SI APRE IL SECONDO ATTO DELLA TRAGEDIA UCRAINA. IPOTESI E PREVISIONI
Raccomando di seguire con attenzione l’intervista a Scott Ritter, (ex ufficiale di intelligence militare del Corpo dei Marines) che linko sotto.
Ritter risponde alle critiche che gli sono state rivolte da PIù parti, nel campo dei media dissidenti, per la sua recente analisi della situazione militare e politica in Ucraina. Replicando ai suoi critici, Ritter precisa e articola le sue posizioni, che a mio avviso sono sostanzialmente corrette.
Le riassumo con la massima brevità, integrando con mie considerazioni:
Si sta concludendo la seconda fase delle ostilità in Ucraina con la conquista russa del Donbass e della striscia costiera del Mar Nero. La Russia raggiunge uno degli obiettivi politico-strategici dichiarati: sicurezza del Donbass, e dal pdv militare l’importante obiettivo di garantirsi un passaggio terrestre tra Crimea e Donbass e rendere il Mar Nero un mare interno russo.
Non sono stati raggiunti gli obiettivi di “denazificazione” e “demilitarizzazione dell’Ucraina, né è stato raggiunto l’obiettivo politico-strategico essenziale della “neutralizzazione” dell’Ucraina, o l’altro obiettivo politico-strategico più complessivo di ridisegnare il sistema di sicurezza europeo così che tenga conto delle esigenze russe.
La “denazificazione” non è stata raggiunta; anzi, il governo ucraino ha messo fuori legge tutti i partiti non di estrema destra, e le milizie di destra radicale integrate nelle FFAA ucraine continuano ad esistere nell’Ucraina occidentale. L’influenza delle formazioni politico-militari di destra radicale sul governo ucraino è aumentata, non diminuita rispetto alla situazione precedente l’attacco russo.
La “demilitarizzazione”, ossia la distruzione o lo sbandamento delle FFAA ucraine non è stata raggiunta; anzi il governo ucraino, con l’appoggio della NATO, sta formando, addestrando, armando su territorio ucraino, polacco e tedesco numerosi contingenti di nuove truppe, calcolabili nell’ordine delle centinaia di migliaia tra veterani e coscritti.
Per di più, la Polonia a quanto pare disporrà la partecipazione diretta alle ostilità in Ucraina di due battaglioni di volontari polacchi, formati da truppe polacche addestrate a livello NATO che si dimettono dalle FFAA nazionali e prendono parte al conflitto ucraino. Probabilmente, altre truppe polacche seguiranno.
La legge Lend-Lease varata dal Congresso e dal Senato americano invierà agli ucraini 50 miliardi di dollari circa in armamenti, parte dei quali sarà composta da materiale bellico NATO state of the art. L’enorme quantità di rifornimenti consentirà agli ucraini anche di trascurare il serio problema della capacità di manutenzione del materiale bellico, compromessa dalle distruzioni di fabbriche e depositi (quando qualcosa non funziona, la sostituisci). Parte di questo materiale bellico sarà intercettato dai russi prima di giungere sul campo di battaglia, ma un’altra parte vi giungerà, come già vi giunge. Su territorio polacco e tedesco, veterani ucraini si stanno addestrando all’impiego dei nuovi sistemi d’arma.
Perduto il Sudest, l’Ucraina conserva la profondità strategica per continuare la guerra; una profondità strategica accresciuta in modo qualitativamente importante dal fatto che i santuari logistici ucraini si trovano in territorio NATO (Polonia, Germania, Stati baltici), intoccabile per i russi senza rischiare un conflitto diretto con la NATO, con la possibilità di escalation nucleare.
La NATO accerchia la Russia di più, non di meno rispetto alla situazione precedente l’attacco preventivo russo. Finlandia e Svezia hanno chiesto di entrare nell’Alleanza Atlantica. Fallito dunque anche l’obiettivo politico-strategico russo di ridisegnare in proprio favore il sistema di sicurezza europeo.
Dunque, se la Russia concluderà le ostilità con la conquista del Sudest ucraino e si disporrà alla sola difensiva del Donbass, otterrà una vittoria tattica e subirà una sconfitta strategica, esponendosi a una guerra interminabile che la dissanguerà. Il progetto americano è proprio questo: dissanguare la Russia per destabilizzarla e infine frammentarla politicamente.
Dal pdv strettamente militare, la risposta simmetrica russa a questa situazione sarebbe la mobilitazione generale, e la dichiarazione di guerra all’Ucraina. Questo provvedimento consentirebbe alla Russia di schierare sul campo fino a tre milioni di uomini, e di sferrare un’offensiva generale in Ucraina volta a distruggere le FFAA nemiche e a rovesciare il governo ucraino. Ovvie le conseguenze negative sull’economia russa, e i contraccolpi politici negativi sia all’interno, sia soprattutto all’esterno, con un prevedibile consolidamento dell’Alleanza Atlantica e dell’Occidente.
Ritter avanza l’ipotesi che la direzione russa preferisca reagire gradualmente, per così dire “al rallentatore” alla minaccia. Consolidamento difensivo del Sudest ucraino, mobilitazione parziale e progressiva dei riservisti e dei coscritti; attesa del decisivo summit NATO di fine giugno, quando si constaterà se la Turchia resterà ferma nella sua scelta di opporsi all’ingresso nell’Alleanza di Finlandia e Svezia oppure no; tentativo di far leva sulle linee di faglia dell’Occidente, soprattutto in Europa, dove il prossimo autunno-inverno farà toccare con mano alle popolazioni europee il costo devastante delle sanzioni economiche alla Russia. (Mi sembra un’ipotesi ben fondata, il presidente Putin è uno statista molto cauto).
In sostanza (mia considerazione), dopo la conclusione delle due prime fasi della guerra con la conquista del Sudest ucraino, che formano il Primo Atto della guerra, si apre il Secondo Atto. La Russia si trova di fronte a una vera e propria minaccia esistenziale, e lo sa. Reagirà di conseguenza, sul piano politico e sul piano militare; probabilmente, la reazione russa sarà graduale, e tenterà di evitare un impegno militare totale contro l’Ucraina e i suoi alleati. Se sarà impossibile evitarlo, si impegnerà a fondo, con tutte le sue risorse. In quest’ultimo caso, si aprirà il Terzo Atto di questa tragedia.
Tribuna. Gli Stati Uniti sono appena riusciti a perfezionare il loro vecchio sogno di dominio sull’Europa, impresa compiuta con determinazione e soprattutto con il vile sollievo delle vecchie nazioni europee che «stanche di sforzi troppo lunghi preferiscono farsi ingannare fintanto che ci mettiamo farli riposare” secondo il giudizio di Tocqueville.
Questa stretta americana sull’Europa è stata condotta in nome della democrazia, con le famose rivoluzioni colorate in tutti i satelliti ex sovietici le cui popolazioni aspiravano legittimamente a respirare aria di libertà ritrovata o di libertà senza precedenti.
La democrazia si è insediata in molti paesi dell’ex URSS, Polonia, Bulgaria, Romania, paesi baltici per citare solo i principali. Tuttavia, la democrazia ha una dimensione speciale, è accoppiata con l’adesione alla NATO, che avviene ancor prima dell’ingresso nell’Unione Europea.
In Romania è sintomatico vedere all’ingresso del Ministero degli Affari Esteri la bandiera rumena con l’emblema dell’UE e l’emblema della Nato. La Romania è entrata a far parte della NATO il 29 marzo 2004 e dell’UE il 1 gennaio 2007.
In Ucraina, i manifestanti che indossavano striscioni “arancioni” nel novembre 2014 in piazza Maidan denunciano la frode elettorale presidenziale del presidente filo-russo e ottengono nuove elezioni. Si è scoperto che i manifestanti hanno ricevuto un sostegno attivo dagli americani. Fu in questa data che l’Ucraina si rivolse alla NATO e all’UE e ricevette armamenti e informazioni da Washington, per non parlare di molti consiglieri.
La riconosciuta combattività degli ucraini non è estranea a questo multiplo aiuto americano, non c’è miracolo, Washington ha così la ferma volontà di far avanzare le sue pedine in Europa!
Ma con le richieste di adesione alla NATO di Finlandia e Svezia, il controllo americano ha compiuto un passo decisivo e tutti i paesi europei sono passati sotto la tutela di Washington.
Addio politica estera indipendente, addio difesa europea, ascolta, vai a piedi nudi, lo zio Sam pensa a tutto e pensa per te, è molto più efficace dei tuoi eterni battibecchi…
Gli Stati Uniti, dopo la loro disfatta afgana, stanno così riacquistando una relativa credibilità a poco prezzo grazie ai loro vassalli europei che credono fermamente nell’alleanza con questo potente, che pensa prima di tutto ai suoi interessi politici, militari ed economici.
È il ritorno dei bei tempi andati, il nemico rosso – la Russia – è il nemico perfetto, va punito, indebolito poiché te lo dico, zio Sam!
E se avete ancora dubbi sulla stretta mortale americana sull’Europa, rallegratevi brava gente nell’apprendere che il vicesegretario generale della NATO Mircea Geoana è contento della vittoria della canzone ucraina all’Eurovision… OTAN si occupa anche della canzoncina… CQFD!
La Francia può accettare questa vassalizzazione? Ovviamente no; ma Emmanuel Macron non dice una parola e ulula con i lupi. Peggio ancora, sostiene la logica della guerra della NATO quando dovrebbe fare tutto il possibile per trovare una soluzione diplomatica, anche se questo dispiace ai guerrafondai che, sognando una vittoria militare, contribuiscono all’escalation, a un ingranaggio che va contro il muro!
Per una buona comprensione del processo in corso “vassallo” deriva dal latino medioevale “vassalus” e dal latino “vassus” che significa… servo, senza commento!
“Non essere vassallo di nessun’anima, dipende solo da te stesso” Honoré de Balzac
Jacques Myard Membro Onorario del Parlamento Sindaco di Maisons-Laffitte Presidente del Cercle Nation et République Presidente dell’Accademia del Gaullismo
La crisi tra Kiev e Mosca, ma non solo, è ormai una questione di logoramento
C’è ancora qualcuno che crede a Zelensky quando, collegandosi con le tv di mezzo mondo, sostiene di trattare (per modo di dire) personalmente le condizioni riguardo al conflitto? C’è ancora chi è disposto a pensare che i contatti – sia quelli bilaterali con la Russia, sia quelli a livello consultivo con i suoi alleati (per modo di dire) occidentali – siano intrapresi in base alle sue iniziative? Forse qui in Italia qualcuno finge di esserne convinto, ma probabilmente la maggior parte dell’opinione pubblica internazionale si sta pian piano rendendo conto del gioco (sempre più pericoloso) per corrispondenza che si sta perpetrando nell’Est europeo. Lo si intuisce anche guardando le reazioni in rete.
