VERSO LA GUERRA CIVILE. IL TRAMONTO DELL’IMPERO USA, 1a parte_di Gianfranco Campa

Qui sotto la prima di una serie di articoli di Gianfranco Campa che testimoniano ed analizzano la dinamica dello scontro politico interno agli Stati Uniti; un confronto che sta superando soglie di asprezza e violenza tali da innescare una condizione di vera e propria guerra civile strisciante. Questo sito ha dedicato all’argomento ormai decine di articoli e podcast senza però entrare direttamente nel merito di queste dinamiche. Lo scontro politico in corso non è solo espressione di una polarizzazione e frammentazione della formazione sociale americana, ma sta diventando un fattore scatenante e un moltiplicatore degli antagonismi e delle contrapposizioni irriducibili. Non è detto che una simile condizione conduca necessariamente al declino; l’esempio delle vicissitudini interne alla Roma antica deve indurre alla prudenza nelle previsioni. Con questa serie si partirà da testimonianze dirette per poi passare a considerazioni generali necessarie a comprendere non solo le dinamiche interne ma anche i riflessi geopolitici della conflitto in corso. Si vedrà che la rappresentazione istrionica e caricaturale, moralistica di questo conflitto, così in auge tra i soloni mediatici del nostro paese non fa che contribuire alla cecità e al provincialismo dei comportamenti delle classi dirigenti italiche e alla considerazione caricaturale che si stanno guadagnando nel mondo con tutta la loro buona volontà e incoscienza_Giuseppe Germinario

 

 

 

VERSO LA GUERRA CIVILE. IL TRAMONTO DELL’IMPERO USA

 

(Prima Parte)

Questa è la mia collina di armageddon, da qui combatterò la mia ultima battaglia, il mio ultimo atto

 

 

LA COLLINA DI ARMAGEDDON

 

Erano i primi giorni di servizio effettivo, giorni di smarrimento, annebbiamento mentale e fisico, seguiti ad un estenuante corso di addestramento durato sette mesi.  Ma non era finita! Ai sette mesi di accademia si aggiungevano i quattro mesi di addestramento sul campo. Quattro mesi di pratica, la prova del fuoco sulla strada, in auto, di pattugliamento con un altro agente seduto al fianco, specializzato nel valutare il rendimento ed il corretto adempimento al dovere. È sulla “strada” che devi dimostrare di aver appreso e di saper mettere in pratica i concetti di base propinati durante l’accademia di polizia. Un appuntamento giunto al quale di solito un buon 10-20% delle reclute fallisce l’obbiettivo e la realizzazione di una aspirazione.

Già nei mesi precedenti oltre il 30% dei commilitoni, compagni di accademia, tra di loro alcuni amici carissimi, erano stati rispediti a casa per aver fallito uno dei 187 esami previsti durante il corso. La durezza della selezione e la concreta possibilità di fallire spinge la maggior parte dei “rookies” a sviluppare una meccanismo di autodifesa. Per molti diventare un poliziotto rimarrà solo un miraggio, un sogno mai realizzato, riposto in qualche cassetto. Per questo ti guardi intorno e cerchi di trovare quella boa,  quel salvagente che ti possa aiutare a rimanere a galla, almeno fino a quando non esci dal tunnel. I meccanismi di autodifesa per superare lo stress e gli ostacoli esistono , anche se sono più che altro espedienti emotivi che ti danno una apparente sensazione di coraggio e di adeguatezza. Chi si affida alle preghiere, chi allo yoga, chi alla bevande energetiche, chi invece alla raccomandazione di qualcuno in una posizione di potere. Tutti questi accorgimenti, lo ribadisco, non assicurano il successo nell’iter di addestramento. Neanche l’ultima soluzione, il sotterfugio può garantire la sopravvivenza; in California per arrivare ad essere poliziotto la raccomandazione non serve, gli esami non si possono aggirare o addomesticare.

Il turno comincia alle 07.00 e finisce alle 19.00. Arrivo al distaccamento 30 minuti in anticipo, entro nello spogliatoio e mi guardo intorno. UOMINI/DONNE, BUSSA PRIMA DI ENTRARE, annuncia il cartello affisso sulla porta. E` il benvenuto in un distaccamento troppo piccolo per avere spogliatoi separati. Lo stress si fa sentire. Lo yoga non lo pratico, con le preghiere ho un rapporto a dir poco conflittuale e di individui che portano l’argenteria sulla divisa non ne conosco nessuno. Un certo senso di sconforto comincia ad insinuarsi nell’anima. Dov’è il galleggiante, il canapo che mi terrà a galla aiutandomi a sopravvivere nei prossimi quattro mesi?

Il distaccamento è minuscolo, in totale dieci agenti, incluso il Chief, due sergenti e sette agenti. Per curiosità do un’occhiata alla lista affissa nella bacheca, quella dei nomi che fanno servizio in questa piccola stazione. Il mio sguardo cade sulle generalità di uno dei due sergenti. Il cognome denota una chiara origine italiana. Mi rivolgo all’altro agente che si sta preparando al servizio con me; punto il dito sul cognome del Sergente “Italiano”: “George?” (non il suo vero nome) mi chiede. “Si” gli rispondo. “Lascia perdere e sempre ‘cranky’ (irritabile), non piace a nessuno;  trenta anni di servizio, potrebbe andare in pensione, ma è qui a rompere le scatole, a rendere la vita difficile a tutti…” La speranza si affloscia come un pallone bucato, lo sconforto ritorna. Appellarsi all’italianità del sergente per un trattamento meno ostico non sembra essere l’ancora che cercavo.

 

 

Caspita! Un vero ‘greaseball”, accento compreso, non uno di quei fasulli che vengono da New York pretendendo di essere Italiani per poi scoprire che sono di seconda o terza generazione” Così mi saluta George, incrociandolo nel parcheggio del distaccamento tra le  macchine di servizio. ”Si, Italiano, ma anche americano di adozione.” gli rispondo, accennando ad un saluto quasi militare. “Okay, whatever, cambia poco; un ‘greaseball’ in questo posto dimenticato da Dio, ci mancava solo quello…”  Questo è stato di fatto il primo contatto con George; un benvenuto corrispondente alle sue propensioni comunicative, prossime al nulla. Ma nonostante tutto, l’inizio di un’amicizia che a distanza di vent’anni resiste ancora al tempo e alla lontananza.

George, di nonna genovese e nonno siciliano. Di Italiano aveva ereditato solo il piacere della pasta al pesto; un piatto che sua nonna sapeva, da buona genovese, cucinare alla perfezione. George non ha mai visitato l’Italia, ne aveva il desiderio di farlo. Tutto barca, pesca e caccia. Due matrimoni falliti alle spalle, quattro figli adulti di cui tre sposati con cinque nipoti a testimoniare e rammentargli costantemente l’età che avanza. I nipoti hanno negli anni ammorbidito la durezza di un uomo che ha sempre combattuto contro tutto e tutti. Un uomo in constante stato di guerra; sul lavoro, in famiglia, con i vicini, con gli amici (quei pochi che gli sono rimasti), con i colleghi, subordinati e superiori che fossero. George è uno degli agenti, tra quelli che ho conosciuto negli anni, rimasti coinvolti in conflitti a fuoco; era appena entrato in servizio nella ormai lontana estate del 1973. Per anni George ha visto il mondo cambiare attorno a sé, ma al cambiamento ha sempre resistito, come un vecchio dinosauro che vede l’asteroide dell’estinzione avvicinarsi a grande velocità dal cielo e, ignorandolo, continua a foraggiarsi tra l’erba.

Uno di quegli asteroidi lo colpì a tre anni dal nostro primo incontro nel parcheggio della stazione di polizia. Era il Giugno 2004; le due del mattino di un sabato come tanti. E’ l’orario più probabile per pescare conducenti in preda ai fumi dell’alcool o di sostanze stupefacenti. Parcheggio la mia enorme macchina di pattuglia, una vecchia Ford Crown Victoria, appostandomi dietro un albero, nascosto all’uscita di una curva della strada principale che attraversa la giurisdizione, con il muso della macchina rivolto nella direzione della corsia della strada. Motore acceso, luci spente, rilevatore di velocità montato sul cruscotto che segnala la velocità di ogni passaggio. Molti non si accorgono nemmeno della mia presenza; altri, i più attenti, nel buio totale colgono la sagoma della mia macchina all’ultimo momento, quando ormai il radar sul cruscotto ha rivelato la loro andatura, troppo tardi per rallentare; i più premono il piede sul pedale del freno e allo stesso tempo, colti di sorpresa, fanno oscillare la macchina verso il lato opposto dove sono parcheggiato. Il traffico è ormai ridotto quasi a nulla, passa una macchina ogni 10 minuti; mentre contemplo la decisione di abbandonare la mia caccia per tornare a pattugliare, George, l’altro collega in servizio con me quella notte, mi chiama alla radio: “Campa c’è una macchina che ho visto sfrecciare mentre arrivavo da una delle traverse, dovrebbe comparire sul tuo radar da un momento all’altro; io non ho fatto in tempo a rivelare la velocità.” “10-4 (ricevuto)” rispondo. Il tempo di rimettere a posto il microfono della radio e il rilevatore di velocità sul cruscotto si illumina come un albero di natale. Segnala 83 miglia all’ora, in una zona dove il limite è di 30. Osservo i fari del veicolo che si avvicinano verso di me a grande velocità raggiungendo e passando dalla mia postazione senza neanche rallentare di un miglio. Accendo le luci della pattuglia faccio inversione e mi lancio all’inseguimento della macchina. “E passato?” mi chiede George alla radio. “Si” rispondo io, “come un razzo” aggiungo. “Non perderlo di vista questo mentecatto” mi dice. Giusto per una frazione di secondo osservo la mia velocità sul contamiglia: 90.  Ora ho la visuale sulla macchina sospetta,  la osservo sbandare due volte quasi finendo contro uno dei pali della luce posizionati al ciglio della strada. George mi raggiunge, ora siamo in due ad inseguire; sento alla radio che altre pattuglie stanno arrivando. “Campa prendo io la posizione primaria, tu prendi quella secondaria e mantieni la comunicazione con la centrale.”  Neanche il tempo di rispondere e osservo la macchina sospetta sbandare per la terza volta, l’ultima, sino a sbattere contro il palo del semaforo abbattendolo al suolo per poi terminare la sua corsa sulla panchina degli autobus in una nube di fumo.

 “Esci di lì coglione” sento gridare fra il trambusto, il fumo e le sirene. Raggiungo George che nel frattempo con le mani cerca di aprire lo sportello del guidatore; la macchina è però un groviglio di lamiere e plastica. A malapena riesce a tirare fuori il conducente attraverso quel che rimane del finestrino, prendendolo per la testa. “Sarge” (abbreviazione per Sergente) sento gridare dietro di me  “ma non vedi che ha perso conoscenza!”. La voce non la riconosco, ma appartiene a uno degli altri agenti nel frattempo arrivati sul posto. Mi rivolgo io al Sergente “probabilmente ha subito un grave trauma, meglio aspettare i paramedici, li ho già chiamati”

 

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Che necessità c’era di estrarlo di forza dall’abitacolo della macchina quando era chiaro che non era cosciente?” La domanda del Chief era diretta a George. “Poteva avere un’arma nell’abitacolo e volevo prevenire che la impugnasse” risponde George. “La macchina era un’accozzaglia di lamiere e lui era chiaramente svenuto se non addirittura morto; la tua logica è antidiluviana. Se mai uscirà dal coma rischia di rimanere paralizzato per il resto della sua vita e sarà anche grazie a uno dei mie Sergenti che vuole sempre usare le mani anche quando non e`necessario.” replica il Chief. “Mica siamo manovali! ” si difende George. “Infatti non sei un metalmeccanico, ma un agente addestrato, un supervisore, un professionista” risponde il Chief.

Sarà l’ultima “avventura” di un uomo superato dalla storia. Un uomo che non aveva colto il cambio generazionale nel modo di interpretare e gestire le relazioni sociali, l’ultimo di una generazione di dinosauri che combattono contro i fantasmi di un cambio epocale che li spinge a isolarsi sempre di più e allontanarsi dalla civiltà attuale.

La vecchia guardia si ritrova oggi smarrita, disorientata da una propsettiva completamente diversa di interpretare il ruolo di pubblico ufficiale. Le reclute e gli agenti che vengono ora sfornati dai corsi di polizia sono addestrati secondo criteri completamente diversi da quelli in uso solo dieci anni fa. Ad un impegno già estremamente stressante e rischiosissimo si aggiunge ora anche un aspetto politico che costringe i poliziotti a riconsiderare ogni azione intrapresa sul campo. Il risultato è visibile nelle statistiche: l’aspettativa media di vita dei poliziotti americani è di 59 anni. Se le armi, gli incidenti stradali, i suicidi non uccidono prematuramente un poliziotto, ci pensano malattie cardiovascolari e tumori vari. Al primo di dicembre di quest’anno, il 2019, le statistiche ci dicono che i soli poliziotti uccisi durante un conflitto a fuoco sono aumentati del 20% rispetto al 2018, per un totale di 267 poliziotti. Una strage senza precedenti. Con il pensionamento dei vecchi dinosauri, definiti a volte (a ragione) dal grilletto troppo facile e con il reclutamento di una nuova leva  imbavagliata dal credo del politicamente corretto i risultati rifulgono nelle statistiche ferali.

George, tre mesi dopo il rimbrotto nell’ufficio del Chief, andrà in pensione concludendo una carriera, che dopo oltre trent’anni, era cambiata di riflesso ai mutamenti del mondo che gli girava intorno. George non era stato capace di cogliere, comprendere e gestire il suo impegno adattandosi ai cambiamenti.

 

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La statale 85 taglia il Wyoming da nord a sud costeggiando il confine con lo stato del Nebraska e del South Dakota. Partendo da sud, cioè dal confine col Messico, la 85 termina a Fortuna, nel Nord Dakota, al confine col Canada. La zona est del Wyoming è forse la meno bella e maestosa di questo stato che incarna il concetto stesso di frontiera americana. I maestosi parchi nazionali di Yellowstone e Grand Teton si trovano dalla parte opposta, nella zona ovest vicino al confine con l’Idaho. Nonostante ciò percorrendo la 85 e attraversando il confine con il Sud Dakota si entra nel parco nazionale del Black Hills. Le bellissime colline del Black Hills sono meglio conosciute perché all’interno accolgono il Mount Rushmore e la montagna memoriale dedicata a Crazy Horse (Cavallo Pazzo).

Vivo negli Stati Uniti da oltre trent’anni, ma la magica terra del west, con i suoi panorami maestosi, epici, pieni di straordinaria bellezza naturale, non finisce mai di stregarmi. Vivo nell’Ovest, in California, perché l’est non è mai riuscito ad entusiasmarmi. Senza togliere nulla alla cosmopolita New York, alla calda Miami, alle montagne dello Shenandoah, al verde sontuoso del Vermont, preferisco l’Ovest con i suoi spettacolari parchi nazionali: Grand Canyon, Yosemite, Yellowstone, Bryce Canyon, Glacier e tanti altri. Dai picchi della Sierra Nevada, ai deserti dell’Arizona. Dalla spettacolare costa Pacifica ai laghi di Tahoe e Powell, dagli altopiani desertici del Nevada alle praterie del Dakota, dai crateri “lunari” dell’Idaho agli Archi monumentali dello Utah,  dalla Valle della Morte al parco nazionale di Zion, l’Ovest è un affresco senza uguali nel mondo. Attraversando le strade leggendarie dell’Ovest, lontano dai grandi centri abitati, in questi ampi e maestosi spazi aperti, si rivive lo spirito pionieristico di un tempo. L’ovest è stato e torna ad essere l’ultima frontiera.

 

 

Percorrendo la 85 in Wyoming, si attraversa un paesino di nome Lusk. Nel minuscolo centro del paese si trova una nota stazione di servizio, punto di ritrovo e di sosta per i motociclisti che attraversano gli Stati Uniti sugli assi East-Ovest, Nord-Sud. Una tappa storica e obbligata per gli amanti delle Harleys. In quella stazione di servizio, due anni fa, io e mia moglie, sulla via del ritorno in California, avevamo offerto la cena a un motociclista infreddolito che aveva sostato di rientro in Colorado.

Dopo aver attraversato il centro abitato, direzione nord, molte miglia più avanti si arriva a un incrocio con una strada non asfaltata, che sfocia in ambedue lati sulla 85. Svoltando si entra nella strada sterrata che mi conduce al ranch di George. Una tenuta collocata internamente, qualche miglio lontano dalla statale. Seduto su una collinetta , il ranch di George gode di una vista panoramica libera tutto intorno da ogni ostacolo. Una proprietà di diversi ettari.

Da quando tuo figlio frequenta l’università di Bismarck mi vieni a trovare tutti gli anni” mi accoglie George. “Lo sai che, anche se devo fare una piccola deviazione per arrivare qui, non mi perderei per nessuna ragione al mondo la possibilità di prendermi un caffè con te e contemplare dalla veranda di casa tua questa splendida vista’ rispondo. “Dalla California al Nord Dakota puoi prendere l’aereo e arrivare a Bismarck in poche ore invece di metterci due giorni con la macchina.”rincara la dose George. “Si lo so, l’aereo lo prendo al ritorno, se no non potrei venire a romperti le scatole; ma se vuoi me ne vado…” gli dico scherzando. “Gianfranco tu sei noioso. La birra non ti piace. Io il vino non lo bevo, mi costringi sempre a procurami una bottiglia di rosso perché la birra la detesti, che razza di Americano sei?” Mi apostrofa con fare seccato. “Parli tu che ti scoli la birra messicana…” gli replico

Il Ranch di George non è grandissimo, ma quanto basta per tenerlo occupato dalla mattina alla sera. Le donne vanno e vengono, ma è troppo scorbutico per stringere una relazione impegnativa. Vive solo, anche se tra figli, nipoti e amici c’è sempre qualcuno a visitarlo. Cinque cavalli, una quindicina di mucche, in più cani, galline, tacchini, ma soprattutto il grande orgoglio di George,  tre bisonti che scorrazzano liberi nella terra recintata di sua proprietà, rendono la visita al ranch di George uno svago e un diversivo per sfuggire alla routine quotidiana.

