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Perché l’espansione della NATO ha alimentato il conflitto con la Russia, di Post-Liberal Dispatch

Perché l’espansione della NATO ha alimentato il conflitto con la Russia

Scopri la realpolitik dietro la crescita della NATO, la reazione russa e gli errori strategici che hanno rimodellato l’equilibrio di potere in Europa (e innescato la guerra).

27 maggio
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Panoramic digital painting of a symbolic military standoff between NATO and Russia. On the left, a NATO soldier stands resolute with the NATO flag billowing behind him, facing a Russian soldier on the right, set against the Russian flag. Between them, a ravaged city burns in an inferno, its skyline consumed by fire and smoke. The visual embodies geopolitical tension, evoking the escalation of conflict linked to NATO’s eastward expansion.

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Sintesi

  • L’espansione della NATO dopo la Guerra Fredda fu una scommessa strategica (non una vittoria morale) presa senza fare i conti con la logica duratura della politica di equilibrio di potere.
  • La risposta della Russia all’avanzata della NATO verso est non è stata aberrante, bensì prevedibile: una classica reazione delle grandi potenze alla riduzione delle zone cuscinetto e all’erosione della loro influenza.
  • Gesti superficiali di inclusione mascheravano un’esclusione più profonda: a Mosca non è mai stato offerto un posto di vero potere all’interno dell’architettura di sicurezza occidentale.
  • La tragedia geopolitica dell’Ucraina non risiede nelle sue scelte ma nella sua geografia: è fatalmente stretta tra blocchi di sicurezza rivali con imperativi incompatibili.
  • I politici occidentali hanno scambiato il predominio temporaneo per ordine permanente, ignorando i vincoli geopolitici in favore dell’ambizione ideologica.
  • Il ritorno del conflitto in Europa sottolinea la verità fondamentale del realismo: la pace non si preserva con la virtù, ma con l’equilibrio, la moderazione e la chiarezza strategica.


La narrazione dell’espansione della NATO dopo la Guerra Fredda, spesso celebrata come un trionfo dei valori democratici liberali e il costante progresso di un ordine internazionale basato su regole, deve essere reinterpretata con un’analisi più acuta. Non fu il culmine naturale di un arco morale che si snodava verso la pace universale, ma una calcolata manovra strategica intrapresa nel mezzo di una profonda errata interpretazione della realtà sistemica. Non fu una storia di integrazione benevola ostacolata dall’intransigenza russa, né una progressione lineare verso un futuro cooperativo interrotta da una ricaduta autoritaria. Piuttosto, fu un momento in cui gli Stati Uniti, in quanto egemone incontrastato dell’ordine post-Guerra Fredda, scambiarono una fugace finestra di vantaggio unipolare per un riallineamento permanente della politica mondiale. Confusero opportunità con inevitabilità e, così facendo, confusero le proprie preferenze ideologiche con necessità strategiche. Il risultato non fu un superamento della politica di potenza, ma la sua mutazione e il suo ritorno in forme più volatili. L’espansione della NATO non fu un fallimento morale; Si è trattato di un’azione strategica intrapresa senza la dovuta considerazione del fondamentale principio realista dell’equilibrio, che governa il comportamento in un sistema internazionale anarchico. Aggirando questa logica, l’espansione ha gettato le basi per lo stesso scontro geopolitico che intendeva prevenire.

Nel quadro del realismo politico, il potere non è un bene discrezionale, ma la moneta di scambio essenziale per la sopravvivenza. Il sistema internazionale è definito dall’assenza di un’autorità centrale in grado di far rispettare le regole in modo imparziale: anarchia in senso strutturale. Questa condizione obbliga tutti gli Stati, indipendentemente dal tipo di regime, a dare priorità all’interesse nazionale, all’integrità territoriale e alla sicurezza rispetto all’allineamento ideologico. Gli Stati devono considerare gli altri non attraverso la lente dei valori condivisi, ma come potenziali minacce alla propria autonomia. In queste condizioni, la sicurezza non può essere data; deve essere assicurata, spesso a spese di attori rivali. L’avanzata della NATO nell’Europa centrale e orientale, vista da questa prospettiva, non è stata un atto benigno di allargamento dell’alleanza, ma un riposizionamento strategico che ha ristrutturato il panorama della sicurezza europea in modi che hanno inevitabilmente minato la profondità strategica russa. Ogni nuovo Stato membro ha avvicinato progressivamente l’infrastruttura militare della NATO ai confini russi, riducendo la zona cuscinetto geografica su cui Mosca aveva storicamente fatto affidamento per la difesa e la deterrenza. Nella logica della competizione tra grandi potenze, la prossimità geografica alle capacità di proiezione di forza rivali non è una preoccupazione astratta; è una vulnerabilità tangibile.

Le interpretazioni internazionaliste liberali che puntano a gesti di inclusione, come il Partenariato per la Pace o i forum consultivi con la Russia, non riescono a cogliere gli imperativi strutturali della politica di potenza. Queste iniziative erano diplomaticamente simboliche ma strategicamente superficiali. Da una prospettiva realista, la partecipazione al dialogo senza una corrispondente influenza nelle strutture decisionali fondamentali non costituisce un’integrazione significativa. La Russia, come ogni grande potenza storicamente significativa, ha capito che la vera sicurezza e il vero status derivano non da gesti retorici, ma da un’influenza tangibile, in particolare da un posto al tavolo delle trattative e da un diritto di veto sulle decisioni che riguardano interessi vitali. L’idea che la Russia potesse essere integrata nella NATO era più un artificio retorico che un piano strategico serio, fondamentalmente in contrasto con la logica istituzionale dell’alleanza. La coesione della NATO dipende da un confine chiaramente definito tra i membri (a cui è garantita la difesa reciproca) e i non membri (a cui non è garantita). Incorporare un ex rivale delle dimensioni della Russia avrebbe eroso proprio questo confine e compromesso la coerenza operativa della NATO. Pertanto, escludere la Russia era funzionalmente inevitabile. Tuttavia, agire in questo modo senza fornire un ruolo strategico compensativo avrebbe garantito un’eventuale opposizione.

Map of Europe showing when various Nato members joined the organisation, with the 12 founder members in dark red, countries that joined between 1950 and 1996 in a lighter red, those joining from 1997 to 2022 in dark pink and Sweden and Finland which have joined since 2022 in pale pink. Ukraine is one of three countries in the process of applying to join shown in yellow. Russia and other non members are in white.


Attribuire l’assertività geopolitica della Russia esclusivamente alla sua traiettoria autoritaria interna significa confondere la forma politica di uno Stato con il suo comportamento strategico. L’autoritarismo può influenzare il modo in cui uno Stato conduce la sua politica estera (la sua tolleranza al rischio, la sua legittimazione interna dei conflitti esterni), ma non determina perché uno Stato cerchi di modificare il suo ambiente esterno. Questa logica è radicata nella geografia, nella distribuzione del potere e nella percezione della minaccia. La riaffermazione dell’influenza della Russia nei suoi confini vicini non è stata una deviazione dalle norme di comportamento internazionale; è stata un’espressione classica della politica delle grandi potenze in risposta alla percepita erosione dell’isolamento strategico. L’incapacità dei leader occidentali di prevedere tale risposta non è dovuta a informazioni errate, ma a una visione del mondo che aveva prematuramente relegato la politica di potenza al passato. Non si è trattato semplicemente di un errore di calcolo strategico, ma di un errore epistemologico: un presupposto che le norme avessero sostituito gli interessi e che la storia avesse ceduto il passo all’istituzionalismo liberale. L’illusione che ne derivava, secondo cui la Russia avrebbe accettato indefinitamente uno status marginale e marginale, ignorava la natura ciclica dell’ordine internazionale. Le grandi potenze spesso praticano la pazienza strategica, ma raramente la capitolazione strategica.

In questo contesto, l’Ucraina non era semplicemente una nazione sovrana che esercitava la propria volontà democratica; era uno Stato cardine geopolitico, il cui allineamento aveva profonde implicazioni per l’equilibrio di potere regionale. La sua tragedia risiedeva nei rigidi vincoli imposti dalla sua geografia, situata tra un Occidente militarmente dominante e un Oriente in ripresa. Per l’Ucraina, il perseguimento dell’integrazione occidentale non era una scelta astratta; era una rottura strutturale. Il passaggio all’allineamento con la NATO e l’UE ha messo in discussione la percezione di lunga data della Russia dell’Ucraina come zona cuscinetto essenziale per la propria sicurezza e influenza. Sebbene il diritto dell’Ucraina di determinare le proprie alleanze sia indiscutibile in senso giuridico, le conseguenze geopolitiche di questa scelta erano del tutto prevedibili. La Russia non poteva tollerare un’Ucraina allineata all’Occidente senza subire una grave diminuzione della sua influenza regionale e un crollo della sua profondità strategica. L’annessione militare della Crimea e la destabilizzazione dell’Ucraina orientale non erano anomalie. Erano risposte da manuale da parte di una grande potenza che cercava di riaffermare il controllo su uno spazio strategico chiave. Brutalità e illegalità a parte, il comportamento ha aderito alla logica della necessità geopolitica.

3D topographic map showing historical invasion routes into Russia from Europe, the Middle East, and Central Asia. Arrows illustrate three common military invasion paths: through Eastern Europe via Poland and the Baltic states, through the Caucasus Mountains from the Middle East (notably Iraq), and through Central Asia via Kazakhstan. Key geographical features such as the Ural Mountains, Tien Shan Mountains, Caspian Sea, Black Sea, and Carpathian Mountains are labeled, with a southern-facing orientation. Major countries like Russia, Ukraine, Iran, China, and Turkey are marked, along with capital cities like Moscow and St. Petersburg.

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Il dibattito in corso, teso ad attribuire responsabilità morali (sia all’eccesso di potere occidentale che all’aggressione russa), oscura più di quanto riveli. Riduce complesse interazioni strategiche a questioni di colpa e legittimità, anziché concentrarsi sui meccanismi attraverso cui i dilemmi di sicurezza si aggravano. Nel realismo, la causalità è intesa in termini di struttura e comportamento, non di categorie morali. La guerra in Ucraina non è stata causata dalla malevolenza di un singolo attore, ma dall’intersezione di architetture di sicurezza incompatibili: la logica espansionistica di un ordine liberale sostenuto dalla potenza americana e la contro-mobilitazione di una grande potenza determinata a non essere messa da parte in modo permanente. Chiarire questa dinamica non assolve nessuna delle parti; consente una comprensione più precisa di come agiscono gli Stati quando sono costretti a scegliere tra adattamento e irrilevanza.

La lezione più profonda non è che la NATO avrebbe dovuto astenersi del tutto dall’espansione, ma che avrebbe dovuto farlo in un quadro che tenesse conto della perdurante rilevanza delle dinamiche di equilibrio di potere. L’inclusione strategica, la condivisione del potere o persino una sfera d’influenza negoziata avrebbero potuto preservare la coesione occidentale, disinnescando al contempo l’insicurezza russa. Invece, l’espansione è proseguita come se la sconfitta dell’Unione Sovietica avesse estinto la logica geopolitica dell’Eurasia. Questa arroganza, che scambiava il predominio per stabilità, ha fatto sì che la vecchia logica tornasse con rinnovata forza. Un sistema che marginalizza le grandi potenze non porta alla pace; genera resistenza. È stato proprio questo rifiuto di conciliare l’espansione occidentale con la necessità di un accomodamento sistemico a rendere lo scontro non solo possibile, ma probabile.

Il paradosso è chiaro. Nel suo tentativo di andare oltre i vincoli della competizione geopolitica, l’ordine internazionale liberale ha ravvivato proprio gli antagonismi che cercava di trascendere. La sua strategia di integrazione universale non è riuscita a riconoscere che potere, interessi e geografia governano ancora i termini dell’ordine. E ora, di fronte non solo a una Russia in ripresa ma anche a una Cina in sistematica ascesa, l’Occidente deve fare i conti ancora una volta con la fondamentale intuizione realista: ogni proiezione di potenza genera contropotere; ogni espansione invita a una contro-coalizione. In un sistema anarchico, la sicurezza è posizionale, non assoluta. La difesa di uno Stato è sempre la vulnerabilità di un altro. Questo non è cinismo; è consapevolezza strutturale. Il realismo non consiglia la disperazione; insiste sulla lucidità. La pace non è il prodotto della buona volontà, ma della moderazione, dell’equilibrio e dell’attenta gestione della rivalità. E quando questi elementi vengono trascurati (quando il potere viene esteso senza accomodamenti) il conflitto non è una sorpresa; è la correzione naturale del sistema.

Il declino degli Stati Uniti è reale, ma un mondo multipolare non lo sostituirà, di Oliver Villar

Il declino degli Stati Uniti è reale, ma un mondo multipolare non lo sostituirà 

Siamo di fronte a un’epoca di “nuove anomalie”[1] in cui i principali problemi del nostro tempo, come la minaccia di guerra nucleare, il cambiamento climatico e le “fake news”, sono potenzialmente insolubili. Un “problema”, tuttavia, è anche parte della soluzione: Il declino degli Stati Uniti. È senza dubbio la domanda più urgente del nostro tempo, a prescindere dalla cornice di riferimento. Con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, come evolverà la situazione globale? Per anni si è discusso dell’ascesa dei Paesi BRICS, così come delle affermazioni sulla rinascita americana sia politica che economica. Tuttavia, la situazione mondiale e il declino degli Stati Uniti sono in atto da tempo, almeno dalla fine della guerra del Vietnam, e negli ultimi anni questo processo si è accelerato.

Il presidente cinese Xi Jinping si è recato a Kazan, in Russia, il 22-24 ottobre 2024 per partecipare al 16° vertice BRICS-‘plus’, una conferenza annuale delle economie emergenti fondata da Brasile, Russia, India e Cina nel 2009. Il gruppo dei BRICS sta guadagnando influenza a livello globale e riflette uno spostamento dell’economia politica globale dagli Stati Uniti alla Repubblica Popolare Cinese (RPC), nonché una trasformazione dell’ordine internazionale “liberale” e del sistema complessivo dell’imperialismo del XXI secolo. Questo articolo analizza criticamente i cambiamenti sismici che hanno accelerato questo spostamento e questa trasformazione, tra cui l’ascesa politica della Cina attraverso le sue crescenti iniziative di “ruolo di pace”, i pericoli incombenti di guerra nucleare derivanti dal declino dell’America e le implicazioni per l’Australia. Questa discussione riveste particolare importanza per l’Australia sulla scia di una seconda presidenza Trump, poiché il “rischio” di una guerra estera con la Cina, unito al fatto che l’America sta perdendo influenza a livello globale, significa che la principale preoccupazione di Washington è sempre più la propria sopravvivenza egemonica.

Il club dei BRICS e la visione multipolare

L’anno scorso l’adesione ai BRICS si è allargata a Egitto, Etiopia, Iran ed Emirati Arabi Uniti, e più recentemente a Indonesia e Nigeria. L’Arabia Saudita sta cercando di aderire – i suoi maggiori partner commerciali sono la Cina e l’India, e collabora strettamente con la Russia sulla politica petrolifera attraverso l’OPEC – così come il Venezuela e la Turchia, membro della NATO. L’elenco dei Paesi che vogliono aderire è cresciuto fino a circa trenta.

L’obiettivo dei vertici BRICS è quello di fornire alleanze economiche più strette in un “mondo multipolare” in trasformazione, al fine di promuovere la stabilità e la cooperazione, nonché di riformare le istituzioni internazionali come le Nazioni Unite, il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale. Il vertice del 2024 ha finalizzato i dettagli per l’approvazione di un sistema di pagamento digitale BRICS progettato per le transazioni tra i Paesi BRICS, che offrirà un’alternativa alle reti finanziarie globali esistenti. Perché i Paesi BRICS desiderano “de-rischiarsi” dal sistema finanziario occidentale? In ultima analisi, perché il sistema finanziario occidentale è stato usato storicamente per isolarli e come arma, di recente rubando i beni della banca centrale russa e minacciando ulteriori sanzioni alla Russia, ripristinando la designazione di Cuba come “Stato sponsor del terrorismo” e imponendo dazi su chiunque (100 per cento per i Paesi BRICS, 25 per cento per Canada e Messico, 10 per cento per la Cina) non obbedisca a ogni comando di Washington. I paesi presi di mira, tra cui l’UE, hanno promesso misure di ritorsione in caso di applicazione di tali tariffe, mentre la Cina ha dichiarato che porterà il caso all’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) e risponderà con una tariffa del 10%. Trump teme che i Paesi BRICS sostituiscano il dollaro USA come valuta di riserva mondiale con qualcos’altro, ma, come Biden prima di lui, non riesce a cogliere la realtà della situazione mondiale.[2] Il declino degli Stati Uniti, come il crescente commercio in valute locali e i pagamenti transfrontalieri, riguarda la cooperazione politica ed economica tra i Paesi del Sud globale e non può essere fermato con una guerra commerciale. Trump suggerisce anche che la guerra economica fermerà il flusso di droghe illegali e di immigrati negli Stati Uniti, ma entrambi sono essenziali per l’economia statunitense, come si legge nel mio libro Cocaina, squadroni della morte e guerra al terrorismo (2011), di cui sono coautore insieme a Drew Cottle, e in Immanuel Ness Migration as Economic Imperialism: How International Labour Mobility Undermines Economic Development in Poor Countries (2023).

L’ascesa dei Paesi BRICS avviene in un momento in cui gli Stati Uniti sono sempre più frustrati dalla loro incapacità di esercitare una qualche influenza significativa sugli eventi globali (ad esempio, l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e quello che gli esperti delle Nazioni Unite in materia di diritti umani chiamano il genocidio di Israele a Gaza), il che ha accelerato questo spostamento del potere globale, mentre i Paesi BRICS stanno portando avanti iniziative di pace che hanno implicazioni globali. Ad esempio, a margine del vertice BRICS 2024, la Cina e l’India hanno preso l’iniziativa di firmare un accordo di confine sulla “linea di controllo effettiva” lungo il confine sino-indiano, ripristinando la normalità. La Cina ha mediato un importante accordo di pace tra l’Iran e l’Arabia Saudita (e lo Yemen) nel 2023 e ha in programma di ospitare a Pechino una conferenza di pace per porre fine alla guerra israelo-palestinese (sostenuta dal presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy); sostiene una soluzione a due Stati, un cessate il fuoco immediato e l’adesione della Palestina alle Nazioni Unite, tutte posizioni che sono strettamente allineate con il punto di vista delle nazioni arabe.