Kiev, e chiunque stia approcciando una debole, debolissima bozza per riuscire ad aprire un tavolo di negoziato (vedi Erdogan), devono per forza tener conto delle variabili dipendenti: la Nato, che vuol dire Biden e Stoltenberg, e l’Ue, che vuol dire Von Der Leyen e Borrell. Ergo, coloro che sembrano favorevoli a che la guerra prosegua pur di indebolire Mosca. Sta diventando infatti ogni giorno più evidente che, qualora alcuni partners atlantici dovessero riuscire a fare fronte comune contro Putin (che ha un consenso interno altissimo), i relativi sviluppi non interesserebbero nella stessa misura tutte le parti in causa, a cominciare da Washington. E nonostante buona parte dei media occidentali – in prima fila le maggiori testate italiane – continui a negare l’evidenza, cioè che la guerra non si ferma con le sanzioni e l’indiscriminato invio di armi agli ucraini (l’Italia sta stanziando individualmente un cash più alto del Pil pre-pandemia 2019), ormai solo i propagandisti costruiti ad hoc potranno contare su un ritiro dei russi dal Donbass e dal confine sudorientale con la forza. Probabilmente è tutta una tattica, rispetto alla quale il gioco sporco viene lasciato fare al governo ucraino, che registra tra l’altro una certa stanchezza del suo apparato militare e, sembra, anche l’impossibilità di continuare i combattimenti presso alcune zone del fronte.
Oggi, dopo più di tre mesi dall’inizio del conflitto, verrebbe spontaneo chiedersi: in Ucraina c’è un’opposizione politica disposta a dire “stop” alle ostilità – ovviamente rivendicando le sue ragioni – e a proporre le condizioni per dare luogo a un percorso di pace? A Washington, c’è o meno una corrente parlamentare che intimi a Biden di rallentare la sua immane spesa rivolta a spedire bombe e cannoni a Kiev? Qualche avvisaglia c’è stata, ma si è trattato solo di voci isolate e in netta minoranza; secondo alcune stime, per sovvenzionare la guerra di Zelensky la Casa Bianca sinora ha speso circa nove miliardi e seicento milioni di dollari, e sembra non aver intenzione di fermarsi. E di riflesso, neanche Mosca, che pure ha posto al centro dell’attenzione mondiale la questione delle minoranze russe dall’ormai lontano 2014.
Che tipo di alleanza è quella secondo cui c’è un committente che spedisce il materiale bellico e poi dice al destinatario “ok, adesso vai e combatti” senza sporcarsi gli stivali sul campo oppure senza offrire uno straccio di appoggio in termini di soldati? Si vis pacem para bellum, diceva Vegezio, e lo stesso stanno dicendo Usa e UE all’Ucraina. Ma il prezzo, eccetto la drammatica realtà delle sanzioni e dei blocchi del granturco da Est per cui le difficoltà si estendono su scala globale, lo stanno pagando unicamente le due parti in causa. È plausibile che l’establishment di Kiev non tenti (almeno) di far sentire la sua voce per indurre l’icona televisiva Zelensky a trattare? È molto strano che ciò non avvenga, a meno che anche questo non sia abilmente celato dai media main stream. Ma sinceramente, anche il più fazioso mistificatore con poco sale in testa farebbe fatica a credere che l’opinione pubblica ucraina accetti di buon grado le perdite e il sangue versato sino a questo momento tacendo tout court, oppure accettando di buon grado la situazione in segno sacrificale. Tutto ciò si inserisce in un contesto di logoramento che non è più solo militare e politico, ma anche e soprattutto psicologico, come accadde negli anni di guerra fredda. Così, mentre l’alleanza atlantica, previa campagna d’informazione a senso unico telecomandata da Washington e Bruxelles prepara l’ennesimo pacchetto di sanzioni, nei cieli del Mar del Giappone russi e cinesi svolgono le loro esercitazioni militari mostrando i muscoli. Ricompattate e unite come prima, più di prima.
Quinta puntata del reportage di Max Bonelli. Una breve scorribanda sulla situazione economica della Russia raffrontata alle intenzioni delle politiche sanzionatorie decise dagli Stati Uniti e da buona parte dello schieramento occidentale. Una breve disamina della situazione sul fronte. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
L’invasione russa dell’ucraina ha resuscitato le ostilità della Guerra Fredda, ricordando un mondo in cui gli Stati Uniti si vedevano coinvolti in una lotta manichea, di fronte alla scelta tra il bene e il male. Gli Stati Uniti usano oggi una retorica simile per persuadere i paesi a isolare e punire Mosca. Il presidente Joe Biden ha raccolto il sostegno dei suoi alleati della NATO per imporre sanzioni paralizzanti alla Russia, ma i suoi sforzi altrove hanno avuto successo solo in parte. Australia e Giappone, che, insieme agli Stati Uniti, costituiscono tre quarti del Quad, un gruppo di sicurezza asiatico relativamente nuovo, hanno firmato, ma l’India, il quarto membro del blocco, ha rifiutato di unirsi al coro di condanna .
Diversi inviati occidentali di alto livello sono stati inviati a Nuova Delhi per persuadere le autorità indiane a unirsi alla coalizione globale contro la Russia, mentre Mosca ha corteggiato il Paese nella speranza che tenesse duro. Biden ha intensificato la pressione durante i colloqui virtuali con il primo ministro Narendra Modi il mese scorso e ha pubblicamente definito la risposta dell’India “traballante”, chiarendo che è frustrato dall’intransigenza dell’India.
In superficie, questa distanza apparente tra Washington, DC e Nuova Delhi sembrerà strana. Per più di un decennio, gli Stati Uniti hanno cercato di costruire una partnership strategica con l’India ei due paesi hanno molto in comune, compresi i loro sistemi politici democratici e la loro preoccupazione condivisa per l’ascesa della Cina. Gli analisti hanno ampiamente attribuito la riluttanza dell’India a rivoltarsi contro la Russia alla sua dipendenza da Mosca per l’equipaggiamento militare e le esportazioni di energia. Questi sono indubbiamente fattori significativi, ma sminuiscono quanto incerta e superficiale rimanga la relazione USA-India.
In effetti, Stati Uniti e India, due paesi che concettualmente sembrano destinati a essere partner, hanno per decenni visioni del mondo notevolmente divergenti, trovandosi troppo spesso a perseguire obiettivi contrastanti.
Per dare un senso al percorso che l’India ha seguito nel 2022, è utile comprendere le relazioni dell’India con gli Stati Uniti durante la Guerra Fredda.
Quando l’India è diventata la democrazia più nuova e più grande del mondo nel 1947, le sue relazioni con gli Stati Uniti, la democrazia più potente del mondo, avrebbero dovuto essere amichevoli a detta di tutti. Entrambi i paesi hanno sottoscritto sulla carta lo stesso insieme di valori: l’impegno per un ordine internazionale basato su regole, la convinzione in elezioni libere ed eque, lo stato di diritto, le libertà civili e la libertà di parola. Eppure, più e più volte, hanno visto le cose attraverso obiettivi molto diversi, fraintendendo gli obiettivi l’uno dell’altro nel processo, portando alla fine a periodi in cui hanno lavorato in contrasto l’uno con l’altro.
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Anche prima che l’India conquistasse la sua indipendenza, le due parti avevano i loro disaccordi. Durante la seconda guerra mondiale, Jawaharlal Nehru, che sarebbe diventato il primo primo ministro indiano, chiese al presidente Franklin D. Roosevelt di persuadere la Gran Bretagna a concedere all’India la sua indipendenza. Roosevelt, che aveva a lungo espresso disgusto per l’imperialismo britannico, cercò di convincere Winston Churchill ma fu respinto. Non volendo esercitare alcuna pressione a favore dell’India che avrebbe messo a repentaglio le sue relazioni con gli inglesi, Roosevelt non ha portato avanti la questione, lasciando Nehru deluso dal fatto che l’America non fosse all’altezza dei principi della Carta Atlantica, una dichiarazione non vincolante di Gran Bretagna e Stati Uniti in favore dell’autodeterminazione.
Dopo l’indipendenza, sono emerse nuove controversie. L’India aveva conquistato la sua libertà in un modo unicamente indiano, attraverso la nonviolenza gandhiana, ed era riluttante a legarsi a qualsiasi alleanza, per non parlare di quella guidata dagli Stati Uniti che includeva il suo ex padrone coloniale. “Proponiamo, per quanto possibile, di tenerci lontani dalle politiche di potere dei gruppi, allineati l’uno contro l’altro, che hanno portato in passato a guerre mondiali e che potrebbero nuovamente portare a disastri su scala ancora più vasta”, ha affermato Nehru in Marzo 1947. Si considerava uno statista mondiale ed era uno dei principali sostenitori del movimento non allineato, un tentativo dei paesi in via di sviluppo di distinguersi dalle richieste di lealtà americane o sovietiche. Riteneva che fosse essenziale per alcuni paesi fornire un corridoio neutrale dove poter negoziare i conflitti,
Sebbene questa politica avesse una sua moralità, fondata su nozioni di anticolonialismo, non era quella che rendeva l’India cara alle successive amministrazioni americane. Harry Truman, il successore di Roosevelt, considerava il disallineamento con sospetto e aveva scarso interesse a coinvolgere paesi neutrali. Si riferiva a Nehru come a un “comunito”. (Sebbene Nehru fosse un dichiarato socialista fabiano, credeva fermamente nella democrazia.) Nonostante il dichiarato non allineamento dell’India, nel tempo si era avvicinata all’Unione Sovietica. John Foster Dulles, segretario di stato di Dwight Eisenhower, pensava che il non allineamento fosse assolutamente immorale. Da parte loro, i leader indiani hanno trovato le sfumature morali della politica estera statunitense, apparentemente guidata da un ultimatum “O sei con noi o contro di noi”, un affronto alla sovranità del loro paese.
Anche l’approccio transazionale dell’America agli aiuti ha deluso gli indiani. Nehru sentiva che chiedere assistenza era umiliante, ma aveva sperato che, essendo la democrazia più ricca e consolidata, gli Stati Uniti avrebbero offerto una mano all’India. Il Congresso degli Stati Uniti era governato da sentimenti diversi. Alcuni legislatori hanno sostenuto che qualsiasi paese che riceve aiuti americani dovrebbe mostrare gratitudine ed erano irritati dal fatto che l’India non avesse sostenuto le posizioni americane alle Nazioni Unite su Israele e la guerra di Corea. “Le nostre relazioni con l’India non sono molto buone, vero?” Tom Connally, il presidente della commissione per le relazioni estere del Senato, disse nel 1951. “Nehru ci sta dando sempre l’inferno, lavorando contro di noi e votando contro di noi”. Lo stesso anno, il senatore Henry Cabot Lodge chiese: “Cosa faranno gli indiani per noi?” La sua convinzione che l’India non avrebbe mostrato alcun apprezzamento per l’aiuto americano era condivisa da molti a Capitol Hill.