 

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La scorsa estate ho subito una invasione di serpenti a sonagli; uno di quei viscidi ha morso una mucca del mio bestiame. Superfluo dire che gli ho spappolato la testa con un colpo di fucile” mi racconta George mentre seduti in veranda ci beviamo una bibita. “Zitto che se ti sentono gli animalisti ti fanno causa.”  gli dico. “Mi possono baciare il culo. Mica siamo in quella fogna progressista della California. Questo è il Wyoming e questa è la mia terra. Io sono il re di questa terra. Faccio ciò che voglio.  Il governo, o qualsiasi altra organizzazione per me possono andare a puttane.” mi risponde George con tono aggressivo. Prosegue con un certa concitazione  “Da questa casa, su questa collina, riesco a vedere tutto intorno alla mia proprietà. Una posizione strategica, Se mai verranno e quando verranno avranno delle sorprese poco piacevoli.“ Poi puntando il dito verso l’orizzonte George esclama ”Questa è la mia collina di armageddon; da qui combatterò la mia ultima battaglia, il mio ultimo atto

George, californiano di nascita, dopo il pensionamento, ha venduto la sua casa in San Rafael, a nord di San Francisco e si è trasferito in Wyoming. Grazie ai costi esorbitanti degli immobili in California, soprattutto nella baia di San Francisco, con i soldi della vendita della casa di proprietà dei genitori, George ha potuto trasferirsi in Wyoming comprandosi il ranch, il bestiame, la terra, tre trattori, due pickup trucks, un quad e una moto Harley. George diceva sempre che quando andava in pensione si sarebbe trasferito in Wyoming; ne era innamorato. Cosa attrae uno come George a trasferirsi nel maestoso Wyoming?

George non è l’unico poliziotto che ha lasciato la California dopo il pensionamento. L’esodo di poliziotti californiani che al termine della loro carriera si trasferiscono in altri stati è biblico, senza precedenti nella storia americana. Molti ex componenti delle forze dell’ordine scelgono l’Idaho come destinazione finale, ma anche il Wyoming, lo Utah, il Montana,  il Tennessee; il Nebraska, risultano fra i più gettonati. La maggior parte di loro preferisce vivere in campagna lontano dai maggiori centri metropolitani.

L’esodo verso questi stati non è riservato ai soli ex-componenti del mondo militare e delle forze dell’ordine: Cittadini comuni da ogni parte dell’America hanno deciso di trasferirsi negli stati “montagnosi”. Le ragioni di questo impulso migratorio sono le stesse per tanti altri che, come George, hanno abbandonato posti come la California, New York, Illinois, Pennsylvania, ma soprattutto i grandi centri metropolitani per trasferirsi nel cosiddetto redoubt states.

 

 

THE AMERICAN REDOUBT

 

 

 

Benvenuti nel redoubt americano. Che cos’è il redoubt americano? Piu semplicemente possiamo chiamarla l’ultima frontiera americana. Un pezzo di territorio che incorpora le aree geografiche del Nord Ovest-Pacifico. Include lo stato del Wyoming, del Montana, dell’Idaho e la parte orientale degli stati dell’Oregon e Washington. All’alba della nascita degli Stati Uniti, queste zone erano contese dai pionieri. La frontiera americana che si spostava verso ovest, lentamente ingoiava questi pezzi di terra, trasformandoli, malleandoli, rendendoli partecipi nella nascita della nazione a stelle e strisce. Domarli questi stati pero`non è mai stato del tutto possibile; troppo selvaggi, troppo ribelli, per conformarsi pienamente alle regole dettate della lontana Washington.  I territori del Wyoming, dello Utah, del Dakota, dell’Idaho stanno lentamente tornando ad essere terre di frontiera. L’ultima frontiera dell’impero americano, dove nelle montagne e colline del redoubt americano si terrà l’ultima battaglia fra i patrioti americani fedeli alla costituzione originaria e le forze anti-costituzionali. ”Questa è la mia collina di armageddon da qui combatterò la mia ultima battaglia, il mio ultimo atto

Il concetto di redoubt ha preso forma e si è sviluppato nel 2010, in piena presidenza Obama. Gli anni dell’amministrazione Obama hanno esasperato lo scontro in atto fra il movimento patriottico americano (da non confondere con l’idea neo-conservatrice-repubblicana) e il crescente potere governativo che negli ultimi decenni ha cominciato a pervadere sempre di più l’esistenza dei cittadini americani regolamentando la vita quotidiana. In altre parti del mondo l’intervento sociale e legislativo dei governi centrali viene visto a volte come una panacea ai problemi dei cittadini stessi: scuola, sanità, trasporti e servizi sono parte essenziale del rapporto cittadino-stato. I patrioti americani invece concepiscono un mondo diverso, con un governo centrale presente ma non impositivo, minimalista non oppressivo. Incarnano lo spirito dei primi coloni inglesi fuggiti dalla madre patria e dalla oppressione della corona inglese, arrivati nel nuovo mondo alla ricerca della libertà di religione e di espressione. I patrioti americani moderni incarnano lo spirito dei patrioti del 1776. “ Voglio meno ingerenza burocratica, meno governo; lasciatemi in santa pace.Togliete le mani dalla mie tasche e fatemi avere più controllo del mio destino” (Ronald Reagan)

 

 

Ma non è solo dal governo che scappano quelli come George e tanti altri come lui.  Scappano sì dalla tassazione asfissiante degli stati e delle contee progressiste-liberali, ma anche dal cambiamento demografico che li fa sentire emarginati, ospiti in casa propria.  Scappano da questi stati che hanno cominciato, secondo loro, a violare con leggi oppressive il sacrosanto diritto di possedere le armi. Diritto incastonato nel secondo emendamento della costituzione Americana:  “«Essendo necessaria, alla sicurezza di uno Stato libero, una milizia ben regolamentata, il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non potrà essere infranto.»

 

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James Wesley Rawles è un autore americano che scrive romanzi sul tema della sopravvivenza; romanzi bevuti, letti e distribuiti tra i patrioti americani, incoraggiandoli a prepararsi alla prossima guerra civile e al caos che la caduta degli Stati Uniti porterà. Rawles si descrive come un costituzionalista tradizionale. Ex ufficiale dell’intelligence dell’esercito americano e` l’ispiratore, la mente, dell’esodo verso il redoubt americano. Anche Rawles, come George è californiano di nascita; di Livermore precisamente, un paese distante dal mio una decina di chilometri. Rawles cita la polarizzazione dei due maggiori partiti politici degli Stati Uniti,  la politicizzazione delle agenzie governative – individuando negli abusi di entità come l’FBI,  la CIA, la DIA e il Dipartimento degli Interni la causa di futuri conflitti. Rawles descrive la polizia, i tribunali e i mass media come complici delle agenzie statali e federali intente a violare i capisaldi presenti nella costituzione americana tesi a prevenire abusi da parte del governo e dei centri di potere della classe dirigente. Continua affermando che la tassazione è uno stratagemma socialista usato da un governo corrotto per “espropriare la produttività altrui e ridistribuire la ricchezza costruendo una base elettorale governo-dipendente e permanenteIl globalismo, il socialismo, la burocrazia sono inconciliabili con il patriottismo e la costituzione americana. I globalisti hanno come obiettivo la redistribuzione della ricchezza a livello globale e allo stesso tempo, attraverso il globalismo, i trattati internazionali ,  le grandi multinazionali e le leggi oppressive sull’ambiente, l’arricchimento personale di pochi a scapito della distruzione del concetto di nazioni e di popoli realmente liberi

 

 

Nel caos della futura caduta degli Stati Uniti, qualunque dovesse esserne il motivo, l’America Redoubt diventerebbe il nuovo baluardo, un nuovo soggetto geografico, dal quale, sulle ceneri della precedente, ricostruire il sogno di una nazione libera e costituzionalista; “Una nazione che diventi bastione di un nuovo cristianesimo tradizionale, libero da ogni legge o regola dettata da entità sovranazionali, globali, mondiali, con una presenza governativa ridotta al minimo essenziale. Una nuova nazione garante della libertà personale, con cittadini liberi di possedere le armi, di curarsi della propria terra come desidera, di vivere la propria vita sollevata da ogni giogo legislativo-burocratico. Mi piacerebbe vedere l’American Redoubt ritagliarsi l’autonomia necessaria rispetto a quelli che oggi conosciamo come gli Stati Uniti d’America. Vorrei vedere l’American Redoubt fondamentalmente come una roccaforte di valori tradizionali con il resto degli Stati Uniti affondare nell’oblio” afferma Rawles. Qui il blog di Rawles e dei patrioti dell’America Redbout:  https://survivalblog.com

Perché i patrioti americani hanno scelto questa area geografica per auto-esiliarsi? La risposta è da ricercare nella posizione “strategica” e politica di questa area geografica. Il Wyoming, Idaho, Montana, le parti orientali dell’Oregon e dello stato di Washington, sono a maggioranza di destra conservatrice. Sono geograficamente montagnosi, piene di risorse naturali. Secondo i patrioti dell’American Redbout la possibilità di acquistare proprietà con un esteso pezzo di terra, incluso di torrente, alberi e cacciagione, permette la completa indipendenza e quindi sopravvivenza in caso di collasso sociale. In più il fatto che le regioni sono montagnose permette a chi li conosce bene di usare il territorio a proprio favore in caso di conflitto armato. L’agenzia immobiliare survival realty  è specializzata nella vendita della perfetta proprietà da acquistare nell’America Rebout. https://www.survivalrealty.com/american-redoubt/

C`è un altro aspetto che spinge all’esodo dei patrioti americani verso il redoubt: Sono Stati in cui il diritto al possesso delle armi è regolato al minimo. L’Idaho, il Montana e il Wyoming sono considerati fra i primi dieci stati più permissivi nel possesso delle armi. Per esempio in Wyoming la legge permette il trasporto libero delle armi. Non è richiesto un permesso. Puoi andare dove vuoi con le tue armi, puoi anche mostrarle in pubblico. Non è richiesto nessun permesso e nessuna registrazione al momento dell’acquisto. Non ci sono limitazioni al numero delle armi che puoi acquistare. Non esiste nessuna legge che regola le dimensioni dei caricatori. In contrasto la California non permette l’uso di caricatori con più di 10 proiettili. Lo stato della California richiede un permesso per trasportare l’arma. Per acquistarla devi sottoporti ad un controllo per eventuali precedenti penali e problemi psichiatrici. Le armi acquistate devono essere tutte registrate. Qui in dettaglio le leggi che regolano il possesso di armi stato per stato:https://www.gunstocarry.com/gun-laws-state/#wy2

Ma chi sono e quanti sono esattamente i patrioti del redoubt? Un’inchiesta condotta dalla rivista The Economist in un articolo dell’agosto 2016 sul movimento american rebout intitolato “L’ultima Grande Frontiera”,  stimava che “migliaia di famiglie” si sono trasferite nella Redoubt  affermando che il  movimento “sta lentamente guadagnando terreno”  Quantificare l’esatto numero è impossibile perché la stragrande maggioranza delle persone che si trasferiscono sono per natura molto circospetti. Sono distaccati dal mondo mediatico-sociale. Molti di loro non hanno accesso a internet , televisione e telefono, strumenti che considerano di spionaggio e controllo. La forma di  comunicazione preferita è una battuta di caccia in cui ritrovarsi e coordinare varie idee, tra una birra, un barbeque e una sventagliata di caricatore. Wilderness living – The last big frontier | United States

La maggior parte sono cittadini che non si rispecchiano più in una nazione che sta cambiando, fedeli ancora ad una idea di America che va lentamente dissolvendosi. Sono di tutte le razze, non solo bianchi. Il rappresentante dei patrioti americani che si appresta a correre per la sedia del terzo distretto senatoriale dello stato dell’Idaho si chiama Alexander Barron, un afro-americano: https://alexanderbarron.com

I patrioti americani vengono definiti da molti, come rappresentanti di estrema destra. In realtà i patrioti americani  rifiutano il concetto di nazismo, fascismo e comunismo. Odiano entità come gli antifa e i naziskins. Sono ideologie che non collimano con la loro idea di libertà poiché vengono visti come strumenti di ideologie oppressive dei popoli, veicoli di governi autoritari; l’antitesi del credo patriottico americano che nel governo vede uno strumento di oppressione.

 

 

 

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Sposta una di quelle sagome più a destra, non vedi che che sono troppo vicine?” grido a George mentre osservando dalla distanza lo vedo posizionare i bersagli per il tiro. Non lo sento rispondere, ma anche se mi volta le spalle, realizzo mentalmente  la serie di di parolacce che probabilmente sta sussurrandomi contro. “A proposito non vedo l’AR-15- l’hai preso dal bunker?”  chiedo a George guardando di fronte a me la serie di armi appoggiate sul largo tavolo. “Bro, go fuck yourself!” esplode finalmente George, dopo il record di cinque minuti di silenzio durante I quali ha evitato di reagire alla mia prima provocazione. Ma ora la misura è colma “quando smetti di fare la parte della fighetta me lo dici. Hai riempito i caricatori?” mi chiede George. “Certo che li ho riempiti, mentre tu giocavi a bambole con le sagome. Il Remington, l’M60 e il Mossberg sono pronti , ma non vedo gli AR-15. Pensavo li avessi presi.gli rispondo.”Devo averli lasciati a casa” esclama George. “Potevi anche ricordami di portarli” mi dice con tono accusatorio. “Io sono incaricato di trasportare le cassette delle pallottole, le protezioni agli occhi e alle orecchie, tu le armi; se sei entrato in fase senile me lo dici prima, così penso a prendere e trasportare tutto io…” ribatto. “Whatever man! Let’s get it started” risponde con voce alterata.

Con l’arrivo di due amici di George, il suo poligono personale, situato all’interno della sua proprietà, si illumina come un campo di battaglia con i traccianti di fuoco che eruttano dalle canne delle nostre armi. Alla fine, circa 50 sagome e oltre mille cartucce vuote ricoprono il terreno sotto i nostri piedi. Mentre con aria soddisfatta ci stringiamo la mano complimentadoci a vicenda, mi vengono in mente le parole di George “Questa è la mia collina di armageddon, da qui combatterò la mia ultima battaglia, il mio ultimo atto

 

 

 

 

 

 

 

 

Amazon, Ibm, Microsoft e Oracle vanno all’attacco sulle commesse del Pentagono, di Giuseppe Gagliano

l caso del contratto Jedi del Dipartimento della Difesa assegnato a Microsoft. I dissidi fra Trump e Amazon. Le mosse di Ibm e Oracle. E non solo. L’approfondimento di Giuseppe Gagliano

Jeff Bezos, ceo di Amazon, ha dichiarato che gli Stati Uniti sarebbero “nei guai” se “le grandi aziende tecnologiche voltassero le spalle al Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti”. I giganti della tecnologia sono guidati da un’improvvisa sensazione patriottica o questi interessi puramente economici e finanziari, sotto le spoglie del patriottismo, sono finalizzati a dominare il mercato americano multimiliardario della difesa?

Nell’agosto 2019, Microsoft ha vinto un contratto decennale da $ 7,6 miliardi con la difesa degli Stati Uniti: il contratto DEOS (Defence Enterprise Office Solutions). L’obiettivo di DEOS è standardizzare la messaggistica collaborativa e i flussi di lavoro sotto la piattaforma Office 365, rafforzando al contempo la sicurezza informatica e la condivisione delle informazioni. Un anno prima, Microsoft aveva vinto due contratti nel settore militare e dell’intelligence.

Nel maggio 2018, la CIA ha deciso di offrire alle 17 agenzie di intelligence un pacchetto Cloud multi-operatore condiviso tra Amazon e Microsoft (Office 365). Amazon, con la sua offerta dedicata ai servizi di informazione, è dal 2013 l’unico operatore su questo mercato (per un budget stimato di oltre 600 milioni di dollari).

Nel novembre 2018, Microsoft ha vinto una rilevante gara d’appalto per fornire fino a 100.000 cuffie per la realtà virtuale HoloLens all’esercito americano per un massimo di $ 480 milioni.

Infine, il 25 ottobre 2019, il Dipartimento della Difesa (DoD) ha annunciato di aver assegnato a Microsoft il contratto JEDI per l’archiviazione dei dati nel suo cloud.

Uno studio pubblicato nell’aprile 2019 dal sito Parkmycloud mostra che Amazon rimane il leader nel mercato del cloud, posizionandosi molto più avanti di Microsoft, Google, Ibm, Oracle, con servizi cloud che rappresentano il 13% della sua attività totale nel 2018, in evoluzione con il 41% all’inizio del 2019. Amazon ha infatti milioni di clienti, tra cui Netflix, Airbnb, Palantir e GE.

