e critiche sui “diritti della comunità LGBTQ” viene etichettato come “impensabile”, venendo posto al di fuori dalla cornice della finestra di Overton. Questo anche se, in una società apparentemente libera, sarebbe del tutto legittimo esprimere una opinione dissenziente. Peraltro lo stesso succede ad una persona che volesse sostenere in Arabia Saudita il diritto delle donne di avere la stessi diritti di eredità di un uomo.
La maggior parte della gente, per non sentirsi esclusa dalla società civile e per quieto vivere, preferisce adeguarsi per restare all’interno della “cornice della finestra”, autocensurandosi e cessando di manifestare la propria opinione, fino ad adeguarsi gradualmente al cambio di opinione.
La questione centrale di tutto questa analisi è capire se le nostre idee siano frutto di una persuasione trasparente o di una manipolazione subdola.
Ovvero: se un amico mi fa un discorso cercando di convincermi di cambiare opinione su di una certa questione, lo fa perché mi vuole bene, quindi per perseguire il mio bene. Magari si potrà sbagliare, ma mi dichiara apertamente la finalità del suo discorso ed usa argomentazioni trasparenti.
Viceversa ci troviamo di fronte ad una manipolazione dell’opinione pubblica, e nello specifico delle nostre opinion personali, se un soggetto manipolatore, che si chiami Edward Bernays o Joseph Goebbels o chi, da diversi decenni, ha deciso di orientare l’opinione pubblica in una certa direzione, agisce senza dichiarare apertamente le finalità per cui lo sta facendo e utilizza argomentazioni non trasparenti.
Bernays scriveva apertamente: “Noi siamo governati, le nostre menti vengono plasmate, i nostri gusti vengono formati, le nostre idee sono quasi totalmente influenzate da uomini di cui non abbiamo mai nemmeno sentito parlare. Questo è il logico risultato del modo in cui la nostra società democratica è organizzata. Un vasto numero di esseri umani deve cooperare in questa maniera, se si vuole vivere insieme come società che funziona in modo tranquillo. In quasi tutte le azioni della nostra vita, sia in ambito politico o negli affari o nella nostra condotta sociale o nel nostro pensiero morale, siamo dominati da un gruppo relativamente piccolo numero di persone che comprendono i processi mentali”.
Queste tecniche di manipolazione oggi ampiamente utilizzate dai governi, dalle grandi multinazionali e dal cosiddetto “Deep State” sono state descritte il letteratura dai vari Gustave Le Bon (Psychologie des foules, 1895), Walter Lippmann (Public Opinion, 1922), dal citato Edward Bernays (Propaganda, 1928), fino al contemporaneo Robert Cialdini, già consulente di Obama per le elezioni presidenziali del 2008 ed autore nel 1984 del libro The Psychology of Persuasion (la psicologia della persuasione).
Nelle sue opere Cialdini, attualmente docente di marketing presso l’Arizona State University, spiega le regole della comunicazione persuasiva, finalizzate a manipolare l’opinione di chi ascolta portandolo inconsapevolmente (per lui) sulle posizioni che noi intendiamo imporgli.
Le 6 argomentazioni (meglio: euristiche) fondamentali sono le seguenti:
- Impegno e coerenza
Ciascuno di noi desidera mostrarsi pubblicamente coerente con le posizioni che ha precedentemente espresso. Il manipolatore, quindi, prima cerca di farci dichiarare, in modo subdolo e magari fuori dal contesto, una certa idea, dopo di che ce ne chiede conto pubblicamente, chiedendoci di confermarla.
Ad esempio prima ci fa dichiarare di “non essere contro ai tossicodipendenti che intendono cambiare vita”, dopo di che ci invita ad essere coerenti con la nostra dichiarazione, acquistando, nostro malgrado, dei prodotti “inutili”, ma ufficialmente provenienti da tossicodipendenti che intendono cambiare vita.
In modo analogo le persone possono essere indotte ad assumere, loro malgrado, delle posizioni pubbliche in cui non credono, sottraendo loro -di fatto- la possibilità di esprimere ciò che realmente pensano e condizionandone le scelte successive.
- Reciprocità
Ciascuno di noi si sente obbligato a restituire dei favori ricevuti, veri o presunti tali.
Ai fini della manipolazione è quindi sufficiente far credere all’altra persona di aver ricevuto un favore (ad esempio il favore di un invito a cena in un ristorante romantico) per poi far sentire l’altra persona obbligata a ricambiare il favore rispondendo positivamente alla richiesta (vieni a casa mia per proseguire la serata).
A livello governativo il meccanismo funziona richiedendo alla popolazione sacrifici in cambio di un “bene superiore”. Quasi sempre i sacrifici, in realtà, sono funzionali al vantaggio di chi sta dietro alla manovra, mentre il “bene superiore” non arriva mai.
- Riprova sociale
Tendenzialmente le persone desiderano uniformarsi a ciò che la maggioranza delle persone pensa e dice. Questo vale sia che si tratti di persone con cui viviamo, sia che si tratte di testimonianze presentateci dai mezzi di informazione.