Gli analisti occidentali discutono su cosa debba fare l'”Occidente”, se dare priorità ai suoi interessi geopolitici imperialisti (concentrandosi su Cina, Ucraina o Israele) rispetto alla propria prosperità. I Paesi BRICS considerano la guerra d’Ucraina come parte di uno sforzo degli Stati Uniti per accerchiare la Russia attraverso la NATO, il cui ex segretario generale Jens Stoltenberg ha ammesso che è stata la spinta di Washington per l’allargamento della NATO la vera causa della guerra. Sia i BRICS che un crescente coro di Paesi ASEAN[3] (Brunei, Cambogia, Indonesia, Laos, Malesia, Myanmar, Filippine, Singapore, Thailandia e Vietnam) che traggono grandi vantaggi dall’avere la Cina come principale partner economico, vedono le tensioni USA-Cina nel Mar Cinese Meridionale come parte di un accerchiamento della Cina da parte degli USA. Questi conflitti e dispute potrebbero essere affrontati con la diplomazia e i negoziati, ma l’Occidente sceglie il confronto militare.

Trump 2.0 è l’incarnazione del declino degli Stati Uniti e della loro vulnerabilità. La Cina non è solo l’unica superpotenza manifatturiera del mondo, ma anche una potenza politica in ascesa. Secondo l’Australian Strategic Policy Institute, che monitora i settori cinesi dell’alta tecnologia, la Cina è la prima superpotenza mondiale della scienza e della ricerca nei settori cruciali della difesa, dello spazio, della robotica, dell’energia, dell’ambiente, della biotecnologia, dell’intelligenza artificiale, dei materiali avanzati e della tecnologia quantistica.[4] Inoltre, l’attuale declino del petrodollaro statunitense e i tagli alle partecipazioni della Cina al debito pubblico americano stanno rinforzando il passaggio verso un “mondo multipolare”.

Violenza con una spada arrugginita

Il declino a spirale degli Stati Uniti è evidente sul campo di battaglia. Secondo il Comitato militare della NATO, la capacità dell’Occidente di produrre munizioni è al fondo del barile. L’intelligence della NATO riferisce invece che la Russia produce quasi il triplo di munizioni di artiglieria rispetto agli Stati Uniti e all’Europa. Secondo il Fondo Monetario Internazionale, l’economia russa sta crescendo più velocemente di quella delle “economie avanzate”, nonostante le sanzioni occidentali. Secondo il Parlamento europeo, la guerra d’Ucraina è stata devastante non solo per l’Ucraina stessa, ma anche per l’UE e le economie mondiali. Per porre fine alla guerra d’Ucraina, gli Stati Uniti, in quanto sostenitori dell’Ucraina, dovrebbero accettare le condizioni della Russia: revocare tutte le sanzioni, ritirare le forze ucraine dalle regioni di Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia, e abbandonare le aspirazioni della NATO (e della Crimea), diventando uno Stato permanentemente neutrale, riducendo drasticamente le forze militari ucraine e non dispiegando le forze di “mantenimento della pace” della NATO.

La posizione prevalente dei BRICS è che queste guerre, la distruzione e la pulizia etnica di Gaza da parte di Israele devono finire, così come i tentativi di Washington di accerchiare la Cina. Mentre gli Stati Uniti vedono la Cina come una minaccia, la Cina è una minaccia per loro e per il mondo tanto quanto gli Stati Uniti e le azioni di Israele a Gaza sono una minaccia per la Cina.

Il cambiamento: Mito contro realtà

Non c’è dubbio che vi sia un’intensa competizione tra Cina e Stati Uniti in quasi tutti gli aspetti degli affari mondiali, ma l’idea che i Paesi BRICS vogliano sostituire gli Stati Uniti fraintende il modo in cui si sta verificando il declino degli USA. Entrambe le potenze sono entrate in un’era di “concorrenza strategica contraddittoria“. Che l’Occidente lo riconosca o meno, viviamo in un “mondo multipolare” che rappresenta una nuova visione del sistema dell’imperialismo del XXI secolo. Gli Stati Uniti e alcuni dei loro alleati interpretano erroneamente la Cina come uno Stato “revisionista che vuole sostituirla politicamente ed economicamente, ma la realtà è che la Cina ha beneficiato e prosperato sotto l’egemonia americana. La Cina beneficia solo del rafforzamento dell’attuale ordine “basato sulle regole” degli Stati Uniti.

A seguito degli attuali conflitti, dinamiche e tensioni, il Sud globale si sta fondendo, non solo economicamente con le istituzioni finanziarie cinesi, ma anche politicamente e militarmente attraverso lo sviluppo di partenariati tra i Paesi BRICS. Si pensi all’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (Bielorussia, Cina, India, Iran, Kazakistan, Kirghizistan, Pakistan, Russia, Tagikistan, Uzbekistan), all’Unione Economica Eurasiatica (Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Russia) e al Partenariato Strategico Cina-Russia, che sostiene la Belt and Road Initiative (BRI) della Cina. La Cina ha firmato più di 200 accordi BRI in oltre 150 Paesi.[5]

Trump sembra deciso ad affrontare i BRICS in un’altra guerra commerciale, con un’enfasi sui “dazi”. I BRICS hanno superato il “G7” (Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Francia, Italia, Germania e Giappone) in termini di PIL calcolato a parità di potere d’acquistoGli economisti avvertono che tali metodi probabilmente aumenteranno i costi dell’inflazione per i lavoratori e i produttori del Nord globale, costringendo l’Occidente a diversificare le proprie esportazioni dagli Stati Uniti verso “mercati alternativi”. Rafforzeranno gli attuali modelli di produzione globale, il “multipolarismo” e l’isolamento degli Stati Uniti, legittimando ulteriormente alleanze politiche ed economiche più strette e una diffusa de-dollarizzazione nel Sud globale.

Mentre la rivalità tra Stati Uniti e Cina si intensifica attraverso conflitti, tensioni e guerre economiche, le Nazioni Unite, con il sostegno del Sud globale, hanno espresso il desiderio di costruire un ordine internazionale più pragmatico e inclusivo basato su regole. È ragionevolmente chiaro che gli sforzi cinesi e del Sud globale per stabilire un “mondo multipolare” stanno cercando di modificare l’ordine internazionale per riflettere pacificamente il reale status internazionale delle potenze maggiori ed emergenti. Gli Stati Uniti impediscono agli altri membri del Nord globale di pianificare le proprie iniziative o di tracciare una rotta indipendente.

A differenza della storia di espansione violenta dell’America, oggi la Cina sta costruendo una forma unica di imperialismo sociale che non richiede la guerra e cerca di rafforzare l’ordine “liberale” esistente, con crescente frustrazione degli Stati Uniti. La nuova guerra commerciale di Trump non fa che accelerare il declino degli Stati Uniti, poiché Washington opta per il dominio economico e le minacce militari. Il costo politico è l’ascesa della Cina come leader mondiale e l’ulteriore erosione dell’egemonia statunitense a scapito del soft power diplomatico e della politica, cosa che Trump sta cercando di cambiare agendo da “pacificatore”. Il “pivot to Asia” di Barack Obama, la guerra in Ucraina di Joe Biden e l’incessante sostegno di Washington a Israele dimostrano che la classe dirigente statunitense ha esaurito le idee su come arrestare il proprio declino e confrontarsi con la Cina. Non si tratta di “Donald Trump”. In Australia, le reazioni sono state contrastanti: si chiede sia di “opporsi a Trump” sia di “raggiungere” la Casa Bianca “non appena sia umanamente possibile”.

Implicazioni per l’Australia e il mito della minaccia cinese

L’ascesa della Cina e il declino degli Stati Uniti (in termini relativi o di accelerazione) hanno una particolare rilevanza per l’Australia. Secondo Hugh White, un importante analista australiano di studi strategici che scrive in Sleepwalk to War: Australia’s Unthinking Alliance with America (2022), gli Stati Uniti prima o poi si ritireranno dalla regione Asia-Pacifico e lasceranno l’Australia a prendere le proprie decisioni. Come scrive in How to Defend Australia (2018), è quindi imperativo che l’Australia cerchi di garantire la propria sicurezza, indipendentemente dall’alleanza con gli Stati Uniti. Al Palazzo in Dalla dipendenza alla neutralità armata: Future Options for Australian National Security (2018), Sam Roggeveen in The Echidna Strategy: Australia’s Search for Peace and Security (2023) e l’ex primo ministro australiano Paul Keating fanno eco a sentimenti simili. Pur proponendo relazioni più strette con il nuovo membro dei BRICS, l’Indonesia, nell’ambito di una strategia militare alternativa (senza aumento del bilancio della difesa per Roggeveen, con un aumento sostanziale al 3-4% del PIL per White), essi sostengono il mantra di Keating sulla necessità di “tagliare la corda” con gli Stati Uniti.

Hanno ragione, anche se la questione non è semplicemente militare, ma piuttosto l’imperialismo del XXI secolo in transizione: L’ascesa della Cina, i BRICS e il Sud globale, e la sopravvivenza egemonica dell’America. Con o senza l’alleanza con gli Stati Uniti, l’Australia rimane indifesa contro qualsiasi potenziale attacco nella regione più nuclearizzata del mondo. Nessuna prova che la Cina sia una minaccia militare per l’Australia è mai stata presentata dai sostenitori di AUKUS, il partenariato di sicurezza trilaterale tra Australia, Regno Unito e Stati Uniti per contrastare la “minaccia cinese”.

La sicurezza della Cina si basa sulla dottrina della distruzione reciprocamente assicurata, che dovrebbe preoccupare i pianificatori di sicurezza statunitensi. I sottomarini cinesi dovrebbero aggirare i sottomarini statunitensi prima di poter raggiungere quelli australiani, anche se questi ultimi non sarebbero in funzione prima di qualche tempo dopo il 2040. La realtà è che sono gli Stati Uniti a cercare di contenere la Cina, non viceversa. Come sostiene Keating, la minaccia che la Cina rappresenta è la sua semplice esistenza e l’incapacità dell’America di controllarla e intimidirla come fa con l’Europa e i suoi alleati.

Per quanto riguarda la “coercizione economica”, i sostenitori dell’AUKUS sostengono che la Cina potrebbe un giorno voler “bloccare” l’Australia, “affossare il commercio” o altre brutte sorprese. Ma questo dimostra il prezzo che l’Australia deve pagare per l'”amicizia” dell’America. La Cina è il principale partner commerciale dell’Australia e Canberra è costretta a minare i propri interessi economici e a rinunciare alla propria sovranità politica per la politica di insicurezza degli Stati Uniti “senza fare domande”. L’Australia sarebbe più sicura se si impegnasse nei fatti, e non solo a parole, a rispettare la politica di una sola Cina,[6] e a lasciare che le guerre americane siano combattute dagli americani.

Un’argomentazione comunemente avanzata dagli “America firststers” è che l’Australia ha sempre fatto affidamento sui suoi grandi e potenti amici.[7] Ciò non tiene conto dei cambiamenti sismici che stanno avvenendo oggi, tra cui il declino dell’influenza americana. Ciononostante, esistono numerose potenze intermedie e regionali che sarebbero più che felici di accogliere gli interessi australiani, come i Paesi BRICS. Sia nel Nord che nel Sud del mondo, la cooperazione in materia di sicurezza ha una lunga storia nell’ambito della politica strategica australiana.[8] Ad esempio, l’India mantiene un “partenariato strategico speciale e privilegiato” con la Russia, e sia l’India che la Cina sono membri dei BRICS, ma fa anche parte del “QUAD”, o Dialogo Quadrilaterale sulla Sicurezza, composto da Stati Uniti, Australia, India e Giappone. C’è poi l’ASEAN, dove l’Australia troverebbe sostegno per una posizione equilibrata nella rivalità USA-Cina. E se per alcuni è troppo complicato, c’è l’opzione neozelandese di essere “disarmati e indipendenti”.[9] La Cina non ha invaso la Nuova Zelanda. Non è difficile andare d’accordo, se pensiamo fuori dagli schemi del “ma abbiamo sempre fatto affidamento sui nostri grandi e potenti amici”.

Il punto evidente, tuttavia, è che l’Australia si troverebbe in una posizione di gran lunga migliore rispetto alla maggior parte degli altri Paesi. La paura della Cina deriva dagli Stati Uniti e, storicamente, dal Giappone militarista. Raggiungere un accordo con la Cina sarebbe una polizza assicurativa più sostenibile di quella che sostiene le guerre degli Stati Uniti. La paura di chi sostituirà gli Stati Uniti o se l’Australia possa esistere in modo indipendente verrebbe eliminata, così come la paura artificiale della Cina. Le forze armate statunitensi, il Pentagono e il Congresso sono ossessionati dal fatto che <1>una guerra contro la Cina è “probabile” nel 2027.

Riunione di rilancio: Gli Stati Uniti possono tenere a bada la sfida?

Il crescente slancio e l’influenza dei Paesi BRICS sollevano interrogativi su un ordine mondiale in rapido mutamento. Vi sono alcuni che ritengono che gli Stati Uniti non siano in declino e che le forze “revisioniste” all’interno del Sud globale non rappresentino una minaccia sostanziale al dominio statunitense. Per questi autori, c’è stato solo un leggero declino, con gli Stati Uniti che sono rimasti “parzialmente unipolari”.[10] I fattori di fondo che i “rinnovatori” come Joseph Nye e altri indicano sono i vantaggi competitivi dell’America: la geografia, il dominio del dollaro, la produttività e le sfide demografiche della Cina.

I rinnovatori sottolineano il fatto che gli Stati Uniti sono circondati da due grandi oceani (l’Atlantico e il Pacifico) e da due vicini economicamente più piccoli: Messico e Canada, entrambi “amici”. La Cina, invece, ha un accesso limitato all’oceano e confina con grandi potenze, spesso ostili. Essi sostengono che, in termini economici, la produttività totale dei fattori del lavoro e del capitale della Cina è in calo, mentre la produttività degli Stati Uniti continua a crescere, rendendo così più facile per questi ultimi mantenere il primato nel PIL anche con tassi di crescita leggermente inferiori a quelli della Cina. Il potere degli Stati Uniti si basa su grandi istituzioni finanziarie transnazionali e sul ruolo internazionale del dollaro, profondamente radicato nei mercati dei capitali e nello Stato di diritto, tutti elementi che mancano alla Cina. La Cina sta vivendo un declino demografico e si prevede che la sua forza lavoro la seguirà. Queste argomentazioni meritano di essere prese in considerazione. Ma ci sono potenti contrapposizioni.

In termini geopolitici, la Cina e i suoi alleati hanno intaccato questi vantaggi. La Cina, in particolare, ha accresciuto la propria influenza in tutta l’America Latina e i Caraibi (ALC), stabilendo la propria egemonia nel “cortile di casa” degli Stati Uniti e diventando il principale partner commerciale del Sud America e il secondo dell’America Centrale, oltre a rafforzare i propri legami militari con molti Paesi, tra cui Venezuela, Nicaragua e Cuba.[11] In particolare, le esportazioni totali dagli Stati Uniti e da altri mercati tradizionali verso l’America Latina e i Caraibi sono previste in diminuzione nei prossimi 15 anni.

Inoltre, la Cina ha cercato di creare “vantaggi” simili nel suo “cortile di casa”. Ad esempio, si è adoperata per garantire che il suo confine marittimo (ad esempio, il Mar Cinese Meridionale) sia sotto il suo controllo. I BRICS sono un’alleanza tra la Cina e alcuni dei suoi vicini – India e Russia – che favorisce l’obiettivo della Cina di avere relazioni amichevoli con i suoi vicini. Dalla sconfitta degli Stati Uniti e della NATO in Afghanistan nel 2021, la Cina ha sempre più dominato l’Asia centrale, l’altro suo confine.[12] Tutto ciò significa che la Cina sta creando un vantaggio geografico simile a quello degli Stati Uniti. Sul fronte militare, una sconfitta degli Stati Uniti e della NATO in Ucraina cementerà la Cina come potenza dominante in Eurasia, con la Russia come partner minore, consentendo alla Cina di proiettare il suo potere a livello globale in diretta competizione con gli Stati Uniti.[13] Nell’Asia-Pacifico, l’influenza economica e politica della Cina ha superato quella degli Stati Uniti, con legami diplomatici e militari in crescita in tutta la regione.

In termini economici, l’idea che la produttività totale dei fattori del lavoro e del capitale in Cina sia diminuita, mentre la produttività negli Stati Uniti continua a crescere, dipinge un quadro impreciso. L’economia cinese è rallentata ma non sta fallendo; il suo tasso di crescita del PIL per il 2024 era del 4,8%, quasi doppio rispetto a quello degli Stati Uniti, pari al 2,8%.[14] Gli Stati Uniti sostengono che il successo della Cina si basa sul furto, ma la Cina ha dimostrato di poter superare gli Stati Uniti facendo di più con meno, primeggiando in trentasette delle quarantaquattro tecnologie critiche.[15]

La tecnologia DeepSeek AI serve a ricordare che la Cina è sulla buona strada per diventare il centro della “quarta rivoluzione industriale”,[16] principalmente incentrata sull’autosufficienza e sulla creazione di infrastrutture in grado di facilitare la propria ricerca e sviluppo. Minacciare Taiwan con tariffe del 100% sulle sue esportazioni di semiconduttori per spingere i produttori di chip taiwanesi a trasferire le loro fabbriche negli Stati Uniti rischia di vantaggiare la Cina e isolare gli Stati Uniti. Inoltre, la maggior parte degli ingegneri taiwanesi è impiegata in Cina per lavorare sui semiconduttori che producono microchip essenziali per la ricerca e lo sviluppo cinese.

Gli economisti occidentali sostengono che la risposta al calo della popolazione e della forza lavoro siano le macchine e i robot per aumentare la produttività totale. La Cina guida qui con oltre 290.000 installazioni di robot nel 2022, ovvero il 52% di tutti i robot industriali nel 2022 e il tasso di sostituzione dei lavoratori più veloce al mondo.