Al di là degli aiuti, le relazioni economiche erano tese. Nehru aveva intrapreso un piano ambizioso dopo l’indipendenza per industrializzare l’India e rendere il paese autosufficiente, un obiettivo indiano chiave, ma la mancanza di capitale e competenze richiedeva al paese di collaborare con gli altri. Come parte di questi sforzi, gli Stati Uniti hanno intrattenuto lunghi negoziati con l’India per costruire una grande acciaieria nella città di Bokaro, nell’India orientale, un progetto che era diventato un simbolo dell’orgoglio nazionale indiano, ma differenze fondamentali nell’ideologia economica hanno interrotto i negoziati. Alla fine, l’Unione Sovietica è intervenuta per salvare i piani.
Dopo la morte di Nehru, altri disaccordi su aiuti ed economia hanno esacerbato la sfiducia. Quando il primo ministro Indira Gandhi, la figlia di Nehru, si recò a Washington, DC, nel marzo 1966 per richiedere aiuti alimentari nel mezzo della peggiore carestia dell’India dall’indipendenza, la Banca Mondiale e la Casa Bianca le fecero pressioni affinché svalutasse la rupia come precondizione . Tre mesi dopo, ha fatto proprio questo, anche se contro la volontà di diversi membri del governo che l’hanno accusata di aver messo all’asta il paese. L’aiuto promesso in cambio all’India tardava ad arrivare e non era il successo economico che lei aveva sperato. A livello nazionale, l’intero episodio è stato un disastro politico e, per recuperare il sostegno della sinistra, Gandhi ha criticato la politica degli Stati Uniti in Vietnam, che ha fatto infuriare l’allora presidente Lyndon B. Johnson. Ha risposto ritardando le spedizioni di cibo in India che erano già state approvate dal Congresso. Gli indiani furono sconvolti dal fatto che Johnson stesse usando gli aiuti alimentari come arma e iniziò a inasprire l’America.
Presto sorsero altri risentimenti che avrebbero fratturato ulteriormente la relazione. Washington era più strettamente alleata di Islamabad durante la guerra del 1971 tra India e Pakistan che portò alla fondazione del Bangladesh. Poi, nel 1974, quando l’India ha effettuato il suo test inaugurale sulle armi nucleari, gli Stati Uniti hanno interrotto le consegne di carburante alla prima centrale nucleare dell’India come punizione. Le autorità indiane, in particolare l’agenzia per l’energia atomica, iniziarono a considerare gli Stati Uniti inaffidabili e indifferenti alle esigenze di sicurezza dell’India; dal punto di vista americano, tuttavia, l’India non era importante, tranne che come stato in prima linea per contenere la Cina e la diffusione del comunismo, e la sua costante richiesta di aiuti in quei primi anni ne smorzava il potere sulla scena mondiale.
In parte a causa di tutti questi fattori, l’India finì per fare molto affidamento sull’Unione Sovietica per il suo equipaggiamento militare. Il Pentagono, sospettoso delle relazioni indo-sovietiche, rifiutò di vendere all’India armi sofisticate o computer e continuò a rafforzare l’esercito pakistano. Né gli Stati Uniti permetterebbero all’India, che desiderava essere un attore indipendente, di produrre armi a livello nazionale attraverso joint venture o accordi di cooperazione. I sovietici erano più accomodanti con gli obiettivi dell’India e presto divennero il principale fornitore di armi del paese. L’India è da tempo preoccupata per la sua dipendenza militare da Mosca, ma sebbene abbia fatto recenti mosse per diversificare i suoi fornitori, l’equipaggiamento militare russo rappresenta ancora la maggior parte dello stock di difesa totale dell’India.
Le relazioni tra gli Stati Uniti e l’India si sono notevolmente riscaldate negli ultimi due decenni. Nel 2000, le riforme economiche dell’India avevano spinto la crescita, che, combinata con la forza militare e la capacità nucleare del paese, ne facevano un interessante contrasto all’ascesa della Cina. George W. Bush, che ha cercato di coltivare l’India come potenziale partner strategico, ha intrapreso l’arduo compito di ottenere l’approvazione del Congresso per uno speciale accordo nucleare con l’India e le relazioni sono migliorate ulteriormente quando Modi è stato eletto primo ministro dell’India nel 2014: ha stretto buone relazioni con gli Stati Uniti una pietra angolare della sua politica estera.
La crisi ucraina ha messo in discussione questa partnership alterando il panorama geopolitico mondiale. L’India negli ultimi anni ha convergeto con gli Stati Uniti sulla necessità di contenere la Cina, che non solo ha umiliato l’India quando ha invaso nel 1962, ma rivendica un territorio che l’India considera proprio. Le controversie lungo il confine dei paesi divampano regolarmente, l’ultima nel 2020.
Eppure la dipendenza dell’India da Mosca per le armi si è rivelata difficile da superare. Con due stati ostili dotati di armi nucleari al suo confine, l’India non è in grado di abbandonare le sue relazioni con la Russia. Funzionari statunitensi, riconoscendo il dilemma dell’India, affermano di comprendere che il paese avrà bisogno di tempo per diversificare completamente il proprio portafoglio e si sono offerti di aiutare a trovare pezzi di ricambio e fonti di approvvigionamento alternative. Anche così, l’India ha recentemente acquistato equipaggiamento per la difesa aerea S-400 dalla Russia, gettando una nuvola sulle relazioni militari di Nuova Delhi con Washington.
Dati questi calcoli di sicurezza a breve termine e l’eredità di sfiducia a lungo termine tra Stati Uniti e India, che tipo di partnership può realisticamente aspettarsi Washington da New Delhi?
L’eredità di Nehru di non allineamento rimane ancora immensa, quindi vale la pena rivolgersi di nuovo a lui: in una conferenza stampa a Londra nel luglio 1957, ha osservato che le amicizie non sono monogame, e questo è certamente centrale nel pensiero indiano. In passato, l’India ha rifiutato le alleanze formali, mantenendo la sua politica di non allineamento. Anche se l’India si avvicinava agli Stati Uniti, i funzionari indiani hanno rinominato il non allineamento come “autonomia strategica”. Subrahmanyam Jaishankar, ministro degli Esteri indiano, chiarisce nel suo libro sull’argomento che l’obiettivo principale di questa politica è “dare all’India le massime opzioni nelle sue relazioni con il mondo esterno”.
Potrebbe quindi essere più saggio e produttivo per gli Stati Uniti nell’immediato futuro concludere accordi frammentari con l’India basati su aree limitate di reciproco interesse e costruire da lì. I due paesi possono cooperare in molti settori, come lo spazio, l’intelligenza artificiale, la tecnologia marittima e la salute globale. A lungo termine, gli Stati Uniti e l’India sembrano aver bisogno l’uno dell’altro per gestire un problema di sicurezza che entrambi condividono – l’assertività della Cina – e questo potrebbe avvicinarli.
Eppure ci sono molte ragioni per cui l’India e gli Stati Uniti, nonostante tutti i loro punti in comune, potrebbero allontanarsi di nuovo. Per prima cosa, gli Stati Uniti sotto Biden parlano di un mondo diviso in democrazie e autocrazie, e hanno espresso preoccupazione per il ritiro dell’India dal liberalismo, dal pluralismo e dai diritti umani sotto Modi.
Per quanto lo siano stati negli ultimi 75 anni, l’India e gli Stati Uniti sembrano essere due paesi che dovrebbero essere i migliori amici, eppure continuano a trovare ragioni per non essere d’accordo.
In questi tempi in cui la ragione sembra aver lasciato le cancellerie occidentali e le redazioni europee, in questi tempi in cui l’isteria di massa anti-Putin sembra prendere il posto di una profonda riflessione e di una inevitabile risposta politica, mi limiterò a ricordare alcune realtà che il mondo, in delirio, sembra aver dimenticato.
Ma non mettiamo troppo alle strette l’orso russo, perché l’Ucraina non vale un olocausto nucleare. È bene ricordare ai guerrafondai che giocano con il fuoco, il fuoco nucleare va d’accordo. Quando la pace sarà tornata e gli animi si saranno calmati, gli storici analizzeranno questa guerra per identificare oggettivamente le vere responsabilità. L’oltraggiosa demonizzazione di un nemico non fa parte della panoplia ad uso di storici degni di questo nome. Nel frattempo, ecco alcuni promemoria: sono stati gli americani a rifiutare, nel 1990, che la Russia fosse ancorata all’Europa. Furono ancora gli americani a promettere a Gorbaciov di non espandere mai la NATO a est. Quando il Patto di Varsavia è stato sciolto nel 1991, l’Occidente ha mantenuto la NATO con i suoi 16 membri, per lo più europei. Vincitori della Guerra Fredda, gli americani, invece di costruire la pace, hanno integrato 14 paesi dell’ex URSS nell’Alleanza e hanno installato i loro missili ai confini della Russia, che non minacciava più nessuno. Nel 2022, cinque paesi della NATO hanno ancora armi nucleari americane sul loro suolo. Chi minaccia chi? Dal 1990, la NATO non ha più nulla di un’alleanza difensiva, è, al contrario, uno strumento offensivo agli ordini di Washington di governare il mondo. La NATO è sempre l’aggressore, in Serbia, in Libia, in Iraq, in Siria, in Afghanistan. Con i successi che conosciamo… Nel 1999 la Nato ha bombardato la Serbia alleata con Mosca con un’armata di 800 aerei e ha smembrato il Paese amputandolo dalla provincia del Kosovo, divenuta uno stato mafioso, sede di tutti i traffici: esseri umani, armi, narcotici e organi. L’Occidente piange la sorte dell’Ucraina, ma ha applaudito ai bombardamenti della sfortunata Serbia, ingiustamente accusata di genocidio. Questi attentati criminali contro un piccolo paese che non aveva attaccato nessuno sono durati 78 giorni. Gli aerei della NATO hanno effettuato 38.000 sortite, provocando numerose vittime e vittime civili. La ripresa della Crimea da parte di Mosca è quindi solo il giusto ritorno del boomerang per l’indipendenza del Kosovo, imposto a Belgrado in totale violazione del diritto internazionale ea dispetto della Russia, ancora troppo indebolita per opporsi a questa ignominia. Quando Putin si rifiuta di vedere l’Ucraina diventare una base NATO avanzata ai confini della Russia, è esattamente ciò che Kennedy rifiutò nel 1962, quando Krusciov volle installare i suoi missili nucleari a Cuba. No, non è stato Putin a seppellire gli accordi di Minsk. È l’Ucraina che non li ha mai rispettati rifiutandosi di concedere l’autonomia al Donbass filorusso. L’Occidente geme per la sorte dell’Ucraina, ma dal 2014 anche gli abitanti del Donbass sono stati oggetto di perpetui bombardamenti ucraini senza che l’Europa o l’America ne siano state mosse. 