Ai fini della manipolazione sarà sufficiente selezionare in modo unidirezionale le opinioni diffuse dai mass media e imporre una certa ideologia nei programmi scolastici per far sentire l’ascoltatore di diversa opinione “in minoranza”, inducendolo ad adeguarsi all’opinione della (apparente) maggioranza.
- Autorità
La nostra psicologia ci porta a fidarci dell’opinione delle persone che si presentano in modo autorevole, senza vagliarla in modo critico. Allo stesso modo si è portati a non fidarsi dell’opinione di persone che non si presentano in modo autorevole, anche se questa opinione fosse effettivamente fondata.
Ai fini della manipolazione sarà sufficiente presentare al pubblico alcuni soggetti titolati, anche se opportunamente corrotti, a sostenere tutti la stessa opinione, oscurando allo stesso tempo le opinioni contrarie, per imporre all’opinione pubblica una falsa credenza su di una certa questione.
Difficilmente la maggioranza delle persone andrà a cercare il fondamento apparentemente “oggettivo” di tale credenza. E se qualcuno lo facesse, verrebbe presentato come fonte non autorevole, quindi ignorato ed emarginato.
Come esseri umani siamo portati a fidarci maggiormente di chi ci risulta simpatico o affine a noi. Per questo motivo spesso ci vengono proposti dei candidati politici “alternativi”: un giovane, una donna giovane e carina, una persona del popolo, una persona che sa scherzare, un presidente operaio, una persona totalmente diversa (come look) dai suoi predecessori.
Questi politici, una volta ricevuta la simpatia ed il consenso popolare, vengono poi utilizzati per imporre scelte impopolari. Ma per il popolo sarà troppo tardi.
Naturalmente gli stessi meccanismi vengono utilizzati nella pubblicità. per convincerci della bontà di un prodotto. E vengono utilizzati per rendere più accettabili le idee “innovative” che il manipolatore intende imporci.
- Scarsità
Il nostro passato di cacciatori-raccoglitori ci ha abituati ad approfittare senza pensarci troppo delle situazioni per sottrarsi alla propria condizione di scarsità.
Non appena ci dicono di fare in fretta, se no rischiamo di restare privi di qualche cosa, abbassiamo la soglia del nostro pensiero critico e ci adeguiamo a fare quanto ci viene richiesto.
Il pensiero di Noam Chomsky
Altre tecniche vengono utilizzate, che si combinano e si sovrappongono alle precedenti.
Su internet circola da molti anni un “decalogo” attribuito al neurolinguista americano, e quasi centenario, Noam Chomsky. Pare che questo testo dei 10 metodi non sia stato scritto direttamente da Chomsky, ma piuttosto da altri ispirandosi al suo pensiero. In ogni caso tale metodi risultano certamente validi e da molto tempo utilizzati dai mezzi di informazione di massa. Questo elenco di tecniche è stato in parte arricchito dai miei commenti personali.
1) La strategia della distrazione
La strategia della distrazione che consiste nel deviare l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dei cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche, attraverso la tecnica del martellamento continuo di distrazioni e di informazioni insignificanti o poco rilevanti (ad esempio i casi di cronaca nera).
La strategia della distrazione è anche indispensabile per impedire al pubblico d’interessarsi alle conoscenze essenziali, nell’area della scienza, dell’economia, della psicologia, della neurobiologia e della cibernetica. Mantenere l’Attenzione del pubblico deviata dai veri problemi sociali, imprigionata da temi senza vera importanza sociale.
Mantenere il pubblico occupato, occupato, senza nessun tempo per pensare, ritornando alla fattoria come gli altri animali (citato nel testo “Armi silenziose per guerre tranquille”).
2) Creare problemi e poi offrire le soluzioni (volutamente sbagliate)
Questo metodo è anche chiamato “problema- reazione- soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” prevista per causare una certa reazione da parte del pubblico, con lo scopo che sia questo il mandante delle misure che si desiderano far accettare. Ad esempio: lasciare deliberatamente che dilaghi o si intensifichi la violenza urbana o organizzare attentati sanguinosi, con lo scopo che sia lo stesso pubblico richiede le leggi di maggiore limitazione della libertà dei cittadini in nome della sicurezza. O anche: creare una crisi economica per far accettare come un male necessario la riduzione dei diritti sociali, la privatizzazione, lo smantellamento dei servizi pubblici, gli aumenti di tasse, ecc.
3) La strategia della gradualità
Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, a contagocce, per anni consecutivi. E’ in questo modo che condizioni socioeconomiche radicalmente nuove (neoliberismo) ci sono state imposte durante gli ultimi decenni a partire dal 1980: stato minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione in massa, salari che non garantiscono più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero stati realizzati in una sola volta. Altresì detta “metafora della rana bollita“.