Con la sua soluzione Amazon Rekognition, che identifica i volti, rileva l’età, il sesso e alcune emozioni, in fase di test con l’FBI dimostra come stia diventando uno dei maggiori appaltatori della difesa degli Stati Uniti. Amazon era quindi il grande favorito per vincere il contratto JEDI. Perché ha perso?

Il contratto JEDI mira a modernizzare i sistemi IT militari per facilitare l’implementazione di una nuova architettura di archiviazione cloud per l’80% dei dati. Il DoD ha deciso, al momento del lancio, di assegnare l’intero contratto a un unico fornitore, piuttosto che suddividerlo in più gare d’appalto. Ebbene, nell’aprile 2019, Microsoft e Amazon erano le uniche due società in corsa. Infatti Google aveva deciso di ritirarsi sotto la pressione dei suoi dipendenti, IBM e Oracle erano state escluse dalla gara. D’altra parte, diversi altri eventi hanno interrotto il corso di questo bando di gara fino alla decisione del 24 ottobre.

In primo luogo è stata fatta una causa su iniziativa di Oracle che accusa il DoD di aver ingiustamente strutturato questo contratto a favore di Amazon.

In secondo luogo la presenza di conflitti di interesse che coinvolgono Amazon, che ha assunto uno dei suoi ex dipendenti per passare attraverso il Pentagono durante il processo di gara. Questa accusa, ripresa da Oracle e dagli altri concorrenti, non è stata dimostrata a seguito di un’indagine del DoD.

In terzo luogo sia Oracle che Ibm, sostenute da diversi membri del congresso americano, hanno sottolineato che la scissione del contratto avrebbe potuto consentire di ottimizzare i costi del servizio offerto.

In quarto luogo, in questa offensiva, Oracle e gli altri concorrenti sono riusciti a coinvolgere il presidente americano nell’aggiudicazione di questo contratto.

Il Dipartimento della Difesa, da parte sua, afferma che “tutti i candidati sono stati trattati in modo equo e valutati secondo i criteri di valutazione stabiliti nell’invito a presentare offerte”. Le informazioni pubbliche sembrano smentire questa versione. Infatti a luglio, il presidente ha dichiarato di aver ricevuto “un numero molto elevato di denunce” dagli sfidanti di Amazon in merito all’offerta JEDI.

La strategia di Oracle e Ibm è stata quella di attaccare e occupare il campo. Oracle e i suoi lobbisti hanno capito che, con l’elezione di Donald Trump, il modus operandi è cambiato poiché il presidente non esita a interferire in modo esplicito in tutte le aree. Ciò è tanto più vero soprattutto quando si tratta di Amazon, data la relazione “ostile” tra Donald Trump e Jeff Bezos (ceo di Amazon e proprietario del Washington Post).

Questa analisi sembra confermata perché, secondo la CNBC, in un libro che verrà pubblicato l’ex segretario di Stato alla Difesa, Jim Mattis, ha sostenuto che, nell’estate del 2018, Donald Trump gli aveva chiaramente chiesto di “escludere Amazon AWS” del contratto JEDI cosa che Jim Mattis non ha fatto.

Analizzando le manovre dei concorrenti di Amazon, diventa chiaro che Oracle ha avuto un atteggiamento molto offensivo volto soprattutto ad attaccare. Con informazioni controverse e non verificate da critici e lobbisti del contratto, Oracle e Ibm sono riusciti a catturare l’attenzione del presidente Trump. Dato il suo carattere impulsivo e la sua animosità nei confronti di Jeff Bezos, l’inquilino dell’ufficio ovale si è sentito in dovere di intervenire nel processo. Oracle e Ibm nelle loro strategie ora sperano che Amazon porti la questione davanti ai tribunali federali.

Oracle e Ibm, consapevoli che sarà difficile vincere questa importante competizione, hanno deciso una strategia di attacco molto chiara. L’effetto finale cercato è quello di creare un sentimento di paura nell’opinione americana sottolineando la pericolosità di una posizione monopolistica di Amazon o Microsoft (in misura minore) nei circoli della difesa. Questo sentimento dovrebbe indurre l’opinione politica e civile a chiedere la suddivisione del contratto JEDI tra diversi attori.

Amazon non ha ancora dato una risposta chiara a tale proposito. Una cosa è tuttavia certa: qualunque sia l’esito di questo caso, è chiaro che la dipendenza del Pentagono dalla Silicon Valley è destinata ad aumentare, poiché gli investimenti delle imprese saranno sempre maggiori di quelli del governo degli Stati Uniti e ciò probabilmente determinerà l’affermarsi di un attore monopolista. Nella sua strategia di difesa, Amazon ha tutto l’interesse a conseguire questo obiettivo.

https://www.startmag.it/mondo/amazon-ibm-microsoft-e-oracle-vanno-allattacco-sulle-commesse-del-pentagono/?fbclid=IwAR2o5nt92MBRE41rlR8ZvHyDzBxnZpduaNTavt4zH5VP_eZOW_3–pvS2Hc

THE TMP THEORY. (TMP=Trump-Macron-Putin), di Pierluigi Fagan

A fine agosto in occasione del G7 di Biarritz, a seguito del lungo colloquio tra Macron e Trump, avanzammo l’ipotesi di un patto tra i due per il quale Macron avrebbe cercato si risolvere il contenzioso russo-ucraino, con successiva normalizzazione dei rapporti tra UE e Russia (quindi uscire dallo stato sanzionatorio), onde permettere a Trump di invitare Putin al successivo vertice in Florida nel 2020, come per altro Trump aveva annunciato possibile. Su questa supposta operazione di diplomazia inclusiva si sommano una serie di interessi, alcuni a favore, altri contro.

Trump cerca di perseguire il dialogo con Mosca dalla sua elezione ma è stato a lungo tenuto sotto scacco dal Russiagate poi terminato in un nulla di fatto. Ora è sotto procedura di impeachment però questo non pregiudica la sua operatività in politica estera. Il fine è noto a chiunque sappia due-cose-due di geopolitica. Ostracizzando al contempo Russia e Cina, gli USA si creano un nemico bicefalo che compensa mancanze con punti di forza. Potenza militare la Russia ma non economica, potenza economica ma non militare la Cina, un vero capolavoro di stupidità strategica. Il fatto è che buona parte del Deep State americano non ha nulla di specifico contro la Cina mentre confinare la Russia nel corner dei nemici assoluti ha grande utilità soprattutto per alimentare la macchina militar-industriale, NATO annessa. Di contro, per Trump ed il suo gruppo di potere, le posizioni sono esattamente inverse. La Russia potrebbe su base gas-petrolifera addirittura esser un partner come lo è stato per lungo tempo prima dell’affaire ucraino (si pensi anche a gli sviluppi siberiano-polari che avevano portato alla nomina a Segretario di Stato dell’ex CEO di Exoxn-Mobil, Rex Tillerson, grande amico dei russi) , il nemico strutturale e prospettico è obiettivamente la Cina in quanto la partita dei poteri mondiali è certo economico-finanziaria e non certo militare, spingere i primi ad unirsi ai secondi è esattamente il contrario di ciò che fece a sui tempo Kissinger ai tempi di Mao e Nixon, quando Cina ed URSS erano oltretutto allineate ideologicamente.

Putin certo è consapevole delle trappole insite in questo disegno e certo non ha nessuna intenzione di ri-orientarsi strategicamente dal formato “strana coppia” (RUS-CHI) come la chiama Limes, ad un improbabile nuova amicizia con gli infidi occidentali però, realisticamente, ottenere una qualche possibilità di “bilanciamento” avrebbe un suo appeal. Questo aumenterebbe il potere negoziale russo ed aiuterebbe la Russia ad aprirsi ventagli di possibilità sul prezzo a cui vendere i suoi patrimoni energetici fossili e potersi comprare tecnologia per far fare qualche salto alla sua industria.

Macron ne otterrebbe molti vantaggi. Il prestigio del ruolo di Ministro degli Esteri nella diarchia di Aquisgrana in cui Merkel è il Ministro del Tesoro, la possibilità del ruolo di intermediario primo con ricadute di affari con i russi a seguire, la diminuzione del peso geopolitico dell’Europa del’Est vs Europa dell’Ovest, un credito nei confronti di Trump ma anche di Putin, la titolarità per portare avanti la sua idea di parziale sganciamento dell’Europa dalla NATO che è la precondizione per i progetti di costituzione di una potenza militare europea che è l’unica carta che le permetterebbe di sedersi al tavolo della nuova fase di geopolitica multipolare.

Merkel di fatto è già da tempo e nonostante le roboanti dichiarazioni pubbliche contrarie, di fatto partner commerciale coi russi, si pensi al raddoppio del North Stream 2. Per altro, larga parte della confindustria tedesca e della politica bavarese sarebbe entusiasta di una normalizzazione. Pubblicamente però non si espone per salvaguardare equilibri interni contrari e soprattutto per non creare tensioni con quell’Europa dell’Est che è il suo bacino egemonico naturale. Lascia fare a Macron con l’aria di chi deve pur permettere al junior partner di avere il suo protagonismo.

Zelensky ha ricevuto poteri largamente maggioritari in Ucraina anche se le minoranze nazionaliste sono agguerrite e poco disposte al disgelo. Nei fatti, il gruppo di potere attorno a Zelensky bada a gli interessi ucraini e l’Ucraina dopo esser stata sedotta dall’amministrazione Obama che ha pilotato il colpo di stato travestito da insurrezione popolare, è stata nei fatti abbandonata. La situazione economica e sociale in Ucraina è pessima ed è su questo scontento palese che Zelensky sta costruendo la sua fortuna politica. La relazione a due vie tra Ucraina e Russia è di logica geo-storica, si può far davvero poco per trovare una logica sostitutiva e certo non senza il favore di Trump, Macron e Merkel che nei fatti vanno in direzione opposta.

Contro questo movimento si segnano: l’Europa dell’Est in perenne paranoia anti-russa, i britannici al solito inorriditi dalle pretese geopolitiche degli euro-continentali viepiù se saldate in relazioni coi russi (l’incubo Heartland di Mackinder), la NATO che dal felice esito di questo movimento vedrebbe fortemente ridimensionati i suoi interessi (con un bel po’ di generali e funzionari disoccupati, nonché parte del complesso industriale americano connesso in crisi), buona parte del Deep State americano, i democratici americani, i loro alleati liberali europei.

Ecco allora che si fa fatica a trovare oggi notizie sul felice esito della riunione “formato Normandia” (Macron, Merkel, Putin, Zelensky) di ieri a Parigi, sia sulla stampa nazionale che internazionale, molto meglio la notizia del ban alle Olimpiadi e forse Mondiali di calcio, per presunto doping russo. Una spessa cortina di silenzio intorno alla notizia che quando data, è data con sospetto corredato da sfiducia e dubbi.

Nei fatti però, dopo Biarritz, Macron è andato in Ucraina e si è sentito spesso con Putin, Zelensky si è telefonato con Putin quattro volte, hanno cominciato e sono a buon punto nello scambio dei prigionieri reciproci, hanno annunciato una sospensione delle ostilità in Donbass sebbene non sempre rispettata da chi ha evidentemente interessi contrari (nazionalisti ucraini e del Donbass), ieri si sono stretti la mano e parlato a quattro occhi fissando un successivo piano di diplomazia attiva a scadenza marzo 2020. Difficile chiudere in tempo e con venti contrari il processo per firmare una pace ad aprile e revocare le sanzioni a maggio per il G8 americano che è a giugno, con le elezioni americane a novembre. Però sembra che più d’uno abbia voglia di provarci, vedremo …

Certo va notato che il tema “pace e diplomazia” non riscuote grande successo d’attenzione presso le opinioni pubbliche occidentali, il che denota una forte contraddizione adattiva a quello che volenti o nolenti sarà lo statuto multipolare del nuovo equilibrio mondiale. Meglio spingere senza tregua ad odiare qualcuno e poi inveire contro l'”odio dilagante”, no?

commenti:

https://www.facebook.com/pierluigi.fagan/posts/10219535446952376

 

Il calvario di Roger Stone; il tramonto della democrazia americana, di Gianfranco Campa

 

 

IL MARTIRIO DI ROGER STONE

 

All’annuncio della condanna di Roger Stone, Meghan McCain, la figlia del defunto guerrafondaio John Mccain, ha dichiarato “Marcisci all’inferno, Roger Stone.” Ana Navarro una commentatrice “repubblicana” della CNN ha rincarato la dose: “Marcisci in prigione e poi all’inferno.” Questi sono solo due esempi di centinaia di tweet e commenti che hanno invaso la sfera mediatica dopo la condanna di Roger Stone. Potrei riempire decine di pagine di queste reazioni volgari e demenziali, esibite da esponenti di entrambe le correnti politiche dominanti; questo solo per rendere l’idea dell’odio riversato su qualsiasi persona o entità che abbia collaborato, nel caso di Roger Stone addirittura creato, la figura politica di Donald Trump. Questo atteggiamento nei riguardi di Roger Stone è il riflesso diretto dell’odio che un numero notevole di persone prova per tutto ciò che viene identificato con Donald Trump; in aggiunta Roger Stone paga il dazio di anni di schermaglie con i poteri forti di Washington.

Il sacrificio di Roger Stone è stato concepito e celebrato sull’altare dello stato ombra e di tutte quelle forze malefiche che hanno sferrato negli ultimi quattro anni attacchi incessanti, violenti, quasi ossessivi contro chi ha sfidato lo “status quo” del potere di Washington. Ne sono rimasti travolti figure come appunto Roger Stone, Paul Manafort, Michael Flynn  e molti altri. In particolare Stone è stato colui che forse ha pagato il prezzo più alto.

I problemi per Roger Stone sono iniziati quando ha cominciato ad essere bandito da ogni piattaforma mediatica, censurando la sua libertà di espressione, negandogli la possibilità di spiegare la propria versione dei fatti di fronte all’opinione pubblica americana. I problemi sono continuati dopo essere stato intercettato dall’FBI, indagato dal procuratore speciale Robert Muller ed arrestato nella sua casa in Florida. Ventinove agenti FBI, armati fino ai denti, fecero irruzione all’alba nella casa di Stone per arrestare un 67enne che non ha mai commesso nessun reato, neanche una multa per un parcheggio e quindi con una fedina penale, fin a quel momento, immacolata. Se vogliamo fare un paragone, neanche per trasportare El Chapo si erano visti dispiegati così tanti agenti federali.

I problemi di Roger Stone  si sono aggravati quando il giudice preposto ha ingiunto al suo di team di avvocati e allo stesso Roger Stone “un gag order” cioè un bavaglio mediatico; in altre parole non potevano parlare o discutere del caso giudiziario, pubblicamente, con nessuno. Un provvedimento giudiziario con qualche precedente, ma nel suo caso portato alla massima esponenza, visto che, sia prima che dopo il processo, l’ingiunzione al silenzio non è stata ancora revocata. Una persecuzione giudiziaria feroce senza precedenti quella contro Stone, riservata solo ai mostri criminali più pericolosi.  Una persecuzione giudiziaria trasformata in una caccia alle streghe, sfociata in un processo e una condanna a cui fra poco (a Febbraio) seguirà una sentenza.

Roger Stone è stato riconosciuto colpevole di tutte le accuse formulate contro di lui; sette capi di accusa tra le quali ostruzione della giustizia, manipolazione di testimoni e ultimo, ma non meno importante, l’accusa di aver mentito al Congresso. Il quasi settantenne Stone per queste condanne rischia fino a cinquant’anni anni di carcere, l’equivalente di un ergastolo per un uomo della sua età; una sentenza di morte in una prigione federale.

Il più fedele alleato del presidente Donald Trump, colui che non l’ho ha mai tradito, che lo ha sempre sostenuto anche quando, nei momenti più difficili della presidenza, altri personaggi hanno, per mancanza di coraggio o per interessi personali, ripudiato pubblicamente e privatamente il presidente. Roger Stone invece ha sempre difeso il Presidente. Solo in rare occasioni, come fu con l’attacco missilistico ordinato da Trump contro la Siria, Stone si permise di criticare Trump, non accusandolo, ma semplicemente facendo una critica costruttiva alla sua decisione  bellicosa, esortando il presidente ad essere più cauto nel dare ascolto agli elementi oltranzisti dello stato ombra che pullano numerosi nella sua amministrazione.

Veniamo al processo svoltosi contro Roger Stone.

Alcuni aspetti interessati da tenere in considerazione:

Primo Il processo si è svolto in una corte del distretto della Colombia, cioè quel pezzo di terra meglio conosciuto come Washington DC. Praticamente Roger Stone è stato giudicato proprio nel ventre della bestia, dello stato ombra, dei poteri amministrativi e dell’establishment politico della capitale americana. Vi ricordo che Hillary Clinton, a Washington, alle presidenziali del 2016, aveva ricevuto il 91% dei voti a favore, mentre solo il 4% era stato appannaggio di Donald Trump; praticamente l’intera Washington è una fogna burocratico-politica. Il processo in una corte di Washington comporta quindi una giuria composta interamente da elettori o simpatizzanti democratici. Un fattore che ha reso la difesa di Roger Stone improba, a prescindere dalla consistenza delle prove presentate.

Secondo Il giudice che ha presieduto il processo si chiama Amy Berman Jackson, un giudice nominato da Obama. La giudice Jackson è recidiva. Jackson era già venuta alla ribalta nazionale quando, nel 2017, aveva archiviato la causa civile contro Hillary Clinton presentata da due delle famiglie che avevano perso i propri cari nell’attacco all’ambasciata americana di Bengasi, in Libia. Le famiglie sostenevano, a ragione, che Hillary Clinton non aveva fatto niente per aiutare i loro familiari durante l’attacco all’ambasciata e poi aveva anche mentito per nascondere le proprie pesanti responsabilità.     .