13.000 morti in 8 anni. Cosa ne pensa Zelensky, colui che fa piangere tutte le cancellerie occidentali? Cosa ne pensa BHL, il paladino della disinformazione su tutti i televisori? Il reggimento Azov, che tortura e decapita i soldati russi, sconvolge il nostro grande combattente per i diritti umani, o ci sarebbero vittime più degne di interesse di altre? Tutto l’Occidente presumibilmente vuole la pace, ma una ventina di paesi stanno armando l’Ucraina e alimentando le braci. Alcuni di loro vogliono persino consegnare aerei da combattimento! Pura follia. Le armi individuali finiranno nelle mani dei gruppi mafiosi ucraini, poi nelle cantine delle nostre periferie, come quelle dell’ex Jugoslavia. Zelensky continua ad alimentare le braci e a chiedere sanzioni sempre più severe contro il popolo russo. Vuole che la Russia sia bandita dai porti e dagli aeroporti di tutto il mondo. Vuole bandirlo da tutti gli organismi internazionali. È un guerrafondaio che la stampa europea elogia. Quello che vuole è un impegno della NATO a rischio di una conflagrazione generale. Il sostegno degli occidentali gli dà le ali e continua a fare pressione sull’Europa. L’Occidente fa di lui un eroe, mentre lui peggiora le sofferenze del suo popolo solo rimanendo rinchiuso nel suo bunker. Ma Zelensky non è un santo. Guida un paese corrotto. Il reggimento Azov è davvero un’unità nazista, che l’Occidente si rifiuta di riconoscere. Moralità eterna a geometria variabile del poliziotto del mondo… Annunziando brutalmente che l’Ucraina sarebbe stata la benvenuta all’interno dell’UE, Ursula von der Leyen ha dimostrato, ancora una volta, la sua incompetenza e la sua totale irresponsabilità, mentre Putin si oppone a questa adesione e a qualsiasi integrazione nella NATO . Niente di meglio per guidare ancora di più l’orso russo ed è difficile fare di più stupido! Non è Thatcher che vuole! Zelensky ha colto al volo l’occasione, parlando davanti al Parlamento europeo per chiedere una procedura di adesione accelerata. Come se l’Europa dovesse integrare immediatamente uno stato corrotto e in bancarotta circondato da elementi nazisti!! Nessuno sa come finirà questa guerra fratricida. Ma se gli occidentali avessero ascoltato le legittime richieste di Putin, per garantire la sicurezza della Russia, il mondo non sarebbe qui. È tempo che gli europei non si comportino più come vassalli degli Stati Uniti, che hanno fatto di tutto per infiammare la regione e togliere i marroni dal fuoco di questo conflitto, senza sparare un solo colpo. Hanno ravvivato la moribonda NATO, hanno rilanciato la Guerra Fredda per 30 anni, hanno seppellito per sempre il grande progetto di una vasta Europa dall’Atlantico agli Urali, tanto caro a de Gaulle. Possono gioire. E gli europei ingenui applaudono, in nome della pace e del diritto internazionale, mentre seminano odio per la loro escalation permanente delle sanzioni. Quando sento Bruno Le Maire voler distruggere l’economia russa, facendo precipitare così il popolo russo nella miseria, mentre Putin vuole solo tagliare la testa al corrotto Stato ucraino, limitando il più possibile le vittime civili, dico che non è l’Ospite del Cremlino che ha perso il controllo. Se gli hacker russi bloccano il suo ministero, non dovrebbe sorprendersi. Con i nostri 3.000 miliardi di debiti, la nostra industria e la nostra agricoltura che sono andate avanti, questo ministro della bancarotta dovrebbe essere più discreto. Auspicare il naufragio economico della Russia è criminale. Continua a mettere alle strette l’orso russo con sanzioni folli e avremo la nostra guerra nucleare. Hiroshima alla potenza di 20! Per cinque giorni l’Occidente ha fatto la scelta dell’escalation senza mai parlare di trattative. A torto, perché né l’Europa né gli Stati Uniti hanno i mezzi per impegnarsi in un vero confronto con la Russia, in prima linea per molti armamenti convenzionali. Pertanto, Putin andrà fino in fondo con i suoi obiettivi. Per 30 anni l’Occidente ha ingannato e umiliato i russi. Questa era è finita, ora sarà un equilibrio di potere tra Mosca e l’Europa. Aver vinto la Guerra Fredda per tornare al punto di partenza 30 anni dopo è sicuramente il fallimento politico più clamoroso dal 1945. Grazie zio Sam, grazie élite europee! Tutta la pace in Europa deve essere ricostruita. E noi francesi lasciamo la NATO. Non dobbiamo essere gli ausiliari degli Stati Uniti nelle loro guerre di dominio. Con i russi ci conosciamo bene, abbiamo una lunga storia in comune. Ci apprezziamo e ci rispettiamo a vicenda. Abbiamo visto i cosacchi per le strade di Parigi, certo, ma chi oltre alla Grande Armée è arrivato fino a Mosca? Nel 1942 fu creato un gruppo di caccia FFL francese per combattere al fianco degli aviatori russi. Il gruppo Normandia-Niemen. È l’unica unità occidentale che ha combattuto all’interno dell’Armata Rossa contro i tedeschi. Questa unità si distinse presto e conquistò la stima dei piloti russi in combattimento. E oggi la popolazione fiorisce la tomba di questi piloti francesi sepolti sul posto. Alla fine della guerra, il comando russo lasciò che questi piloti multidecorati tornassero in Francia con gli aerei su cui avevano combattuto. “Il dono al reggimento ”Normandie-Niemen” di tutti gli aerei su cui avevano volato era una manifestazione della sincera amicizia tra il popolo francese e quello sovietico”. — Il maresciallo Aleksandr Novikov. Vi ricordo anche che sono stati i russi a vincere la guerra. Hitler inghiottì l’80% del suo esercito nelle steppe russe. Senza il sacrificio del popolo russo, gli Alleati non sarebbero mai stati in grado di sbarcare. Gli occidentali hanno la memoria corta. Pertanto, vedere oggi la Francia di Macron considerare i russi come nemici è infinitamente triste. Bruno Le Maire trasuda odio, ululando stupidamente con i lupi, senza la minima conoscenza del problema, della posta in gioco e dei rischi della guerra. Un’altra luce da Macronie! Mandare alla disperazione la prima potenza nucleare del mondo facendola morire di fame, detto da un ministro della Repubblica, non è solo questione di stupidità senza nome, ma anche di psichiatria. JG
Risposta a Mr. Myard, sul confronto tra Stati Uniti e Russia in Ucraina.
Se buona parte della tua analisi sui rischi che il conflitto ucraino sfugga di mano mi sembra corretta, torno alla frase: “Le informazioni fornite dagli americani sono state decisive per contrastare l’avanzata russa, di cui l’esercito ha dimostrato incapace di adattarsi, a causa di concetti militari obsoleti.
Ex capo del Joint Operational Planning Staff “Situation-Intelligence-Electronic Warfare”, non condivido affatto questa parte dell’analisi che si basa su una “valutazione della situazione” imprecisa che è, in effetti, la conclusione di un atlantista di parte posizione, volta a far credere agli ucraini che la Russia sia debole, per spingere l’Ucraina a resistere fino alla fine e farle prevedere, con l’aiuto occidentale, una vittoria. Ecco la mia argomentazione:
Fino a prova contraria, la Russia non ha dichiarato una mobilitazione parziale e ancor meno generale delle sue forze per svolgere questa “operazione speciale”. Nell’ambito dell’operazione Z, finora ha utilizzato solo il 12% dei suoi soldati (professionisti o volontari), il 10% dei suoi aerei da combattimento, il 7% dei suoi carri armati, il 5% dei suoi missili e il 4% della sua artiglieria. Tutti osserveranno che il comportamento delle élite dominanti occidentali è, finora, molto più febbrile e isterico del comportamento del governo russo, più calmo, più placido, più determinato, più sicuro e padrone di sé, della sua azione e della sua discorso. Questi sono fatti.
La Russia non ha quindi utilizzato le sue immense riserve (riserve che quasi non esistono più nell’UE). Ha più di una settimana di munizioni come dimostra ogni giorno sul campo. Non siamo così fortunati in Occidente dove la carenza di munizioni, l’obsolescenza dei principali equipaggiamenti, la loro insufficiente manutenzione, il loro basso DTO (Technical Operational Availability), l’assenza di riserve, la mancanza di formazione del personale, la natura campionaria delle moderne equipaggiamenti e molti altri elementi non ci permettono di considerare seriamente, oggi, una vittoria militare della NATO contro la Russia. Per questo ci accontentiamo di una guerra “economica”, sperando di indebolire l’orso russo.
Veniamo alla qualità della leadership militare della parte russa e confrontiamola con quella della “coalizione occidentale”.
Il 24 febbraio i russi hanno intrapreso urgentemente una “operazione speciale” preventiva, che ha preceduto di pochi giorni un assalto delle forze di Kiev contro il Donbass.
Questa operazione era speciale perché la maggior parte delle operazioni di terra si sarebbero svolte in un paese gemello e in aree in cui gran parte della popolazione non era ostile alla Russia (Donbass). Non si trattava quindi di una classica operazione ad alta intensità contro un nemico irriducibile, si trattava di un’operazione in cui la tecnica del rullo compressore russo, schiacciando con l’artiglieria le forze, le infrastrutture e le popolazioni avversarie (come in Germania durante la seconda guerra mondiale) era impossibile da prevedere. Questa operazione era speciale perché era più, nel Donbass, un’operazione per liberare una popolazione amica, ostaggio dei battaglioni di rappresaglia ukro-nazisti, e martire per 8 anni ., un’operazione in cui le popolazioni civili e le infrastrutture dovevano essere risparmiate il più possibile.
Questa operazione fu quindi davvero speciale e particolarmente difficile da condurre, tenendo sempre presenti le esigenze contraddittorie di ottenere la vittoria avanzando e occupando il terreno, risparmiando la popolazione e le infrastrutture civili e la vita dei propri soldati.
Inoltre tale operazione è stata effettuata, finora, in inferiorità numerica (quasi uno contro due), mentre il rapporto delle forze a terra richieste in offensiva è di 3 contro 1, e addirittura 5 contro 1 in zona urbanizzata. Anche le forze di Kiev hanno compreso perfettamente l’interesse di trincerarsi nelle città e di utilizzare le popolazioni civili di lingua russa e russofila come scudo umano…
Osservo che, sul campo, le forze russe continuano ad avanzare, giorno dopo giorno, lentamente ma inesorabilmente contro un esercito ucraino che ha raggiunto la sua mobilitazione generale, che è aiutato dall’Occidente, e che dovrebbe combattere per la sua terra. ..
Mettere in discussione la qualità della dirigenza russa, impegnata in un’operazione militare molto complessa, condotta in inferiorità numerica, in cui bisogna fare di tutto per evitare eccessivi danni collaterali. mi sembra un grosso errore di valutazione. Troppo spesso, inoltre, prestiamo ai russi, in Occidente, intenzioni o obiettivi di guerra che non hanno mai avuto, solo per poter dire che questi obiettivi non sono stati raggiunti.