4) La strategia del differire
Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria”, proponendo però di attuarla in un tempo successivo in modo da ottenere l’accettazione dell’opinione pubblica. “Tanto non è per adesso”.
E’ più facile accettare un sacrificio futuro che un sacrificio immediato. Prima, perché lo sforzo non è quello impiegato immediatamente. Secondo, perché il pubblico, la massa, ha sempre la tendenza a sperare ingenuamente che “tutto andrà meglio domani” e che il sacrificio richiesto potrebbe essere evitato. Questo dà più tempo al pubblico per abituarsi all’idea del cambiamento e di accettarlo rassegnato quando arriva il momento. Il politico di turno ci dirà che: “Era già stato previsto dal mio predecessore, è colpa sua e non mia”, senza spiegarci che il vero decisore, quello che ha anche imposto l’utilizzo di questa tecnica, sta sopra alla classe politica.
5) Rivolgersi al pubblico come a dei bambini
La maggior parte della pubblicità diretta al gran pubblico usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione della voce particolarmente infantile, molte volte anche flebile, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni o un ritardato mentale.
Silvio Berlusconi insegnava ai candidati di Forza Italia di parlare come se si rivolgessero a dei ragazzini di 12 anni, perché questo è il livello intellettuale medio del nostro target pubblicitario.
Quanto più si cerca di ingannare lo spettatore, tanto più si tende ad utilizzare un tono infantile. Perché?
“Se qualcuno si rivolge ad una persona come se avesse 12 anni o meno, allora, in base alla suggestionabilità, lei tenderà, con certa probabilità, ad una risposta o reazione anche sprovvista di senso critico come quella di una persona di 12 anni o meno” (tratto da “Armi silenziosi per guerre tranquille”).
6) Usare l’aspetto emotivo molto più della riflessione
Sfruttate l’emozione è una tecnica classica per provocare un corto circuito rispetto alle nostre analisi razionali e bypassare il naturale senso critico dell’individuo.
L’uso del registro emotivo permette aprire la porta d’accesso all’inconscio (come ci hanno insegnato Freud e Jung) per innestare nella nostra mente idee, desideri, paure e timori, compulsioni o indurre comportamenti irrazionali.
7) Mantenere il pubblico nell’ignoranza e nella mediocrità
Far sì che il pubblico sia incapace di comprendere le tecnologie ed i metodi usati per il suo controllo e la sua schiavitù.
“La qualità dell’educazione data alle classi sociali inferiori deve essere la più povera e mediocre possibile, in modo che la distanza di capacità di comprensione (l’ignoranza) fra le classi inferiori e le classi superiori sia e rimanga impossibile da colmare”.
8) Stimolare il pubblico ad essere compiacente con la mediocrità
Spingere il pubblico a ritenere che sia di moda essere stupidi, volgari e ignoranti …
In questo modo verrà rivolta poca attenzione ai pensieri delle persone intelligenti, colte e ragionevoli.
9) Rafforzare l’auto-colpevolezza
Far credere all’individuo che è soltanto lui il colpevole della sua disgrazia (noi italiani siamo così, nel Nord Europa invece…), per causa della sua insufficiente intelligenza, delle sue capacità o dei suoi sforzi. Così, invece di ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si auto-svaluta e si auto-colpevolizza, cosa che crea a sua volta uno stato depressivo, uno dei cui effetti è l’inibizione della sua azione. E senza azione non c’è rivoluzione!
Ci si ritiene personalmente incapaci di cambiare la situazione, per cui si preferisce delegare il compito al “salvapopolo” di turno (Meloni, Draghi, Salvini, Grillo, Renzi, Berlusconi, Prodi, ecc). Senza rendersi conto che questi “salvapopolo” sono quasi sempre controllati dalle élites politico-finanziarie internazionali.
10) Conoscere gli individui meglio di quanto loro stessi si conoscono.
Negli ultimi 50 anni, i rapidi progressi della scienza hanno generato un divario crescente tra le conoscenze del pubblico e quelle possedute e utilizzate dalle élites dominanti. Grazie alla biologia, la neurobiologia, e la psicologia applicata, il “sistema” ha goduto di una conoscenza avanzata dell’essere umano, sia nella sua forma fisica che psichica. Il sistema è riuscito a conoscere meglio l’individuo comune di quanto egli stesso si conosca. Questo significa che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un controllo maggiore ed un gran potere sugli individui, maggiore di quello che lo stesso individuo esercita su sé stesso.
Naturalmente le tecniche sono molte e non si esauriscono qui. Esistono decine di libri e di siti internet disponibili per approfondire l’argomento.
Tuttavia ce n’è abbastanza, se siamo onesti con noi stessi, per mettere da parte molte nostre certezze sulle nostre proprie credente ed iniziare ad applicare a noi stessi il pensiero critico, per capire se tali credenze siano fondate o conseguenza di una manipolazione.
La posizione più razionale da assumere è: è possibile che mi abbiano ingannato facendomi credere cose sbagliate, di conseguenza devo avere il coraggio, per il bene di me stesso e delle persone che mi circondano, di mettere in discussione le mie convinzioni, per cercare di capire se siano fondate oppure no.