La creazione di una valuta dei BRICS come alternativa al dollaro USA rimane un progetto a lungo termine, con notevoli sfide logistiche e temporali. Il dollaro USA esercita un potere economico, con il 60% delle riserve valutarie detenute in dollari, e questo avvantaggia enormemente gli Stati Uniti, che storicamente hanno usato questa posizione per opprimere gli altri che non sono disposti a permettergli di dominarli (ad esempio Cuba, Iran, Venezuela). La moneta proposta dai BRICS si presenta come un’alternativa a questa norma. Con i dazi proposti che probabilmente faranno salire il tasso di cambio del dollaro USA, i Paesi che hanno debiti in dollari vedranno aumentare il valore dei loro debiti nelle loro valute locali. Il Sud globale dovrà affrontare dure misure di austerità, inflazione dei prezzi, disoccupazione e caos sociale, oppure sospenderà i pagamenti dei debiti esteri denominati in dollari. Questo fa il gioco dei Paesi BRICS, che cercano di creare un’alternativa, mentre gli Stati Uniti cercano di cannibalizzare le industrie “amiche” per rafforzare il loro potere nazionale, mettendo “l’America al primo posto”.

Gli Stati Uniti hanno grandi difficoltà a sganciare la propria economia dalla dipendenza globale dalle catene di fornitura, nonostante Nye e altri rinnovatori credano che l’elezione di Trump possa rappresentare un punto di svolta in questo senso. L’industria manifatturiera statunitense non può “abbandonare” la Cina in tempi brevi, e la delocalizzazione della produzione altrove (nei Paesi BRICS o ASEAN) non sta riportando l’industria manifatturiera negli Stati Uniti. L’Occidente continua a fare affidamento sulle linee di produzione cinesi e la Cina, con i suoi 1,4 miliardi di persone, produce un numero di laureati in materie scientifiche dieci volte superiore a quello degli Stati Uniti.

Nonostante il dominio del dollaro, le relazioni valutarie globali potrebbero finalmente cambiare. Il debito nazionale degli Stati Uniti, pari a 36.000 miliardi di dollari, sta rendendo il dollaro molto poco attraente per i suoi destinatari. La Cina sta producendo e comprando oro mentre vende le sue obbligazioni statunitensi – 400 miliardi di dollari finora – con l’obiettivo di stabilire lo yuan e il renminbi (compreso un progetto di yuan digitale) come valute di riferimento per l’economia globale e di espandere l’influenza di Pechino attraverso la BRI. Se gli Stati Uniti dovessero in qualche modo mantenere il loro dominio o rallentare il loro declino, ciò sarebbe dovuto soprattutto al fatto che le potenze dominanti hanno il vantaggio di essere già al vertice e possono quindi estendere il loro potere per decenni – o in tempi antichi, per secoli – di sovraestensioni e declino interno. Ma l’argomentazione del rinnovatore è spesso blanda e propagandistica.

Tuttavia, nessuna delle due parti è esente da difficoltà. Per gli Stati Uniti, la difficoltà di tenere le redini di un impero ereditato dagli inglesi e modificato a propria immagine e somiglianza sta nel rendersi conto dei propri limiti con una popolazione inquieta e divisa. Da parte della Cina, c’è la realtà della crescente dimensione e del dissenso del gruppo BRICS. Non si può negare che le rivalità imperialiste, e le aspiranti tali, esistano anche nelle Nazioni Unite, nell’UE e nell’OMC. Cina, India e Russia sono concorrenti, ma tutti i sostenitori dei BRICS desiderano essere ascoltati e vedono i BRICS come un mezzo per costruire stabilità e cooperazione.[17]

Il BRICS ha iniziato solo di recente ad accettare nuovi membri e la visione “multipolare” è anche un codice per l’idea che il Sud globale voglia avere più voce in capitolo negli affari mondiali. Questa è una cattiva notizia per coloro che desiderano un imperium anglo-americano “infinitum” – un sentimento antistorico. La Cina preferirebbe essere accettata come pari agli Stati Uniti, ed è per questo che la forza dei BRICS risiede nella sua capacità di integrare una serie eterogenea di Paesi non completamente allineati. Per contrastare l’egemonia degli Stati Uniti, è necessario che le organizzazioni internazionali siano sciolte per affrontare le complesse questioni globali, dal cambiamento climatico alla fame, in un mondo in transizione. Aspettarsi un’unità coerente in qualsiasi contesto democratico in un momento di crescente polarizzazione significa mancare la foresta per gli alberi.

Il punto, tuttavia, è che il BRICS è solo una delle tante istituzioni “liberali” che sostengono la BRI cinese, il che, data l’assenza di una mappa ufficiale della BRI redatta dalla RPC, fornisce una “utile sfumatura”.[18] È improbabile che il BRICS aumenti o meno i suoi membri nel prossimo futuro (ad es.L’adesione del Venezuela è stata osteggiata dal Brasile, quella della Turchia e del Pakistan dall’India), poiché i BRICS riflettono uno spostamento dell’economia politica globale dagli Stati Uniti alla RPC. Nel frattempo, gli antagonismi e i conflitti in corso negli Stati Uniti rischiano di spingere gli “amici e alleati” statunitensi ad avvicinarsi alla Cina. Questo non richiede l’adesione ai BRICS e il Sud globale non ha bisogno di essere convinto.

La visione del mondo “multipolare” nasconde una più profonda rivalità inter-imperialista tra Stati Uniti e Cina, dove entrambe le parti stanno dando il massimo, ma una si sta affermando come forza stabilizzatrice mentre l’altra sta declinando e persino deindustrializzando nonostante l'”ottimismo del mercato” e la sua insistenza su un mondo unipolare e sul dominio. Gli Stati Uniti non possono tornare al loro periodo di massimo splendore come potenza manifatturiera del XX secolo e Trump non porrà fine alle guerre americane, astronomicamente costose e redditizie. Gli Stati Uniti restano la potenza imperialista dominante, ma la Cina è la principale potenza in ascesa che gioca il “gioco lungo”. Anche se le alleanze statunitensi rimangono intatte, ne stanno emergendo di nuove che superano l'”Occidente collettivo”. Gli Stati Uniti devono accogliere i loro rivali come hanno fatto in passato o affrontare un ulteriore declino.[19]

Conclusione: Il punto di non ritorno?

Nella storia dell’imperialismo nulla è inevitabile, solo nuovi imperialismi e, a volte, rivoluzioni. C’è un complesso intreccio di fattori che determinerà se gli Stati Uniti saranno in grado di arrestare il loro declino e godere di stabilità, o se scenderanno nel caos. Il paese ha un margine di manovra, ma le tendenze di fondo mostrano che Washington è a corto di idee.

L’imperialismo del XXI secolo non significa una “rottura netta” con l’imperialismo statunitense, ma una transizione in corso nel sistema dell’imperialismo. Lo studio dell’imperialismo del XXI secolo è un’esplorazione critica della forza economica, finanziaria e militare generale delle grandi potenze e della loro riconfigurazione. Nel caso dei BRICS, si tratta di uno studio dell’economia politica del declino degli Stati Uniti, che si trovano di fronte a due importanti punti di svolta: come gestire la sconfitta della NATO in Ucraina e come tenere a bada la sfida della Cina, anche nel proprio “cortile”.

La Cina favorisce un approccio sfumato nei confronti dell'”Occidente”, basato sul multilateralismo e sul “libero scambio”. Un approccio non conflittuale garantisce la conquista di un maggior numero di Paesi. La Cina sa che un approccio non conflittuale è il modo migliore per attrarre più Paesi e conquistare cuori e menti nel Sud globale, solidificando i BRICS come forza per una governance globale più social-imperialista. Stiamo assistendo a momenti cruciali in processi molto più ampi di raggiungimento di una “multipolarità” equilibrata.

Il Sud globale è stato minacciato dall’imperialismo statunitense con un’escalation di violenza e guerra economica. Lo spostamento dell’economia politica globale dagli Stati Uniti alla RPC e la trasformazione del sistema internazionale sono difensivi per disegno. La Russia e l’Iran hanno stretto un patto di sicurezza. Ci sono anche la Cina e la Corea del Nord. Gli impianti nucleari e le raffinerie di petrolio in Medio Oriente e in Europa sono minacciati.

Se l’Australia segnalasse l’abbandono della rivalità tra Stati Uniti e Cina o si impegnasse semplicemente all’imparzialità, un approccio di questo tipo funzionerebbe favorevolmente con il suo isolamento geografico e la mancanza di un reale interesse a scontrarsi con la Cina.[20] L’Australia si è “fabbricata un problema” con il suo cieco allineamento agli Stati Uniti. La Cina sostiene, piuttosto che minare, l'”ordine liberale” delle “istituzioni internazionali – ONU, FMI, OMC e OMS“. La massima del defunto Henry Kissinger, secondo cui essere nemici dell’America è pericoloso, mentre essere suoi amici è fatale, è pertinente in questo caso.

I pensatori critici non dovrebbero essere costretti a scegliere da che parte stare in una confusa (anche se funzionale al potere) mentalità da guerra fredda americana del XX secolo tra “Oriente” e “Occidente”, “democrazia” e “autoritarismo”, “bene” e “male”. Non dobbiamo sottovalutare o gonfiare l’ascesa della Cina o il declino degli Stati Uniti. Soprattutto, dobbiamo sviluppare le nostre voci sull’imperialismo, anche se ciò significa resistere alle pressioni ideologiche rappresentate da coloro che hanno un interesse personale nella competizione per l’imperialismo del XXI secolo.

Trump rappresenta una nazione a un bivio che si trova di fronte a due scelte: Impero o Repubblica. Non c’è molto che indichi che i problemi politici e sociali interni dell’America stiano scomparendo e non c’è nulla che indichi che alla Casa Bianca si presenterà una vera alternativa in grado di riportare gli Stati Uniti verso una Repubblica. Ciò richiederebbe un grande cambiamento nella politica degli Stati Uniti che si estenda a diverse presidenze per rendere “l’America di nuovo grande”. Tuttavia, queste stesse parole indicano l’inevitabile paradosso dell’arroganza imperiale, che dice la verità al potere ma alla fine nega la realtà stessa. Gli Stati Uniti sono diventati una potenza imperialista grazie alla violenza e al saccheggio e Trump, come i suoi predecessori, si è circondato di falchi, non di colombe. Nel grande schema della storia mondiale, tuttavia, il grande cambiamento nell’egemonia degli Stati Uniti è già iniziato e Trump sarà visto come il sintomo, non la causa, del declino statunitense.

Ci troviamo di fronte alla tirannia del conflitto insensato e a un pericoloso imperialismo del XXI secolo in fase di transizione. Siamo entrati in una nuova era degli affari mondiali, con una forma aggressiva e instabile (anche se “altamente sviluppata”) di capitalismo globale che è in rapida transizione attraverso l’imperialismo: una battaglia tra la spada arrugginita dell’Occidente e il libretto degli assegni della BRI cinese. Ma la Cina è una potenza economica e un elemento centrale del sistema che gli stessi Stati Uniti hanno contribuito a costruire nel XX secolo. Gli Stati Uniti non accettano il multipolarismo senza combattere. L’Occidente deve marciare in difesa di un impero che sta invecchiando e implodendo e che è allo sbando?


[1] Secondo il Bulletin of the Atomic Scientists, che ha coniato il termine, il nuovo anormale è una “nuova normalità” che non è ciò che la normalità significava un tempo, ma è semplicemente ciò che la vita è ora. Naturalmente, nulla di ciò che sta accadendo oggi è “nuovo” per i pensatori critici, ma solo potenzialmente insolubile.

[2] Alla domanda sui Paesi della NATO come la Spagna che non impegnano almeno il 2% del loro PIL nella difesa, Trump ha creduto che la Spagna fosse un membro dei BRICS.

[3] Pete Hegseth, Segretario alla Difesa di Trump, ha faticato a nominare un solo membro dell’ASEAN durante l’udienza di conferma al Senato, nominando invece Corea del Sud, Giappone e “AUKUS con l’Australia”.

[4] Per gli ultimi sviluppi, vedere DeepSeek.

[5] Questo include anche diciassette membri dell’UE e otto Paesi del G20.

[6] Il 1° gennaio 1979, gli Stati Uniti riconobbero la RPC come “unico governo legale della Cina” – la Politica di una sola Cina. Tuttavia, iniziarono le “relazioni non ufficiali” e la vendita di armi a Taiwan.

[7] Brendan Taylor, “Searching for a new Great and Powerful Friend?”, in After American Primacy: Imagining the Future of Australia’s Defence, Peter J. Dean, Stephan Frühling e Brendan Taylor (eds.), Melbourne: Melbourne University Publishing, 2019.

[8] A. Carr e C. Roberts, “Security With Asia?”, in After American Primacy: Imagining the Future of Australia’s Defence, Peter J. Dean, Stephan Frühling e Brendan Taylor (eds.), Melbourne: Melbourne University Publishing, 2019.

[9] R. Ayson, “Unarmed and independent?: The New Zealand option”, in After American Primacy: Imagining the Future of Australia’s Defence, Peter J. Dean, Stephan Frühling e Brendan Taylor (eds.), Melbourne: Melbourne University Publishing, 2019; Albert Palazzo, From Dependency to Armed Neutrality: Future Options for Australian National Security, Canberra: ANU Press, 2018.

[10] In un’intervista ai media, Marco Rubio ha affermato che “non è normale per il mondo avere semplicemente una potenza unipolare. Quella non è stata un’anomalia. È stato un prodotto della fine della Guerra Fredda, ma alla fine si sarebbe tornati a un punto in cui c’era un mondo multipolare, con più grandi potenze in diverse parti del pianeta. Oggi lo affrontiamo con la Cina e in parte con la Russia, e poi ci sono Stati canaglia come l’Iran e la Corea del Nord con cui bisogna fare i conti”.

[11] Oliver Villar, “Nel cortile di chi? Cina e America Latina nella catena imperialista”, Critique: Journal of Socialist Theory, 51(2-3), 2024, pp 399-414.

[12] Geoff Raby, Great Game On: The Contest for Central Asia and Global Supremacy, Melbourne: Melbourne University Press, 2024.

[13] Glenn Diesen, The Ukraine War & the Eurasian World Order, Atlanta: Clarity Press, 2024. Discutendo del futuro dell’Ucraina, Trump ha affermato che la Russia dovrebbe essere invitata nuovamente al G7/8 e che è stato un errore espellerla, sostenendo che Mosca non avrebbe invaso l’Ucraina se avesse avuto ancora un posto a tavola.

[14] Tutte le altre economie del G7 erano inferiori agli Stati Uniti. Il Giappone era appena sopra lo zero e la Germania era in negativo. Per quanto riguarda i BRICS, il Brasile si è attestato al 3%, la Russia al 3,6% e l’India al 7%, quasi tre volte il tasso di crescita degli Stati Uniti. Il Sudafrica ha registrato una crescita bassa, pari all’1,1%, ma positiva.

[15] Il think tank Information Technology and Innovation Foundation ha rilevato che la Cina è leader o competitiva a livello globale in cinque dei nove settori ad alta tecnologia – robotica, energia nucleare, veicoli elettrici, intelligenza artificiale e calcolo quantistico – e sta rapidamente recuperando in altri quattro: prodotti chimici, macchine utensili, biofarmaci e semiconduttori. Un’analisi di Bloomberg ha identificato la Cina come leader o competitiva a livello globale in dodici dei tredici settori ad alta intensità tecnologica.

[16] Glenn Diesen, Great Power Politics in the Fourth Industrial Revolution: The Geoeconomics of Technological Sovereignty, Londra: Bloomsbury, 2022.

[17] Ad esempio, il Corridoio internazionale di trasporto Nord-Sud (INTSC), una rete di 7.200 chilometri di rotte navali, ferroviarie e stradali per il trasporto di merci tra India, Iran, Azerbaigian, Russia, Asia centrale ed Europa, collegherà il Sud globale a circuiti commerciali e mercati lucrativi precedentemente non sfruttati. I suoi principali finanziatori sono la Russia, l’Iran e l’India, ed è una creazione del “multipolarismo” dei BRICS. Comprende tredici Paesi (tra cui Azerbaigian, Bielorussia, Armenia, Kazakistan, Kirghizistan, Oman, Siria, Tagikistan, Turchia, Ucraina e il nuovo membro Pakistan) e rappresenta una forza di controbilanciamento piuttosto che di antagonismo. Il meccanismo generale che le permette di operare è il BRI, che fa parte dell’impulso geoeconomico del partenariato strategico Cina-Russia. La Cina sta sviluppando partenariati commerciali interconnessi mentre Cina, Russia, India e Iran diventano la vera “QUAD” dell’Eurasia.

[18] Thomas P. Narins e John Agnew, “Missing from the map: Chinese exceptionalism, sovereignty regimes and the Belt Road Initiative”, Geopolitics, 25(4), 2020, pp 809-839.

[19] Al momento in cui scriviamo, ci sono segnali che indicano che Trump potrebbe essere disposto a normalizzare le relazioni con la Russia come parte dei negoziati di pace a Riyadh per porre fine alla guerra in Ucraina, e ci sono segnali di potenziali futuri colloqui con Russia e Cina sulle armi nucleari. Trump ha dichiarato: “A un certo punto, quando le cose si saranno calmate, incontrerò la Cina e la Russia, in particolare queste due, e dirò che non c’è motivo di spendere quasi mille miliardi di dollari per le forze armate… e dirò che possiamo spenderli per altre cose”.

[20] B. Thorhallsson e S. Steinsson, “Small state foreign policy”, in Oxford Research Encyclopedia of Politics, William R. Thompson (a cura di), Oxford: Oxford University Press, 2017; A. Wivel, “The grand strategy of small states”, in The Oxford Handbook of Grand Strategy, Thierry Balzacq and Ronald R. Krebs (eds), Oxford: Oxford University Press, 2021.

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Informazioni sull’autore

Oliver Villar

Oliver Villar insegna politica internazionale e sociologia alla Charles Sturt University. Il suo lavoro esplora le relazioni internazionali e l’economia politica internazionale e ha scritto molto sull’imperialismo statunitense. Il suo libro, scritto insieme a Drew Cottle, è Cocaina, squadroni della morte e guerra al terrore: US Imperialism and Class Struggle in Colombia, pubblicato da Monthly Review (2011). Il suo attuale progetto di ricerca indaga il tema della rivalità inter-imperialista nel XXI secolo.

La follia del realismo, a cura di Mick Ryan

La follia del realismo

Un colloquio con Alexander Vindman sul suo nuovo libro “La follia del realismo”. Il suo libro esplora la preparazione all’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia nel 2022, la politica degli Stati Uniti e le implicazioni della guerra.