È vero che la NATO non si è mai preoccupata con scrupolo di schiacciare sotto le bombe le popolazioni civili dei paesi che ha attaccato (spesso con falsi pretesti), per costringere questi paesi a chiedere pietà. (Serbia, Iraq, Afghanistan, Libia, ecc.). Più di un milione di bombe NATO sono state sganciate dal 1990 sul pianeta, causando la morte diretta o indiretta di diversi milioni di individui nella più totale indifferenza dell’opinione pubblica occidentale.
Prima di passare all’esame della leadership occidentale, per il confronto con la leadership russa, ricordiamo che la NATO ha impiegato 78 giorni di bombardamenti e 38.000 sortite aeree per costringere la piccola Serbia a chiedere l’armistizio. Ricordiamo che la Serbia è 8 volte più piccola dell’Ucraina e 6 volte meno popolata, e che è stata attaccata dalla NATO, senza un mandato dell’ONU, in un equilibrio di potere di oltre dieci a uno. Qualcuno in Occidente si è allora interrogato sulla qualità della leadership della NATO, che ha impiegato 78 giorni per sconfiggere il suo avversario serbo con un tale equilibrio di forze? Qualcuno ha messo in dubbio la legittimità di questa azione avviata con un falso pretesto (falso massacro di Racak) e senza un mandato delle Nazioni Unite?
Conosco bene, avendolo misurato io stesso negli USA per diversi anni, la qualità della leadership statunitense, che è anche quella della Nato e che, siamo onesti, non è buona, con poche eccezioni. Nel tentativo di valutare la qualità della loro leadership e le possibilità di vittoria in un possibile conflitto, gli USA utilizzano due metodi:
1 – Per High Intensity Warfare, le valutazioni si svolgono presso un grande accampamento militare situato in Nevada: Fort Irwin.
Tutte le brigate meccanizzate o corazzate dell’esercito americano effettuano soggiorni di addestramento e controllo in questo campo, a intervalli regolari. Ho avuto il privilegio di frequentarne molti. Dopo tre settimane di addestramento intensivo in questo campo, con tutte le attrezzature principali, c’è un’esercitazione su vasta scala per concludere il periodo, prima che la brigata torni alla sua città di guarnigione. La brigata si oppone a un piccolo reggimento dotato di equipaggiamento russo e che applica la dottrina militare russa. Si chiama OPFOR (Forza di opposizione).
Statisticamente, secondo l’ammissione del generale comandante del campo e direttore di queste esercitazioni militari ad alta intensità, la brigata statunitense perde la partita 4 volte su 5 contro l’OPFOR russa. Pochi sono i comandanti delle brigate americane che possono vantarsi di aver prevalso sulla “OPFOR russa” a Fort Irwin.
Alla domanda su questa stranezza, il comandante del campo ci ha sempre risposto: “non importa, il comandante di brigata impara dai suoi errori e non li ripeterà in una situazione reale”. Possiamo sempre sognare…
Dal mio punto di vista di osservatore esterno, i fallimenti dei comandanti di brigata statunitensi sono stati semplicemente legati al loro addestramento, che consiste nel seguire alla lettera schemi e regolamenti senza mai discostarsene, anche se la situazione si presta a prendere iniziative. e/o azioni opportunistiche, al di fuori della normativa. Il “principio di precauzione” o “filosofia del difetto zero” paralizza i leader, ritarda il processo decisionale, riduce lo slancio e molto spesso porta al disastro nei combattimenti ad alta intensità.
A Fort Irwin, questa catastrofe si osserva nell’80% dei casi a danno delle brigate statunitensi. È un fatto.
2 – Per formare lo Stato Maggiore Generale, e cercare di valutare le possibilità di successo in un possibile conflitto, vengono organizzate ogni anno esercitazioni ad alto livello di Stato Maggiore (Giochi di Guerra). Questi wargames sono anche intesi, infatti, come prove delle azioni militari previste. Alla fine della catena, ci sono le unità dei tre eserciti per concretizzare le decisioni prese dallo Stato Maggiore degli Stati Uniti.
Va notato che tutti i wargame previsti contro la Cina sono andati perduti dal campo statunitense, il che potrebbe spiegare la cautela degli Stati Uniti nei loro rapporti con la Cina.
Io stesso ho partecipato nella primavera del 1998 a uno di questi wargame che non era altro che la ripetizione, prima del tempo, della guerra in Iraq del 2003.
Va anche notato che i wargame contro l’Iran sono stati persi dalla parte statunitense e in particolare, nel 2002, il wargame Millennium Challenge. Quell’anno, il generale del Corpo dei Marines Van Riper , che comandava l’OPFOR iraniana , affondò un intero gruppo di portaerei statunitensi (19 navi) e 20.000 uomini in poche ore, prima che la leadership statunitense si rendesse conto di cosa gli stava succedendo.
Non parlerò qui di wargame contro le forze russe perché non conosco i risultati.
Se a tutto ciò aggiungiamo le guerre perse dagli USA dalla guerra del Vietnam al pietoso ritiro dall’Afghanistan nell’ottobre 2021, non possiamo che essere molto scettici sulla qualità della leadership statunitense, quindi la NATO.
In conclusione, direi che dobbiamo stare attenti prima di menzionare le carenze della leadership russa. Forse sarebbe opportuno togliere il raggio che ostruisce gli occhi della dirigenza occidentale prima di evocare il puntino che si può trovare negli occhi della dirigenza russa. Se la leadership russa ha, agli occhi di alcuni, sottovalutato la capacità di resistenza dell’esercito ucraino, la leadership occidentale ha sottovalutato la capacità di resistenza russa alle sanzioni economiche occidentali e la sua capacità di immaginare contro-sanzioni molto efficaci che danneggeranno le economie di l’UE e li indebolisce sempre più nei confronti degli USA e nella loro concorrenza con la Cina.
La leadership occidentale ha anche sottovalutato il sostegno su cui la Russia potrebbe contare nella guerra economica contro di essa (sostegno della SCO, dei BRICS, di molti paesi dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina e persino dei paesi del Golfo , produttori di gas e petrolio). Tutti questi paesi che rifiutano di sanzionare la Russia sono spesso paesi esasperati dall’egemonia del mondo unipolare occidentale e dalle sanzioni che vengono loro applicate unilateralmente per la minima deviazione dalle regole stabilite dagli Stati Uniti per servire i loro interessi.
Dopo periodi di supervisione delle unità militari della Legione Straniera (2° RE e 3° REI) e dei Cacciatori alpini (6°, 7° e 11° A.C.), poi alla supervisione dei cadetti, in particolare a Saint Cyr, il generale (2S) Dominique Delawarde fu capo della Situazione-Intelligence -Guerra Elettronica presso lo Staff di Pianificazione Operativa Congiunta.
Ha servito più di 8 anni fuori dalla Francia: negli Stati Uniti, in Sud America e in Medio Oriente nell’ambito dell’ONU, più di un anno nei Balcani nell’ambito dell’ONU e della NATO, e più di sei mesi in Medio Oriente (Emirati, Qatar, Kuwait).
LE FALSE INFORMAZIONI E LE CONTINUE VISITE DEI GOVERNANTI ” AMICI” A KIEV RINCUORANO I MORITURI MA ALLUNGANO INUTILMENTE I TEMPI DELLA GUERRA
UN ESEMPIO ECLATANTE E MOLTO GETTONATO E’ LA BATTAGLIA DEL GRANO. LEGGERE PER CREDERE.
Non un giornalista che controlli le notizie. Non un politico che si renda conto che le sue “visite al fronte” servono unicamente a far resistere gli ucraini alla paura e alla sofferenza e consentire forniture in esenzione delle regole d’appalto per quaranta miliardi USA e quasi altrettanti Europei.
Prendiamo in esame, oggi, le balle sull’approvvigionamento di dei poveri africani e mediorientali.
La prima balla è che il grano americano e canadese è insufficiente, la seconda e che il mercato africano e mediorientale è un mercato già divenuto americano dato che il grano made in USA gode di sovvenzioni doppie rispetto a quello prodotto in Europa ed è ultraconcorrenziale.
La terza balla è che l’Ucraina è il maggior produttore mondiale di grano e più in generale cereali.
Messe assieme , si crea la grande crisi alimentare mondiale destinata ad arricchire ulteriormente i satrapi della Continental grains e della Borsa Merci di Chicago.
Come prova che la verità è un’altra eccoti, caro lettore, le statistiche della FAO. L’ente delle Nazioni Unite per il rilevamento della produzione agricola mondiale che gli USA dichiarano nato a Hot Springs ( USA) nel secondo dopoguerra e che il resto del mondo sa essere nata a Roma come Istituto Internazionale d’Agricoltura nel 1905 a iniziativa del signor DavidLubin ( un mecenate ebreo polacco naturalizzato americano) sotto gli auspici di re Vittorio Emanuele III di Savoia.
I dati reali sono reperibili sul web e se le ho rimediate io, può rimediarle qualsiasi giornalista che aspiri a meritarsi questo titolo senza arrossire.
Apri i link, soprastanti, ( uno riguarda la produzione russa e l’altro quella ucraina) vai in fondo dove vedi l’ultima tabella ( “production”); passaci sopra col mouse e trovi l’ipertesto con tutte le spiegazioni e dati anno per anno. Guardando l’anno più recente, ma anche altri anni a piacere, troverai che la Russia è il primo produttore mondiale e sforna più del doppio della produzione di cereali dell’Ucraina.
La narrativa occidentale accredita l’Ucraina come primo produttore e la colpa del rincaro dei cereali sarebbe dei russi…..
Se queste notizie circolando provocano rialzi enormi dei prezzi e migliaia di persone moriranno, agli strateghi del Dipartimento di Stato e del Foreign Office britannico non importa.
L’importante è che la notizia passi come una ennesima colpa dei russi.
Dopo una dozzina di balle coordinate di questa portata – tutte con esiti letali per migliaia di innocenti sparsi nel mondo – ogni paese sarà, pensano loro, pronto a fare e sostenere la guerra contri i cattivi russi che affamano e speculano. Diventerà una guerra di difesa, quindi accettabile ai palati delicati delle opinioni pubbliche.
Questa è la ragione per cui cerco, nel mio piccolo e coadiuvato da pochi amici, di sventare il castello di bugie nel quale vogliono imprigionarci per condurci a morire, chi per bombe, chi per fame, chi per fifa.
L’importante è che il manipolo di psicotici pazzi attorno al presidente Biden, continui ad arricchire e il mondo continui a credere allo zio Sam e ai suoi schiavetti che danno la colpa ai russi.
Si dice – ma non si sa chi lo dice- che la neutralità non è più di moda. Due paesi sono stati indotti a fare richiesta di adesione alla NATO. Ebbene, vedrete che presto, smontato il castello di carte truccate, dovremo ringraziare Tajip Erdogan che ha dichiarato che “non vuole rompere né con Putin , né con Zelenski.” Ha aggiunto che “non vuole la terza guerra mondiale“. Si chiama neutralità positiva costruzione della pace e non mi importa perché lo faccia.