Un metodo per il pensiero critico applicato a sé
Fino ad ora mi sono limitato a mettere insieme studi e conoscenze, cercando di esporle al lettore per esporre ed analizzare il problema.
Il testo che segue vuole essere il mio contributo personale alla definizione di un metodo per il pensiero critico applicato a sé stessi, nella speranza che possa essere utile a chi mi legge per liberarsi dai falsi condizionamenti a cui tutti noi siamo sottoposti.
- Accettare di essere stati manipolati
La regola numero 0 è prendere atto del fatto che, non per nostra responsabilità o stupidità, siamo stati sottoposti per decenni, fin da quando eravamo piccoli, ad una incessante sequenza di messaggi (anche subliminali) finalizzati a manipolare la nostra opinione. E’ come se fossimo stati immersi nel fango, per cui nessuno può dire di non essersi sporcato, anche fino a collo. L’unico atteggiamento razionale è prendere atto del fatto che siamo stati sporcati e che l’unico modo per liberarci è uscire dal pantano, pezzo dopo pezzo, e lavarci via le chiazze di fango.
Sarebbe un atteggiamento irrazionale e dannoso per noi stessi il rifiutare di mettere in discussione le nostre convinzioni, solo per non offendere il nostro amor proprio, per non ammettere di essere stati ingannati, perché chi ci ha manipolato lo ha fatto solo per i suoi interessi e non per il nostro bene e sapeva benissimo che ci sarebbe stato difficile liberarci da tali condizionamenti, proprio a causa del nostro orgoglio che non ci lascia ammettere di essere stati ingannati.
Se vogliamo bene a noi stessi, però, questa presa di coscienza è il primo passaggio fondamentale: siamo stati ingannati e dobbiamo liberare la nostra mente dalle manipolazioni che ha subito.
- Conoscere le tecniche della manipolazione mentale
Sopra abbiamo esposto, in modo non esaustivo, diverse tecniche utilizzate da chi intende manipolare la nostra opinione, ingannandoci.
Conoscere queste tecniche ci aiuta ad aprire gli occhi. Quando nei messaggi che riceviamo constatiamo l’utilizzo di queste tecniche, abbiamo già delle buone ragioni per mettere in dubbio la credibilità di quanto ci viene esposto ed attivare il nostro senso critico.
Non dobbiamo mai fidarci troppo di presunte “autorità”, perché i manipolatori (punto 4 di Cialdini) sanno come corrompere l’opinione di personaggi competenti, sanno come fare in modo che trovino spazi privilegiati nei mezzi di comunicazione e sanno come condizionare le autorità politiche corrompendole o circondandole di consulenti in mala fede.
Ricordiamoci che il fatto di parlare in televisione o di scrivere su un giornale non è una patente di maggiore credibilità e di fondatezza di quanto viene riferito. Anzi, spesso a chi dice la verità non viene concesso di parlare al grande pubblico.
Persino delle immagini di fatti reali possono essere selezionate “ad arte” per ingannarci sulla realtà dei fatti, un po’ come mettere in evidenza il dito, in modo che non si veda la luna.
Diffidiamo delle soluzioni che vengono proposte in risposta ad un clima di paura, in quanto la paura potrebbe essere stata indotta deliberatamente e le soluzioni potrebbero essere volutamente sbagliate.
In caso di messaggi sospetti non è corretto essere “complottisti a priori”, ma è altrettanto sbagliato essere “creduloni a priori”. L’atteggiamento più corretto è invece: “Potrebbe anche essere vero, ma devo fare analisi più approfondite prima di fidarmi di questo messaggio“.
- Se possibile, applicare il metodo scientifico
Secoli di studi filosofici ci hanno portato a definire il metodo scientifico, grazie a Galileo Galilei, Isaak Newton fino all’epistemologo della scienza Karl Popper.
Il metodo scientifico non è “la scienza”, ma è un metodo per verificare la fondatezza di ipotesi relative a fenomeni che sono oggettivamente misurabili.
Quindi il metodo scientifico non è applicabile ad ogni forma di conoscenza, ma solo alle forme di conoscenza che possono essere sottoposte a verifica oggettiva da parte di chiunque intenda farlo.
Scopo della conoscenza scientifiche è eliminare il concetto di autorità che definisce la verità (punto 4 delle argomentazioni di Robert Cialdini).
Una dichiarazione non è vera perché lo dice una persona ritenuta autorevole (nella scolastica medievale si affermava “ipse dixit“, lo aveva detto Aristotele e non lo si poteva mettere in discussione), ma una dichiarazione è vera perché sottoposta a verifica sulla base del metodo scientifico.
Anzi, come giustamente sottolineava Karl Popper, una teoria è scientifica se è per principio falsificabile dai fatti ovvero se può essere sottoposta a dei test che potrebbero dimostrarne la falsità e se i test effettuati, ripetuti più volte da persone indipendenti, confermano gli stessi risultati di verifica.