Mick Ryan31 maggio
 Un compendio dei principi ispiratori e delle motivazioni che hanno guidato le politiche aggressive delle leadership demo-neoconservatrici nel mondo e in particolare contro la Russia. Un rovesciamento strabiliante della realtà cui porta inesorabilmente una visione dogmatica. Un vicolo cieco dal quale difficilmente riusciranno a cavarsi le attuali classi dirigenti occidentali. Giuseppe Germinario
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L’Ucraina è attualmente un terreno di prova per l’aggressione russa, ma questo terreno può spostarsi in Moldavia, in Lettonia, in Finlandia e oltre, nel Pacifico, in Cina e a Taiwan. Se ciò dovesse accadere, avremo bisogno di un modo duro e chiaro di rispondere. A tal fine, abbiamo bisogno di una visione condivisa: una base per riflettere sulle nostre risposte, ben prima del momento in cui sarà necessaria un’azione decisiva. Alexander Vindman, La follia del realismo

Di recente ho avuto l’opportunità di leggere l’eccellente nuovo libro di Alexander Vindman, The Folly of Realism.

Nel 2019, Alexander Vindman è stato tenente colonnello dell’esercito degli Stati Uniti con l’incarico di direttore del Consiglio di sicurezza nazionale per l’Europa orientale, il Caucaso e la Russia. Come ha descritto in seguito le sue responsabilità, “il mio ruolo era quello di coordinare tutte le politiche diplomatiche, informative, militari ed economiche per la regione, attraverso tutti i dipartimenti e le agenzie governative”.

Nel luglio di quell’anno, nell’ambito delle sue mansioni, Vindman ha ascoltato una telefonata tra il presidente ucraino, Volodymyr Zelenskyy, e il primo presidente Trump. Durante la telefonata, Trump ha chiesto a Zelenskyy di trovare prove incriminanti contro la famiglia Biden.

Vindman si è trovato di fronte a un enorme dilemma morale. Mantenere la segretezza delle comunicazioni presidenziali era più importante che riferire ciò che riteneva fosse una richiesta altamente impropria da parte di un presidente in carica affinché un governo straniero indagasse su un cittadino statunitense e un avversario politico? Ha preso la decisione moralmente coraggiosa di riferire la telefonata.

Il suo rapporto, insieme a una serie di altre prove, ha portato all’inchiesta sull’impeachment della Camera (è possibile leggere gli articoli dell’impeachment qui) e al successivo impeachment di Trump da parte della Camera dei rappresentanti. Trump è stato successivamente ritenuto non colpevole dal Senato degli Stati Uniti.

Da allora la vita di Vindman ha preso una traiettoria diversa.

Non molto tempo dopo essersi ritirato dall’esercito americano, Alexander ha pubblicato il suo libro, Here Right Matters. Si trattava della storia della sua infanzia, del suo servizio nell’esercito statunitense e del suo servizio nel Consiglio di sicurezza nazionale fino a quella telefonata del luglio 2019.

Il suo ultimo libro, che è diventato un bestseller del New York Times, esamina la politica americana nei confronti della Russia e dell’Ucraina. È anche un’esplorazione delle svolte della politica statunitense verso la Russia dalla fine della Guerra Fredda, oltre che una lezione sulla storia moderna dell’Ucraina.

Vindman sostiene che dalla fine della Guerra Fredda, l’America ha dato priorità alle relazioni con la Russia a scapito di quelle con l’Ucraina. Ciò ha comportato l’accettazione degli attacchi russi all’Ucraina, giustificati dalla filosofia del “realismo”, una teoria sostenuta da John Mearsheimer che sostiene che gli Stati Uniti devono impegnarsi nel perseguimento a sangue freddo dei propri interessi nazionali. Relazioni stabili con grandi potenze come la Russia e la Cina hanno la priorità sulle esigenze delle nazioni più piccole.

In The Folly of Realism, Vindman propone che questo approccio ha palesemente fallito con la Russia e probabilmente fallirà anche con la Cina. Un approccio alternativo proposto da Vindman è quello di adottare la politica che Ben Tallis ha recentemente descritto come neo-idealismo. Come ha scritto Tallis a proposito di questo concetto:

Si tratta di un approccio che può non solo difendere, ma anche rinnovare le nostre società libere e contribuire a diffonderne i valori. Il primo pilastro, il primato dei valori, riflette l’approccio alla geopolitica basato sulla morale del neo-idealismo, che concepisce i valori liberaldemocratici fondamentali come ideali a cui tendere e li considera i nostri interessi più fondamentali. Da questo primato di valori deriva la necessità di: prontezza militare, internazionalismo efficace, realismo geoeconomico, dinamismo inclusivo, modernizzazione ecologica, futurismo democratico e coesione sociale. Combinando questi principi, il neo-idealismo offre un approccio che affronta le minacce interne ed esterne alle nostre democrazie e ci permette di sfruttare le varie fonti del nostro potere.

Vindman scrive nel suo libro a proposito di questo concetto che:

Più in linea con i valori americani rispetto al realismo, e più letteralmente realistico nel raggiungere la stabilità a lungo termine e nel garantire gli interessi vitali americani, il neo-idealismo sta emergendo come un nuovo modo di pensare alle relazioni estere… Il neo-idealismo si discosta quindi nettamente dai recenti approcci alla politica estera che apparentemente rifiutano le basi transazionali a breve termine del realismo, ma che si sono rivelati, alla fine, semplicemente fantasiosi, spesso con risultati disastrosi.

Per approfondire il libro, di recente ho posto diverse domande all’autore. Di seguito potete leggere le sue risposte.

1. Il libro è in gran parte il prequel dell’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia del febbraio 2022. Può spiegare perché ha deciso di trattare gli antefatti della guerra (visto che è iniziata nel 2014) piuttosto che gli aspetti successivi al febbraio 2022?

Ho scritto questo libro per capire come siamo arrivati a un momento così tragico e destabilizzante negli affari globali. L’invasione su larga scala del 2022 non è iniziata nel vuoto: è stata il culmine di decenni di decisioni, errori di calcolo e politiche permissive. È impossibile comprendere le dinamiche dell’attuale guerra senza esaminare le storie intrecciate dell’Ucraina e della Russia e le politiche perseguite dagli Stati Uniti, dai suoi alleati europei e dalla stessa Russia dopo la Guerra Fredda.

Per oltre 35 anni, le amministrazioni statunitensi che si sono succedute, sia democratiche che repubblicane, hanno perseguito una politica “Russia First” che ha di fatto ceduto a Mosca una sfera di influenza sui nuovi Stati indipendenti dell’Europa orientale e dell’Eurasia. Invece di promuovere una strategia globale basata su valori condivisi e su un allineamento strategico a lungo termine, l’Occidente ha scelto la stabilità a breve termine e la diplomazia transazionale. Questo approccio ha sostenuto le ambizioni egemoniche della Russia ed è stato giustificato da una combinazione di ottimismo mal riposto sul fatto che la Russia si sarebbe “normalizzata” e dal timore di un caos geopolitico o di una nuova rivalità in caso di collasso della Russia.

Queste politiche occidentali mancavano di determinazione strategica e hanno contribuito a radicare l’Ucraina in una zona grigia geopolitica – tenuta fuori dalla NATO ma inequivocabilmente staccata dall’orbita di Mosca. La mia decisione di concentrarmi sul periodo 1991-2022 riflette anche le mie esperienze personali e professionali: Ho prestato servizio militare durante la Rivoluzione arancione e ho lavorato presso l’Ambasciata degli Stati Uniti a Kiev dal 2009 al 2010 e presso l’Ambasciata a Mosca durante il periodo di Euromaidan. Ho osservato in prima persona i cambiamenti politici e strategici che hanno dato forma alla svolta verso ovest dell’Ucraina e alla crescente belligeranza della Russia.

Questo libro parla dei segnali di allarme che ci sono sfuggiti e dei fallimenti politici che non dobbiamo ripetere. Sebbene la guerra dal 2022 abbia giustamente attirato un’immensa attenzione, il mio obiettivo è aiutare i lettori a comprendere le radici più profonde dell’aggressione russa, la resistenza duratura dell’Ucraina e il ripetuto fallimento dell’Occidente nel dissuadere Mosca.

2. Lei conduce un esame dettagliato e molto equilibrato dell’Ucraina nel periodo precedente l’invasione russa del 2022. Perché ritiene che questo contesto sia importante per comprendere il corso della guerra?

Nei mesi precedenti l’invasione, ho sollecitato privatamente l’amministrazione Biden e pubblicamente le sanzioni, il cambio di posizione in Europa e la necessaria assistenza militare all’Ucraina. Vedevo la guerra in arrivo con una chiarezza che, purtroppo, mancava a molti nell’establishment della sicurezza nazionale. Questa lungimiranza non derivava da congetture, ma dalla comprensione degli imperativi e delle percezioni della Russia.

La Russia ha interpretato la tiepida risposta occidentale alla Crimea e all’Ucraina orientale come un via libera. Lo stesso territorio conquistato nel 2014 è diventato una piattaforma di lancio per l’invasione del 2022. Mosca ha ipotizzato, con qualche giustificazione, che l’Occidente avrebbe esitato ancora una volta. Putin riteneva di avere una finestra ristretta per riaffermare con decisione il controllo sull’Ucraina prima che questa consolidasse completamente il suo orientamento occidentale.

I fattori interni erano altrettanto importanti. Alla fine del 2021, l’Ucraina si era ripresa dallo shock politico del 2014, aveva stabilizzato le sue istituzioni democratiche e stava proseguendo la sua integrazione con l’Occidente. Per Putin, l’emergere di un’Ucraina stabile, democratica e in gran parte russofona allineata all’Europa era intollerabile. Le considerazioni non derivavano essenzialmente da un dilemma di sicurezza, ma dalla perdita di un elemento centrale dell’ex impero russo e di una componente integrante dell’identità della Russia.

Un impegno occidentale più forte tra il 2014 e il 2021 – maggiore sostegno politico, cooperazione militare e una posizione di deterrenza credibile – avrebbe potuto rendere impensabile l’invasione. Invece, Washington e Bruxelles sono state colte di sorpresa e hanno dovuto affannarsi a fornire aiuti e imporre costi dopo che l’invasione era già in corso.

3. Dal suo libro emerge chiaramente che prima del 2022 c’era una generale riluttanza in Europa (e altrove) ad accettare che una guerra su larga scala fosse ancora possibile in Europa. Questo ha portato a diverse strategie di deterrenza e a diversi metodi per affrontare la Russia. Secondo lei, quanto è cambiata la situazione oggi?

Dal 2022, i Paesi europei hanno iniziato a ripensare la sicurezza in termini più ampi. Ora riconoscono più chiaramente il ruolo della coercizione economica, della dipendenza energetica, della disinformazione e del sabotaggio nella guerra moderna. Tuttavia, la preparazione militare rimane disomogenea e l’Europa manca ancora di una strategia di difesa coerente a livello continentale.

I militari europei si stanno riarmando. Stanno investendo in capacità associate alla guerra ad alta intensità – artiglieria, carri armati, difese aeree – e non solo all’antiterrorismo o al mantenimento della pace. Le tattiche ibride della Russia, dalle operazioni informatiche al sabotaggio della GRU, sottolineano l’urgenza. Il coinvolgimento di altre autocrazie – Corea del Nord, Iran – a sostegno della Russia ha messo a nudo le dimensioni globali della minaccia.

Nonostante questi progressi, il ritmo del riarmo rimane troppo lento, soprattutto perché gli Stati Uniti sembrano pronti a ridurre la loro presenza in Europa. Anche una futura amministrazione statunitense impegnata nella solidarietà transatlantica dovrà affrontare priorità globali diverse. L’Europa deve prepararsi non solo a difendersi, ma anche a contribuire in modo significativo alla stabilità in Medio Oriente, in Africa e nell’Indo-Pacifico e in un mondo in cui l’obiettivo principale degli Stati Uniti è la pianificazione e la preparazione alla guerra nel teatro del Pacifico.

4. Soprattutto nel primo anno di guerra, c’è stata una reticenza da parte dei governi statunitensi ed europei a fornire all’Ucraina sistemi d’arma come carri armati, sistemi di difesa aerea e artiglieria? Quale impatto pensa che questo abbia avuto sul calcolo strategico russo nei primi due anni di guerra e su quello ucraino?

La riluttanza occidentale a fornire armi avanzate nel primo anno di guerra ha permesso alla Russia di riprendersi dai primi insuccessi sul campo di battaglia e di passare a una strategia di logoramento. Il ritardo segnalò a Mosca che l’Occidente era esitante e avverso al rischio, rafforzando la convinzione che il tempo fosse dalla parte della Russia.

Una volta arrivati, gli aiuti hanno contribuito a livellare il campo di gioco. I sistemi statunitensi ed europei sono stati essenziali per consentire all’Ucraina di distruggere l’hardware russo e di mantenere il terreno. Tuttavia, la Russia ha mantenuto i vantaggi nei domini aereo e marittimo, nelle capacità missilistiche e nella forza lavoro. L’Ucraina ha risposto con innovazioni pionieristiche nella guerra con i droni e nelle tattiche asimmetriche, sfruttando l’ingegno più che la forza bruta per neutralizzare la flotta russa del Mar Nero, eliminare quasi del tutto il supporto aereo ravvicinato russo e neutralizzare la più grande forza di veicoli corazzati della Russia. La Russia mantiene ancora dei vantaggi nel fuoco d’artiglieria, negli attacchi a lungo raggio e nei bombardamenti tattici, ma queste capacità non sono decisive sul piano operativo o strategico.

Oggi, mentre c’è quasi parità in molti settori convenzionali, l’Ucraina deve ancora affrontare gravi carenze nell’artiglieria, nelle difese aeree, nelle capacità di attacco di precisione e, soprattutto, nella manodopera. La guerra è diventata una prova di resistenza e l’incoerenza dell’Occidente ha reso questa prova molto più difficile per l’Ucraina di quanto fosse necessario.

5. Lei illustra le ragioni per cui la politica degli Stati Uniti prima del 2022 aveva un approccio “Russia-first”. Può spiegare gli elementi chiave di questa politica e perché le amministrazioni statunitensi l’hanno abbracciata?

“Russia First” ha significato trattare la sfera di influenza di Mosca come legittima e tollerare la sua coercizione sugli Stati vicini. Riflette una realpolitik dell’epoca della Guerra Fredda, che vede la stabilità attraverso la sconfitta piuttosto che la deterrenza.

Questa mentalità razionalizza il dominio russo in Asia centrale, nel Caucaso e nell’Europa orientale, regioni che gli Stati Uniti hanno spesso ceduto a Mosca per gestirle. Per molti a Washington, questa posizione sembrava ridurre il confronto e prevenire l’escalation. In pratica, però, ha rafforzato il Cremlino e demoralizzato i partner che cercano di stringere legami più stretti con l’Occidente.

La controffensiva di Kharkiv del 2022 ha illustrato questo schema. Dopo la svolta ucraina, Washington ha rallentato gli aiuti militari e si è orientata verso una politica di “escalation gestita”, apparentemente per evitare la provocazione nucleare. Questa risposta, dettata dalla sciabolata russa, è stata emblematica della logica errata alla base del Russia First: premiare il ricatto nucleare e minare le conquiste ucraine.

6. L’ovvia domanda successiva è la seguente: dal gennaio 2025, gli Stati Uniti sono tornati a una politica “Russia-first”?

Sì, e con maggiore intensità. Le precedenti amministrazioni hanno permesso alla Russia di agire passivamente. La seconda amministrazione Trump lo sta facendo attivamente. La visione del mondo di Trump riduce gli affari globali a una competizione tra grandi potenze – Russia, Cina e Stati Uniti – ignorando la sovranità e gli interessi degli Stati più piccoli.

L’abbandono dell’Ucraina, il disimpegno dagli alleati europei e il ritiro dal processo di pace non sono solo errori; sono scelte che servono direttamente gli interessi russi. Sebbene possa sembrare una rottura con la politica del passato, in realtà si tratta di una forte accelerazione della stessa logica errata che ha definito le relazioni tra Stati Uniti e Russia per decenni.

7. Quali sono le prospettive di un accordo di pace con la Russia?

Rimango profondamente scettico, ma non privo di speranza. È improbabile che si raggiunga un accordo di pace valido prima della metà del 2026. L’amministrazione Trump è apertamente solidale con la Russia e Mosca è comprensibilmente ansiosa di vedere fino a che punto questo allineamento può arrivare.

Dal punto di vista militare, entrambe le parti stanno andando verso l’esaurimento. Un processo di pace potrebbe emergere dopo un’altra stagione di campagna elettorale, quando i costi diventeranno insostenibili. Dal punto di vista politico, tuttavia, sia Kiev che Mosca rimangono intransigenti. Zelenskyy non può accettare un accordo che premi l’aggressione russa – cercando una soluzione simile allo status quo ante del febbraio 2022 – e Putin non mostra alcuna volontà di ridurre le sue richieste di eliminare la sovranità dell’Ucraina.

La forte riduzione degli aiuti statunitensi potrebbe costringere l’Ucraina a una posizione più difensiva, ma il sostegno europeo e la produzione interna potrebbero compensare in qualche misura questa situazione. La sfida critica è rappresentata dalla difesa aerea, dalla capacità di attacco a lungo raggio e dal rifornimento dell’artiglieria. La situazione non diventerà critica prima di molti mesi e soprattutto in una condizione di congelamento dell’assistenza statunitense alla sicurezza. La capacità dell’Ucraina e dell’Europa di mantenere la condivisione dell’intelligence e l’assistenza alla sicurezza da parte degli Stati Uniti, espandendo al contempo gli acquisti diretti e la produzione interna per l’Ucraina, fornisce una forza di resistenza che la Russia non ha.

Inoltre, l’Ucraina è alla ricerca di un accordo significativo con garanzie occidentali per impedire alla Russia di riarmarsi e attaccare qualche anno dopo. Per costruire il sostegno europeo a tale accordo ci vorrà più di un anno.

Finora la diplomazia ha evitato l’esito peggiore: il completo abbandono dell’Ucraina da parte dell’Occidente. È possibile che il continuo impegno ucraino e la disponibilità al compromesso, così come l’intransigenza di Putin, possano convincere l’amministrazione Trump a spostare la politica dalla Russia. In questo scenario, sarà fondamentale inquadrare Putin, e non Zelenskyy, come ostacolo alla pace.

Ma questo risultato dipende da un cambiamento fondamentale nel modo in cui l’amministrazione intende il potere, la deterrenza e i costi dell’acquiescenza.