I procuratori del Russiagate hanno cercato volutamente di far sì che il processo contro Roger Stone si svolgesse presso la corte del giudice Jackson, ben sapendo che la cosiddetta giudice non era certo un modello di imparzialità; nasconde negli armadi una agenda pro-stato ombra, pro-partito democratico. Il giudice Jackson tra l’altro presiede anche il processo contro Paul Manofort. Il caso Manofort è stato trasferito l’anno scorso nel distretto del giudice ammazza trumpiani sotto richiesta del Dipartimento di Giustizia. Si profila quindi per Manofort lo stesso destino di Roger Stone.

Durante il processo a Roger Stone la giuria ha avuto modo di ascoltare una delle accuse principali; la tesi quindi secondo la quale Stone avrebbe cercato di nascondere il suo tentativo, nel 2016, di collaborare con WikiLeaks e con il fondatore Julian Assange per ottenere informazioni sull’allora candidato Hillary Clinton.

Questa peculiare tesi di collaborazione, tra Wikileaks e Roger Stone, collaborazione che Wikileaks e Julian Assange negano, sarebbe per qualcuno la motivazione maggiore del martirio di Stone. Infatti secondo alcune tesi complottistiche, Stone sarebbe odiato dallo stato ombra non solo per essere stato uno dei costruttori, uno degli architetti del fenomeno Trump, ma soprattutto per la sua decennale avversità e ostruzione allo stato ombra, tra cui appunto la collaborazione con una entità, Wikileaks, che è stata e continua ad essere una spina nel fianco dei poteri oscuri di Washington.

Lo scontro Roger Stone-Stato Ombra risale a tempi immemorabili, all’epoca dell’amministrazione Nixon, quando un giovane Stone partecipò alla campagna presidenziale 1972 di Richard Nixon. Prima di Nixon, Stone si era offerto come volontario per la campagna di Barry Goldwater del 1964. Fu con Goldwater prima e Nixon dopo che Stone comprese velocemente le modalità dei giochi che manovrano le stanze del potere di Washington. Soprattutto nel caso delle dimissioni di Nixon per lo scandalo Watergate, Stone all’epoca individuò i meccanismi di Washington rendendosi conto di chi realmente tesseva la rete del potere negli Stati Uniti.

Apriamo un piccolo capitolo su Richard Nixon. Stone ha sempre sostenuto che la corruzione di Nixon era seconda solo alla stato ombra, ma nonostante ciò,  lo scandalo Watergate era stata solo il pretesto, non la reale ragione del suo siluramento. Per Roger Stone, Nixon fu costretto a dimettersi sotto la minaccia di un impeachment (suona familiare?) per essersi opposto allo stato ombra e alla CIA, dopo averla venerata e usata. Il prezzo pagato da Nixon e` stato alto per aver intrapreso attività anti stato ombra come per esempio la distensione con l’Unione Sovietica. “Durante i giorni bui e difficili di Watergate, mentre la frenesia consumava i media e gran parte dell’attenzione pubblica negli Stati Uniti, al presidente Nixon furono inviati messaggi di sostegno da Leonid Brezhnev. Breznev disse al suo ex nemico che sapeva che sarebbe rimasto forte e che non avrebbe ‘ceduto sotto la pressione’. Anatoly Dobrynin, ambasciatore sovietico negli Stati Uniti per oltre venti anni e figura di spicco nelle relazioni USA-Unione Sovietica, ha ricordato che Richard Nixon lo ha ringraziato per il fatto che lui, unico tra i leader di altre nazioni, inclusi gli alleati, aveva trovato semplici parole di conforto per risollevargli il morale” https://www.nixonfoundation.org/2010/07/nixon-and-brezhnev-personal-partners-in-detente/

Secondo Roger Stone, quando Nixon fu eletto al suo secondo mandato come presidente nel 1972, ottenne un grado di indipendenza che lo rese pericoloso per lo stato ombra. Verso la fine del suo primo mandato, Nixon iniziò a progettare l’eliminazione dell’intera leadership della CIA. Sfortunatamente, Nixon non si rese conto che la CIA si era infiltrata nel circolo più ristretto della sua amministrazione e riempiva il suo staff di spie. Lo stato ombra era ben consapevole dei piani di Nixon. Non sono teorie della cospirazione, di complottisti, bensi verità ben suffragate da testimonianze e registrazioni audio.  Nixon e i suoi collaboratori erano pronti, dopo l’elezione al secondo mandato, ad assumere il controllo completo  di un governo federale che ritenevano ostile al presidente e alla sua agenda. “Di fronte a una burocrazia che non controlliamo, non avevamo personale fedele a noi e con il quale non sapevamo come comunicare, abbiamo creato la nostra burocrazia“, scrissero alla Casa Bianca in un promemoria del 1972 trovato nei documenti di HR Haldeman , che in seguito andò in prigione per aver nascosto i crimini di Watergate.

Nixon diede ai suoi aiutanti istruzioni dettagliate, dopo aver vinto le elezioni, su come sbarazzarsi dei burocrati ostili al suo governo. Nixon dettò ai suoi collaboratori le istruzioni per una “pulizia interna” alla CIA. “Voglio uno studio fatto immediatamente su quante persone nella CIA potrebbero essere rimosse tramite ordine  presidenziale. . . . Naturalmente, la riduzione dovrebbe essere giustificata esclusivamente per il fatto che è necessaria per motivi di bilancio, ma entrambi conoscete il vero motivo. . . . Voglio che si abbandoni il reclutamento da una delle qualsiasi scuole Ivy League o di altre università in cui il presidente dell’università o le facoltà universitarie hanno condannato i nostri sforzi per porre fine alla guerra in Vietnam.” (Richard Nixon). Su questo capitolo Nixon-stato ombra ci sarebbe da  scrivere fiumi di inchiostro, ma non abbiamo il tempo a disposizione e francamente neanche la voglia di intraprendere questo lavoro.

Roger Stone si è scontrato con gli apparati del potere di Washington in altre occasioni, per esempio con il suo lavoro investigativo svolto sull’assassinio di JFK che Stone attribuisce ad un complotto CIA-LBJ (Lyndon B.Johnson.)

Stone ha scritto molti libri sulle fasi più oscure e controverse della moderna storia americana, libri di denuncia contro lo stato ombra, i poteri forti di Washington :

-The Man Who Killed Kennedy: The Case Against LBJ

-Nixon’s Secrets: The Rise, Fall and Untold Truth about the President, Watergate, and the Pardon

-Jeb! and the Bush Crime Family

-The Myth of Russian Collusion: The Inside Story of How Donald Trump REALLY Won

Stone è stato anche il principale personaggio, la forza che ha convinto Trump a pubblicare i fascicoli sulla morte di JFK, anche se poi altre forze, opposte, presenti all’interno della amministrazione, convinsero Trump a rendere pubblici i fascicoli con molte omissioni, perpetuando così il silenzio che ormai vige da quasi 60 anni sulle reali ragioni della morte del presidente Kennedy. Il 26 aprile 2017 l’Archivio Nazionale pubblicò 19.045 documenti inerenti all’assassinio di JFK. Tuttavia, ripeto, alcuni documenti non furono divulgati.

Per anni Roger Stone è riuscito a sfuggire all’attenzione dello stato ombra facendo la parte dell’istrione. Per molti anni i mass media e i poteri di Washington hanno posto poca attenzione a quel ”giullare di Stone” e Stone è stato piu che felice di interpretare quella parte. Alla fine però il ruolo centrale di Stone nella costruzione del fenomeno Trump ha rimosso il velo che lo aveva fino ad ora protetto  Per lo stato ombra non era più possibile ignorare il ruolo e il livello di influenza che Stone si era ritagliato nel circolo di Trump. Un conto sono i libri e le idee complottiste che la maggior parte degli americani ignorano, un altro è la raggiunta capacità di essere determinante nell’insediare un presidente alla casa Bianca e persuaderlo a pubblicare gli archivi segreti su JFK, un pericolo mortale per lo stato ombra che non può più permettersi di ignorare. Ci sono molte entità che considerano Roger Stone ancora come un pagliaccio; ma se così fosse le componenti dei poteri forti di Washigton non avrebbero scantenato una offensiva giudiziaria di tale violenza da rendere il potere di Stone inefficace.

Cosa rimarrà dopo la sentenza contro Roger Stone? E una domanda che molti degli amici e familiari di Stone si fanno. E’ inconcepibile per loro veder morire Roger Stone  in galera. Due sono le vie da seguire: la prima, un ricorso giudiziario che verrà presentato al più presto dai suoi avvocati. La seconda, la speranza di un perdono presidenziale da parte di Trump. Quell’ultima non è solo l’opzione più sicura per salvare Stone  ma è anche la più pericolosa per tutti i personaggi coinvolti. La pressione su Trump per graziare Roger Stone è ora enorme. Molti dei sostenitori di Trump chiedono a voce alta il perdono di Stone; ma perdonare Stone in questo momento per Trump significherebbe spostare tutta l’attenzione dello stato ombra sul presidente, rinnovando e dando nuovo impeto a quel moto di odio intenso che certe forze sovversive esprimono nei confronti del fenomeno Trumpiano. Un perdono di Stone ora come ora inasprirebbe una guerra fra stato ombra e Trump già così dura, feroce, mortale; una stalingrado politica “scherzando amaramente disse di aver catturato la cucina ma lottiamo ancora per il soggiorno e la camera da letto

Se fossi in Trump aspetterei i risultati elettorali del 2020. Se Trump dovesse vincere, potrà permettersi il perdono di Stone, in caso contrario perdonare Stone equivarrebbe a  correre un rischio enorme. Una volta decaduto, Trump potrebbe essere messo sotto inchiesta dal prossimo dipartimento di giustizia in mano a un presidente democratico.

Concludo con una aggiornamento sul fronte della guerra Trump-stato ombra. Fra cinque giorni il rapporto dell’ispettore generale Michael Horowitz sarà presentato al senato americano. La  indagine riguarda gli abusi commessi dall’FBI nel servirsi della corte FISA per ottenere mandati di sorveglianza per spiare la campagna di Trump, in particolare l’azione su Carter Page. Si tratta quindi di stabilire se vi sia stato un abuso del processo FISA. Il rapporto di Horowitz non è giuridicamente vincolante, cioè Horowitz non può portare capi di imputazione ma può solo raccomandarli al dipartimento di giustizia. A differenza di molti sostenitori di Trump che sperano in un ribaltamento dei fronti, io sono personalmente pessimista. Il rapporto di Horowitz non conterrà nessuna condanna degli attori chiave del complotto di spionaggio contro Trump e i suoi collaboratori, cioè il cosiddetto spygate. Se condanna sarà; saranno solo piccoli pesci ha pagare il prezzo dei crimini commessi da ben altri personaggi posizionati più in alto.

L’unica speranza per Tump rimangono le indagini tuttora in corso del procuratore speciale John Durham, incaricato dal procuratore generale Bill Barr di far chiarezza sull’origine del Russiagate. Se il procuratore Durham non individuerà i colpevoli di questa farsa, lo stato ombra potrà continuare impunemente  e senza più ostacoli la sua guerra di demolizione della presidenza Trump. Non ci resta che sperare nell’onestà di Bill Barr e di John Durham. Nel frattempo sono passati tre anni dall’inizio di questa guerra e mentre molti collaboratori amici di Trump rischiano la galera a vita i rappresentanti dello stato ombra, colpevoli di crimini ben più gravi, sono tuttora liberi di esprimere le loro opinioni sui canali televisivi americani. In base a questo è chiaro che la querra tra Trump e lo stato ombra è impari e  fino ad ora è stata giocata da Trump in posizione di difesa. Si spera che le cose cambino per Trump nelle prossime settimane, ma il tempo a disposizione per ribaltare la situazione sta scadendo. Novembre 2020 è dietro l’angolo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

LA NATO STA DIVENTANDO SEMPRE PIÙ INCLUSIVA, di Hajnalka Vincze

Un bell’articolo dell’analista Hajnalka Vincze con il solo limite di enfatizzare un po’ troppo il ruolo autonomo, sia pure di retroguardia, della Francia quando appare evidente il tentativo, soprattutto a partire dalla Presidenza Sarkozy, di assumere la leadership europea di una organizzazione a trazione statunitense. E’ il segno, comunque che almeno in Francia esistono ancora forze strutturate che aspirano al recupero della autonomia politica_Giuseppe Germinario

https://hajnalka-vincze.com/list/notes_dactualite/573-une_otan_de_plus_en_plus_englobante/

LA NATO STA DIVENTANDO SEMPRE PIÙ INCLUSIVA

IVERIS – Nota del 18 ottobre 2019

Per più di venti anni, gli Stati Uniti hanno spinto a “globalizzare” l’Alleanza, sulla base del fatto che deve adattarsi a nuovi rischi e minacce se vuole, presumibilmente, “rimanere rilevante” (in altri parole: dimostrare la sua utilità per gli interessi americani e garantire, in cambio, il mantenimento dell’impegno americano nel vecchio continente). Dopo tutto, il ragionamento è logico. Solo che per gli europei porterebbe meccanicamente ad abbandonare tutte le loro politiche. La sfida è impedire, per quanto possibile, che la portata della giurisdizione dell’organizzazione si estenda ad altre aree (non militari) e altre aree geografiche (oltre l’area dell’euro -Atlantique).

L’esperienza dimostra che ciò sta esercitando un’enorme pressione sugli alleati affinché accettino le priorità degli Stati Uniti, ribadendo le loro argomentazioni, il loro approccio, i loro standard e, infine, abbandonando le proprie analisi e il proprio pensiero. Per gli europei, il proseguimento dell’estensione della competenza funzionale e geografica della NATO rischia di mettere definitivamente le loro politiche in settori come il cyber, l’energia, lo spazio e i poteri come la Russia, la Cina o il Medio Oriente su una traiettoria stabilita dagli Stati Uniti. Il loro spazio di manovra si restringerebbe singolarmente, con ripercussioni disastrose sia in materia diplomatica che economica.

La Francia ha avvertito il pericolo molto presto. Di fronte alla tentazione di espandere le competenze della NATO all’infinito (e di mordicchiare di conseguenza quelle dell’UE di conseguenza), continua a sostenere la “rifocalizzazione” dell’Alleanza. All’inizio del 2007 il Ministero della Difesa ha spiegato che la NATO fa cenno ai settori civili, o ai paesi partner in Asia e Oceania, e di sostenere quindi “un cambiamento nella natura dell’Alleanza” e  “obiettivo, sotto la guida degli Stati Uniti, per trasformare la NATO in un’organizzazione di sicurezza globale, sia geograficamente che funzionalmente “ . Ma per la Francia  “la NATO non dovrebbe diventare un’organizzazione che comprenda competenze disparate che non avrebbero alcun legame con il suo core business”[1] Allo stesso modo, il ministro Le Drian, parlando nel 2014 in un seminario della NATO, ha chiesto di  “focalizzare l’Alleanza sulla sua area di eccellenza” . [2]

Estensione geografica: moltiplicazione di partner e obiettivi

Di fronte agli incessanti sforzi della burocrazia della NATO di conformarsi il più strettamente possibile alle ingiunzioni statunitensi (con la discreta acquiescenza della maggior parte dei partner), la posizione dei francesi assume l’aspetto di una battaglia di retroguardia. La perdita della focalizzazione euro-atlantica, vale a dire il fatto che l’istituzione di partenariati e la designazione di avversari sta avvenendo su scala globale, fa parte della grande trasformazione postbellica. Come ha riassunto l’eccellente Jolyon Howorth  “di un’organizzazione il cui obiettivo iniziale era quello di garantire un impegno degli Stati Uniti per la sicurezza europea, [la NATO] è stata trasformata, quasi impercettibilmente, in un altro, il cui nuovo obiettivo è garantire un impegno europeo al servizio della strategia globale degli Stati Uniti “.[3]

Per gli europei, questa evoluzione amplifica due tipi di rischi: militare e diplomatico. Il generale de Gaulle aveva già messo in guardia dal pericolo di essere trascinato nelle avventure militari degli Stati Uniti. “In primo luogo, abbiamo visto che le possibilità di conflitto, e di conseguenza delle operazioni militari, si estendevano ben oltre l’Europa, e che c’erano tra i loro principali partecipanti all’Alleanza atlantica differenze politiche che potrebbero, se necessario, trasformarsi in divergenze strategiche .  [4] “I conflitti in cui l’America si impegna in altre parti del mondo, in virtù della famosa escalation, potrebbero essere così estesi che potrebbe emergere una conflagrazione generale. In questo caso, l’Europa, la cui strategia è, nella NATO, quella americana, sarebbe automaticamente coinvolta nella lotta anche se contraria alla sua volontà “ . [5]

Con la fine della guerra fredda, le divergenze politiche su entrambe le sponde dell’Atlantico si moltiplicano e si manifestano sempre più apertamente, prima sul fronte diplomatico. Questo è il famoso  “gap politico”  : gli interessi di europei e americani non coincidono, lungi da ciò, su molte questioni, che si tratti di Russia, Siria, Iran, Vicino Oriente, Artico, Cina o Africa. Accettare di formulare queste politiche all’interno della NATO, quindi sotto la tutela dell’America, significa accettare di bloccare le relazioni dell’Europa con altre potenze e altre regioni del mondo in una posizione di follow-up e allineamento sugli Stati Uniti. Come diceva con straordinario eufemismo, il ministro della difesa francese nel 1999: “È innegabile che l’Alleanza non è necessariamente la migliore entità per garantire all’Europa una voce più forte negli affari mondiali” [6]

(Credito fotografico: NATO)

In termini di propensione della NATO per i partenariati a tutto campo, il concetto sembra innocente a prima vista – ma ci sono alcuni seri pericoli. La diplomazia francese è sempre stata riservata in relazione ai progetti di “partenariato globale” che è, di fatto, l’associazione al lavoro della NATO di paesi geograficamente distanti dall’area euro-atlantica, ma contraddistinti dalla loro lealtà verso gli Stati Uniti. Oggi ci sono 42 paesi, tra cui Giappone e Australia, 5 con accesso a informazioni riservate dell’Alleanza (tra cui Giordania e Georgia). La riluttanza tradizionale della Francia può essere spiegata innanzitutto dal rifiuto di istituire una sorta di grande “alleanza di democrazie”. Che avrebbe, da un lato, la vocazione appena nascosta di sostituire le Nazioni Unite, e ciò stabilirebbe, d’altra parte, una logica da blocco a blocco tra l’Occidente e il resto del mondo. All’epoca il ministro Michèle Alliot-Marie ha denunciato il rischio “Per affrontare un brutto messaggio politico: quello di una campagna su iniziativa degli occidentali contro coloro che non condividono le nostre opinioni .  [7]

In effetti, la continua espansione della rete di partenariati fa parte di una logica di estensione degli avversari e dei teatri di potenziali operazioni. Non è un caso che firmando un accordo di partenariato rafforzato con l’Australia, il Segretario Generale dell’Alleanza abbia chiarito che l’obiettivo è gestire / contrastare l’ascesa della Cina [8]. Lo scorso gennaio, Foreign Policy ha pubblicato un articolo di Stephen M. Walt, uno dei teorici più rispettati delle relazioni internazionali, in cui ha scritto neo su bianco che per salvare la NATO  “gli europei devono diventare il nemico della Cina “[9] O chiunque sia indicato dagli Stati Uniti come principale oppositore del momento. Perché è sempre la stessa logica: per garantire le buone grazie di Washington e con il pretesto di “salvare” l’Alleanza, agli europei viene chiesto di allineare le loro politiche a quelle degli Stati Uniti. Va da sé che la NATO è il forum all-inclusive per svolgere questo lavoro di “coordinamento” tra gli alleati.