La teoria “la pioggia cade a causa delle persone tengono l’ombrello aperto” è spesso verificata, in quanto quando piove in genere le persone si camminano con un ombrello aperto. Si tratta di una teoria scientifica, in quanto può essere verificata falsificata muovendosi sotto la pioggia con l’ombrello chiuso e verificando che nonostante questo continua a piovere.
Viceversa dichiarazioni del tipo “se non avessimo attuato dei tagli alla spesa pubblica l’economia sarebbe andata peggio” non è di tipo scientifico, in quanto non potremo mai ripetere l’esperimento di ritornare indietro nel passato, cambiare la legge finanziaria e misurare i diversi effetti sull’economia del paese.
Applicare il metodo scientifico alle nostre conoscenze ed alle informazioni che riceviamo significa prima di tutto capire se si tratti di affermazioni che possono essere verificate scientificamente oppure no.
Se si tratta di affermazioni che non possono essere falsificate dalla prova dei fatti, allora non sono scientifiche, per cui si passerà ad altri tipi di valutazioni che faremo nei punti successivi.
Se, invece, si tratta di affermazioni che possono essere falsificate dalla prova dei fatti, allora il nostro senso critico deve portarci a verificare la fondatezza delle affermazioni che ci sono proposte, senza fidarci ciecamente dell’autorità di chi ce la riferisce.
E’ importante evidenziare come i dati scientifici non sono sempre dei valori semplici e chiari come quelli della matematica che impariamo a scuola. In molti casi si tratta di dati statistici, come ad esempio quando si parla di dati sull’affidabilità di un farmaco. La statistica non fornisce mai dei valori netti, ma fornisce dei valori percentuali, ad esempio: un certo dato è vero per l’83% della popolazione ed è falso per il restante 17% della popolazione. In questi casi è necessario soppesare i valori: il fatto che una certa ipotesi scientifica non sia vera per il 17% della popolazione che conseguenze comporta?
Se l’affidabilità di un dato scientifico deriva ad un solo esperimento, mai ripetuto da altri, realizzato da un soggetto in conflitto di interessi con l’esito dell’esperimento (ad esempio il produttore di un farmaco che dice di averne dimostrato la validità, senza verifiche di enti indipendenti), quel dato non è scientificamente fondato e richiede necessariamente ulteriori verifiche.
Ad esempio una affermazione apparentemente scientifica come “avvengono i femminicidi in quanto gli uomini hanno una cultura patriarcale” esposta in questo modo è solamente una opinione, non è per nulla una verità scientifica. Per dimostrarne la fondatezza sarebbe necessario: 1- definire cosa si intende per cultura patriarcale; 2- verificare con dei sondaggi se tale cultura è effettivamente molto diffusa fra gli uomini italiani; 3- verificare nei casi specifici (ad esempio i 61 omicidi di donne ad opera di partners o ex-partners nel 2022) se tale cultura fosse presente nella maggior parte degli autori del delitto.
Se tutti questo non è stato fatto siamo di fronte ad un tentativo di manipolazione, facendo passare per “scientifica e indiscutibile” una affermazione per nulla sottoposta a verifiche scientifiche.
In altri casi i dati scientifici non si riferiscono ad esperimenti ripetibili, ma ad osservazioni di “fenomeni unici”. Ad esempio la correlazione fra le emissioni di CO2 e l’aumento di temperatura del pianeta deriva da analisi scientifiche dei milioni di dati sull’andamento climatico del pianeta, tentando di isolare gli effetti della CO2 rispetto agli effetti di altri fattori come l’attività solare.
Gli studi effettuati possono giustificare l’adozione di una logica di precauzione, in quanto le conclusioni potrebbero anche essere vere, ma non si tratta di “dati scientifici incontestabili” aventi la stessa fondatezza dei dati scientifici che supportano la validità della legge della gravitazione universale di Newton o delle equazioni di Maxwell sull’elettromagnetismo.
Anche in ambito scientifico vi sono delle ipotesi molto verificate, sostanzialmente “vere” e delle ipotesi la cui verità è ritenuta solo “probabile” o, addirittura, delle ipotesi per le quali vi sono opinioni divergenti nella comunità scientifica, che sono tutt’ora oggetto di studi e di discussioni e che non diventano “più vere” solo perché la televisione presenta come vera solo una delle ipotesi in discussione.
- Utilizzare la logica
Per tutti i casi in cui il metodo scientifico non sia applicabile, ad esempio nel caso di tutte le conoscenze di tipo umanistico o per i casi i cui i fondamenti scientifici siano dubbi o nel caso di informazioni per le quali non sia possibile fare delle verifiche di persona (ad esempio delle notizie relative ad uno scenario di guerra o di dati scientifici che non ci vengono resi disponibili), può essere molto di aiuto sottoporre tali informazioni ad una rigorosa verifica logica.