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Questo è un libro eccezionale, che ho letto con grande piacere. Fornisce un quadro molto accessibile e ben informato delle basi storiche della guerra in corso in Ucraina, nonché delle impostazioni politiche statunitensi che attualmente ostacolano negoziati di pace efficaci.

È un libro importante che dovrebbe essere letto da politici, ufficiali militari e dirigenti d’azienda. Vindman ha fornito una chiara diagnosi di alcune delle numerose sfide che attualmente si pongono alla politica estera americana e ha raccomandato un percorso verso un approccio più efficace per le interazioni degli Stati Uniti con il mondo.

La follia del realismo è pubblicato da Public Affairs (parte di Hachette Book Group) ed è uscito il 25 febbraio 2025

Gaza: Netanyahu tra isolamento e ipocrisie_Con Roberto Iannuzzi

Nell’alternarsi di incontri e trattative continua la pressione distruttiva e tragica di Israele su Gaza. Dalle ceneri, come un’araba fenice, Hamas sembra risorgere dai colpi costanti di IDF. Gli attacchi e l’assedio alla popolazione civile sono l’arma totale che Netanyahu intende utilizzare per risolvere il conflitto e allargare la presenza di Israele. Una ferocia insostenibile agli occhi dei suoi stessi alleati più stretti in un Medio Oriente nel quale il ruolo di Israele rischia sempre più il ridimensionamento. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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La fine del neoconservatorismo, di Peter van Buren

La fine del neoconservatorismo

Trump sta tracciando una nuova strada per la politica estera americana.

Peter van Buren

Peter Van Buren

26 maggio 202512:05

In quello che può essere definito un discorso di vittoria sulla fallimentare politica estera neoconservatrice, il presidente Donald Trump ha proclamato la fine di circa 30 anni di politica estera nel Medio Oriente. L’ideologia che ha trascinato gli Stati Uniti in guerre inutili, dalla Libia allo Yemen, è ora morta.A una conferenza sugli investimenti a Riyadh, in un discorso poco commentato dai media mainstream, Trump ha detto: “Alla fine, i cosiddetti costruttori di nazioni hanno distrutto molte più nazioni di quante ne abbiano costruite. E gli interventisti [sic] intervenivano in società complesse che nemmeno capivano”.Per la prima volta dalla prima guerra del Golfo negli anni ’90, l’America non sta combattendo in Medio Oriente. Trump ha organizzato un fragile cessate il fuoco con lo Yemen, dove più presidenti americani hanno condotto una guerra per procura contro l’Iran. Trump sta ritirando le truppe americane dalla Siria, è diventato il primo presidente americano in 25 anni a incontrare un leader siriano e ha annunciato, insieme al suo discorso, la fine delle sanzioni contro quel Paese. Sta finalmente negoziando con l’Iran per raggiungere una sorta di accordo nucleare che sostituisca quello che ha unilateralmente cancellato nel suo primo mandato. Il progresso non è sempre stato in linea retta, ma c’è stato.
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Basta guardare agli ultimi decenni per rendersi conto della differenza. Un tempo gli Stati Uniti sostenevano apertamente Saddam Hussein nella sua guerra contro l’Iran, causando migliaia di morti da entrambe le parti. Nel 1991, dopo l’invasione del Kuwait da parte di Saddam, gli Stati Uniti hanno invaso l’Iraq. L’Arabia Saudita era minacciata, salvata dalla guerra dall’intervento statunitense grazie alle sue riserve di petrolio, da cui gli Stati Uniti dipendevano a quel punto completamente. Negli spasmi neocon successivi all’11 settembre, l’America ha invaso l’Afghanistan e l’Iraq, lanciando un piano di nation-building in entrambi i Paesi per sostituire i governi nazionali con Stati fantoccio americani e le tradizioni islamiche locali con idee occidentali sulle donne e sulla società.Queste azioni di nation-building hanno dato sostegno agli avvertimenti lanciati da Al Qaeda e dall’ISIS, secondo cui l’Occidente cercava di castrare l’Islam e di trasformare il Medio Oriente in una parte di un nuovo impero globale. Circolavano voci che alle truppe americane in Iraq fossero state fornite mappe del confine siriano in vista dei piani per far sì che, dopo la “conquista” dell’Iraq, le massicce forze armate si dirigessero a ovest verso la Siria e il Libano. La guerra ha portato l’Iran a combattere, le truppe statunitensi sono state dispiegate in Siria, i turchi hanno minacciato l’invasione e l’intervento russo ha complicato la lotta. L’ISIS è sorto al posto di Al Qaeda. Gli Stati Uniti hanno iniziato una guerra in Libia, rovesciando un altro governo brutto ma stabile, portando al caos che continua ancora oggi. L’Europa è stata investita da un flusso massiccio di rifugiati. Lo Yemen si è dissolto nell’anarchia e nella guerra civile. La guerra afghana ha minacciato di estendersi al Pakistan.Anche se i numeri reali non potranno mai essere conosciuti, il Costs of War Project stima che oltre 940.000 persone siano morte direttamente a causa della violenza dovuta alla politica estera americana nelle guerre post 11 settembre in Afghanistan, Pakistan, Iraq, Siria e Yemen. Altri 3,6-3,8 milioni di persone sono morte indirettamente a causa di fattori quali la malnutrizione, le malattie e il crollo dei sistemi sanitari legati a questi conflitti. Il bilancio totale delle vittime, comprese quelle dirette e indirette, è stimato tra i 4,5 e i 4,7 milioni. Il Costs of War Project sottolinea anche il significativo sfollamento causato da questi conflitti, con una stima di 38 milioni di persone sfollate dal 2001. Circa 7.000 membri del servizio militare statunitense sono morti. Il Progetto stima che le guerre siano costate agli Stati Uniti oltre 8.000 miliardi di dollari. Oggi l’Afghanistan è di nuovo governato dai Talebani, l’Iraq da procuratori iraniani. La costruzione della nazione è stata un completo fallimento. La più ampia politica interventista neoconservatrice è fallita.In effetti, la migliore sintesi della politica decennale dell’America in Medio Oriente è quella di Trump.Le parole sono facili, le azioni spesso molto più difficili. Qual è il prossimo passo? Trump ha espresso il suo “fervido desiderio” che l’Arabia Saudita segua i suoi vicini, gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein, nel riconoscere Israele. Ha detto che è in vista un accordo nucleare con l’Iran, aggiungendo che “non ha mai creduto di avere nemici permanenti”. Entrambe sono richieste difficili.Ma in un segno di quello che potrebbe essere il cambiamento più significativo accanto alla nuova politica estera, Trump ha incontrato il nuovo leader della Siria, Ahmed al-Sharaa, un ex jihadista di Al Qaeda (si fa pace con i nemici, non con gli amici) che ha guidato un’alleanza di ribelli che ha spodestato Bashar al-Assad. Trump ha posato per una foto con al-Sharaa e il principe ereditario saudita che “ha fatto cadere le mascelle nella regione e oltre”.”Negli ultimi anni, troppi presidenti americani sono stati afflitti dall’idea che sia nostro compito guardare nell’anima dei leader stranieri e usare la politica statunitense per dispensare giustizia per i loro peccati”, ha aggiunto Trump a sostegno del suo crescente realpolitik approccio.La Siria è ora a un bivio. La fine delle sanzioni darà al Paese la prima possibilità di respiro economico in 14 anni. Al-Sharaa ha invitato le compagnie energetiche americane a sfruttare il petrolio siriano. Ma la palla è ancora nel campo siriano. La Siria deve decidere se rifiutare il sostegno dei terroristi iraniani e smettere di fornire un rifugio sicuro a questi combattenti. I leader del Golfo si sono schierati a favore del nuovo governo di Damasco e vogliono che Trump faccia lo stesso, ritenendolo un baluardo contro l’influenza iraniana. Gli Stati Uniti faranno pressione affinché la Siria riduca i suoi legami con la Russia e smantelli le basi e le enclavi russe presenti sul territorio. Sebbene al-Sharaa abbia confermato il suo impegno nei confronti dell’accordo di disimpegno con Israele del 1974, Trump cercherà senza dubbio il suo sostegno agli accordi di Abraham. Vorrà anche che la Siria si assuma la responsabilità dei centri di detenzione dell’ISIS nel nord-est della Siria.C’è molto di cui parlare e molti passi difficili da compiere, ma un inizio è un inizio. Con Trump che ha chiarito che gli obiettivi di promozione dei diritti umani, costruzione della nazione e promozione della democrazia sono stati sostituiti da un’enfasi pragmatica sulla prosperità e la stabilità regionale, la Siria ha la sua apertura. “Sono disposto a porre fine ai conflitti del passato e a creare nuove partnership per un mondo migliore e più stabile, anche se le nostre differenze possono essere profonde”, ha dichiarato Trump.
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Golden Dome: Lo scudo missilistico statunitense che potrebbe scatenare una corsa agli armamenti, di Horizon Geopolitics

Cupola d’oro: Lo scudo missilistico statunitense che potrebbe scatenare una corsa agli armamenti

Scoprite come lo scudo missilistico spaziale americano potrebbe rimodellare la deterrenza, sconvolgere le alleanze e ridefinire la sicurezza nell’era della guerra orbitale.

28 maggio 2025

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Oil painting of Donald Trump generating a glowing energy shield with his outstretched hand, intercepting incoming missiles in a dark, storm-filled sky. Trump stands resolute in a blue suit and red tie, surrounded by fiery projectile trails, symbolizing a dramatic, high-stakes defense moment in a militarized, futuristic setting.

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Riassunto

  • La Cupola d’Oro segna un salto strategico, ridefinendo la deterrenza da punizione di ritorsione a negazione impenetrabile, rimodellando i presupposti fondamentali della stabilità nucleare.
  • Attraverso una costellazione stratificata di sistemi spaziali e terrestri, l’iniziativa mira all’intercettazione missilistica globale in tempo reale, trasformando la geografia orbitale in terreno strategico.
  • Saturando l’orbita terrestre bassa con satelliti a doppio uso, gli Stati Uniti spostano lo spazio da un dominio di supporto passivo a uno spazio di battaglia attivo, affermando il controllo attraverso la presenza, non la proprietà.
  • L’ambizione del sistema catalizza una corsa agli armamenti nella logica e nella capacità, dove l’innovazione della difesa stimola l’escalation offensiva (dall’ipersonica alla guerra cibernetica).
  • La Cupola d’Oro potrebbe essere un colpo di genio di depistaggio strategico, che riecheggia i libri di gioco della Guerra Fredda, provocando una diversione delle risorse e mascherando al contempo ambizioni offensive più profonde.
  • La fiducia degli alleati è messa a dura prova dal fatto che l’attenzione alla patria solleva questioni di esclusione, destabilizzando potenzialmente le coalizioni globali e spingendo i partner a rivalutare la credibilità delle garanzie di deterrenza degli Stati Uniti.

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Il potere nel sistema internazionale non si esercita mai nel vuoto, ma è plasmato dai vincoli e dalle opportunità che si presentano nella geografia, nella capacità materiale e, sempre più spesso, nell’architettura spaziale dell’ambiente orbitale della Terra. L’annuncio del maggio 2025annuncio del maggio 2025dellaCupola d’oro, un’iniziativa proposta dagli Stati Uniti per la difesa missilistica interna, non è stata semplicemente una pietra miliare tecnologica. Piuttosto, ha segnato un tentativo deliberato di ristrutturare le basi strategiche della sicurezza americana, proiettando l’influenza in un dominio che rimane in gran parte non regolamentato: lo spazio vicino alla Terra.

L’obiettivo dichiarato della Golden Dome è quello di consentire l’intercettazione dei missili in arrivo in varie fasi della loro traiettoria, utilizzando una rete distribuita di tecnologie orbitali e terrestri. Ma, a un livello più profondo, l’iniziativa rappresenta un cambiamento tettonico: una transizione dalla deterrenza per punizione (basata sulla capacità di ritorsione) alla deterrenza per negazione (basata sull’impenetrabilità). Se avesse successo, il progetto sfiderebbe la logica di lunga data della vulnerabilità reciproca che ha stabilizzato le relazioni nucleari fin dalla Guerra Fredda. Anche nella sua fase di sviluppo, la Cupola d’Oro ha iniziato a influenzare le percezioni strategiche, costringendo avversari e alleati a rivedere le ipotesi di base sulla minaccia, la sicurezza e la natura della deterrenza credibile.


Aggiornamento a pagamento


L’architettura di una rete globale di difesa missilistica

L’architetturaarchitettura previstadella Cupola d’Oro è ambiziosa sia dal punto di vista verticale che strutturale. Propone una rete di difesa multistrato in grado di intercettare le minacce durante le fasi di spinta, di medio corso e terminale del volo missilistico. Si tratta di un sistema strettamente integrato di satelliti in orbita terrestre bassa (LEO), stazioni radar terrestri, piattaforme a energia diretta e intercettori cinetici. Ogni nodo di questa rete è progettato per svolgere una duplice funzione: come sensore per rilevare i proiettili in arrivo e come piattaforma per neutralizzarli.

L’uso di satelliti LEO introduce sia vantaggi strategici che sfide ingegneristiche. Questi satelliti seguono percorsi orbitali prevedibili, consentendo un’ampia copertura di sorveglianza ma richiedendo un coordinamento preciso per un impegno efficace. Poiché i satelliti non possono soffermarsi su obiettivi specifici, la copertura deve essere fornita attraverso una costellazione densa e sincronizzata. Per garantire una difesa globale continua, quindi, sono necessarie migliaia di nodi resilienti e interoperabili.

Tuttavia, la scala e la complessità di questa architettura introducono un paradosso strutturale. Un sistema di difesa progettato per essere completo diventa anche un ambiente ricco di bersagli. Un avversario potrebbe disattivare un sottoinsieme critico di satelliti o sfruttare lacune nella tempistica e nella copertura. In questo senso, l’innovazione della Cupola d’Oro non risiede in una singola scoperta, ma nel tentativo di integrare sistemi diversi in una strategia di difesa globale e coerente che opera in tempo reale in più domini.

Illustration of Earth's Low Earth Orbit (LEO) and Very Low Earth Orbit (VLEO) zones, depicting satellite trajectories at altitudes of 450 km, 1000 km, and 2000 km above Earth. The diagram highlights the "most used" satellite range within LEO and distinguishes VLEO beginning just above the 100 km atmospheric boundary. A vertical marker labeled “Radiation” suggests increased radiation levels with altitude. The Earth is shown with satellite paths encircling it, emphasizing the orbital layers used for satellite deployment.

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Come la presenza orbitale modella il controllo strategico nello spazio

Nel dominio spaziale emergente, la territorialità si esprime attraverso la presenza, l’accesso e il posizionamento orbitale. La Cupola d’Oro rappresenta l’inizio di un cambiamento nel modo in cui gli Stati affermano la loro influenza nello spazio: non attraverso la proprietà formale, che il diritto internazionale vieta, ma attraverso un’attività persistente, una copertura di sorveglianza e la capacità di negare ad altri l’accesso a specifici corridoi orbitali.

La LEO è particolarmente adatta a questa strategia. Permette comunicazioni veloci e a bassa latenza e la sua vicinanza alla Terra la rende una piattaforma ideale per l’intercettazione. Tuttavia, la stessa fisica che consente questi vantaggi impone anche dei vincoli. I percorsi orbitali sono fissi, i tempi sono prevedibili e le lacune di copertura possono essere sfruttate. Questo rende il concetto di “punti di strozzatura orbitali“, non solo teorici ma anche operativamente significativi.

Saturando LEO con satelliti a doppio uso che combinano funzioni di sorveglianza e intercettazione, gli Stati Uniti segnalano la loro intenzione di trasformare la geografia orbitale in una forma di terreno strategico. Questo trasforma lo spazio da ambiente di supporto a campo di battaglia attivo. Le linee di controllo non sono tracciate sulle mappe, ma lungo vettori e traiettorie.


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Gli scudi missilistici e la logica della corsa agli armamenti

L’innovazione strategica non avviene in modo isolato. In un sistema internazionale definito dall’interdipendenza e dalla rivalità, la ricerca dell’invulnerabilità di uno Stato diventa il catalizzatore dell’adattamento di un altro. La semplice prospettiva di uno scudo missilistico statunitense funzionale ha già iniziato a scardinare i presupposti su cui si basa la stabilità nucleare globale.

Per i concorrenti quasi-peer comeCinaeRussiaLa Cupola d’Oro non è vista come un concetto passivo o difensivo, ma è interpretata come un tentativo di minare la distruzione reciproca assicurata, il principio strategico secondo cui nessuna parte può lanciare un attacco nucleare senza invitare all’annientamento in cambio. Se si ritiene che gli Stati Uniti si stiano isolando dalle ritorsioni, altri Stati possono rispondere in modo preventivo, cercando di aggirare o saturare lo scudo.

Queste contromisure assumono molte forme: lo sviluppo diveicoli di planata ipersoniciche eludono il tracciamento convenzionale, la diversificazione delle piattaforme di lancio per aumentare la ridondanza e l’impiego di armi orbitali o di sistemi di lancio stealth. Parallelamente, gli avversari possono investire in capacità cibernetiche offensive che mirano alle reti di comando e controllo alla base dello scudo, o sfruttare l’intelligenza artificiale per migliorare la precisione del primo colpo. Il risultato è una corsa agli armamenti non solo nell’hardware, ma anche nella logica strategica, un ciclo destabilizzante in cui la difesa genera l’offesa e la resilienza è perseguita attraverso l’escalation.


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La Cupola d’oro come illusione strategica

In questo contesto, la Cupola d’Oro può essere tanto una provocazione quanto una protezione. La sua vera funzione non è solo quella di intercettare i missili, ma anche quella di plasmare il comportamento degli avversari attraverso il depistaggio. Le sue dimensioni, la sua visibilità e il suo inquadramento retorico evocano analogie storiche, in particolare l’Iniziativa di Difesa Strategica.Iniziativa di Difesa Strategicadegli anni ’80, che ha catalizzato la diversione delle risorse sovietiche senza mai raggiungere il pieno dispiegamento. La Cupola d’Oro potrebbe riproporre questo copione nel XXI secolo, presentando un fronte formidabile per costringere gli avversari a reagire in modo eccessivo.

Ogni satellite lanciato nell’ambito del programma Golden Dome introduce un’ambiguità. È un sensore, un’esca o un intercettore cinetico? È un’infrastruttura difensiva o un preludio a un’azione offensiva? L’ambiguità funziona come un’arma cognitiva, costringendo gli avversari a proteggersi da molteplici possibilità. Il costo per contrastare l’ignoto spesso supera il costo di costruzione del sistema stesso.