Estensione funzionale: dalla politica interna allo spazio

Su base regolare, i funzionari statunitensi lanciano anche “sfide” tematiche alla NATO per dimostrarne l’utilità e la pertinenza. Come il presidente Trump che lo ha definito “obsoleto” a meno che non diventi più attivo nella lotta al terrorismo. Con lo stesso spirito, dall’inizio degli anni 2000, abbiamo assistito a un’estensione totale delle aree di competenza dell’Alleanza. L’attenzione si è concentrata su energia e cyber, ma l’elenco delle possibili aree è praticamente infinito – come affermava Jaap de Hoop Scheffer, segretario generale dell’Alleanza nel 2006:  “Praticamente tutti i problemi della società possono rapidamente trasformarsi in una sfida di sicurezza »[10] E questo è positivo, dal momento che, per Washington, è particolarmente importante ridurre al minimo il numero di argomenti su cui gli europei si consultano (all’interno dell’UE), senza il suo diretto controllo. Uno dei grandi vantaggi per gli Stati Uniti dell’ampliamento dell’ambito di competenza della NATO è il blocco / recupero delle iniziative dell’UE nelle aree di loro interesse.

Lo scenario è sempre lo stesso. Un soggetto viene proiettato, su iniziativa degli Stati Uniti, sullo schermo radar dell’Alleanza. Gli europei, i francesi in testa, sostengono che la NATO dovrebbe concentrarsi sul proprio core business e non avventurarsi nell’UE. Tuttavia, poiché è già all’ordine del giorno, gli alleati procedono a consultazioni. Arriveranno ad accettare l’inclusione del nuovo soggetto come una delle competenze dell’Alleanza, inizialmente in un modo attentamente circoscritto. La nuova competenza si limita principalmente alla protezione delle capacità proprie della NATO (infrastrutture, forze operative). Quindi, con il pretesto del “valore aggiunto” dell’Alleanza, l’Alleanza propone di sostenere un determinato Stato membro. L’argomento finirà per insinuarsi nella pianificazione della difesa, dove la definizione di “approccio coordinato” si baserà, ovviamente, sulle priorità degli Stati Uniti. La ciliegina sulla torta, le voci si alzeranno per inserire il nuovo campo tra quelle coperte dall’articolo 5. Così, il segretario generale Stoltenberg è stato in grado di dichiarare, lo scorso agosto, che un attacco informatico contro i computer del sistema sanitario britannico potrebbe innescare la difesa collettiva. [11]

(Credito fotografico: NATO)

La sicurezza energetica è un altro caso di studio. Nel 2006, al vertice di Riga, il presidente Chirac ha sottolineato chiaramente che  “la sicurezza energetica non era all’ordine del giorno e non doveva essere all’ordine del giorno della NATO. Quindi non ne abbiamo parlato .  [12] Tuttavia, in seguito al vertice, sono state avviate” consultazioni “. La Divisione Sfide per la sicurezza emergente ha una sezione dedicata alla sicurezza energetica già dal 2010 e due anni dopo è stato istituito un Centro di eccellenza per la sicurezza energetica della NATO. [13] Al vertice di Bruxelles del luglio 2018, i leader alleati, ansiosi di placare il presidente Trump, dichiararono che “Gli sviluppi energetici possono avere implicazioni politiche e di sicurezza significative per gli alleati”  e per questo motivo  “Riteniamo che sia essenziale garantire che l’Alleanza non sia vulnerabile alla manipolazione delle risorse energetiche a fini politici o di coercizione, cosa che rappresenta una potenziale minaccia. Gli alleati continueranno quindi a cercare di diversificare le loro forniture di energia. “ [14]Sarà solo una felice coincidenza che, per molti, ciò equivale ad acquistare gas naturale liquefatto dagli Stati Uniti. [15]

Lo spazio è il prossimo nella lista. L’argomento è affrontato due anni fa in un rapporto dell’Assemblea parlamentare della NATO:  “Qualsiasi attacco ai beni spaziali di un alleato avrebbe un impatto sulla sicurezza di tutti gli altri. Deve quindi avere un approccio globale che gli consenta di proteggere i suoi interessi nello spazio. È anche indispensabile, dal punto di vista operativo, integrare lo spazio nelle strutture di pianificazione e comando della NATO. Infine, le esercitazioni della NATO dovrebbero includere scenari di guerra spaziale che comportano il divieto temporaneo o la disattivazione di risorse spaziali alleate.[16] Una delle decisioni attese al vertice di Londra del prossimo dicembre è proprio il riconoscimento ufficiale dello spazio come area di competenza e intervento per la NATO. [17] Se è concepito come “un dono a Trump” (ancora una volta, il famoso appeasement), è comunque gravido di conseguenze. La Francia, in particolare, vuole garanzie di comando (le sue capacità spaziali saranno poste sotto il comando NATO / USA in una situazione di crisi) e articolazione con l’articolo 5 (un attacco al satellite di uno dei paesi membri sarebbe in grado di attivare la difesa collettiva)? Ma, ancora una volta, va oltre l’essenziale: non appena lo spazio sarà riconosciuto come dominio della NATO, sarà un intero ingranaggio che verrà messo in atto.

A medio e lungo termine, l’Alleanza atlantica potrebbe essere tentata di avventurarsi ulteriormente nel campo del commercio e dell’economia (il segretario generale della NATO non ha menzionato forse il TTIP come “una NATO economica, sottolineando che queste sono le due parti della  ” comunità transatlantica integrata ”  da costruire?) e persino quella della politica interna dei suoi stessi Stati membri (tranne la più grande, in modo del tutto naturale) [18-19] . Uno dei migliori specialisti statunitensi nella NATO, Stanley R. Sloan ha dedicato il suo ultimo libro quasi interamente alla sfida posta dall’interrogativo sulla democrazia liberale negli Stati membri. Egli spiega che, fin dall’inizio,  “la NATO non era solo militare, ma anche politica ed economica” , con la vocazione “a difendere i sistemi politicamente democratici ed economicamente liberali dei suoi stati membri” [20] Tuttavia, continua, la domanda è come può resistere oggi la NATO, quando questi stessi valori sono minacciati all’interno dell’Alleanza atlantica.

Un recente rapporto dell’Assemblea parlamentare della NATO, firmato dal parlamentare Gerald Connolly, presidente della delegazione americana, esamina lo stesso argomento. Osserva:  “Le minacce ai valori della NATO non provengono solo dai suoi avversari. I movimenti politici che mancano di rispetto alle istituzioni democratiche o allo stato di diritto stanno guadagnando slancio in molti paesi membri dell’Alleanza. Questi movimenti sostengono la preferenza nazionale per la cooperazione internazionale. Le democrazie liberali sono minacciate da movimenti politici e personalità ostili all’ordine stabilito che sono di destra e di sinistra nello spettro politico “ . Suggerisce quindi che “La NATO deve dotarsi dei mezzi necessari per rafforzare i valori in questione nei paesi membri” istituendo  “un centro per il coordinamento della resilienza democratica” . [21] Sarebbe un errore pensare che queste proposte siano motivate unicamente dalle battaglie politiche negli Stati Uniti. L’idea di “supervisione democratica”, pervasiva durante la guerra fredda, è stata ripresa all’indomani del crollo dell’Unione Sovietica, in un documento confidenziale del Pentagono le cui fughe avevano provocato una protesta pubblica all’epoca: La NATO è descritta come  “il canale dell’influenza degli Stati Uniti” , e gli obiettivi statunitensi includono iniziative “Per scoraggiare, nei paesi sviluppati, qualsiasi tentativo di rovesciare l’ordine politico ed economico” . [22]

(Hajnalka Vincze, Una NATO sempre più onnicomprensiva , Nota IVERIS, 18 ottobre 2019)

***

 

[1] Risposta del Ministero della difesa a un’interrogazione scritta all’Assemblea nazionale (Risposta pubblicata nella GU il 13 novembre 2007, pag. 7061)
[2] Dichiarazione di Jean-Yves Le Drian, Ministro della difesa, sulle sfide e le priorità della NATO, apertura del seminario ACT a Parigi, 8 aprile 2014.
[3] Jolyon Howorth, Transatlantic Perspectives on European Security in the Coming Decade, Yale Journal of International Affairs, Summer-Fall 2005, p .9.
[4] Conferenza stampa del generale de Gaulle, 5 settembre 1960.
[5] Conferenza stampa del generale de Gaulle, 21 febbraio 1966.
[6] Dichiarazione di Alain Richard, ministro della Difesa, sulle prospettive futuro dell’Alleanza atlantica dopo cinquant’anni di esistenza, Parigi, 4 maggio 1999.
[7] “La NATO deve rimanere un’organizzazione euro-atlantica”, Tribune della signora Michèle Alliot-Marie, ministro della Difesa, Le Figaro, 30 ottobre 2006.
[8] La NATO deve affrontare l’ascesa della Cina, afferma Stoltenberg, Reuters, 7 agosto 2019.
[9] Stephen M. Walt, Il futuro dell’Europa è come nemico cinese, politica estera, 22 gennaio 2019.
[10] Discorso del segretario generale dell’Alleanza atlantica, Jaap de Hoop Scheffer, Riga, 28 novembre 2006.
[11] L’attacco informatico al SSN darebbe il via alla piena risposta della NATO, afferma il segretario generale dell’alleanza, The Telegraph, il 27 agosto 2019.
[12] Conferenza stampa di Jacques Chirac, Presidente della Repubblica, a Riga il 29 novembre 2006 .
[13] La NATO Energy Security Center of Excellence (NATO Ensec WCC).
[14] Dichiarazione del vertice di Bruxelles, pubblicata dai capi di Stato e di governo che partecipano alla riunione del Consiglio del Nord Atlantico tenutasi a Bruxelles l’11 e 12 luglio 2018.
[15] Vendite di gas statunitensi al L’Europa procede rapidamente, Le Figaro, 2 maggio 2019.
[16] Madeleine Moon, Space and Allied Defense, Rapporto dell’Assemblea parlamentare della NATO, 162 DSCFC 17 settembre 2017.
[17] Robin Emmott, La NATO mira a creare una nuova frontiera della difesa, Reuters Exclusive, 21 giugno 2019.
[18] Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP).
[19] Discorso del segretario generale della NATO Anders Fogh Rasmussen alla conferenza “Una nuova era per il commercio UE-USA”, Copenaghen, 7 ottobre 2013
[20] Stanley R. Sloan, Transatlantic Traumas, Manchester University Press, 2018, p.5.
[21] 70 anni della NATO: perché l’Alleanza rimane indispensabile?, Gerald E. Connolly (Stati Uniti), Rapporto dell’Assemblea parlamentare della NATO, settembre 2019.
[22] Difesa Guida alla pianificazione, estratti narrati sul New York Times, 8 marzo 1992.

L’EUROPA TRA LE VIE DELLA NATO, LE VIE DELLA SETA E LE VIE DELL’ENERGIA. Prima parte. di Luigi Longo

L’EUROPA TRA LE VIE DELLA NATO, LE VIE DELLA SETA E LE VIE DELL’ENERGIA. Prima parte.

di Luigi Longo

 

 

                                                                               La Nato ovverosia gli Stati Uniti

Noam Chomsky*

 

                                                 Verso la fine del XIX secolo, un eminente                                                                geologo Tedesco, Ferdinand von Richthofen […] diede                                                 a questa estesa rete di connessione un nome che è                                             entrato stabilmente nell’uso: SeidenstraBen, vie della                                              Seta

Peter Frankopan**

 

  1. Premessa

 

La situazione politica in Europa, parafrasando Ennio Flaiano, è grave ma non è seria (1). Vediamo perché la situazione è grave e perché non è seria.

La situazione è grave perché il progetto dell’Unione Europea, pensato e messo in atto dagli USA nella fase monocentrica (dopo la seconda guerra mondiale), è finito. La sudditanza europea, coordinata soprattutto dalla Germania, cessa di avere la sua funzione unitaria nelle strategie statunitensi, di contrasto e di conflitto, verso le potenze Cina e Russia che vogliono ridefinire l’ordine politico mondiale con una nuova forma di relazioni tra grandi potenze, nel rispetto della propria effettiva sfera di influenza.

La nuova sudditanza europea è improntata a relazioni bilaterali tra ciascuna nazione e gli Usa. Cambia la tattica degli agenti strategici principali degli USA: quelli rappresentati da George W. Bush-Bill Clinton-Barack Obama hanno utilizzato soprattutto la sfera economica dell’Europa, in maniera coordinata, tramite la Germania << La Germania è l’emblema di un gigante economico e politico, che però a livello militare è rimasto un nano. E’ economicamente integrata con gli altri Stati vicini ed è protetta dall’America, il capo assoluto della sicurezza con il suo ombrello atomico >> (2); quelli rappresentati da Donald Trump stanno proponendo l’uso dell’Europa attraverso il sovranismo asimmetrico di ciascuna nazione. A mio avviso, diventa secondario pensare l’appartenenza delle nazioni europee ad uno dei due suddetti principali schieramenti di agenti strategici, mentre diventa prioritario riflettere sul perché l’Europa continua nella sua condizione di servitù volontaria verso gli Stati Uniti d’America. Il problema, quindi, come ho già sostenuto in altri scritti, non è passare da una servitù volontaria all’altra, a seconda delle strategie statunitensi di volta in volta egemoni, quanto, piuttosto, come pensare una strategia europea per liberarsi da questa servitù volontaria e costruire altre strade e altri ponti verso l’Oriente, in modo da restare nella fase multicentrica con le armi della dialettica (il dialogo tra le potenze mondiali) e non arrivare alla fase policentrica con la dialettica delle armi (la guerra di distruzione tra le potenze mondiali). Dalla fine del XV secolo ad oggi, nella storia tra le potenze dominanti e le potenze in ascesa, utilizzando la Trappola di Tucidide (3), abbiamo avuto dodici rivalità che si sono risolte con la guerra e quattro rivalità che non hanno prodotto nessuna guerra così come indicata nella sottostante figura (4).

Fonte:Allison,2018

 

 

La situazione europea non è seria perché gli attuali sub-decisori delle diverse nazioni (è bene ricordare sempre che l’Europa non è un soggetto politico!) e le relative forze politiche, cosiddette sovraniste e populiste, sono antitetico polari (in opposizione e sostegno reciproco) al mantenimento, in maniera diversa, della servitù volontaria europea verso gli USA; questi servi andrebbero liquidati con ‘o pernacchio, con il significato profondo che gli dà don Ersilio Miccio, interpretato con maestria da Eduardo De Filippo nel famoso episodio de “ Il professore”, nel film L’oro di Napoli, con regia di Vittorio de Sica (la sintesi dell’arte è straordinaria).