Già il grande Aristotele si era occupato delle fallacie logiche, la cui trattazione fu portata a compimento dai filosofi della scolastica medievale.
Si tratta di ragionamenti sbagliati che portano a delle conclusioni sbagliate.
Un caso classico è utilizzare un caso particolare per creare una teoria di validità generale. Ad esempio se una donna fa l’esperienza di un uomo cattivo e conclude che tutti gli uomini sono cattivi, tale ragionamento è evidentemente falso, in quanto non tutti gli uomini sono uguali in termini di bontà o di cattiveria.
Senza dilungarci oltre sull’argomento, invitiamo a prendere conoscenza dei falsi sillogismi su dei siti internet specializzati.
Nel caso di scenari di guerra chiediamoci perché tutte le informazioni siano costantemente a dimostrare chi è il buono e chi è il cattivo nel conflitto, mentre è arcinoto che negli scenari di guerra tutte le parti in cause si rendono quasi sempre responsabili di crimini di guerra.
Nel caso di dati fondanti che non vengano resi disponibili, chiediamoci perché i mezzi di informazione si limitino a metterci di fronte all’opinione degli “esperti”, senza mai curarsi di illustrarci i scientifici.
Per ciò che riguarda il metodo critico applicato a se stessi la conclusione è che non dobbiamo prendere per vera una affermazione che sia incoerente dal punto di vista della logica o in cui la logica si presenta troppo semplicistica.
In linea generale spesso la realtà è molto più complessa e contraddittoria di come ci viene presentata: dobbiamo pensare che possano esistere anche delle spiegazioni alternative e più articolate rispetto a quelle che ci vengono proposte.
- Conoscere un po’ di statistica
Molte notizie, per essere rese credibili, vengono corredate di dati statistici che vengono sciorinati affinché i numeri “concreti” dimostrino la credibilità dell’informazione. Ma succede molto spesso che questi dati vengano esposti in modo da causare una visione totalmente distorta del fenomeno.
Per esagerare la rilevanza di un fenomeno statisticamente poco rilevante, non ci diranno che i casi sono passati a 3 per milione a 4 per milione, ma ci diranno che il fenomeno è aumentato del 33% rispetto all’anno precedente. Il che è vero, ma ci trae in inganno, in quanto il fenomeno resta comunque poco significativo. L’anno seguente, quando i casi scenderanno da 4 a 3 per milione, ci diranno che “i casi sono sostanzialmente immutati rispetto allo scorso anno”, in quanto sono diminuiti di una sola unità, perché se dicessero che i casi sono diminuiti del 25% sembrerebbe una notizia troppo positiva.
Se ci si riferisce ad una situazione di rischio e si intende spaventare la popolazione, non si spiegherà mai che il rischio si misura moltiplicando il grado di probabilità per la magnitudine dell’evento.
Ovvero: un evento può essere molto grave (ad esempio morire colpiti da un fulmine avrebbe una probabilità di uno su 8 milioni), ma se ci fanno vedere in tv una persona morta colpita da un fulmine, ci sembrerà subito qualcosa di alquanto probabile e inizieremo ad avere paura dei fulmini.
Analogamente potremmo essere spaventati dall’alto rischio (“dicono gli scienziati”) di essere colpiti dalla tal malattia. Salvo poi scoprire che quella malattia ha un tasso di mortalità di uno su 100’000. Il che significa che in una città come Roma potrebbe fare al massimo 30 morti: molto meno rischioso che morire investiti da un’auto. Eppure non siamo terrorizzati quando, per strada, vediamo le auto passare vicino a noi che camminiamo.
Di fronte ai dati statistici dobbiamo sempre cercare di capire se i dati ci vengono forniti in modo completo e neutrale per comprendere il fenomeno e verificare che non venga dato troppo risalto a dati volutamente parziali e distorti, per creare un senso di paura. Fare un po’ di calcoli di verifica con una calcolatrice potrebbe aiutarci a verificare il reale rischio di certi fenomeni.
- A chi giova?
Il famoso magistrato Antonio Di Pietro aveva spiegato al pubblico il fondamento del suo metodo di ricerca della verità giudiziaria.
“Dove vanno i soldi?”
Ragionare su chi potrebbe trarre vantaggio dalla nostra credenza potrebbe aiutarci a dubitare dei messaggi che ci vengono proposti: potrebbe trattarsi di un inganno da parte di chi vuole carpire la nostra fiducia per danneggiare noi stessi e trarne vantaggio per sé.
Dubitare dell’oste che afferma di venderci il vino migliore di tutti, come noto, è un giusto atteggiamento di prudenza. Il vino potrebbe essere realmente buono, ma non ci possiamo credere senza prima averlo assaggiato o senza avere chiesto l’opinione di qualcuno di cui ci fidiamo.
Chi ha grandi vantaggi economici o geopolitici da trarre sa spesso trovare il modo di indirizzare le comunicazioni in una direzione per lui vantaggiosa.