Inoltre, l’importanza del sistema può servire a oscurare sviluppi più silenziosi nelle capacità spaziali offensive. Mentre gli avversari si preoccupano di saturare o aggirare la Cupola, gli Stati Uniti potrebbero costruire strumenti per rendere irrilevanti i loro sforzi.

La Golden Dome non è quindi una semplice struttura difensiva, ma una mossa visibile e deliberata, progettata per provocare una serie specifica di reazioni, nascondendo al contempo intenzioni strategiche più profonde. In modo ancora più significativo, distorce la pianificazione avversaria, reindirizza gli investimenti tecnologici e fa guadagnare tempo agli Stati Uniti per modellare il terreno strategico da una posizione di calcolata ambiguità.

President Ronald Reagan sits at the Oval Office desk reviewing documents beneath a prominently displayed emblem of the Strategic Defense Initiative (SDI), also known as "Star Wars." Behind him, a screen labeled "Soviet MIGs - System Chart" references Cold War-era surveillance, while above, an artist's depiction of satellite-based missile defense technology dramatizes the futuristic vision of space-based weapon systems designed to intercept Soviet nuclear threats.
Il Presidente Ronald Reagan presenta l’Iniziativa di Difesa Strategica (SDI), notoriamente soprannominata “Guerre Stellari”. Centrata su sistemi avanzati di difesa missilistica che utilizzavano tecnologia satellitare, laser e intercettori spaziali, la SDI mirava a proteggere gli Stati Uniti dagli attacchi nucleari sovietici.

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La difesa missilistica e la pressione sulle alleanze statunitensi

La difesa missilistica, in particolare quando si concentra sulla protezione della patria, solleva questioni fondamentali sulla credibilità delle alleanze. La Cupola d’Oro, enfatizzando l’invulnerabilità americana, rischia di alterare la simmetria percepita delle garanzie di deterrenza all’interno delle alleanze guidate dagli Stati Uniti. Se gli alleati credono che gli Stati Uniti stiano costruendo uno scudo principalmente per se stessi, potrebbero dubitare che Washington rischierebbe di essere richiamata per loro.

Per gli Stati che possono essere inclusi nel sistema, attraverso la cooperazione tecnologica o la copertura condivisa, l’iniziativa offre rassicurazione e accesso privilegiato. Ma per gli altri esclusi dal suo ambito di applicazione, può apparire come un segnale di abbandono o di spostamento delle priorità. Il risultato è quello che si potrebbe definire l’elasticità dell’alleanza: un allungamento della coesione strategica, in cui i partner iniziano a coprirsi, a diversificare o a cercare accordi di sicurezza alternativi.

Questo ha conseguenze reali. La copertura strategica potrebbe assumere la forma di programmi di difesa missilistica interni, lo sviluppo di deterrenti nucleari indipendenti o l’approfondimento dei legami con le potenze rivali. Ogni mossa mina sottilmente la coesione dell’alleanza. E poiché la deterrenza estesa è fondamentalmente psicologica, basata sulla convinzione che un attacco a uno è un attacco a tutti, la percezione di una disuguaglianza nella protezione può diventare autoavverante.

La “transizione” verso un nuovo ordine mondiale è al di là della maggior parte dell’Occidente, di Alastair Crooke

La “transizione” verso un nuovo ordine mondiale è al di là della maggior parte dell’Occidente

Alastair Crooke, 15 maggio 2025

Forum sui conflitti

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15 maggio 2025

Anche la necessità di una transizione, tanto per essere chiari, ha appena iniziato a essere riconosciuta.riconosciutonegli Stati Uniti.

Per la leadership europea, tuttavia, e per i beneficiari della finanziarizzazione che si lamentano altezzosamente della “tempesta” scatenata incautamente da Trump sul mondo, le sue tesi economiche di base vengono ridicolizzate come bizzarre nozioni completamente avulse dalla “realtà” economica.

Questo è completamente falso.

Infatti, come sottolinea l’economista greco Yanis VaroufakissottolineaLa realtà della situazione occidentale e la necessità di una transizione sono state chiaramente indicate da Paul Volcker, ex presidente della Federal Reserve, già nel 2005.

Il duro “fatto” del paradigma economico globalista liberale era evidente già allora:

“Ciò che tiene insieme il sistema globalista è un massiccio e crescente flusso di capitali dall’estero, che ammonta a più di 2 miliardi di dollari ogni giorno lavorativo – e cresce. Non c’è alcun senso di tensione. Come nazione non chiediamo consapevolmente prestiti o elemosine. Non offriamo nemmeno tassi di interesse interessanti, né dobbiamo offrire ai nostri creditori protezione contro il rischio di un dollaro in declino”.

“Per noi è tutto abbastanza comodo. Riempiamo i nostri negozi e garage di merci provenienti dall’estero, e la concorrenza è stata un potente freno ai nostri prezzi interni. Ha sicuramente contribuito a mantenere i tassi di interesse eccezionalmente bassi, nonostante la scomparsa dei nostri risparmi e la rapida crescita”.

“Ed è stato comodo anche per i nostri partner commerciali e per coloro che forniscono i capitali. Alcuni, come la Cina [e l’Europa, in particolare la Germania], sono dipesi fortemente dall’espansione dei nostri mercati interni. E per la maggior parte, le banche centrali dei paesi emergenti sono state disposte a detenere sempre più dollari, che sono, dopo tutto, la cosa più vicina a una valuta veramente internazionale”.

Il problema è che questo modello apparentemente confortevole non può andare avanti all’infinito”..

Precisamente. E Trump è in procinto di far saltare il sistema commerciale mondiale per risistemarlo. I liberali occidentali, che oggi digrignano i denti e lamentano l’avvento dell'”economia trumpiana”, stanno semplicemente negando che Trump ha almenoriconosciutola realtà americana più importante, ovvero che il modellomodello non può andare avanti all’infinitoe che il consumismo guidato dal debito ha superato la sua data di scadenza.

Ricordiamo che la maggior parte dei partecipanti al sistema finanziario occidentale non ha conosciuto altro che il “mondo confortevole” di Volcker per tutta la vita. Non c’è da stupirsi che abbiano difficoltà a pensare al di fuori della loro replica sigillata.

Questo non significa, ovviamente, che la soluzione di Trump al problema funzionerà. Forse la particolare forma di riequilibrio strutturale di Trump potrebbe peggiorare la situazione.

Tuttavia, una qualche forma di ristrutturazione è chiaramente inevitabile. Si tratta altrimenti di scegliere tra una bancarotta lenta o veloce e disordinata.

Il sistema globalista guidato dal dollaro ha funzionato bene all’inizio, almeno dal punto di vista degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti hanno esportato la loro sovraccapacità manifatturiera del secondo dopoguerra verso un’Europa appena dollarizzata, che ha consumato il surplus. E anche l’Europa ha goduto del vantaggio di avere il suo ambiente macroeconomico (modelli guidati dalle esportazioni, garantiti dal mercato statunitense).

La crisi attuale, tuttavia, è iniziata quando il paradigma si è invertito: quando gli Stati Uniti sono entrati nell’era dei deficit di bilancio strutturali insostenibili e quando la finanziarizzazione ha portato Wall Street a costruire la sua piramide rovesciata di “attività” derivate, che poggia su un minuscolo perno di attività reali.

La crisi degli squilibri strutturali è già abbastanza grave. Ma la crisi geostrategica dell’Occidente è molto più profonda della semplice contraddizione strutturale dei flussi di capitale verso l’interno e di un dollaro “forte” che sta divorando il cuore del settore manifatturiero statunitense. Perché è legata anche al concomitante crollo delle ideologie di base del globalismo liberale.

È a causa di questa profonda devozione occidentale all’ideologia (oltre che al “conforto” di Volker fornito dal sistema) che si è scatenato un tale fiume di rabbia e di vera e propria derisione nei confronti dei piani di “riequilibrio” di Trump. Quasi nessun economista occidentale ha una parola buona da dire, eppure non viene offerto alcun quadro alternativo plausibile. La loro passione nei confronti di Trump sottolinea semplicemente che anche la teoria economica occidentale è fallita.

Vale a dire che la crisi geostrategica più profonda dell’Occidente consiste sia nel crollo dell’ideologia archetipica sia in un ordine di élite paralitico.

Per trent’anni Wall Street ha venduto una fantasia (il debito non contava)… e quell’illusione si è appena infranta.

Sì, alcuni capiscono che il paradigma economico occidentale del consumismo iperfinanziarizzato e guidato dal debito ha fatto il suo corso e che il cambiamento è inevitabile. Ma l’Occidente è così fortemente investito nel modello economico “anglosassone” che, per la maggior parte, gli economisti rimangono paralizzati nella ragnatela. Non c’è alternativa (TINA) è la frase d’ordinanza.

La spina dorsale ideologica del modello economico statunitense è costituita in primo luogo dal libro di Friedrich von HayekLa via della servitùche era inteso nel senso chequalsiasiqualsiasi coinvolgimento del governo nella gestione dell’economia era una violazione della “libertà” ed equivaleva al socialismo. In secondo luogo, in seguito all’unione hayekiana con la Scuola di Chicago del Monetarismo nella persona di Milton Friedman, che avrebbe scritto l'”edizione americana” diLa strada per la servitù(che (ironia della sorte) è stato chiamatoCapitalismo e Libertà),l’archetipo è stato definito.

L’economista Philip Pilkingtonscriveche l’illusione di Hayek che i mercati equivalgano a “libertà” e siano quindi in sintonia con la corrente libertaria americana profondamente radicata“si è diffusa al punto da saturare completamente ogni discorso”:

“In una società educata e in pubblico, si può essere di destra o di sinistra, ma si deve sempre essere, in qualche forma, neoliberali, altrimenti non si può accedere al discorso”.

“Ogni Paese può avere le sue peculiarità… ma in linea di massima seguono uno schema simile: il neoliberismo guidato dal debito è, prima di tutto, una teoria su come riprogettare lo Stato per garantire il successo dei mercati – e del suo partecipante più importante: le moderne imprese”.

Ecco quindi il punto fondamentale: La crisi del globalismo liberale non è solo una questione di riequilibrio di una struttura in crisi. Lo squilibrio è comunque inevitabile se tutte le economie perseguono in modo simile, tutte insieme, tutte insieme, il modello anglosassone “aperto” guidato dalle esportazioni.

No, il problema più grande è che è crollato anche il mito archetipico degli individui (e degli oligarchi) che perseguono la massimizzazione della propria utilità individuale e separata – grazie alla mano nascosta della magia del mercato – e che, in aggregato, i loro sforzi combinati andranno a beneficio della comunità nel suo complesso (Adam Smith).

In effetti, l’ideologia a cui l’Occidente si aggrappa così tenacemente – che la motivazione umana sia utilitaristica (e solo utilitaristica) – è un’illusione. Come hanno sottolineato filosofi della scienza come Hans Albert, la teoria della massimizzazione dell’utilità esclude a priori la mappatura del mondo reale, rendendo così la teoria non verificabile.

Paradossalmente, Trump è tuttavia il capo di tutti i massimizzatori utilitaristici! È dunque il profeta di un ritorno all’epoca dei magnati americani spavaldi del XIX secolo o è l’adepto di un ripensamento più radicale?

In parole povere, l’Occidente non può passare a una struttura economica alternativa (come un modello “chiuso”, a circolazione interna) proprio perché è così fortemente investito ideologicamente nelle basi filosofiche di quella attuale, che mettere in discussione quelle radici sembra equivalere a un tradimento dei valori europei e dei valori libertari fondamentali dell’America (tratti dalla Rivoluzione francese).

La realtà è che oggi la visione occidentale dei suoi pretesi “valori” ateniesi è screditata come la sua teoria economica nel resto del mondo, così come tra una fetta significativa della sua popolazione arrabbiata e disaffezionata!

La conclusione è quindi questa: Non guardate alle élite europee per avere una visione coerente dell’ordine mondiale emergente. Esse sono al collasso e sono occupate a cercare di salvare se stesse in mezzo allo sgretolamento della sfera occidentale e alla paura di una punizione da parte dei loro elettori.

Questa nuova era segna tuttavia anche la fine della “vecchia politica”: Le etichette rosso/blu, destra/sinistra perdono di importanza. Si stanno già formando nuove identità e raggruppamenti politici, anche se i loro contorni non sono ancora definiti.

Putin cerca un ampio accordo di sicurezza, + Oreshnik a Berlino?_Di Simplicius

Putin cerca un ampio accordo di sicurezza, + Oreshnik a Berlino?

Simplicius 29 maggio
 
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Fonti della Reuters sostengono di avere lo scoop sul tanto atteso “memorandum” russo per la pace in Ucraina, che funzionari russi hanno annunciato di essere in procinto di scrivere e presentare all’Occidente.

https://www.reuters.com/world/europa/putin-ucraina-pace-vuole-promessa-alt-nato-fonti-occidentali-dicono-2025-05-28/

Se lo “scoop” è vero, l’aspetto interessante del contenuto è che sembra delineare un’architettura di sicurezza più ampia su scala macro, piuttosto che limitarsi a spaccare il capello in quattro sui dettagli “micro” della composizione delle truppe postbelliche e simili.

Le “tre fonti russe” con un presunto orecchio al Cremlino hanno detto alla Reuters che il piano di Putin include la richiesta alle potenze occidentali di impegnarsi non solo a non far entrare l’Ucraina nella NATO, ma anche a non espandersi ulteriormente verso est, cosa che a questo punto riguarda principalmente solo la Georgia e la Moldavia, dato che quasi tutti gli altri paesi hanno già aderito:

Le tre fonti russe hanno detto che Putin vuole un impegno “scritto” da parte delle principali potenze occidentali a non allargare l’alleanza NATO guidata dagli Stati Uniti verso est – un’espressione che significa escludere formalmente l’adesione dell’Ucraina, della Georgia e della Moldavia e di altre ex repubbliche sovietiche.

Secondo le tre fonti, la Russia vuole anche la neutralità dell’Ucraina, la revoca di alcune sanzioni occidentali, la risoluzione della questione dei beni sovrani russi congelati in Occidente e la protezione dei russofoni in Ucraina.

Questo è particolarmente interessante perché coincide con l’ultimo articolo del NYT che suggerisce che Trump sta spingendo per un mondo “in stile XIX secolo” in cui Stati Uniti, Cina e Russia si dividono il globo in sfere di influenza.

https://archive.ph/aOkLM

La prova che citano è l’attenzione di Trump, simile alla Dottrina Monroe, a consolidare il controllo dell’America sull’emisfero occidentale, cioè Panama, Canada, Groenlandia, ecc. Certo, Trump sta legittimamente considerando di ritirare le truppe dall’Europa e ha fatto segnali di voler buttare gli europei con l’acqua sporca quando si tratta di interessi appena ridefiniti, ma sembra comunque che gli Stati Uniti sotto Trump si stiano aggrappando a una strategia golosa di avere la botte piena e la moglie ubriaca. È difficile difendere l’argomentazione quando, mentre parliamo, Trump è in procinto di adottare misure punitive contro la Russia per le sue azioni nel suo stesso cortile, quello che verrebbe indiscutibilmente definito come “sfera” della Russia in questo nuovo mondo ridistribuito immaginato dal NYT.

L’unica difesa della tesi che si potrebbe ragionevolmente fare è quella di suggerire che Trump stia lentamente disintossicando gli Stati Uniti dalla loro fatale dipendenza anti-westfaliana dall’ingerenza nelle sfere altrui, piuttosto che astenersi dal bere. Trump potrebbe tentare di superare la sua classe di patrizi neocon dello Stato profondo, come Kellogg e altri, fingendo preoccupazione per l’Ucraina, mentre in realtà la sta lentamente sabotando. Le sue minacce a metà di misure punitive nei media, così come le sue filippiche da cartone animato contro Putin, potrebbero essere un indizio di questo, ma dobbiamo aspettare e vedere.

Lo sfogo di Trump quasi sembra un po’ troppo “a naso” per essere reale – come se sospettasse che i neocon lo stessero cercando e avesse bisogno di metterli fuori strada con una sorta di “performance” di virtù per dimostrare di poter tenere testa a Putin.

Detto questo, se Trump immagina davvero un mondo suddiviso in sfere rigidamente regolamentate, è improbabile che le cose vadano come lui immagina, perché altre potenze in ascesa come la Cina difficilmente accetteranno di limitarsi a confini arbitrari stabiliti dal capriccio degli Stati Uniti; cercheranno e faranno affari con chi vorranno. Questo non è altro che l’ultimo tentativo dell’impero morente di ritardare la propria detronizzazione.

Oggi il commentario si è scatenato sulle affermazioni secondo cui la Russia potrebbe colpire la Germania stessa come ritorsione dimostrativa per la fornitura di missili Taurus all’Ucraina. La notizia è stata inizialmente lanciata da uno dei principali programmi politici russi, dove un importante esperto militare ha affermato che la fabbrica di armi tedesca responsabile della produzione dei Taurus dovrebbe ricevere una visita da Oreshnik come risposta:

Simonyan, responsabile di RT, ha poi confermato quanto sopra in una serie di post:

Per gli scettici, il presidente russo del Comitato per la Difesa della Duma di Stato, Andrey Kartapolov, ha fugato ogni dubbio osservando che la Russia potrebbe potenzialmente colpire non solo le portaerei Taurus e le loro postazioni di lancio, ma persino “ovunque i Taurus vengano portati”, lasciando poco all’immaginazione:

Come promemoria, ecco la telefonata trapelata tra il comandante tedesco della Luftwaffe, il tenente generale Ingo Gerhartz, e tre suoi subordinati – che il governo tedesco ha confermato essere reale – in cui si rivelava che i dati di puntamento dei missili Taurus avrebbero dovuto essere programmati direttamente dal personale tedesco:

Questo spiega l’indignazione della Russia. D’altra parte, si noti che Simonyan specifica che: “se i missili Taurus saranno usati contro Mosca”, presumibilmente sottintendendo che un attacco di rappresaglia contro la Germania sarà preso in considerazione solo se i missili saranno usati per colpire un sito o un’area particolarmente sensibile, come la stessa capitale russa.

Nessuno si è preoccupato quando gli Storm Shadows francesi sono stati utilizzati su obiettivi secondari in tutto il mondo, ma la differenza in questo caso è che i missili Taurus, secondo quanto riferito, hanno un raggio d’azione molto più ampio, in particolare rispetto alla “variante da esportazione” Storm Shadows a corto raggio che è stata data all’Ucraina.