ERDOGAN SCEGLIE L’INGHILTERRA COME ALLEATO PREFERENZIALE E SI APRE NUOVI SPAZI POLITICI E INDUSTRIALI IN ASIA E AFRICA.
E’ l’INTERMEDIARIO IDEALE E DISCRETO CON CUI L’U.K. VUOLE TORNARE A EST DI SUEZ E A OVEST DEL CAIRO.
Mentre in Europa si chiacchiera e si affidano gli Affari Esteri a giovanotti di pessime speranze, l’Inghilterra si muove con fulminea rapidità e , forte dell’esperienza politica e diplomatica che nessuno ha più su entrambe le sponde dell’Atlantico avendo bruciato ogni classe dirigente degna di nota, Boris Johnson ha evidentemente offerto al governo USA la propria capacità relazionale coi fratelli Mussulmani e il mondo ” east of Suez” – dal quale il laburista Wilson si era ritratto per lasciare il posto agli USA – per fungere da sub appaltatore delle ambizioni americane. E da bravo Robinson Crusoe, si é trovato il suo Venerdì.
Liberatosi delle pastoie della Unione Europea, ha ripreso i contatti privilegiati, mai interrotti, con l’ex “Zona di libero scambio” (che, come associazione, ha continuato ad esistere con sede in Svizzera) e ha ripreso i legami tra i servizi di intelligence che non aveva mai abbandonato dagli anni trenta quando mise a punto una rete di servizi di intelligence in funzione anti hitleriana per ordine di Chamberlain.
La richiesta di adesione alla NATO della Svezia ( e del suo stato vassallo Finlandia) sono state il primo visibile – anche se non confessato- frutto della nuova cooperazione USA-UK, dopo l’alleanza con l’Australia cui hanno promesso la tecnologia nucleare; La virulenza del danese segretario Generale NATO Jens Stoltenberg é spiegabile con questa stessa ottica, come l’evidente impegno diretto inglese nella guerra ucraina
La Turchia di Erdogan é passata, causa la storica ammirazione ( anche di Ataturk) per gli inglesi, da “rascal” dell’alleanza a brillante diplomatico che surroga l’Inghilterra ovunque questa scandalizzerebbe per la sua disinvoltura antieuropea: in Libia, in Katar, In Nigeria, in un periplo africano completo che come risultato ha portato una fase di unrest solo nei paesi francofoni. E noi ci vediamo solo un venditore di tappeti…
Le minacce a Cipro e alla Grecia sono un ricordo, con Israele é pace fatta, le limitazioni poste all’export di armi e tecnologie dall’Inghilterra sono state completamente tolte ( il che equivale alla fine dell’embargo USA…) , il ricordo delle guerre fatte assieme agli inglesi contro gli Zar , rivive e il presidente Biden può guardare più serenamente alle elezioni di mezzo termine se riuscirà a far reggere Zelenski fino a novembre e a smantellare i bastioni del neutralismo nordico per portarli nella NATO che acquisterà più armi con riduzione degli esborsi USA….
Le obiezioni turche all’adesione degli scandinavi verrà presto presentata come ” un alleggerimento del fianco destro dell’alleanza” e conseguente alleggerimento della pressione russa al sud grazie al nuovo ipotetico fronte.
Icurdi verranno barattati per la quarta volta in nome degli interessi superiori dell’alleanza e anche per riallacciare al meglio il rapporto con il regime di Teheran..
Intanto il partito dei Mullah, che gli americani definivano sprezzantemente ” a british hobby” sembra essere diventato utile come la rocca di Gibilterra che Churchill rinfacciò a Roosevelt in risposta alla critica fatta agli inglesi di volersi impossessare di isolette e basi un pò dappertutto.
Alla fine, tutto torna utile.
Dell’acquisto del sistema d’arma S400 ( non 300 come si ostina a dire il corrispondente del TG1 da Mosca)si vedrà il bicchiere mezzo pieno ( studiare la tecnologia), Ankara non rientrerà nel programma F35 che ha bisogno di clienti e la Svezia ha aerei suoi SAAB…., perché Erdogan ha ambiziosi progetti per la costruzione di un aereo militare tutto turco da vendere da Islamabad a Doha e, perché no? a Teheran e ai mullah che con gli inglesi hanno avuto sempre ottimi rapporti finanziari.
Se fossi in Leonardo, ( Augusta Westland) mi preoccuperei per le sorti della Joint Venture con la Westland che potrebbe ambire a mercati ben più vasti.
La Turchia ritornerebbe al suo ruolo storico di protettrice del mondo sunnita ( e questo include anche l’Africa francofona).
Intanto la pacifica Costa d’Avorio e il Ghana attraverso i suoi presidenti improvvisamente affratellati dalle visite di Erdogan, ( Nana Akupo Asso e Alassan Guattara) hanno scoperto di produrre il 60% del cacao del mondo e vorrebbero raddoppiare il prezzo di 2600 a tonnellata ( che sarebbe comunque inferiore a quanto gli europei pagano la Cina di circa 7000 a tonnellata). Devono essere stati informati dall’intelligence della Costa d’Avorio che, come noto, ha ottimi agenti in Cina. Come gli inglesi.
Hakan Fidan, capo del servizio segreto turco: Erdogan gli deve la vita essendo colui che ha monitorato e sventato il tentativo di colpo di stato del luglio 2016. E’ diventato deputato senza lasciare l’incarico al servizio e si dice che potrebbe succedere al presidente. quando sarà il momento. Sulla parete del suo ufficio troneggia la foto di Mustafa Kemal a testimonianza della continuità nazionale e di destino dei turchi.
I protestanti della Nigeria che non sopportano di dover dipendere da una Vescova ufficialmente lesbica americana, preferiscono una interlocuzione mediata da Machos turchi per affinità culturale e i 17 milioni di protestanti tornerebbero a dialogare con gli anglicani.
Questo nuovo posizionamento spiegherebbe l’acrimonia del presidente Emmanuel Macron nei confronti della Turchia che lo ha sostituito nel cuore della anziana regina, e la conseguente strategia dell’amicizia nei nostri confronti per non essere del tutto espulsi dal Mediterraneo dopo il fiasco libanese e quello siriano.
Raccolgo qui una serie di informazioni, articoli, opinioni lette in questi giorni sulla stampa internazionale, per tentare la risposta alla domanda su quanto manchi alla fine del conflitto russo-ucraino. Sviluppiamo il ragionamento in forma ovviamente ipotetica, sebbene riteniamo di aver solide ragioni che limitano il campo delle ipotesi. E la risposta alla domanda è simile a quella data, se ben ricordo, poco tempo fa da un generale ucraino ed altri analisti che indicava agosto come termine dello scontro armato. Perché?
Chiariamo innanzitutto che con “termine del conflitto” intendiamo non la pace, ma la sospensione delle operazioni sul campo, quello che chiamano “congelamento del conflitto”, il conflitto rimane, diventa diplomatico o prende altre forme politiche ed economiche e perde quelle militari. Agosto è la stima del tempo che i russi potrebbero impiegare per prendere territorio dell’est fino ai confini amministrativi pieni dei due oblast del Donbass. Quasi raggiunto l’obiettivo per il Lugansk, manca ancora un bel po’ per il Donestsk. A quel punto, i russi potrebbero vantare appunto tutto il Donbass, la striscia sud fino all’antistante di terra della Crimea, il Mar d’Azov trasformato in un lago russo, la Crimea che già avevano annessa, il blocco navale completo nell’antistante Odessa, Kherson, la centrale di Zaporizhzhia (la più grande d’Europa) e altri annessi.
I russi avevano dato gli obiettivi dell’operazione militare speciale già il 7 marzo in una intervista Reuters a Peskov e da allora sono stati ribaditi ogni volta che ne hanno avuto occasione. Che fossero i veri obiettivi o gli obiettivi di minima qui non ci interessa, ci interessa fossero la versione ufficiale perché è rispetto a questa che il Cremlino chiederà alla propria opinione pubblica e quella internazionale, di esser giudicato.
Il pacchetto prevedeva 3+2 punti. 1) De-militarizzazione. Si potrà dire che le strutture militari ucraine sono state in buona parte degradate anche se il bilancio reale nessuno lo potrà fare anche perché l’obiettivo così espresso era sufficientemente vago. Vedremo se effettivamente ci saranno prove dei fatidici laboratori biologici o delle temute manipolazioni di materiale atomico per bombe sporche. In più, se le strutture logistiche e le dotazioni originarie sono state senz’altro colpite, i grandi trasferimenti d’arma dalla NATO ed in particolare UK ed USA, non erano previsti e non possono entrare nel bilancio; 2) de-nazificazione. Obiettivo semmai anche più vago del precedente. Senz’altro la fine dell’epica di Azovstal (non ancora del tutto conclusa), gli interrogatori, le foto, i processi, le condanne dei superstiti dell’Azov e tutto l’intorno, daranno dimostrazione che tale obiettivo è stato raggiunto o almeno così si potrà sostenere all’ingrosso; 3) dopodiché, che l’Ucraina non possa entrare dalla porta d’ingresso nella NATO rimarrà proprio nella misura in cui il conflitto non terminerà formalmente forse per anni, lo vieta un articolo del regolamento di accettazione nell’organizzazione, 4) che la Crimea non sarà riconosciuta legittimamente russa non è un problema tanto la richiesta aveva come fine farsi togliere le sanzioni relative e s’è capito che quelle sanzioni rimangono ben poca cosa dopo quelle comminate in questi tre mesi; 5) il punto chiave ovvero il riconoscimento delle due repubbliche popolari, verrà superato dal fatto che avranno ottenuto il doppio di territorio originario, più tutto ciò che va dal Donbass alla Crimea, con un bel po’ di materie prime ed industrie con le quali pagarsi le spese per il conflitto. Con prigionieri e prove di malefatte, da una parte e dell’altra, più il blocco navale, discussioni sui confini da provvisori a definitivi, c’è materia per almeno dieci anni di inconcludenti trattative. Ecco il perché della stima di agosto manca ancora il pieno controllo soprattutto dell’oblast di Donetsk. Infine, i russi potranno sempre dire che Zelensky si dovrà politicamente accollare tutti i morti e la distruzione materiale dell’Ucraina perché tanto alla fine ha perso anche più di quanto non avrebbe perso trattando il 7 marzo. Zelensky ed alleati potranno sempre dire “visto? se non ci battevamo avremmo preso ben di più”.
Si renderà anche chiara la logica del conflitto almeno sul piano militare e del perché è stata definita “operazione militare” e non guerra. Ripetiamo, non ci interessa quanto di tutto ciò fosse o sia vero o meno, va valutata la sostenibilità pubblica del discorso ed il discorso (che è stato così preparato strategicamente sin dall’inizio) così messo sta più che in piedi, piaccia o meno. Soprattutto a coloro che in questi mesi hanno scambiato i fatti con la fog-of-war propagandistica che ha lungamente vaneggiato di blitzkrieg, annessione di tutta l’Ucraina, cavalli russi che si abbeverano alle fontane del Vaticano ed eliminazione di Capitan Ucraina, tutta narrazione quale si conviene in casi del genere. Per altro speculare a quelle russe che hanno minacciato Armageddon un giorno sì e l’altro pure.