Il caso del defunto giornalista tedesco Udo Ulfkotte è emblematico e significativo per comprendere come funziona.
Dobbiamo dubitare anche nei casi in cui ci venga proposto un supposto vantaggio per noi. Il vantaggio, infatti, potrebbe essere minimo o limitato nel tempo (come l’esca che mangia il pesce quando abbocca), mentre il fidarci di quella affermazione potrebbe comportare per noi degli svantaggi ben più gravi che al momento non riusciamo a vedere e che, ovviamente, non ci vengono presentati.
In questi casi potrebbe essere utile confrontarsi con unti di vista diversi sulla questione, soprattutto critici, cercando di comprendere la fondatezza delle critiche, il loro fondamento logico e chi possa trarre vantaggi e svantaggi da quanto ci viene esposto.
Se chi ci presenta un’affermazione è una persona che conosciamo e ci vuole realmente bene, siamo maggiormente autorizzati a credere che lo faccia per il nostro bene e non per secondi fini. Tuttavia quella stessa persona che ci vuole bene potrebbe essere stata a sua volta manipolata da qualcun altro. In questi casi sarebbe bene sottoporre alle verifiche di cui sopra anche le credenze delle persone con cui ci rapportiamo.
- Diffidare delle emozioni
Coloro che intendono manipolare la nostra opinione agiscono spesso a livello emozionale, come previsto al punto 6 di Noam Chomsky. In particolare sul senso di paura. Eppure la verità di una affermazione non può in alcun modo dipendere dal nostro stato emozionale. E’ il nostro giudizio di verità ad essere influenzato, non la verità in sé.
Per questo motivo è fondamentale verificare se la nostra credenza è basata su fatti reali, su ragionamenti logici o se invece deriva da qualcosa che è derivato da uno stato di paura o di esaltazione.
La sensazione di paura (della morte, di perdere le proprie ricchezze, di essere emarginati a livello sociale) è sempre stata utilizzata storicamente dai vari dittatori per controllare l’opinione della popolazione. I tedeschi sotto Hitler erano realmente convinti di essere minacciati dagli ebrei, per questo giustificavano le persecuzioni portate avanti dal governo. La realtà dei fatti, però, è che la paura era stata costruita deliberatamente dalla propaganda di Goebbels e la maggior parte dei tedeschi ci aveva creduto.
- Ogni albero si riconosce dal suo frutto
Nel Vangelo di Matteo (6,44) si riporta il detto di Gesù “Ogni albero si riconosce dal suo frutto“.
Un criterio per valutare la validità di certe convinzioni è valutare nel modo più obiettivo possibile le conseguenze che derivano da certe credenze e dalle nostre decisioni che ne conseguono.
Questo anche se, apparentemente, esse ci sembrano logiche, positive e giuste, espressione della nostra libertà.
Spesso i problemi derivano dal fatto che la bontà di certe credenze viene valutata con il nostro metro personale, senza preoccuparsi delle conseguenze a livello collettivo.
Un esempio classico è quello dei ladri, i quali ritengono conveniente rubare ad altre persone, senza preoccuparsi delle conseguenze sulle vittime. Per questo motivo, giustamente, il furto è punito come un delitto, anche se i ladri erano convinti di fare qualcosa per loro conveniente.
Oppure abbiamo l’esempio dei governanti che portano un paese in guerra pensando ai vantaggi dei gruppi di potere favorevoli alla guerra (venditori di armi, grandi gruppi industriali, ecc.), ma non si preoccupano delle conseguenza che la guerra avrà sulla popolazione, né della propria, né tantomeno delle nazioni coinvolte. Questa è quanto è successo con l’ingresso dell’Italia nelle ultime due guerre mondiali, che è costato la vita ad almeno 2 milioni di italiani.
Lo studio della storia ci dimostra come le guerre abbiano sempre portato vantaggi a pochi ai danni (e della vita) di molti. Per questa ragione, giustamente, nell’art. 11 della Costituzione l’Italia ripudia la guerra.
La legalizzazione di una credenza non è automaticamente una garanzia che non ne seguano dei frutti cattivi. Anzi, spesso la legalizzazione (si veda il processo della Finestra di Overton) è proprio la conseguenza di una manipolazione di massa ben riuscita. Le leggi razziali negli USA erano perfettamente legalizzate, ma non per questo erano giuste.
Lo stesso potrebbe essere di molte credenze oggi diffuse in Italia, alle quali ci adeguiamo senza averne valutato le conseguenze in modo oggettivo.
Dal punto di vista logico può essere utile cercare di mettersi nei panni delle persone che subiranno le conseguenze delle nostre credenze e delle conseguenti decisioni. Vorremmo trovarci al loro posto?
Se la risposta è “NO”, allora probabilmente la nostra credenza non è qualcosa che porta buoni frutti e farebbe bene a metterla in discussione.
Quando constatiamo che certe credenze portano alla distruzione di ciò che è buono e umano, si tratta certamente di credenze sbagliate, da rifuggire, anche se apparentemente sembrano avere una loro logica a cui ci eravamo adeguati.