E’ proprio il segno dei tempi interpretare le relazioni della sfera economica come il cambiamento di strada verso l’Oriente (Russia, Cina, India); l’egemonia (coercizione e consenso) degli agenti strategici che dominano la società non è data solo da quelli della sfera economica ma da quelli espressi dall’insieme delle sfere sociali: nelle fasi multicentrica e policentrica essi trovano infatti maggior peso proprio nelle sfere politica, militare e istituzionale. In questa logica lo Stato è configurato come strumento all’interno dei rapporti sociali, esso è inteso, cioè, come l’insieme dei luoghi istituzionali e territoriali dove si svolge il conflitto sociale e politico tra dominanti e dominati e tra gli stessi dominanti per il potere e il dominio della società. La storia dimostra, tranne alcune eccezioni (le rivoluzioni), che il conflitto prevalente che si svolge nelle società è quello tra gli agenti strategici delle diverse sfere del legame sociale (dove si esprimono le forme del potere) che configurano il blocco degli agenti strategici egemonici che governano, in una situazione di equilibrio dinamico, la nazione (dove si esprimono le forme del dominio). E’ questa formazione degli agenti strategici egemonici che realizza le capacità di coordinare l’insieme delle relazioni nazionali e delle alleanze fra nazioni soprattutto nelle fasi multicentrica e policentrica.

 

 

2.Il declino irreversibile degli USA

 

Gli Stati Uniti sono una potenza mondiale in irreversibile declino; le ragioni sono molteplici: a) i gravi squilibri interni economici, sociali e territoriali; b) un allentamento complessivo dei legami della società civile; c) la incapacità degli agenti strategici di creare una nuova sintesi di sviluppo e di legame sociale [come quello che ha caratterizzato il Novecento come il secolo americano (5)] capace di ri-lanciare una nuova sfida per l’egemonia mondiale alle potenze che si sono configurate in questa fase storicamente data (Cina e Russia). La frattura all’interno degli agenti strategici è caratteristica del declino irreversibile di un impero; essa non produce più la sintesi nazionale, ma una sintesi di parte, su base imperiale, che si erode sempre di più proprio per la crisi interna della società sempre più impoverita e degradata (6).

Gli Usa hanno la convinzione di essere la nazione indispensabile a guidare il mondo e non accettano, per la propria storia, di condividere, in maniera rispettosa e dialogante, il governo del mondo con altre potenze.

Sergio Romano scrive che la superpotenza degli Stati Uniti << […] si considera autorizzata a stroncare qualsiasi aspirazione che possa turbare i suoi sogni imperiali. Dopo aver vinto la Seconda guerra mondiale, l’America ha fatto guerre inutili, da quelle del Vietnam a quella dell’Iraq, e le ha perdute con risultati che hanno scompigliato gli equilibri di intere regioni. Dopo aver assistito alla scomparsa dell’Unione Sovietica e alla nascita di Russia federale, ha fatto del suo meglio per restituire a quest’ultima il ruolo del pericoloso nemico che aveva sostenuto dalla fine della Seconda guerra mondiale al 1989. Dopo aver corteggiato la Cina, all’epoca di Nixon e Kissinger, per meglio isolare l’Unione Sovietica, ha deciso di trattare la Repubblica Popolare come un pericoloso concorrente e sta combattendo con Pechino due guerre: la prima, quella dei dazi, per impedirle di crescere sino a diventare la prima economia mondiale; la seconda, quella delle nuove tecnologie, per impedirle di conquistare un primato scientifico. Il Paese che si è presentato al mondo, sin dalle sue origini, come testimone e missionario di democrazia, è in realtà uno Stato militaresco, governato spesso da uomini che hanno una formazione militare. E’ una democrazia, ma ha una concezione gerarchica e militare della società internazionale e, quindi, ha sempre bisogno di un nemico che giustifichi i suoi arsenali e di alleati che obbediscano ai suoi ordini. >> (7).

Per queste ragioni gli USA vanno combattuti e neutralizzati nonché indirizzati a un modello di governo mondiale condiviso tra potenze (fase multicentrica) onde evitare il conflitto mondiale tra le potenze (fase policentrica).

Questo declino statunitense ha radici profonde nella crisi del modello sociale capitalistico che ha rappresentato la modernità Occidentale (8) [ben diversa dalla modernità Orientale anch’essa con il suo modello sociale capitalistico (9) ] a partire dai quattro cicli egemonici (il ciclo genovese-iberico, dal XV secolo agli inizi del XVII; il ciclo olandese, dalla fine del XVI secolo alla metà del XVIII; il ciclo britannico, dalla seconda metà del XVIII secolo agli inizi del XX; il ciclo statunitense, dalla fine del XIX secolo fino ad oggi) che hanno caratterizzato la storia del capitalismo (10).

 

 

3.Le vie della Nato

 

La situazione oggettiva è che abbiamo una Europa servile in totale sbando e decadenza e una potenza imperiale (USA) di coordinamento mondiale, in irreversibile declino, non propensa ad un ordine mondiale condiviso con altre potenze.

In questa fase storica data, l’Europa si trova ad un bivio: o proseguire la servitù volontaria verso gli Stati Uniti d’America scegliendo le vie della NATO, oppure iniziare un cammino di liberazione dalla servitù e scegliere un nuovo orientamento verso l’Oriente attraverso le vie della seta e le vie dell’energia (queste ultime che riguardano il ruolo dell’altra potenza in ascesa, cioè la Russia, saranno oggetto della seconda parte di questo scritto). Un cammino che non può prescindere dal << […] “saltare il passaggio” della piena restaurazione della sovranità politica e monetaria degli stati nazionali >> (11).

La strategia statunitense, nella fase multicentrica sempre più intensa, necessita di una Europa coordinata dalla Nato (12). La Nato non è solo una macchina da guerra come sostiene Sergio Romano: << La Nato è un’alleanza politica militare in cui esiste un esercito permanente integrato, esiste un comando militare che lavora 24 ore su 24 ore con un comandante supremo che è in realtà un Capo di Stato Maggiore di tutti i paesi dell’Alleanza Atlantica, ma è sempre americano[ corsivo mio], e questo Capo di Stato Maggiore fa esattamente quello che fanno tutti i capi di Stato Maggiore, cioè, preparano la prossima guerra […] >> (13); né essa è soltanto un mercenariato militare globalizzato al servizio della geopolitica di potenza USA come affermava Costanzo Preve (14), né tantomeno la Nato è in stato di “morte cerebrale” come dichiara Emmanuel Macron con i suoi deliri di grandezza nel concepire una Europa “come una potenza del mondo con una autonomia strategica e di capacità sul piano militare” (15), magari sotto l’egemonia francese (sic).

La Nato è una istituzione mondiale che ha subito diverse metamorfosi dalla sua costituzione (1949) ad oggi. Essa è lo strumento degli Stati Uniti in tutti gli scenari mondiali per affermare la democrazia e imporre il suo modello sociale, politico, culturale ed economico. La Nato penetra in tutte le sfere del legame sociale delle nazioni e delle macroregioni (economica, istituzionale, culturale, infrastrutturale, eccetera), trasforma territori e città (Europa, Medio Oriente, Mediterraneo, Africa, Asia), incide e condiziona lo sviluppo dei Paesi [penso, a mò di esempio, ai corridoi europei, ai territori e città Nato dell’Italia (Napoli, Taranto, Vicenza…), all’aumento delle spese militari sottratte agli investimenti, alla nuova base Usa di Alessandropoli (Grecia), alle strategie nel Mar Nero] in funzione degli scenari di guerra contro le potenze mondiali, per contrastare il formarsi di alleanze tra le potenze in ascesa in grado di mettere in discussione il loro dominio (16). La potenza mondiale da centrare, da parte degli USA è data dall’entità del pericolo che rappresenta e dalla capacità di potenza raggiunta che può mettere in discussione la sua egemonia; ma gli USA sono attenti anche alle alleanze che si possono formare tra le potenze in ascesa che sarebbero deleterie per loro (Cina e Russia hanno avuto ed hanno forme di collaborazione e di intesa politica, economica, finanziaria e militare ben raffigurate, in questa fase, dalle Vie della Seta). Con Richard Nixon-Henry Kissinger la Russia era nel mirino strategico degli USA e l’alleanza con la Cina era la logica conseguenza del divide et impera. Con Barack Obama-Donald Trump la Cina è nel mirino strategico degli USA, perché nel lungo periodo può rappresentare la potenza cardine del sistema mondiale, e l’alleanza con la Russia è la logica conseguenza del divide et impera.

Maurizio Molinari, direttore de La Stampa, ben introdotto nei gangli del potere servile statunitense, afferma, a proposito delle strategie Nato nel XXI secolo, che :<< Le interferenze russe avvenute nelle elezioni di più paesi occidentali e la nuova via della seta pongono la Nato davanti ad una competizione strategica […] maggiore cooperazione sulla sicurezza per affrontare le interferenze russe e unità per occuparsi dei rapporti con la Cina […] genesi della nova Nato del XXI secolo. >> (17).

Il presidente Sergio Mattarella, nel messaggio del 4 Novembre, definisce la Nato una<< alleanza alla quale abbiamo liberamente scelto di contribuire, a tutela della pace nel contesto internazionale, a salvaguardia dei più deboli e oppressi e dei diritti umani >>. Qui, per dirla con Costanzo Preve, siamo alla menzogna sistematica!

 

Le vie della Nato, ovverosia degli Stati Uniti, sono vie che preparano scenari di guerra e l’Europa per la prima volta nella storia sarà teatro passivo di future guerre!

 

Fonte: Limes, 2018

 

 

4.Le vie della seta

 

Riporto una lunga ma significativa sintesi di cosa sono le Vie della Seta tratta dall’omonimo libro dello storico Peter Frankopan:<<In realtà, per millenni, fu la regione che si estendeva tra l’Est e l’Ovest, collegando l’Europa con l’oceano pacifico, a fungere da asse da rotazione del mondo. La regione a metà tra Oriente e Occidente, che si estende approssimativamente dalle coste orientali del Mediterraneo e del Mar Nero fino all’Himalaya, potrebbe sembrare un luogo poco promettente per farne il punto di osservazione del mondo […] In realtà, il ponte tra Oriente e Occidente è il vero crocevia della civiltà. Lungi dall’essere al margine degli affari globali, questi paesi ne sono proprio al centro, come lo sono stati fin dall’alba della storia […] Fu su questo ponte tra l’Est e l’Ovest che circa 5000 anni fa vennero fondate grandi metropoli, fu qui che le città di Harappa e Mohenjo-daro, nella valle dell’Indo, fiorirono come meraviglie del mondo antico, con popolazioni che ammontavano a decine di migliaia di abitanti e strade che si connettevano in un sofisticato sistema fognario che non sarebbe stato uguagliato in Europa per migliaia di anni. Altri grandi centri di civiltà come Babilonia, Ninive, Uruk e Akkad, in Mesopotamia, erano celebri per la loro grandiosità e la loro architettura innovativa. E oltre duemila anni fa un geografo cinese annotava che gli abitanti della Battriana, una regione incentrata sul fiume Oxos e oggi situata nell’Afghanistan settentrionale, erano commercianti e negoziatori leggendari; la loro capitale ospitava un mercato in cui si comprava e vendeva un’enorme gamma di prodotti, provenienti da ogni dove.

Questa regione è il luogo dove videro la luce le grandi religioni del mondo, dove il giudaismo, il cristianesimo, l’islam, il buddhismo e l’induismo vissero gomito a gomito. E’ il crogiuolo dove competevano vari gruppi linguistici, dove lingue indoeuropee, semitiche e sino-tibetane coabitavano con idiomi altaici, turcici e caucasici. Questo è il luogo in cui grandi imperi sorsero e caddero, dove le conseguenze degli scontri fra culture rivali si avvertivano a migliaia di chilometri di distanza. Qui si aprivano nuovi modi di guardare al passato e si rivelava un mondo profondamente interconnesso, dove quanto accadeva in un continente aveva effetti su un altro, dove le scosse secondarie di ciò che succedeva nelle steppe dell’Asia centrale potevano essere avvertite nel Nord Africa, dove eventi verificatisi a Baghdad avevano risonanza in Scandinavia, deve scoperte compiute nelle Americhe alteravano i prezzi delle merci in Cina e facevano schizzare la domanda sui mercati dei cavalli in India settentrionale.

Questi scossoni si diffondevano lungo una rete estesa in ogni direzione, un ventaglio di strade lungo le quali hanno viaggiato pellegrini e guerrieri, nomadi e mercanti, lungo le quali merci e materie prime sono state trasportate e vendute, e le idee sono state scambiate, modificate e perfezionate. Queste strade hanno portato non solo prosperità, ma anche morte e violenza, malattie e disastri. Verso la fine del XIX secolo, un eminente geologo tedesco, Ferdinad von Richthofen (zio del <<Barone Rosso>>, l’asso dell’aviazione della prima guerra mondiale), diede a questa estesa rete di connessioni un nome che è entrato stabilmente nell’uso: SeidenstraBen, Vie della Seta.

Queste direttrici fungono da sistema nervoso centrale del mondo, collegando popoli e luoghi ma rimanendo sottotraccia, invisibili a occhi nudo. Allo stesso modo in cui l’anatomia spiega come funziona il corpo, la comprensione di queste connessioni ci consente di capire come funziona il mondo. Eppure, nonostante la sua importanza, questa parte del pianeta è stata dimenticata dalla storia tradizionale. In parte ciò è dovuto a quello che è stato chiamato <<orientalismo>>, ovvero la concezione netta e drasticamente negativa dell’Oriente come sottosviluppo e inferiore all’Occidente, e quindi non meritevole di uno studio serio. Ma deriva anche dal fatto che la narrazione del passato è diventata così dominante e consolidata da non lasciare spazio a una regione che è stata a lungo vista come periferica rispetto alla vicenda dell’ascesa dell’Europa e della società occidentale.>> (18).

 

Fonte Limes, 2019

 

 

I territori delle Vie della Seta, da inquadrare nelle diverse fasi della storia mondiale caratterizzate da segni particolari e da questioni rilevanti e peculiari proprie delle fasi (Peter Frankopan ne individua ben 25 Vie nei periodi storici che vanno dalla sua configurazione ad oggi passando dalla Via delle Fedi alla Via alla Tragedia), sono interessati da un grande progetto di respiro mondiale basato sullo sviluppo economico, politico, culturale tra le nazioni coinvolte nell’idea di scambio tra Oriente e Occidente che ricalca il senso e gli obiettivi delle antiche Vie della Seta. Xi Jinping così dichiarava, nel discorso di Astana (Kazakhstan), nell’autunno del 2013, dove annunciava per la prima volta il progetto della Via della Seta:<< Per più di duemila anni […] i popoli che vivono nella regione che collega l’Est e l’Ovest sono stati in grado di coesistere, cooperare e prosperare nonostante le differenze di razza, fede e cultura. Per la Cina è una priorità di politica estera […] sviluppare rapporti di cooperazione amichevole con i paesi dell’Asia centrale. E’ giunto il momento […] di rendere più stretti i legami economici, migliorare le comunicazioni, incoraggiare gli scambi e incrementare la circolazione monetaria […] >> (19).

E l’Europa che fa?

L’Europa mostra i suoi limiti nella cooperazione con la Cina sul grande progetto mondiale della Nuova Via della Seta (Belt and Road Iniziative), limiti derivanti da una mancanza di politica unitaria essendo l’Unione Europea, come già detto, un non soggetto politico. Diego Angelo Bertozzi (uno dei maggiori esperti italiani della Cina e della Nuova Via della Seta) sostiene che :<<E’ fuor di dubbio che, dal momento del suo lancio nel 2013, la Belt and Road Initiative abbia attirato l’interesse dei Paesi membri dell’Unione Europea. Poco dopo infatti, nel settembre del 2015, la Cina e l’UE hanno firmato un accordo per istituire la piattaforma di connettività UE-Cina per la promozione della cooperazione congiunta in materia di investimenti infrastrutturali e servizi di trasporto; già prima Pechino aveva mostrato il proprio interesse a rendere compatibili la nascente Bri con il piano Juncker da 385 miliardi di euro centrato principalmente sulla costruzione di infrastrutture. Resta però il fatto che la maggior parte degli investimenti cinesi in infrastrutture europee (autostrade, ferrovie e porti) si sono verificati al di fuori della piattaforma di connettività e che a prevalere è un approccio bilaterale con i singoli Paesi interessati, in modi e intensità diverse, alla collaborazione [corsivo mio, LL]>> (20). Molte nazioni europee (Francia, Germania, Regno Unito) hanno fatto accordi con la Cina nonostante ci siano critiche e conflitti all’interno dei Paesi G7 :<<Le critiche all’adesione italiana alla BRI, primo fra i paesi G7, nascono dal timore di uno stabile insediamento cinese, con investimenti industriali e logistici, che completi un corridoio dall’Asia al Centro Europa via Trieste (anche Genova ha firmato un’intesa preliminare), che potrà riprendere quella centralità che già l’Impero asburgico aveva compreso trasformandola in porto franco>>. La Commissione europea, inoltre, ha definito la Cina avversario sistemico nonostante <<Contando solo le partecipazioni almeno del 10%, in dieci anni la Cina ha speso per aziende europee 145 miliardi […] Ma altre stime […] arrivano a 350 miliardi. Più di 670 gruppi cinesi della terraferma o con sede a Hong Kong […] hanno investito in Europa dal 2008; quasi 100 hanno alle spalle lo stato o fondi di investimento. Circa 360 imprese sono state acquisite, anche colossi come l’italiana Pirelli. Controllo o partecipazioni riguardano inoltre quattro aeroporti, sei porti, parchi eolici e squadre di calcio […] In parecchi hanno dunque rapporti assai stretti con quello che la Commissione europea ha definito inaspettatamente avversario sistemico, timorosa forse di suscitare ritorsioni commerciali dalla Casa Bianca (corsivo mio, LL)>> (21).