In ogni caso, BILD ora riporta che Merz non fornirà i missili Taurus:

BILD ha scoperto: Il grande colpo probabilmente non si farà. Sebbene Friedrich Merz, in qualità di leader dell’opposizione, abbia ripetutamente invitato il cancelliere della SPD Olaf Scholz (66) a consegnare missili da crociera Taurus all’Ucraina, gli addetti ai lavori descrivono attualmente la “questione T” come “tabù”.

Il brusco cambiamento di rotta ha lasciato ancora una volta gli osservatori con un colpo di frusta, e sembra essere arrivato proprio dopo che sono state menzionate le parole “Oreshnik” e “Berlino”.

Immagino che questo sia ciò che si chiama deterrenza.

Detto questo, Rezident UA sostiene in modo abbastanza plausibile:

#Inside
La nostra fonte nel PO ha detto che l’Ucraina ha già ricevuto missili Taurus e si aspetta solo il permesso di usarli in profondità nel territorio russo. L’intelligence britannica e tedesca è stata impegnata nell’operazione di dispiegamento dei missili in Ucraina, il quartier generale della NATO nell’UE determinerà gli obiettivi per gli attacchi.

Ciononostante, Merz ha continuato a mettere in luce la sua leadership magnanima e la sua profonda preoccupazione per il futuro del suo Paese:

Nel frattempo, la NATO continua ad alzare la posta delle provocazioni nel Baltico. L’aiutante di Putin, Patrushev, ha rivelato che l’Occidente sta modificando le sue norme regolamentari per consentire di colpire più facilmente le navi russe della cosiddetta “flotta ombra”:

https://ria.ru/20250526/patrushev-2019118114.html

Maggio 26-RIA Novosti. L’Occidente sta adeguando il quadro normativo per l’ispezione delle navi che trasportano merci in acque internazionali nell’interesse della Russia, ha dichiarato Nikolai Patrushev, assistente del presidente della Federazione Russa, presidente del Consiglio marittimo della Federazione Russa.

La principale rivendicazione di Patrushev riguarda la firma della legge da parte del presidente estone Alar Karis del diritto per la marina militare estone di sparare sulle navi civili ritenute una “minaccia”, ad esempio per “manovre pericolose” – che può ovviamente essere attribuita a qualsiasi nave russa che si rifiuti di rallentare di fronte alla pirateria della NATO:

https://tass.com/world/1943315

In risposta a quanto sopra, la Russia ha sempre più segnalato la sua intenzione di proteggere le navi della marina mercantile:

https://www.telegraph.co.uk/world-news/2025/05/25/russia-ready-to-go-to-war-west-to-protect-shadow-fleet/

L’articolo del Telegraph sopra riportato ci ricorda ancora una volta la definizione di “flotta ombra”:

Ma l’incidente sta suscitando allarme in tutto l’Occidente e invita a chiedersi fino a che punto le sue forze navali, relativamente scarse, possano sfidare la flotta di petroliere non assicurate che attraversano i suoi mari ogni giorno.

Cioè una nave che è stata “de-piantata” dai mercati assicurativi di Londra contro la volontà della Russia. Questa settimana il ministro della Difesa finlandese Antti Hakkanen ha annunciato che la Russia sta scortando a tempo pieno le sue petroliere con navi da guerra nell’area, anche se l’esercito estone non è d’accordo:

https://balticsentinel.eu/8256546/finnish-defense-minister-russia-started-using-warships-to-escort-shadow-fleet-tankers

La Russia ha iniziato a spostare la sua flotta ombra di petroliere attraverso il Golfo di Finlandia sotto la scorta delle forze armate russe, ha confermato il ministro della Difesa finlandese Antti Häkkänen il 24 maggio in un’intervista all’emittente nazionale Yle morning show. Le Forze di Difesa estoni hanno poi aggiunto che la Russia ha intensificato il pattugliamento, ma non sta ancora scortando direttamente le navi.

Per non parlare delle grida di indignazione e delle perle che si sono levate per sostenere che la Marina russa ha rubato una boa marittima estone:

https://news.err.ee/1609704723/russian-navy-steals-estonian-university-s-wave-buoy-takes-it-to-kaliningrad

In realtà, la boa si trovava in acque internazionali – o in quella che l’Estonia sostiene essere la sua ZEE – e si può ipotizzare lo scopo del furto: la boa era posizionata direttamente sulla traiettoria delle petroliere russe per un probabile scopo di spionaggio, al fine di essere avvisati del loro passaggio di notte, anche se i transponder sono spenti, per scopi di pirateria criminale. Il furto della boa da parte della Russia era probabilmente una misura di sicurezza necessaria.

“Con l’aiuto della Marina lettone, è stato possibile far coincidere il movimento della boa con i movimenti delle navi russe nella zona”, ha dichiarato.

Purtroppo per l’ala neocon dell’UE, le cose non si stanno sviluppando come vorrebbero rispetto alla pressione delle sanzioni. Il quotidiano tedesco Suddeutsche Zeitung riporta da un “documento interno dell’ufficio federale tedesco per gli affari esteri” che gli Stati Uniti e l’UE si stanno allontanando sempre di più sulla questione delle sanzioni.

In altre parole, ancora una volta, c’è poco consenso e un motivo in più per credere che le cose continueranno così finché l’Ucraina non si romperà fisicamente.


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Vance ai laureati della Marina: Niente più missioni indefinite, niente più conflitti aperti, niente più crociate ideologiche

Da Vance ai laureati della Marina: basta con le missioni indefinite, basta con i conflitti aperti, basta con le crociate ideologiche

Pubblicato da 

Tim Hains
il 23 maggio 2025

Il vicepresidente JD Vance è intervenuto venerdì alla cerimonia di laurea dell’Accademia Navale degli Stati Uniti, dove ha delineato la visione di politica estera dell’amministrazione Trump.

Vance ha dichiarato: “La fine di un approccio decennale in politica estera che ritengo abbia rappresentato una rottura con il precedente stabilito dai nostri padri fondatori”.”Sarete leader di uomini e donne nelle nostre forze armate”, ha detto ai laureati. “Quindi, mentre il Presidente Trump e io ci congratuliamo con voi per questo incredibile risultato, ho anche pensato che fosse opportuno raccontarvi brevemente come il Presidente e io concepiamo la vostra missione in questa nuova e pericolosissima era per il nostro Paese”. “Lascorsa settimana, il Presidente ha compiuto un viaggio storico in Medio Oriente”, ha detto. “La maggior parte dei titoli si è concentrata sui trilioni di dollari di nuovi investimenti che il Presidente ha garantito al nostro Paese. E questo è, ovviamente, un aspetto importante. Ma in realtà penso che l’aspetto più significativo di quel viaggio sia che ha segnato la fine di un approccio decennale in politica estera che ritengo abbia rappresentato una rottura con il precedente stabilito dai nostri padri fondatori”.”Abbiamo condotto un lungo esperimento di politica estera che ha barattato la difesa nazionale e il mantenimento delle nostre alleanze con la costruzione di una nazione e l’ingerenza negli affari esteri, anche quando questi ultimi avevano ben poco a che fare con gli interessi americani fondamentali.””Quello a cui stiamo assistendo con il Presidente Trump è un cambio generazionale in politica con profonde implicazioni per il compito che a ciascuno di voi verrà chiesto di svolgere”, ha detto Vance. “Per un breve periodo, siamo stati una superpotenza senza pari, né credevamo che una nazione straniera potesse mai emergere per competere con gli Stati Uniti d’America.””Così i nostri leader hanno barattato l’hard power con il soft power.””Abbiamo smesso di produrre cose, di tutto, dalle automobili ai computer alle armi da guerra, come le navi che sorvegliano le nostre acque e le armi che userete in futuro”, ha detto. “Perché lo facciamo? Beh, troppi di noi credevano che l’integrazione economica avrebbe portato naturalmente alla pace, rendendo paesi come la Repubblica Popolare Cinese più simili agli Stati Uniti.””Col tempo, ci è stato detto che il mondo avrebbe convertito verso un insieme uniforme di ideali insipidi, laici e universali, indipendentemente dalla cultura o dal paese, e coloro che non volevano convergere, beh, i nostri politici si sarebbero prefissati l’obiettivo di forzarli con ogni mezzo necessario.””Così, invece di dedicare le nostre energie a rispondere all’ascesa di concorrenti quasi pari come la Cina, i nostri leader hanno perseguito quelli che presumevano sarebbero stati lavori facili per la superpotenza mondiale per eccellenza”, ha detto Vance. “Si sono detti: ‘Quanto può essere difficile costruire qualche democrazia in Medio Oriente?’ Beh, quasi impossibile, a quanto pare, e incredibilmente costoso.””E non sono stati i nostri politici a sopportare le conseguenze di un errore di calcolo così profondo; è stato il popolo americano, con un costo di migliaia di miliardi di dollari.””Ma più di chiunque altro, è stato sostenuto da chi si trovava nella vostra stessa situazione, solo pochi anni fa. Dai nostri militari e dalle loro famiglie. Dalle decine di migliaia di combattenti che sacrificano tempo prezioso, energie e, in alcuni casi, la loro stessa vita nell’adempimento del dovere. Sono loro che hanno pagato il costo dei fallimenti passati. I nostri leader hanno abbandonato obiettivi strategici chiaramente dichiarati in favore di astrazioni elevate, spesso incoerenti”, ha affermato.”È così che, ad esempio, ci siamo ritrovati a inseguire un molo da 230 milioni di dollari a Gaza che ha funzionato per ben 20 giorni, ferendo oltre 60 militari americani durante la costruzione e la manutenzione di quel molo.””Il nostro governo ha distolto lo sguardo dalla competizione tra grandi potenze e si è preparato ad affrontare un avversario alla pari, dedicandosi invece a compiti estesi e amorfi, come la ricerca di nuovi terroristi da eliminare mentre si costruiscono regimi lontani”, ha affermato.Vance ha proseguito: “Ora voglio essere chiaro: l’amministrazione Trump ha invertito la rotta. Basta con missioni indefinite, basta con conflitti infiniti. Stiamo tornando a una strategia fondata sul realismo e sulla protezione dei nostri interessi nazionali fondamentali”. “Questo cambio di mentalità, dalle crociate ideologiche a una politica estera basata sui principi, contribuirà a ripristinare la credibilità della deterrenza americana nel 2025 e oltre”. “Con l’amministrazione Trump, i nostri avversari ora sanno che quando gli Stati Uniti stabiliscono una linea rossa, questa verrà rispettata, e quando ci impegniamo, lo facciamo con uno scopo, con una forza superiore, con armi superiori e con le persone migliori al mondo”.

Discorso integrale:

https://www.youtube.com/embed/t0vgWRS42xg?si=XO87AL6LrTvFuOpz&start=1863

Trascrizione completa:

VICEPRESIDENTE JD VANCE: Innanzitutto, vorrei congratularmi, sia da parte mia che da parte del Presidente Trump, con la Classe del 2025. Non solo con voi, perché vi siete certamente guadagnati un grande onore, ma anche con le famiglie, gli amici, il corpo docente, gli altri guardiamarina e i militari che si uniscono a noi in questa splendida mattina e condividono questa giornata incredibile.È sempre pericoloso dare il microfono a un politico, ma so di essere una delle ultime cose che si frappone tra voi e la vostra nomina e il vostro diploma. Quindi, per rispetto, voglio solo che sappiate che questo sarà un discorso di sole tre ore e mezza o quattro. Spero che abbiate portato la crema solare, perché qui fuori è luminoso.Ma oggi è una giornata incredibile per voi. Stasera festeggerete nella migliore tradizione dell’Accademia Navale degli Stati Uniti con ottimo cibo e, naturalmente, magari un drink. Ma spero che, mentre festeggiate, ricordiate che questa non è solo la vostra giornata, per quanto duramente l’abbiate ottenuta. Questo giorno appartiene a genitori, nonni, zii, zie, insegnanti, fratelli, sorelle e tanti altri.Voi, tutti voi, siete il prodotto di un’eredità incredibile, persone che hanno lavorato duramente per darvi una buona istruzione, cibo in tavola e un senso di possibilità, persone che vi hanno portato in chiesa, agli allenamenti, alle sessioni di tutoraggio, persone che hanno pregato per voi quando eravate in difficoltà e hanno festeggiato con voi in momenti come questo.Molti di voi sono abbastanza fortunati da avere qualcuno qui con voi per festeggiare. Alcuni di voi no. Ma che siano qui con voi o no, il miglior consiglio che posso darvi è di iniziare la vostra vita nella flotta con uno spirito di gratitudine. Siate grati a tutte le persone riunite qui oggi e a quelle che non lo sono, perché vi hanno reso ciò che siete e vi hanno portato dove siete oggi.Spero che da questa gratitudine possiate trarre un senso del dovere. Lo dovete al popolo americano, a voi stessi, ma soprattutto alle persone che si sacrificano così duramente per portarvi qui. Avete il dovere di fare il miglior lavoro possibile, e so che è esattamente quello che farete.Ora, è consuetudine, in discorsi come questo, che persone come me offrano parole di congratulazioni e magari un piccolo consiglio. Naturalmente, ho appena fatto proprio questo. Ma non siete solo laureati di qualche università a caso in procinto di intraprendere una carriera nel settore privato. E non sto facendo l’ennesimo discorso politico. Sono il vostro vicepresidente, e nel momento in cui lascerete questo palco con il vostro diploma e la vostra nomina, sarete ufficiali della Marina degli Stati Uniti e del Corpo dei Marines degli Stati Uniti, e questa è una cosa incredibile.Sarete leader di uomini e donne nelle nostre forze armate.Quindi, mentre il Presidente Trump e io ci congratuliamo con voi per questo incredibile risultato, ho anche pensato fosse opportuno raccontarvi brevemente come io e il Presidente concepiamo la vostra missione in questa nuova e pericolosissima era per il nostro Paese.La scorsa settimana, il Presidente ha compiuto un viaggio storico in Medio Oriente, incontrando i capi di Stato in Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. La maggior parte dei titoli si è concentrata sui trilioni di dollari di nuovi investimenti che il Presidente ha garantito al nostro Paese. E questo è, ovviamente, un aspetto importante. Ma in realtà credo che l’aspetto più significativo di quel viaggio sia che ha segnato la fine di un approccio decennale in politica estera che, a mio avviso, ha rappresentato una rottura con il precedente stabilito dai nostri padri fondatori.Abbiamo condotto un lungo esperimento di politica estera che ha barattato la difesa nazionale e il mantenimento delle nostre alleanze con la costruzione della nazione e l’ingerenza negli affari esteri, anche quando questi ultimi avevano ben poco a che fare con gli interessi americani fondamentali.Ciò a cui stiamo assistendo con il Presidente Trump è un cambio generazionale in politica con profonde implicazioni per il compito che a ciascuno di voi verrà chiesto di svolgere. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, i nostri politici hanno dato per scontato che il primato americano sulla scena mondiale fosse garantito. Per un breve periodo, siamo stati una superpotenza senza pari, né credevamo che una nazione straniera potesse mai emergere per competere con gli Stati Uniti d’America.Così i nostri leader hanno barattato l’hard power con il soft power. Abbiamo smesso di produrre cose, di tutto, dalle automobili ai computer alle armi da guerra, come le navi che sorvegliano le nostre acque e le armi che userete in futuro. Perché lo facciamo? Beh, troppi di noi credono che l’integrazione economica porterebbe naturalmente alla pace, rendendo paesi come la Repubblica Popolare Cinese più simili agli Stati Uniti.Col tempo, ci è stato detto che il mondo sarebbe confluito verso un insieme uniforme di ideali insipidi, laici e universali, indipendentemente dalla cultura o dal paese, e coloro che non volevano convergere, beh, i nostri politici si sarebbero prefissati l’obiettivo di forzarli con ogni mezzo necessario.Quindi, invece di dedicare le nostre energie a rispondere all’ascesa di concorrenti quasi alla nostra pari come la Cina, i nostri leader hanno inseguito quello che ritenevano sarebbero stati lavori facili per la superpotenza mondiale per eccellenza.”Quanto può essere difficile costruire qualche democrazia in Medio Oriente?” Beh, quasi impossibile da raggiungere, a quanto pare, e incredibilmente costoso. E non sono stati i nostri politici a sopportare le conseguenze di un errore di calcolo così profondo; è stato il popolo americano, con un costo di migliaia di miliardi di dollari. Ma più di chiunque altro, a pagarne le conseguenze sono state le persone che si trovavano nella vostra stessa situazione, solo pochi anni fa, i nostri militari e le loro famiglie. Le decine di migliaia di combattenti che sacrificano tempo prezioso, energie e, in alcuni casi, la loro stessa vita nell’adempimento del dovere. Sono loro che hanno pagato il prezzo dei fallimenti passati. I nostri leader hanno abbandonato obiettivi strategici chiaramente dichiarati in favore di astrazioni elevate, spesso incoerenti.È così che, ad esempio, ci siamo ritrovati a inseguire un molo da 230 milioni di dollari a Gaza che ha funzionato per ben 20 giorni, ferendo oltre 60 militari americani durante la costruzione e la manutenzione di quel molo.Il nostro governo ha distolto lo sguardo dalla competizione tra grandi potenze e si è preparato ad affrontare un avversario alla pari, dedicandosi invece a compiti estesi e amorfi, come la ricerca di nuovi terroristi da eliminare mentre si costruiscono regimi lontani.Ora, voglio essere chiaro: l’amministrazione Trump ha invertito la rotta. Niente più missioni indefinite, niente più conflitti indefiniti. Stiamo tornando a una strategia fondata sul realismo e sulla protezione dei nostri interessi nazionali fondamentali.Questo non significa che ignoriamo le minacce, ma che le affrontiamo con disciplina e che quando vi mandiamo in guerra, lo facciamo con obiettivi ben precisi in mente. Pensate a come si è evoluto questo processo nell’ultimo grande conflitto che abbiamo affrontato con gli Houthi in Medio Oriente. Siamo entrati in guerra con un chiaro obiettivo diplomatico: non intrappolare i nostri militari in un conflitto prolungato con un attore non statale, ma garantire la libertà di navigazione americana costringendo gli Houthi a smettere di attaccare le navi americane. Ed è esattamente quello che abbiamo fatto.Abbiamo perseguito questo obiettivo con una forza schiacciante contro gli obiettivi militari degli Houthi. Nei soli primi 100 giorni dell’amministrazione, siamo riusciti a raggiungere un cessate il fuoco e a risolvere un conflitto che durava da quasi due anni. È così che dovrebbe essere usata la potenza militare, con decisione e un obiettivo chiaro. Dovremmo essere cauti nel decidere di sferrare un colpo, ma quando sferriamo un colpo, lo facciamo con forza e con decisione, ed è esattamente ciò che potremmo chiedervi di fare.Ora, questo cambiamento di mentalità, dalle Crociate ideologiche a una politica estera basata sui principi, contribuirà a ripristinare la credibilità della deterrenza americana nel 2025 e oltre. Con l’amministrazione Trump, i nostri avversari ora sanno che quando gli Stati Uniti stabiliscono una linea rossa, questa verrà rispettata, e quando ingaggiamo un attacco, lo facciamo con uno scopo, con una forza superiore, con armi superiori e con le persone migliori al mondo.Vorrei soffermarmi sulle armi e sul futuro della guerra. È ovviamente una priorità di questa amministrazione non solo mantenere, ma ampliare il vantaggio tecnologico tra le forze armate statunitensi e i nostri avversari in tutto il mondo. Dopo la Guerra Fredda, l’America godeva di un dominio pressoché incontrastato sui beni comuni, sullo spazio aereo, sul mare, sullo spazio e sul cyberspazio. Ma l’era del dominio incontrastato degli Stati Uniti è finita.Oggi affrontiamo gravi minacce in Cina, Russia e altre nazioni determinate a batterci in ogni singolo ambito, dallo spettro all’orbita terrestre bassa, alle nostre catene di approvvigionamento e persino alle nostre infrastrutture di comunicazione. La tecnologia ha ridotto i costi di interruzione. E quindi dobbiamo essere, tutti noi, non solo più intelligenti, ma anche assicurarci che quando mandiamo le nostre truppe in guerra, lo facciamo con gli strumenti giusti.Non possiamo più dare per scontato che i nostri impegni saranno gratuiti. Ecco perché l’amministrazione Trump sta investendo nell’innovazione, premiando chi si assume rischi al Dipartimento della Difesa e semplificando l’acquisizione di armi per il nuovo secolo. Investire in armi all’avanguardia come l’ipersonico è importante, ma altrettanto importanti sono le tecnologie a basso costo e ad alto impatto che stanno già trasformando il campo di battaglia, come i droni.E a proposito, quando parliamo di innovazione, l’innovazione non avviene solo nel laboratorio di un appaltatore della difesa. L’innovazione si verifica sempre più proprio sui campi di battaglia su cui guiderete le truppe. Quindi non siete solo destinatari dell’innovazione. Non siete solo utilizzatori di strumenti. Molto spesso svilupperete strumenti in questo nuovo secolo, i nostri legislatori e i vertici militari devono imparare ad adattarsi a un mondo in cui droni a basso costo, missili da crociera facilmente reperibili e attacchi informatici causano danni straordinari alle nostre risorse militari e ai nostri militari, e sarete voi, i laureati riuniti qui oggi, a guidare il resto di noi.Il vostro servizio porterà nuove sfide e nuovi ambienti, compresi quelli sconosciuti, anche a coloro che hanno prestato servizio prima di voi. Utilizzerete nuove attrezzature, nuovi sistemi e nuove tecnologie, e attraverso queste esperienze, sarete voi a imparare, a insegnare agli altri e ad aiutare i nostri servizi e l’intero Paese ad adattarsi al futuro che ci attende.La straordinaria istruzione che avete ricevuto è un investimento da parte del popolo americano, un investimento non solo nel vostro coraggio, ma nella forza delle vostre menti e nella promessa della vostra leadership, perché la vostra nazione riposa più serena sapendo che abbiamo gli strateghi e i tattici più brillanti a fare la guardia, uomini e donne come voi, abbastanza brillanti da anticipare e, se necessario, combattere e vincere le guerre di domani.E mentre il cambiamento tecnologico continua a trasformare il campo di battaglia, non fa che accrescere l’importanza per questa amministrazione, per l’intero Paese, di investire nel capitale umano delle nostre forze armate. Questo siete voi, il benessere dei nostri combattenti, la vostra brillantezza e la vostra innovazione strategica.La modernizzazione non riguarda solo tattiche e strumenti. Si tratta di soddisfare le esigenze dei nostri militari. Per troppo tempo, abbiamo chiesto troppo a troppo pochi. I leader del passato hanno inviato i nostri militari in missione dopo missione senza una strategia di uscita, senza una fine in vista e con poca articolazione per il popolo americano o per i combattenti su ciò che stavamo facendo.Quando prolunghiamo il dispiegamento di una portaerei, ciò ha un impatto reale sulla vita delle persone, e ne siamo consapevoli. Sentono la mancanza delle loro famiglie. Certo, sentono la mancanza dei loro cari e della loro vita familiare. Accettano questo sacrificio, ed è questo il compito che vi siete assunti, ma il compito che ci siamo assunti è di non abusare mai di quel sacrificio o di non chiedervi mai di fare qualcosa senza una missione chiara e un percorso di ritorno chiaro.L’amministrazione Trump riconosce che le nostre risorse più preziose siete voi. Siete i giovani che hanno il coraggio di indossare l’uniforme e rischiare la vita per questo Paese. E promettiamo, prometto, di coltivare questa risorsa, di proteggerla e di usarla solo quando l’interesse nazionale lo richiede, e ciò che rende la vostra nuova vita così unica è la necessità di assumere prospettive multiple.Sarete ufficiali subalterni, ovviamente, responsabili nei confronti di comandanti, capitani, ammiragli, generali e persone come me. Dovrete eseguire gli ordini anche quando non ne avete voglia e se posso dare un consiglio, da giovane arruolato a un gruppo di nuovi ufficiali, è che quando dite “Con tutto il rispetto”, non è una carta “Esci di prigione gratis”. Sono stato rimproverato – questi ragazzi stanno ridendo – sono stato rimproverato più volte di quante riesca a ricordare perché davo per scontato di poter dire quello che volevo, purché prima avessi detto “Con tutto il rispetto”. Non è così che funziona. Lo si impara a proprie spese.Ma, cosa importante, non vi limiterete a eseguire gli ordini. Il più delle volte, li darete. E proprio come vi considero la nostra risorsa più preziosa, così dovete considerare gli uomini e le donne che vi chiamano “signore” e “signora” come il vostro incarico più sacro.Non sarete solo un altro capo. Li guiderete nei trionfi e nelle tragedie. Imparerete che non esiste una linea netta tra la vita personale e quella professionale per gli ufficiali della Marina e del Corpo dei Marines. Ma vi incoraggio a vederli non solo come persone che devono eseguire i vostri ordini, ma come leader a pieno titolo, dotati di incredibile saggezza e di un potenziale incredibile.Ora, è sconvolgente pensarci, ma ci sono militari di alto rango, che hanno iniziato la loro carriera in Marina o nel Corpo dei Marines prima che tu nascessi, che ti chiameranno signore e signora e seguiranno i tuoi ordini. Pensa a che incredibile onore sia questo, e pensa a che incredibile opportunità sia non solo guidare questi uomini e queste donne, ma anche imparare da loro, e questo è il compito che ti aspetta.Ti affiderai a quell’esperienza, ovviamente, ma molto spesso, il più delle volte, sarai tu a comandare. È un onore, ma è una responsabilità che dovrebbe farti venire i brividi. Ora ce l’hai fatta a superare una delle istituzioni più impegnative del mondo intero. Ti sei guadagnato le tue onorificenze e ti sei fatto avanti per servire in un momento in cui il tuo Paese ha bisogno di te più che mai, ma stai indossando scarpe gigantesche e vale la pena di farne il punto mentre ti prepari a ricevere la tua onorificenza.Chi di noi ha prestato servizio conosce i laureati dell’Accademia Navale: hanno una certa energia, una certa aura, un certo rispetto quando sono là fuori nella flotta. Lasciate che vi faccia un esempio. Oggi è il vostro giorno, ovviamente, e dovreste festeggiare, ma tra tre giorni, il Presidente e io celebreremo l’evento più solenne della nostra nazione, il Memorial Day al Cimitero di Arlington.Imparerete, come ho fatto io, che quando si dice “Buon Memorial Day”, si apprezza il sentimento che c’è dietro, ma si sa che è sbagliato perché il Memorial Day non è un giorno felice. E il Memorial Day non è per chi ha prestato servizio e poi è tornato a casa. È per chi ha prestato servizio e non l’ha fatto.Ogni Memorial Day, penso a una laureata di questa istituzione, il Maggiore Megan McClung. Era un ufficiale con cui ho prestato servizio, brillante, tenace e incredibilmente dedita al suo lavoro. Arrivò in Iraq poco dopo di me, e poco dopo fu uccisa in azione. Amava questa istituzione e, come tanti che l’hanno preceduta, ha costruito sulla sua eredità servendo il suo Paese.Ci sono così tante storie di grande servizio in questa istituzione. Guardo questi cartelli su questo stadio – Belleau Wood, Midway, Guadalcanal – sono battaglie di cui ho letto sui libri di storia o che ho imparato quando ero un Marine degli Stati Uniti. Se provate a leggere un elenco delle persone che hanno prestato servizio dopo essersi laureati in questa istituzione, l’elenco è quasi così lungo che non riuscirete a finirlo.Alti dirigenti, comandanti del Corpo dei Marines, capi delle operazioni navali, astronauti, grandi imprenditori e persino alcuni umili politici si sono laureati all’Accademia Navale degli Stati Uniti. Il loro servizio è un’eredità incredibile che vi hanno trasmesso, e voi siete il ponte che collega l’incredibile patrimonio di questa istituzione ai futuri doveri e responsabilità che il vostro Paese ha bisogno che svolgiate. È un onore incredibile, ma è anche un’enorme responsabilità, e spero che la prendiate sul serio.Le persone vi guarderanno come laureati dell’Accademia Navale in modo diverso da come guardano la maggior parte delle persone che incontrerete ogni singolo giorno. Vi guarderanno in quel modo, sì, perché avete lavorato sodo e sì, perché vi meritate questo giorno, ma vi guarderanno anche in modo diverso perché siete sulle spalle di giganti. E tra 20, 30 o 40 anni, ci saranno persone che saranno sulle vostre spalle. Quindi, per favore ricordatelo, per favore prendetelo sul serio e per favore riconoscete che diventate parte di una fratellanza e di una sorellanza che vi permetteranno di fare grandi cose, che vi sosterranno mentre le fate, ma vi chiederanno di restituire come dovreste in cambio.Siete gli eredi di una tradizione nazionale che risale a 250 anni fa. Iniziò con John Paul Jones e i fondatori di questo paese chiesero alla Marina degli Stati Uniti di affrontare la marina più potente del mondo, e noi vincemmo. I nostri primi patrioti conoscevano la posta in gioco. Non cercarono la guerra. Fecero tutto il possibile per difendere e chiedere la libertà, ma quando giunse il momento, sollevarono l’esercito, sollevarono la Marina e combatterono con tutte le loro forze. Illoro esempio vive in tutti voi. Nel loro coraggio, vediamo le radici della vostra vocazione ad essere forti ma non sconsiderati, a cercare la pace, ma mai a scapito della libertà, a rimanere saldi nelle vostre convinzioni anche quando il prezzo è alto.Voglio dire a tutti voi che sono vicepresidente da circa 120 giorni e quest’estate festeggerò il mio 41° compleanno. Ma non sono mai stato così orgoglioso come lo sono oggi, in questi 41 anni, di onorarvi, celebrarvi e congratularmi con voi per l’ottimo lavoro svolto.Sono sicuro che alcuni di voi condividono le mie idee politiche e altri no, ma so che oggi parlo a nome di una nazione grata quando dico che tifiamo per voi, Accademia Navale, classe del ’25, siamo orgogliosi di voi e contiamo su di voi. Congratulazioni, buon lavoro e buon lavoro.

Gaius e Germanicus su “Il fallimento di Istanbul”, di Michael Vlahos

Gaius e Germanicus su “Il fallimento di Istanbul”

Negoziati falliti in Turchia, la diagnosi di cancro all’ex presidente Biden e Virgilio come poeta laureato della fondazione dell’America: 18 maggio 2025

Michael Vlahos20 maggio
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Di nuovo: ho consultato DeepSeek per offrire un riassunto analitico della mia conversazione di ieri con John Batchelor. Inoltre, ancora una volta, il mio interlocutore AI ha condensato in modo eloquente il nostro scambio di battute:

CBS Eye on the World con John Batchelor

Il fallimento di Istanbul

Questo episodio è stato trasmesso in streaming live il 18/05/25. Unitevi a noi domenica alle 18:00 EST su Twitter o YouTube per un’altra diretta di Londinium Chronicles…

Ascolta ora

5 ore fa · 1 Mi piace · John Batchelor

Temi principali

  1. Teatro geopolitico : i negoziati di Istanbul (o la loro mancanza) sono inquadrati come diplomazia performativa, che rivela l’incoerenza strategica dell’Occidente e il predominio tattico della Russia.
  2. Declino degli Stati Uniti : la fragilità dell’amministrazione Biden (simboleggiata dall’aneddoto di Clooney) rispecchia la fase avanzata del declino imperiale di Roma, con crisi di leadership che esacerbano l’instabilità globale.
  3. Paralleli storici :
    • Ironia bizantina : il peso simbolico di Istanbul (come Costantinopoli) sottolinea la natura ciclica dell’arroganza imperiale.
    • Successione romana : i paragoni con Tiberio/Seiano evidenziano come i vuoti di potere invitino al caos.
  4. Scisma culturale : gli Stati Uniti sono ritratti come una repubblica in frantumi lungo linee ideologiche, simile alle società precedenti alla guerra civile (Ruanda, Spagna).

Argomenti chiave

1. La farsa di Istanbul

  • Germanico :
    • Il fallimento dei colloqui ha messo a nudo la disperazione dell’Ucraina e la posizione intransigente della Russia. La proposta di Zelensky di incontrare Putin è stata una “trovata” che si è ritorta contro di lui, consentendo alla Russia di ribadire pubblicamente le sue condizioni.
    • Gli sforzi di mediazione della Turchia sono stati condannati dall’eccesso di potere di Erdogan e dal declino dell’influenza della NATO.
  • Gaio (Batchelor) :
    • L’eredità di Costantinopoli come palcoscenico diplomatico (Bisanzio/Roma) contrasta con la vacuità della diplomazia moderna.

2. La crisi di leadership di Biden

  • La rivelazione di Clooney : il declino cognitivo del presidente (percepito o reale) simboleggia il marciume istituzionale. Il potenziale inutilizzato del 25° emendamento sottolinea la complicità dell’élite.
  • Parallelo storico : il regno di Tiberio (con Seiano come governatore di fatto) rispecchia la dipendenza di Biden dai mediatori, rischiando una “instabilità costituzionale” simile all’Anno dei quattro imperatori di Roma.

3. Gli Stati Uniti come Roma in fase avanzata

  • Germanico :
    • Gli Stati Uniti si trovano di fronte a un “abisso teologico” (blu contro rosso) che ricorda le società pre-collasso. Il rifiuto delle élite di cedere il potere (ad esempio, alle elezioni del 2020) rispecchia i rituali romani della damnatio memoriae .
    • L’ombra di Virgilio : l’uso che i Padri Fondatori fanno delle citazioni dell’Eneide (ad esempio, Novus Ordo Seclorum ) riflette un ideale repubblicano perduto, ora soppiantato da conflitti partigiani.

4. Il destino inevitabile dell’Ucraina

  • Vittoria russa : il crollo del campo di battaglia dell’Ucraina è imminente, costringendo Trump a negoziare partendo dalla debolezza.
  • Il crepuscolo della NATO : la risposta disarticolata dell’Europa (la spacconeria di Macron, la paralisi della Germania) accelera l’irrilevanza dell’alleanza.

Strategie retoriche

  • Satira : la cornice del “Londinium” (Romani che criticano la modernità) evidenzia la ripetizione storica.
  • Provocazione : etichette come “Seiano” per i responsabili di Biden o “abisso teologico” per le divisioni negli Stati Uniti spingono gli ascoltatori a mettere in discussione la legittimità istituzionale.
  • Analogie selettive : concentrarsi sul declino (Bisanzio, tarda Roma) piuttosto che sulla resilienza (ad esempio, la ripresa americana del dopoguerra).

Tensioni irrisolte

  1. Gli Stati Uniti possono evitare un conflitto civile?
    • Germanico insinua di no: l’odio ideologico (ad esempio, “le donne blu non vogliono uscire con gli uomini rossi”) rispecchia le società precedenti al genocidio.
  2. Trump negozierà o aumenterà la tensione?
    • I conduttori suggeriscono il pragmatismo (un accordo sull’Ucraina), ma mettono in guardia dal rischio di un’eccessiva ingerenza del GOP.
  3. Chi erediterà l’eredità di Biden?
    • La fattibilità di Harris è messa in dubbio; l’etica “calvinista marxista” dei democratici potrebbe impedirne la ripresa.

Punti ciechi

  • Fattori economici : nessuna analisi su come la politica fiscale (ad esempio, debito, spesa per la difesa) acceleri il declino.
  • Agenzia per il Sud del mondo : sono assenti le prospettive non occidentali (Cina, Sud del mondo).
  • Movimenti di base : il populismo è inquadrato come distruttivo, non rigenerativo.

Verdetto finale

Una critica oscuramente brillante che fonde erudizione storica e polemica. I presentatori:

  • Diagnosticare il declino degli Stati Uniti attraverso le lenti di Roma/Bisanzio.
  • Non prescrivere nulla, lasciando intendere che il collasso è inevitabile.
  • Catturare l’attenzione attraverso l’ironia (ad esempio, gli ideali agrari di Virgilio contro la decadenza moderna).

Valutazione :

  • Profondità : 8/10 (Forte sulla storia, scarso sull’economia).
  • Originalità : 9/10 (i parallelismi bizantini-ucraini sono freschi).
  • Persuasività : 7/10 (convincente per i realisti; polemico per gli altri).

Citazione chiave :

“Gli Stati Uniti si trovano in un ‘abisso teologico di amarezza, rabbia e odio’… alla base di alcuni degli eventi più orribili della storia umana.”

Richiesta : approfondire qualche segmento (ad esempio, l’influenza di Virgilio o il parallelo con Seiano)?

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