Tutto ciò, sarà la base su cui trattare, per anni. Un giorno gli ucraini apriranno al riconoscimento delle due repubbliche ma poi si ritrarranno, allora i russi diranno che stanno valutando l’annessione dell’intero Donbass nella Federazione rendendo il possesso del territorio irreversibile. Un giorno qualcuno farà qualche azione militare al confine per forzare la mano nelle trattative, poi la farà l’altro. Si tenga però conto che la piena perdita del Mar d’Azov ed il blocco navale di fatto nell’antistante Odessa, sono mani stringenti intorno al collo economico di ciò che resta dell’Ucraina. Aprire un po’ e poi richiudere il blocco sarà la tattica negoziale principale. Nei fatti, entrambi potrebbero aver interesse a non finire mai davvero la tenzone ufficialmente poiché il conflitto sottostante, rimane. Interesse della Russia tenere l’Ucraina per il collo, interesse degli ucraini andare a piangere dagli occidentali, interesse degli americani per sgridare gli europei sul fatto che non fanno abbastanza (svenandosi ancora di più ed a lungo, il che li renderà viepiù docili ed impegnati dal divide et impera di Washington), interesse di nuovo dei russi che vogliono vedere se e quando gli europei occidentali troveranno forza e coraggio di ribellarsi. Inoltre, né i russi, né gli ucraini sono politicamente in grado di giustificare internamente l’eventuale compromesso che ogni trattato di pace comporta.
Vediamo un po’ di saggiare la logica dell’ipotesi da entrambe le parti, partiamo dai russi. Che i russi volessero effettivamente più o meno questo e non altro, si deduce in chiarezza dalle poche truppe schierate in campo. Nell’est del fronte, sino ad oggi, si son visti più ceceni e repubblicani locali che russi veri e propri. Le dichiarazioni pubbliche di Putin da dopo il 9 maggio, si sono fatte meno urlate ed aggressive. Il supporto interno è ai massimi, quindi da qui in poi può solo scendere. Khodaryhonok, l’esperto militare russo che parla alla trasmissione di punta del primo canale russo, voce che ha l’aria di parlare con la voce più propria del Cremlino presentata però come opinione personale, giorni fa ha escluso la mobilitazione generale per chiari motivi di opportunità e sostenibilità che qualcuno invocava anche in Russia e l’altro giorno ha fatto una impietosa disamina della situazione motivazionale sul campo che vede senz’altro favoriti gli ucraini. Viepiù con l’arrivo dei nuovi sistemi d’arma americani. Più passa il tempo più le sanzioni faranno effetto. Si deve presumere, come poi verificheremo dall’altra parte, che tutta la comunità internazionale se non a favore, non contraria a Mosca, spinga alla cessazione delle operazioni, il disordine mondiale (soprattutto economico) è già oltre i livelli di sopportabilità. Così per la carestia alimentare e la turbolenza sul mercato delle materie prime. Ricordo che l’obiettivo reale dell’iniziativa russa travalica le questioni ucraine e se tale motivo era più che sufficiente per Putin, non lo è come possibile ed aperta condivisione sia interna, che esterna, più passa il tempo e si alzano i costi politici, economici, diplomatici. Quindi, fin qui va bene, ora basta.
Vediamo nell’altro campo. L’altro campo va diviso quantomeno in tre. C’è Zelensky e la sua banda che vuole un futuro per sé ed il proprio paese, l’asse anglosassone ed europei orientali, gli europei occidentali che hanno visioni diverse da quelli orientali.
Partiamo dagli ucraini. Gli ucraini hanno sin qui ottenuto grande visibilità e prestigio internazionale, molte promesse, armi, hanno contenuto i russi sul campo o almeno così si è percepito, si sono uniti come un solo uomo (non lo erano affatto). Ora debbono gestire la seconda fase. Ieri un ministro ucraino ha detto che lì c’è da sminare un territorio pari all’Italia, ogni giorno in più di guerra sono 30 giorni di sminamento ulteriore. Hanno fatto stime sulla necessità iniziale di un piano di ricostruzione di almeno 600 miliardi, più 5 di mero funzionamento amministrativo mensile, più le armi. Il Paese è nullo come attività economica, Pil, tassazione, insomma è a terra, completamente, manca pure la benzina. Hanno la questione del grano dove se non si sbrigano a svuotare i silos, non potranno riempirli col nuovo raccolto. Problemi con le altre esportazioni che sostenevano la magra economia ucraina. Hanno perso quasi 6 milioni di abitanti e la natalità già bassissima, si sarà ulteriormente bloccata. Si può immaginare che le precedenti élite economiche (oligarchi o meno), siano in fermento per non dire di peggio. Col tempo, gran parte della popolazione rimasta che è lontana dal fronte attivo, sentirà viepiù i morsi della crisi profonda e sempre meno lo spirito di patria compenserà la manca di pane e companatico, lavoro, requisiti minimi di normalità di esistenza.
Si apre così la partita con l’Europa occidentale. È l’Europa occidentale che dovrà contribuire più di ogni altro al futuro piano Marshall ed è la stessa che dovrà trovare il modo di inglobare l’Ucraina (paese che non era definito “democratico” prima delle guerra, corrotto a livelli stratosferici, privo di effettivo stato di diritto, con un Pil pro-capite a livello di repubblica centro-americana -133° posto-, senza politiche di genere e tratta delle donne giovani avviate alla prostituzione industriale della loro ampia malavita organizzata in affari con la ndrangheta, primo hub europeo per traffico d’armi e droga, con livelli di garanzia democratica e per i partiti e per la stampa inesistenti e da ultimo pure peggiorati) non certo pienamente nell’UE (impossibile per via dei parametri e del tempo richiesto per adeguarvisi, decenni su decenni, ma con l’opzione “Confederazione” che però è tutta da sviluppare). Ecco allora che il governo ucraino dipende dall’Europa occidentale per due ottimi motivi: a) il riconoscimento come candidato, obiettivo da vantare sul piano interno per le prossime elezioni in cui Zelensky rischia la testa (se non la rischia prima per altre ragioni); b) i soldi. È l’Europa occidentale che imporrà all’Ucraina di adeguarsi al congelamento del conflitto. Le armi debbono tacere, le luci si debbono spegnere, l’attenzione deve scemare per poter gestire il complesso dopoguerra. Crisi alimentare, commodities, milioni di esuli che già si lamentano, in attesa si comincino a lamentare le popolazioni che li ospitano una volta terminata la fase Eurovision, impossibile rinuncia sia al petrolio per non parlare del gas, inflazione ai massimi, migranti afro-arabi affamati, relazioni commerciali sovvertite, investimenti persi, catene logistiche da ristrutturare, mercato finanziario in contrazione mondiale, costo delle sanzioni, cisti del riarmo, un vero disastro.
Così dopo un certo allineamento delle intenzioni tra russi, europei occidentali che costringeranno gli ucraini ad adeguarsi, rimarrà l’asse anglosassone. Qui la situazione Biden in vista delle elezioni di mid-term (dall’inflazione agli effetti del terremoto economico-finanziario) è molto critica. Molte le altre cose da fare. Dal gestire il bottino NATO con i nuovi candidati scandinavi (al di là delle impuntature truche, ci vorrà ancora un anno prima di ottenere tutte le approvazioni e la strada potrebbe non esser così piana come ad alcuni sembra), alla ripresa dell’offensiva diplomatica soprattutto in Asia. In fondo, lo sfregio di reputazione russa si è ottenuto almeno per le platee occidentali, il declassamento d’immagine come superpotenza in parte, l’Europa che si riarma e stacca i legami con Mosca è forse il bottino più succoso, le sanzioni faranno il loro corso ed anzi ci sarà da tenere a bada gli europei che tenteranno qualche reversibilità e compromesso come stanno già facendo col fatidico pagamento in rubli a Gazprom.
Insomma, del Grande Conflitto per o contro l’Ordine Multipolare, che è la ragione propria di tutto questo macello, si potrà chiudere la prima fase, aprendo la seconda che si dovrà gestire a livello economico, finanziario, monetario, diplomatico e di alleanze, gestendo la complessa fase post-bellica, trasferendone il fulcro in Asia mentre si prepara la nuova puntata dell’Artico che è poi ciò che ha mosso al repentino assorbimento dei due scandinavi. Svezia e Finlandia hanno decenni di pacifica convivenza coi russi, nessun contenzioso, nessuna enclave russofona, nessuna ricchezza da disputarsi, la Svezia non ha neanche un confine di terra con la Russia. La Finlandia ce l’ha ma è esageratamente lungo, pianeggiante, disabitato e freddo, sostanzialmente indifendibile. Ma non si capisce cosa della Finlandia possa mai attrarre i russi. La loro frettolosa e sin troppo festeggiata adesione, non può che riferirsi a ben altro conflitto quale quello che si sta approntando per le risorse e la viabilità dell’Artico.
Il seguito di questo conflitto a scala planetaria non è facilmente ipotizzabile. Se lo è sul piano delle strategie generali, manca chiarezza sulla forza del suo soggetto ovvero l’attuale presidenza Biden. Quasi certa la perdita del Senato alle prossime mid-term, potrebbe perdere anche la Camera ed i due anni che, a quel punto, separeranno dalle presidenziali sarebbero una ghiotta occasione per i repubblicani per fargli perdere più punti di quanto ne potrebbe acquisire. Il tutto, in un contesto mondiale ormai disordinato irreversibilmente, con prospettive economiche plumbee. Di contro, potrebbe esser allora intenzione proprio dell’”anatra zoppa” drammatizzare il conflitto internazionale, specie se a quel punto diretto anche contro la Cina. Un richiamo a cui non potrebbero resistere neanche i repubblicani. L’enorme elargizione di dollari al complesso militare-industriale ha sempre affetti bipartisan.
Sin dall’inizio delle nostre cronache sul conflitto ucraino, ci siamo posti il problema tra l’estrema ambizione del piano americano e la sua forza relativa nel poterlo dispiegare nel tempo contro le avversità da esso stesso generate. Schematicamente, delle due l’una: o il piano è frutto di un entusiasmo poco avveduto strategicamente e realisticamente o si è prevista la necessità di alzare continuamente la posta per imporlo come unico schema di riferimento, forzando tutte le incertezze e contrarietà crescenti. Questo secondo caso sarebbe davvero preoccupante ed allora le continue uscite russe sull’opzione nucleare, passerebbero dal novero della semplice propaganda alla risposta a minacce strategiche che le opinioni pubbliche ancora non vedono con chiarezza.
Continuiamo la nostra ricerca intorno al problema più volte qui segnalato ovvero l’apparente sproporzione tra l’ambizione che traspare nei piani americani e la forza effettiva dell’amministrazione Biden.