La Nuova Via della Seta è un grande progetto a livello mondiale, messo in atto dalla Cina nella logica del dialogo con i popoli, ricalcando in maniera diversa il senso e l’idea delle relazioni tra Oriente e Occidente << Nonostante la loro apparente <<estraneità>>, queste terre sono sempre state di importanza fondamentale nella storia mondiale, in un modo o nell’altro, collegando est e ovest e ponendosi come un crogiuolo dove, dall’antichità ad oggi, si sono incontrate e scontrate idee, abitudini e lingue. E oggi le Vie della Seta stanno riacquistando importanza, un fenomeno che molti ignorano o a cui non prestano interesse. Gli economisti non hanno ancora rivolto l’attenzione alle ricchezze che si trovano sotto e sopra il suolo, sotto le acque o sepolte nelle montagne delle catene che collegano l’Himalaya al mar Nero, all’Asia Minore e al Levante. Si concentrano su gruppi di paesi senza connessioni storiche (corsivo mio, LL) i cui indici misurabili appaiono a prima vista simili, come i BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), spesso ormai sostituiti dal nuovo trend dei MIST (Messico, Indonesia, Corea del Sud e Turchia). In realtà, è al vero Mediterraneo- << il centro del mondo >>- che dovremmo invece guardare. Non c’è un Selvaggio Oriente, nessun nuovo mondo da scoprire, ma una regione e una serie di connessioni che riemergono sotto i nostri occhi >> (22).

La Cina è una potenza in ascesa, come lo fu Atene nella fase multicentrica precedente la guerra del Peloponneso, con la caratteristica di sconvolgere l’ordine esistente: << Essi (gli ateniesi, mia precisazione) sono amanti delle novità, rapidi nel concepire un piano e nel portare a compimento ciò che hanno deciso […] >> (23). Per questo motivo gli Stati Uniti cercano di bloccare e contrastare il progetto cinese perché vedono in esso un serio pericolo alla loro egemonia mondiale (“sindrome della potenza dominante”).

 

Fonte Limes, 2016

 

La Nuova Via della Seta della Cina è una Via che recupera un nuovo senso e un nuovo dialogo tra Oriente e Occidente e ha come obiettivo l’equilibrio dinamico tra le potenze dominanti della fase multicentrica.

 

 

5.In sintesi: abbiamo due potenze in ascesa, Cina e Russia, che rivendicano un ordine mondiale dialogante e rispettoso delle proprie diversità storiche, politiche e culturali in modo da superare la “Trappola di Tucidide” e restare nella fase multicentrica.

Al contrario, la potenza dominante, gli Stati Uniti d’America, rivendica un ordine mondiale sotto la propria egemonia e non accetta un limite al proprio dominio nella configurazione di un nuovo ordine mondiale avanzato dalle potenze in ascesa. Quindi gli USA metteranno in atto strategie politiche di conflitto per contrastare sia la minaccia del proprio declino (ormai irreversibile) sia le potenze in ascesa; difficilmente si fermeranno nella fase multicentrica.

 

Cosa farà l’Europa? Quali vie intraprenderà?

 

Sono pessimista nell’accezione di Ennio Flaiano << Essere pessimisti circa le cose del mondo e la vita in generale è un pleonasmo, ossia anticipare quello che accadrà […].>>. Abbiamo, purtroppo, sub-decisori europei (in particolare quelli italiani per la loro peculiarità storica) che sono dei rubagalline (il significato pieno del termine è nel film Totò, Peppino e i fuorilegge, regia di Camillo Mastrocinque del 1956) e hanno le facce da servi (per il prosieguo della definizione delle facce rimando alla magnifica sintesi fatta da Giorgio Gaber nel brano Mi fa male il mondo dell’album “E pensare che c’era il pensiero”, 1995). Sub-decisori inaffidabili e pericolosi per la maggioranza delle popolazioni. Sono i cotonieri lagrassiani, soggetti politici espressione di una sfera economica caratterizzata da modelli di produzione superati e tecnologicamente arretrati (di processo e di prodotto), che hanno venduto l’anima e i relativi paesi per n’anticchia di potere e non sanno andare oltre una visione economica delle relazioni internazionali.

In Europa ci vorrebbe un Gelsomino (24) dalla voce potentissima che, con l’aiuto di un moderno Principe, sconfiggesse la prepotenza e l’arroganza e ristabilisse la verità e l’ordine per traghettare l’Europa fuori dalla servitù statunitense e pensare una Europa (espressione di una recuperata sovranità politica delle nazioni) dei dialoghi e dei confronti tra mondi diversi (Occidente e Oriente).

Le citazioni che ho scelto come epigrafe sono tratte da:

 

* Noam Chomsky, Venti di protesta, Ponte alle Grazie, Milano, 2018, pag.81.

** Peter Frankopan, Le vie della seta, Mondadori, Milano, 2017, pag.8.

 

 

NOTE

 

1.Ennio Flaiano, Diario notturno, Adelphi, Milano, 2012, pp. 114 e 165.

2.Graham Allison, Destinati alla guerra. Possono l’America e la Cina sfuggire alla trappola di Tucidide?, Fazi editore, Roma, 2018, pag.309.

3.La situazione storica che si venne a creare nella guerra del Peloponneso dove la potenza dominante di Sparta fu messa in discussione dalla emergente potenza di Atene. La trappola di Tucidide definisce la << “sindrome della potenza in ascesa” e la “sindrome della potenza dominante”. La prima mette in evidenza l’accresciuta consapevolezza di sé, dei propri interessi e del proprio diritto a essere riconosciuto e rispettato. La seconda è essenzialmente l’immagine speculare della prima, ossia il manifestarsi da parte del potere costituito di un crescente senso di paura e di insicurezza difronte alla minaccia del proprio “declino” […]. Sparta era una polis conservatrice, una potenza incline allo status quo. Come in seguito ebbe a dichiarare l’ambasciatore di Corinto all’Assemblea degli spartani:<< Loro caratteristica [degli ateniesi, mia specificazione] è di sconvolgere l’ordine esistente: veloci nell’ideare, veloci nel realizzare ciò che hanno deciso. Vostra caratteristica [degli spartani, mia specificazione] è invece l’immobilismo: non vi sforzate di ideare vie nuove e, sul piano dell’azione, non siete all’altezza neanche dello stretto necessario >> in Graham Allison, Destinati alla guerra, op.cit., pag. 90 e 74; Sull’ascesa della potenza di Atene si rimanda a Tucidide, La guerra del Peloponneso, Mondadori, Milano, 1976, volume primo, Libro I, pp.3-97.

4.Sul progetto della Trappola di Tucidide si rimanda a Graham Allison, Destinati alla guerra, op.cit., in particolare all’Appendice I dove è riportato il dossier completo sulla Trappola di Tucidide che fa parte del progetto di storia applicata del Belfer Center di Harvad (Cambridge, USA).

5.Per la costruzione di un nuovo modello di società che ha caratterizzato il Novecento come il secolo americano, si rimanda a Olivier Zunz, Perché il secolo americano?, il Mulino, Bologna, 2002.

6.Per gli indicatori economici del declino statunitense si rimanda a Graham Allison, Destinati alla guerra, op. cit., pp.33-63.

7.Sergio Romano, L’epidemia sovranista, Longanesi, Milano, 2019, pp.100-101.

8.Sulla crisi della modernità occidentale si veda Marshall Berman, L’esperienza della modernità, il Mulino, 1985; David Harvey, La crisi della modernità, il Saggiatore, Milano, 1993; Costanzo Preve-Luigi Tedeschi, Dialoghi sull’Europa e sul nuovo ordine mondiale, il Prato editrice, Saonara (Padova), 2016.

9.Sulla diversità della modernità orientale si legga Maxime Rodinson, Islam e Capitalismo, Einaudi, Torino, 1968; Luce Irigaray, Tra Oriente e Occidente, Manifestolibri, Roma, 1997; Guy Mettan, Russofobia. Mille anni di diffidenza, Sandro Teti Editore, Roma, 2016; Aleksandr Dugin, L’Occidente e la sua sfida in www.ariannaeditrice.it, 18/10/2018, prima e seconda parte; Graham Allison, Destinati alla guerra, op.cit.

10.Per una lettura che superi le periodizzazioni dei cicli economici delle diverse fasi storiche del capitalismo, si intreccino gli studi di Giovanni Arrighi, Gianfranco La Grassa e Costanzo Preve.

11.Costanzo Preve-Luigi Tedeschi, Dialoghi sull’Europa e sul nuovo ordine mondiale, op. cit., pag.153.

12.Luigi Longo, Il Progetto dell’Unione Europea è finito, la Nato è lo strumento degli Usa nel conflitto strategico della fase multicentrica, www.italiaeilmondo.com, 26/11/2018.

13.Sergio Romano, Sulle finalità della Nato e il bisogno di Occidente della Russia, www.ispionline.it, video intervento, 4/6/2018.

  1. Costanzo Preve-Luigi Tedeschi, Dialoghi sull’Europa e sul nuovo ordine mondiale, op. cit., pag.152.

15.Redazione Ansa, Macron, Nato in stato di “morte cerebrale”, www.ansa.it, 7/11/2019; Anais Ginori, Siria: Macron, la Nato è in stato di morte cerebrale, www.repubblica.it, 7/11/2019.

16.Per le politiche di espansione, di allargamento, di sicurezza, di alleanze e controalleanze, di partenariato di pace (sic), di investimenti infrastrutturali, di spese militari della Nato, si rimanda a Mahdi Darius Nazemroaya, La globalizzazione della NATO. Guerre imperialiste e colonizzazioni armate, Arianna editrice, Bologna, 2014; Manlio Dinucci, Geopolitica di una “guerra globale” in AaVv, Escalation. Anatomia della guerra infinita, DeriveApprodi, Roma, 2005, pp.11-112; sul continuo aumento delle spese militari a favore della Nato si veda Manlio Dinucci, 4 Novembre, vedi Napoli e poi muori, www.volitairenet.org, 10/11/2019; sulla base USA di Alessandropoli in Manlio Dinucci, Alessandropoli, nuova base USA contro la Russia, www.voltairenet.org, 24/9/2019; sulla strategia USA-NATO sul Mar Nero in Martin Sieff, USA e NATO in preda a “pazzia da Mar Nero”, www.comedonchisciotte.org, 17/6/2019.

17.Maurizio Molinari, Il doppio fronte della Nato, www.lastampa.it, video editoriale, 29/7/2019.

18.Peter Frankopan, Le Vie della Seta, op.cit., pp. 7-8; si legga anche Claudio Mutti, La nuova Via della Seta, www.euroasia-rivista.com, 24/6/2019.

  1. Peter Frankopan, Le Vie della Seta, op.cit., pag. 595; per una analisi sintetica degli obiettivi del progetto della Via della Seta si invia a Vladimiro Giacchè, Un progetto per molti obiettivi, www.sinistrainrete.info, 29/4/2019.

20.Osservatorio Globalizzazione, Sulle rotte della Nuova Via della Seta, conversazione con Diego Angelo Bertozzi, www.comunismoecomunita.org, 8/10/2019.

21.Luciano Santilli, La Nuova Via della crescita in Capital n. 465-466 giugno 2019, pag.7. E’ interessante la lettura completa dello speciale Cina perchè ricca di informazioni, dati, analisi delle relazioni tra Cina ed Europa e soprattutto il livello di penetrazione cinese in Italia; sugli accordi dei paesi europei con la Cina si rimanda a Pino Nicotri, Con la nuova Via della Seta la Cina è vicina, anzi è tra noi, www.sinostrainrete.info, 1/4/2019.

  1. Peter Frankopan, Le Vie della Seta, op.cit., pag.585.
  2. Tucidide, La guerra del Peloponneso, op.cit., pag. 46.

24.Per la storia di Gelsomino si legga Gianni Rodari, Gelsomino nel paese dei bugiardi, Einaudi, Torino, 2010.

36° podcast_Se ne deve andare!_di Gianfranco Campa

Le campagne processuali a carico di Donald Trump, Presidente degli Stati Uniti d’America, sono e vanno avanti a prescindere. Un fatto pressoché unico nella storia degli Stati Uniti. La pervicacia e la sistematicità della tessitura sono il segno non solo della radicalità delle opzioni politiche in campo, ma anche della loro incompatibilità. Una condotta spietata che ha portato al sacrificio di due personaggi chiave dello staff di Trump, Flynn e Roger Stone, in secondo piano Manafort, colpiti da accuse pesantissime  e da decenni di duro carcere e a minacce sempre più prossime all’ultimo suo mentore, Rudolph Giuliani, il più esperto. Le oscillazioni della condotta presidenziale si spiegano in gran parte per l’ostracismo e per l’assenza di una classe dirigente alternativa sufficientemente radicata negli apparati. Non si esita nemmeno a stravolgere la finzione della separazione e della indipendenza dei poteri di uno Stato pur di proseguire nella persecuzione. Per non parlare, poi, della retorica della democrazia. Il parere e la volontà del popolo vale solo se in sintonia con l’élite dominante. Sono rari i momenti in cui un sistema di potere è costretto a gettare la maschera; quando avviene la strada verso la destabilizzazione di un paese e delle sue istituzione è ormai diretta lungo un pendio sempre più ripido. Negli Stati Uniti, vista la tempistica, tutto congiura alla presentazione del candidato unico alle presidenziali. Non male per il più fiero avversario dei regimi cosiddetti totalitari. Ascoltate la narrazione di Gianfranco Campa! Ne vale la pena.Buon ascolto_Giuseppe Germinario

35°podcast_un posto per troppi, di Gianfranco Campa

Tanto i giochi nel Partito Repubblicano sembrano ormai chiusi, tanto quelli nella campagna delle primarie sono aperti ed incerti. E’ il segno dei tempi. Trump, da esterno, è riuscito appieno nell’OPA sino ad assumere il controllo del partito, salvo scontare una fronda perniciosa che potrà operare man mano e solo se il Partito Democratico potrà assumere una linea chiaramente antagonista al Presidente uscente ma attenuata nel radicalismo sociale. L’affollamento nelle primarie democratiche, d’altro canto, non è un segno di vitalità e di confronto politiche tra diverse opzioni in quel partito. Rivela piuttosto l’assenza di una reale leadership capace di offrire una sintesi accettabile ed una prospettiva credibile ed unificante al paese. E’ il segno di una drammatica frammentazione del paese in gruppi contrapposti. L’ostinazione nel perseguire la procedura di impeachement del Presidente a prescindere dalla fondatezza delle accuse, anzi a dispetto della loro evidente infondatezza e pretestuosità, sta spingendo l’agone politico verso il punto di non ritorno. Tulsi Gabbard aveva stigmatizzato proprio questo negli ambienti del suo partito. Un affronto che il cerchio magico detentore ancora pur con difficoltà delle redini del Partito Democratico non è disposto a tollerare. La strada è aperta ormai ad altre inedite opzioni. Giuseppe Germinario

dal russiagate all’ucrainagate, di Gianfranco Campa

Impeachment! Impeachment! Impeachment!  La parola  più volte sussurrata dall’establishment repubblicano e dallo stato ombra, più volte sbandierata, strillata a squarciagola dai rappresentanti politici e dal popolo democratici. In cima ai desideri l’obiettivo ultimo, mai nascosto, è la rimozione di Trump con le buone o con le cattive. Con le buone, tramite appunto l’impeachment; con le cattive… beh lascio a voi immaginare i modi e i metodi. I precedenti non mancano. Con l’annuncio dell’impeachment siamo finalmente arrivati all’epilogo di questa farsa pur con due anni di ritardo.

Avevo scritto e narrato in molte occasioni, con podcast e articoli, che fin dal principio, cioè dall’insediamento di Trump alla Casa Bianca, l’obiettivo ultimo era di rimuovere Trump dalla presidenza. Avevo anche denunciato, in due podcast precedenti alle elezioni medio termine del 2018 che l’alto numero di candidati democratici alla camera di estrazione militare e di intelligence, aveva due scopi: il primo, far presa sugli elettori repubblicani, i quali con la presenza di candidati veterani, si sarebbero sentiti meno motivati a votare repubblicano, poiché lo spirito patriottico li portava automaticamente a fidarsi dei candidati ex militari indipendentemente dal colore politico. Secondo, come conseguenza del primo, le elezioni di molti candidati democratici di questa origine, la loro presenza alla Camera dei Deputati, avrebbe portato il popolo repubblicano, se non ad abbracciare la causa, almeno ad ingoiare la pillola  dell’impeachment. Infatti  c’è una certa, come posso dire, timidezza da parte dell’elettorato repubblicano nel criticare i veterani militari e i gli operatori degli apparati di sicurezza in generale, chiunque essi siano. Tutto questo  per motivi di rispetto e gratitudine verso i servitori dello stato incaricati della sicurezza della patria.