- Soppesare le priorità
Richiamandoci al punto 1) dei metodi evidenziati da Noam Chomsky dobbiamo fare un esercizio di valutazione del grado di priorità e di gravità nelle nostre credenze.
Certe credenze possono essere di per sé giuste (come ad esempio lo è il rispetto per gli animali), ma questo non giustifica che si tratti di questioni prioritarie rispetto ad altre (come ad esempio lo è evitare una guerra che farà migliaia di morti o difendere la vita di una persona).
Il manipolatore spesso opera anteponendo questioni secondarie rispetto a questioni di primaria importanza, al punto che ci occupiamo delle prime ed ignoriamo le seconde. Ad esempio in un telegiornale succede che venga data priorità a questioni tutto sommato marginali, mentre vengono ignorate questioni di importanza fondamentale. Se anche noi ci limitiamo ad informarci solo attraverso i telegiornali, anche noi perderemo il senso della realtà, ci emozioneremo e coinvolgeremo su questioni secondarie, senza preoccuparci di altre questioni molto più importanti.
Oppure si dà molto spazio al “cambiamento climatico”, per poi tacere totalmente su altre questioni ambientali ben più importanti, che riguardano i danni alla salute umana provocati dagli organismi geneticamente modificati o dalle nanotecnologie.
Oggi i mezzi di informazione ci dettano l’agenda delle questioni di cui dobbiamo preoccuparci e delle questioni di cui non ci dobbiamo occupare.
Così come è sbagliato pensare unicamente ai propri interessi senza curarsi di quelli degli altri, è altresì sbagliato dare priorità a questioni secondarie, trascurandone altre di maggiore importanza. Il manipolatore ci spinge a redigere delle scale di valori non sulla base della razionalità, ma ancora una volta sulla base delle emozioni o della maggiore visibilità mediatica.
Se un genitore dedicasse la totalità del tempo a preoccuparsi dei vestiti del figlio, senza preoccuparsi di dargli da mangiare, sarebbe un cattivo genitore ed il figlio, anche se ben vestito, morirebbe di fame.
Similmente dobbiamo capire quali nostre credenze riguardino questioni realmente importanti e quali riguardino questioni meno importanti, per stabilire una corretta scala dei valori. Lo possiamo fare cercando fonti di informazioni alternative e attivando il nostro senso critico.
- Essere aperti alla persuasione
La differenza fondamentale fra persuasione e manipolazione è che la persuasione avviene in modo trasparente, mentre la manipolazione avviene in modo subdolo.
Un amico che ci vuole persuadere ci dice chiaramente che intende convincerci della verità di quanto ci sta raccontando e con quali finalità intende farlo.
Viceversa nella manipolazione chi ci parla nasconde le reali finalità per cui ci sta comunicando qualche cosa e mette in atto tutta una serie di tecniche (come abbiamo letto in questo articolo) per portarci a cambiare la nostra opinione, traendoci in inganno.
Se dobbiamo mantenere un atteggiamento accorto quando ci rendiamo conto che stanno tentando di manipolare la nostra opinione è invece saggio mantenere un atteggiamento di maggiore apertura nei confronti di chi cerca di persuaderci in modo onesto e trasparente, soprattutto se sappiamo che chi ci parla è una persona di cui siamo certi che vuole il nostro bene. Ascoltare opinioni diverse dalla nostra potrebbe essere di aiuto a liberarci da qualche falsità a cui avevamo precedentemente creduto.
Anche in questi casi, tuttavia, dobbiamo sempre essere accorti, in quanto anche una persona che ci vuole bene, pur essendo in buona fede, potrebbe essere stata a sua volta ingannata. Quindi il nostro senso critico non deve mai essere messo da parte.
Mettiamoci in cammino
Poiché sia noi stessi che le generazioni che ci hanno preceduto siamo sottoposti da decenni e da secoli a comunicazioni manipolatorie, non possiamo avere la presunzione di avere capito tutto e di essere così “intelligenti” da essere immuni da manipolazioni.
Dobbiamo essere umili, perché l’orgoglio è nemico della nostra liberazione.
E’ possibile liberarci dalle manipolazioni solo gradualmente, con un cammino progressivo, cercando di sfuggire al martellamento propagandistico di gran parte dei mezzi di informazione, delle agenzie educative, degli spettacoli di intrattenimento. Facendo la fatica di cercare punti di vista alternativi e di confrontarci sinceramente con essi.
E quando avremo capito qualcosa di importante, cerchiamo di condividerlo con altri, per aiutare anche loro a liberarsi. Spesso ci prenderanno per pazzi, perché diremo cose che la maggioranza delle persone non ha ancora capito. Dobbiamo accettare questo rischio.
Ma non preoccupiamoci. Avremo la coscienza a posto e, ricordiamoci, i cambiamenti della società sono sempre partiti da piccole minoranze consapevoli. Cerchiamo di fare la nostra parte.
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