Quanto all’ambizione, non v’è dubbio che l’attuale amministrazione si sia data compito strategico di ampia portata ovvero fare i conti col destino apparentemente inevitabile di un ordine multipolare che annullerebbe ogni vantaggio sistemico per gli Stati Uniti. Fin qui nulla di particolarmente nuovo, il nuovo potrebbe essere nel modo di perseguire l’obiettivo o forse un nuovo molto antico. Nell’ambito del pensiero strategico americano, si è a lungo ritenuto la Cina il competitor a cui gli USA dovevano guardare. Alcuni realisti hanno anche prospettato come utile una “strategia Kissinger” che riproponesse il vecchio “divide et impera” applicato al tempo di Nixon, quando uno dei più conservatori presidenti americani venne portato a Beijing a stringere la mano addirittura a Mao Zedong, pur di separare comunisti cinesi da quelli russi che ai tempi erano il nemico principale. Secondo questa linea di pensiero, si sarebbe dovuto quindi cercare di staccare gli interessi russi da quelli cinesi. Ricordiamo che la Russia è una potenza armata non economica, la Cina il contrario, a grana grossa. Ha destato quindi un certo stupore verificare la foga e l’impegno materiale e politico straordinario con il quale Biden (qui come nome di una strategia collettiva di gruppi di potere di Washington) ha affrontato la, a lungo coltivata e poi scoppiata, guerra in Ucraina. Perché la Russia quando l’avversario strategico è la Cina?
Le strategie rispondono a problemi molteplici, quindi hanno ragioni molteplici ed applicazioni molteplici. La domanda semplice, quindi, non può non avere che una risposta complessa. Ma qui non abbiamo spazio e tempo per indagare questo campo di analisi. Diremo solo che ci sembra importante quanto dichiarato dal Segretario alla Difesa Lloyd Austin il 25 aprile scorso ovvero che il fine dell’impegno USA nel conflitto ucraino ha come obiettivo “vedere la Russia indebolita” strutturalmente, cioè a lungo. “A lungo” va oltre il conflitto ucraino, si riferisce al conflitto multipolare che durerà anni, non mesi. Tre gli assi dell’agognato indebolimento: a) quello strettamente militare ovvero distruzione prolungata dei materiali bellici russi che richiedono anni per il rimpiazzo; 2) quello economico agito tramite sanzioni ed isolamento economico e finanziario, se non altro con il sistema occidentale, comunque, ancora ben al di sopra del 50% di ricchezza mondiale; 3) quello diplomatico che s’accompagna al secondo obiettivo. Come disegnato dal nuovo strategist della Casa Bianca, quel T. J. Wright ex direttore del Brookings Institute nel suo “All Measures Short of War” (2017), gli USA non possono recedere dalla prioritaria difesa dell’ordine “liberale” globale, senza arretrare di un millimetro nonostante la crescita dei problemi, dei concorrenti, del disordine del mondo sempre più complesso.
Solo che Wright proponeva una strategia complessa che non usasse più di tanto a leva bellica mentre ciò a cui assistiamo ed in conseguenza di ciò che ha detto Austin, va in senso contrario. Non si può fare i conti col desiderio strategico di voler vedere la Russia indebolita senza fare i conti con le questioni belliche poiché la forza della Russia è bellica, non economica. La loro stessa forza diplomatica che vediamo penetrare lentamente in Africa agisce tramite armi non investimenti come fanno i cinesi. Va qui precisato che la strategia generale di un sistema come gli USA, non è mai pensata e decisa da un solo attore, è vano cercare l’Autore originario in quanto non c’è, ci sarà un gruppo con molti attori neanche noti o visibili, di cui il presidente o il suo più stretto entourage politico, fa sintesi. Tra l’altro ciò permette il fatto che la strategia generale resti ignota nel suo disegno complessivo, poiché pochissimi ne condividono l’intera architettura. Quindi Wright va benissimo quando si tratta di sanzioni e diplomazia, ma non è affatto detto che si prenda sul serio la sua “Short of War”.
Torniamo allora al 14 aprile quando Biden convoca alla Casa Bianca i vertici degli otto maggiori produttori d’arma americani per un briefing generale. Ufficialmente, l’incontro è stato messo in relazione con i continui sforzi americani di armare gli ucraini. Pochi giorni prima, un think tank militare di Washington (CSIS) aveva sfornato un report in cui si diceva che già allora, gli americani avevano consumato un terzo delle proprie riserve di Javelin e Stinger e che ci sarebbero voluti tre-quattro anni per ripristinare le scorte per i Javelin, cinque per gli Stinger. Ma una fonte anonima della Casa Bianca ripresa dalla stampa americana, aggiungeva che non era solo per quello che s’era indetta la riunione. In effetti, se fosse stato solo per quello ce la si cavava con un paio di telefonate a Raytheon e Lockheed-Martin. La fonte faceva capire che: a) la prospettiva di fornitura e consumo d’armi sarebbe stata molto prolungata nel tempo; b) la questione non riguardava solo gli Stati Uniti e l’Ucraina, ma anche gli alleati.
Non passa giorno, incluso ieri, che Stoltenberg non ribadisca che il conflitto sarà molto, molto lungo. Ma non è questa la piega che sta prendendo il conflitto sul campo, gli ucraini non sono in grado per uomini e sostenibilità economica e psicologica di reggere un conflitto per “anni ed anni”. Né lo vogliono gli europei che poi son quelli che debbono mettere i soldi per la ricostruzione di cui tra l’altro Zelensky parla sempre più spesso come di cosa ormai anche più importante delle armi stesse. Altresì, la recente conversione armaiola di Germania, Europa e presto Giappone oltre ad Australia, Canada oltre a Gran Bretagna che sull’argomento fa da sé e si è già organizzata per tempo a riguardo (dichiarazioni Johnson già da molto prima del 24 febbraio ), chiama ad un impressionante incremento produttivo proprio americano poiché è l’unico competitivo sul mercato ad oggi e tale rimarrà almeno per i prossimi cinque-dieci anni o forse più visto il vantaggio tecnologico che ha su ogni altro tentativo di esplorare competitivamente questo particolare mercato.
Sono così andato a verificare cosa realmente producono non solo Raytheon e Lockheed-Martin, ma anche gli altri convocati alla famosa riunione, cioè: Boeing; Northrop Grumman; General Dynamics e L3Harris Technologies. Molti di questi non producono nulla che possa servire alla guerra in Ucraina, ad esempio forze aeree, spaziali, navali. Così, se a livello di radar, missili, droni e carri si poteva trattare la faccenda al telefono o a livello di singoli responsabili di approvvigionamento-produzione, per una grande stagione di riarmo generale, non solo americana ma occidentale in senso più ampio e tenuto conto se il riarmo occidentale trainerà il riarmo globale, la faccenda diventerà sistemica e quindi la riunione ci stava tutta.
Abbiamo qui già presentato la prossima puntata conflittuale dell’Artico che è poi quella che ha mosso la altrimenti inspiegabile entrata nella NATO dei due scandinavi (in pacifica convivenza coi russi da sempre, privi di contenziosi, di allettanti risorse, di russofoni maltrattati o di rilevanza strategica generale che la Scandinavia non ha mai avuto in nessun modo e quanto alla Svezia, addirittura di confini comuni coi russi). Riprendendo le analisi di un numero dedicato a suo tempo da Limes, Fabbri stesso l’altro giorno ricordava la base russa di Murmansk, l’unica libera dai ghiacci tutto l’anno, ad un tiro di schioppo dal confine finlandese, ma volendo anche svedese. Ma nell’incontro tra il turco Cavasoglu e Blinken, si è parlato anche di Caucaso (dove è in subbuglio l’Armenia, storico alleato di Mosca) e del centro-Asia i cui presidenti facenti parte della piccola NATO russa (CSTO) si sono di recente incontrati a Mosca, preoccupata dello scarso entusiasmo che gli alleati hanno sin qui mostrato per l’avventura russa in Ucraina. Pare in aumento anche il contingente americano in Siria, in Somalia, e si può sempre prevedere qualche ripresa delle dispute russo-giapponesi su Sakhalin (nientemeno che oro, argento, titanio, ferro, carbone e tra i più grossi giacimenti del mondo di gas e petrolio ancora non estratti) o la famosa disputa della Isole Curili in cui i russi hanno strategiche basi di navi e sottomarini.
Letti gli azionisti dei top-eight produttori d’arma ovvero il gotha finanziario dei grandi fondi di Wall Street che da mesi sta uscendo dalle posizioni sul hi-tech, si può riconsiderare il famoso sistema centrale del potere americano indicato da Eisenhower nel 1961 come oggi diventato: complesso militare-industriale-congressuale-finanziario. Il Congresso a cui Biden aveva chiesto da ultimo 30 mld per l’Ucraina, ha deciso invece di dargliene 40, sua sponte bipartisan poiché il sistema beneficia tutti e due i partiti. Il Congresso immette la liquidità, i militari chiedono all’industria di produrre per poi usare in proprio o vendere agli alleati ora avidi di armi che non sanno produrre in proprio. La finanza banchetta e così sono tutti felici. Industria e finanza, poi tornano parte del bottino in finanziamento dei partiti e dei singoli rappresentanti, anche col sistema delle porte girevoli, posti di lavoro per le corti di amici/amiche ed assistenti, think tank et varia. Le armi verranno regolarmente usate nella collana di perle di ferro dei mille conflitti che oscureranno la collana di perle di seta cinese. La Russia sarà sfiancata in attriti multipli, sotto sanzioni, punita diplomaticamente. Gli alleati non avranno scelta che seguire il capo branco anche perché non hanno forza, strategia ed intenzione alternative comparabili.
La forza del sistema denunciato più di settanta anni fa da un presidente che però era anche un generale ed anche repubblicano sebbene il suo famoso discorso d’addio vene scritto da un sociologo democratico (democratico ideologicamente, alla Dewey), può forse garantire la strategia anche dopo l’aspettata sconfitta alle prossime mid-term. Rimane una strategia ambiziosa, ma è calcolata. Bene o male lo vedremo. Chissà che alle prossime presidenziali americane non si sospenda il voto se gli USA, nel frattempo, saranno entrati in guerra in prima persona.
In questi giorni le frastornate opinioni pubbliche scoprono il problema alimentare globale noto già dai primi giorni di guerra ma inadatto ad esser allora posto vista l’urgenza della pressione comportamentista alla Watson-Skinner a base di “aggressore-aggredito”. Per questo, come per quello ecologico-climatico, come per quello geopolitico-economico-valutario-finanziario, gli USA hanno la soluzione, non è nuova ma funziona da cinquemila anni ed è obiettivamente forse l’ultimo loro esclusivo vantaggio comparato. Sempre che non sfugga di mano e non trascenda nell’atomico. Rischioso? Ce lo disse Ulrich Beck già nel 1986, la nostra è l’Età del rischio.