Il russiagate e il pornogate avrebbero dovuto servire da trampolino di lancio, da base per l’impeachment, inizialmente difficile da attuare per il semplice motivo che il controllo della Camera da parte dei repubblicani avrebbe reso difficile qualsiasi iniziativa in tal senso. Con le elezioni di medio termine, con la vittoria dei democratici che riprendono il controllo della Camera, l’impeachment è ora tornato al centro dello scenario politico americano. Per questo motivo la farsa del russiagate  si è trascinata oltre le elezioni di medio termine del 2018, concludendosi ufficialmente solo un paio di mesi fa con la deposizione di fronte al Congresso Americano dell’ex procuratore speciale Robert Mueller. La squadra investigativa di Mueller aveva come solo obiettivo indagare Trump fino alle elezioni del 2018 sperando che il Russiagate riuscisse ad offrire lo strumento della rimozione in mano ai Democratici, attualmente controllori del Senato e a sferrare l’attacco decisivo a Donald Trump.  Ora sappiamo tutti com’è andata finire questa farsa. Un’inchiesta maldestra e scandalosa, conclusasi con la disastrosa performance di Mueller di fronte al Congresso Americano e a milioni di telespettatori. Anche il pornogate non ha raggiunto miglior sorte, con l’arresto dell’avvocato che rappresentava la pornodiva Stromy Daniels, Michael Avenatti, per estorsione e violenza domestica. Col Russiagate e il Pornogate liquefattisi nelle fiamme degli inferi politici americani, lo stato ombra e i democratici necessitano di un’altra strategia per creare il casus belli necessario all’impeachment. Ci ritroviamo così oggi con un altro “scandalo” inventato, creato dallo stato ombra in un ennesimo tentativo di azzoppamento, l’Ucrainagate. E’ un colpo di stato strisciante, cominciato subito dopo le elezioni di Trump, riprodottosi costantemente sotto nuove forme ogni volta che risultano necessari un cambiamento di rotta o un tattica diversa. A tre anni dalle elezioni di Trump lo stato ombra, sostenuto dai mass media, non sembra aver esaurito il suo impulso sovversivo e sovvertitore.

Qualunque sia il modus operandi, la strategia dello stato ombra, mostra i propri limiti e la propria inettitudine nel creare quella forza d’urto necessaria a dare la spallata definitiva a Donald Trump. Se analizziamo l’Ucrainagate e le informazioni in merito  finora disponibili, troviamo molte analogie con il Russiagate. Proprio come il Russiagate, di cui ne avevo previsto il fallimento con abbondante anticipo, così l’Ucrainagate si incanala sugli stessi binari, finirà nel cestino della storia. Un maldestro, l’ennesimo, tentativo dei soliti accoliti di condurre la presidenza Trump verso binari morti.

Lo stampo dello stato ombra su questa nuova farsa, questa nuova caccia alle streghe è visibile e lampante, addirittura telefonata.

Offriamo comunque una analisi dettagliata; cominciamo dall’antefatto.

La lettera del fantomatico whistleblower che “denuncia” i crimini di Trump è stata consegnata  il 12 Agosto del 2019 ai deputati Adam Schiff e Richard Burr, rispettivamente Presidenti della Commissione di Intelligence della Camera e del Senato. Schiff è deputato democratico della California, Burr senatore proveniente dalla Carolina del Nord. Qui il link della lettera che ha dato inizio ufficialmente all’Ucrainagate:

https://intelligence.house.gov/uploadedfiles/20190812_-_whistleblower_complaint_unclass.pdf

La prima cosa importante che notiamo è la data della consegna della lettera di denuncia, il 12 Agosto 2019, tre settimane dopo la disastrosa testimonianza di Robert Mueller (24 Luglio) al cospetto del Congresso Americano che affondava una volte per tutte la stagione del Russiagate. La tempistica è sospetta, tre settimane; il tempo necessario a commissionare, costruire e divulgare un nuovo scandalo seguendo una trama internazionale.

Leggendo la lettera del whistleblower, mi viene subito  in mente il dossier di Christopher Steele. La tecnica di denuncia è quasi la stessa. Una serie di presunte accuse lanciate con materiale di supporto scadente usando come annotazione il cosiddetto “hearsay”; tradotto in Italiano sarebbe “per sentito dire”, in altre parole una versione piu sosfiticata per descrivere “gossip”, il pettegolezzo. “Non sono stato testimone diretto della maggior parte degli eventi descritti“, si legge nella lettera del whistleblower. In altre parole la sua denuncia , proprio come il dossier di Steele,è piena di voci di seconda mano, provenienti da fantomatici funzionari essi stessi anonimi. Quindi quanto credito si può dare ad un omonimo whistleblower che non ha conoscenza diretta dei presunti crimini di Trump.

Nel 2016 il dossier di Steele fu divulgato e propagandato dagli ambienti del giornalismo “professionale” come prova inconfutabile della connubio Trump-Putin – fino a quando la fantomatica teoria della collusione crollò come un castello di sabbia. Ho la sensazione che questa denuncia seguirà la stessa malinconica sorte. L’unica differenza è che almeno il primo dossier aveva un autore riconosciuto, Christopher Steele, ex agente britannico dell’MI6. Di questo whistleblower non conosciamo ancora le generalità, sappiamo solo che secondo il New York Times sarebbe un ex agente della CIA di stanza alla Casa Bianca. Seguendo alcuni indizi abbastanza seri, il dossier di Christopher Steele, sembra sia stato commissionato dall’ex direttore della CIA, il pericolosissimo famigerato John Brennan, commentatore politico ben conosciuto e ossequiato qui in Italia. Non mi sorprenderebbe il fatto che Brennan sia il vero architetto di questo nuovo scandalo, commissionato dallo stato ombra. Secondo alcuni indizi, questo whistleblower ha lavorato per John Carlin. Chi sarebbe John Carlin ? E’ proprio colui che usando il falso dossier Steele ha ottenuto un mandato dalla corte FISA per spiare il collaboratore di Trump, Carter Page. Gira e rigira sono gli stessi personaggi che dietro le quinte lavorano per lo stato ombra. La CIA e l’FBI sono al centro dei due “scandali” che hanno plasmato la presidenza di Trump.

Quale accusa lancia il whistleblower contro Trump?

Nella lettera di denuncia sostiene che  durante una telefonata del 25 luglio tra Trump e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky; Trump ha esortato Zelensky più volte a collaborare con il suo avvocato personale, Rudy Giuliani per indagare sul figlio di Biden, Hunter Biden, e sui suoi legami con una compagnia energetica di proprietà di un oligarca ucraino.

All’epoca Biden era già entrato in corsa per le presidenziali del 2020 e probabilmente Trump considera Biden il suo principale sfidante.

La fonte dell’indagine richiesta da Trump su Hunter Biden deriva dal fatto che il figlio è stato membro del consiglio di amministrazione della società di gas naturale Burisma Holdings.

Nel 2014, mentre era ancora vice presidente sotto l’amministrazione Obama, Joe Biden  minaccia di bloccare un miliardo di dollari di prestiti statunitensi all’Ucraina nel caso il governo Poroshenko non avesse licenziato il magistrato ucraino titolare delle indagini sulle accuse di corruzione della Burisma Holdings. Quella inchiesta sollevò forti preoccupazioni per un potenziale conflitto di interessi, potenzialmente dannoso per la campagna presidenziale di Biden. Sicuramente Biden non si sarebbe presentato alle presidenziali del 2016 come candidato, lasciando spazio a Hillary Clinton, perché preoccupato delle possibili ripercussioni negative della vicenda sulla sua famiglia e sulla sua candidatura. Nel  dicembre del 2015, il New York Times pubblicò un resoconto con il quale affermava che Burisma aveva assunto Hunter Biden poche settimane dopo che il presidente Obama aveva chiesto al Vicepresidente di gestire le relazioni USA-Ucraina. In quello stesso articolo il New York Times dichiarava che  procuratore generale Viktor Shokin stava conducendo un’indagine su Burisma e sul suo fondatore, l’oligarca Mykola Zlochevsky. Biden disse a Poroshenko che se non avesse licenziato Shokin, l’Ucraina non avrebbe ricevuto il miliardo di dollari.

Shokin, riguardo al suo licenziamento e alla sua inchiesta su Burisma Holdings, ha pubblicato un documento dove denuncia testualmente “Sono stato costretto a lasciare l’incarico, a causa delle forti e dirette pressioni di Joe Biden e dell’amministrazione americana”. Qui il link della lettera di Shokin:

https://www.scribd.com/document/427618359/Shokin-Statement

Hunter Biden veniva pagato $ 50.000 al mese per il suo incarico presso la compagnia energetica. Pagato profumatamente direi, visto che Hunter Biden non possiede nessuna credenziale o titolo di studio da qualificarlo per un posto da consigliere in una azienda energetica. Hunter Biden  ha lasciato il consiglio di amministrazione di Burisma all’inizio di quest’anno.

Strana storia quella della Burisma Holdings; oltre alla trascorsa presenza di Hunter Biden nel suo consiglio di amministrazione,  l’azienda ha conosciuto un altro losco personaggio, dal 2017, come membro attivo del consiglio di amministrazione, Joseph Cofer Black

Chi e`Joseph Cofer Black? E’ stato consigliere per la sicurezza nazionale di Mitt Romney nella sua campagna presidenziale del 2012. Nell’ottobre del 2011, l’allora candidato alla presidenza Mitt Romney,annunciò che Joseph Cofer Black (conosciuto anche come “Cofer Black”) era stato scelto come consigliere sulla strategia di politica estera, questioni di difesa, questioni di intelligence, antiterrorismo e politica regionale.

L’esperienza di  Black, inizia dal suo lungo curriculum alla  CIA, dove iniziò a lavorare nel 1974 fino a diventare direttore del National Counterterrorism Center dal 1999 al 2002. Per pura coincidenza, questo fu il periodo in cui al-Qaeda pianificò e realizzò l’attacco del 11 settembre, senza che trovasse ostacoli dall’apparato di controspionaggio della Comunità di Intelligence nazionale. Nonostante il clamoroso fallimento, Black non solo non fu penalizzato ma fu addirittura promosso e nominato a coordinatore per l’antiterrorismo dal presidente George W. Bush nel dicembre 2002. Sempre per puro caso il signor Black fu accompagnato nel suo ruolo come direttore del National Counterterrorism Center da John Brennan.

Torniamo alla denuncia del whistleblower. Dopo la lettera pubblicata con la quale questo personaggio anonimo denuncia i crimini di Trump, la Casa Bianca ha pubblicato per intero la trascrizione della chiamata tra Trump e Zelensky, qui il link della trascrizione:

 

https://www.scribd.com/document/427409665/Ukraine-Call-Transcript#from_embed

Nella trascrizione si legge che durante la telefonata del presidente Trump con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky avvenuta il 25 Luglio scorso, Trump aveva chiesto di riaprire le indagine sulla Burisma e quindi su Hunter Biden. Quello che invece non risulta confermato nella telefonata sono invece le accuse lanciate contro Trump da parte del whistleblower e dai democratici: il presunto ordine di Trump di aver ordinato al suo staff di congelare quasi 400 milioni di dollari di aiuti all’Ucraina annunciati pochi giorni prima della telefonata con Zelensky. Un’accusa strumentale tesa a giustificare la chiamata all’impeachment, portando alla fine Nancy Pelosi ad annunciare un’indagine formale sull’impeachment.  La trascrizione mostra che Zelensky alla fine suggerisce a Trump che la questione Biden sarebbe stata esaminata da un nuovo procuratore.

Veniamo all’impeachment. Prima di tutto stiamo parlando di un cosiddetto Impeachment inquiry non una procedura, un processo di Impeachment? Qual’è la differenza? In un processo di impeachment si va direttamente dalla testimonianza al voto.

In questo caso, essendo l’impeachment di Trump non condiviso da circo il 58% degli americani, la decisione di Pelosi potrebbe ritorcersi contro i democratici; proprio per calmare i bollenti spiriti della base democratica Pelosi concede loro un contentino sapendo benissimo che anche  se la Camera arrivasse a votare a favore dell’Impeachment, il Senato sotto il controllo dei repubblicani, lo annullerebbe. A quel punto però Pelosi potrà addossare la colpa ai Repubblicani sollevando i rappresentanti democratici da ogni critica di elusione.

Fra tutti i candidati democratici alla presidenza solo Tulsi Gabbard si è espressa contro l’impeachment del presidente Trump, sostenendo, non ha torto che un impeachment contro Trump dividerebbe ancora di più la ormai tanto fratturata società americana, rischiando una divisione incolmabile e pericolosa per il paese. È la sola a indicare Ia strada per battere Trump nei seggi elettorali, non con i trucchi sovversivi dello stato ombra.

Una ultima riflessione su questa storia del whistleblower e dell’impeachment, in attesa di scoprire il nome di questo fantomatico personaggio della CIA. Questa storia dell”Uncrainagate coinvolge più Biden che Trump. Non vorrei che i Democratici non avessero innescato tutta questa faccenda per far fuori Biden piuttosto che Trump. Sanno che Trump potrebbe distruggere Biden durante le presidenziali, usando le connessioni con l’Ucraina come materiale di scandalo. Negli ultimi tre giorni, da quando è cominciato L’Ucrainagate, la Hillary Clinton ha rialzato la testa. Coincidenza? Forse sono io che che fantastico troppo. Intanto si è concessa una lunga vacanza in Italia. Tutta la corte di postulanti di grido accorsi al suo cospetto lascia intendere che non si è trattato di sola ricerca di relax. Lo stesso Bill Barr è appena giunto a Roma e in Italia; c’è da scommettere che il segugio stia seguendo le tracce di Mifsud, uno dei protagonisti e inventori del filone italiano del Russiagate. Frenesie e fibrillazioni che lasciano intendere che la trama ordita da questi mestatori non sia poi così perfetta; l’ipotesi che arrivi addirittura a ritorcersi contro gli stessi tessitori non è poi così peregrina. Il Trump di oggi, sia pure spossato e irretito, non è più il Trump donchisciottesco di tre anni fa; soprattutto non è più così solo.

Sarebbe bene che gli attuali inquilini del Governo Conte lo tenessero in considerazione, almeno per contenere e controllare queste scorribande purtroppo così usuali nel Belpaese così ospitale ed aperto, sin troppo.

 

LA MATASSA, di Antonio de Martini

LA MATASSA

L’Arabia Saudita si trova tra due fuochi da lei provocati: a sud la guerra con lo Yemen e a nord il conflitto siriano.

Gli Stati Uniti si trovano anch’essi tra due fuochi possibili: da una parte il conflitto in Irak con l’ISIS ( per combattere il quale hanno equipaggiato e autorizzato le milizie sciite) e dall’altra dovrebbero combattere e disarmare le stesse milizie sciite che secondo le accuse israeliane sono la base dell’attacco agli impianti petroliferi.

Entrambi i paesi stanno concertandosi oggi a Gedda circa il da farsi che consisterebbe nel decidere atti di guerra contro l’Iran, il quale nega tutto.

Gli Stati Uniti promettono di esibire alle Nazioni Unite le “ prove” che l’intelligence sta approntando, sempre che si trovi un Presidente USA disponibile a ripetere la scena di Colin Powell sulle armi di distruzione di massa irachene per avere il sostegno degli alleati.

Ne dubito.

Al massimo lo farà il fido Pompeo e tornerà con le pive nel sacco.

Il senato USA, anche repubblicani, dice che bisogna accertarsi che l’alleato saudita “ abbia tutte le armi necessarie” alla sua difesa . Escludono attacchi diretti di qualsiasi genere.
Alla peggio vorranno fare una Proxy war, ma ne stanno già facendo due….

La proxy war è una forma di lotta affidata nascostamente a terzi mirante a guerreggiare contro un paese terzo senza che appaia il mandante per non violare in forma sfacciata il principio di non ingerenza negli affari interni altrui fissato da Metternich nel Congresso di Vienna( 1815) .

Di fatto è impossibile trovare prove di una proxy war.

I dati di fatto sono che l’AS ha speso quest’anno 82,6 miliardi di dollari in armamenti e l’Iran 13,2.
Gli abitanti dichiarato dai sauditi sono 20 milioni e dagli iraniani 70.

L’Iran è stato oggetto di sanzioni da parte americana e gli europei stanno lavorando per farle togliere o attenuarne gli effetti.

Non credo vi siano dubbi su chi sia l’attaccante strategico, ne sulla fine che farebbero Riad e Tel Aviv in caso di scontro aperto.

Le conclusioni del vertice tra Mohammed ben Salman e Mike Pompeo dunque sono scontate.

La risposta di aumento delle sanzioni, inasprirebbe la situazione a danno degli interessi degli Stati Uniti, ma sarebbe ben vista dai sauditi.

Una decisione di intensificare qualche forma di proxy war sarebbe ben vista dagli americani ma danneggerebbe i sauditi destinati inevitabilmente a sostenere la reazione.

Una reazione nei confronti delle milizie sciite irachene ( incolpevoli) provocherebbe una nuova guerra in Irak e smentirebbe tre decenni di scelte politiche USA, dato che furono loro a dare il potere agli sciiti ed armarne le milizie.
Si passerebbe dalla tragedia alla farsa.

Parimenti impensabile è una rappresaglia contro gli Houti, dato che lo Yemen è stato da mesi dichiarato “ emergenza umanitaria” dalle Nazioni Unite e una serie di ben tre delibere senatoriali che proibivano di fornire armi e assistenza ai sauditi in guerra sono state fermate da un veto presidenziale.
Il quarto sarebbe di troppo.

Un’azione contro Hezbollah in Libano verrebbe vista come un diversivo e scatenerebbe una reazione contro Israele in un momento politico delicatissimo e alla vigilia della comunicazione del piano di pace coi palestinesi.

Le sole soluzioni sono un “ coup de teatre” di Trump alle Nazioni Unite con Rouhani ( che però agli occhi di molti potrebbe sembrare una sconfitta) o far fuori ( sei mesi) Mohammed ben Salman e dare tutte le colpe a lui.
Voi cosa scegliereste ?

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